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“Se tu conoscessi il dono di Dio”
Diocesi di Treviso Anno pastorale 2013-2014 “Se tu conoscessi il dono di Dio” Riscoprire il nostro battesimo Sussidio per la formazione degli adulti nelle Parrocchie e nelle Collaborazioni A cura dell’Ufficio diocesano per il coordinamento della pastorale Obiettivo e struttura del sussidio Questo sussidio è stato pensato per sostenere nelle parrocchie e nelle collaborazioni pastorali una proposta formativa che ravvivi nei partecipanti la consapevolezza del dono del proprio battesimo e li sostenga nel farsene interpreti presso altri adulti. La proposta consiste in cinque tappe, per ognuna delle quali è stata predisposta una scheda con l’obiettivo di illuminare un aspetto del battesimo a partire da un episodio della vita di Gesù, così com’è raccontato dall’evangelista Giovanni: 1.Nicodemo: «Se uno non nasce dall’alto» (Gv 3,3). Le relazioni. 2.La Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio» (Gv 4,10). Il dono. 3.Il paralitico di Betzata: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6). La liberazione dal male. 4.Il cieco nato: «Tu credi nel Figlio dell’Uomo?» (Gv 9,35). La fede. 5.Il fianco aperto: «Gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). Il dono pasquale di Cristo. Ogni tappa è strutturata secondo la dinamica dei percorsi formativi dell’Azione cattolica “dalla vita alla Parola e dalla Parola alla vita”: - dopo il segno di croce iniziale, è descritta una situazione attuale che provoca alla riflessione – la vita ci parla –, seguita da una preghiera di invocazione; - nella parte intitolata in ascolto è riportato un passo dal vangelo di Giovanni, a partire dal quale si sviluppa la proposta di catechesi – per riflettere – accompagnata da alcune domande per noi; - è indicato anche un segno o un gesto per fare memoria del battesimo ricevuto, con una sintetica spiegazione del suo significato, e nella sezione Va’ e fa’ anche tu lo stesso è riportata una testimonianza agiografica che presenta una figura che ha vissuto esemplarmente il tratto della vita battesimale su cui verte la riflessione; - infine, sono riportati un breve passo dalla Lettera pastorale Se tu conoscessi il dono di Dio e un’antifona mariana con cui concludere l’incontro. Ogni scheda è compiuta in sé e può essere utilizzata anche singolarmente o per più incontri. Inoltre, l’essenzialità della proposta, anche nello sviluppo della riflessione, intende facilitare eventuali adattamenti e approfondimenti ritenuti opportuni da chi guida l’incontro. “Se conosce tu dono d ssi il i Dio” Nicodemo “Se uno non rinasce dall’alto”(Gv 3,3) Le relazioni Scheda n. 1 Preghiera iniziale Guida Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. TuttiAmen. Tutti O Spirito Santo, illumina le nostre menti, riversa la tua Grazia nei cuori che hai creato e vieni a rinnovare il volto della terra. La vita ci parla Giovanni Lindo Ferretti è un artista italiano nato nel 1953 a Cerreto Alpi, sull’Appennino tosco-emiliano. Educato da bambino alla fede cattolica, è cresciuto sullo sfondo del post-Concilio e del ’68, passando poi per gli anni di piombo. In gioventù e nella prima fase della maturità ha vissuto l’etica “rivoluzionaria” in modo coerente, mietendo successi in campo artistico. Vivendo fino in fondo le proprie contraddizioni, ha poi avvertito il bisogno di un “ritorno a casa”. Da alcuni anni, infatti, Ferretti è tornato a vivere assieme all’anziana madre a Cerreto Alpi, dove ha rinunciato a Internet, al cellulare e a tutti i mezzi di comunicazione moderni. Un isolamento che però lo ha completamente riconciliato con Dio e con la genuinità del mondo della sua infanzia. Da bambino, tutte le sere prima di coricarsi, la nonna lo aiutava a recitare le preghiere di fine giornata, prestando particolare attenzione all’esame di coscienza. «Mi esortava a comprendere quali fossero le mie colpe», ha detto, «senza pensare a quelle degli altri bambini, sulle quali avrebbero riflettuto loro stessi, con le loro nonne...». Aver ricevuto un’educazione cristiana così rigorosa segnò il giovane Ferretti in modo indelebile. Quella vissuta nella sua famiglia era la fede degli umili, quella dei Pater, Ave e Gloria scanditi in modo un po’ meccanico, in un “latino maccheronico” ma con grande convinzione ed autenticità. «L’educazione si può anche perdere ma alla fine riaffiora», ha raccontato. «Ad una certa età ho perso la fede, ma di sicuro la fede non ha mai perso me. Questo ti fa scoprire una forza che non credevi di avere». Quando, in età matura, Ferretti iniziò a ripensare criticamente la sua vita, sentì l’esigenza di un esame di coscienza. Ripensò, quindi, agli esami di coscienza fatti da bambino con la nonna e alle tante preghiere recitate con lei. Da ragazzo aveva smesso di andare in chiesa intorno ai 14 anni: «Le ultime messe a cui ho assistito furono le prime con le chitarre, poi, abbandonate le messe, iniziai ad andare ai concerti dei Nomadi e dell’Equipe 84». Fu l’inizio della grande passione per il rock che non lo ha mai abbandonato. Anche oggi, «quello che offro al Signore è la mia musica», ha raccontato. Negli anni in cui Giovanni Lindo Ferretti diventava adulto, il connubio tra musica e politica era assai di moda e lui se ne lasciò conquistare. «Sono cresciuto nella mitologia delle rivoluzioni», ha detto, ricordando anche di quando, nel 1974, si ritrovò «in Portogallo, armato su una barricata», durante la «rivoluzione dei garofani» che mise fine alla dittatura. Come la maggior parte dei rivoluzionari, Ferretti fu per molti anni un avversario della Chiesa cattolica: «Vedevo la Chiesa come la causa di tutti i mali sociali», ha detto. Sparare a zero sulla Chiesa, oggi come ieri, è fin troppo facile: è come se esistessero tanti «pacchetti di luoghi comuni anticattolici e io li ho presi tutti», ha confidato. Poi arrivò il successo, unito all’inevitabile prezzo da pagare e alle tante amarezze della vita. Ferretti vide morire in giovane età tanti amici, chi per droga, chi per terrorismo. Poi, molti anni più tardi, un viaggio nei paesi dell’allora “socialismo reale” lo riportò bruscamente alla realtà. «Credevo che con la prassi rivoluzionaria si potesse costruire il paradiso in terra, invece peggiora le condizioni di vita degli uomini. [...] Alla fine il discorso è molto semplice. Non ero soddisfatto di quello che stavo facendo. Tu cominci a fare delle cose perché pensi che ti porteranno grandi soddisfazioni, perché pensi di aprire una porta che sarà piena di libertà e di nuove esperienze. Poi, fatto un bel pezzo di strada, ti guardi intorno e ti dici: «Bene, ma tutte queste soddisfazioni dove sono? Tutta questa libertà dov’è?». Alla fine, tutto si riduce alla capacità di non raccontarsi le bugie. Se una cosa non è soddisfacente, puoi continuare a dire che è bella, però se non ti racconti le bugie ti dici: «Oh, non vale niente». E se te lo dici, non rimani sul vuoto». In tempi più recenti il ritorno alla casa paterna, agli affetti e ai ricordi d’infanzia: l’amata nonna non c’era più ma le preghiere da lei insegnate erano più vive che mai. «Ho la certezza che, anche quando ero lontano da Dio, qualcuno ha pregato per me». Un ritorno a casa colmo di struggimento e gioia al tempo stesso, ma niente affatto facile da intraprendere, così come non è stato facile il ritorno alla pratica sacramentale: «La strada più lunga che ho mai percorso è stata quella fino al confessionale», ha ammesso. (da zenit.org) • Sostiamo qualche istante sulla vicenda di Ferretti. Come si collega alla nostra esperienza quotidiana? Invocazione Guida Signore, tu hai messo nel nostro cuore un’immensa nostalgia di te Tutti E il nostro cuore non ha pace finché in te non riposa. Guida Signore, tu ascolti la voce di ogni uomo che invoca vita e speranza Tutti E dischiudi per i tuoi figli il tuo abbraccio di salvezza. Guida Signore, tu hai detto: «Se uno non rinascerà nell’acqua e nello Spirito santo non entrerà nel Regno di Dio». Tutti Ci hai rigenerato nel battesimo e ci apri le porte della vita eterna. Guida Nel mistero della tua morte sei entrato dove nessuno poteva entrare: Tutti Hai sconfitto la morte e ci hai resi partecipi della tua vita risorta. In ascolto Dal Vangelo secondo Giovanni (3,1-8.14-16) C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui». Per riflettere • La notte di Nicodemo Nicodemo è un “ammiratore” di Gesù, uno che ha visto i segni che ha compiuto e si è lasciato in qualche modo affascinare da questo maestro. Ma c’è differenza tra l’essere ammiratore e diventare discepolo. È il cammino della fede, della formazione a cui Gesù provocherà Nicodemo, scalzandolo progressivamente, ma in modo inesorabile, dalle sue sicurezze. L’incontro avviene di notte: non è la notte di Giuda, il buio del peccato e della distanza da Dio, ma certamente Nicodemo con questa scelta cerca di vedere senza essere visto, vuole rimanere in incognito. Lui è un capo, un’autorità del sinedrio - il “parlamento” religioso di Gerusalemme -, è probabilmente un uomo maturo, ricco, con una posizione sociale importante. Il suo stesso nome - “Nico”, radice greca di vittoria, e “demo”, popolo - indica “vittoria del popolo”: un vittorioso, dunque, che sa imporsi. Eppure qui Nicodemo ha paura di compromettersi fino in fondo. I suoi passi non avvengono alla luce del sole: possiamo forse dire che la luce è un dono che non ha ancora accolto, da cui non si è lasciato trasformare. Nel suo cuore c’è però una ricerca più o meno consapevole: Gesù la coglie e la accoglie, anche se non è ancora limpida, coraggiosa, capace di esporsi. Nicodemo inizia il dialogo sicuro di sé: parte con un «...sappiamo». Questo ci dice che rappresenta un gruppo, ma soprattutto che vuole guidare lui il discorso, che intende partire da quello che sa e che è. Fariseo, amante ed esperto della