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CONNESSIONE E RITO NELLE CONTROVERSIE LOCATIZIE. IL
CONNESSIONE E RITO NELLE CONTROVERSIE LOCATIZIE. IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO Relatore: dr.ssa Maria Giuliana CIVININI giudice del Tribunale di Pistoia SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Cause pendenti alla data del 1° gennaio 1993: il sistema introdotto dalla l. n. 392/1978 e succ. mod. – 2.1. Segue. In particolare: le controversie relative alla determinazione, aggiornamento e adeguamento del canone. – 2.1.1. Segue. In particolare: il tentativo obbligatorio di conciliazione. – 2.2. Competenza e rito. – 2.3. Cause connesse soggette a riti differenti. – 3. Cause introdotte dopo il 1° gennaio 1993. L’entrata in vigore dei commi 3°, 4°, 5° dell’art. 40 c.p.c.. – 3.1. Effetti della nuova disciplina sulle controversie in materia di locazione. – 3.2. La nozione di rito speciale. – 3.3. Problemi di costituzionalità. – 4. Cause introdotte dopo le cause pendenti alla data dell’entrata in vigore integrale della l. n. 353/1990. In particolare: l’ntrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c.. – 4.1. Il problema del cumulo di più domande attribuite alla competenza di giudici diversi. – 5. Il mutamento di rito nel procedimento per convalida di sfratto. DIBATTITO SU ALCUNI PUNTI CONTROVERSI: A) Cause iniziate prima del 1° gennaio 1993: aa) quali controversie rientrano nella nozione di “controversie relative alla determinazione, all’aggiornamento e all’adeguamento del canone”? ab) quando la domanda di “equo canone” è introdotta in via riconvenzionale o in sede di opposizione a decreto ingiuntivo deve farsi luogo al tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi degli artt. 43 e 44 l. n. 392/78? ac) è possibile realizzare il “simultaneus processus” quando in un giudizio di competenza del tribunale è proposta in via riconvenzionale la domanda c.d. di “equo canone”? in caso positivo, innanzi al giudice superiore o al giudice inferiore? ad) è possibile realizzare il “simultaneus processus” quando le domande cumulate soggiacciono a riti differenti? af) formatasi una preclusione in punto di competenza, la questione di rito può ancora essere messa in discussione? B) cause introdotte dopo il 1° gennaio 1993 (data di entrata in vigore dei commi 3°, 4° e 5° dell’art. 40 c.p.c., aggiunti dall’art. 51. n. 353/1990): b1) rito lavoro e rito locatizio sono riti speciali differenti ai fini del verificarsi della “vis actractiva” dell’uno rispetto all’altro? b2) è costituzionalmente legittima la previsione della prevalenza del rito speciale sul rito ordinario solo per il rito lavoro in senso stretto e non anche per il rito locatizio? b3) la norma si applica anche in caso di cumulo soggettivo? b4) come deve essere interpretato il criterio della prevalenza del rito della causa in ragione della quale viene determinata la competenza? C) cause che saranno introdotte (o risulteranno pendenti) dopo l’entrata in vigore degli artt. 38, 667 (come sostituiti dalla l. n. 353/1990) e 447 bis c.p.c.: c1) è possibile il cumulo di domande di competenza del tribunale soggette al rito ordinario e domande di competenza del pretore soggette al rito speciale? e la realizzazione del “simultaneus processus” è possibile davanti al giudice inferiore? c2) disposto il mutamento di rito ai sensi dell’art. 667 c.p.c., si apre una nuova fase preparatoria? quando si formano le preclusioni? 1. Premessa. La l. n. 353/1990 ha operato un intervento razionalizzatore della disciplina processuale in materia di locazione di immobili urbani. Preso atto della situazione di “vero e proprio caos processuale” (1) cui aveva dato luogo la l. 27 luglio 1978, n. 392, con la frammentazione dei riti (ordinario, speciali c.d. a cognizione piena, sommari) e dei giudici competenti in primo grado (conciliatore, pretore, tribunale) ivi prevista (2) (situazione ulteriormente complicata dalla l. n. 399/1984), il legislatore del 1990 da un lato ha sottoposto alla competenza per materia del pretore e al rito lavoro tutte le controversie relative ai rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e di affitto di aziende (v. art. 8 n. 3 nuovo testo e art. 447 bis), dall’altro lato “assoggettando le controversie in materia di comodato di immobili urbani e di affitto di azienda alle stesse scelte effettuate in punto di competenza per materia e di rito per le controversie in materia di locazione di immobili urbani” ha evitato “che l’individuazione del giudice competente per materia e del rito dipendano da complesse qualificazioni giuridiche del rapporto (rilevanti anche ai fini della decisione di merito..)” (3). Se, dunque, la nuova disciplina è destinata a far venir meno pressoché tutti i problemi insorti nella vigenza del sistema attuato dalla l. n. 392/1978 e succ. mod. (4), i plurimi e rinnovati rinvii dell’entrata in vigore dell’intera riforma (v. l. n. 447/1992, d.l. 14-2-1994, 14-4-1994) spostano nel futuro tale risoluzione e rendono tuttora attuali i problemi medesimi. D’altro lato l’entrata in vigore, a far data dal 1-1-1993, dei commi 3°, 4° e 5° dell’art. 40 c.p.c. (aggiunti dall’art. 5 l. n. 353/1990), che disciplinano il cumulo di cause soggette a riti differenti, e la previsione (contenuta nell’art. 92, 1° comma, l. n. 353/90 mod. dall’art. 2, 5° comma l. n. 477/1992) che tale disposizione non si applica ai giudizi pendenti al 1-1-1993 (ai quali, fino alla data di entrata in vigore dell’intera riforma, “si applicano … le disposizioni anteriormente vigenti”), dà luogo oggi all’esistenza di un doppio regime processuale (ordinario-preriforma e transitorio o “di transizione”), destinato ad essere superato dalla completa vigenza della riforma. Tenteremo nel prosieguo di dar conto delle principali questioni legate ai temi dei rapporti tra competenza e rito e della cumulabilità di cause soggette a riti differenti e attribuite alla competenza di giudici diversi; tenuto conto di quanto si è detto sopra sull’esistenza di più regimi processuali, nel far ciò distingueremo per gruppi di controversie identificate in base al criterio temporale dell’epoca di introduzione. 2. Cause pendenti alla data del 1° gennaio 1993: il sistema introdotto dalla l. n. 392/1978 e succ. mod.. Lo schema dei riti e delle competenze relativi alle controversie in materia di locazione di immobili urbani, in base alla disciplina di cui alla l. n. 392/78 e 399/84, è il seguente: a) rito speciale ex artt. 46-53 l. n. 392/78 per le controversie: aa) relative alla determinazione, aggiornamento ed adeguamento del canone; ab) relative alle opere di conservazione ex art. 23, all’indennità di avviamento ex art. 34 e all’indennità per i miglioramenti apportati dal conduttore col consenso del locatore devolute alla competenza per materia del pretore; b) procedimento speciale ex art. 30 e 46 per le controversie relative al diritto di recesso nei casi previsti dagli artt. 29, 59 e 73 devolute alla competenza per materia del pretore; c) procedimento per convalida di sfratto ex art. 657 ss. c.p.c. devoluto alla competenza per materia del pretore; d) rito ordinario per ogni altra controversia e in particolare per quelle: da) sulla cessazione del rapporto di locazione per cause diverse da quelle indicate negli artt. 29, 59 e 73 l. n. 392/78, 657, 658, 659 c.p.c. o per finita locazione o morosità quando vi sia stata opposizione da parte del conduttore; db) sul diritto di riscatto e di prelazione ex artt. 38, 39 e 40 l. cit.; dc) sul diritto al ripristino ex art. 31; dd) sugli obblighi di manutenzione la competenza a conoscere le quali è ripartita secondo gli ordinari criteri di competenza per valore. 