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Esercitazioni di Impianti Elettrici 1

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Esercitazioni di Impianti Elettrici 1
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 2: C.d.T. negli impianti elettrici - 21/10/98
pag. 1
Esercitazioni di Impianti Elettrici 1
N° 2: Calcolo dello stato di regime negli impianti elettrici
2.1 - Richiami di teoria ed esempi
2.1.1 - Tassonomia dei nodi e caratteristiche dei carichi
In un sistema elettrico i nodi possono essere classificati in base alle loro condizioni di
generazione e di carico:
-
Le sbarre di potenza infinita (in realtà la potenza che essi possono erogare non è
infinita, ma solo molto grande) hanno un valore di tensione imposta, che non cambia
al variare delle condizioni di carico; sono in grado di fornire (o assorbire) qualunque
quantità di potenza attiva e reattiva che la rete richieda (o che la rete ceda per
esubero); per questo un nodo di questo tipo viene chiamato nodo di saldo (o,
dall'inglese, "nodo slack") perché è in grado di chiudere il bilancio delle potenze attive
e reattive in rete: potenze assorbite dal carico + perdite = potenze erogate dai
generatori + potenza erogata dal nodo di potenza infinita. Solitamente la tensione di
questi nodi viene presa come riferimento per l'angolo di fase di tutte le grandezze
fasoriali. Per tale ragione vengono anche definiti nodi "θ,V " perché per essi angolo di
fase e modulo della tensione sono le grandezze prefissate, mentre le grandezze P , Q
erogate sono libere, e dipenderanno da quanto richiede il resto della rete.
-
Le sbarre in cui sono presenti generatori sono solitamente esercite a tensione
imposta. Il regolatore di tensione del generatore o dei generatori in esse presenti è
predisposto in modo da adeguare automaticamente la corrente di eccitazione al
variare del carico in modo che la tensione ai morsetti rimanga costante, ad un valore
prefissato da chi esercisce il sistema. Inoltre, il regolatore di velocità (o di potenza) è
predisposto in modo da fare erogare ai morsetti un valore di potenza attiva costante (a
meno che la frequenza in rete non si allontani dal valore nominale, ma di questo si
discuterà in altra sede). Per tale ragione vengono anche definiti nodi " P ,V " perché per
essi le grandezze prefissate sono modulo della tensione e potenza attiva erogata,
mentre le grandezze θ,Q sono libere, e dipenderanno dall'interazione di questo nodo
con il resto della rete.
-
Le sbarre in cui sono presenti solo carichi sono solitamente chiamate nodi " P , Q ",
perché queste (potenza attiva e reattiva assorbite) sono le grandezze prefissate,
mentre la tensione in modulo e fase è libera, e θ,V assumeranno i valori opportuni
affinché dai vari rami afferenti al nodo convergano verso il nodo medesimo potenze
attive e reattive in valore complessivo pari a quanto il carico richiede. Anche i nodi di
puro transito e di incrocio tra più rami possono essere, per estensione, ritenuti nodi di
tipo " P , Q ", dove però potenza attiva e reattiva assorbite o cedute all'esterno sono pari
a 0. In alcuni casi anche i nodi di generazione possono essere ritenuti di tipo " P , Q ":
quando il regolatore di tensione funziona in modo da fornire una potenza reattiva
costante, anziché una tensione prefissata (pertanto, in tali condizioni, la tensione è
libera); oppure quando la potenza reattiva che la rete richiede al generatore supera i
limiti di capability della macchina sincrona, e quindi il regolatore di tensione non è in
grado di conservare la tensione prefissata: la potenza reattiva fornita è pari al limite
che si è tentato di superare, la tensione è libera.
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 2: C.d.T. negli impianti elettrici - 21/10/98
pag. 2
Un breve commento riguarda il fatto che i carichi vengano considerati con valori di potenza
attiva e reattiva non solo prefissati, ma costanti, anche al variare della tensione. Questo
modello è una approssimazione della realtà.
Nella realtà i carichi passivi (resistenze o comunque impedenze) sono solitamente bipoli
lineari, e pertanto potenza attiva e reattiva assorbite seguono una legge quadratica al
variare della tensione. Tuttavia, per un impianto industriale o per una porzione di territorio
civile tali carichi sono solo una parte, spesso piccola, del carico complessivo; la parte
rimanente è costituita da carichi attivi (motori) oppure da dispositivi elettronici di potenza
(la cui diffusione è molto cresciuta negli ultimi anni, e tende a crescere ulteriormente), che
seguono leggi diverse da quelle lineari.
Anche per i carichi lineari è comunque ipotizzabile, almeno in termini statistici, una
autoregolazione, sia essa artificiale oppure gestita dall'uomo: se per esempio la finalità di
una stufetta elettrica è quella di scaldare un ambiente, qualora la tensione applicata
dovesse aumentare, aumenterà anche il calore prodotto, e quindi la temperatura; l'utente
interverrà per ridurre la potenza erogata, agendo sulla manopola di regolazione con la
conseguenza di ridurre la corrente assorbita (vengono messi fuori servizio uno o più degli
elementi resistivi in parallelo) e quindi di riportare l'assorbimento di potenza al valore
originale. L'esempio è banale e forse troppo semplicistico, ma aiuta a comprendere come
in termini statistici, su un grande numero di utenti, quello che tende a rimanere costante è
la potenza complessiva richiesta.
Inoltre, quasi tutti i trasformatori usati nella distribuzione dell'energia elettrica sono di tipo
LTC (on-Load Tap Changer), vale a dire con variatori di prese sotto carico, in grado cioè di
adeguare il rapporto di trasformazione in modo da fornire al carico una tensione di
alimentazione il più possibile costante (ovviamente, le prese permettono una regolazione a
scalino e non continua, ma tra scalino e scalino la distanza è piccola).
Per i carichi attivi (motori asincroni) la potenza attiva è pressoché costante al variare della
tensione in quanto la caratteristica elettromeccanica ("curva di coppia") segue una legge
quadratica al variare della tensione, per cui al variare di quest'ultima il punto di lavoro si
sposta, ma coppia e velocità meccanica, e quindi potenza meccanica, cambiano di
pochissimo; cambiano un poco le perdite attive, ma queste sono comunque già una
percentuale piccola rispetto alla potenza meccanica (2÷6%); cambiando di pochissimo la
potenza meccanica e di poco le perdite, la potenza elettrica, pari alla somma di tali due
grandezze, subisce solo lievi variazioni al variare della tensione. Più sensibile la variazione
della potenza reattiva, che segue leggi non lineari e neppure quadratiche. Tuttavia anche
per questi carichi sono spesso presenti trasformatori tipo LTC che riducono molto l'entità
delle variazioni di tensione lato carico e quindi della potenza reattiva assorbita.
Il modello " P , Q " costante è quindi una buona approssimazione per i carichi se questi sono
visti da nodi AT e in MT (cioè con i trasformatori LTC già inclusi nel carico medesimo e
quindi "trasparenti"). Altri modelli prevedono carichi con leggi del tipo:
P + jQ = P0 ⋅ V& α + jQ0 ⋅ V& β
dove α e β sono esponenti in generali diversi da 2. In queste esercitazioni questi modelli
più sofisticati non verranno per ora considerati.
In una rete di N nodi si avranno N PV nodi di tipo "PV", N PQ nodi di tipo "PQ" e un nodo di
saldo, con:
N = 1 + N PV + N PQ
(1)
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2.1.2 - Iniezioni nodali e matrice delle ammettenze nodali
Per ogni nodo di un sistema elettrico si considerino:
a) le correnti che da tale nodo, attraverso i rami della rete ad esso afferenti, vanno verso i
nodi adiacenti (ammettenze longitudinali dei cti equivalenti a Π dei rami) oppure verso
terra (ammettenze derivate dei cti equivalenti a Π dei rami e ammettenze dei rami
shunt nodali);
b) le correnti che dall'esterno siano iniettate nel nodo: generatori (correnti iniettate
positive) e carichi (correnti iniettate negative).
In base al principio di Kirchhoff ai nodi, la somma (fasoriale) delle correnti di cui al punto
"a)" è pari alla somma (fasoriale) delle correnti di cui al punto "b)".
Se si considera la matrice delle ammettenze nodali, vale che:
[I&] = [Y& ]⋅ [U& ]
(2)
dove, ovviamente:
[I&]
è il vettore colonna delle correnti iniettate dall'esterno nel nodo (verso convenzionale
positivo se entranti), in pu;
[U& ] è il vettore colonna delle tensioni nodali, in pu;
[Y& ] è la matrice delle ammettenze nodali, in pu.
Per cui:
N
I& i = ∑ Y& ij ⋅ U&
j =1
(3.1)
j
dove N è il numero dei nodi. Normalmente la matrice delle ammettenze è fortemente
sparsa, vale a dire che per ciascuna riga/colonna il numero di elementi diversi da 0 è solo
una piccola percentuale del numero totale di elementi. Infatti sono diversi da zero solo gli
elementi diagonali e gli elementi fuori diagonale corrispondenti ai soli nodi j collegati al
nodo i ; in una normale rete di trasmissione o di distribuzione ciascun nodo è collegato, in
media, solo ad altri 2 o 3 nodi, mentre N può essere anche molto grande (decine o
centinaia di nodi). La sommatoria (3.1) quindi si riconduce alla somma di solo pochi
elementi per ciascun nodo i -esimo:
I& i = Y& ii ⋅ U& i +
∑( Y)&
ij
⋅ U&
j∈C i
(3.2)
j
dove C (i ) è l'insieme dei nodi j collegati al nodo i (mediante linee, trasformatori, etc.);
Un altro modo di studiare il problema è il seguente:
I& i = U& i ⋅ y& sh,i +
∑( ) (U&
j∈C i
i
⋅ y& ij 0 + (U& i − U& j )⋅ y& ijL
)
(4.1)
dove:
y& sh,i è una eventuale ammettenza shunt nel nodo (si pone = 0 se non è presente);
y& ij 0
è l'ammettenza derivata nell'estremo i del cto equiv. a Π tra il nodo i e il nodo j ;
y& ijL
è l'ammettenza longitudinale del cto equiv. a Π tra il nodo i e il nodo j ;
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le ammettenze sono state scritte in lettere minuscole per non confonderle con gli elementi
della matrice delle ammettenze nodali, che sono in maiuscolo.
La (4.1) può essere riscritta come:

