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Magazzini del Cotone - Galata Museo del Mare

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Magazzini del Cotone - Galata Museo del Mare
4. Audioguida Galata-Magazzini del Cotone
4.1. Dal Galata all’Acquario
Il nostro itinerario ci porterà a scoprire l’insenatura portuale più riparata della città, il
Mandraccio, su cui fin dall’antichità si è basata la prosperità e la potenza di Genova. Nel
nostro cammino compiremo un lungo arco, seguendo il profilo dell’antica linea di costa e
incontrando via via moli, ponti e calate, recentemente recuperate ed adibite a nuovi usi.
Superati l’Acquario e piazza Caricamento, giungeremo infine a Porta Siberia ed ai
Magazzini del Cotone, che ospitano al loro interno istituti culturali, spazi ricreativi e
commerciali.
Usciamo dal museo ed avviamoci sulla sinistra, in direzione di alcune palme, per il
Belvedere Vittorio Pertusio, larga passeggiata che costeggia lo specchio d’acqua proprio
di fronte al Galata; qui era ubicata l’antica Darsena della Repubblica, dove venivano
riparate le galee e le altre imbarcazioni della sua efficiente flotta. Nel medioevo un
piccolo molo la suddivideva in due parti, la Darsena delle Galere e la Darsena dei vini,
entrambe protette da mura e torri merlate d’angolo, necessaria precauzione data la vitale
importanza delle attività che qui si svolgevano.
Ad inizio passeggiata, attrezzata sulla sinistra con un’ampia pedana in legno, si noti,
proprio dirimpetto all’entrata del museo, un barcone bianco e rosso di recente
installazione: è il Genova Urban Lab, sorta di studio galleggiante per la progettazione
urbana concepito dal celebre architetto Renzo Piano. Esso è collocato al centro della
Calata De Mari, dove si trova l’open air museum, spazio destinato ad ampliare all’esterno
le sale espositive del Galata.
Ci troviamo nel sestiere di Prè, che prende il nome dalla via interna parallela alla
passeggiata; ricordiamo che per ‘sestiere’ si intende una delle sei parti in cui era
suddivisa la città storica.
Qui tutto parla del mare e della vita che gli ruota attorno: a fianco del Belvedere
Pertusio vi è la Calata Vignoso, che l’amministrazione comunale ha destinato ad attività
di pesca professionale, come si può ben notare dall’affollarsi variopinto di piccole
imbarcazioni, reti, corde; in certi momenti della giornata lo stesso pesce fresco, appena
pescato, fa bella mostra di sé in attesa di essere comprato. I pescatori, per accedere
comodamente alle loro barche, utilizzano una passerella di legno posta più in basso,
quasi a pelo d’acqua, collegata alla passeggiata mediante alcune scalette.
Curiosando tra imbarcazioni ed attrezzature varie percorriamo dunque il Belvedere, al
termine del quale incontreremo l’ottocentesco Bacino di Carenaggio, quasi di fronte alla
monumentale Porta dei Vacca, dove ci fermeremo per una breve sosta.
Il Bacino di Carenaggio, delimitato da una lunga cancellata grigio scura, è un piccolo
settore della darsena dove vengono ricoverate imbarcazioni da riparare, dalla
motovedetta portuale al lussuoso yacht; una paratia mobile alla nostra destra, di color
rosso ruggine, consente di tenerlo all’asciutto mentre gli operai effettuano i lavori
necessari. Se ci porteremo sull’altro lato della cancellata, rivolto verso la strada, potremo
cogliere meglio la sua struttura ed il suo funzionamento. Nei secoli passati venivano
prosciugate parti del porto ben più ampie, per eseguire lavori di escavazione del fondale
marino, poco profondo per natura e sempre tendente ad interrarsi; si utilizzavano allo
scopo robuste palizzate di legno a tenuta stagna, dette ‘passionate’, messe in opera da
una moltitudine di lavoratori specializzati e perfettamente organizzati.
Quest’ultima parte di darsena a cui siamo giunti era detta, oltre che ‘dei vini’, anche
‘delle barche’, che spesso la affollavano in gran numero; la Repubblica l’aveva infatti
destinata al commercio ‘di cabotaggio’, cioè svolto da imbarcazioni che navigavano da
porto a porto, tenendosi normalmente vicine alla costa.
Riprendiamo il nostro cammino, oltrepassando il Bacino di Carenaggio e dirigendoci
verso l’ingresso del parcheggio sotterraneo proprio di fronte a noi, che ci lasceremo sulla
sinistra; qui la passeggiata si allarga progressivamente fino a diventare una vera e
propria piazza: è l’inizio della ‘Piazza sul Mediterraneo’, anch’essa ideata da Renzo
Piano e realizzata in occasione delle Celebrazioni Colombiane del 1992, a cinquecento
anni esatti dalla scoperta dell’America da parte del grande navigatore Cristoforo
Colombo. Tutta quest’area è divenuta uno dei luoghi di incontro, svago ed aggregazione
preferiti dai genovesi e non, chiamata comunemente Expo, da World Exposition
(Esposizione Mondiale), la manifestazione che ha accompagnato le celebrazioni
suddette.
