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Diapositiva 1 - Comune di Lentini

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Diapositiva 1 - Comune di Lentini
Ultimo atto
a cura di Graziella Priulla
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Il 25 giugno 2012 la relatrice speciale delle Nazioni Unite Rashida
Manjoo afferma:
A livello mondiale la diffusione degli omicidi basati sul genere ha
assunto proporzioni allarmanti, culturalmente e socialmente
radicati, questi fenomeni continuano a essere accettati,
tollerati e giustificati, e l’impunità costituisce la norma…
Le donne è come se vivessero sempre “nel braccio della morte”.
La violenza non è più un problema privato ma politico.
Dunque quelle morti annunciate sono a carico delle Istituzioni che
non si adoperano per far fronte al fenomeno. E’ arrivato il
tempo di parlare, di gridare NO MORE.
Lo stupro e l’omicidio sono forme estreme del sessismo e sarebbe un errore
considerarle isolatamente, come se non fossero situate in una linea di
continuità con rapporti di potere e culture patriarcali che, nonostante la
costituzione, le leggi, i «valori» sbandierati della democrazia, stentano a
riconoscere la donna come «persona».
La donna resta – purtroppo anche nel sentire e nel modo di pensare di molte
donne, per ragioni di adattamento e di sopravvivenza – una funzione
sessuale e procreativa. È il corpo che assicura piacere, cure, continuità
della specie. […]
E’ importante perciò che si dica che la violabilità del corpo femminile – la sua
penetrabilità e uccidibilità – non appartiene all’ordine delle pulsioni
«naturali», ai raptus momentanei di follia, o alla arretratezza di costumi
«barbari», stranieri, ma che sta dentro la nostra storia, a cui si torna oggi
a fare riferimento per differenziarla dalla presenza in Europa di altre
culture. Essa fa tutt’uno con la nascita della polis, con la divisione
sessuale del lavoro, con la separazione tra la casa e la città, la famiglia e
lo Stato. La cancellazione della donna come persona, individualità,
soggetto politico, produce inevitabilmente lo svilimento del suo corpo,
l’assimilazione agli altri «corpi vili» – l’adolescente, il prigioniero, lo
schiavo – su cui l’uomo ha esercitato fino alle soglie della modernità un
potere sovrano di vita e di morte.
Lea Melandri
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Consiglio d’Europa
La Convenzione di Istanbul, 2011
Ratificata dall’Italia nel giugno 2013
Gli obiettivi della Convenzione di Istanbul, elencati nell’articolo 1, sono i seguenti:
• Proteggere le donne da ogni forma di violenza; prevenire ed eliminare la
violenza sulle donne e la violenza domestica;
• Contribuire ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne e
promuovere un’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini, conferendo maggior
potere alla donna;
• Prevedere una struttura di politiche e misure di protezione e assistenza a tutte
le vittime della violenza contro le donne e della violenza domestica;
• Promuovere una cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza
contro le donne e la violenza domestica;
• Fornire supporto ed assistenza alle organizzazioni e rinforzare i poteri legali per
cooperare in modo efficace per adottare un approccio unificato con lo scopo di
eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica.
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La violenza di genere interroga direttamente la
nostra normalità, il nostro presente. Essa del
resto è profondamente intessuta nell’ordito
delle strutture archetipiche dell’immaginazione
e della cultura cui apparteniamo.
Fa parte della nostra narrazione delle origini – basti
pensare per un momento all’iterazione dello
stupro nella mitologia.
Sta nel racconto delle religioni, nelle
rappresentazioni dell’arte, nell’ordinamento
dello Stato, producendo realtà sociale e dando
senso a gesti e comportamenti.
Ancora oggi, l’idea di essere prede naturali del
desiderio maschile si forma e si consolida
presto nelle donne, che vengono gradualmente
educate a suscitarlo attraverso un complesso
codice di comportamenti.
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Riccardo Iacona, giornalista:
È una guerra moderna, questa.
Non siamo di fronte a un’Italia in bianco e nero, non ci sono alibi,
non sono storie di una periferia culturale, economica o
morale del Paese. Non sono storie lontane da noi. Non
sono storie di pazzi. Sono storie nostre, questo ci racconta la
cronaca del loro martirio, 124 donne nel 2012 come se fossero
state uccise tutte da un solo uomo e tutte per lo stesso
motivo: la libertà.
Libertà di scegliere, di lasciare, di vivere da sola, voglia
di riprendersi la vita in mano, una vita dove lui non è previsto.