2.1. Segue. In particolare: le controversie relative alla determinazione, aggiornamento e adeguamento del canone. La formula di cui agli artt. 43-45 l. n. 392/78 (“controversie relative alla determinazione, all’aggiornamento e all’adeguamento del canone”) ha fatto sorgere problemi interpretativi, la cui risoluzione è di particolare rilievo dipendendo dalla qualificazione della controversia l’individuazione del giudice competente e del rito applicabile (5). Gli orientamenti della giurisprudenza possono così riassumersi: A) è pacifico che rientrino nella categoria di controversie in esame quelle riguardanti la misura del canone da determinarsi o aggiornarsi secondo la precedente legislazione vincolistica, in riferimento sia alla richiesta del locatore di ottenere l’ammontare del corrispettivo dovuto sia alla richiesta del conduttore di restituzione di somme indebitamente pagate, e anche se aventi ad oggetto la validità ed efficacia delle clausole ISTAT; v. Cass., 4 luglio 1981, n. 4397 in FI, 1982, I , 2126; Cass., 1 settembre 1982, n. 4771, in FI, 1983, I, 76; 8 marzo 1983, n. 1712, in Rass. Equo Can., 1983, 119; Cass., 26 aprile 1983, n. 2873 e Cass., 29 marzo 1983, n. 2285, ibid., 1983, 116 ss.; Cass., 25 giugno 1985, n. 3816 (sulla clausola ISTAT); Cass., 27 febbraio 1987, n. 2120; Cass., 10 agosto 1988, n. 4916, ibid., 1990, 136 (le ultime due specificano che sussiste la competenza ratione materiae del pretore anche quando la controversia abbia ad oggetto canoni di locazioni in corso al momento dell’entrata in vigore della legge e relativi al periodo ad essa antecedente); B) costante è anche l’indirizzo secondo cui rientrano tra le controversie in esame quelle aventi ad oggetto la restituzione delle somme che il conduttore assume corrisposte al locatore oltre la misura del canone legalmente dovuto; v. Cass., n. 4771/82, cit.; n. 1712/83, cit., che espressamente qualifica controversia sulla misura dei canoni la causa avente “per oggetto la pretesa dell’attore alla restituzione di somme che sostiene essere state indebitamente percepite dalla locatrice per aumenti illegittimi del canone”; Cass., 10 agosto 1988, n. 4916, secondo cui la competenza funzionale e inderogabile del giudice monocratico “si estende alla domanda di pagamento di canoni rimasti insoluti ed alla riconvenzionale di restituzione delle somme pagate in più per (pretesi) aumenti illegittimi del canone, le quali, in quanto accessorie rispetto a quella principale (per manifesta priorità logica e giuridica) di determinazione del canone, vanno devolute allo stesso giudice per ragioni di concentrazione e di economia processuale” (la massima è ripetitiva; v. anche Cass., 16 dicembre 1988, n. 6860; 18 febbraio 1986, n. 967; 6 settembre 1985, n. 5452; Cass., 26 agosto 1983, n. 5484; Cass., 25 giugno 1985, n. 3816); Cass., 9 aprile 1993, n. 4334, in Arch. loc., 1993, 482, secondo cui “l’azione di ripetizione delle somme pagate dal conduttore al locatore in più del dovuto nel corso del rapporto per effetto di illegittimo aumento del canone può anche essere proposta, congiuntamente alla domanda di accertamento del canone di locazione dovuto, al pretore competente su quest’ultima domanda, rispettato alla quale quella di ripetizione è accessoria, atteso che, ai sensi dell’art. 31 comma 2 c.p.c., al giudice competente per materia sulla causa principale possono essere proposte domande accessorie anche se eccedenti la sua competenza per valore”; Cass., 10 febbraio 1990 n. 972, in FI, 1991, I, 1203 in cui si afferma che “le controversie sulla misura dei canoni di locazione devolute alla competenza esclusiva del pretore non sono soltanto quelle dirette a stabilire quale percentuale di aumento vada applicata, sul canone iniziale, ma per il principio della concentrazione processuale, anche quelle aventi ad oggetto le conseguenti statuizioni circa il pagamento delle somme dovute (o la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto)”; per la giur. di merito si v. Pret. Napoli, 7 febbraio 1986, n. 296 in Arch. Loc., 1987, 747, secondo cui rientra nella competenza pretorile di cui all’art. 45 l. n. 392/78 la domanda di ripetizione di somme pagate in più; Pret. Ventimiglia, 16 febbraio 89, secondo cui anche la domanda di ripetizione di canoni indebitamente corrisposti, che postula la domanda di adeguamento del canone, deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione. Come dimostra l’esame delle citate pronunce, la giurisprudenza ricomprende le controversie in materia di rivalsa tra quelle di cui all’art. 45 cit. o direttamente o in quanto consequenziali rispetto a quelle di determinazione del canone, rinvenendo il diritto alle restituzioni di cui all’art. 79 l. n. 392/78 fondamento nella violazione degli artt. 12 ss. l. cit. (6). La ratio decidendi maggiormente ricorrente appare essere quella relativa al nesso di accessorietà che lega la domanda di restituzione alla domanda di accertamento del canone, con conseguente applicazione dell’art. 31 c.p.c. (e deroga alla competenza per valore in favore del giudice della causa principale competente per materia). Perquanto non vengano indicate esplicitamente le scelte dogmatiche sottese a tale soluzione, la costante affermazione secondo cui la domanda di ripetizione di canoni indebitamente corrisposti “postula concettualmente le operazioni di adeguamento del canone”; il fatto che in nessun caso venga posta la questione della realizzabilità della trattazione simultanea nonostante la diversità dei riti (non ricomprendendosi la causa di restituzione direttamente tra quelle di cui all’art. 45 cit., la medesima dovrebbe ritenersi soggetta al rito ordinario di cognizione); la circostanza, infine, che si affermi la competenza per materia del pretore anche allorquando non vengono proposte due distinte domande – una pregiudiziale di accertamento del canone e l’altra dipendente di restituzione – ma una sola avente ad oggetto il diritto alla rivalsa, inducono a ritenere che la giurisprudenza nei casi in esame accolga una nozione di accessorietà nel senso di “pregiudizialità logica o interna allo stesso rapporto” (7). Consegue a tale ricostruzione che domanda principale e domanda accessoria risultano inserite in un medesimo rapporto e, quand’anche sia dedotta in giudizio esclusivamente la coppia pretesaobbligo relativa al diritto di rivalsa, l’oggetto del processo (e del giudicato) non è limitato alla stesso ma si estende direttamente all’intero rapporto giuridico complesso e in particolare all’accertamento del canone (8). Significativa in tal senso è Cass., 13 luglio 1992, n. 8495 (in Rass., 1993, 145); nel caso di specie la corte d’appello aveva respinto l’eccezione di incompetenza in materia del tribunale affermando che oggetto del giudizio era lo sfratto per morosità e che il convenuto non aveva espressamente richiesto la determinazione del canone; la S.C. osserva che la corte di merito “non ha considerato che la domanda riconvenzionale proposta dalla conduttrice per la restituzione delle somme che asseriva di aver corrisposto in precedenza rispetto all’ammontare legalmente dovuto per i canoni, postulava il preliminare accertamento della misura del canone e dei successivi aumenti legali…Se la corte d’appello avesse tenuto conto della sostanziale volontà della conduttrice – la cui domanda di restituzione delle somme che avrebbe corrisposto alla locatrice in eccedenza rispetto a quelle dovute, non avrebbe avuto alcun senso senza l’accertamento e la determinazione del canone legalmente avuto – avrebbe dovuto ritenere … che la domanda di restituzione non poteva non contenere quella di accertamento e determinazione del canone …”. C) la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità sia retta dagli ordinari criteri di competenza per valore (e nel negare che la medesima sia legata da un nesso di accessorietà alla domanda riconvenzionale con cui il convenuto, contestata