La piazza qui prende il nome di Ponte Morosini; sulla nostra destra alcuni lunghi
edifici color rosa scuro costituiscono il complesso residenziale della Marina Porto Antico,
con alloggi dotati di attracco privato per le imbarcazioni, negozi e servizi vari al
pianterreno; prima di proseguire oltre, ammiriamo sulla sinistra, al di là della Strada
Sopraelevata, la lunga palazzata del fronte mare cittadino, con begli edifici di nobile
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aspetto e dai tenui colori pastello. La grandiosità di questi edifici, dello spazio che si apre
alla vista, contrasta con il centro storico che si trova appena alle loro spalle, come
osservava acutamente a fine Ottocento lo scrittore spagnolo Vicente Blasco Ivanez:
Genova è la città dei contrasti, dei grandi palazzi e dei miseri carruggi…
Inoltriamoci in questa piazza del mare e percorriamo la Calata Salumi, che, a dispetto
del nome, ospita oggi numerosi motoscafi e piccoli yacht, avvicinandoci al cosiddetto
Neptune, ricostruzione di un antico galeone. Procedendo vedremo comparire sulla
destra, all’orizzonte, l’inconfondibile profilo della Lanterna, a cui fanno corona i molti
alberi delle imbarcazioni attraccate qui attorno; sotto i nostri piedi si estende un
parcheggio sotterraneo che sfrutta tutta la superficie utile del piazzale.
I moli, le calate e quasi tutte le strutture portuali prima del Trecento erano di legno,
destinate pertanto a durare poco ed essere sostituite di frequente; solamente i portici di
Sottoripa, visibili alla nostra sinistra, il primo tronco del Molo, i due fari ed un paio di
raybe (ovvero, magazzini) erano stati già costruiti in solida pietra e mattoni fin dalla prima
metà del XII secolo. Poco per volta la pietra sostituì il legno anche altrove, mantenendo
quest’ultimo solamente nelle palificazioni di fondazione. Non a caso, l’importanza e
l’impegno di un tale lavoro di consolidamento portò proprio in quegli anni alla creazione di
un’apposita magistratura, i Salvatores portus et moduli, ‘Salvatori del porto e del molo’,
per il controllo e lo sviluppo dapprima del solo porto, poi anche dell’urbanistica,
dell’edilizia e di molti altri settori della vita cittadina.
Terminata la Calata, eccoci giunti al Neptune, rifacimento di un galeone seicentesco,
realizzato nel 1986 per il film Pirati del regista Roman Polanski, col celebre attore Walter
Matthau nella parte del protagonista. Come set, Polanski decise di usare
un’imbarcazione che ricreasse l’ambiente e l’atmosfera dei tempi in cui i pirati
imperversavano sui principali mari del pianeta, affidando l’incarico della sua costruzione
ad un cantiere tunisino; il galeone è infatti regolarmente immatricolato nel registro
marittimo della Tunisia e batte la bandiera di tale stato. Terminate le riprese del film, esso
è stato ormeggiato qui, alla calata Rotonda, divenendo un’attrazione per grandi e
bambini.
Percorriamo questa calata, stretta fra l’acqua e tre file di alte palme provenienti dal
Nord Africa; subito dopo il galeone ci appare, a destra sul vicino Ponte Spinola, la
particolare architettura dell’Acquario, che ricorda una serie di grandi bianchi vasconi o
una nave adagiata sul fronte del porto; lo scafo azzurro di una vera e propria
imbarcazione, chiamata Nave Italia, è ancorata davanti alla struttura, prolungandola
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verso il mare ed ospitando parte delle collezioni museali. Se seguiamo con gli occhi la
direzione suggerita dalla Nave Italia, vedremo spuntare sullo sfondo i grattacieli del
moderno centro direzionale di San Benigno, tra cui sono ben distinguibili la Torre WTC
(World Trade Center, Centro del Commercio Mondiale) e, visibile qualche passo più
avanti sulla sua destra, la torre del Matitone, così chiamato per la sua caratteristica
forma.
Siamo ormai arrivati alla nostra prima meta, l’Acquario: inaugurato in occasione delle
già citate celebrazioni colombiane del 1992, è stato a più riprese ampliato ed arricchito
con nuove vasche; il percorso di visita - circa 2 ore e mezza - si snoda su una superficie
totale di 9.700 metri quadrati, in cui è possibile vedere (e talora toccare direttamente con
le mani) pesci e molti rettili inseriti in fedeli ricostruzioni dei loro ambienti naturali, con
evidenti finalità didattiche.
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4.2 Piazza Caricamento e Sottoripa
Diamo le spalle all’Acquario ed avviamoci verso piazza Caricamento, a cui arriviamo
percorrendo un tratto di marciapiede compreso tra la biglietteria del museo ed una lunga
cancellata grigia sulla sinistra; prima di passeggiare liberamente alla scoperta dei tanti
scorci che essa offre, dirigiamoci verso la statua bronzea dedicata a Raffaele Rubattino,
opera dello scultore genovese Augusto Rivalta, collocata proprio al suo centro.