I& i =  y& sh ,i +

∑( ) (y&
j∈C i
)
(
)

+ y& ijL  ⋅ U& i + ∑ − y& ijL ⋅ U& j
j∈C (i )

ij 0
(4.2)
ed è evidente come questa formulazione sia del tutto equivalente alla formulazione (3.1).
Infatti per definizione:
Y& ii = y& sh,i +
∑ (y&
j∈C (i )
ij 0
+ y& ijL
)
Y& iy = − y& ijL
e quindi la (4.2) equivale a:
I& i = Y& ii ⋅ U& i +
∑( Y)&
ij
⋅ U&
j∈C i
j
che altri non è se non la (3.2), equivalente alla (3.1).
Grazie a queste espressione è possibile ricavare la formula che esprime il valore della
potenza attiva e reattiva iniettata nel nodo dall'esterno (generatori, carichi, etc.):
*
A& i = P&i + jQ& i = U& i ⋅ I& i =
*
*
= U& i ⋅ U& i ⋅ Y& ii +
∑( U) &
j∈C i
(5.1)
*
*
⋅ U& j ⋅ Y& ij
i
siano allora, per i generici nodi k e l :
U& k = U& k ⋅ e jθk ;Y& kl = G& kl + B& kl
la (5.1) può quindi essere riscritta come:
*
*
A& i = P&i + jQ& i = U& i ⋅U& i ⋅ Y& ii +
(
) ∑U&
()
⋅ (G& − jB& ) + ∑U&
= U& i2 ⋅ G& ii − jB& ii +
= U& i2
ii
ii
(
j∈C i
j∈C (i )
) ∑U&
()
= U& i2 ⋅ G& ii − jB& ii +
j∈C i
i
∑( U) &
j∈C i
*
i
*
⋅U& j ⋅ Y& ij =
(
)
j (θ −θ )
⋅ U& j ⋅ e i j ⋅ G& ij − jB& ij =
(
(5.2)
)
&
&
&
i ⋅ U j ⋅ (cos θ ij + j sen θ ij )⋅ Gij − jBij =
i
((
)
(
⋅ U& j ⋅ + G& ij cos θ ij + B& ij sen θ ij + j ⋅ − B& ij cos θ ij + G& ij sen θij
))
dove θij = θi − θ j ;
vale a dire:
P&i = +G& ii ⋅ U& i2 +
Q& i = − B& ii ⋅ U& i2 +
∑U&
j∈C (i )
i
(
)
(
)
⋅ U& j ⋅ + G& ij cos θ ij + B& ij sen θ ij
∑U& i ⋅U& j ⋅ − B& ij cos θij + G& ij sen θij
j∈C (i )
(5.3)
Si noti come le espressioni della potenza siano non-lineari, e come la potenza attiva o
reattiva iniettata in un nodo dipenda: dai parametri passivi della rete, che possono essere
considerati costanti, e dalla tensione in modulo e fase del nodo interessato e dei nodi ad
esso collegati. Si può anche scrivere, in forma generale e simbolica:
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[ ][]
[ ][]
P&i = f P ,i ([θ], U& , {Y& })
Q& i = f Q ,i ([θ], U& , {Y& })
pag. 5
(6)
dove f P ,i e f Q,i sono le funzioni non lineari (5.3) che esprimono la potenza attiva e reattiva
nel nodo i -esimo; negli argomenti di tali funzioni si evidenziano le variabili indipendenti
(tensione in modulo U& e fase θ ), che possono variare con le condizioni di
funzionamento o le imposizioni del gestore della rete, e i parametri ( Y& ) che sono posti,
per distinzione, tra parentesi graffe, e che sono invece invarianti (fin quando la rete non
viene modificata; si trascurano le dipendenze dei parametri passivi dai valori delle tensioni
e delle correnti).
[ ]
[]
2.1.3 - Le reti radiali
Un caso particolare, ma molto comune, di reti elettriche è quello delle reti radiali.
A partire da un nodo che può essere assimilato ad un nodo di potenza infinita si dipartono
delle serie di rami in configurazione radiale, cioè senza ulteriori connessioni tra una serie
di rami e un'altra; queste serie di rami sono composte da linee ed, eventualmente, da
trasformatori, posti tutti in serie l'uno all'altro; nei vari nodi di congiunzione tra un ramo e il
successivo possono essere posti dei carichi. Il ramo o la serie di rami tra carico e carico
prende spesso il nome di tratta.
Ciascuna serie di rami, dal punto di partenza fino al nodo più lontano, prende il nome di
dorsale; perché il sistema possa ancora essere chiamato radiale sono ammesse eventuali
biforcazioni della dorsale, purché le varie sottodorsali così ottenute non abbiano successivi
punti di ricongiunzione.
Il sintesi, il sistema può essere definito radiale se non esistono in esso maglie o anelli
chiusi.
La dorsale può essere costituita per l'intera sua lunghezza del medesimo tipo di cavo o di
linea aerea, oppure di cavi o linee con caratteristiche differenti (tipicamente, con sezione e
quindi portata maggiore le prime tratte, poi a decrescere nelle successive).
Quando siano noti:
a) il valore della tensione del nodo iniziale (nodo di alimentazione) della dorsale,
b) i parametri elettrici ( R , X ) delle varie tratte della dorsale,
c) i valori dei carichi P&Ci + jQ& Ci nei nodi della dorsale, modellizzati come carichi "PQ",
allora sono disponibili vari metodi per calcolare la tensione in tutti i nodi, e di conseguenza
le correnti in tutte le tratte. Esistono metodi diretti, che calcolano la caduta di tensione su
una tratta, ma con una certa approssimazione; esistono metodi iterativi, che procedono
per approssimazioni successive, ma che garantiscono una soluzione esatta fino al livello di
precisione desiderato (compatibilmente con la potenzialità degli strumenti di calcolo).
Verrà per primo considerato il metodo approssimato per il calcolo della c.d.t. in una
tratta. Siano noti:
- la tensione del nodo di partenza U& ; per comodità si considererà pari a 0 la fase di tale
1
-
tensione;
la potenza attiva e reattiva in transito sulla tratta dall'estremo 1 all'estremo 2, misurata
al nodo di partenza, che verrà indicata come P&T 1 + jQ& T 1 ;
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-
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i parametri elettrici ( R , X ) della tratta
In realtà è molto più frequente conoscere la potenza assorbita al nodo di arrivo: il caso
tipico è infatti quello di un nodo di carico, con valore del carico noto, alimentato da una
linea che lo congiunge ad un nodo più a monte, di cui è invece nota la tensione. In tal caso
si può approssimare la potenza in partenza da tale nodo pari alla potenza di arrivo, cioè
quella assorbita dal carico, trascurando le perdite; tale scelta comporta l'introduzione di
una approssimazione che si aggiungerà a quella insita nel metodo.
Con i valori noti si avrà una corrente fluente da 1 a 2:
& * &
&
&
&I 12 =  PT 1 + jQT 1  = PT 1 − jQT 1


U& 1
U& 1


dove si è considera pari a 0 la fase della tensione
per cui la tensione all'estremo 2 vale:
P& − jQ& T 1 & R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1
X& ⋅ P&T 1 − R& ⋅ Q& T 1
U& 2 = U& 1 − (R& + jX& )⋅ I&12 = U& 1 − (R& + jX& )⋅ T 1
= U1 −
−j
U& 1
U& 1
U& 1
Se la rete è in normali condizioni di funzionamento, la caduta di tensione non è eccessiva;
quindi i termini:
R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1
e
U& 1
X& ⋅ P&T 1 − R& ⋅ Q& T 1
U& 1
sono almeno un ordine di grandezza inferiori rispetto al termine U& 1 . Quindi il rapporto fra la
parte in quadratura e quella in fase (parte reale e parte immaginaria) è abbastanza piccolo
(dell'ordine di 0.1 o inferiore); si definisce:
X& ⋅ P&T 1 − R& ⋅ Q& T 1
U& 1
ε=
R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1
U& 1 −
U& 1
−
per cui:

