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I bambini parlano di Dio

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I bambini parlano di Dio
I BAMBINI PARLANO DI DIO
Dott.ssa Pina Tromellini
PREMESSA: Alcune “idee” per iniziare
Sono una coordinatrice pedagogica da tantissimi anni; l’infanzia è diventata per me quasi
una patologia perché oggetto continuo dei miei studi e delle mie riflessioni. I libri che ho scritto
nascono infatti da ricerche sul campo, non sono dunque un’invenzione a tavolino di teorie astratte.
Prima di entrare nel merito, devo specificare quali sono i principi che sottendono questa
ricerca. Credo che oggi abbiamo bisogno di teorie forti, di teorie potenti con schemi di azione che ci
portano a riflettere, a scrivere, ad agire. Non posso dunque scindere da questi problemi teorici ed
esimermi dal ricordarli.
- l’idea di BAMBINO
L’idea di bambino si è molto modificata in questi ultimi anni. In passato si pensava che il
bambino fosse un individuo da dirigere e orientare e che l’adulto fosse più potente di lui: il bambino
era inteso dunque come un piccolo da collocare. Le scienze dell’educazione, negli ultimi anni,
hanno messo in luce che il bambino è invece un grande costruttore, ha già delle ipotesi notevoli
sulla vita e sul mondo, conserva domande importanti, riflette dentro di sé. Gli adulti però, sono
disposti a lasciarsi andare, ad ascoltare, ad imparare?
Il bambino ha dunque in sé le risorse per costruirsi e l’adulto ha il ruolo di chi ascolta,
osserva, sostiene. Egli deve essere disponibile e offrire pertanto le risorse perché il bambino possa
domandare, chiedere, interrogare, possa quindi agire. Il ruolo dell’adulto è perciò importantissimo,
ha una valenza alta.
-
l’idea di INTELLIGENZA SPIRITUALE
Rispetto al passato è cambiato l’atteggiamento mentale, educativo, sono mutate le didattiche,
le metodologie, gli spazi. Anche la ricerca di questi anni ha messo a fuoco maggiormente
l’importanza della mente e dell’intelligenza degli individui. Lo studioso psicopedagogista Gardner,
a partire dal quale elaboro anche le mie riflessioni, ha affermato che la donna, l’uomo, i bambini
non hanno un’unica intelligenza. Ognuno di noi possiede tante intelligenze: l’intelligenza motoria,
linguistica, fantastica, creativa…ecc.; l’individuo possederebbe “sette intelligenze e mezzo”; quella
definita a metà è l’intelligenza spirituale perché poco verificabile.
Una parte della nostra mente perciò medita e riflette sulle grandi domande dell’esistenza:
sulla morte, sulla vita, sul futuro, sull’aldilà. Questi studi rilevano che tale intelligenza spirituale
non emerge se l’adulto non aiuta il bambino ad allenarla. Semplificando ulteriormente i concetti,
questi studi affermano che ci sono due livelli per l’intelligenza e la mente, uno superiore e uno
inferiore. Una serie di informazioni date al bambino dal mondo esterno non sostenute però dalle
competenze dell’adulto, ad esempio, finiscono nella parte inferiore della mente e qui svaniscono.
Altre informazioni e altri input esterni sostenuti invece dall’adulto, avanzano nella parte superiore
del cervello che li elabora facendoli diventare grandi cose.
La scienza è molto cambiata nei confronti della spiritualità. Gli scienziati, infatti,
cominciano a sostenere che la coscienza esiste ed è strettamente collegata alla mente e ai suoi
processi, pertanto questo mondo interiore per la scienza c’è e va allenato e valorizzato.
-
l’idea della CURA
Oggi dobbiamo prenderci cura dei pensieri del bambino. Questo concetto del “prendersi
cura” lo affermo con forza perché parte da un’idea di grande rispetto che dobbiamo dare al
bambino.
