Brevi note critiche allo schema di decreto legislativo relativo al
by user
Comments
Transcript
Brevi note critiche allo schema di decreto legislativo relativo al
Brevi note critiche allo schema di decr eto legisl ativo relativ o al secondo ciclo del s iste ma educativo di istruzione e for mazione Lo sfondo culturale e pedagogico alla base del decreto legislativo definisce il paradigma teorico e concettuale da cui derivano i principi attraverso i quali costruire coerentemente le indicazioni operative della c.d. riforma Moratti, nella prospettiva della valorizzazione di un doppio canale di pari dignità. Lo schema di decreto approvato lo scorso venerdì dal Consiglio dei Ministri evidenzia tuttavia un profondo scollamento tra le dichiarazioni di principio e le singole disposizioni operative. L’articolo 1 dichiara che il secondo ciclo, definito come il secondo grado in cui si realizza in modo “unitario” il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione (d.lgs. n. 76/2005), è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell’istruzione e formazione professionale. Tali percorsi formativi sono “di pari dignità” e si propongono il fine comune di promuovere la crescita globale dei giovani attraverso “il sapere, il saper essere, il sapere fare e l’agire, e la riflessione critica su di essi”, fornendo anche “gli strumenti indispensabili per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita”. Tale crescita, unitamente al raccordo con il mercato del lavoro, è assicurata da percorsi formativi in alternanza scuola-lavoro (d.lgs. n. 77/2005) validi sia per il sistema dei licei sia per l’istruzione/formazione professionale, da stage in Italia e all’estero e, infine, dall’apprendistato (d.lgs. n. 276/2003). In virtù della reciproca “permeabilità” tra i due sistemi, è possibile passare dall’uno all’altro, adottando adeguate iniziative didattiche e utilizzando crediti “formativi” - certificati e certificabili dalle istituzioni educative - che si possono ottenere nel percorso di studio o all’interno dell’ambiente di lavoro nell’ambito del contratto di apprendistato (art.1). La necessità di un forte raccordo tra sistemi formativi e tra educazione e mercato del lavoro è infine ribadito alla fine dell’articolo 1, quando si prospetta la realizzazione di un “Campus” come “centro polivalente” che ospiterà i licei di indirizzo e le scuole di formazione professionale, offrendo diverse opportunità di istruzione e formazione. L’articolo 1 indica quindi le caratteristiche fondamentali del secondo ciclo, quali l’unitarietà delle finalità formative e la “pari dignità” dei due percorsi formativi. Tale dichiarazione di intenti dovrebbe coerentemente essere collegata con gli altri articoli che declinano operativamente i principi dichiarati. L’articolo 2 stabilisce la durata quinquennale dei licei e ne chiarisce le finalità - “i percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita ed elevata dei temi legati alla persona ed alla società nella realtà contemporanea, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai suoi fenomeni ed ai problemi che la investono, ed acquisisca la padronanza di conoscenze, capacità e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, e le competenze adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”definendoli come propedeutici ai corsi di studio universitari e dell’alta formazione. Un primo scollamento tra principi dichiarati (“pari dignità” e unica finalità educativa) e indicazioni relative alla reale strutturazione dei due sistemi, licei e formazione professionale, è già evidente nelle modalità di descrizione dei due percorsi. Il sistema dei licei è definito in modo chiaro e dettagliato (art. 4, art. 5, art. 6, art.7, art. 8, art. 9, art. 10, art. 11), mentre l’istruzione e la formazione professionale non sono considerate con altrettanta attenzione; il documento, infatti, delinea i livelli e le caratteristiche essenziali dell’ambito professionale (art. 15, art. 16, art. 17, art. 18), senza evidenziarne le finalità formative. Il motivo potrebbe risiedere nella divisione di competenze tra Stato e Regioni. Infatti, in base alla “leale collaborazione tra istituzioni”, lo Stato “garantisce i livelli essenziali delle prestazioni del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione” (art. 1) e fornisce “indicazioni nazionali” relative al “profilo educativo, culturale e professionale” per il sistema dei licei (art. 2), mentre le Regioni “nell’esercizio delle loro competenze legislative esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e nella organizzazione del relativo servizio, […] assicurano i livelli essenziali delle prestazioni […]”nell’ambito della formazione professionale, rispettando gli standard nazionali (art.15). Di conseguenza le Regioni, con competenza esclusiva nell’ambito della formazione professionale, possono esprimere solo un parere sul sistema dei licei che è materia dello Stato. Tale divisione di ruoli, come noto, non è tuttavia frutto di un accordo tra Stato e Regioni. Piuttosto, essa rispecchia una significativa separazione tra sistema dei licei e quello della formazione professionale che rischia in questo modo di assumere un ruolo secondario e ancillare in contraddizione con il principio di pari dignità. In effetti, sembra che il sistema dei licei continui ad insistere su una preparazione teorica (theoria) trascurando il collegamento con il mondo del lavoro mentre il sistema dell’istruzione e della formazione professionale sembra che si focalizzi esclusivamente sull’acquisizione di qualifiche spendibili immediatamente nel mercato del lavoro. Rimane quindi una divisione netta tra i due percorsi che rafforza lo stereotipo che considera l’istruzione professionale come la seconda scelta, rispetto al percorso accademico, riservata