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scheda vol NOCI Biblioteca
12 Collana di studi locali curata dalla Biblioteca comunale “Mons. A. Amatulli” - Noci (Ba) Giulio Esposito NOCI un Comune del Mezzogiorno nella Grande Guerra Edizioni dal Sud Comune di Noci (Bari) 2015 Biblioteca Comunale “Mons. A. Amatulli” Comune di Noci Comitato per il Centenario della Prima Guerra Mondiale ISBN 978-88-7553-202-4 © 2015 Edizioni dal Sud Via Dante Alighieri, 214 - cell. 3495371495 - 70121 BARI www.dalsud.it - e-mail: [email protected] n. 350 pagine - illustrato - euro 20,00 Indice 9 Prefazione 11 Introduzione 17 Capitolo I Economia e lotte sociali a Noci (1900-1914) 51 Capitolo II Dall’amministrazione dei notabili alla giunta socialista 105 Capitolo III Noci tra venti di guerra e pacifismo 157 Capitolo IV L’Amministrazione di fronte ai provvedimenti annonari 209 Capitolo V La scuola in guerra 243 Capitolo VI I nocesi al fronte 285 Capitolo VII Il biennio rosso 339 Immagini Prefazione Vogliamo ricordare, presentando questo volume, il tenace impegno di ricerca di Giulio Esposito che ha coordinato in questi ultimi anni tutto il programma di indagine dell’Ipsaic sulla ricorrenza del centenario della Grande Guerra, nell’ambito delle iniziative promosse dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia. Egli è scomparso troppo precocemente per veder realizzato compiutamente il suo piano di lavoro che includeva diversi settori d’indagine della storia politico-sociale e culturale della Puglia del Novecento. Vogliamo ricordare il rigore scientifico e la passione civile che lo hanno sostenuto sino all’ultimo. Egli ha fatto di tutto per lasciare a Noci, città che lo aveva ben accolto, e all’Istituto di Istruzione secondaria superiore “Leonardo da Vinci”, dove aveva prestato la sua opera, un segno tangibile di una complessa indagine storiografica che lo ha visto impegnato per molto tempo in istituti di ricerca, biblioteche ed archivi pugliesi e nazionali, mettendo in luce le sue straordinarie energie intellettuali ed umane. In questa direzione Giulio, che ha avuto il merito di guardare in avanti con una incrollabile fiducia nella battaglia delle idee, ci consegna importanti risultati di studi ed una eredità di valori morali e civili che è nostro compito non disperdere. Vito Antonio Leuzzi Direttore dell’IPSAIC Domenico Nisi Sindaco di Noci 5 Introduzione Esiste un àmbito della Grande Guerra ancor oggi molto poco indagato dalla storiografia: quello della vita amministrativa e civile a livello locale. Se, infatti, enorme è la mole delle pubblicazioni relative alle ricostruzioni delle vicende belliche, come pure ai retroscena politici di Governo in quella temperie storica, assai poca attenzione si è riservata a quanto accadeva nei paesi e nelle città in quegli anni. Quasi che la storia tra il 1915 e il 1918 fosse solo Storia militare e politica, quasi che nella vita civile tutto fosse, per così dire, sospeso e posto tra parentesi. Ciò è dipeso non solo dall’idea che al fronte come nei palazzi della politica (specie estera) si giocava la partita più importante, ma anche dallo scarso rilievo che potevano avere momenti di vita popolare che si inquadravano in contesti di lungo periodo, dove, se apparivano novità clamorose, queste erano poi viste in funzione degli eventi bellici, come, ad esempio, le proteste proletarie che precedettero la crisi di Caporetto. Questa constatazione si amplifica se si sposta l’attenzione sui piccoli centri del Mezzogiorno, che – sempre secondo una visione superficiale – appare ab immemoris tagliato fuori dalla grande Storia, tutta concentrata su molteplici fronti terrestri e marittimi o tutt’al più sulle grandi metropoli. Eppure, l’attenzione agli anni della Grande Guerra è determinante per chi voglia comprendere i successivi sviluppi del dopoguerra nella vita civile, politica e amministrativa locale di piccoli e grandi centri del Nord come del Sud. È vero, infatti, che l’esperienza bellica ha rappresentato una cesura nella storia d’Italia, ma è altrettanto vero che le dimensioni di questa cesura son diverse a seconda dei contesti e delle categorie sociali che coinvolgono e comunque meritano una narrazione. Si pensi, ad esempio, ad un dato banale come il cambiamento, in quegli anni, del paesaggio umano: per la prima volta le nostre città appaiono abitate prevalentemente da donne, vecchi e bambini, mentre 6 la popolazione maschile abile, un tempo dedita a mille mestieri, è al fronte. Le piazze dei nostri paesi, luoghi importanti della socializzazione, sembrano dominate dall’assenza dei giovani e dal timore che a guerra finita non tutti possano far ritorno. Si pensi, ancora, al mutamento dei ruoli specie nelle donne delle classi popolari costrette a