Legge, porta con sé tutte le sue competenze, sicurezze, il cammino di conoscenza di Dio e di comprensione della verità che si è costruito lungo tutta una vita... Crede probabilmente di poter inserire Gesù in questo schema. • Rinascere dall’alto Il Maestro, però, non lo lascia continuare e gli chiede subito un salto, lo porta ad un altro livello, introdotto dal suo «Amen amen». Espressione tipica di Gesù, che intende dire: «Sicuro è quello che ti dico, fondato, certo: Bisogna rinascere dall’alto!». L’avverbio in greco ha due significati, su cui probabilmente Giovanni fa leva: significa “dall’alto”, ma anche “di nuovo”. Nicodemo ha pensato a questo secondo significato e non comprende come sia possibile, ma Gesù intende dire che bisogna nascere da un’altra fonte: non si tratta di tornare indietro, di rientrare nel seno della madre, ma di trovare una nuova origine. Questa possibilità non si costruisce con le proprie forze, “non ti fai da te”, ma viene dall’acqua e dallo Spirito Santo. Acqua e Spirito fanno riferimento ad un’unica realtà: lo Spirito è l’artefice divino della vita, l’acqua ne richiama la forza e ne esprime l’azione. Il riferimento al battesimo è evidente: con l’immersione nell’acqua avviene la trasformazione per opera dello Spirito Santo. La persona rinasce nella novità di Dio, vive una nuova esistenza le cui origini affondano nella Trinità. “Rinascere dall’alto” dice l’opera di Dio: rinascere è, in fondo e prima di tutto, accettare con gratitudine di essere figli, di venire alla luce dal suo amore, di partecipare della relazione unica del Figlio Gesù Cristo con il Padre. Ognuno di noi è figlio che riceve la vita dall’altro: scopriamo la nostra identità quando vediamo e crediamo nell’amore di chi ci ha generato, e solo quando accade questo diventiamo realmente capaci di amare. Sappiamo tutti, per esperienza, che il cammino personale della fede inizia davvero quando diventiamo capaci di riconoscere, nei volti e nei gesti di coloro che in diversi modi e tempi ci hanno generati alla vita, i tratti del volto e dell’amore del Signore. • Una fede in cammino Nel nostro contesto sociale ed ecclesiale quasi tutti abbiamo ricevuto il battesimo e questo sacramento continua ad essere comunemente richiesto e celebrato, ma quante volte, anche nelle nostre comunità cristiane, fatichiamo a passare dall’ammirazione per Gesù a quel salto esistenziale che implica la consapevolezza di essere stati e di essere continuamente generati, amati, salvati da Lui! Fatichiamo a maturare la coscienza reale che tutto, davvero tutto, lo abbiamo ricevuto da Lui; che il dono non è un ideale, un valore, un insieme di tradizioni seppur buone e sensate, ma è Lui stesso vivo, presente e operante nella nostra vita. La consapevolezza che nel battesimo ci ha immerso nella sua stessa Vita, che ci chiede di vivere un incontro reale con Lui che si fa affidamento, che diventa carne, compromissione dietro a Lui, nella sequela lungo la sua via di passione, morte e resurrezione. La misura e la profondità della fede non sono qualcosa di statico, dato una volta per tutte, ma una relazione che ha i suoi passaggi e i suoi salti, che avvengono quando i nostri occhi sono capaci di riconoscere realmente il suo amore per noi nella concretezza della nostra storia. Pensiamo alla vicenda stessa di Nicodemo: il suo cammino di discepolo sarà lungo... Solo alla fine del vangelo di Giovanni lo vedremo passare dal buio alla luce: dopo la crocifissione, al momento della sepoltura di Gesù. Nicodemo con Giuseppe d’Arimatea (Gv 19,38-39) “accoglie” - così andrebbe tradotto il verbo greco, più che “prese” - il corpo di Gesù e gli dà degna sepoltura. Alla vigilia della Pasqua, quello che era un fariseo osservante tocca un cadavere, si rende impuro e non può mangiare la Pasqua. Ricopre quel corpo con cento libbre di mirra e aloe, una quantità enorme, spropositata, che vale milioni e dice una misura regale. Queste azioni ci dicono che Nicodemo è uscito allo scoperto, si è rivelato, è maturato. Vive ora quello che Giovanni diceva nel prologo: «A quanti l’anno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Nicodemo in realtà, in questo momento, sta facendo pasqua, sta rinascendo, sta cambiando. Nicodemo è figura della fede per il nostro cammino, per il superamento dei nostri ostacoli: quel battesimo che abbiamo ricevuto da piccoli agisce adesso, ora possiamo rinascere, ora possiamo essere nuove creature. Domande per noi • Quali sono le persone che hanno aperto la mia storia personale alla vita di Dio? In che modo? • Cosa significa per me collocare ogni giorno la mia vita nella relazione profonda con Gesù, radicarla sempre e nuovamente nella fede in lui che mi rende figlio? • Nei passaggi cruciali del mio cammino chi mi ha stimolato ad alzare gli occhi, a cambiare lo sguardo e trovare prospettive “alte” di vita? Chi mi aiuta oggi a vivere da figlio? Memoria del battesimo Può essere preparato un cartellone con un albero, “l’albero della fede”: in un momento di silenzio i partecipanti all’incontro scrivono i nomi delle persone che li hanno fatti crescere, che si sono prese cura di loro, che hanno trasmesso e testimoniato loro la fede in Gesù Cristo. Mentre viene intonato un canto, ciascuno trascriverà questi nomi sulle radici dell’albero (se risulta più pratico, si possono attaccare i foglietti con i nomi scritti dal posto). Alla fine si prega insieme così: Va’ e anche tu fa’ lo stesso Ti rendiamo grazie, o Padre, per chi ha avuto cura di noi e della crescita della nostra fede in Te, che con il battesimo ci hai donato. Grazie per tutti coloro che ci hanno fatto incontrare, con i loro gesti e con le loro parole, il volto di tuo Figlio Gesù, e che hanno testimoniato una fede vissuta in ogni tempo con semplicità e fedeltà. Una santa testimone: Monica Ognuno legge i nomi che ha scritto. Manda il tuo Spirito, affinché anche noi possiamo essere tuo strumento per generare alla fede, per essere annunciatori gioiosi del Vangelo nella quotidianità della nostra vita. Amen. Dall’«Introduzione» al Rito del battesimo dei bambini La chiesa, che ha ricevuto la missione di annunciare il vangelo e di battezzare, fin dai primi secoli ha conferito il battesimo non solo agli adulti, ma anche ai bambini. In forza della parola del Signore: «Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio», la chiesa ha sempre ritenuto che i bambini non debbano essere privati del battesimo. Essi infatti vengono battezzati nella fede della chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dagli altri presenti al rito: questi rappresentano sia la chiesa locale sia la società universale dei santi e dei fedeli, la chiesa madre, che tutta intera genera tutti e ciascuno. Per attuare pienamente la realtà del sacramento, è necessario che i bambini siano in seguito educati nella fede in cui sono stati battezzati: il sacramento già ricevuto costituirà il fondamento di questo impegno. Nacque a Tagaste, antica città della Numidia, nel 332. Quello che sappiamo di lei lo deduciamo dalle celebri Confessioni di suo figlio, Agostino d’Ippona, il quale attribuisce la propria conversione alle preghiere e alle lacrime della madre. Nelle Confessioni Agostino, parlando di lei, afferma: «Educata pertanto nella castità e nella temperanza, resa sottomessa ai genitori... quando nella pienezza della giovinezza fu da marito, andò a nozze e servì lo sposo come padrone. Cercò di guadagnarlo a te (Dio) parlandogli di te con l’eloquenza della sua vita morale, di cui tu la rendevi bella, degna di riverente amore, e d’ammirazione ai suoi occhi. Tollerò poi le infedeltà del marito con tanta rassegnazione da non venire mai a diverbio con lui per questo. Egli era oltre ciò veramente affettuosissimo, ma altrettanto iracondo. Essa era capace di non fare resistenza al marito in collera, non solo a fatti, ma anche a parole. Quando poi tornava tranquillo, ella faceva al momento opportuno le giustificazioni del suo operato, se mai egli si fosse a torto inquietato. Molte altre matrone, pur avendo mariti più mansueti, portavano i segni delle battiture persino sulla faccia sfigurata e, chiacchierando con le amiche, si lagnavano della vita dei loro uomini. Essa riprendeva la loro lingua. [...] Quelle si meravigliavano perché sapevano che marito feroce ella dovesse sopportare e mai s’era sentito dire o s’era scoperto da qualche segno che Patrizio avesse battuto la moglie o che ci fosse stato, anche per un sol giorno, un dissenso domestico tra lei e lui. [...] Anche la suocera, che da principio era irritata per i pettegolezzi contro di lei di schiave cattive, fu talmente vinta dal suo perseverante rispetto, dalla sua pazienza e mansuetudine che rivelò spontaneamente al figlio le cattive lingue frapposte tra lei e la nuora per turbare la pace domestica e chiese la punizione. [...] E infine ella guadagnò a te (Dio) anche il marito al termine della sua vita temporale; quando perciò divenne credente non dovette più piangere ciò che di lui sopportava quando non era ancora cristiano. Essa era anche la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva, molto lodava, onorava e amava te, poiché avvertiva la tua presenza nel suo cuore, attestata da una vita santa. Fu infatti sposa di un solo uomo; aveva reso il contraccambio ai propri genitori; aveva piamente governata la sua casa; aveva la testimonianza di opere buone. Aveva educato i suoi figli dandoli tante volte alla luce, quante li vedeva da te deviare» (IX, 9). Monica, infatti, partecipò alle vicende del figlio, soffrì e pregò perché Agostino si decidesse con fermezza per la fede in Gesù Cristo. Dopo la conversione Agostino, durante le vacanze autunnali del 386 si ritirò con la madre nella villa dell’amico Verecondo a Cassiciaco, per riposarsi dalle fatiche, approfondire la filosofia e prepararsi al battesimo. Dopo alcuni