Non c’è posto più adatto di questa piazza per un monumento dedicato ad un grande
capitano d’industria ottocentesco, considerato il primo armatore italiano: essa infatti
sorge proprio davanti ai portici di Sottoripa, da secoli il ‘cuore pulsante’ dei traffici
mercantili cittadini. Rubattino mise assieme una vera e propria flotta di piroscafi, le navi a
vapore che nell’Ottocento costituivano l’innovazione tecnologica di punta; riuscì, nel
corso della sua fortunata carriera, a superare anche momenti drammatici, come
l’affondamento del Polluce, uno dei suoi migliori navigli, avvenuto al largo dell' isola d'
Elba nel 1841. Tale tragico evento ha dato origine ad una vera e propria leggenda tra i
cercatori di tesori ed i semplici curiosi, poiché pare che l’affondamento, dovuto ad una
collisione con una nave napoletana, il vapore Mongibello, sia stata un’operazione di vera
e propria pirateria, mossa dalla brama di mettere le mani su quanto trasportato da 49
napoletani ricchi e nobili che stavano portando via i loro tesori dalla città, scossa dalle
rivolte contro Ferdinando IV di Borbone. Scrive al proposito la giornalista Lattes Wanda:
…I nobili portarono con sé gioielli, monete d' oro e d' argento, preziosi di ogni tipo,
addirittura una carrozza. Impossibile sapere esattamente cosa c'era sul «Polluce», molti
non lo dichiararono e sul giornale di bordo non erano indicate tutte le ricchezze
realmente trasportate. Di certo, gli storici dicono che c'erano centomila monete d' oro e
70.000 colonnati d' argento, oltre a lingotti e gioielli. La leggenda dice che anche
Ferdinando avesse imbarcato su quella nave parte del tesoro reale…
Volgiamo lo sguardo tutt’attorno, passeggiando per la piazza, ed osserviamo quanti
diversi scorci si presentano alla nostra vista. Piazza Caricamento fu realizzata
nell’Ottocento per agevolare il passaggio di carri e per consentire il carico (da cui,
Caricamento) delle merci appena sbarcate dalle navi. Qui giungeva la ‘Ferrovia LigureSubalpina’, inaugurata nel 1854 alla presenza di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, sulla
quale venivano caricate tali merci, che potevano in questo modo valicare agevolmente
l’appennino ed arrivare fino a Torino. Fotografie d’epoca mostrano, proprio qui dove
stiamo camminando ora, una piazza ingombra di carretti trainati da asini o buoi, alcuni
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già carichi di barili, sacchi, mercanzie di ogni genere, altri ancora in attesa del proprio
turno, mentre distinti signori con bastone si aggirano qua e là, con l’aria di chi impartisce
ordini e si aspetta di essere prontamente servito.
Sotto ai palazzi situati alle spalle della statua dedicata a Rubattino c’è una via
porticata, Via di Sottoripa: essa comprende i più antichi porticati pubblici di cui si abbia
conoscenza in Italia. Documenti ufficiali ne fanno risalire la costruzione agli anni
compresi fra il 1125 ed il 1133, a partire dall’area dell'attuale via San Lorenzo, che si
trova alla nostra destra, con un’operazione pianificata fin nei minimi dettagli. L’acqua del
mare arrivava allora a lambire il porticato, occupando tutta la piazza su cui ci troviamo
ora: infatti, il termine Sottoripa deriva dal fatto che le sue fondazioni si venivano a trovare
al di sotto del livello del mare e della riva relativa, quindi letteralmente ‘sotto la riva’.
Gli alti arconi a sesto acuto che possiamo vedere sulla sinistra, detti anche ‘ogivali’ o
‘gotici’, sono il risultato di un restauro tardo ottocentesco effettuato sotto la direzione
dell’illustre architetto Alfredo d’Andrade; il porticato sulla destra, parzialmente nascosto
da piccole botteghe e trattorie tipiche, è invece interamente originale. Torniamo nei pressi
della statua e, prima di addentrarci in Sottoripa, diamo un’ultima occhiata alle belle
facciate dei palazzi innalzati sopra di essa: sono tutte differenti, testimoniando una
grande libertà espressiva ed una realtà urbana in continuo movimento. Alcune hanno
zone prive di intonaco, lasciando intravedere il loro antico aspetto medievale fatto di
pareti in mattoni, finestre ad arco decorate con pietre alternativamente bianche e nere
(tipica ‘bicromia’ genovese di derivazione pisana), torri merlate; altre sono ingentilite da
balconi marmorei in facciata e terrazze sui tetti; tutte sono dipinte con tenui colori
pastello. Sulla nostra destra, quasi fosse una quinta di un teatro all’aperto, Palazzo San
Giorgio mostra il suo fianco settentrionale, anch’esso movimentato da decorazioni
diverse, medievali a sinistra (pareti in mattoni, polifore, ovvero finestre a più aperture,
coronamento merlato), rinascimentali a destra (pareti intonacate ed affrescate, piccoli
obelischi nel coronamento).
Entriamo sotto i portici più moderni proprio di fronte a noi dirigendoci verso l’edificio
che ospita le Generali; questa parte di Sottoripa è priva di valore storico-artistico perché
risalente ad una ricostruzione del secondo dopoguerra, a seguito dei danni arrecati dai
bombardamenti alleati. Una volta entrati, giriamo a destra, dirigendoci verso i portici più
antichi; raggiungeremo in breve una stretta via che sale sulla sinistra, vico del Serriglio.