R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1 
 ⋅ (1 + jε )
U& 2 = U& 1 −
U& 1


e passando al modulo:

R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1 
 ⋅ 1 + ε 2
U& 2 = U& 1 −
&
U1


ma se ε << 1, allora vale:
1 + ε2 ≅ 1 +
ε2
2
quindi:

R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1   ε 2 
 ⋅ 1 + 
U& 2 ≅ U& 1 −
2
U& 1

 
Se ε è piccolo, a maggior ragione è molto più piccolo ε 2 , quindi:
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1+
pag. 7
ε2
R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1
≅ 1 ⇒ U& 2 ≅ U& 1 −
2
U& 1
per cui in modulo:
R& ⋅ P&T 1 + X& ⋅ Q& T 1
∆U& 12 = U& 1 − U& 2 ≅
U& 1
(7)
Si noti che la formula si applica solo ai moduli delle tensioni, e non fornisce invece alcuna
informazione sulle fasi.
Tale formula quindi:
- contiene una approssimazione perché la c.d.t. è calcolata trascurando il termine in
quadratura;
- se le potenze utilizzate sono quelle del secondo estremo, contiene un ulteriore
approssimazione perché sono state trascurate le perdite sulla tratta.
Tuttavia è un metodo diretto, non iterativo, di semplice applicazione, e fornisce valori con
precisione accettabile per tratte non eccessivamente lunghe e non eccessivamente
cariche.
La formula (7) può anche essere vista in valori assoluti:
*
I 12
 P + jQT 1 
P − jQT 1
 = T 1
=  T 1
3 ⋅U1
 3 ⋅U 1 
dove le potenze sono espresse in MW, Mvar, le tensioni in kV, le correnti in kA, le
impedenze in Ω.
U 2 = U 1 − (R + jX ) ⋅ I 12 = U1 −
∆U 12 = U 1 − U 2 ≅
R ⋅ PT 1 + X ⋅ QT 1
X ⋅ PT 1 − R ⋅ QT 1
−j
3 ⋅ U1
3 ⋅U1
R ⋅ PT1 + X ⋅ QT1 R ⋅ PT1 + X ⋅ QT1
=
3 ⋅U1
3 ⋅V1
∆V12 = 3 ⋅ ∆U 12 ≅ 3 ⋅
R ⋅ PT1 + X ⋅ QT1 R ⋅ PT1 + X ⋅ QT 1
=
V1
3 ⋅V1
(7')
Nel caso di una dorsale:
a) Si assegni ai nodi una numerazione progressiva: sia "0" il nodo di partenza della
dorsale, "1" il successivo, e così via. Si assegni una numerazione progressiva a
ciascuna tratta, assegnando il medesimo numero del suo estremo a valle: per
esempio la tratta tra il nodo "0" e il nodo "1" sarà la tratta "1", tra i nodi "1" e "2" sarà la
tratta "2", etc.
b) Si calcoli il transito di potenza attiva e reattiva in ciascuna tratta. Questo valore, che
nel seguito verrà indicato come:
P&Ti + jQ& Ti
è pari alla somma di tutti i carichi che stanno a valle della tratta medesima:
N
P&Ti + jQ& Ti = ∑ P&Ci + jQ& Ci
j =1
dove N = n° complessivo di nodi della dorsale. Siano inoltre:
(8)
pag. 8
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R& Ti + jX& Ti
le impedenze di ciascuna tratta i -esima.
La formula approssimata (7) può essere applicata in cascata: a partire dal nodo "0" si
calcola la tensione del nodo "1"; con questa, quella del nodo "2", etc. Volta per volta si
cambia riferimento di fase, considerando pari a 0 l'angolo della fase della tensione nel
nodo considerato.
Ovviamente gli errori dovuti alle approssimazioni introdotte hanno un effetto composto, per
cui nel caso di tratte numerose e/o lunghe e/o molto cariche il valore calcolato della
tensione dei nodi più lontani può essere affetto da errore rilevante.
Viene ora considerato un metodo esatto per calcolo della tensioni in una dorsale.
Questo metodo parte dal fondo della dorsale.
a) Si ipotizzi per l'ultimo nodo della dorsale un valore di tentativo della tensione in
modulo; tale valore di tentativo potrà essere scelto pari al valore della tensione al nodo
di partenza della dorsale (nodo di potenza infinita) oppure, per una migliore
inizializzazione, può essere usato il metodo della formula approssimata per la c.d.t.,
come sopra descritto. Il valore di tentativo sarà indicato come:
U& N(0 )
dove il pedice N indica che si tratta dell'ultimo nodo della dorsale, e l'apice (0 ) che si
tratta del tentativo iniziale.
b) In generale si indichi con i la tratta corrente. Si pone quindi ora i = N .
In generale si indichi con (k ) l'iterazione corrente. Al primo tentativo è quindi k = 0.
La potenza attiva e reattiva che fluisce sulla tratta e arriva al nodo i -esimo, e che
verrà indicata pari a:
P&T(,ki ) + jQ& T(k,i)
(9.1)
è pari alla potenza attiva e reattiva assorbita dal carico in tale nodo più la potenza
transitante verso le tratte successive, pari a sua volta alla somma delle potenze di tutti
i carichi successivi più le perdite nelle tratte successive.
Così al nodo N -esimo tale potenza è pari alla potenza del solo carico ivi posto:
P&T , N + jQ& T , N = P&C , N + jQ& C , N
nel nodo precedente, N − 1-esimo:
(k )
& (k )
&
&
P&T(,kN) −1 + jQ& T(k, N) −1 = P&C , N −1 + jQ& C , N −1 + P&loss
, N + jQloss , N + PC , N + jQC , N =
(k )
& (k )
&
&
= P&C , N −1 + jQ& C , N −1 + P&loss
, N + jQloss , N + PT , N + jQT , N
ma più in generale sarà:
(
N
) ∑ (P& ( )
P&T(,ki ) + jQ& T(k,i) = ∑ P&C , j + jQ& C , j +
j =i
N
j =i +1
k
loss , j
(k )
+ jQ& loss
,j
)
dove:
P&C , j + jQ& C , j
= potenza assorbita dal carico nel nodo j -esimo
(9.2)
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pag. 9
(k )
& (k )
P&loss
, j + jQloss , j = potenza dissipata sulla tratta j -esima (dal nodo " j − 1" al nodo " j ")
e quindi:
(k )
& (k )
& (k )
& (k )
P&T(,ki ) + jQ& T(k,i) = P&C ,i + jQ& C ,i + P&loss
,i +1 + jQloss ,i +1 + PT ,i +1 + jQT ,i +1
(9.2')
tale formula è forse la più comonda, perché evita di rifare da capo le sommatorie per
ogni tratta, ma semplicemente aggiunge due valori complessi al risultato della tratta
immediatamente a valle.
Le potenze dissipate, e di conseguenza le potenze fluenti sulle tratte, sono indicate
con l'indice del numero di iterazione perché ad ogni tentativo il valore calcolato sarà
diverso, avvicinandosi volta per volta al valore esatto.
c) In funzione di tale valore di tensione, essendo nota la potenza assorbita dal carico nel
nodo, si calcola la corrente nella tratta:
& (k )
& (k )
&I ( k,) = PT ,i − jQT ,i
T i
U& i(k )
(9.3)
dove si è posta pari a 0 la fase della tensione al nodo i -esimo.
d) Con tale valore di corrente si possono calcolare la perdite sulla tratta:
(k )
& (k )
& (k )2 &
&
P&loss
,i + jQloss ,i = I T ,i ⋅ (RT ,i + jX T ,i )
(9.4)
e quindi nel nodo immediatamente più a monte si avrà:
(k )
& (k )
P&T(,ki −) 1 + jQ& T(k,i)−1 = P&T(,ki ) + jQ& T(k,i) + P&C(k,i)−1 + jQ& C(k,i)−1 + P&loss
,i + jQloss ,i =
= P&T(,ki ) + jQ& T(k,i) + P&C(k,i)−1 + jQ& C(k,i)−1 + I&T(k,i) ⋅ (R&T ,i + jX& T ,i )
2
(9.5)
e) La tensione al nodo immediatamente a monte vale:
P& (k ) − jQ& (k )
(k )
(k )
(k )
(k )
U& i −1 = U& i + (R&T ,i + X& T ,i )⋅ I&T ,i = U& i + (R&T ,i + jX& T ,i )⋅ T ,i (k ) T ,i =
U& i
& ⋅ P& (k ) + X& ⋅ Q& (k )
X& T ,i ⋅ P&T(,ki ) − R&T ,i ⋅ Q& T(k,i)
(k ) R
T ,i
T ,i
T ,i
T ,i
&
=Ui +
+j
U& i(k )
U& i(k )
(9.6)
di tale tensione può essere facilmente calcolato il modulo:
(k )
U& i(−k1) = U& i −1
f)
(9.6')
se "i − 1" non è ancora il nodo iniziale della dorsale (nodo "0"), allora si pone i = i − 1 e
si torna al punto "c)": la tensione di tale nodo è nota dalle (9.6) e (9.6'); la potenza
attiva e reattiva sulla tratta è nota dalla (9.5).
Se invece si è arrivati al nodo di partenza (i − 1 = 0), si sarà ottenuto un valore di
tensione U& 0( k ) . Questo valore va confrontato con il valore noto U& 0 . Sia:
α=
U& 0(k )
U& 0
Allora:
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pag. 10
-
se α = 1, o se α − 1 ≤ ε dove ε è una tolleranza prefissata (deve essere piccola,
dell'ordine di 10−4 ÷ 10−6 ), allora il metodo è arrivato a soluzione, con la precisione
indicata dalla tolleranza;
-
se invece α è maggiore o minore di 1 in una misura superiore alla tolleranza,
occorre formulare una nuova tensione di tentativo per il nodo finale e ripartire da
capo, tornando al punto "b)".
In quest'ultimo caso il criterio per il nuovo valore di tentativo è il seguente:
U& N( k +1) 1
=
α
U& N(k )
vale a dire: se con il tentativo corrente si è ottenuto all'inizio della dorsale un valore
superiore di quello previsto, nel tentativo successivo si partirà con una tensione
inferiore, rispetto al tentativo corrente, nella medesima misura; e viceversa.
Il medesimo procedimento, con formule analoghe, può essere utilizzato per il calcolo in
valori assoluti anziché in pu; basta utilizzare le tensioni di fase e ricordare il fattore 3
oppure le tensioni concatenate e il fattore 3.
Il metodo non fornisce i valori delle fasi delle tensioni; tuttavia, una volta raggiunta la
soluzione ed essendo quindi note le correnti e le potenze fluenti in tutte le tratte, si può
partire dal nodo iniziale e ridiscendere ai successivi, calcolando le c.d.t. in forma fasoriale.
Il metodo è di facile applicazione, i calcoli che richiede possono essere affrontati con
l'ausilio di una piccola calcolatrice palmare. Esso però è applicabile alle sole reti radiali, e
richiede comunque qualche iterazione per arrivare a soluzione.
Per affrontare lo studio del regime non solo di reti radiali, ma di reti qualunque (ad anello,
magliate) e ottenere risultati più precisi e completi sono oggi disponibili altri algoritmi più
sofisticati, sempre di tipo iterativo, noti come metodi di calcolo di Load-Flow.
2.1.4 - Il problema del Load-Flow
Poiché in un sistema elettrico sono noti:
-
per il nodo di saldo, la tensione in modulo e fase;
-
per i nodi "PV", la tensione in modulo e la potenza attiva iniettata dall'esterno;
-
per i nodi "PQ", la potenza attiva e reattiva assorbita dall'esterno;
rimangono per ora ignoti la fase della tensione per i nodi "PV" e la tensione in modulo e
fase per i nodi "PQ". Si hanno quindi:
-
N PV + N PQ
fasi di tensioni incognite
-
N PQ
moduli di tensioni incogniti
per un totale di N PV + 2 ⋅ N PQ incognite. Una volta che siano trovati i valori di queste
incognite, è banale calcolare:
-
i flussi di corrente e quindi di potenza attiva e reattiva in tutti i rami (da cui il nome
"load-flow");
-
i valori delle potenze reattive erogate o assorbite dai generatori nei nodi "PV";
-
i valori della potenza attiva e reattiva erogati o assorbiti dal nodo di saldo;
-
i valori delle perdite attive e reattive in ogni ramo e complessive in tutta la rete;
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pag. 11
-
le eventuali violazioni di tensione nei nodi, di corrente nelle linee e nei trasformatori;
-
etc.
La soluzione di questo problema è quindi molto utile:
a) per verificare il funzionamento della rete per una data condizione di carico e di
generazione;
b) per poter meglio pianificare condizioni future di generazione e di carico;
c) per poter meglio progettare una rete futura, verificando che il funzionamento
risponderà alle specifiche previste senza dover attendere le verifiche sperimentali
possibili solo a rete ultimata, e quindi con la possibilità di correggere il progetto dove
necessario, o di ottimizzarlo.
Per ciascuno dei nodi "PV" è possibile scrivere una equazione di attivo come da (6), cioè
da (5.3).
Per ciascuno dei nodi "PQ" è invece possibile scrivere una equazione di attivo e una di
reattivo, sempre come da (6), cioè da (5.3).
Si hanno così N PV + N PQ equazioni di attivo e N PQ equazioni di reattivo per un totale di
N PV + 2 ⋅ N PQ equazioni. Si nota allora che il numero delle incognite è pari al numero delle
equazioni, pertanto è possibile trovare la soluzione del problema, se questa esiste e se si
riesce a trovare un modo per risolvere il sistema. Questo non è semplice per due motivi:
a) il sistema non è lineare
b) il sistema ha dimensione compresa tra il numero di nodi della rete e il doppio di tale
numero - 1, quindi già per reti medio-grandi è un sistema di notevoli dimensioni
Per analogia con al formulazione (6) il sistema potrebbe essere scritto come:
[
[
[ ] , {[Y& ], [θ] , [U& ]
[ ] , {[Y& ], [θ] , [U& ]
 FP ([θ]PV , PQ , U&