mesi di vera pace e d’intensa preghiera Agostino fu rigenerato a Cristo, a Milano, per le mani di S. Ambrogio, la vigilia di Pasqua del 387. Avendo in mente un progetto di vita cenobitica, sul finire dell’estate egli partì per la sua Africa con la madre, l’amico Alipio, il fratello Navigio e il figlio suo Adeodato, che aveva ricevuto il battesimo con lui. Giunta a Ostia, la comitiva sostò per rimettersi dalle fatiche del viaggio. Un giorno Monica e Agostino si trovarono soli a una finestra del loro appartamento che dava sul giardino. Iniziarono un dialogo sulle gioie del paradiso: “Mentre parlavamo pensando a quelle, confessa il figlio, lo raggiungemmo un poco con tutto l’impeto del cuore e sospirammo... Mia madre disse allora: «Figlio, quanto a me nessuna cosa più ha fascino in questa vita. Non so cosa faccio ancora qui, né perché vi sia, compiute ormai le speranze di questo mondo. Unico era il motivo per cui desideravo restare ancora un poco in questa vita: vederti cristiano prima di morire. Dio me l’ha concesso con maggiore larghezza, facendomi vedere che disprezzi la felicità terrena e ti consacri al suo servizio» (IX, 10). Dopo alcuni giorni si mise a letto con la febbre. Presagendo prossima la sua fine, disse ai due figli affranti: «Voi seppellirete qui vostra madre... Ponete questo mio corpo dove volete; non vi preoccupate di esso. Vi domando soltanto che di me vi ricordiate presso il Signore in qualsiasi parte vi troviate»” (IX, 11). Morì a 56 anni, dopo nove giorni di malattia (forse malaria), il 27 agosto del 387 e fu sepolta ad Ostia. Le sue reliquie sono venerate a Roma nella chiesa di Sant’Agostino. Dalla Lettera del Vescovo (nn. 28-30): Il battesimo è ingresso nella Pasqua di Cristo. Da quel fonte usciamo, secondo la bella espressione di Paolo, come “nuove creature”: Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove (2Cor 5,17). E nel brano battesimale già citato della lettera ai Romani egli parla di un “uomo vecchio”, segnato dal peccato, che è stato crocifisso con Cristo: dunque destinato a diventare un “uomo nuovo”, risorto (cf. Rm 6,6). Il battesimo come nuova nascita appare anche nel denso discorso di Gesù a Nicodemo nel vangelo di Giovanni: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Non basta essere venuti al mondo: bisogna rinascere “da acqua e Spirito”. La “nuova creatura” del battesimo, che vede ormai alle proprie spalle le “cose vecchie” ci ricorda che il battesimo è anche remissione del peccato. [...] Si potrebbe obiettare: ma quali sono le cose vecchie ormai passate di cui parla Paolo, quelle dell’uomo peccatore, nel caso di un neonato, che è privo di passato? Dov’è il male nella sua vita appena iniziata? Potremmo rispondere che chi giunge all’esistenza entra a far parte di un’umanità che non è immacolata, non è al punto zero, ma è segnata da infinite storie di male e di peccato, personali e collettive, che sono evidenti segni di morte. Esse sono sotto gli occhi di tutti, e ben presto raggiungono anche la vita innocente di un bambino. [...] Del resto, chi di noi può dire: il male è entrato nella mia vita solo in quel momento, in quel giorno, in quell’ora, mediante quell’atto preciso, e non prima? Davvero, come recitiamo nel salmo Miserere, ognuno deve confessare che “mia madre mi ha concepito peccatore” (cf. Sal 51 (50),6), e a nessuno è difficile sperimentare, ben presto, che porsi sulla via di Gesù e del vangelo è impossibile alle sole proprie forze. Certo, sappiamo bene che perdono dei peccati non significa essere liberati per sempre dalle lusinghe del male; siamo ancora sottoposti a prove, che ci fanno chiedere nel Padre nostro di non essere abbandonati alla tentazione (cf. Mt 6,13). Ma da battezzati, sappiamo di combattere un male che non è invincibile, che non ha l’ultima parola, che è sottoposto alla vittoria pasquale di Cristo, di cui siamo resi partecipi. Antifona mariana O Maria, tutte le genti ti proclamano beata perché hai portato in grembo il Figlio di Dio: insegnaci ad accogliere Gesù nella nostra vita e a lasciarci formare da Lui. O Maria, tutte le genti ti esaltano perché, quale fedele discepola del Verbo fatto uomo, hai cercato costantemente la volontà del Signore e l’hai compiuta con amore: Insegnaci a mettere Lui al primo posto nella nostra vita, ad orientare a Lui i pensieri e le azioni e a credere che la potenza del suo Spirito può rinnovare in ogni momento la nostra vita. Amen. Guida Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. TuttiAmen. “Se conosce tu dono d ssi il i Dio” La Samaritana “Se tu conoscessi il dono di Dio”(Gv 4,10) Il dono Scheda n. 2 Preghiera iniziale Guida Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. TuttiAmen. Tutti Vieni, Spirito Santo, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore. Fa’ che noi siamo docili alla tua Grazia. La vita ci parla Lunedì 8 luglio 2013 papa Francesco ha compiuto la sua prima visita ufficiale fuori dalle mura vaticane. Non si è trattato di una visita di Stato, né di un atto di venerazione in un santuario, ma di un segno di vicinanza e di preghiera, di attenzione agli ultimi, alla periferia meridionale dell’Europa. La visita del Santo Padre a Lampedusa arriva proprio all’inizio dell’estate, quando sull’isola si verifica un aumento del flusso di migranti. Un’isola diventata uno dei principali porti di ingresso in Europa per i migranti disposti a rischiare la vita a bordo di barconi sovraffollati e insicuri, dopo aver affrontato sofferenze di ogni genere. Dopo l’ennesimo dramma di morte in mare, papa Francesco si è incamminato verso il suo appuntamento, come Colui che si lascia afferrare dalle nostre vite disperse, quasi non potesse farne a meno. Infatti, per quella notizia «ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare», ha detto, spiegando che «il pen- siero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore». «“Dov’è tuo fratello? La voce del suo sangue grida fino a me”, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle», ha proseguito il Papa, «cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!». Sono voci di uomini, donne e bambini che bussano alle porte del nostro continente colmi di speranze, nomadi di una sete infinita: sete di libertà, sete di giustizia e dignità, sete di poter autodeterminare il proprio futuro. Una sete che rimane indifferente alle orecchie dei nostri cuori, come ha detto nell’omelia papa Francesco: «Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo... non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri... La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza». Il dono che ci ha fatto papa Francesco è lo scuotimento dall’apatia del “non è affare nostro”, è in quell’invocazione di perdono che ci ingloba tutti nel Cuore di Dio: perdono per essere chiusi nel nostro benessere «che ci porta all’anestesia del cuore». Il dono sono quei legni spezzati sulle morti, riscattati alla vita sull’altare della Parola e della Mensa, segno che anche i relitti dimenticati possono essere “ricostruiti” a nuova vita, ed essere via di Resurrezione. • Riflettiamo per qualche istante sul gesto di papa Francesco. Come si collega alla nostra vita quotidiana? Invocazione Signore, Tu ci attendi con pazienza, lì dove si incrocia il tuo sguardo con la nostra storia. Sei seduto al pozzo dei nostri giorni, lì dove viviamo, amiamo, speriamo. Manda a noi il tuo Spirito, spalanca il nostro cuore alla Grazia del Tuo Dono, perché non si spenga mai quella sete che ci ha fatti incamminare incontro a Te. Attiraci a Te quando le fatiche ci rallentano il passo. Immergici nella tua acqua limpida, perché abbiamo desiderio di una nuova vita, vogliamo vivere di Te. In ascolto Dal Vangelo secondo Giovanni (4,1-10) Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni» - sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli -, lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi disce- poli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Per riflettere • L’appuntamento Gesù si mette in viaggio. “Doveva” attraversare la Samaria, luogo dei lontani, degli infedeli religiosi. La attraversa per quel “dovere” che solo in Dio si chiama Amore. Per un’urgenza di sconfinare nelle nostre lontananze, nelle nostre distanze, nelle zone deserte del cuore. Attraversa il flusso dei nostri giorni distratti, l’insieme degli impegni, delle preoccupazioni, delle fatiche... Attraversa e attende. Nel nostro quotidiano si apre una fessura sull’Eternità: è nelle pieghe nascoste della vita, nella fatica, nella fragilità, nella debolezza, nel bisogno; si inoltra negli angoli remoti della nostra piccola fede per riportarli alla vita. Dio ci visita in un preciso momento della nostra storia, ci prende per mano e ci conduce in uno spazio di interiorità e incontro: viene a “mezzogiorno”, un tempo riconosciuto e fissato per sempre. La samaritana è l’appuntamento di Gesù... noi siamo il suo appuntamento! Tutta la nostra vita è fatta di incontri. Ma quanto spesso sono banali o frettolosi; quelli veri, invece, ci impegnano, ci stimolano, ci fanno crescere e creano legami costruttivi, segnano in qualche modo la nostra vita. Ci aiutano a capire chi siamo, a trovare il nostro posto nel mondo. Anche l’incontro con Gesù è così: scuote la polvere, smuove le abitudini, cambia l’esistenza. Con quella donna Lui è Colui che cerca, che incontra, che ama per primo, che attende. Ma il suo orologio è senza lancette: Dio è “appuntamento” senza tempo. Dio è l’attesa amante nella pazienza, sempre assetato di noi, di immergere la nostra vita nella sua. E per la samaritana incontrare Gesù è incontrare la Vita... Lo è anche per noi? • La sete La samaritana va ad attingere l’acqua al pozzo portandovi ognuno di noi, che, come lei, vi giungiamo con la brocca vuota: quanti pozzi abbiamo visitato e non ci hanno dissetati, quante seti mai