I bambini sono portatori di culture molto diverse. All’interno delle nostre realtà oggi
abbiamo anche bambini di culture (civiltà) molto diverse ma anche i nostri stessi bambini sono
portatori di culture diversissime. Noi dobbiamo prenderci cura dei loro pensieri con molto affetto. Il
loro modo di conoscere e di affrontare il mondo è molto variegato e complesso; ha molti aspetti,
anche metafisici che si staccano dalla realtà e dalla concretezza e volano più in alto. Incominciamo
noi educatori - genitori, insegnanti - ad alzare, dunque, gli sguardi al cielo.
-
l’idea del “FARE ANIMA”
I bambini hanno grandi capacità di immaginazione e la loro spiritualità va allenata,
altrimenti scompare. C’è uno psicologo che io amo molto - James Hilmann - uno psicologo
junghiano contemporaneo legato a riflessioni su culture diverse, che richiama un concetto per me
eccezionale: sostiene che occorre nella nostra educazione “fare anima”. Intanto è importante che il
concetto di “anima” sia uscito in ambito scientifico e che gli scienziati ne parlino, discutano, offrano
teorie.
“Fare anima” cosa significa?.
Nello stesso modo in cui con i bambini usiamo la creta per manipolare, utilizziamo la carta
per fare delle cose, è possibile agire anche con l’anima. Il fare è legato alla concretezza, alla
manipolarità: cominciamo pertanto a manipolare l’anima, a scavarla, a pensare e riflettere sopra
questi pensieri molto intimi, molto profondi, che ognuno di noi ha.
Ciò comporta il fermarsi un attimo e ascoltare ciò che reca con sé il valore della lentezza e
non della frettolosità. Fermiamoci e ascoltiamo cosa accade fuori e dentro noi stessi. Questo è
necessario. Siamo i figli del disincanto, i figli dell’epoca contemporanea, planetaria, nella quale non
crediamo più a nessuno. Abbiamo grandi incertezze, grande sfiducia su tutto e tutti. Credo, pertanto,
che la conoscenza di questo mondo interiore ci debba riportare alla meraviglia. Come Monsignore,
anch’io mi meraviglio sempre dinanzi alle domande dei bambini. I miei libri sono realizzati a
partire dalle parole dei bambini che io colloco in un contesto teorico ed elaboro; sono loro che fanno
i miei libri. Torniamo, dunque, a meravigliarci anche come educatori; non abbiamo fretta di fare, di
produrre … ma ascoltiamo!
Sento che nelle insegnanti c’è un’ansia di fare vedere, di mostrare qualcosa, perché forse
temono il giudizio o la critica del genitore. Credo, invece, che ci sia bisogno di ridare valore ai
pensieri dei bambini immergendoci in essi senza fretta, ma dobbiamo darci del tempo per fare
questo.
L’atto cognitivo, l’atto relazionale è una grande dimostrazione di affetto. Lo stare insieme ai
bambini è un grande gesto di amore e di premura per ridare senso alla conoscenza individuale e
all’interiorità di ciascuno.
I bambini ci fanno inoltre riflettere su ciò che noi eravamo. Le generazioni del dopoguerra,
le nostre generazioni, avevano altre urgenze - quelle della sopravvivenza in primis - e non avevano
questa sensibilità e disponibilità. Possiamo dunque ora darci un’occasione per riprenderci questa
apertura all’ascolto.
VIAGGIO NELLA SPIRITUALITÁ INFANTILE
Vi ho illustrato brevemente le teorie che sorreggono la mia ricerca e dalle quali questa è
nata. È uno studio che copre la fascia d’età dei bambini della scuola dell’infanzia e del primo ciclo
delle elementari (4-9 anni) iniziata attraverso una fase di raccolta di dati. Quando ho cominciato ad
interrogare i bambini e a chiedere alle insegnanti un resoconto delle frasi dette in classe, ho scoperto
che questo mio lavoro era un boomerang perché nel momento in cui indagavo su questo materiale,
andavo studiando anche le radici della mia vita. É un aspetto del “fare educazione” molto
importante: c’è una reciprocità continua tra adulto e bambino, tra educatore e allievo; non sono due
mondi staccati.