farsi carico dell’economia famigliare con mille attività ed alle prese con il problema tormentoso delle ristrettezze alimentari non certamente risolto con le politiche emergenziali del tempo. A questo proposito non possono essere passate sotto silenzio le scelte annonarie (razionamenti, contingentamenti, requisizioni) imposte nel periodo bellico. Grazie agli effetti di queste si diffonde la convinzione della possibilità concreta di una gestione “politica” dell’economia, non più asservita alle “pure” leggi del mercato, capace di ridurre i problemi, endemici, della fame e le storture del libero mercato: accaparramenti, rialzi dei prezzi ingiustificati, speculazioni commerciali ecc. Per la prima volta nella storia d’Italia lo Stato, intervenendo non solo nei consumi, ma anche nella produzione, nel trasporto e nel commercio di beni di prima necessità, dà vita ad una “economia morale” di guerra che accentua gli aspetti egualitaristici (si pensi al tesseramento), stabilendo con il calmiere perfino il “prezzo giusto” delle derrate. Concluso il conflitto cessa questo speciale regime volto per lo più a mantenere, con la propaganda patriottica e con la promessa della terra ai contadini, l’ordine pubblico in un Paese percorso, sin dalla sua formazione, da profonde fratture “di classe” e dall’instabilità sociale e minacciato dalle rivolte. Rimane, però, ferma la convinzione che nello “stato di eccezione”, dovuto alle contingenze belliche, l’economia di mercato ha mancato il suo compito. Nello stato di guerra, infatti, lo Stato – innervato dalla logica militare – ha comunque manifestato un’organizzazione “razionale”, rispetto allo scopo, capace di far fronte ai bisogni più impellenti. Successivamente questa convinzione non solo rientra nel patrimonio “mitico” delle forze organizzate del movimento socialista e comunista (nel frattempo è esplosa la rivoluzione bolscevica), ma soprattutto si deposita quasi inavvertitamente in strati sociali piccolo-borghesi, largamente attirati dalle sirene del fascismo e trova largo seguito, specie durante la crisi degli anni ’30, l’idea che il Regime debba intervenire nell’economia per offrire risposte alla crisi immediata, e a scelte strategiche di lungo termine in ordine alla modernizzazione del Paese. 7 Si registra quindi un paradosso storico-ideologico, frutto di un “limite nella comunicazione” post bellica del partito socialista. È vero, infatti, che durante la guerra l’attività politica del partito subisce una certa paralisi, costretta nello slogan Né aderire né sabotare, slogan volto a congelare le due principali tendenze del socialismo italiano, ossia quella internazionalista e quella patriottica; ma è altrettanto vero che proclami altisonanti contro la guerra e dichiarazioni nobilissime di pacifismo, con lo svolgersi delle vicende e particolarmente con l’entrata in guerra dell’Italia appaiono, di fatto, sempre più prive di prospettiva. «Quando la guerra è dichiarata non v’è che da rassegnarsi e combattere» ha scritto con la consueta lucidità Francesco Saverio Nitti. La partecipazione “indiretta” al conflitto di molti socialisti dopo la dichiarazione di guerra, non solo a titolo personale, ma soprattutto come amministratori di molti comuni (Milano e Bologna sono i più noti), desta l’ammirazione perfino degli avversari politici. Questo “patriottismo” senza retorica e senza eroismo appare encomiabile specie nell’ambito assistenziale e dell’approvvigionamento per chi è rimasto a casa non certo per scelta. Il soccorso ai civili rappresenta non tanto una conversione ai temi interventistici da parte di queste amministrazioni, quanto un atteggiamento di responsabilità verso quel popolo che dopo una lotta durissima è riuscito, come a Noci nell’estate del 1914, a scrollarsi da un secolare malgoverno municipale. La prospettiva di rimanere alla finestra del “non aderire e non sabotare” o, peggio, quella di esporsi ai rigori dei decreti Sacchi, non è certo nelle aspettative dei nostri amministratori comunali ed emerge forse meglio sul piano periferico e “microfisico”, dove alle polemiche ideologiche si preferisce, senza strepito, operare con i fatti. Alla tenuta del fronte interno le amministrazioni socialiste hanno quindi dato un contributo importante e non solo quando, dopo la crisi di Caporetto, molti esponenti del socialismo italiano (Rigola, Turati, Treves), per uscire dall’angolo buio ove erano relegati si schierararono a difesa dei “sacri confini della patria”. Nel dopoguerra è avvenuta una sorta di falsificazione storica in cui socialisti e loro avversari hanno dato da credere che il socialismo italiano fosse sinonimo di antipatriottismo se non di “tradimento” dimenticando che, se il Psi a capo di molte amministrazioni municipali non avesse