la morosità, chieda la determinazione legale del canone); v. Cass., 24 novembre 1982, n. 6362, in FI, 1983, I, 335 con n. di PIOMBO; 21 agosto 1985, n. 4470, id., 1986, I, 2266; 28 marzo 1986, n. 2209; 27 febbraio 1987, n. 2113; gli ordinari criteri di competenza per valore si ritengono applicabili anche alle controversie di mero accertamento sulla durata del rapporto, sulla disciplina ad esso applicabile e in genere sul contenuto del negozio; v. Cass., 18 aprile 88, n. 3061, in FI, 1989, I, 1915 ed ivi ult. rif.; Cass., 28 novembre 1992, n. 12716 in Arch. loc., 1993, 271; Cass., 18 giugno 1992, n. 7542; in senso contr., v. Cass., 29 maggio 1991, n. 6053 (in Giust. civ., 1992, I, 141), secondo cui “le controversie relative alla determinazione, all’aggiornamento e all’adeguamento del canone ai sensi dell’art. 45 …comprendendo anche quelle consistenti nello stabilire l’esistenza, la validità e la liceità degli accordi intervenuti tra le parti circa la determinazione del canone e quindi anche l’eventuale simulazione di essi in violazione della disposizione dell’art. 79 … che dichiara la nullità di ogni pattuizione diretta, tra l’altro, ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla stessa o altro vantaggio sempre in contrasto con tale legge”; Pret. Monza 18 febbraio 1989 (in FI, 1989, I, 1915), il quale fa espresso riferimento ai principi in materia di pregiudizialità in senso logico di cui sopra al fine di attrarre nella competenza funzionale del pretore le domande pregiudiziali rispetto all’accertamento del canone: rilevato che la competenza per materia non prevista con riferimento al rapporto fondamentale (locazione) ma a “un rapporto giuridico-effetto del contratto di locazione, id est il diritto soggettivo di una delle parti del contratto locatizio a ottenere l’accertamento di un determinato modo di essere del contratto stesso, costituito dal canone”, sulla base di una analisi delle fattispecie in cui in concreto può rilevare la determinazione del canone e del cumulo di azioni prospettabili, conclude ritenendo che l’art. 43 cit. disciplina un’ipotesi di competenza che “non è relativa solo alle controversie concernenti il rapporto giuridico-effetto del rapporto giuridico fondamentale di locazione, costituito dal modo di essere di quest’ultimo quoad canone, bensì involge tutti quegli accertamenti che possono definirsi afferenti a un modo di essere del rapporto fondamentale giustificativo dell’applicazione della disciplina dell’equo canone. Detti accertamenti possono concernere rapporti giuridici effetto della fattispecie locazione che di quella applicazione sono il presupposto” (9). D) in giur. si è ritenuto che appartengano alla competenza per materia del pretore ex artt. 43-45 l. cit. anche le controversie: – relative alla determinazione del corrispettivo dovuto ex art. 1591 c.c. dal conduttore in mora nella restituzione dell’immobile locato, poiché quel corrispettivo “mantiene … tutte le caratteristiche del normale canone di locazione, anche in ordine alle norme applicabili alla sua determinazione” (Cass., 13 luglio 1992, n. 8499 in FI, 1993, I, 122 ed ivi ampi riferimenti); – relative all’accertamento della legittimità degli aumenti del canone richiesti e pagati nel corso di rapporto di locazione di immobile destinato ad uso non locativo, in quanto per i relativi contratti il canone può subire aumenti solo nei modi di cui all’art. 32 l. cit. (Cass., 9 aprile 1993, n. 4334, in Arch. loc., 1993, 482). 2.1.1. Segue. In particolare: il tentativo obbligatorio di conciliazione. L’inquadramento di una determinata controversia tra quelle di cui all’art. 45 l. n. 392/78 implica che l’introduzione della medesima deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione ex artt. 43 e 44 l. cit. (10). In giur., v. Pret. Ventimiglia, 16 febbraio 89, cit., che ha affermato il principio con riferimento ad una domanda di ripetizione di canoni indebitamente corrisposti. La giurisprudenza di merito ritiene che ricorra la necessità del tentativo di conciliazione solo allorquando la domanda sia proposta in via principale e non anche in via riconvenzionale; v. Pret. Pisa, 18 febbraio 1986, n. 27 in Arch. loc., 1988, 207; Pret. Foggia, 7 dicembre 1985, in FI, 1987, I, 1147; Pret. Firenze, 9 ottobre 1986, in Arch. Loc., 1987, 174; contra: Cass., 13 gennaio 1993, n. 353, in cui ritenuta l’improcedibilità della domanda riconvenzionale non preceduta dal tentativo di conciliazione, si afferma: “tuttavia, se il tentativo di conciliazione sia stato esperito dal locatore in relazione ad una sua pretesa inerente alla misura del canone, il conduttore non ha l’onere di rinnovare il tentativo medesimo per la proposizione della domanda riconvenzionale perché quello esperito dal locatore ha realizzato lo scopo di promuovere un confronto fra le parti sulle rispettive posizioni in sede non contenziosa, perseguito dal citato art. 44”. Nel primo senso in dottrina: PAPARO-PROTO PISANI (11), argomentando dal fatto che “l’art. 48, comma 1°, disciplinando esplicitamente l’ipotesi di passaggio dal rito ordinario al rito speciale (diversamente dal testo originario del primo comma dell’art. 445) non fa menzione alcuna della necessità di sperimentare previamente il tentativo di conciliazione ove si sia alla presenza di una controversia relativa alla determinazione, aggiornamento o adeguamento del canone”; VERDE (12); CEA (13), che argomenta tra l’altro dall’inutilità dell’istituto, finalizzato ad evitare che i contrasti sfocino in sede contenziosa, allorquando tale evento siasi già verificato (14); contra TARZIA (15), il quale ritiene che il tentativo di conciliazione possa essere instaurato dopo che la questione sul canone è sorta. 2.2. Competenza e rito. Si è già osservato come nel sistema della l. n. 392/1978 i problemi più rilevanti sorgano con riferimento alla previsione del rito speciale del lavoro per alcune soltanto delle controversie inerenti al rapporto di locazione cui si accompagnano ipotesi di competenza per materia (16). Pur rinviando agli studi in materia (17), è opportuno riassumere brevemente i risultati cui è pervenuta la dottrina in ordine: alla individuazione della nozione di rito, alle conseguenze dell’errore sul rito, all’intreccio tra questioni di rito e questioni di competenza (18): a) il rito non è un requisito di validità della domanda giudiziale e l’errore sul rito “non determina la conclusione del processo con un provvedimento di rigetto per motivi di mera forma, ma è solo causa di rilievo d’ufficio e di un provvedimento ordinatorio di mutamento di rito allo scopo di consentire che il processo, anche se iniziato con rito erroneo, si concluda secondo il rito prescritto con una sentenza di merito che decida chi ha ragione e chi ha torto”; b) le questioni di rito sono rilevabili d’ufficio dal giudice sia in primo grado che in appello; gli atti posti in essere secondo le regole di un rito errato non sono affetti da nullità e possono essere utilizzati nel prosieguo del procedimento purché non incompatibili col rito esatto; c) le questioni di rito sono risolte dal giudice con provvedimento avente forma di ordinanza, inidoneo quindi a pregiudicare la risoluzione della controversia e soggetto al regime di stabilità di cui all’art. 177 c.p.c.; d) le norme sul rito, a differenza delle norme sulla competenza, “sono norme sul procedimento e come tali possono (anche se non necessariamente) per definizione condizionare il contenuto della decisione di merito”; tali norme devono essere rispettate al momento della decisione di merito e pertanto (e come indicano l’assenza di un regime di preclusioni sulla rilevabilità della questione e la normale revocabilità dell’ordinanza di mutamento di rito) il rito deve essere “individuato anche sulla base della qualificazione