Da questa ricerca ho ricevuto personalmente una ricchezza e conoscenza che mi ha dato
soddisfazione. Lo hanno detto in tanti grandi artisti, non solo spiritualisti o mistici, ma anche
personalità molto laiche, di quanto sia importante studiare il non visto, il non percepito, l’invisibile.
Ho visitato tempo fa la personale di un grande metafisico - Renè Magritte - introdotta da uno scritto
dell’autore stesso che in un certo senso la commentava e la caratterizzava: “Ciò che è invisibile non
si può cancellare ai nostri occhi”. Ed è vero.
-
le domande dei bambini e degli adulti…
Ho capito dalle parole dei bambini che essi hanno grandi bisogni, grandi domande e i
genitori non sempre sanno come rispondere. Quest’anno soprattutto, molti genitori mi hanno detto
che i loro bambini spesso li interrogano circa la morte e la morte - noi sappiamo - è il grande tema,
il grande mistero che apre al metafisico e al trascendente. I genitori mi chiedono cosa poter
rispondere a un bambino di quattro anni che fa questa domanda. È chiaro che ognuno risponderà in
base alle proprie competenze, alla propria cultura, alle proprie esigenze, ai propri credo, alle proprie
fedi. Certamente una risposta va data.
Altre tipologie di domande riguardano l’“al di là” nel senso di voler scoprire che tipo di
spazio e di vita ci sia appunto al di là…: Cosa c’è al di là delle nuvole, del cielo?
C’è dunque davvero una ricerca di grandi domande. È una responsabilità dare risposte ma
come educatori, genitori e insegnanti, dobbiamo darle. Un genitore può dire: guarda io non so tutto,
però per quel che so, è così...
Gerome Brunner, un altro grande e importante studioso, ci dice che i pensieri non si creano
solo nella testa, come abilità intellettiva ma sono intorno a noi, legati al contesto, alla famiglia, agli
amici. Il cosiddetto approccio sistemico, utilizzato spesso nelle nostre valutazioni, è un aspetto della
scienza che porta a giudicare il bambino non come entità a se stante ma nel suo contesto che oggi è
molto ampio; stare con i bambini è diventato oggi molto complesso.
Una delle grandi domande che mi sono posta è: Che cos’è la spiritualità? Cosa si deve
intendere per spiritualità?:
È un dialogo che ognuno fa con la propria interiorità? È un interrogarci continuamente su un
cammino che dobbiamo percorrere (sarò in grado di risolvere tutti i problemi, sarò all’altezza)? O
forse la spiritualità è qualcosa che si unisce nel corpo alla nascita, una predisposizione? È uno
spirito universale che entra nell’individuo già prima che nasca? I mistici del trecento dicevano che è
l’anima a scegliere il genitore, è questo spirito.
O ancora: È quel modo di affrontare la vita con l’aiuto di alcuni concetti come la compassione (io
ascolto gli altri e mi rendo partecipe al dolore degli altri), come la pietas? La spiritualità è forse il
conforto di una vicinanza che ci accompagna in un viaggio interiore?
Lascio aperta la possibilità di una o più risposte; per me può esser tutto o qualcosa in
particolare. Ma certamente mi sento di dire che i bambini hanno bisogno di un conforto, di una
vicinanza. Anche i nostri bambini non stanno bene: sono incerti, insicuri, con problematiche e
difficoltà che riflettono nella quotidianità. Ci sono bambini che si svegliano, o che non dormono
mai, che hanno crisi alimentari, che sono iperattivi… I bambini esprimono i loro disagi come
possono e credo che essi abbiano davvero bisogno di questo conforto, di questa cura; essi hanno
bisogno di essere presi per mano partendo però dal presupposto che anche il bambino che sta male,
che ha grandi difficoltà, ha anche grandi potenzialità che vanno fatte emergere perché diventino per
lui una risorsa e una ricchezza.
Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre mi sono molto interrogata, anche i genitori si sono
molto interrogati. Mi sono sempre considerata, un po’ teoricamente, “cittadina del mondo” ma mi
sono resa conto che conoscevo solo una parte del mondo e un’altra parte la ignoravo; non
conoscevo abitudini, non conoscevo situazioni se non vagamente. L’11 settembre ci ha posto di
fronte a nomi nuovi, luoghi nuovi, abitudini nuove, paure nuove di mondi completamente lontani.
Recentemente ho parlato con un genitore molto angosciato che mi poneva alcune domande.
Aveva visto un film molto interessante anche se drammatico che portava a conoscenza la realtà
dell’infanzia curda che abita tra l’Iran e l’Iraq. È un’infanzia costretta a lavorare con grandi fatiche,
con grandi malattie, con grandi disagi. Questo genitore si chiedeva se era possibile far incontrare
queste due realtà, questi due mondi così diversi: il nostro occidentale dove i bambini sono coccolati
e superprotetti e questa infanzia che non esiste perché termina molto presto, che non sa cosa
significa giocare e non ha nessuna caratteristica dell’età che sta vivendo. Lui aveva percepito che
non eravamo di fronte a mondi differenti, eravamo di fronte a degli abissi.
E poi: I nostri figli che tutti i giorni si trovano in televisione e in diretta la guerra, la morte, la
malattia, come possiamo aiutarli a sognare perché valorizzino certi aspetti piuttosto che altri? Come
posso spiegare a mio figlio la solitudine dei bambini, la morte dei bambini?
Io credo che aiutare i bambini a compiere questo viaggio nella spiritualità sia una
responsabilità dell’adulto, sia una nostra responsabilità.
-
Esperienze di anticipazione
La mia ricerca è stata trasversale. Mi sono resa conto che questa spiritualità, questo bisogno
di parlare di Dio, del paradiso e degli angeli riguardava tutti bambini, sia quelli che appartenevano a
famiglie cattoliche con un’impronta di fede, sia quelli che non avevano avuto questo tipo di
educazione. I bambini si parlano, raccontano, interagiscono. Nelle loro risposte c’erano dunque
delle “contaminazioni” nel senso che queste domande attraversavano la realtà di tutti i bambini
indipendentemente dal tipo di famiglia al quale appartenevano.
Nel mio libro1 comincio con un capitolo intitolato «Anticipazione»: è un piccolo flash di
quello che avviene una sera all’interno di una famiglia tra una mamma e il suo bambino.
1
P. Tromellini, Cosa pensano i bambini di Dio. Viaggio nella spiritualità infantile, Salani editore, 1998.
Questa madre mi raccontava che prima di andare a dormire c’era l’abitudine di parlare insieme, di
“fermare la giornata”, di pensare a quello che era successo, di fare una riflessione. Anche questo è
importante perché la spiritualità nasce da queste pause di riflessione e non dalla frettolosità. Questo
bambino chiede alla madre: “Posso dire una preghiera? Devo chiedere qualcosa a Dio”. Questa
madre si meravigliava perché non gli aveva dato una educazione di questo tipo ma l’ha assecondato,
l’ha ascoltato. Il bambino a suo modo ha chiesto cose molto concrete: “un gioco, un regalo, un leone
per difenderci, tre bottoni perché se li perdo dalla maglietta ce li ho di ricambio”. Se volete, non è
un preghiera di grande spiritualità, è una preghiera molto simpatica, quasi un gioco… però c’è già il
fatto stesso di questa consapevolezza: che la preghiera ci fa fermare, “io devo rendere grazie a
qualcuno, mi fermo per chiedere qualcosa a qualcuno”. L’esperienza di questo bambino
probabilmente si evolverà e da grande potrà chiedere altre cose non legate esplicitamente al mondo
materiale.
Quando Alice Miller, si chiede quale sia la “chiave accantonata” che permette al bambino di
entrare nella sua interiorità, trova che essa sia proprio il genitore. La chiave che apre il mondo
dell’interiorità è dunque questa. Entra qui molto in gioco la disponibilità materna.
Voi sapete che la comunicazione tra madre e bambino nasce già nella fase dell’allattamento.