spente ci hanno prosciugato. Eccoci dinanzi a Dio, con il fardello di storie colme di solitudini, di progetti mal riusciti; con i cuori assetati di felicità, di vita vera, d’amore e, se ne abbiamo il coraggio, come piccoli cercatori di verità. Sui cerchi d’onda che l’acqua imprime quando è scossa, c’è il nostro volto vero, quello che Lui solo conosce. Al pozzo vi è un uomo stanco che prende l’iniziativa e chiede: «Dammi da bere!», «Ho bisogno di te!». Gesù ha sete della fede di quella donna, ha sete della nostra fede. Chi ama ha sete di incontrare la creatura amata e quando uno ama conosce la delicatezza, è paziente e comprensivo. Gesù non inizia con la donna un incontro di “verifica” della sua vita, la incontra con dolcezza perché desidera conquistare il suo cuore. È il nostro cuore la sua méta: con Amore e Verità ci vuole attirare a sé per condurci in una via di fede, ad esplorare i sentieri impervi delle nostre seti, a scoprire le vere attese del cuore. Le domande impegnative della vita si dimenticano sepolte sotto uno spesso strato di polvere. Il dialogo con Gesù, che nasce ai bordi del nostro pozzo, ha la potenza della goccia d’acqua che fende la roccia: scava nella nostra interiorità per far nascere in noi una sete eterna, sete d’Altro. Lui sa che abbiamo bisogno di un punto fermo, di un senso vero e pieno, di un “di più” d’amore... di un’acqua viva. Senza acqua non c’è vita. L’acqua è uno dei beni essenziali e indispensabili alla vita: è ciò che purifica e lava, ciò che irriga e vince l’aridità, ciò che disseta l’uomo e alimenta la sua esistenza. E Cristo è l’acqua per la nostra sete! Solo Lui può spegnere la nostra sete d’amore! • Il dono L’amore ha il potere di cambiare il vuoto in pienezza. L’amore, come un mare in tempesta, porta a galla i detriti e fa emergere i tesori nascosti. Così nel deserto del cuore la Parola scava, illumina, crea, irriga e rigenera l’arida sabbia in un giardino. Un giardino di opportunità, di nuova vitalità, dono di Dio, dove ci sentiamo amati senza limiti, perdonati senza riserve. «Se tu conoscessi...». Gesù ci invita a desiderare il dono della sapienza, della conoscenza. C’è una regia nell’esperienza della fede che non è nelle mani dell’uomo, ma solo in quelle di Dio. Ma è necessario il palpito del desiderio, come il frammento centrale di un puzzle che da solo determina tutto il mio “centro” di creatura, di cui perciò non posso fare a meno. E il desiderio è il dono più grande che Dio ci abbia fatto: scava in noi una voragine in cui Lui può riversarsi e che solo Lui può raggiungere e colmare. Il tesoro che cerco è già dentro di me: il mio più profondo è la mia finestra su Dio, è l’Effatà, il mio “Apriti” al dono dello Spirito. La bellezza del suo dono è nell’essere immersi profondamente nell’identità di figli ricevuta nel battesimo e, nel desiderio di stare con Lui, sperimentare la pienezza del suo amore vivificante. L’acqua che Gesù ci ha offerto per la prima volta il giorno del nostro battesimo, e che continua ad offrirci nei Sacramenti e nella sua Parola, ha il potere di generare in noi una vita nuova. È un’acqua che è capace di dare un senso più profondo alla vita dell’uomo, un’acqua che disseta il bisogno di infinito, di senso, di pace, di amore. Che dilata la nostra esistenza, dà un nome alle seti, scioglie l’indifferenza, cancella i pregiudizi, spazza i dubbi e le paure, libera la fede! Gesù desidera portare la donna, come noi, a conoscere il suo dono. Sogna per noi una vita vera e nuova, di grazia, di libertà, di occhi nuovi... una vita da Dio! Domande per noi • Esiste in me un “angolo di desiderio”, sia esso nascosto o trepidante, di essere atteso da Dio, essere il “suo appuntamento” nella storia della mia vita? • Quale “viaggio” dentro me è necessario che io intraprenda? Quale sete mi spinge a correre al pozzo della mia vita? • Credere, avere fede, è solo un contorno sbiadito della mia vita, o mi sono incamminato con la samaritana a scoprirne la vera essenza? • «Se tu conoscessi il dono di Dio...». Quale dono ha portato con sé il battesimo nella mia vita? Quali frammenti di eternità mi ha aperto? Come percepisco l’amore di Dio nella mia vita? Memoria del battesimo Il rito del battesimo inizia con l’accoglienza del battezzando da parte del sacerdote, a nome di tutta la comunità cristiana. Si può fare memoria di questo momento della nostra vita varcando la porta della chiesa e cantando “Accoglimi” (Sequeri). Accoglimi, Signore, secondo la tua parola. Accoglimi, Signore, secondo la tua parola. Ed io lo so che Tu, Signore, in ogni tempo sarai con me (2 v.). Ti seguirò, Signore, secondo la tua parola. Ti seguirò, Signore, secondo la tua parola. Ed io lo so che in Te, Signore, la mia speranza si compirà (2 v.). Dal Rito del battesimo dei bambini: riti di accoglienza Il celebrante rivolge un saluto ai presenti, specialmente ai genitori e ai padrini, e accenna brevemente alla gioia con cui i genitori hanno accolto i loro bimbi come un dono di Dio: è lui, fonte della vita, che nel battesimo vuole comunicare la sua vita stessa. 37. Il celebrante domanda anzitutto ai genitori del bambino: Celebrante: Che nome date al vostro bambino? Genitori: N... Celebrante: Per N. che cosa chiedete alla Chiesa di Dio? Genitori: Il battesimo. Nel dialogo, il celebrante può usare altre espressioni. Nella seconda risposta, i genitori possono esprimersi con altre parole, come ad esempio: La fede, oppure La grazia di Cristo, o La vita eterna. 38. Il celebrante si rivolge ai genitori con queste parole o con altre simili: Celebrante: Cari genitori, chiedendo il battesimo per vostro figlio, voi vi impegnate a educarlo nella fede, perché, nell’osservanza dei comandamenti, impari ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato. Siete consapevoli di questa responsabilità? Genitori: Sì. 39. Rivolgendo la parola ai padrini, il celebrante, con queste espressioni o con altre simili, domanda: Celebrante: E voi, padrino e madrina, siete disposti ad aiutare i genitori in questo compito così importante? Padrini: Sì. 40. Il celebrante prosegue: N., con grande gioia la nostra comunità cristiana ti accoglie. In suo nome io ti segno con il segno della croce. E dopo di me anche voi, genitori (e padrini), farete sul vostro bambino il segno di Cristo Salvatore. Va’ e anche tu fa’ lo stesso Un santo testimone: Filippo Neri Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515, e riceve il battesimo nel “bel san Giovanni” dei Fiorentini il giorno seguente, festa di S. Maria Maddalena. Era dotato di un bellissimo carattere, pio e gentile, vivace e lieto, il “Pippo buono”, e suscitava affetto tra tutti i conoscenti. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica nell’attività di suo padre e all’età di diciott’anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Filippo vi giunse come pellegrino, e con l’animo del pellegrino penitente, del “monaco della città” per usare un’espressione oggi di moda; visse gli anni della sua giovinezza austero e lieto al tempo stesso, tutto dedito a coltivare lo spirito. Visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. Cominciò a lavorare fra i giovani della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini. Filippo trascorreva tempo con i suoi ragazzi, sollecitandoli a guardare oltre i propri limiti: «Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi». Il desiderio di servire Dio si era impresso in lui fortemente insieme ad una grande umiltà: «Figlioli, siate umili, state bassi», amava ripetere ai suoi giovani. E quando doveva frenare l’irrequietezza dei ragazzi diceva: «State fermi» e, sotto voce, «se potete». Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ed è proprio con i suoi penitenti che Filippo iniziò, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che costituiscono l’anima ed il metodo dell’Oratorio. Nacque così, senza un progetto preordinato, la “Congregazione dell’Oratorio”: la comunità dei preti che nell’Oratorio avevano non solo il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di apostolato. Insieme ad altri discepoli di Filippo, iniziò quella semplice vita famigliare, retta da poche regole essenziali, che fu la culla della futura Congregazione. Filippo aveva il dono dell’allegrezza, «Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate allegri», ripeteva sempre. Ma era una gioia che si alimentava alla fonte della preghiera, quella gioia che non viene scalfita dalle prove e dalle delusioni: «Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa mia!». La sua sete di Dio portava Filippo a passare molto tempo in preghiera, specialmente di notte. Prediligeva le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, il sagrato delle chiese durante le notti silenziose: nella catacomba di san Sebastiano, nel 1544, sperimentò un’estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Tanta sete di Dio quanta del prossimo. Un’intensa, quanto discreta nelle forme e libera nei metodi, attività di apostolato la svolse nei confronti di coloro che egli incontrava nelle piazze e per le vie di Roma (quelle che noi ora chiameremmo periferie), nel servizio della carità presso gli Ospedali degli incurabili, nella partecipazione alla vita di alcune confraternite. Tanto zelo nella preghiera quanto nel servire, con allegria incitava i suoi chierici a non abbandonarsi nell’ozio: «Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni». Nelle sue prediche insisteva più sull’amore e sull’integrità spirituale che sulle austerità fisiche, e le virtù che risplendevano in lui venivano trasmesse agli altri: amore per Dio e per l’uomo, umiltà e senso delle proporzioni, gentilezza e gaiezza. Trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita a S. Maria in Vallicella, dove incontrava ogni categoria di persone con animo paterno e dolcissimo, ma al tempo stesso forte ed