Sono morte non perché deboli ma perché forti, sono state uccise
quando si sono liberate del loro uomo, sono martiri della
libertà.
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Perché diciamo che la violenza di genere è
un problema culturale?
I conflitti tra i sessi ruotano intorno alla disponibilità e
dipendenza reciproche, alla loro simmetria, alle regole che ne
definiscono contenuti e limiti.
Esso si svolge perciò entro la tensione permanente tra le
condizioni della libertà della persona e le forme di lealtà verso
la relazione.
Tale tensione, se non elaborata, in determinate condizioni
produce violenza, in particolare verso le donne e i bambini.
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E’ merito del femminismo aver portato nel dibattito pubblico e
all’attenzione delle istituzioni una violenza che si colloca
all’interno del rapporto di potere tra i sessi, un dominio del
tutto particolare perché passa attraverso le vicende più
intime; averlo tolto dalla cronaca nera, aver fatto in modo
che non fosse attribuito alla patologia del singolo o ai
costumi barbari delle comunità straniere, fare in modo che
non lo si vedesse come emergenza o questione di sicurezza,
ma come problema culturale, sociale e politico di primo
piano.
Lea Melandri
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Lo stupro e l’omicidio sono forme estreme del sessismo e
sarebbe un errore considerarle isolatamente, come se non
fossero situate in una linea di continuità con rapporti di potere
e culture patriarcali che, nonostante la costituzione, le leggi, i
«valori» sbandierati della democrazia, stentano a riconoscere
la donna come «persona». La donna resta - purtroppo anche
nel sentire e nel modo di pensare di molte donne, per ragioni
di adattamento e di sopravvivenza - una funzione sessuale e
procreativa. È il corpo che assicura piacere, cure, continuità
della specie. […] È importante perciò che si dica che la
violabilità del corpo femminile - la sua penetrabilità e
uccidibilità - non appartiene all’ordine delle pulsioni
«naturali», ai raptus momentanei di follia, o alla arretratezza
di costumi «barbari», stranieri, ma che sta dentro la nostra
storia, greca-romana-cristiana, a cui si torna oggi a fare
riferimento per differenziarla dalla presenza in Europa di altre
culture. Essa fa tutt’uno con la nascita della polis, con la
divisione sessuale del lavoro, con la separazione tra la casa
e la città, la famiglia e lo Stato. La cancellazione della donna
come persona, individualità, soggetto politico, produce
inevitabilmente lo svilimento del suo corpo, l’assimilazione
agli altri «corpi vili» - l’adolescente, il prigioniero, lo schiavo su cui l’uomo ha esercitato fino alle soglie della modernità un
potere sovrano di vita e di morte.
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Le sante
Diverse sante sono venerate come protettrici
delle donne vittime di violenza, da santa
Rosalia a santa Maria Goretti.
La prima si sottrasse a una famiglia abusante, la
seconda a nemmeno 12 anni fu vittima di
femminicidio a seguito di un tentativo di
stupro da parte di un vicino di casa. Venerata
come santa e martire, per la sua storia è
guardata come protettrice dalle donne.
Ma la sua immagine è sempre stata presentata
dalla Chiesa, più che in difesa delle donne, in
difesa della loro "virtù".
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L’alternativa alla violenza è in primo luogo la
parola, che è il fondamento della cultura.
Il significato intimo, profondo della parola,
l’immaginario cui rimanda, le suggestioni
che alimenta, i sogni che implementa, la
catena di sentimenti che sviluppa. Parole e
pratiche di scambio.
La violenza contro le donne, nel momento in
cui si manifesta, è dominata dall’afasia. Di
entrambi, dell’una e dell’altro, intrappolati
entrambi, vittima e carnefice, nel lato in
ombra dei sentimenti, di cui mai si riesce a
parlare. Urla, imprecazioni, farneticazioni e
lamenti, suppliche, pianto. Gesti brutali.
Lacrime. Silenzi.
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Violenza simbolica
E’ quella violenza “dolce” - impercettibile a coloro che la subiscono - che ci
fa sentire, conoscere, riconoscere, comunicare, agire ed essere in un
certo modo e non in un altro.
Passa attraverso indicazioni sia esplicitamente che implicitamente
normative. Questa normatività appare ai nostri occhi come accettabile
e, quel che è peggio, naturale. Paradossalmente ciò che ha una nascita
storica si mostra come eterno, pertanto necessario e immobile.
Il lavoro delle istituzioni (famiglia, stato, chiesa, scuola) finisce per
neutralizzare la storia e fare sì che i risultati di questa possano apparire
come naturali: è questo il modo in cui le relazioni divengono
naturalizzate, perdendo la loro storicità, e i rapporti di potere si
perpetuano.