giuridica dell’oggetto della controversia così come emerge al termine dell’istruzione”; e) il controllo da parte del giudice sulla scelta del rito deve essere effettuato in limine litis sulla base degli atti e ad istruzione esaurita sulla base della valutazione globale delle risultanze dell’istruttoria; f) quando le questioni di competenza e di rito dipendono dai medesimi presupposti, dato il diverso regime di preclusione cui sottoposto il rilievo di tali questioni, possono darsi i seguenti casi: fa) se al momento del rilievo dell’erroneità del rito la questione di competenza non è preclusa, il giudice che a seguito di mutamento di rito divenga incompetente deve, secondo la giurisprudenza con sentenza impugnabile con regolamento ex art. 42 c.p.c. (secondo parte della dottrina con ordinanza non impugnabile con regolamento), dichiarare la propria incompetenza, rimettere le parti al giudice competente e fissare un termine per la riassunzione col rito prescritto; fb) se la questione di competenza è preclusa, il giudice deve disporre il mutamento di rito con ordinanza “indipendentemente da qualsiasi indagine in ordine al se, senza la intervenuta preclusione sulla competenza, sarebbe stato competente ad applicare il rito speciale in quel grado di giudizio”. 2.3. Cause connesse soggette a riti differenti. Il problema del cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi – già sorto con riferimento alla connessione tra cause civili e cause commerciali e tra cause soggette al rito del lavoro e cause soggette a rito ordinario – si è posto in tutta la sua gravità dopo l’entrata in vigore della l. n. 392/78 (19). Tale problema si presenta come duplice, articolandosi nelle due questioni: a) se, rientrando le cause connesse nella competenza del pretore, la differenza di rito sia di ostacolo alla trattazione simultanea; b) se, rientrando le cause connesse l’una – quella soggetta al rito ordinario – nella competenza per valore del tribunale e l’altra – soggetta al rito speciale – nella competenza per materia del pretore, possa farsi luogo al cumulo (e innanzi a quale giudice). È evidente che la risposta alla seconda questione implica che la prima sia stata positivamente risolta. Ancora evidente è che il problema si configura come più o meno grave a seconda del tipo di nesso che lega le cause che si intendono cumulare. Infatti: A) qualora le cause siano connesse per identità di causa petendi (es.: domanda di rilascio dell’immobile e domanda di risarcimento del danno per inadempienze contrattuali; domanda di rilascio per finita locazione e domanda di ripetizione di somme corrisposte oltre il canone legalmente determinato), le differenze di rito e di competenza non danno luogo a difficoltà, ben potendo farsi luogo a separazione (20); B) qualora le cause siano legate da un nesso di pregiudizialità dipendenza (es.: domanda di risoluzione del contratto per morosità e – previa contestazione della morosità – domanda di determinazione del canone; domanda di rilascio dell’immobile locato e domanda di determinazione dell’indennità di avviamento), le conseguenze dell’impossibilità di realizzazione della trattazione simultanea sono assai più gravi, laddove si ritenga che debba farsi luogo a sospensione necessaria della causa pregiudicata. Poiché tormentatissimo tema della realizzabilità della trattazione unitaria di cause soggette a riti differenti è stato oggi risolto positivamente dal legislatore (art. 40, comma 3°, 4°, 5° c.p.c. in vigore dal 1 gennaio 1993 di modo che il relativo problema non si presenta per le cause di nuova introduzione), appare superflua una sua specifica trattazione, limitandoci qui a ricordare come la dottrina più attenta alle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale avesse tentato di enucleare – dagli artt. 416, 2° comma, 418 e 420, 9° comma c.p.c. richiamati dall’art. 46 l. n. 392/78 – un principio generale secondo cui, ove due cause soggette a riti diversi, ne sarebbe possibile la simultaneità di trattazione nelle forme del rito speciale (21). La seconda delle prospettate questioni si è posta soprattutto con riferimento all’ipotesi in cui il conduttore, convenuto innanzi al tribunale competente per valore in un giudizio di risoluzione del contratto per morosità, non si limiti ad eccepire che la morosità non sussiste ma proponga domanda riconvenzionale di determinazione del canone. La giurisprudenza ritiene ormai pacificamente che il “simultaneus processus” non può essere attuato, a ciò ostando le norme sulla competenza – “essendo inutilizzabile il criterio dell’accessorietà di cui all’art. 31 c.p.c., sia per la maggiore importanza della domanda di risoluzione (incidente sull’intero rapporto) rispetto a quella di determinazione del canone (attinente ad una sola delle prestazioni corrispettive), sia per la non configurabilità di un tale criterio nel caso in cui detta determinazione sia richiesta in via riconvenzionale” (Cass., n. 5484/1983) –, e che deve farsi luogo a sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente di risoluzione del contratto (v. Cass., 9 ottobre 1980, n. 5411 in FI, 1981, I, 433; Cass., SU, 11 febbraio 1982, n. 839, id., 1982, I, 1955; Cass., 14 aprile 1983, n. 2622 in Giur. it., 1985, I, 1, 1128; 23 agosto 1983, n. 5484; 6 ottobre 1988, n. 5373 in Arch. loc., 1989, 293; 7 maggio 1988, n. 3387 e altre) (22). Tale soluzione è stata contrastata da una parte della dottrina (23) affermandosi la possibilità della trattazione simultanea innanzi al giudice inferiore, competente per materia sulla causa pregiudiziale, sulla base di una lettura correttiva dell’art. 34 c.p.c. alla luce del disposto dell’art. 31, 2° comma c.p.c. fondata “sulla strutturale identità quanto meno fra alcune ipotesi di accessorietà e pregiudizialità, e sull’art. 107, 3° comma Cost.” (oltre che sulla base della ritenuta vis actractiva del rito speciale) (24); ove questa soluzione non si ritenesse accoglibile si è affermato che “non resterebbe … che interpretare l’art. 34 alla luce del canone ermeneutico fondamentale della effettività della tutela giurisdizionale …, e conseguentemente ritenere che ove una domanda (proposta in via riconvenzionale o ex art. 34 c.p.c.) comporti un accertamento che si pone come pregiudiziale rispetto alla domanda principale e non possa essere trattata simultaneamente a questa per motivi di competenza (o di giurisdizione) o di rito, in tal caso …le questioni che stanno alla base della domanda riconvenzionale dovranno pur sempre essere conosciute, ma solo incidenter tantum, dal giudice della domanda originaria, garantendo così in modo pieno il diritto di difesa del convenuto senza pregiudicare l’effettività del diritto d’azione dell’attore…” (25). 