 FQ ([θ]PV , PQ , U&
PQ
slack
PV , slack
PQ
slack
PV , slack
})] = [P& ]
})] [Q& ]
PV , PQ
PQ



(11.1)
dove:
[FP (K)],[FQ (K)]
[P& ]
PV , PQ
e (5.3)
[]
, Q& PQ
sono le potenze attive e reattive note (attive nei nodi "PV" e "PQ", reattive
nei nodi "PQ")
[U& ] , [θ]
PQ
[U& ]
PV , slack
sono le equazioni della potenza attiva e reattiva nei vari nodi, come da (6)
PV , PQ
sono le tensioni in modulo e fase incognite (modulo nei nodi "PQ", fase
nei nodi "PV" e "PQ")
, [θ]slack sono le tensioni note (modulo nei nodi "PV" e nel nodo di saldo, fase nel
nodo di saldo), che ora sono poste entro le parentesi graffe per indicare
che sono parametri (come gli elementi della matrice delle ammettenze
nodali) e non incognite.
Quindi, senza esplicitare i parametri invarianti e le tensione note, ma evidenziando solo le
incognite, il sistema può essere riscritto più sinteticamente:
[
[
[ ] )] = [P& ]
[ ] )] [Q& ]
 FP ([θ]PV , PQ , U&