Le ricerche dicono che mentre la madre allatta il bambino avviene qualcosa di magico, di fantastico,
c’è uno sguardo comunicativo tra madre e bambino nel quale passa il rafforzamento della loro
comunicazione. Durante l’allattamento avvengono delle pause, il bambino si ferma, ma perché?
Prima si pensava che si fermasse per digerire, per deglutire ma si è visto che è in grado di fare
questo anche stando attaccato al seno materno. Il bambino in questa pausa guarda la madre per dire
“ci sei, sei vicino a me, sei presente”; e la madre guarda il bambino quasi a dire “ci sono, vai avanti
nella tua esperienza, io ti accompagno”. Ci sono alcune madri che mentre allattano, guardano la
televisione o fanno altre cose; è molto importante, invece, tenere vivo questo filo comunicativo
perché è il rafforzamento per quello che succederà dopo.
Molti genitori dicono: “mio figlio è cambiato, prima mi raccontava, ora si è chiuso non
comunica più nulla” ma interrogandoli, andando indietro nella loro storia, ascoltando come questa
comunicazione si è realizzata, ci si rende conto che essa non è avvenuta realmente. Il genitore pensa
che il livello comunicativo avvenga soltanto quando il bambino ha 8-9-10 anni perché è un bambino
che sa parlare. Non è così. Tutto ciò che accade prima è anticipazione del suo mondo interiore.
-
…alcune risposte
I bambini chiedono e rispondono: Che cosa significa avvicinarsi ai luoghi dove sta Dio?
Cos’è il cielo? Una bambina dice: “Su in alto, il cielo ha le nuvole tutte bianche, dentro c’è l’acqua
e sono pesanti; sulle nuvole ci abitano gli angeli che sono quelli che stanno vicino a Gesù. Gesù ce
l’ha una casa, è fatta di nuvole. Quella degli angeli è più lontana è di cielo e di colore sbiadito. Se
vado l’ha in alto, non so se vedo Gesù, però mi piacerebbe”.
Un altro: “Le stelle sono gli occhi del cielo e forse mio nonno da lassù ci guarda e ci illumina; i suoi
occhi erano grandi e buoni”. Già qui c’è una spiegazione che il bambino dà a se stesso della morte.
“La mia casa è come una scatola, dentro è piena dei tesori; se tolgo il coperchio e guardo in su mi
immagino un tetto di cielo e di nuvole. Secondo te dentro le nuvole ci sono degli esseri?”; questa è
una bambina di 6 anni
Un'altra domanda: Cosa c’è al di là del cielo?
“Là c’è silenzio perché Babbo Natale che ci abita è un vecchio calmo che pensa ai bambini. Il
silenzio a noi bambini non ci piace, a noi piace giocare e stare in compagnia, però forse in cielo il
silenzio ci vuole per ascoltare il movimento delle stelle e perché Babbo Natale deve pensare ai
nostri regali. Io scommetto che il silenzio non c’è sempre in cielo perché le stelle, gli asteroidi e le
comete fanno dei suoni; è una musica che non sentiamo con le nostre orecchie perché è troppo
lontana”.
“Penso al cielo che è quella cosa rotonda che sta in lato, sopra le nostre teste; non so a cosa sta
appoggiato, Come fanno a stare su le nuvole, la luna e le stelle? Forse c’è qualcosa che noi non
vediamo che dà la forza e anche i colori”.
“Io so che lassù è tutto morbido perché se è duro gli angeli non potrebbero volarci in mezzo”.
“Io ho assaggiato le nuvole quando sono andato in aereo a New York. Le ho masticate, sono salate e
un po’ dolci come lo zucchero filato”.
“Guardando le nuvole io penso alle loro forme strane che assomigliano a dei dinosauri con delle
lunghe code…”
“So che lassù c’è Gesù con gli angeli e ci sono i morti e i bambini che devono nascere”.