3. Cause introdotte dopo il 1° gennaio 1993. L’entrata in vigore dei commi 3°, 4°, 5° dell’art. 40 c.p.c.. I commi 3°, 4° e 5° dell’art. 40 c.p.c., introdotti dalla l. n. 353/1990, risolvono il problema della trattazione simultanea di cause connesse soggette a riti differenti, individuando in quali ipotesi è possibile la trattazione simultanea e quali sono i criteri in base ai quali stabilire il rito applicabile. Niente dice la norma sulla realizzazione del simultaneus processus allorquando le cause appartengano alla competenza di giudici diversi e deve ritenersi che la sua applicazione presupponga risolto l’altro problema della competenza (originaria o prorogata ex art. 31 ss. c.p.c.) del giudice innanzi al quale il cumulo si realizzi ab origine o a seguito di riunione (ex artt. 39, 40, 1° comma, 274, 274 bis c.p.c.). Per quanto concerne le ipotesi di connessione in cui è possibile la trattazione simultanea, l’art. 40, 3° comma richiama espressamente solo “i casi previsti dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36” (26), esclusi i casi previsiti dall’art. 33 in tema di cumulo soggettivo (27). I criteri tramite cui risolvere i conflitti tra riti di domande connesse sono schematicamente i seguenti: a) nel conflitto tra rito ordinario e rito speciale prevale il rito ordinario, salvo che la domanda soggetta a rito speciale non rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 nel qual caso prevale il rito del lavoro; b) nel conflitto tra rito speciale del lavoro in senso stretto e altro rito speciale prevale il primo, in forza “dell’argomento a fortiori agevolmente desumibile dal nuovo testo del terzo comma dell’art. 40” (28); c) nel conflitto tra rito speciale del lavoro in senso lato (fuori dai casi di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c.) e altro rito speciale, se le cause sono soggette alla competenza di giudici diversi prevale il rito relativo alla domanda “in ragione della quale viene determinata la competenza”, se le cause sono soggette alla competenza dello stesso giudice prevale il rito previsto per la causa di maggior valore (29). Secondo alcuni Autori il criterio della prevalenza del rito speciale della causa in ragione della quale viene determinata la competenza trova applicazione anche quando le cause appartengono fin dall’origine alla competenza dello stesso giudice, dovendo in tal caso farsi riferimento al rito della causa che astrattamente attratto l’altra causa (30). Il 5° comma dell’art. 40 rinvia per il mutamento di rito alle regole dettate per il processo del lavoro, artt. 426, 427, 439 (31). 3.1. Effetti della nuova disciplina sulle controversie in materia di locazione. Come già si è osservato, la disciplina dettata all’art. 40, 3°, 4°, 5° comma trova applicazione per le cause introdotte a partire dal 1 gennaio 1993, col che – almeno per queste ultime – potrebbero ritenersi risolte le questioni in tema di trattazione simultanea di cause soggette a riti differenti permanendo il problema del cumulo tra cause attribuite alla competenza di giudici diversi. Peraltro, l’entrata in vigore della nuova disciplina su connessione e rito indipendentemente dalle norme su competenza e rito in materia di locazione (art. 8 n. 3 e 447 bis) rischia di creare un effetto perverso e sicuramente contrario all’intento perseguito dal legislatore. Infatti, la novella del 1990 aveva previsto la competenza per materia del pretore e il rito del lavoro per tutte le controversie in materia di locazione, comodato di immobili urbani e affitto di azienda (32) e, se il corpus normativo fosse entrato unitariamente in vigore, l’art. 40, 3°, 4° e 5° comma avrebbe giocato un ruolo affatto residuale con riferimento al settore che qui interessa, nel senso che non avrebbe mai potuto porsi un problema di rito tra cause di locazione ma solo nelle rare ipotesi di cumulo tra una causa di locazione e una causa fuoriuscente da detta materia (es.: domanda di pagamento canoni e eccezione in compensazione di un credito fondato su un titolo diverso da quello su cui si fonda il credito principale). Solo in queste ultime ipotesi, dunque, il rito speciale sarebbe stato derogato in favore del rito ordinario, restando nella quasi totalità dei casi a regolare il procedimento delle controversie locatizie. La discrasia nell’entrata in vigore dell’art. 40, 3°, 4° e 5° comma da un lato e degli artt. 8 e 447 bis dall’altro rischia di provocare l’effetto opposto: essendo tutt’oggi numerose le ipotesi di controversie locatizie soggette a rito ordinario (v. supra sub 2), ogniqualvolta risultano cumulate una di tali cause e una di quelle di cui agli artt. 43 e 45 l. n. 392/78 il rito da applicare è quello ordinario in deroga a quello speciale (33). Tenuto conto di quello che era l‘intento perseguito dal legislatore e del fatto che il meccanismo che si è appena descritto è il frutto più che di una scelta ragionata di un irrazionale frazionamento della riforma, appare lecito tentare una interpretazione che, ampliando al massimo l’attuale competenza per materia del pretore, riduca conseguentemente l’ambito di applicazione dell’art. 40 (34). Si tratta del resto di ripercorrere una strada già battuta, cogliendo e valorizzando gli spunti già fortemente presenti nella giurisprudenza e indirizzati nel senso di offrire una definizione ampia di controversia sul canone, quale comprendente anche gli antecedenti logici necessari (ad es. esistenza e validità del contratto) e i vari effetti del rapporto complesso (v. supra sub 2.1.). 3.2. La nozione di rito speciale. In ordine ai rapporti tra rito lavoro e rito locatizio (cioè quel rito speciale disciplinato mediante richiamo di singole disposizioni sul rito del lavoro ma in modo da dar luogo ad un rinvio pressoché globale) si è negato in dottrina che la controversia locatizia possa considerarsi diversa dal rito del lavoro in senso stretto, potendo parlarsi di rito speciale “solo nei casi di vera e propria autonomia del corpo normativo destinato a disciplinare il singolo processo, e non invece dove, accanto a una serie di disposizioni speciali, vi sia poi un rinvio residuale alle norme del modello originario, oppure ancora vi sia un rinvio nella sostanza “globale” ancorché concepito come selettivo rispetto ad un modello originario chiaramente identificato” (35). Le conseguenze dell’esclusione del caso in esame dalla fattispecie del concorso di riti diversi sarebbero da un lato la realizzabilità del cumulo indipendentemente dalla tipologia della connessione, dall’altro lato una possibilità di convivenza dei due modelli, per cui potrebbe “affermarsi, anziché la prevalenza tout court del rito della causa di lavoro, la possibilità che all’interno del medesimo processo e nella convivenza dei due modelli contigui, si assicuri …il rispetto di quelle norme che attengono al piano della tutela” (36). 3.3. Problemi di costituzionalità. Viene prospettata in dottrina “l’illegittimità della norma” in esame “per l’irragionevole discriminazione tra le cause di lavoro e previdenziali (che, in funzione della rilevanza degli interessi ad essi sottesi, sono state sottoposte al rito speciale), e le altre cause che, per un’analoga valutazione di interessi, il legislatore ha assoggettato al medesimo rito del lavoro o ad un rito affine, e per le quali viceversa prevarrebbe, in caso di connessione, il rito ordinario” (37). In merito si osser-va come un tale dubbio può risultare fondato solo laddove la specialità del rito risponda a specifiche e particolari esigenze di tutela delle situazioni sostanziali tutelate mediante quelle forme e non anche laddove si sia solo inteso perseguire un obbiettivo di efficienza dell’amministrazione della giustizia in un determinato settore di controversie (come nel caso di specie sembrerebbe). Si aggiunga che, una volta entrata in vigore per l’intero la riforma, la deroga al rito speciale locatizio dovrebbe configurarsi come ipotesi del tutto residuale e che tale deroga avverrebbe in favore del rito ordinario, così come razionalizzato dal legislatore del 1990. 4. Cause introdotte dopo le cause pendenti alla data dell’entrata in vigore integrale della l. n. 353/1990. In particolare: l’entrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c.. L’entrata in vigore dell’art. 447 bis c.p.c., che prevede l’applicazione di un unico rito speciale ricalcato pressoché interamente sul rito speciale del lavoro per tutte le controversie di cui all’art. 8, 2° comma n. 3 (locazione, comodato, affitto), porrà definitivamente fine alle questioni di rito, venendo meno anche i problemi che l’art. 40 c.p.c. pone nella fase transitoria (o di transizione). Quella disposizione trova infatti applicazione anche nei giudizi pendenti “previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell’art. 426” (art. 90, 7° comma l. n. 353/90 e succ. mod.), mentre il cumulo tra le cause pendenti al 1-1-1993, e che non fossero definite, potrà essere attuato attraverso la riunione. 