Per invertire questo processo è necessario denaturalizzare lo storico,
dubitare dell’ovvio, sospettare dell’evidente e mettere in discussione
sia le nostre azioni che il modo col quale ci relazioniamo con i generi.
Per essere produttori e non prodotti di cultura.
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Dietro gli aspetti più evidenti del potere, sia privato
che pubblico, ce ne sono altri invisibili, che passano
attraverso l’educazione, la scuola, i saperi, la
comunicazione, il linguaggio, la conoscenza che
abbiamo di noi stessi e del mondo. In altre parole
siamo di fronte a una forma di dominio che è
inscritta in tutto l’ordine sociale e opera
nell’oscurità dei corpi: cioè attraverso
l’immaginario, i sentimenti, le emozioni, gli habitus
mentali di uomini e donne.
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La violenza di genere non ha
passaporto, non ha residenza, né
fede religiosa: la violenza contro le
donne è una manifestazione delle
relazioni di potere storicamente
disuguali tra uomini e donne e
produce danni e sofferenze fisiche,
sessuali e/o psicologiche, ivi
compresa la minaccia di tali atti, la
coercizione e la privazione arbitraria
di qualunque forma di libertà, fino
ad arrivare al furto irreparabile della
vita stessa.
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Serve sempre di più che lo sgomento provato di fronte
all’uccisione di una donna si accompagni alla volontà di ridurre
il numero delle vittime di violenza; serve che si conoscano e si
diffondano gli strumenti di protezione necessari.
Dobbiamo uscire da un approccio fatalista ed emergenziale per
attivare modificazioni culturali che trasformino in maniera
significativa i codici della violenza e gli equilibri di potere.
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Da una ricerca svolta nel 2010 nella provincia di Roma:
Gli adolescenti si dividono a metà tra i possibilisti e coloro
che non accettano la violenza di genere.
Uno su tre pensa sia lecito schiaffeggiare una donna e solo
poco meno di uno su due ritiene che la gelosia non giustifichi un
comportamento violento, continuando a vedere la gelosia come
qualcosa di positivo, espressione dell’amore e non della
possessività o della prevaricazione.
Quasi un adolescente su tre pensa che siano più a rischio le
donne «provocanti»: lo stereotipo sottostante è che queste
donne siano corresponsabili della violenza che subiscono.
Inoltre, l’uomo si deve far valere e deve sempre sapersi
imporre: due terzi degli adolescenti ha interiorizzato questa
virilità aggressiva.
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Una cultura arcaica
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Nella tradizione popolare …
• Picchia tua moglie ogni sera: tu
non sai perché lo fai, ma lei lo sa.
• Buono o cattivo che sia, al cavallo
si dà di sprone. Buona o cattiva
che sia, alla moglie si dà di
bastone.
• La donna è come la chitarra. Prima
la si suona e poi la si appende al
chiodo.
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Se è culturale, si può prevenire
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Lo stupro
Il termine latino stuprum, con cui si
definisce la violenza carnale, significa
anche “onta,disonore,vergogna”.
Disonore per chi? Per la donna stuprata,
non per lo stupratore.
In questo spostamento del disonore da
chi compie l’atto a chi lo subisce sta
l’operazione attuata dalla nostra
cultura, che vede la donna colpevole
delle violenze subite, sulla base della
doppia morale sessuale inventata
dall’uomo a proprio favore.
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La cultura dello stupro
E’ un complesso di credenze che incoraggiano
l'aggressività sessuale maschile e supportano la
violenza contro le donne.
In una cultura dello stupro, le donne percepiscono
un continuum di violenza minacciata che spazia
dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino
allo stupro stesso.
Una cultura dello stupro condona come "normale" il
terrorismo fisico ed emotivo contro donne. Nella
cultura dello stupro sia gli uomini che le donne
assumono che la violenza sessuale sia "un fatto
della vita", inevitabile come la morte o gli
uragani.
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L’uomo è cacciatore
È da quando ho le orecchie che questo modo di dire ritorna inesorabile in ogni
discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l'attitudine all’incostanza
sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la frustrazione di chi
si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco
di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto.
Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici
ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle
amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “che ci
vuoi fare ... L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. Magari dopo averla
detta sorridono.
Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra
seduzione e morte. Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda
la insegue per ucciderla.
L.Lipperini - M.Murgia, L’ho uccisa perché l’amavo: falso!