Senza percorrerlo, fermiamoci nel piccolo slargo a sinistra, proprio al suo inizio, dov’è
ubicata la Banca Popolare di Novara; di fronte ad essa, vico del Serriglio annovera una
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serie di elementi medievali ancora ben rintracciabili sulle facciate degli edifici,
caratterizzati soprattutto dalla locale pietra nera di promontorio, detta scientificamente
‘calcare marnoso cretaceo’; segnaliamo un portale gotico a pianterreno, una decorazione
di archetti ciechi al primo piano, un alto arco in mattoni con una colonnina di marmo
posta sulla destra, resto di un’antica polifora.
Riprendiamo a camminare in Sottoripa fino a raggiungere poco dopo via al Ponte
Reale, dove faremo una breve sosta. Potremo così capire perché Enea Silvio
Piccolomini, futuro Papa Pio II, in visita alla città, la definiva già nel 1432
…Un porticato lungo mille passi dove si può acquistare ogni merce ...
E’ facile farsi coinvolgere da un senso di spaesamento, quasi di rapimento, nel vedere
in così pochi passi persone e merci, provenienti un po’ da tutto il mondo, che sembrano
qui radunati per comporne un breve riassunto.
Giunti a via al Ponte Reale, fermiamoci un momento per guardarci attorno: sulla
sinistra, poco distanti, possiamo vedere le alte arcate della Loggia dei Mercanti di piazza
Banchi; sulla destra ci ritroviamo nuovamente in Caricamento. Il nome di questa via
deriva da un antico molo oggi scomparso, Molo Reale, che correva parallelo al fianco di
Palazzo San Giorgio, sulla nostra destra, e si prolungava fin dentro il bacino portuale
terminando con un’artistica fontana, attualmente ricollocata in piazza Colombo, presso
via XX Settembre. Il bel palazzo che ora abbiamo proprio di fronte, su cui si trova il
marmo col nome della via, è Palazzo Adorno, di cui possiamo ammirare anche il fronte
verso mare se rientriamo in Piazza Caricamento. Appartenente al Sistema dei Rolli,
nell’Ottocento fu adibito ad hotel, l’ “Hotel de France”, ospitando famosi viaggiatori fra cui
lo scrittore Alexandre Dumas, che così commentava la sua visita alla città nel 1841:
Genova viene, per così dire, incontro al viaggiatore ... Una città che s'è data da sola il
soprannome di "Superba" e che da sei o sette leghe già si scorge all'orizzonte, distesa in
fondo al suo golfo con la noncurante maestà d'una regina ...
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4.3 Da Palazzo San Giorgio al quartiere Millo
Rientriamo in piazza Caricamento, potendo così cogliere alla nostra destra l’ampio
arco descritto dalla palazzata di Sottoripa; se ci volgiamo un attimo indietro da dove
siamo venuti, vedremo un marmo - murato su un pilastro del porticato – riportante il
nome della via che separa Palazzo San Giorgio, qui al nostro fianco, dal porticato stesso,
via Frate Oliverio. Monaco cistercense dell'Abbazia di Sant'Andrea di Sestri Ponente,
Oliverio non era un religioso qualsiasi: suo è il progetto del Molo Vecchio e di questo
imponente edificio, detto in origine Palazzo a mare proprio perché letteralmente
circondato dall’acqua, che come abbiamo già ricordato giungeva nel medioevo a lambire
le fondamenta di Sottoripa.
Mentre passeggiamo per la piazza, osserviamo il palazzo: la parte più antica,
risalente al 1260, è quella sulla sinistra in pietra e mattoni, aperta da eleganti bifore,
trifore e quadrifore (cioè, finestre a 2, 3 e 4 aperture separate da colonnine); l’edificio
venne successivamente ristrutturato, fino a giungere all’ampliamento cinquecentesco
sulla destra, verso mare, intonacato ed impreziosito con affreschi.
Al suo interno, come accadeva spesso nei palazzi comunali dell’epoca, si trovavano
anche solide prigioni, nelle quali fra gli altri venne recluso il famoso esploratore
veneziano Marco Polo, fatto prigioniero dalla Repubblica in occasione della Battaglia di
Curzola del 1298. Marco, durante il periodo di detenzione, escogitò un efficace metodo
per non annoiarsi: dettò al compagno di cella Rustichello da Pisa le sue memorie di
viaggio, poi pubblicate sotto il titolo Il milione, testo che ancor oggi affascina per il gusto
della scoperta e dell’avventura di cui è pervaso. Così Marco inizia il suo racconto:
Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse
generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le
troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d'Erminia, di
Persia e di Tarteria, d'India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro
ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta
in questo libro e egli medesimo le vide…
Raggiungiamo la fine del palazzo lasciandoci alle spalle Sottoripa, potendo osservare,
sulla destra, ancor più ampi scorci della palazzata curvilinea e le montagne retrostanti coi
fortini posti a difesa della linea di crinale; giriamo infine a sinistra per ammirarne la
facciata cinquecentesca verso il mare, interamente affrescata in stile classicheggiante dai
pittori Andrea Semino, Lazzaro Tavarone e Ludovico Pogliaghi. Quest’ultimo in realtà
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intervenne molto più tardi, ad inizio Novecento, per cercare di rimediare ad una
situazione assai compromessa, al punto che le immagini dipinte erano divenute quasi
irriconoscibili. Pertanto, la maggior parte delle figure oggi visibili sono una sua invenzione
originale; la scelta dei personaggi storici da raffigurare sembra fosse stata concordata col
d'Andrade, allora Soprintendente nonché responsabile del restauro architettonico. Gli
ultimi lavori di ricostruzione pittorica risalgono al 1989, compiuti dalla Soprintendenza per
i Beni Ambientali ed Architettonici in vista delle Celebrazioni Colombiane del 1992.