4.1. Il problema del cumulo di più domande attribuite alla competenza di giudici diversi. L’unica ipotesi problematica resta quella della connessione tra una controversia locatizia, attribuita pertanto alla competenza per materia del pretore, e una controversia rientrante secondo il criterio del valore nella competenza del tribunale. Quanto si è detto sull’estensione della competenza pretorile (ricomprendente tutta la materia delle locazioni, del comodato, dell’affitto) indica come la questione sarà molto meno grave, dopo l’entrata in vigore degli artt. 8 e 447 bis c.p.c., di quanto non lo sia oggi, trovando soluzione i casi che più frequentemente si sono presentati nella pratica (riconvenzionale di equo canone nel giudizio di risoluzione del contratto per morosità; domanda di determinazione dell’indennità di avviamento nel giudizio di risoluzione del contratto). Sulla risoluzione della anzidetta questione un’influenza decisiva sarà esercitata dalle conseguenze che dottrina e giurisprudenza ritrarranno in ordine alla modificazione della competenza per ragioni di connessione dalla nuova disciplina sul rilievo dell’incompetenza di cui all’art. 38, 1° comma. Tale disposizione prevede che “l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti nell’art. 28, sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione”, così assimilando la disciplina della competenza per valore a quella della competenza per materia e per territorio inderogabile. Sulla base di tale assimilazione – la quale scardina le fondamenta della lettura tradizionale degli artt. 31 ss. (38) – si è giustamente osservato che “ove si vadano oggi a rileggere gli artt. 31 ss. alla luce del nuovo testo dell’art. 38, 1° comma …ne dovrebbe discendere in modo piano la seguente conseguenza: ogni qual volta il legislatore prevede la deroga alla competenza per valore, è da dedurne la derogabilità anche della competenza per materia e per territorio inderogabile sulla base dell’argomento a simili, nonché della competenza per territorio derogabile sulla base dell’argomento a fortiori. Ne segue che nelle ipotesi di connessione previste dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 (cioè in tutte le ipotesi di domande connesse tra le stesse parti o tra parti diverse per ragioni di pregiudizialità-dipendenza) la simultaneità di trattazione sarebbe sempre possibile ove le due domande pendano nello stesso grado di giudizio” (39). Quanto al giudice davanti al quale realizzare la simultaneità di trattazione, lo stesso per quanto qui interessa andrà individuato: a) “nel giudice ‘inferiore’ competente per materia sulla domanda principale o pregiudiziale ove la domanda accessoria o dipendente rientri nella competenza per valore del giudice superiore e sia proposta ab initio dall’attore cumulativamente alla domanda principale o pregiudiziale: e ciò in forza della regola emergente dall’art. 31”; b) nel giudice originariamente adito ove la domanda originaria sia la domanda pregiudiziale o principale e nel corso del processo sia proposta (in via riconvenzionale o di chiamata in garanzia) domanda dipendente: e ciò in forza di quanto è da desumere dagli art. 31 e soprattutto 32”; c) “nel giudice ‘superiore’ competente per valore o per materia sulla causa dipendente, ove la domanda originaria sia la domanda dipendente e nel corso del processo sia proposta (in via riconvenzionale di accertamento ex art. 34 o di eccezione in compensazione di controcredito che sia contestato) domanda pregiudiziale che rientri nella competenza per materia o per valore del giudice inferiore: e ciò in forza di quanto si desume implicitamente dall’art. 34 (e 35, 36) che prevede solo spostamenti a favore del giudice superiore e non verso il giudice inferiore…” (40). Seguendo tale interpretazione anche quell’ultimo problema può trovare infine soluzione. 5. Il mutamento di rito nel procedimento per convalida di sfratto. Trattando delle questioni di rito nelle controversie in materia di locazione un ultimo cenno merita l’art. 667 c.p.c. nel testo sostituito dalla l. n. 353/90 (non ancora in vigore), secondo cui “Pronunciati i provvedimenti previsti dagli articoli 665 e 666, il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento di rito ai sensi dell’art. 426”, previsione che si è resa necessaria a seguito delle modifiche introdotte dagli artt. 8 e 447 bis in tema di competenza e rito (41). Dal richiamo di cui all’art. 426, 1° comma “si desume senza alcuna possibilità di dubbio che alla notificazione della intimazione e della citazione ex art. 657 ss. non segue una fase preparatoria soggetta alle preclusioni di cui agli artt. 167 e 183: la fase preparatoria del giudizio a cognizione piena si perfezionerà solo a seguito dell’ordinanza di mutamento di rito prima tramite l’integrazione degli atti introduttivi (integrazione del tutto libera, giacché nessuna decadenza è ricollegata alla fase speciale della convalida) e poi nel corso della udienza di cui all’art. 420” (42). In particolare non sembra che possano estendersi al mutamento di rito in esame le conclusioni cui erano pervenute dottrina e giurisprudenza per l’ipotesi prevista dall’art. 426 c.p.c., di causa di lavoro introdotta con rito ordinario innanzi al pretore territorialmente competente a conoscerla; si affermava, infatti, che qualora si fossero verificate delle preclusioni secondo le regole del rito erroneamente adottato – nella specie quello ordinario –, queste dovevano permanere a seguito del mutamento di rito (43). Tale soluzione non appare riproponibile con riferimento all’art. 667, sia perché – come già rilevato – non epressamente prevista alcuna decadenza ricollegata alla fase della convalida, sia perché non paiono estensibili le preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c. (preclusioni collegate alla costituzione in giudizio mediante comparsa di risposta, cioè un atto della difesa tecnica) con riferimento ad una udienza per la quale l’ordinamento consente al convenuto di comparire e difendersi personalmente. (1) L’espressione è di PROTO PISANI, Le controversie in materia di locazione, in ANDRIOLI, BARONE, PROTO PISANI, PEZZANO, Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 183. (2) Sul tema, v. PROTO PISANI o.u.c., 183 ss; ID., Rapporti fra competenza, rito e merito nella legge n. 392 del 1978 (e nel rito speciale del lavoro, in FI, 1981, V. 185 ss.; COSTANTINO, Controversie in materia di locazione di immobili urbani, voce del N. ss. Dig. It., App., Torino, 1981, 759 ss.; TARZIA, Sulla tutela giurisdizionale nelle locazioni urbane, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 1979, 102 ss.; SALETTI, in Equo canone. Commentario a cura di BIANCA, IRTI, LIPARI, PROTO PISANI, TARZIA, Padova, 1980, 529 ss.; GUARINO S., Aspetti processuali della nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani, in Riv. trim. dir. proc. civ.; GARBAGNATI, I procedimenti d’inquinazione e per convalida di sfratto, Milano, 1979, 291 ss.; CEA, I procedimenti locativi, in FI, 1985, V, 353 ss. (3) PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 3; sul tema v. TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1991, 18; LUISO, in CONSOLO, LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 1991, sub artt. 3, 5, 70; NELA, in Le riforme del processo civile a cura di CHIARLONI, 48 ss.; GIANCOTTI, ibidem, 568 ss.; CARBONE, in Corriere giur., 1991, 1, 85 ss.; ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 219 ss. (4) Detti problemi riguardavano essenzialmente: a) l’individuazione delle controversie soggette a rito speciale; b) la possibilità di realizzazione del cumulo tra cause soggette a riti differenti; c) la possibilità di realizzazione del cumulo tra cause soggette a