&
 FQ ([θ]PV , PQ , U
PQ
PV , PQ
PQ
PQ



(11.2)
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pag. 12
Come si risolve un sistema non lineare? I metodi risolutivi sono tutti di tipo numerico,
basati su approssimazioni successive della soluzione; sono quindi metodi iterativi, in cui le
iterazioni sono ripetute fino a quando i valori trovati delle incognite sono tali da soddisfare
il sistema non lineare con una sufficiente precisione (convergenza).
Il metodo più usato è un metodo tipo Newton, che verrà dapprima esemplificato per una
equazione non-lineare di tipo scalare.
Sia:
~
f (x ) = f
(12.0)
una equazione non lineare scalare in una sola incognita. L'algoritmo è il seguente:
a) si ponga l'incognita x pari ad un valore iniziale di tentativo: x = x (0 ) ; in generale, nelle
iterazioni successive, sarà x = x (k ) ;
( )
b) si calcola quindi f x (k ) e si verifica se il valore x = x (k ) porta a soddisfare l'equazione
di partenza; sarà:
~
f x (k ) + ε (k ) = f
(12.1)
( )
dove ε (k ) è l'errore ottenuto in questa iterazione k -esima. Se tale errore (in valore
assoluto) è inferiore ad una soglia prefissata, chiamata tolleranza, allora il processo di
ricerca della soluzione è terminato con esito favorevole. Se invece si è ancora lontani
dalla soluzione, l'equazione può essere scritta come:
( )
f (x ) = f x
(k )
(
)
2
2
~
df
(k ) d f
+
⋅ ∆x +
⋅ ∆ x (k ) + K = f
2
dx
dx
(12.2)
dove le derivate sono calcolate in corrispondenza di x = x (k ) ; troncando lo sviluppo al
primo termine:
( )
f x (k ) +
~
df
⋅ ∆ x (k ) = f
dx
(12.3)
c) quindi:
∆x
(k )
( )
~
f − f x (k )
=
d f dx
(12.4)
e grazie a questo si ottiene il nuovo valore di tentativo:
x (k +1) = x (k ) + ∆ x ( k )
(12.5)
con il quale si ritorna al punto "b)" dell'algoritmo.
~
Il valore ε (k ) = f − f x (k ) prende il nome di residuo all'iterazione k -esima.
( )
Se il problema è ben condizionato e la soluzione di tentativo non è mal ipotizzata, il
processo di ricerca della soluzione è convergente (il residuo decresce ad ogni iterazione,
tendendo a zero). In caso contrario il processo può divergere (residuo crescente) oppure
oscillare (il residuo assume valori ora crescenti ora decrescenti rispetto all'iterazione
precedente, senza però mai avviarsi verso la convergenza o verso una chiara divergenza).
Occorre allora accompagnare l'algoritmo con dei controlli del tipo:
-
se il processo diverge per un certo numero di iterazioni consecutive (solitamente 2÷3),
si dichiara che l'algoritmo ha fallito e se ne interrompe la prosecuzione;
pag. 13
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-
se dopo un certo numero di iterazioni (solitamente 10÷20) la convergenza non viene
raggiunta, si dichiara che l'algoritmo ha fallito e se ne interrompe la prosecuzione.
A volte la convergenza non viene raggiunta perché la tolleranza posta è troppo piccola, e
gli strumenti di calcolo non sono in grado, per i problemi noti di approssimazione e
troncamento, di portare ulteriori miglioramenti; ma una soluzione meno precisa può essere
invece trovata.
In caso di un sistema di equazioni, il problema è:
[F ([x])] = F~
~
dove x e F sono vettori colonna di incognite e termini noti.
[]
[]
[ ]
[ ]
La soluzione iniziale di tentativo [x ] = x (0 ) , come pure le successive [x ] = x (k ) , saranno
quindi anch'esse vettori colonna, come saranno vettori colonna quelli dei residui:
~
ε (k ) = F − F x (k )
(12.6)
[ ] [ ] [ ([ ])]
mentre la derivata della funzione scalare diventa qui una matrice jacobiana:
jac F = J
è tale che:
Jij =
∂Fi
∂x j
(12.7)
dove Fi è la i -esima funzione del sistema non lineare e x j è la j -esima incognita; le
[ ]
derivate sono calcolate i corrispondenza di [x ] = x (k ) , quindi potrebbe essere più
opportuno scrivere J x ( k ) o semplicemente J (k ) .
[ ([ ])]
[ ]
Si avrà quindi:
[F ([x ( ) ])]+ [J ( ) ]⋅ [∆ x ( ) ] = [F~]
k
k
k
(12.8)
e quindi:
[J ( ) ]⋅ [∆ x ( ) ] = [ε ( ) ]
k
k
k
(12.9)
Si tratta ancora di un sistema di equazioni, ma stavolta è un sistema lineare, perché la
matrice jacobiana, a ciascuna iterazione, è composta di termini costanti perché funzioni
dei valori di tentativo, a tale iterazione, delle incognite.
Questa formulazione del metodo risolutivo del problema del load-flow è detta metodo di
Newton-Raphson (N-R).
Il criterio di convergenza dovrà verificare che tutti i residui (in valore assoluto) si trovino al
di sotto della tolleranza prefissata.
Per quanto riguarda i valori iniziali delle incognite, si segue questo principio:
-
tutte le fasi incognite delle tensioni sono inizializzate al valore 0 (per i nodi di saldo le
fasi non sono incognite, e conservano per tutto il processo i valori per essi prefissati);
-
tutti i moduli incogniti delle tensioni sono inizializzati al valore 1 (per i nodi PV e di
saldo i moduli non sono incogniti, e conservano per tutto il processo i valori per essi
prefissati).
Rimane il problema della soluzione del sistema lineare. Per dimensioni superiori a 4÷5
equazioni la soluzione "a mano", anche con l'ausilio di una piccola calcolatrice palmare,
non è più praticabile. Inoltre, anche il calcolo dei residui e delle derivate è alquanto
pesante. Sono quindi necessari mezzi di calcolo più evoluti. Oggi su un normale personal
computer è possibile risolvere questo problema per reti elettriche di dimensioni molto
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pag. 14
grandi, anche di alcune migliaia di nodi. Grazie alla sparsità della matrice delle
ammettenze nodali, che si estende alla matrice jacobiana, gli elementi da memorizzare e
sui quali operare nei calcoli sono molto meno di N S2 , dove con N S si intende la dimensione
del sistema. Per risolvere il sistema non si ricorre all'inversione della matrice, operazione
onerosissima (le operazioni da eseguire sarebbero in numero proporzionale a N S3 ), anche
perché per la maggior parte si farebbero operazioni su elementi nulli; si seguono invece
altre strade, delle quali la principale è quella della fattorizzazione della matrice e della
soluzione per sostituzione progressiva.
Per quando riguarda le espressioni delle derivate, queste si ottengono dalle espressioni
(5.3) della potenza attiva e reattiva. Per ogni tipo di potenza si hanno 4 diversi tipi di
derivata:
-
derivata della potenza del nodo rispetto alla fase della tensione nel nodo medesimo
-
derivata della potenza del nodo rispetto alla fase della tensione di altro nodo
-
derivata della potenza del nodo rispetto al modulo della tensione nel nodo medesimo
-
derivata della potenza del nodo rispetto al modulo della tensione di altro nodo
La matrice jacobiana potrà inoltre essere suddivisa in 4 sottomatrici principali:
  ∂P 
 
[J ] =  ∂∂θQ 
 
  ∂θ 
 ∂P  
 ∂U&  

 ∂Q  
 ∂U&  

(13.0)
per cui il sistema ad ogni iterazione potrà essere scritto come:
  ∂P 
  ∂θ 
 
  ∂Q 
  ∂θ 
[][
 ∂P  
~
 ∂U&    ∆θ(k )   P& − P& (k ) 

⋅
 =  ~&
 ∂Q    ∆U& (k )   Q  − Q& (k ) 
  

 ∂U&  

[
[
]
[ ]
]
]
(13.1)
Si nota che le derivate delle potenze rispetto alle fasi saranno sempre funzioni quadratiche
dei moduli delle tensione, mentre le derivate delle potenze rispetto ai moduli risulteranno
funzioni lineari rispetto a tali moduli. Per rendere più omogenea sia la matrice jacobiana
che i termini noti, si opta per una formulazione modificata mediante normalizzazione, del
tipo:





 ∂P 
 ∂θ 
 ∂Q 
 ∂θ 
&
U
&
U
∂P   
(k ) 
~&
∆
θ

  P
− P& (k ) 
∂U&   



⋅
= ~
∂Q     ∆U& (k )    Q&  − Q& (k ) 
  

∂U&     U&  
[
]
[][
]
[ ]
(13.2)
dove:
-
∂Pi
 ∂P 
l'elemento ij -esimo della sottomatrice U&
vale U& j
(analogam. per il reattivo)