Se volgiamo lo sguardo al di sopra dell’imponente ed elegante portale marmoreo di
accesso, riconosceremo facilmente il San Giorgio che uccide il drago, immagine
ricorrente in tutto il centro storico: il santo nel medioevo era infatti venerato come patrono
e come simbolo stesso della Repubblica.
Il suo combattimento contro il drago divenne in quei secoli l’incarnazione stessa della
lotta del bene contro il male, e per questo il mondo della cavalleria vi vide ben
rappresentati i suoi ideali. I genovesi vi si affezionarono in particolar modo per un
racconto riguardante la battaglia per la presa di Antiochia, durante la Prima Crociata.
Pare che, nell'anno 1098, durante una delle più furiose battaglie, i cavalieri crociati
ormai sfiduciati venissero soccorsi dai genovesi, riuscendo così ad espugnare la città
dopo ben cinque mesi d’assedio. Secondo la leggenda, San Giorgio si sarebbe mostrato
ai combattenti cristiani in una miracolosa apparizione, accompagnato da splendide e
sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere in cui campeggiavano croci rosse in
campo bianco.
Esaminiamo i personaggi ai lati del santo, procedendo da sinistra verso destra:
compongono una sorta di ‘parata di glorie patrie’ le immagini dell’annalista Caffaro,
dell’ammiraglio Andrea Doria, del doge Simone Boccanegra, del condottiero crociato
Guglielmo Embriaco detto ‘Testa di maglio’, del navigatore Cristoforo Colombo (che tiene
nella destra il globo terrestre, meta dei suoi viaggi), e del mercante nonché ammiraglio
Benedetto Zaccaria. Sono tutti inseriti in finte nicchie terminanti in conchiglie, e paiono
guardare verso il mare, alle terre lontane al di là di esso, con atteggiamento nobile ed
intrepido.
Siamo da poco entrati nel sestiere del Molo, a cui giungeremo a fine itinerario; se
diamo le spalle al palazzo e ci voltiamo verso il mare, potremo scorgere una serie di
architetture risalenti alle recenti sistemazioni di tutta questa zona del Porto Antico:
procedendo da destra a sinistra, ecco il lungo edificio dell’Acquario, la Sfera di Renzo
Piano (un ‘pallone’ di acciaio e vetro di 15 metri di diametro, dove sono state collocate le
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felci arboree delle serre comunali), la pista di pattinaggio coperta ed i bracci del Bigo,
particolare ascensore panoramico rotante.
Prima di lasciare Palazzo San Giorgio, dirigiamoci verso il termine della sua facciata
affrescata, dove si trova la stazione della metropolitana: lungo le larghe scalinate di
accesso sono stati lasciati a vista i potenti muri, in grosse pietre squadrate, venuti alla
luce durante i lavori per la sua realizzazione ed appartenenti alle antiche strutture portuali
cinquecentesche. Anche qui è stata impiegata la locale pietra nera di promontorio, che in
realtà tanto nera oggi non ci appare, a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici.
Proseguiamo ora il nostro itinerario e puntiamo decisamente verso il mare; dovremo
passare sotto alla Sopraelevata ed avvicinarci ad un lungo edificio ben identificabile per
le grandi scale antincendio poste al suo inizio, su cui campeggia la scritta ‘Porto Antico’.
Questo palazzo, di origine ottocentesca, dà il proprio nome a tutto il piccolo quartiere che
stiamo per visitare, Quartiere Millo; la via che lo attraversa e che ne costituisce l’asse
principale è via al Porto Antico. Sulla sinistra essa è chiusa da quattro palazzine del
Seicento intitolate a Santa Maria, San Giobatta, San Lorenzo e San Desiderio.
All’inizio di Palazzo Millo è ospitata la ‘Porto Antico Libri’, fornita libreria che serve
questa zona della città; un marmo su di essa ricorda la figura di Giacomo Millo,
‘negoziante integerrimo’ al quale la Camera di Commercio decise di intitolare questo
quartiere nel 1894. Balza subito agli occhi la differenza tra questo roseo caseggiato,
continuo ed uniforme, e le eleganti palazzine alla nostra sinistra, decorate con figure
geometriche imitanti pietre ben squadrate, specchiature e cornici di finestre. In cima ad
ogni ingresso è disegnato il nome della palazzina, inserito in un cosiddetto ‘cartiglio’.