riti differenti e attribuite l’una alla competenza per valore del tribunale e l’altra alla competenza per materia del pretore; per un’illustrazione dei medesimi, oltre agli A. cit. alla nota precedente, v. infra. (5) V.PROTO PISANI, Le controversie in materia di locazione, cit., 189 ss.; TARZIA, in Equo canone. Commentario, cit., 495 ss. (6) Cfr. PROTO PISANI, Le controversie, cit., 189-190. (7) Sul tema v. MENCHINI, Il giudicato civile, Torino, 1988, 43 ss., spec. 55 ss. ed ivi ult. rif. di dottor. e giur.; ID., I limiti oggettivi del giudicato, Milano, 1987, 59 ss., spec. 87 ss.; tale A.così tratteggia la distinzione tra ‘pregiudizialità logica’ e ‘pregiudizialità tecnica’: “punto di partenza è il riconoscimento di una differenza, sul piano strutturale, tra il nesso che collega il rapporto complesso ai suoi singoli effetti (c.d. pregiudizialità logica) e quello riscontrabile nei casi di incompatibilità oppure di dipendenza tra rapporti giuridici distinti (c.d. pregiudizialità tecnica). In particolare, mentre nella pregiudizialità tecnica vengono in considerazione più rapporti giuridici eterogenei, giacché l’effetto che rappresenta un elemento della fattispecie del diritto controverso trova origine da un rapporto distinto rispetto a quello costitutivo di questo …, nella pregiudizialità logica si è in presenza di un nesso tra un rapporto ed un suo effetto, ossia di una relazione tra la parte ed il tutto, esprimendo il rapporto fondamentale l’aggregato, il complesso dei diritti da esso nascenti; si ha cioè un collegamento tra entità omogenee, l’una delle quali è mera irradiazione dell’altra…”; sul tema v. anche PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. Dir. Proc., 1990, 386 ss., spec. 393 ss. (8) Cfr. PROTO PISANI, o.u.c., 395 ss. (9) Risolto nel modo di cui nel testo il problema della competenza, discende che il rito applicabile è sempre quello speciale cfr. ANDRIOLI, in ANDRIOLI, BARONE, PEZZANO, PROTO PISANI,Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1ª edizione, 1974, 153 ss: constatata la tendenziale inconciliabilità tra rito ordinario e rito speciale osservava l’illustre A.: “a proposito dell’accessorietà è da ricordare il contrasto tra chi ritiene sufficiente il nesso logico di dipendenza e finisce con il confonderlo con la pregiudizialità, e chi stima migliore il partito di affiancare all’or ricordato nesso logico l’accessorietà sostanziale tra le due domande (ANDRIOLI, Commento, I, sub art. 31). Se viene accettata la tesi più rigorosa, la connessione per l’oggetto o per il titolo comporta la inserzione della domanda principale ed accessoria nello stesso rapporto e, pertanto, l’assoggettamento dell’una e dell’altra allo stesso rito, ma, se si segue la tesi meno rigorosa, l’inammissibilità della trattazione simultanea si verifica le quante volte l’unico collegamento tra le due domande è dato dal nesso logico”. Nella sentenza citata nel testo, il Pretore di Monza precisa, peraltro, “che la ricomprensione nella competenza per materia secondo il rito speciale di cui all’art. 46 delle controversie in ordine alla soggezione del contratto all’equo canone sussiste se ed in quanto le relative domande vengono proposte congiuntamente alla domanda volta a sollecitare l’inserzione nel contratto del canone di legge. Così, ad es., se il conduttore è interessato solo a che si accerti che il contratto apparentemente stipulato per soddisfare esigenze abitative transitorie ex art. 26, lett. a), dissimula in realtà un contratto destinato a soddisfare esigenze abitative primarie, dovrà proporre le domande secondo il rito ordinario. (10) Cfr. PIOMBO, n. a Cass., n. 8499/92, in FI, 1993, 123. (11) PAPARO-PROTO PISANI, in Equo canone. Commentario, cit., 595 n. 27; v. anche PROTO PISANI, Rapporti fra competenza, rito e merito, cit., 196, n. 50; COSTANTINO, o.c., 763, secondo cui, introdotta con rito ordinario innanzi a giudice incompetente una delle cause soggette a rito speciale, la riassunzione non deve essere preceduta dal tentativo di conciliazione. (12) VERDE, Aspetti processuali della legge 27 luglio 1978, n. 382 (c.d. sull’equo canone), in Rass. dir. Civ., 1980, 135. (13) CEA, Tentativo obbligatorio di conciliazione e domanda riconvenzionale di ‘equo canone’ proposta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, in FI, 1987, I, 978. (14) L’argomento è presente nella rel. min. ex art. 83 l. n. 392/78: “il sussistere di una lite giudiziaria in atto, nella quale le parti si sono già impegnate, farebbe ritenere la frustraneità di un formale tentativo di conciliazione, che, fra l’altro, produrrebbe il negativo effetto di un inutile ritardo nella definizione del processo; resterebbe salvo, comunque, il tentativo di conciliazione che il giudice è sempre chiamato ad esperire ai sensi degli artt. 420 e 185 c.p.c.”. (15) TARZIA, Sulla tutela, cit., 116. (16) Su questi temi, v. PROTO PISANI, oo.cc.; ID., Questioni di rito, in ANDRIOLI, BARONE, PEZZANO, PROTO PISANI, Le controversie, cit., 348 ss.; ID., Sulla tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. Dir. Proc., 1979, 536 ss; COSTANTINO, o.c.; VERDEOLIVIERI, Le questioni di rito e di competenza, in Le locazioni di fronte al giudice, Milano, 1981. (17) PROTO PISANI, oo.cc. e ivi ult. riferimenti. (18) V. in particolare, PROTO PISANI, Questioni di rito, cit., 350. (19) Per una “storia” del problema di cui nel testo, v. PROTO PISANI, Questioni, cit., 377 ss.; ID., Sulla tutela giurisdizionale, cit., spec. 546 ss. (20) PROTO PISANI, Rapporti tra competenza, cit., 188; ID., Questioni, cit., 382 ss. (21) V. PROTO PISANI, oo.uu.cc.; v. anche TARZIA, Sulla tutela, cit.; LUISO, Procedimento per convalida di sfratto ed esecutività delle pronunce secondo la legge 392/1978, in Giust. civ., 1982, II, 71 ss., i quali deducono la possibilità della trattazione cumulativa con rito speciale dagli artt. 659 e 667, 3° comma c.p.c. (22) V. però anche Cass., 12 aprile 86, n. 2809; 13 luglio 1992, n. 8495 (in Rass. loc., 1993, 142) in cui si afferma – in motivazione – che “l’accertamento del canone dovuto alla stregua della legge n. 392 del 1978 appartiene al giudice competente secondo i criteri di valore stabiliti dal codice di rito per la domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità, allorché siffatto accertamento non formi oggetto di specifica domanda proposta in via principale o riconvenzionale, potendo la questione relativa all’ammontare del canone essere conosciuta e risolta, in via puramente mediata e strumentale, dal giudice competente per la domanda di risoluzione del contratto”. (23) PROTO PISANI, Questioni di rito, cit., 386; ID, Sulla tutela, cit., 564; CONSOLO, n. a Cassazione, n. 839/82 in Giur. it., 1983, I, 1, 637. (24) PROTO PISANI, o.u.c., 387. (25) PROTO PISANI, o.u.c., 387-388. (26) È diffusa in dottrina l’affermazione secondo cui il legislatore avrebbe recepito la distinzione dottrinale tra connessione ‘per coordinazione’ e connessione ‘per subordinazione’ – v. NELA, in Le riforme del processo civile cit. sub art. 40, 56; LUISO, La riforma del processo civile, cit., 23; MERLIN, Le innovazioni in tema di connessione di cause nelle leggi 353/1990 e 374/1991, relazione all’incontro di studio C.S.M Frascati 28-6/2-7-1993; TARZIA, Lineamenti, cit. 33, al quale A. si deve in particolare la relativa elaborazione (Connessione di cause e processo simultaneo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 427 ss.; v. anche FABBRINI, Connessione, in Scritti giuridici, Milano, 1989, I) –; peraltro, come osserva PROTO PISANI, La nuova disciplina, cit., 32-33, i casi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35, 36 sono per un verso più ampi della connessione per pregiudizialità (ricomprendendo il fenomeno della compensazione ed essendosi effettuato un richiamo