impegnativo, nell’intento di condurre a Dio ogni anima, non attraverso difficili sentieri ma nella semplicità evangelica, nella fiduciosa certezza dell’infallibile amore divino, nella letizia dello spirito che sgorga dall’immergersi tutto in Dio. Si spense nelle prime ore del 26 maggio 1595, all’età di ottant’anni, amato dai suoi e da tutta Roma, di un amore carico di stima e di affezione. Nella sua vita cercò sempre di restare “piccolo” di non subire la tentazione delle cariche importanti e dei riconoscimenti. «Paradiso! Paradiso!» era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana. Dalla Lettera del Vescovo (nn. 38-39): Il bambino è «battezzato nella fede della chiesa». In realtà, anche la fede del battezzato adulto è una «fede della chiesa», non è semplicemente la sua fede personale; né si può pensare che si battezzi solo nella fede personale del sacerdote, o dei genitori o di altre persone presenti. Essi, come dice il testo citato, rappresentano la fede della chiesa tutta intera. La fede della chiesa sarà anche quella che i genitori, e non solo loro, dovranno trasmettere al battezzato. Forse molti di noi, battezzati nell’infanzia, possono affermare che fin da piccoli si sono sentiti accolti, avvolti, circondati, dalla fede della chiesa. È stato un clima, un habitat cristiano che ha fatto assimilare a poco a poco quella fede, che ha dato significato al battesimo ricevuto subito dopo la nascita e lo ha fatto sentire come un dono della chiesa percepita, insieme, come “madre” e come “famiglia”. Scrive papa Francesco: «Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo “io” si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita. Tertulliano l’ha espresso con efficacia parlando del catecumeno, che “dopo il lavacro della nuova nascita” è accolto nella casa della Madre per stendere le mani e pregare, insieme ai fratelli, il Padre nostro, come accolto in una nuova famiglia» (Lumen fidei, 39). Per questo l’educazione cristiana da parte dei genitori viene richiesta esplicitamente e ripetutamente nel corso della celebrazione. Antifona mariana Santa Maria, creatura nuova dello Spirito, Vergine fatta Chiesa, salve! Tu, che hai collaborato all’opera della salvezza e nella pienezza del tempo hai donato Cristo, fonte di acqua viva, in cui l’umanità intera può saziare l’ardente fame e sete di comunione e di amore, insegnaci ad essere docili alla voce interiore dello Spirito, attenti ai suoi richiami alla nostra responsabilità di testimoni della fede. Madre della misericordia e madre dei credenti, ristora la nostra sete di Dio, innaffia della Grazia del Signore il nostro cuore inaridito, accogli la preghiera di noi tuoi figli. Amen. Guida Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. TuttiAmen. Il paralitico di Betzata “Vuoi guarire?”(Gv 5,6) “Se conosce tu dono d ssi il i Dio” La liberazione dal male Scheda n. 3 Preghiera iniziale Guida Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. TuttiAmen. Tutti Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e santificali. Vieni, Padre dei poveri, e sollevaci. Vieni, Autore di ogni bene, e consolaci. La vita ci parla L’avventura cristiana di Paolo Caccone (1948-1992) è affascinante perché ci mostra come anche nel nostro tempo sia possibile intendere la promessa di vita eterna contenuta nel Vangelo e credere ad essa. E come sia possibile credervi anche per uomini che vengono da lontano e che hanno vissuto devastanti ribellioni. Paolo nasce a Modena da una famiglia operaia, cresce lontano da ogni chiesa, fa politica. Ha vent’anni nel 1968, è iscritto alla Fgci, vive in una «comune», entra in un gruppo filo-maoista. È iscritto a Biologia a Modena. La politica lo delude, la lettura di un libro sul Buddismo lo porta in India e in Pakistan, dove spera di trovare «il suo guru» e invece trova la droga. Arriva a spacciarla e viene arrestato durante un soggiorno romano: fa due anni di carcere. Poi un’altra fuga in Francia e in Gran Bretagna. Rottura completa con la famiglia d’origine. Non spaccia più, ma viene picchiato dagli spacciatori perché non paga le dosi. È in queste condizioni quando si presenta – nel gennaio del 1986 – al pronto soccorso dell’ospedale di Modena per una colica renale: risulta sieropositivo. Ha preso l’Aids dalla droga, probabilmente, attraverso una siringa usata e di Aids morirà sei anni più tardi. Ma intanto, in uno dei suoi passaggi in ospedale, incontra un monaco della comunità di don Dossetti, che gli dice «Venga a trovarci». Paolo va, incontra don Neri e poi don Dossetti e si confessa e si converte e nell’autunno del 1989 entra nella «Piccola famiglia dell’Annunziata», come si chiama la comunità monastica dossettiana. In essa vive tre anni da novizio. Muore monaco. (cfr. Umberto Neri, Morire per miracolo. Una storia di droga, carcere e Aids. E di una conversione autentica, Guaraldi 1995) • Sostiamo qualche istante sulla vicenda di Caccone. Come si collega alla nostra esperienza quotidiana? Invocazione Dio mio, quando nel cammino verso di te non ho più provviste, non ho altra possibilità che rivolgermi a te, ritornare umile sui miei passi. Quando la colpa mi fa temere il castigo, la speranza mi offre riparo alla tua giustizia. Quando l’errore mi confina nel mio tormento, la fede annuncia il tuo conforto. Quando mi lascio vincere dal sonno della debolezza, i tuoi benefici e la tua generosità mi risvegliano. Quando la disobbedienza e la rivolta mi allontanano da te, il tuo perdono e la tua misericordia mi riconducono all’amicizia. E tu sei sempre lì a sbirciare il mio ritorno per stringermi in un abbraccio rigenerante, aperto a un futuro unico d’amore. Possa la tua Parola calare proficua nel mio cuore e farmi vivere per amarti e ringraziarti ogni giorno della mia vita. Amen. (Mario Gobbin) In ascolto Dal Vangelo secondo Giovanni (5,1-8) Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Per riflettere • La crisi Per poter arrivare ad aprire il nostro cuore e la nostra esistenza al Signore, a volte, dobbiamo percorrere strade del tutto personali e lunghe. Lo stesso Signore permette che la nostra esistenza “vaghi” attraverso luoghi lontani ed esperienze limite, come la storia di Paolo Caccone racconta. Non tutti, certo e per fortuna, compiono percorsi di fallimento, e neppure è necessario arrivare fino ad esperienze di quel tipo, ma ad ognuno di noi spetta una “caduta da cavallo”, un momento nel quale le certezze e le sicurezze vengono a mancare. «Non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me», dice il paralitico a Gesù. La salvezza che Dio ci dona nel Figlio Gesù ci raggiunge nella misura in cui noi liberamente apriamo la nostra vita a Lui invocandone l’aiuto. • Il compagno di viaggio Proprio il momento e l’esperienza del fallimento e del peccato può diventare strada di rinnovato incontro con il Signore della vita. A volte, infatti, Egli ci attende attraverso varchi inattesi e inaspettati, momenti della vita che, guidati dalla sua provvidente azione, diventano occasioni uniche di incontro con Lui. In questi momenti la vicinanza di qualcuno che apre un senso, dischiude un significato, offre una nuova chiave di lettura, permette alla persona di dare un significato nuovo a ciò che sta vivendo. Il credente cristiano è quel compagno di viaggio che si accorge di chi lungo la strada della vita giace a terra malmenato, e sa chinarsi e spargere il vino della consolazione. A volte si tratta di offrire una nuova chance, porgere la mano dell’amicizia, lasciare che l’altro entri, con la sua fatica, nella propria vita e famiglia. • La guarigione Quando ciò accade, quando cioè il Signore Gesù entra e tocca la vita della persona, essa si può rialzare in piedi. Alla piscina di Betzatà addirittura non c’è neppure bisogno che lo storpio entri nell’acqua. La parola/comando del Signore - «Alzati, prendi la tua barella e cammina» - è sufficiente per rimetterlo in piedi e compiere il miracolo della guarigione. Il compagno di strada, il credente che aiuta il viandante a relazionarsi con il Signore, porta ed accompagna fino a quell’incontro, non si sostituisce al Signore in quanto la salvezza avviene attraverso un incontro unico e personale. E il “salvato” diventa, a sua volta, capace di farsi compagno di strada per altre persone che cercano salvezza. L’origine di questi incontri liberanti è nel nostro battesimo, quando Gesù ci ha liberato da quella realtà di morte che ci induce a fare alleanza con il male piuttosto che con il bene: il peccato originale. Immersi nel suo amore crocifisso, ormai nulla può separarci da lui e con lui possiamo lottare contro ogni forma di male che affligge noi e l’umanità. Domande per noi • Rispetto al racconto evangelico dove mi colloco? Al bordo della piscina a chiedere aiuto, a cercare salvezza magari a discapito di altri, ad offrire aiuto a chi lo chiede? • Posso anch’io affermare di essermi incontrato con l’acqua della vita che mi ha ridato fiducia e speranza, mi ha rimesso in piedi perdonando il mio peccato? Memoria del battesimo Si pone al centro un’ampolla contenente l’olio per l’unzione dei catecumeni. Guida Nell’antichità l’olio era usato dagli atleti sia per tonificare i muscoli, sia per sfuggire alla presa degli avversari. Anche noi siamo stati unti con l’olio prima di essere battezzati per essere irrobustiti simbolicamente nella lotta contro satana e il peccato. Sostiamo qualche istante ripensando alla grazia ricevuta nel battesimo. Andiamo con la mente alle lotte che sosteniamo quotidianamente contro il male e chiediamo al Signore la forza di non soccombere. Dopo un tempo di silenzio preghiamo insieme, a due cori, con queste parole di don Angelo Saporiti: Quante volte, mio Dio, la vita mi dissangua... Quante volte, le mie energie se ne vanno per mille rivoli... Quante volte, le delusioni e i fallimenti hanno prosciugato la mia voglia