&
∂U& j
 ∂U 
-
 ∆U& (k ) 
∆U& i(k )
l'elemento i -esimo della sottomatrice 
vale
& 
U& i
 U 
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pag. 15
In tal modo il sistema (13.2) è del tutto equivalente al sistema (13.1), perché non si è fatto
altro che moltiplicare alcuni coefficienti del sistema per U& j e dividere le incognite per il
medesimo valore.
Riprendendo le (5.3):
P&i = +G& ii ⋅ U& i2 +
Q& i = − B& ii ⋅ U& i2 +
(
)
(
)
∑( U) &
i
⋅ U& j ⋅ + G& ij cos θ ij + B& ij sen θ ij
∑( U) &
i
⋅ U& j ⋅ − B& ij cos θ ij + G& ij sen θ ij
j∈C i
j∈C i
le espressioni delle derivate all'iterazione k -esima sono:
2
∂P&i
= ∑U& i( k ) ⋅U& (jk ) ⋅ + B& ij cos θij(k ) − G& ij sen θij( k ) = −Q& i(k ) − B& ii ⋅U& i(k )
∂θi j∈C (i )
∂P&i
= U& i(k ) ⋅U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k )
∂θ j
(14.1)
2
2
∂P&
U& i ⋅ i = +2 ⋅ G& ii ⋅ U& i(k ) + ∑ U& i(k ) ⋅U& (jk ) ⋅ + G& ij cos θij(k ) + B&ij sen θij(k ) = P&i (k ) + G& ii ⋅ U& i(k )
∂U& i
j∈C (i )
&
∂P
U& j ⋅ i = U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ + G& ij cos θij(k ) + B& ij sen θij(k )
∂U& j
(14.2)
2
∂Q& i
= ∑U& i( k ) ⋅U& (jk ) ⋅ + G& ij cos θij( k ) + B& ij sen θ ij(k ) = + P&i (k ) − G& ii ⋅ U& i(k )
∂θi j∈C (i )
∂Q& i & (k ) & (k )
∂P&
= U i ⋅U j ⋅ − G& ij cos θij(k ) − B& ij sen θij(k ) = −U& i ⋅ i
∂θ j
∂U& j
(14.3)
2
2
∂Q&
U& i ⋅ i = −2 ⋅ B& ii ⋅ U& i(k ) + ∑ U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k ) = Q& i(k ) − B&ii ⋅ U& i(k )
∂U& i
j∈C (i )
&
∂Q
∂P&
U& j ⋅ i = U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k ) = + i
∂U& j
∂θ j
(14.4)
(
)
(
)
(
)
(
)
(
)
(
)
(
(
)
)
Si può notare che il calcolo dei valori di potenza attiva e reattiva con i valori delle variabili
di stato all'iterazione corrente (finalizzato al calcolo dei residui) si compone di addendi che
servono anche nel calcolo delle derivate. In tal modo è possibile ottimizzare il
procedimento di calcolo, riducendo il numero complessivo di operazioni computazionali da
svolgere.
Solitamente il termine:
θij = θi − θ j
è alquanto piccolo, perché gli angoli di fase tra due estremi di un componente non sono
mai molto distanti fra loro, a meno che non si tratti di una linea particolarmente lunga (o di
un trasformatore con impedenza molto elevata) e con un notevole transito di potenza
attiva. Infatti per un componente serie vale:
U& − U& 2
U& 1 − U& 2
I&12 = 1
=
Z& 12 L
R&12 L + jX& 12 L
(15.1)
Trascurando il termine resistivo, che per le linee in AT e per i trasformatori è molto più
piccolo del termine reattivo:
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pag. 16
U& − U& 2
I&12 ≅ 1
jX& 12 L
(15.2)
e la potenza trasferita vale:
*
*
*
jθ
*
U& − U& 2 U& 12 − U& 1 ⋅ U& 2 U& 12 − U& 1 ⋅ U& 2 ⋅ e ij
A& 12 = U& 1 ⋅ I&12 ≅ U& 1 ⋅ 1
=
=
=
− jX& 12 L
− jX& 12 L
− jX& 12 L
U& 12 − U& 1 ⋅ U& 2 ⋅ (cos θij + j sen θij ) U& 1 ⋅U& 2 ⋅ sen θ ij
U& 12 − U& 1 ⋅U& 2 ⋅ cos θ ij
=
+j
=
− jX&
X&
X&
12 L
12 L
(16.1)
12 L
quindi:
P&12 ≅
Q& 12 ≅
U& 1 ⋅ U& 2 ⋅ sen θ ij
X& 12 L
U& 2 − U& ⋅ U& ⋅ cos θ
1
1
2
X& 12 L
ij
(
U& 1 ⋅ U& 1 − U& 2 ⋅ cos θ ij
=
X&
)
(16.2)
12 L
Quindi:
sen θ ij ≅
P&12 ⋅ X& 12 L
U& 1 ⋅ U& 2
(17.1)
In normali condizioni di esercizio, la reattanza in pu è inversamente proporzionale alla
potenza nominale del componente; il prodotto tra le due grandezze raramente supera
valori dell'ordine di 0.1. Le tensione in modulo sono dell'ordine di 1 pu; solitamente quindi:
sen θij ≤ 0.1 ⇒ θij ≅ sen θij
⇒ θij ≤ 0.1
e come conseguenza:
cos θij = 1 − sen 2 θij ≥ 1 − 0.12 = 0. 99 ≅ 0. 995 ≅ 1
(17.2)
per cui, tenendo conto che i moduli delle tensioni sono prossimi ad 1 pu:
U& 1 ⋅ U& 2 ⋅ sen θij sen θij
P&12 ≅
≅
X& 12 L
X& 12 L
&
&
&
U 1 ⋅ (U 1 − U 2 ⋅ cos θ ij ) U& 1 ⋅ (U& 1 − U& 2 ) ∆U& 12
Q&12 ≅
≅
≅
X& 12 L
X& 12 L
X& 12 L
(18)
Queste espressioni semplificate sono molto importanti dal punto di vista concettuale più
che da quello computazionale. Esse infatti esprimono un duplice concetto fondamentale
nello studio degli impianti elettrici:
a) i transiti di potenza attiva dipendono prevalentemente dalle fasi delle tensioni agli
estremi dei rami coinvolti, e solo in misura inferiore dai moduli di tali tensioni;
b) i transiti di potenza reattiva dipendono prevalentemente dai moduli delle tensioni
agli estremi dei rami coinvolti, e solo in misura trascurabile dalle fasi di tali tensioni.
Queste affermazioni sono sicuramente valide nel caso di rete elettrica di rami con modesti
valori dei rapporti R X per le impedenze longitudinali, quindi con presenza di modesti
valori di resistenza; sono invece affermazioni meno forti, ma conservano ancora una certa
validità, nel caso di reti con elevati valori del rapporto R X .
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pag. 17
A queste medesime conclusioni si può pervenire anche dell'analisi delle derivate per la
matrice jacobiana. Si noti per esempio come i termini:
∂P&
U& j ⋅ i = U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ + G& ij cos θij(k ) + B& ij sen θij(k )
∂U& j
(
)
oppure i termini:
∂Q& i
∂P&
= U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − G& ij cos θij(k ) − B& ij sen θij( k ) = −U& i ⋅ i
∂θ j
∂U& j
(
)
siano decisamente inferiori per esempio rispetto ai termini:
∂P&i
= U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θ ij( k ) + G& ij sen θ ij( k )
∂θ j
(
)
oppure ai termini:
∂Q&
∂P&
U& j ⋅ i = U& i(k ) ⋅U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k ) = + i
∂U&
∂θ
(
)
j
j
Infatti, nei primi, gli addendi G& ij cos θ ij(k ) sono piccoli per il ridotto valore della conduttanza, e
gli addendi B& sen θ (k ) sono piccoli per il ridotto valore della funzione seno.
ij
ij
Nei secondi termini, invece, gli addendi G& ij sen θ ij(k ) sono sì trascurabili, essendo piccoli sia
la conduttanza che la funzione seno, ma gli addendi B& cos θ ( k ) hanno valore rilevante
ij
ij
perché la suscettanza è solitamente grande e la funzione coseno è prossima a 1.
Ancora una volta scopriamo che se il rapporto R X è elevato, le conduttanze non sono
molto più piccole rispetto alle suscettanze, per cui quando affermato ha un valore meno
stringente. Se invece il suddetto rapporto è modesto, allora si nota che le sottomatrici:
 & ∂P 
 ∂Q 
U ∂U&  e  ∂θ 
del sistema (13.2):





 ∂P 
 ∂θ 
 ∂Q 
 ∂θ 
&
U
&
U
∂P   
(k ) 
~&
∆
θ

  P
− P& (k ) 
∂U&   



⋅
= ~
∂Q     ∆U& (k )    Q&  − Q& (k ) 
  

∂U&     U&  
[
]
[][
]
[ ]
presentano elementi di valore modesto.
Poiché il metodo di risoluzione del problema del load-flow è comunque un metodo
numerico, che procede in maniera iterativa per approssimazioni successive, può essere
ammissibile utilizzare una matrice jacobiana approssimata. Non sono invece ammissibili
semplificazioni al processo di calcolo delle potenze nodali ad ogni iterazione e quindi di
calcolo dei residui, perché lo scopo del procedimento di calcolo del load-flow è quello di
trovare la soluzione che risponda con la maggior precisione possibile ai valori imposti di
potenza iniettata nei nodi.
Una approssimazione conveniente della matrice jacobiana è quella di eliminare le suddette
sottomatrici con elementi di modesto valore, approssimando cioè a 0 tali elementi:
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 2: C.d.T. negli impianti elettrici - 21/10/98
  ∂P 
  ∂θ 
  
 [0]

 
(k ) 
~
 P
  ∆θ
− P& (k )


⋅
=
~
& (k )
∂Q     ∆U& (k )    Q
 −Q





∂U&     U&  
[
[0]
&
U
]
[ ] [ ]
[ ] [ ]
pag. 18
(13.3)
Questo sistema presenta il grande vantaggio di poter essere visto come due sistemi
disaccoppiati:
[
[][
]
]
~&
 ∂P 
(k )
= P − P& (k )
 ∂θ  ⋅ ∆θ
(k )
 & ∂Q   ∆U& 
 ~&  & (k )
U ∂U&  ⋅  U&  = Q  − Q