soprattutto a chi non ha possibilità economiche per scegliere la via della cultura tradizionalmente riconosciuta come tale (liceo e Università) o non ha un supporto psicologico/informativo adeguato per scegliere il modo oculato rispetto al proprio futuro. Il rischio è di tornare alla vecchia scissione tra scuola e avviamento alle professioni, realizzando un doppio canale a base sociale che in quanto tale non contribuirà a superare le differenze sociali e culturali degli studenti. Se le due vie sono ancora così distanti, come garantire un passaggio da una all’altra, rispettando il criterio di permeabilità reciproca (art. 1)? Le “apposite iniziative didattiche” (art. 1) per facilitare il passaggio da un sistema all’altro, oltre al fatto che non sono state definite, come potranno preparare gli studenti ad intraprendere, eventualmente, un nuovo percorso di studio? Per quale ragione un giovane, magari con problemi economici, che ha scelto la formazione professionale per un serie di motivi, tra cui la brevità del percorso e un accesso più veloce e diretto al mondo del lavoro, dovrebbe decidere di passare al sistema dei licei? È fattibile permettere a chi ottiene qualifiche o titoli almeno quadriennali, al termine di percorsi di formazione professionale, di sostenere l’Esame di Stato, come previsto per i licei, ed eventualmente di accedere all’Università (art. 15)? Come attivare realmente l’integrazione, all’interno di ciascun percorso, tra teoria e pratica? Un secondo scollamento tra principi (sviluppo di competenze spendibili nel mercato del lavoro) e realtà fattuale è evidente nell’eccessiva lontananza tra percorso liceale e mondo del lavoro. La base culturale è molto importante, permette di creare “menti flessibili”, ma non può essere fine a se stessa, dal momento che i giovani devono anche entrare nel mondo del lavoro, dimostrando di avere specifiche competenze tecniche. Forse solo la definizione del liceo tecnologico può fare intravedere qualche possibilità di declinazione pratica delle conoscenze acquisite, quando si fa riferimento ad “esercitazioni pratiche svolte in sedi dotate di apposite attrezzature”(art. 10), anche se non si nomina mai l’ambiente di lavoro come possibile laboratorio “formativo” in stretta connessione con la scuola. Sembra poi che il liceo tecnologico e quello economico sostituiscano la tradizionale l’istruzione tecnica ma il decreto non fornisce chiaramente dettagli riferiti al profilo formativo a cui si tende. Il rischio è di fornire una formazione troppo teorica, come è previsto per i licei tradizionali, che non ha nessuna applicazione immediata nell’ambito lavorativo. Teoria e pratica, scuola e lavoro, sono ancora mondi separati, nonostante le dichiarazioni di intenti che a livello sia nazionale sia internazionale sottolineano l’importanza della loro relazione continua? Se non c’è un effettivo raccordo tra formazione e lavoro, come realizzare “la riflessione sull’operare responsabile e produttivo” (art. 18)? In questo panorama, che significato ha il concetto di “successo formativo”? Accanto agli scollamenti, sono evidenti delle carenze. A livello programmatico si continua a rimarcare l’importanza dell’intreccio e dell’integrazione tra sistemi formativi e tra scuola e lavoro per costruire un bagaglio culturale necessario sia per vivere sia per lavorare all’interno di un contesto globale: in realtà non si approfondisce il raccordo con il mercato del lavoro, nemmeno, come sarebbe scontato fare, per l’istruzione professionale. Velocemente sono citati l’alternanza formativa e l’apprendistato (art. 1, art. 16), ma il tema è trascurato, come se il nuovo apprendistato di cui alla riforma Biagi non avesse un valore formativo da considerare all’interno di un processo di modernizzazione del sistema educativo. É possibile raccordare questo schema di decreto con il decreto attuativo dell’alternanza formativa, se qui il concetto di alternanza non è sviluppato? Inoltre, i percorsi di orientamento, fondamentali per aiutare i giovani a scegliere in modo consapevole rispetto al proprio futuro, sono solo accennati, e si fa un riferimento specifico all’orientamento, affidato ad un docente “con specifica formazione” (quale?) solo per quanto riguarda la scelta delle attività didattiche ed educative all’interno del sistema dei licei (art. 12). Per quanto concerne la formazione professionale si prevedono interventi di orientamento e tutorato per favorire la continuità del processo di apprendimento tra secondo ciclo e istruzione superiore o per supportare studenti in difficoltà (art. 16). E l’orientamento al lavoro? E’ sufficiente l’esperienza in ambito lavorativo, attraverso l’alternanza scuola-lavoro, per fare in modo che i giovani abbiano le idee chiare rispetto alla propria carriera, scolastica o lavorativa? Se si sceglie l’alternanza, quanto tempo spenderanno i giovani in aula e quanto in azienda? Anche la formazione per tutto l’arco della vita è estremamente importante, soprattutto per qualificare e riqualificare la forza lavoro, ma nel decreto viene solo accennata nell’articolo 1 e non viene sviluppata. La riforma, infine, investe anche la valutazione che deve essere periodica ed annuale. Se quella periodica alla fine del biennio è negativa lo studente non viene ammesso alla classe successiva, ma la mancata ammissione al secondo anno dei due bienni può essere disposta solo “per gravi lacune, formative o comportamentali” (art. 13). Non esiste più la selezione? Si deve abbassare il livello qualitativo della scuola per evitare gli abbandoni scolastici? A livello europeo la tendenza è di senso opposto: i Paesi Membri dell’Unione Europea stanno cercando di aumentare gli standard qualitativi dei sistemi di istruzione e formazione. Giusi Tiraboschi Esperta in processi formativi - Ricercatrice ADAPT