avuto un atteggiamento “risponsabile” nel servire i bisogni dei ceti più 8 deboli, certamente il fronte interno avrebbe ceduto con conseguenze colossali. In altri termini, quanto in alcuni casi il socialismo italiano rifiuta di ammettere sul piano ideale e politico lo concede poi surrettiziamente sul piano amministrativo. L’azione svolta dall’amministrazione socialista nocese in questo arco di tempo è stata per molti aspetti emblematica. Considerando che quella generazione si è trovata di fronte a sfide inedite si può senz’altro concludere che è stata all’altezza della situazione. La ricerca, inoltre, tenta di ricostruire un arco storico che dagli inizi del XX secolo, concentrandosi soprattutto negli anni 1914-18, si estende fino alle elezioni amministrative del 1920. Tale scelta euristica legata, per così dire, al “lungo periodo” non solo è motivata dalla necessità di ripercorre con attenzione i “precedenti”, cioè vicende che si sviluppano proprio nella fase della “conquista” socialista del 1914 (ad esempio il tema delle cosiddette “usurpazioni demaniali”), ma anche dalla presa d’atto che nello stesso tempo è vero che le scelte amministrative e politiche avvenute durante la guerra si protraggono sul piano economico e sociale almeno fino al 1920. Quando nel novembre del 1920 le elezioni amministrative (comunali e mandamentali) confermano al Municipio e ottengono alla Provincia una vittoria dei socialisti ciò non è solo un indizio che il nostro contesto partecipa a un trend nazionale, ma è una prova che il partito ha saputo a Noci farsi maggiormente interprete delle aspettative dell’opinione pubblica e soprattutto ha dimostrato, proprio negli anni della Grande Guerra, di aver fatto seguire alle parole le realizzazioni. La nostra ricostruzione ha, però, rivolto meno attenzione storiografica, ma altrettale, se non più minuziosa, attenzione archivistica ai combattenti, ai giovani, partiti nelle zone di guerra con la pubblicazione di un elenco, pressoché definitivo, dei caduti e decorati della Grande Guerra. Si è trattato di un lavoro “certosino” effettuato anni or sono dal direttore emerito della biblioteca comunale di Noci, “Mons. A. Amatulli”, Vito Liuzzi e dall’attuale direttore Giuseppe Basile, che hanno avuto la cortesia di passarmi il file inedito, inserito nel capitolo VI. Quanto alle fonti d’archivio, che hanno sempre supportato il testo, va precisato che specie per gli anni 1915-18 il loro reperimento è stato particolarmente difficoltoso. Presso l’Archivio di Stato del nostro capoluogo, nel fondo Prefettura di Bari, manca tutto il materiale relativo 9 a quegli anni. La ragione è che in gran parte sembra sia stato conservato al Museo storico barese, appena costituitosi dopo la Grande Guerra, e che purtroppo durante gli anni difficili dell’occupazione Alleata sia andato distrutto. Anche nell’ambito del carteggio conservato nel locale archivio comunale i buchi sono vistosi. Una parte dei documenti potrebbe essere stata “trattenuta”, secondo un’usanza deprecabile, dagli amministratori dell’epoca o da quelli successivi, un’altra parte destinata alla Croce rossa dopo uno scarto opinabile. Con ogni probabilità non sono mancati anche occultamenti “dolosi” perpetrati in lontane stagioni politiche per diverse motivazioni: nascondere pagine ritenute “indecorose” per gli amministratori (esempio varie reprimende della Prefettura) o per la cittadinanza (elenchi di renitenti e disertori) o ancora occultare, durante il fascismo, i meriti dei socialisti, per screditarli ulteriormente. Dopo i disastri del secondo conflitto mondiale, inoltre, in un clima poco sensibile ad esaltare l’epopea della Grande Guerra, non ci si è cimentati nella raccolta delle “storie di vita”. Così oggi una generazione, ormai estinta, vive solo nella memoria di chi ha ascoltato e ancora ricorda i racconti di guerra, ovvero nei brandelli documentari che si sono reperiti e ricostruiti con fatica. Che questo lavoro abbia comunque messo in salvo una parte di questa storia è motivo di nostra intima soddisfazione ed atto d’amore, mi sia consentito, verso Noci. * * * Questo lavoro, nei contenuti e nell’organizzazione testuale era stato pressoché ultimato nel 2008. Circostanze non sempre felici mi hanno, però, obbligato a procrastinarne la pubblicazione fino ad oggi. Desidero perciò esprimere la mia gratitudine verso i tanti amici che con l’incoraggiamento intellettuale e il sostegno morale mi hanno, direi, spinto a concludere e a mettere a disposizione di tutti quanto ho scritto in questo irripetibile centenario. Non posso, infine, dimenticare quanto ha fatto per me e per i miei cari il dr. Marc Gander (FMH) di Losanna, senza il quale nulla poteva essere portato a compimento. Bari, gennaio 2015 Giulio Esposito 10