non discretivo all’art. 36, quindi comprensivo anche della riconvenzionale compatibile) per altro verso più ristretti “ove la giurisprudenza continui ad escludere dall’art. 32 il fenomeno della garanzia impropria); v. anche le osservazioni di MERLIN, cit. (27) È problematico se il rinvio operato dalla norma sia tassativo o solo indicativo; v. NELA, o.c., 56-57; PROTO PISANI, o.u.c., 33, il quale rileva come l’esclusione dell’art. 33 non ponga particolari problemi, in quanto, nel caso di domande connesse per mera identità di titolo, potrà farsi luogo a separazione; nel caso di litisconsorzio c.d. unitario, le cause poiché inerenti ad un unico rapporto saranno di regola soggette al medesimo rito; MERLIN, o.c., 14 ss., la quale – rilevato che le definizioni di connessione di cui agli artt. 31 ss. presuppongono il cumulo ab initio mentre la norma in esame si applica anche in ipotesi di cumulo successivo, che vi sono ipotesi di domande contrapposte incompatibili o interdipendenti che non rientrano nel concetto di riconvenzione e pongono un problema di pronunce inconciliabili, che nell’ambito del litisconsorzio facoltativo ricorrono casi in cui emerge l’esigenza di coordinamento tra le discipline sostanziali dei rapporti – propone di interpretare “i richiami (agli artt. 31-32-34-35-36) in senso non letterale e tassativo, e così facendo applicazione delle nuove norme in tutti i casi in cui il processo simultaneo risulti opportuno per la presenza di una obiettiva esigenza di coordinamento dei rapporti sul piano sostanziale, che renda non meramente teorica o logica la inconciliabilità delle pronunce. …Punto di riferimento logico e funzionale di siffatta interpretazione potrebbe essere dato dalla nozione di connessione che positivamente fornisce la Convenzione di Bruxelles del 1968 al fine di consentire la riunione delle cause: assai pragmaticamente infatti l’art. 22 della Convenzione definisce come connesse “le cause aventi tra loro un legame così stretto da rendere opportuna una trattazione e decisioni uniche per evitare soluzioni tra di loro incompatibili ove le cause fossero trattate separatamente”. (28) PROTO PISANI, o.u.c.; 34. (29) Cfr. PROTO PISANI, o.u.c.; 35; ritengono che il criterio della causa di maggior valore operi sempre quando le cause sono di competenza dello stesso giudice: COSTANTINO, Appunti sulle proposte di riforma urgente del processo civile, in Doc. giust., 1988, X, 22 ss.; ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 26-27. (30) TARZIA, o.u.c., 39; MERLIN, o.c. 34 ss., la quale specifica che il criterio della “prevalenza astratta e potenziale” – che implica debba farsi riferimento alla vis actractiva della causa in senso astratto cioè indipendentemente dal fatto che si esplichi in concreto – trova applicazione nel caso in cui la forza attrattiva operi a senso unico nel senso che solo una delle cause può esplicarla (artt. 31 e 32) e non negli altri casi di connessione in cui si ha una potenzialità attrattiva a doppio senso. (31) V. PROTO PISANI, Questioni di rito, cit.. (32) Di modo che problemi residuano solo riguardo all’esclusione dalla soggezione alla competenza per materia del pretore e al rito lavoro delle azioni di rilascio per occupazione senza titolo e all’individuazione della nozione di immobile urbano; cfr. PROTO PISANI, La nuova disciplina, cit., 3. (33) Sul tema v. MIRENDA, Connessione e rito nelle controversie locative, dopo la novella dell’art. 40, comma 3 c.p.c.: addio al rito speciale, in Arch. loc., 1994, 218 ss., il quale osserva: “è solare la contraddittorietà degli effetti prodotti dall’infelice scelta di anticipare la vigenza e dell’art. 40 c.p.c.: da un lato viene tradita la ratio propulsiva e promozionale che sta alla base della applicabilità del rito speciale alla delicata materia della determinazione/aggiornamento/adeguamento del canone ex art. 43 della l. n. 392/78 (la cui ‘strategicità’ – nel quadro della legge citata – è palese, sol che si pensi, ad es., agli importanti effetti sostanziali nel rapporto negoziale fra locatore e conduttore che l’art. 45 u.c., riconosce alla mera pendenza del giudizio); dall’altro …ci si muove in direzione diametralmente opposta a quella percorsa dalla riforma”. (221). (34) Nello stesso senso, MIRENDA, o.c., 221-222, il quale prende atto che “nell’art. 43 la competenza per materia del pretore …viene espressamente confinata nell’ambito dell’azione di mero accertamento delle componenti del canone”, e, con riferimento alle materie di cui all’art. 45 afferma: “che ogni qualvolta la causa petendi sia riconducibile ad una delle materie ivi elencate, ricorre … la competenza funzionale, con rito speciale, del pretore delle locazioni, non limitata al mero accertamento di quelle situazioni sostanziali ma estesa, altresì, a tutte le pronunce connesse, comprese le domande di condanna”. (35) MERLIN, o.c., 30-31. (36) MERLIN, o.c., 31-32 che così esemplifica: “per la causa locatizia cumulata con la causa di lavoro la disciplina dell’esecutorietà della sentenza dovrebbe comunque ritrovarsi nell’art. 447 bis ult. comma, e non nell’art. 431”. (37) TARZIA, Lineamenti, cit., 36; v. VERDE, in VERDE DI NANNI, Codice di procedura civile. Legge 26 novembre 1990, n. 353, Torino, 1991, il quale in generale pone il dubbio se sia ragionevole far dipendere la scelta del rito (le norme relative al quale in quanto norme sul procedimento possono condizionare la decisione di merito) da vicende “occasionali ed estrinseche” di connessione, pur ritenendo che solo una visione eccessivamente garantistica potrebbe far propendere per l’incostituzionalità. (38) Tale lettura “era nel senso che la previsione della deroga alla competenza per valore comportasse a fortiori l’ammissibilità della deroga alla competenza per territorio derogabile (assoggettata dall’art. 38 ad una disciplina più blanda), e a contrariis l’inammissibilità della deroga alla competenza per materia e per territorio inderogabile (assoggettate dal testo originario del primo comma dell’art. 38 ad una disciplina più forte di quella della competenza per valore)” (così PROTO PISANI, La nuova disciplina, cit., 20-21. (39) PROTO PISANI, o.u.c., 21. (40) PROTO PISANI, o.u.c., 22. (41) Per i casi in cui il procedimento si applica a controversie che non rientrano tra quelle di cui all’art. 8 n. 3 c.p.c. (locazioni di immobili non urbani e controversie attribuite alla competenza delle sezioni specializzate agrarie) v. PROTO PISANI, o.u.c., 12; NELA, in Le riforme del processo civile, cit., sub art. 667, 602. (42) PROTO PISANI, o.u.c., 11-12. (43) Cfr. PROTO PISANI, Questioni di rito, cit., 374; FABBRINI, Diritto processuale del lavoro, 1974, 51, 55, il quale formula l’ipotesi di preclusione della domanda riconvenzionale, non espressa nella comparsa di risposta; TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1980, 152; perquanto non esplicitata, deve ritenersi che tale interpertazione sia valida per il caso in esame per LUISO, in CONSOLO, LUISO, SASSANI, La riforma, cit., 417, il quale ritiene dubbio che l’opponente possa proporre, con gli atti integrativi, domande riconvenzionali che dovrebbero essere proposte nell’udienza fissata per la convalida (entrambe le parti potrebbero invece allegare nuovi fatti (44) liberamente); nello stesso senso NELA, in Le riforme, cit., sub art. 667, 600 n. 6, secondo cui “la presentazione di domande riconvenzioanli è consentita all’opponente nella comparsa con cui egli si sia eventualmente costituito, ed è successivamente preclusa, ex art. 167 c.p.c., senza che la possibilità di integrare l’atto introduttivo si risolva in una vera e propria sanatoria delle decadenze; l’A. dubita peraltro che tale soluzione sia valida anche per il caso in cui il conduttore sia comparso personalmente all’udienza senza costituirsi.