Percorriamo la breve via, che porta ad un’uscita di fronte a noi, oltre la quale ci
troveremo proprio dove promette il suo nome, nel porto antico appunto, ultima parte del
nostro itinerario. Mentre camminiamo, possiamo meglio osservare le architetture e le
decorazioni delle palazzine seicentesche, che oggi ospitano uffici vari; superiamo le
prime due palazzine, di Santa Maria e San Giobatta (notare il nome inserito nel cartiglio),
e, giunti a circa metà percorso, vedremo sulla destra un sottopassaggio che inquadra
l’ascensore panoramico, il Bigo. Progettato anch’esso da Renzo Piano, deve il suo nome
all’antico termine genovese con cui si indicavano le gru per le navi e consente di
ammirare la città ed il suo porto da un’altezza di circa 40 metri.
Verso il termine della via, sempre sulla destra, una scalinata porta al Museo
Nazionale dell’Antartide, dedicato alla memoria del geologo ed ingegnere Felice Ippolito,
che ne fu il primo presidente; di questo museo fanno parte anche altre due istituzioni, con
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sede a Siena e Trieste. Quella genovese illustra il continente antartico – che comprende
le terre più a sud del pianeta - e le attività di ricerca svolte in tali estreme regioni, con
specifica attenzione alla biologia ed all’ecologia; nelle sue sale viene efficacemente
spiegato come l’Antartide sia una zona unica al mondo per lo studio del clima e
dell’evoluzione del nostro pianeta, un vero e proprio laboratorio naturale per lo studio dei
grandi problemi del futuro, riprendendo le parole di Ippolito stesso.
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4.4 Dal Mandraccio ai Magazzini del Cotone
Usciamo dal quartiere Millo attraversando il piccolo Portico delle Murette del Molo: ci
ritroveremo in un ampio slargo, Piazzale Mandraccio, nucleo originario dell’antico porto
genovese, che si estende fino a Porta Siberia ed ai Magazzini del cotone, situati alla
nostra destra. Diamo un’occhiata d’insieme alla piazza mentre ascoltiamo qualche notizia
su questo luogo così importante per la città.
Il termine Mandraccio sembra che derivi da mandria, riferito al gran numero di
imbarcazioni che qui si concentravano fin dai tempi più remoti della storia della città; tutta
la piazza su cui stiamo passeggiando, nel medioevo, era occupata dal mare, salvo una
stretta penisola che si staccava dalla riva, formando un’insenatura protetta a forma di ‘L’ il mandraccio, appunto - su cui si cominciarono a costruire i primi edifici portuali. Subito
oltre la penisola c’era un isolotto, separato da essa mediante uno stretto braccio di mare
– detto goletta – su cui veniva acceso un faro per le segnalazioni, come succedeva
dall’altra parte del porto con la Lanterna.
Dal 1173 il sestiere del Molo poté contare anche su una chiesa, quella di San Marco,
di cui possiamo vedere sporgere il campanile di fronte a noi, un poco sulla destra.
Avviamoci verso di essa costeggiando sulla sinistra un lungo edificio color rosa scuro,
Palazzina Mandraccio, fino a raggiungerne il cancello d’ingresso, presso il quale faremo
una breve sosta. La chiesa, edificata sui primi prolungamenti artificiali del Molo, è ora
completamente sulla terraferma, ma nel medioevo non era così: circondata su tre lati dal
mare, rappresentava una sorta di protezione spirituale per i naviganti, le loro
imbarcazioni e per tutto il quartiere.
Nel 1247 frate Oliverio, l’architetto di Palazzo San Giorgio, aumentò lo spazio a
disposizione con grossi macigni tolti alla località detta la Cava; verso la fine del secolo
questa stretta lingua di terra verrà ulteriormente allargata mediante altri interramenti, poi
continuati nei secoli successivi, fino a definire il quartiere così come lo possiamo vedere
oggi. Esso era alla base della grande efficienza mercantile e navale della Repubblica,
ricordata da un viaggiatore del primo Cinquecento, Jean D’Auton:
…Dal molo e dal porto di questa città di Genova possono uscire insieme in mare
ottanta o cento navi, con dieci o dodici carrache, per andare a mercanteggiare o a
conquistare terre fino in Grecia, in Turchia, in Terrasanta ed ovunque per il mondo.
Ci troviamo ora presso il fianco destro della chiesa, da cui ci separa il muro in pietra
resto delle imponenti Mura a Mare cinquecentesche, qui chiamate Muro del Baluardo.
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Durante gli orari di apertura, si può entrare in chiesa attraverso questo ingresso
laterale o per quello principale che si trova nella retrostante via del Molo, asse principale
di tutto il quartiere, a cui si può giungere sia da sinistra che da destra, al termine del muro
del Baluardo. L’ingresso laterale qui di fronte, pur realizzato di recente, ha recuperato un
antico accesso medievale al santuario, testimoniato dalle mappe di una precedente porta
venute alla luce durante i lavori. L’attuale chiesa è orientata in senso opposto rispetto alla
costruzione romanica del 1173, con un capovolgimento abbastanza comune nel centro
storico genovese.