di cambiare... Quante volte le mie scelte sbagliate, il mio modo di comunicare, di amare, mi hanno gettato nell’isolamento. In quei momenti, per non morire, ho cercato di raggiungere una sicurezza, ho voluto aggrapparmi a qualcuno che mi potesse aiutare, ho tentato di evitare gli sguardi taglienti di chi mi giudicava. In quei momenti, in cui mi ritenevo perduto, ho afferrato l’ultima spiaggia che potesse guarire il mio cuore: Te, Signore! Ho provato ad avere fede in te, a fidarmi della tua forza. Ho giocato il tutto e per tutto con te. E ho provato a venirti dietro, a seguirti. Ho provato ad imitare il tuo stile di vita, il tuo sguardo sul mondo e sulle cose, il tuo saper donare e ricevere, il tuo modo di toccare e di essere toccato. E tu mi hai guarito! Hai risvegliato in me quel fanciullo che era morto, o solo addormentato. Mi hai dato una nuova vita interiore. Mi hai mostrato nuovi modi di vivere il contatto con gli altri. Mi hai sollevato dalle amarezze, dalle stanchezze e dalle immobilità che bloccavano la mia vita. E mi hai detto: “Non avere paura. Continua solo ad avere fede”. E questo è l’unico, solo, assoluto segreto della mia rinascita interiore: la fede in te, Dio di guarigione! Dal Rito del battesimo: orazione di esorcismo e unzione prebattesimale Celebrante: Dio onnipotente, tu hai mandato il tuo unico Figlio per dare all’uomo, schiavo del peccato, la libertà dei tuoi figli; umilmente ti preghiamo per questo bambino, che fra le seduzioni del mondo dovrà lottare contro lo spirito del male: per la potenza della morte e risurrezione del tuo Figlio, liberalo dal potere delle tenebre, rendilo forte con la grazia di Cristo, e proteggilo sempre nel cammino della vita. Per Cristo nostro Signore. Assemblea: Amen. 57. Il celebrante continua: Ti ungo con l’olio, segno di salvezza: ti fortifichi con la sua potenza Cristo Salvatore, che vive e regna nei secoli dei secoli. Assemblea: Amen. Va’ e anche tu fa’ lo stesso In un appunto senza data, ma posteriore alla conversione, Paolo Caccone scrive così: «Pacificazione. Attraverso il silenzio e l’ascolto». La storia di quest’uomo ci dice come sia possibile oggi l’ascolto e il silenzio in mezzo al frastuono, alla dissipazione, allo stordimento dell’epoca. E come sia possibile nell’avventura di un uomo che quello stordimento aveva pienamente sposato. Nella sua esperienza – prima del silenzio – c’era stato il grido a Dio: «Ormai abbandonato alla disperazione più completa e in preda alla paura e al dispiacere totale del fallimento, una notte piansi e piansi ore ed ore, chiedendo a un Dio – se mai ce ne fosse stato uno – di aiutarmi: perché quello era il momento». Il grido al Signore e la pacificazione si intrecciano continuamente nell’avventura di Paolo. Per esempio di fronte alla tentazione per lui più forte, quella della «lussuria», come la chiama: Allora gridai il nome di Gesù, e tutto si disciolse». In una lettera a don Dossetti, scritta il 7 agosto 1990, trovo il suo testo più bello: «Dio è svisceratamente innamorato della sua creatura e il suo grande diletto consiste nell’ascoltarla, e per questo la tiene nella sua grande mano (Gesù), e la nostra intima gioia consiste nel sentirci stretti con forza a lui – vicino, vicino, vicino. Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze». All’omelia della messa di commiato, Dossetti parlò così di questo suo figlio dell’ultima ora: «Aveva percorso tutte le strade del mondo e tutte le possibilità terrene, in un’inquietudine che talvolta si cambiava in ribellione, e tal altra diventava ricerca sincera». Don Giuseppe invitò i genitori e i parenti di Paolo a vederlo come il figlio prodigo: «Egli è ritornato, capite? Il figliol prodigo è ritornato in bellezza, e vi è stato restituito dal Signore meglio e più grande di quello che era». E concluse così: «Nella nostra Famiglia è vissuto come un monaco perfetto, dandoci esempio e commuovendo tutti. Sicché noi diciamo: Paolo, prega per noi!». Dalla Lettera del Vescovo (n. 23): Essere battezzati significa seguire Gesù nella propria storia, avanzare nel tempo dietro a lui, praticando una fedeltà spesso esigente, bisognosa di lotta, di conversione continua. Non è un caso che dopo il battesimo ricevuto al Giordano (quello amministrato da Giovanni Battista, diverso dal nostro) Gesù si rechi nel deserto, dove «rimase quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc 1,12). In questo cammino di sequela, che può farsi difficile, soggetto alle seduzioni del male, il richiamo al proprio battesimo diviene prezioso e stimolante. Il rito del battesimo ci ricorda questo impegno di lotta per la conversione soprattutto nella “orazione di esorcismo” e nell’unzione pre-battesimale (con l’olio detto dei catecumeni). Una delle formule dell’orazione di esorcismo recita: «Umilmente ti preghiamo per questi bambini, che fra le seduzioni del mondo dovranno lottare contro lo spirito del male: per la potenza della morte e risurrezione del tuo Figlio, liberali dal potere delle tenebre, rendili forti con la grazia di Cristo, e proteggili sempre nel cammino della vita». L’unzione, fatta sul petto del bambino, richiama quella del lottatore. Nel rito antico, spogliato delle sue vesti prima di entrare nella vasca battesimale, il battezzando veniva unto interamente come il lottatore prima della sua competizione. Da sempre la vita cristiana è stata pensata anche come un impegnativo combattimento. Ricordiamo l’espressione dell’anziano Paolo a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tim 4,7). Antifona mariana Beata tu, Maria, divenuta Madre del Signore dei re! Nel tuo seno ha abitato colui della cui lode sono pieni i cieli. Beata tu, o Benedetta, perché per te è stata cancellata la maledizione di Eva! Grazie a te è stato pagato il debito comune contratto dal serpente per le generazioni. Tu hai generato quel tesoro che ha colmato il mondo di ogni aiuto. Da te è sorta la luce che ha distrutto il regno delle tenebre. (Efrem, il Siro) Guida Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. TuttiAmen. “Se conosce tu dono d ssi il i Dio” Il cieco nato “Tu credi nel Figlio dell’Uomo?”(Gv 9,35) La fede Scheda n. 4 Preghiera iniziale Invocazione (Gv 1,1.4-5.9-10.14) Guida Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. TuttiAmen. Lett. Tutti In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Signore, nostra luce, noi ti contempliamo. Lett. Tutti In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Signore, nostra luce, noi ti contempliamo. Lett. Tutti Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Signore, nostra luce, noi ti contempliamo. Lett. Tutti E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Signore, nostra luce, noi ti contempliamo. Tutti Vieni, Santo Spirito, donaci di confessare con fede ardente Gesù Cristo, Signore e Redentore, morto e risorto per noi. La vita ci parla In una soleggiata domenica mattina d’inizio estate, in parrocchia è prevista la celebrazione comunitaria dei battesimi. Un gran numero di parenti e amici si accalca in chiesa per partecipare alla Santa Messa. C’è chi sfoggia l’ultimo vestito color pesca, molto apprezzato dai vicini di banco. C’è chi si districa tra le varie borse contenenti i doni per l’avvenimento. C’è chi si arrampica sugli altari laterali per immortalare ogni attimo del rito. Ma c’è anche una comunità cristiana che, con emozione, accoglie nuovi fratelli che per mezzo del battesimo stanno per diventare figli di Dio. Adulti con cammini di fede diversi, alcuni messi in stand-by da tempo, altri coltivati in un crescendo continuo. Questi adulti sapranno esserlo anche nella fede, nell’accompagnare quei piccoli verso l’incontro vivo e vero con il Signore? • Riflettiamo per qualche istante sulla situazione descritta. Come ci interpella? In ascolto Dal Vangelo secondo Giovanni (9,1-39) [Questo vangelo può essere letto in forma dialogata tra il narratore, Gesù, i discepoli, i vicini, i Giudei, i genitori] Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando non può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Per riflettere • L’incontro tra Gesù e il cieco nato Il capitolo 9 del Vangelo di Giovanni vede per protagonista la vicenda di un uomo cieco fin dalla nascita, un uomo che non ha mai conosciuto la luce. Per quanto egli possa desiderare di cambiare la sua esistenza, c’è un’ineludibile condizione dalla quale non può uscire con le sue forze: come può un uomo che non ha mai visto la luce, immaginare di cosa si tratti? Ci sono situazioni dove anche noi siamo privi di luce, disorientati, pur magari senza esserne responsabili, magari segnati dalla fiducia tradita e dalle ferite della nostra storia personale. L’incontro con Gesù è sorprendente: senza nessuna richiesta da parte del cieco, Gesù interviene nella sua vita, decidendo di strapparlo alla sua cecità. Non si tratta però di donargli solamente la vista: quello che avviene è un cambiamento che ha i tratti di una nuova creazione. Il nostro incontro con Gesù non è il risultato della nostra ricerca, ma del fatto che Lui per primo ci è venuto incontro: è passato per la nostra strada, ci ha visti, ha deciso di cambiare la nostra esistenza. La fede è dunque il dono di Dio che ci viene incontro, la grazia di sentirci raggiunti dal suo amore, prima ancora di sceglierlo e decidersi per Lui. • La dinamicità della fede del cieco che diventa adulta Gesù è entrato nella vita del cieco nato senza chiedere permesso ma, contemporaneamente, gli chiede di esercitare la sua libertà, gli domanda di accogliere la sua iniziativa di grazia. Gesù gli spalma del fango sugli occhi e lo manda a lavarsi. Da quel momento comincia l’avventura del credente, accettando di recarsi a Siloe. Il cieco nato si fida dei gesti di Gesù prima ancora di capire e obbedisce a quanto gli viene chiesto senza domandare spiegazioni. Riacquistata la