Ho fatto un confronto tra le cose che dicono i bambini strettamente legate alla natura, al
mondo, alle cose belle che stanno intorno a loro, e una preghiera degli indiani yakoo. È una
preghiera molto bella; loro avevano un modo di pregare strettamente connesso agli alberi, al sole,
alla natura e ho trovato che c’è una sorta di animismo, di primitivismo tipico dei bambini che hanno
questa fantasia, questa immaginazione naturale nei confronti delle cose. Dice questa preghiera:
Le mie parole sono intrecciate con gli alti monti,
con le alte rocce, con gli alberi,
intrecciate a te con il mio corpo e il mio cuore
e tu notte guardatemi tutti
io formo un tutt’uno con questa terra.
C’è questa simbiosi, questo legame con l’ambiente, la terra.
L’idea di Dio nasce dalla morte. Una bambina dice: “Io non voglio morire ma mi piacerebbe
andare in paradiso lo stesso”. E ancora: “A me non piace morire e non vedere più il mio papà, la
mia mamma, e i miei fratelli se però morirei, vorrei che tutti fossimo insieme in paradiso”.
“Morire vuol dire perdere la vita non è bello pensarci, sembra un film dell’orrore”.
Alla domanda precisa: che cosa significa la morte? i bambini hanno risposto:
“É quando finisce il ciclo della vita. Ogni esser vivente ha delle tappe: nasce, si nutre, si riproduce e
muore. Allora l’anima, che è lo spirito, viene fuori dal cervello”.
“Noi moriamo con il corpo e per chi ci crede c’è un’altra vita. Per il non credente io non lo so, forse
pensano che l’anima e il corpo rimangono lì dove sono”. Questi bambini hanno 8-9 anni.
Abbiamo anche chiesto loro cosa ti piacerebbe sapere, e hanno detto cose stupende:
“Perché ti chiami Dio?” “Perché non ti vedo?” “Perché sei così potente?” “Perché sei il capo del
Paradiso?” “Perché sei infinito?” “Perché non vieni ancora a giocare con noi bambini?” “Io non ti
ho mai sognato, perché?”. Grandi domande di fronte a questo mistero.
Vi cito le altre domande che noi abbiamo fatto ai bambini: Sai chi è Dio? Chi ti ha parlato di
Lui? E i bambini rispondono. Alla domanda Dio parla? abbiamo avuto risposte eccezionali:
“Come faccio a sentire quello che Dio mi dice in mezzo ai rumori delle macchine, delle moto e
della televisione. Di notte quando c’è silenzio le parole si sentono dentro al cervello come in un
sogno. Forse il giorno dopo io non me le ricordo, però sono contento lo stesso”.
“Quando Dio parla tutti lo dovremmo ascoltare e non dire che dobbiamo giocare. La maestra ci
sgrida se non siamo attenti e così Dio, ma lui non scrive le note.”
Ancora qualche domanda per darvi l’idea del percorso fatto: Che fa Dio quando ha un po’ di
tempo libero? Tu sei suoi amico? Che pensa Dio dei bambini? Cosa pensa Dio di te? …e qui esce
tutto il mondo interiore del bambino, dei loro racconti. Come lo disegneresti? Come ti immagini gli
angeli e chi abita in paradiso?
Vorrei chiudere con le preghiere dei bambini perché i bambini sanno pregare, evidentemente
a partire dalle loro concretezze.
“Caro Dio fa’ che il mio nonno Orlando possa vedermi dal cielo.”
“Caro Dio non farmi dire le parolacce quando mi arrabbio con Marco.”
“Ti prego fai che Babbo Natale mi porti il computer, se tu glielo dici, lui ti obbedisce.”
“O mio Gesù aiutami a parlare, a leggere e a scrivere” (questo era un bambino che aveva appena
iniziato la prima elementare)
“Caro Dio fa’ che smetta la guerra perché è brutta, la vita è bella.”
“Caro Dio io da grande voglio fare il vigile del fuoco per aiutare chi è in difficoltà.”
“Caro Dio mi fai diventare Peter Pan?”
(testo tratto dalla registrazione
e non rivisto dall’autore)
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