Percorriamo verso mare la via alla Calata Marinetta, che costeggia il muro del
Baluardo; sulla nostra destra sono visibili i resti degli antichi moli, attualmente riutilizzati
per il gioco delle bocce, che ci fanno meglio capire qual’era il limite cinquecentesco del
mare. Il quartiere del Molo si sviluppa tutto sulla nostra sinistra, delimitato dalla parte
opposta dalle mura cinquecentesche progettate dall’ingegnere milanese Giovanni Maria
Olgiati; esse giunsero a proteggere, recingendola completamente, tutta la città anche sul
lato a mare, passando per l’Arsenale, la Ripa e contornando ovviamente questa parte
importantissima del porto. Il nome delle vie interne evoca le indispensabili attività
artigianali legate alla marineria: vico Bottai, vico delle Vele, vico Ferrai…
Una lapide al termine del muro ricorda la presenza in tal luogo di una storica porta
d’accesso, quella della Marinetta. A destra la vista spazia su vedute sempre più ampie,
con in primo piano i bracci del Bigo, le strutture della pista di pattinaggio e dell’Acquario;
poco sopra di esse si stende la città, con le sue espansioni otto-novecentesche, ed
ancora più in alto, sulla linea di crinale, alcune fortificazioni facenti parte delle mura più
esterne, le Mura Nuove del Seicento. Voltiamoci un momento per osservare, alle nostre
spalle, il sestiere di Castello, dove circa seicento anni prima di Cristo è nata Genova
dall’incontro di genti liguri, etrusche e greche; svetta fra i fitti palazzi la merlata Torre
degli Embriaci - una delle poche torri superstiti fra le molte esistenti nel medioevo appartenente alla nobile famiglia di Guglielmo detto ‘Testa di Maglio’, che abbiamo già
trovato ritratto sulla facciata di Palazzo San Giorgio.
Prima di giungere in fondo alla Calata Marinetta oltrepassiamo sulla destra i resti degli
antichi moli ed entriamo nella Calata Mandraccio, dove fa bella mostra di sé un’antica gru
portuale, reperto di archeologia industriale più unico che raro, tanto da divenire oggetto di
una recente tesi di laurea. Si tratta infatti dell’unica gru idraulica sopravvissuta al degrado
in cui – assieme ad altre – era stata abbandonata da tempo. Costruita nel 1888 e
restaurata nel 1992, come ricorda la targa alla sua base, è un esemplare chiamato
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‘mancinone’, di dieci tonnellate di portata, che proprio in questo luogo fu utilizzato per le
varie operazioni di carico e scarico, fino al suo definitivo ‘pensionamento’. La cabina di
pilotaggio è in legno ed il meccanismo di sollevamento è a catena, tutti particolari assai
originali; i lavori di ripristino si sono però limitati al solo aspetto estetico, trascurando ogni
elemento funzionale. Incontreremo altre gru di maggiori dimensioni al termine della
nostra visita, a sinistra presso i Magazzini del Cotone, in direzione dei quali già se ne
vedono sporgere gli alti bracci.
Avvicinandoci all’acqua, possiamo renderci conto di come questo sia un punto
panoramico unico quanto la gru: la vista può infatti spaziare a 360 gradi, dalle alture
dietro la città alla vicina Porta Siberia, da Piazza Caricamento alla collina di Castello.
In direzione dell’Acquario è ben visibile la Sfera di Renzo Piano, quasi simile ad un’
“astronave spaziale” qui ammarata per portare il suo carico di piante a destinazione.
Poco più a destra, i bianchi bracci del Bigo fanno da fondale moderno al ‘mancinone’,
loro antico progenitore. Se ci giriamo in direzione opposta, potremo vedere un’insolita
scultura bianca che segnala la presenza del Museo Luzzati, inserito all’interno della Porta
del Molo in occasione dei restauri del 2001. Avviciniamoci alla scultura ed alla porta,
detta anche ‘Siberia’ pur non avendo nulla a che fare con tale lontana regione: il suo vero
nome era infatti Cibaria, in quanto contenente scorte di cibo, divenuto poi Siberia per un
errore di pronuncia mantenutosi nel tempo. Essa si trova immediatamente alle spalle di
questa strana opera, realizzata in poliuretano, che faceva parte della coreografia de Gli
uccelli di Aristofane e che è divenuta l’emblema, il simbolo stesso del museo, il cui
ingresso è sul lato ancora nascosto alla nostra vista. Parti del corpo maschile e femminile
sono accostate in maniera fantasiosa ed evocativa; una delle gigantesche mani
sorregge una testa a forma di sfera, l’altra punta l’indice proprio verso il museo, come a
volerlo ben segnalare ai passanti.
Dopo aver osservato l’opera, raggiungiamo sulla destra il lato principale della porta, al
cui interno sono state collocate alcune delle principali opere di Luzzati e sono stati
realizzati diversi laboratori didattici, sale per animazioni e proiezioni di cartoni animati,
particolarmente pensati per bambini e ragazzi, ma non solo.
Siamo giunti nel piazzale Porta del Molo, occupato in buona parte da un parcheggio a
pagamento e dominato sulla sinistra dal fronte principale della monumentale opera di
fortificazione, unico esemplare perfettamente conservato in posizione originale tra le
porte costruite nel XVI e XVII secolo. Vale la pena di fare anche qui una breve sosta: la
porta, progettata dall’architetto Galeazzo Alessi, è in pietra del Finale, che col suo colore
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chiaro ben si distingue dalla pietra locale di promontorio, assai più scura, tendente al
nero; di dimensioni ragguardevoli, poteva ospitare al suo interno un’intera guarnigione.