(13.4)
[ ]
rendendo molto meno oneroso il processo di soluzione del sistema.
L'introduzione di una qualche approssimazione è accettabile, in quanto la matrice
jacobiana serve solo a determinare il tentativo successivo del metodo iterativo. Una
matrice approssimata renderà il tentativo successivo un po' meno efficace rispetto a quello
ottenuto con una matrice esatta, ma se l'approssimazione non è eccessiva tale tentativo
successivo dovrebbe comunque essere più vicino alla soluzione di quanto lo sia il tentativo
corrente. L'unico effetto negativo sarà quindi un eventuale rallentamento del processo di
convergenza, cioè potrebbe essere necessaria qualche iterazione in più; inoltre la
soluzione raggiunta potrebbe essere un po' meno precisa di quella ottenuta con una
matrice jacobiana esatta, cioè potrebbe essere necessario l'utilizzo di tolleranze meno
strette. Tuttavia, tali svantaggi sono solitamente compensati dalla riduzione dell'onere
computazionale del processo di soluzione del sistema matriciale conseguente
all'introduzione del disaccoppiamento. Il metodo è quindi detto di Newton-Raphson (N-R)
disaccoppiato.
Una ulteriore approssimazione è quella proposta dal metodo di Stott detto anche metodo
del Fast Decoupled Load-Flow (FDLF). Nel metodo di N-R disaccoppiato le sole derivate
utilizzate sono quelle espresse dalle (14.1) e dalle (14.4):
∂P&i
2
= ∑U& i( k ) ⋅U& (jk ) ⋅ + B& ij cos θij(k ) − G& ij sen θij( k ) = −Q& i(k ) − B& ii ⋅U& i(k )
∂θi j∈C (i )
∂P&i
= U& i(k ) ⋅U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k )
∂θ j
(
)
(
)
2
2
∂Q&
U& i ⋅ i = −2 ⋅ B& ii ⋅ U& i(k ) + ∑ U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k ) = Q& i(k ) − B&ii ⋅ U& i(k )
∂U& i
j∈C (i )
&
∂Q
∂P&
U& j ⋅ i = U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θij(k ) + G& ij sen θij(k ) = + i
∂U&
∂θ
(
(
j
)
)
j
Una prima approssimazione può essere introdotta ponendo pari a 1 tutti i termini "coseno"
e pari 0 tutti i termini "seno" moltiplicati per le conduttanze:
B& ij cos θ ij(k ) ≅ B& ij
G& sen θ ( k ) ≅ 0
ij
ij
quindi gli elementi fuori diagonale:
(19.0)
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 2: C.d.T. negli impianti elettrici - 21/10/98
∂P&i
= U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θ ij( k ) + G& ij sen θ ij( k )
∂θ j
∂Q& i
U& i ⋅
= U& i(k ) ⋅ U& (jk ) ⋅ − B& ij cos θ ij( k ) + G& ij sen θ ij(k )
&
∂U j
(
pag. 19
)
(
)
diventano:
∂P&i
= − B& ij ⋅U& i(k ) ⋅ U& (jk )
∂θ j
∂Q&
U& j ⋅ i = − B& ij ⋅ U& i(k ) ⋅U& (jk )
∂U& j
(19.1)
Inoltre è ben noto che tutti i termini diagonali B& ii sono di valore molto elevato: se per
esempio in un nodo convergono 4 rami con impedenza longitudinale pari a:
z&12 L = 0.01 + j 0.10
allora le relative ammettenze valgono:
y& 12 L =
1
z& 12 L
=
1
0.01 − j 0.10 0.01 − j 0.10
=
=
≅ 0.99 − j 9.90
0.01 + j 0.10 0.012 + 0.10 2
0.0101
quindi:
b&12 L = −9.90 ≅ −10.0
e sommando per i 4 rami si ottiene:
B& ii = 4 ⋅ (− 10.0) = −40.0
Quindi, tenendo conto che le tensioni in modulo sono circa pari a 1 pu, il termine
2
− B& ii ⋅ U& i(k ) è solitamente di almeno un ordine di grandezza più grande (in valore assoluto)
del termine Q& (k ) ; pertanto gli elementi diagonali:
i
∂P&i
2
= −Q& i( k ) − B& ii ⋅ U& i(k )
∂θi
∂Q&
2
U& i ⋅ i = Q& i(k ) − B& ii ⋅ U& i( k )
&
∂U i
e
possono essere approssimati in:
∂P&i
2
≅ − B& ii ⋅ U& i(k )
∂θi
∂Q&
2
U& i ⋅ i ≅ − B& ii ⋅ U& i(k )
∂U&
(19.2)
i
Il sottosistema relativo alle potenze attive della (13.4) può allora essere scritto come:
 − B& ⋅ U& (k )2
11
1

(k ) & (k )
&
&
 − B21 ⋅U1 ⋅ U 2

K

− B& n ,1 ⋅U& 1(k ) ⋅U& n(k )
− B&12 ⋅ U& 1(k ) ⋅U& 2(k )
2
− B& ⋅ U& (k )
22
2
K
− B& n , 2 ⋅U& 2(k ) ⋅ U& n(k )
~&
K − B&1,n ⋅U& 1(k ) ⋅U& n(k )  ∆θ1(k )   P1 − P&1(k ) 

  (k )   ~&
K − B& 2,n ⋅ U& 2(k ) ⋅U& n(k )  ∆θ 2   P2 − P&2(k ) 

 ⋅ K  = 
K
K
K





~
( k )2  ∆θ( k )
&
k)
(
&
&
&

K
− Bn ,n ⋅U n
  n   Pn − Pn 
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pag. 20
Dove n è il numero totale di equazioni di potenza attiva. Dividendo ogni riga i -esima per il
modulo della relativa tensione U& i( k ) al primo e al secondo membro:
 − B&11 ⋅ U& 1(k )
 & & (k )
 − B21 ⋅ U1

K
 &
(k )
− Bn ,1 ⋅ U& 1
(
(
(
) U&
) U&
) U&
~
K − B&1,n ⋅ U& n(k )  ∆θ1(k )   P&1 − P&1(k )
 
  ~& & (k )
K − B& 2,n ⋅ U& n(k )  ∆θ(2k )   P
−P
⋅
= 2 2

K  K
K
K


  ~&
k
(
)
K − B& n ,n ⋅ U& n  ∆θ(nk )   P
& (k )
 n − Pn
− B&12 ⋅ U& 2(k )
− B& 22 ⋅ U& 2(k )
K
− B& n , 2 ⋅ U& 2(k )
(k ) 

2 


(k ) 
n 
1
(k )
quindi, associando i moduli delle tensioni (ancora presenti in tutti i gli elementi dello
jacobiano) ai corrispondenti elementi dei termini incogniti ∆θi(k ) ,il sistema diventa infine:
 − B&11
 &
 − B21
 K
 &
− Bn ,1
− B&12
− B& 22
K
− B& n , 2
(
(
(
)
)
)
~
K − B&1,n  U&1(k ) ⋅ ∆θ1(k )   P&1 − P&1(k ) U& 1(k ) 

 

~& & (k ) & (k ) 
K − B& 2,n  U& 2(k ) ⋅ ∆θ(2k )   P
−P
U2 
⋅
= 2 2

 K
K K  K


 

~& & (k ) & (k ) 
K − B& n ,n  U& n(k ) ⋅ ∆θ(nk )   P
 n − Pn U n 
(20.1)
Si può procedere in analogamente per il sistema di equazioni di potenza reattiva da cui:
 − B&11
 &
 − B21
 K
 &
− Bm ,1
− B&12
− B&
22
K
− B& m, 2
K
K
K
K
~&
 Q
& (k ) 
1 − Q1 

(
)
k


− B&1,m  ∆U& 1  
~
&
(
)
k
& 
 
 
− B& 2,m  ∆U& 2(k )   Q2 − Q2 
⋅
=
K  K  K
 

− B& m ,m  ∆U& m(k )   ~&
 Qm − Q& m(k ) 


U& 1(k ) 


(
)
k
U& 2 



(k ) 
&
Um

(20.2)
Dove m è il numero totale di tali equazioni.
Quello che si nota immediatamente è che entrambi gli jacobiani (approssimati) sono ora
matrici costanti, non più dipendenti dal valore delle tensioni (in modulo e fase) alle
iterazioni attuali. Le matrici possono quindi essere invertite o fattorizzate una volta per
tutte all'inizio del processo iterativo, ottenendo una drastica riduzione del numero
complessivo di operazioni computazionali, tale da giustificare l'eventuale maggior numero
di iterazioni necessarie a raggiungere la convergenza.
I due sottosistemi possono essere scritti in forma sintetica come:
[
]
− [B ] ⋅ [∆U& ( ) ]
− [B ] ⋅ U& (k ) ⋅ ∆θ(k )
'
"
k
[(
) ]
~&
= P − P& (k ) U& (k )
~&
=  Q − Q& (k )  U& (k ) 



'
(20.3)
"
dove le sottomatrici B e B sono ottenute dalla matrice delle suscettanze nodali (parte
immaginaria della matrice delle ammettenze nodali) semplicemente eliminando:
-
per lo jacobiano delle equazioni di potenza attiva, le righe e le colonne relative ai nodi
in cui non sono presenti tali tipi di equazioni, vale a dire i nodi di saldo;
-
per lo jacobiano delle equazioni di potenza reattiva, le righe e le colonne relative ai
nodi in cui non sono presenti tali tipi di equazioni, vale a dire i nodi di saldo e i nodi
"PV".
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pag. 21
Nel calcolare queste sottomatrici, si parta sempre dalla matrice delle ammettenze; non si
commetta l'errore di costruirle direttamente per ispezione sulle sottoreti ottenute tenendo
in considerazione solo i nodi con equazioni di potenza attiva e solo i nodi di potenza
reattiva rispettivamente.
2.2 - Esercizi
2.2.1 - Soluzione di una rete radiale
Sia data la seguente rete elettrica radiale, come in figura:
Bus 0
Bus 1
Bus 2
3 km
V=15.6 kV
5 km
Bus 3
4 km
P=6 MW
P=2 MW
P=3 MW
Q=3 Mvar
Q=1 Mvar
Q=2 Mvar
La tensione nominale dei nodi è 15 kV. La linea dorsale presenta i seguenti parametri:
r = 0.100 Ω km
x = 0. 090 Ω km
Calcolare la tensione in tutti i nodi.
Risoluzione
Si utilizzerà dapprima la formula approssimata della c.d.t. per trovare una soluzione di
tentativo da usare come punto di partenza del metodo iterativo esatto.
Le resistenze nelle varie tratte sono date dal prodotto dei parametri kilometrici per la
lunghezza in km:
RT 1 = 0.300 Ω
RT 2 = 0.500 Ω
RT 3 = 0.400 Ω
X T 1 = 0.270 Ω
X T 2 = 0.450 Ω
X T 3 = 0.360 Ω
Le potenze in transito su ogni tratta valgono:
PT 1 = 11 MW QT 1 = 6 Mvar
PT 2 = 5 MW QT 2 = 3 Mvar
PT 3 = 3 MW QT 3 = 2 Mvar
in questi valori sono state trascurate le perdite.
Si utilizzerà la formula (7') in valori assoluti:
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∆V12 = V1 − V2 ≅
pag. 22
R ⋅ PT1 + X ⋅ QT1
V1
Tensione sul nodo 1. Per questo nodo vale
RTi ⋅ PTi + X Ti ⋅ QTi = 0. 300 ⋅ 11 + 0. 270 ⋅ 6 = 4. 920
∆V01 =
4.920
= 0.315 kV
15.600
⇒ V1(1) = V0 − ∆V01 = 15.285 kV
Tensione sul nodo 2. Per questo nodo vale
RTi ⋅ PTi + X Ti ⋅ QTi = 0. 500 ⋅ 5 + 0. 450 ⋅ 3 = 3. 850
∆V12 =
3.850
= 0.252 kV
15.285
⇒ V2(0 ) = V1(0 ) − ∆V12 = 15.033 kV
Tensione sul nodo 3. Per questo nodo vale
RTi ⋅ PTi + X Ti ⋅ QTi = 0. 400 ⋅ 3 + 0. 360 ⋅ 2 = 1. 920
∆V23 =
1.920
= 0.128 kV
15.033
⇒ V3(0 ) = V2(0 ) − ∆V23 = 14.905 kV
Si procede poi con il Metodo iterativo per trovare una soluzione esatta.
Come tensione di partenza al nodo finale si utilizza quella trovata con la formula
approssimata:
V3(0 ) = 14.905 kV
Potenza fluente nella tratta 3, misurata al nodo a valle:
PT 3 + jQT 3 = 3 + j 2
Corrente nella tratta 3 (dal nodo "2" al nodo "3"):
(0 )
IT3
*
 P + jQ 
P − jQT 3
3 − j2
=  T 3 (0 ) T 3  = T 3
=
= 0.1162 − j 0.0775kA
0)
(
3 ⋅ V3
3 ⋅14.905
 3 ⋅U 3