vista, per quell’uomo inizia un itinerario che lo porta, pur in mezzo ai contrasti, verso la luce. In un crescendo continuo, è portato a prendere consapevolezza di quella grazia che lo ha raggiunto. Dalla “sorpresa di vederci” la fede dell’uomo guarito cresce “di fede in fede”: dall’aderire personalmente alla sequela di Gesù che viene riconosciuto come profeta, al confronto a tratti aspro con i farisei, fino alla proclamazione finale. Gesù interviene di nuovo rivelandosi come “figlio dell’uomo”, colui che offre una salvezza profonda, una nuova creazione che trasforma la vita. Dinanzi a questa rivelazione, il cieco nato fa la sua professione di fede: «“Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui». La fede che abbiamo ricevuto in dono il giorno del nostro battesimo quando siamo divenuti figli di Dio rischia di rimanere un seme sterile se non viene coltivato, se non lo si porta a maturare e a crescere, se non giunge a portare fecondità nella vita quotidiana. • La comunità dei discepoli di fronte alla reazione del mondo Il brano si apre con la comunità dei discepoli che interroga Gesù sul perché della condizione di vita del cieco nato. Al miracolo appena compiuto da Gesù seguono diverse reazioni: quella della gente lì vicino che ha assistito, che rimane relegata ad una superficiale curiosità, senza sentirsi coinvolta direttamente, quasi indifferente. Oppure quella di condanna messa in atto dai farisei, di chiusura alla novità di Gesù, incapaci di riconoscere l’opera di Dio. Infine la reazione dei genitori dettata dalla paura dell’esclusione, preferendo le comodità di una vita priva di problemi rispetto alla ricerca della verità. Come comunità cristiana dobbiamo lasciarci interpellare profondamente da queste reazioni: scegliamo di essere comunità accogliente o ci adattiamo all’indifferenza? Riusciamo a dare fiducia a cammini di conversione appena percettibili o esprimiamo di fatto un’impietosa condanna? Sappiamo essere profetici o diventiamo accomodanti annacquando la portata del Vangelo? Domande per noi • Quali passaggi ha fatto la mia fede dal mio battesimo ad oggi? Da quali tratti è caratterizzata oggi? • Come la comunità cristiana può rendere più significativa la sua testimonianza della fede? Memoria del battesimo Si accende una candela, segno della luce della fede. La fiammella flebile, ma viva, accesa nel giorno del nostro battesimo, è arrivata fino al nostro oggi. Guida Fratelli carissimi, per mezzo del battesimo siamo divenuti partecipi del mistero pasquale del Cristo, siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, per risorgere con lui a vita nuova. Ora, rinnoviamo le promesse del nostro battesimo, con le quali un giorno abbiamo rinunciato a satana e alle sue opere e ci siamo impegnati a servire fedelmente Dio nella santa Chiesa cattolica. Guida Rinunciate al peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio? Tutti Rinuncio. Guida Rinunciate alle seduzioni del male, per non lasciarvi dominare dal peccato? Tutti Rinuncio. Guida Rinunciate a satana e a tutte le sue opere e seduzioni? Tutti Rinuncio. Guida Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Tutti Credo. Guida Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria Vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Tutti Credo. Guida Credete nello Spirito Santo, che è il Signore e dà la vita? Tutti Credo. Guida Credete nella santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Tutti Credo. Guida Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore. Tutti Credo. Dalla Lettera del Vescovo (n. 3): Ai genitori che portano il proprio bambino al fonte battesimale, il sacerdote chiede di assumere con serietà il loro compito, dicendo: «A voi il compito di educarlo nella fede, perché la vita divina che riceve in dono sia preservata dal peccato e cresca di giorno in giorno». E li invita poi ad esprimere la loro professione di fede, senza la quale il Battesimo del loro bambino mancherebbe di una condizione necessaria: «Se dunque, in forza della vostra fede, siete pronti ad assumervi questo impegno, memori delle promesse del vostro battesimo, rinunciate al peccato, e fate la vostra professione di fede in Cristo Gesù: è la fede della Chiesa nella quale il vostro figlio viene battezzato». Va’ e anche tu fa’ lo stesso Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buona volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamento della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata condannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profeta Maometto. Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico delitto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Non so se queste parole usciranno da questa prigione. Se il Signore misericordioso vuole che ciò avvenga, chiedo agli spagnoli [il 15 dicembre, il marito di Asia ritirerà a Madrid il premio dell’associazione HazteOir, ndr] di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissimo Paese affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia famiglia che mi manca tanto. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbiamo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ragazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham. Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a causa mia, perché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita. Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui». (Avvenire, 8 dicembre 2012) Dalla Lettera del Vescovo (nn. 34-35): È significativo che nel rito del battesimo, immediatamente prima dell’infusione dell’acqua vi sia, da parte del battezzando, o dei suoi genitori nel caso del battesimo dei bambini, la professione di fede, mediante le tre domande poste dal celebrante, a cui si risponde con un triplice «credo». [...] La fede precede, accompagna e segue il battesimo; ma lo stesso battesimo, mentre è uno straordinario dono di Dio, è nello stesso tempo una densissima professione di fede nella sua Parola e nella sua salvezza. [...] Si potrebbe dire che il battesimo è il punto di convergenza tra il dono di Dio, che nella sua gratuità ci strappa dal male e ci introduce nella sua stessa vita, e la risposta della persona che accoglie il dono con la sua risposta consapevole e grata. L’iniziativa è sempre di Dio, tutto parte da lui; una fede capace di accoglierlo è sempre dono suo: lo indica anche il gesto, già ricordato, della consegna del cero acceso al battezzato. Ma Dio non ci travolge, non si impone a noi con forza: vuole incontrare il nostro “sì”, che è il suo stesso amore, discreto e rispettoso, a rendere possibile. Antifona mariana Maria, Madre del Redentore e Madre nostra, porta del cielo e stella del mare, soccorri il tuo popolo, che cade, ma che pur anela a risorgere! Vieni in aiuto alla Chiesa, illumina i tuoi figli devoti, fortifica i fedeli sparsi nel mondo, chiama i lontani, converti chi vive prigioniero del male! (Giovanni Paolo II) Guida Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. TuttiAmen. Il fianco aperto “Gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua”(Gv 19,34) “Se conosce tu dono d ssi il i Dio” Il dono pasquale di Cristo Scheda n. 5 Preghiera iniziale [Per accompagnare la preghiera in quest’incontro si può esporre un’immagine del particolare del fiotto di sangue ed acqua del crocifisso di San Damiano, che cade sul capo di Giovanni] Guida Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. TuttiAmen. Tutti Vieni, Santo Spirito, facci ricordare, amare, comprendere e vivere oggi le parole e i gesti di Gesù. La vita ci parla L’omicidio di don Pino Puglisi non doveva apparire un delitto di mafia, bensì l’opera di un tossicodipendente o di un rapinatore. Per tale motivo fu utilizzata una pistola di piccolo calibro e al sacerdote fu sottratto il borsello. Ad attenderlo sotto casa erano Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza. Mentre padre Pino stava accingendosi ad aprire la porta, Spatuzza gli mise la mano sulla mano per prendergli il borsello, e gli disse piano: «Padre, questa è una rapina». Lui si girò, lo guardò, sorrise. Disse solo: «Me l’aspettavo». Non si era accorto di Grigoli che era alle spalle. Allora questi gli sparò un colpo alla nuca. Quel “sorriso” di padre Pino il Grigoli non riuscì più a dimenticarlo. Fu l’inizio di una trasformazione radicale della sua vita. In un’in- tervista raccontò: «C’era una specie di luce in quel sorriso. Un sorriso che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare; io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso... Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa». Il cappellano del carcere ha testimoniato: «Non dalle smorfie di dolore, ma dal sorriso di don Pino, l’assassino ha letto la misericordia di Dio, Dio ha trovato il suo cuore aperto». Un soffio di vita era uscito dalla morte di don Pino ed era entrato in colui che l’aveva ucciso. • Soffermiamoci qualche istante su questa testimonianza. Come ci interpella? Invocazione Lett. Cristo Salvatore, come il chicco di grano caduto in terra, hai conosciuto la morte. Tutti Unita a te la nostra vita porterà molto frutto. Lett. Gesù nostro fratello, tu sei morto e risorto per noi. Tutti Nulla più ci separerà dall’amore di Dio nostro Padre. Lett. Cristo Gesù, sei sceso fino al punto più basso della nostra condizione umana. Tutti Tu stai vicino a tutti coloro che sono abbandonati. Lett. Signore, nel tuo amore ti sei caricato dei nostri peccati. Tutti Tu, il solo innocente, hai subito la morte per strapparci alla morte. Lett. O Cristo, mite e umile di cuore, hai vinto il male e l’odio. Tutti Tu ora vivi per sempre accanto al Padre. Lett. O Crocifisso Risorto, tu ci ascolti nella tua bontà e ci visiti nel dolore. Tutti Riempi i nostri cuori rivelandoci la luce del tuo volto. In ascolto Dal Vangelo secondo Giovanni (19,31-35) Era il giorno della Parasceve e i giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Per riflettere • Immersi in Cristo Troppo facilmente c’è chi pensa al battesimo come ad un rito che aggrega ad una “associazione”, la Chiesa, la quale chiede a sua volta di assumere comportamenti adeguati al suo ideale, mettendo in pratica gli insegnamenti di Gesù. Certamente chi vuole dirsi cristiano è chiamato a imitare Gesù, e a vivere il suo vangelo, ma non è questo il punto di partenza della vita cristiana e di conseguenza non è questo il cuore del battesimo. Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma (Rm 6,3ss), ricorda come è iniziata la loro vita cristiana: «Siete stati battezzati in Cristo». Ora, se il termine “battezzare” significa “immergere” è per dirci che siamo “messi dentro” ad una relazione viva, quella con Gesù. Molti santi hanno sottolineato che per loro la vita con Gesù è simile a quella di “un pesce immerso nell’acqua”. Nel battesimo noi ci siamo messi nelle mani di Gesù e lui ci ha accolti per sempre in una comunione di amore. Eppure non basta affermare che siamo chiamati a vivere una relazione con Gesù, perché questa potrebbe rimanere un rapporto vago e legato ai propri sentimenti. «Mediante il battesimo – ci ricorda il Concilio – gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo. Con Lui morti, sepolti, risuscitati». È quanto Giovanni contempla sulla croce di Gesù, ed è quanto viene significativamente rappresentato nel crocifisso di san Damiano, dove il discepolo amato, immagine di ogni discepolo, si trova proprio sotto il fiotto di acqua e sangue che sgorga dal costato di Cristo. Lasciamoci perciò illuminare dal significato dei segni del sangue e dell’acqua. • Il sangue Il termine “sangue” nella Bibbia non sta a indicare una parte del corpo, indica invece un evento: “la morte”. Se il sangue è la sede della vita, il suo versamento indica la morte. Però, quella morte che Giovanni contempla sul calvario e nella quale veniamo immersi nel battesimo è una morte particolare e unica, è quella di Gesù; una morte dove soffia un potente alito di vita. Quel sangue è, infatti, non solo il segno negativo di una presenza di morte, ma il segno di un amore sconfinato, che non è stato vissuto “per scherzo”. E come spiega una suggestiva etimologia, “amore” significa “privo di morte” (a-mors). È, allora, grazie al battesimo che possiamo vivere la vita cristiana; immersi in un amore più forte della morte sappiamo vivere ogni evento della vita con la forza della Pasqua di Gesù. Con Lui continuamente attraversiamo i passaggi dalla morte alla vita e ogni giorno cominciamo a resuscitare con Lui. Memoria del battesimo • L’acqua Anche l’acqua porta con sé il duplice significato di vita e di morte: annegamento e rivitalizzazione. Gesù poco prima di morire aveva esclamato: «Ho sete», un’invocazione che richiama la richiesta d’acqua alla donna samaritana. E come alla donna aveva svelato d’essere Lui l’acqua viva, così ora sulla croce fa sgorgare la sorgente inestinguibile di quell’acqua. Una fonte di vita che ci appare sorprendente, perché sgorga da un cadavere, da un luogo di morte; come era sorprendete l’acqua viva che Ezechiele aveva visto sgorgare dal Tempio (Ez 47,1ss). E così come quel piccolo rigagnolo, diventato un immenso fiume, faceva risorgere la vita ovunque passava, fino a guarire le acque salate del mar Morto, così anche noi, immersi in Cristo, sentiamo sgorgare nella nostra esistenza quella sorgente di vita che già fin d’ora ci fa gustare anticipi di resurrezione. Due persone hanno saputo immergere subito la loro vita in quella di Gesù: il ladrone crocifisso e il centurione che aveva guidato il plotone d’esecuzione. Primi sepolti e risorti in Cristo. Guida Fratelli e sorelle, chiediamo con fiducia a Dio nostro Padre, che questo segno dell’acqua ravvivi in noi la grazia del battesimo, per mezzo del quale siamo stati immersi nella morte redentrice del Signore, per risorgere con Lui alla vita nuova. Tutti Padre nostro... Domande per noi • Immerso nella Pasqua di Gesù, quali passaggi dalla morte alla vita sono chiamato a vivere ogni giorno grazie al mio battesimo? • Qual è l’amore che oggi vince le forze della morte? Dove lo vedo in azione? [Si pone al centro un recipiente con dell’acqua] [Al canto di “Purificami, o Signore” (o altro canto o canone...) ognuno intinge le dita e si fa il segno della croce] Dal Rito del battesimo: liturgia del sacramento Preghiera e invocazione sull’acqua Celebrante: Padre misericordioso, dal fonte del battesimo hai fatto scaturire in noi la nuova vita di figli. Assemblea: Gloria a te, o Signore! Celebrante: Tu dall’acqua e dallo Spirito Santo fai di tutti i battezzati un solo popolo di Cristo. Assemblea: Gloria a te, o Signore! Celebrante: Tu infondi nei nostri cuori lo Spirito del tuo amore per darci la libertà e la pace. Assemblea: Gloria a te, o Signore! Celebrante: Tu chiami i battezzati perché annuncino con gioia il Vangelo di Cristo nel mondo intero. Assemblea: Gloria a te, o Signore. Celebrante: Per il mistero di quest’acqua santificata dal tuo Spirito, fa’ rinascere a vita nuova questo bambino, che tu chiami al battesimo nella fede della Chiesa, perché abbia la vita eterna. Per Cristo nostro Signore. Assemblea: Amen. Va’ e anche tu fa’ lo stesso Un santo testimone: padre Massimiliano Kolbe L’ultimo biglietto, padre Massimilano Kolbe (1894-1941), lo inviò da Auschwitz a sua madre, due mesi prima di morire nel bunker della fame. Aveva scritto: «Cara mamma, da me va tutto bene... stai tranquilla... perché il buon Dio c’è in ogni luogo e con grande amore pensa a tutti e a tutto». Se l’uomo sa aprire l’inferno sulla terra, padre Kolbe ha dimostrato che il battezzato continua a scendere, con Cristo, negli inferi. Immersi per sempre nell’amore del Crocifisso Risorto, i cristiani sanno immergersi negli abissi degli smarrimenti umani per accendervi le prime luci della resurrezione. I testimoni raccontano lo stupore di tutti i prigionieri che per la prima volta non udivano dal bunker maledetto uscire le urla e le bestemmie dei condannati a morte. Il campo tendeva l’orecchio all’eco delle preghiere e dei canti che penetravano attraverso i muri. La fama del gesto del frate polacco, che aveva offerto la sua vita al posto di quella di un padre di famiglia, aveva fatto il giro di tutti i campi. Un testimone ha detto: «Dire che padre Kolbe morì per uno di noi sarebbe riduttivo. La sua morte fu la salvezza di migliaia di vite umane... Quella fu una scossa che ci restituì l’ottimismo, che ci rigenerò e ci diede forza; rimanemmo ammutoliti da quel suo gesto che divenne per noi una potentissima esplosione di luce capace di illuminare l’oscura notte del campo». Nella cella accanto a quella dove padre Kolbe morì, un prigioniero ha graffiato con le unghie sul muro l’immagine di un “Sacro Cuore”. Nel calvario di Auschwitz quel fiotto di sangue ed acqua, sorgente di vita, ha continuato a sgorgare dal cuore di un battezzato. Dalla Lettera del Vescovo (nn. 21-22): Uniti a Cristo, noi ci ritroviamo dentro un disegno, una storia, che è frutto dell’iniziativa di Dio e che nel suo momento decisivo ha Gesù di Nazaret per protagonista. È la storia narrataci dalla Bibbia. Il rito del battesimo la richiama quando il sacerdote benedice l’acqua battesimale e ricorda il significato che l’acqua ha avuto in vari momenti di tale storia, divenendo così una “prefigurazione”, cioè una specie di immagine anticipata, del battesimo. Vale la pena di leggere quella preghiera. Dio, per mezzo dei segni sacramentali, tu operi con invisibile potenza le meraviglie della salvezza; e in molti modi, attraverso i tempi, hai preparato l’acqua, tua creatura, ad essere segno del Battesimo: fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di santificare; e anche nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine del peccato e l’inizio della vita nuova; tu hai liberato dalla schiavitù i figli di Abramo, facendoli passare illesi attraverso il Mar Rosso, perché fossero immagine del futuro popolo dei battezzati; infine, nella pienezza dei tempi, il tuo Figlio, battezzato nell’acqua del Giordano, fu consacrato dallo Spirito Santo; innalzato sulla croce, egli versò dal suo fianco sangue ed acqua; e dopo la sua risurrezione comandò ai discepoli: «Andate, annunciate il Vangelo a tutti i popoli, e battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». E ora, Padre, guarda con amore la tua Chiesa: fa’ scaturire per lei la sorgente del Battesimo, infondi in quest’acqua, per opera dello Spirito Santo, la grazia del tuo unico Figlio; affinché, con il sacramento del Battesimo, l’uomo, fatto a tua immagine, sia lavato dalla macchia del peccato, e dall’acqua e dallo Spirito Santo rinasca come nuova creatura. Discenda in quest’acqua la potenza dello Spirito Santo: perché coloro che in essa riceveranno il Battesimo, siano sepolti con Cristo nella morte e con lui risorgano alla vita: immortale. [...] Dio è “dentro” le vicende dell’umanità e dunque anche nella nostra vita: la nostra vita gli interessa, egli vuole esserci. Così la nostra piccola storia diviene parte di quella grande storia che i cristiani chiamano “storia della salvezza”. In essa Dio ci considera parte del suo popolo, popolo che egli ama di un amore sconfinato e che vuole condurre alla felicità senza fine. Antifona mariana Siamo uniti nella preghiera con te, Maria Madre di Cristo: con te che hai partecipato alle sue sofferenze. Tu ci conduci al Cuore del tuo Figlio agonizzante sulla croce, quando, nella sua spoliazione, si rivela fino in fondo come Amore. O tu, che hai partecipato alle sue sofferenze, permettici di perseverare sempre nell’abbraccio di questo mistero. Madre del Redentore! Avvicinaci al cuore del tuo Figlio! (Giovanni Paolo II) Guida Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. TuttiAmen.