L’ingresso è posto nel mezzo di una parete lievemente curva, detta ad esedra; sui suoi
lati due potenti bastioni sporgenti ne assicuravano la difesa, dando all’insieme la forma di
una tenaglia aperta, pronta a richiudersi sul nemico che avesse osato provare a
minacciarla. L’iscrizione in latino sopra di essa ricorda la data di costruzione, il 1553, e la
completa recinzione della città verso il mare.
In questo luogo nel medioevo si concludeva una macabra processione, rimasta in uso
fino al 1852: quella dei condannati a morte. Gli sventurati, dalle prigioni di Palazzo
Ducale ove era ubicato il tribunale, venivano condotti attraverso via Canneto il Lungo
sino alla Ripa e passavano dalla cosiddetta ‘casa del boia’, posta all’inizio della penisola
del Molo. Il carnefice li prendeva quindi in consegna e li conduceva al patibolo, passando
presso la retrostante chiesa di San Marco, dove veniva effettuata una breve sosta per il
rituale pentimento. L’esecuzione - inizialmente per decapitazione, poi per impiccagione avveniva proprio qui dove ci troviamo, davanti alla porta ed al mare, entrambi muti
testimoni di tali tragici eventi.
Un’altra processione, di carattere completamente differente, giungeva ogni 24 giugno
dalla cattedrale di San Lorenzo, recante la cassa con le presunte ceneri di San Giovanni
Battista: è la ‘Benedizione delle acque’, rito incominciato a fine Cinquecento dopo una
delle frequenti libecciate che periodicamente sconvolgevano il porto di Genova. La
processione, assai sentita in città, si svolge tuttora, fermandosi davanti a Palazzo San
Giorgio e unendo così idealmente i tre principali santi patroni locali, San Lorenzo, San
Giovanni e San Giorgio.
Prima di lasciare il piazzale, volgiamo lo sguardo verso la grande gru che si vede
sporgere sulla destra della Porta, al di sopra di alcuni edifici: è il Langher Heinrich,
Grande Enrico, gru galleggiante costruita nel 1915 in Germania, presso i cantieri navali
Weser di Bremerhaven. Essa costituisce l’esemplare più antico del suo genere ancora in
funzione, grazie ai lavori di restauro - durati ben 3 anni con la diretta partecipazione dei
cantieri Gino Gardella - alla fine dei quali la Gru è ritornata allo splendore originario. Alta
84 metri, è in grado di sollevare 250 tonnellate e di ruotare su se stessa di 360°;
straordinario esempio di archeologia industriale, è stata vincolata nel 2002 dal Ministero
per i Beni e le Attività Culturali per il suo eccezionale valore storico e documentario.
Il Langer Heinrich è dotato anche di propulsione propria e può uscire in mare aperto per
effettuare particolari lavori; al suo interno possono trovare posto ben ventuno uomini di
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equipaggio, che hanno a disposizione cabine, servizi igienici, lavanderia, cucina, sala
pranzo, ufficio, cambusa e depositi vari. E’ aperto al pubblico, previa prenotazione.
Di fronte a Porta Siberia un moderno edificio ospita la Guardia Costiera; lungo la
rampa di accesso, lievemente in salita, è stato realizzato un grande mosaico illustrante
navigatori ed imbarcazioni del passato.
Attraversiamo il piazzale Porta del Molo giungendo infine ai Magazzini del Cotone,
enormi edifici che ricoprono una superficie di oltre trentunomila metri quadrati; costruiti a
fine Ottocento sull’estremità della penisola del Molo, devono il nome alla funzione che
ebbero nel secondo dopoguerra, quando vennero destinati a deposito delle partite di
cotone scaricate dalle navi in transito. Ristrutturati nel 1992 per le Celebrazioni
Colombiane, sono diventati un grande contenitore culturale e ricreativo; al loro interno
trovano infatti posto, oltre a vari negozi, la Biblioteca Civica per ragazzi De Amicis, la
Città dei Bambini, la multisala Cineplex ed il Centro Congressi, forte di ben 18 sale
chiamate coi nomi della rosa dei venti: Scirocco, Libeccio, Levante, Ponente,
Tramontana…
Avviamoci verso il lato minore dell’edificio che fronteggia la città, alla nostra destra,
giungendo in breve nel piazzale Durand de la Penne, attrezzato con comode panchine
per la sosta: da qui si può godere di nuovi punti di vista sul porto, animato da grandi navi
da crociera, piccoli motoscafi, lussuosi yacht, spesso attraccati alla Calata Molo Vecchio,
sul lato verso il mare.
Su questa calata incombono, quasi minacciose, una serie di cinque alte gru portuali
allineate alla Lanterna, che si intravede sullo sfondo e pare attrarre tutto il complesso,
orientato esattamente nella sua direzione quasi a voler rendere omaggio al monumento
simbolo della città. Qui termina il nostro itinerario, lasciando al visitatore curioso
l’imbarazzo della scelta tra le molte attrattive a portata di mano, tutte ugualmente
interessanti: passeggiare lungo queste calate scrutando il bacino portuale, visitare il
Museo Luzzati, quello dell’Antartide, percorrere le antiche vie del quartiere del Molo,
entrare nei Magazzini del Cotone…o semplicemente - nelle giornate di sole - sedersi su
una panchina a godersi il panorama.
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