(0 )
I T(03) = I T 3 = 0.1162 − j 0.0775 = 0.1397 kA
Tensione al nodo 2:
14.905
+ (0.400 + j 0.360 ) ⋅ (0.1162 − j 0.0775) =
3
= 8.605 + 0.074 + j 0.011 = 8.680 + j 0.011
U 2 = U 3 + (RT 3 + jX T 3 ) ⋅ I T 3 =
(0 )
(0 )
(0 )
U 2(0 ) = 8.680 + j 0.011 = 8.680 kV
V2(0 ) = 3 ⋅U 2(0 ) = 15.034 kV
Perdite nella tratta 3 (tratta dal nodo "2" al nodo "3"):
2
2
(0 )
(0 )
Ploss
, 3 + jQloss , 3 = 3 ⋅ (0.400 + j 0.360 ) ⋅ I T 3 = (0.400 + j 0.360 ) ⋅ 0.1397 = 0.0234 + j 0.0211
Potenza fluente nella tratta 2 (dal nodo "1" al nodo "2"), misurata al nodo a valle:
(0 )
(0 )
PT(02 ) + jQT(02) = PT 3 + jQT 3 + PC 2 + jQC 2 + Ploss
, 3 + jQloss , 3 =
= 3 + j 2 + 2 + j1 + 0.0234 + j 0.0211 = 5.023 + j 3.021
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pag. 23
Corrente nella tratta 2 (dal nodo "1" al nodo "2"):
*
 P (0 ) + jQ (0 ) 
P (0 ) − jQT(02) 5.023 − j 2.021
=  T 2 (0 ) T 2  = T 2
=
= 0.1929 − j 0.1160 kA
3 ⋅ V2(0 )
3 ⋅15.034
 3 ⋅U 2

(0 )
IT2
(0 )
I T(02) = I T 2 = 0.1929 − j 0.1160 = 0.2251 kA
Tensione al nodo 1:
15.034
+ (0.500 + j 0.450) ⋅ (0.1929 − j 0.1160) =
3
= 8.680 + 0.147 + j 0.029 = 8.828 + j 0.029
U 1 = U 2 + (RT 2 + jX T 2 ) ⋅ I T 2 =
(0 )
(0 )
(0 )
U1(0 ) = 8.828 + j 0.029 = 8.829 kV
V1(0 ) = 3 ⋅U1(0 ) = 15.291 kV
Perdite nella tratta 2 (tratta dal nodo "1" al nodo "2"):
2
2
(0 )
(0 )
Ploss
, 2 + jQloss , 2 = 3 ⋅ (0.500 + j 0.450 ) ⋅ I T 2 = (0.500 + j 0.450 ) ⋅ 0.2251 = 0.0760 + j 0.0684
Potenza fluente nella tratta 1 (dal nodo "0" al nodo "1"), misurata al nodo a valle:
(0 )
(0 )
PT(10 ) + jQT(01) = PT(02 ) + jQT(02) + PC1 + jQC1 + Ploss
, 2 + jQloss , 2 =
= 5.023 + j 3.021 + 6 + j 3 + 0.0760 + j 0.0684 = 11.099 + j 6.089
Corrente nella tratta 1 (dal nodo "0" al nodo "1"):
(0 )
I T1
*
 PT(10 ) + jQT(01) 
PT(10 ) − jQT(01) 11.099 − j 6.089


=
=
= 0.4191 − j 0.2299kA
(0 )
 =
(0 )
3
⋅
U
3
⋅
V
3
⋅
15
.
291
1


1
(0 )
I T(01) = I T 1 = 0.4191 − j 0.2299 = 0.4780 kA
Tensione al nodo 0:
15.291
+ (0.300 + j 0.270 ) ⋅ (0.4191 − j 0.2299 ) =
3
= 8.680 + 0.188 + j 0.044 = 9.016 + j 0.044
U 0 = U 1 + (RT 1 + jX T 1 ) ⋅ I T 1 =
(0 )
(0 )
(0 )
U 0(0 ) = 9.016 + j 0.044 = 9.016 kV
V0(0 ) = 3 ⋅ U 0(0 ) = 15.617 kV
Si è quindi trovata una tensione al nodo di partenza della dorsale pari 15.617 kV anziché i
15.600 kV effettivi. La tensione di tentativo del nodo finale era quindi superiore a quella
corretta: era infatti stata calcolata con il metodo della formula approssimata; si nota però
che l'errore è piccolo: 0.017 kV su 15.600 kV, pari quindi allo 0.108%. Per molte
applicazioni questo errore è più che accettabile, anche perché solitamente sono ben
maggiori le incertezza nei dati disponibili: parametri delle linee, valori dei carichi, valore
dalla tensione al nodo di partenza.
Ai soli fini didattici può però essere interessante reiterare per trovare una soluzione ancora
più precisa. Tale calcolo viene solo impostato, lasciando al lettore l'onere di terminarlo.
Reiterazione del metodo
Per prima cosa occorre determinare la nuova tensione di tentativo del nodo finale:
Ing. G. Pasini – Esercitazioni di Impianti Elettrici 1 – N° 2: C.d.T. negli impianti elettrici - 21/10/98
V3(1) = V3(0 ) ⋅
pag. 24
V0
15.600
= 14.889 kV
(0 ) = 14.905 ⋅
V3
15.617
Quindi si riparte:
Potenza fluente nella tratta 3, misurata al nodo a valle:
PT 3 + jQT 3 = 3 + j 2
Corrente nella tratta 3:
(1)
I T3
*
 P + jQ 
P − jQT 3
3 − j2
=  T 3 (1) T 3  = T 3
=
= 0.1163 − j 0.0776 kA
1)
(
3 ⋅ V3
3 ⋅14.889
 3 ⋅U 3

(1)
I T(13) = I T 3 = 0.1163 − j 0.0776 = 0.1398 kA
etc.
Esercizi proposti
Si ripeta l'esercizio precedente ma ipotizzando:
a) che i carichi abbiano valore doppio rispetto a quelli indicati
b) (con i carichi originali) che le lunghezze delle tratte siano doppie rispetto a quelle
indicate
Come verifica che procedimento e calcoli sono stati eseguiti correttamente, si riporta la
soluzione definitiva sia dell'esercizio precedente che in quelli proposti "a)" e "b)". La
soluzione è stata trovata per via diversa da quelle indicate, vale a dire con un calcolo di
load-flow, e con tolleranze molto strette (errori nei residui inferiori a 1 kW, 1 Kvar). I valori
di tensione sono espressi in kV.
nodo
esercizio prec.
"a)"
"b)"
"0"
15.600
15.600
15.600
"1"
15.274
14.924
14.924
"2"
15.016
14.381
14.382
"3"
14.887
14.109
14.110
Si può notare come i casi "a)" e "b)" diano risultati quasi identici. Perché?
In entrambi i casi "a)" e "b)" il nodo finale della dorsale presenta una tensione oltre (al di
sotto de) il -5% rispetto alla tensione nominale; una simile tensione o, analogamente, una
oltre (al di sopra de) il +5%, viene ritenuta non accettabile per un buon funzionamento
degli impianti. Al di là del fatto che questi limiti siano ±5% anziché un altro valore, perché
oltre una certa soglia si ritiene che le tensioni non siano più accettabili?
Quali contromisure si potrebbero prendere per evitare queste violazioni? Per tentare una
risposta, porsi nella mentalità del progettista di impianti, e quindi ipotizzare di avere una
certa libertà di azione o, quantomeno, di proposta.
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