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Una sottocultura che addossa alla donna un
concorso di colpa
nella perdita dell’autocontrollo maschile
Quante volte abbiamo sentito dire
"guarda quella come va in giro, poi si
lamenta se la stuprano"?
Quante volte abbiamo sentito dire "se
l'è cercata"?
Quanti commenti odiosi siamo costrette
ad ascoltare davanti ad ogni gonna
corta, ad ogni maglietta scollata, ad
ogni donna che rivendica il suo
diritto di vivere la propria vita e la
propria sessualità come meglio
crede?
Gallismo
In Italia non esiste nessuna riprovazione
sociale verso atteggiamenti come
fischiare a una passante per strada o
gridarle che cosa le si farebbe
avendone l’opportunità.
Basterebbe un viaggio nel resto d’Europa
per rendersi conto di quanto questo
comportamento sia raro e malvisto.
L.Lipperini - M.Murgia, L’ho uccisa perché l’amavo:
falso!
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Il femminicidio? Colpa delle donne. «Il nodo sta nel fatto che le donne
sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono
autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni».
Parola del parroco di san Terenzo, un piccolo paese che si affaccia sul
golfo della Spezia. In una lettera affissa nella bacheca della Chiesa,
don Piero Corsi si scaglia contro le donne e le loro "responsabilità"
nel caso di omicidi, stupri e violenze sessuali.
Il documento è un estratto da un articolo dell’editorialista del sito
Pontifex.it
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Viviamo in una società che
insegna alle donne
come fare a non essere
violentate anziché
insegnare agli uomini a
non violentare
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Dire che gli uomini sono tutti uguali non solo è scorretto, ma
diffonde la falsa idea che la violenza sia insita nella natura
maschile.
Chi stupra non lo fa in quanto maschio, il maschilismo non si
trasmette per via genetica.
L’uomo può essere il miglior alleato delle donne nella lotta alla
violenza, soprattutto quando di fronte a messaggi come “in
fondo se l’è cercata, ma chissà come era vestita, le donne sono
tutte un po’ puttane”, non restano zitti offrendo l’idea di
essere conniventi.
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Stupratori non si nasce, si diventa, e lo
stupro non è un ‘virus sociale’
inevitabile ma un’azione umana, frutto
di contesti e di volontà.
Uno stupratore non usa semplice violenza
contro un altro essere umano: lo invade,
lo marchia, imprime ferite che
diventeranno fonte di angoscia
permanente.
Lo stupro è un flagello che attraversa la
storia, sfugge alle notazioni statistiche, si
maschera dietro pregiudizi e
fraintendimenti, si trasforma insieme
alla società.
Ma non è un male endemico dell’umanità.
La violenza sessuale può essere
combattuta e vinta.
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Lo stupro nella coppia: no significa no
2007: la Corte di Cassazione delibera che non esiste “diritto”
all’amplesso neppure all’interno di un rapporto di coppia
coniugale o paraconiugale: il marito (o il compagno) dunque
non ha il potere di esigere o imporre una prestazione
sessuale, se la partner non è consenziente.
La violenza sessuale perpetrata all’interno di una relazione
affettiva (stupro maritale) è tuttora poco riconosciuta: viene
spesso confusa e camuffata dalle rappresentazioni per cui
un tempo si parlava di “doveri coniugali”, di “diritto
dell’uomo”.
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La violenza dei «bravi ragazzi»
Lo stupro non è impotenza. Il dominio assoluto di un altro corpo diventa una droga.
Si stupra, si tortura, si uccide per sentirsi padroni
del destino degli altri.
Angelo Izzo , l’assassino del Circeo
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Processo per stupro
http://www.youtube.com/watch?v=RLurjfwjI4g
Processo per stupro (A Trial for Rape) è un film del 1979, diretto
da Loredana Rotondo. Fu il primo documentario su
un processo per stupro mandato in onda dalla Rai. Ebbe una
vastissima eco nell’opinione pubblica.
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La violenza
del branco
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Parola di giudice
Il tribunale di Bolzano, chiamato nel 1992 a giudicare due giovani
che avevano violentato una ragazza, pur riconoscendo come
veri i fatti da lei denunciati, assolse i due con la motivazione
che
è tuttora convinzione assai diffusa, soprattutto tra la popolazione
di bassa estrazione sociale e di scarso livello culturale, che la
donna vuole essere conquistata al limite anche con maniere
rudi e che lei stessa, per crearsi una sorta di alibi che possa
giustificare il suo cedimento ai desideri dell’uomo, non
disdegna qualche iniziale atto di violenza da parte del
corteggiatore.
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Esercitazione
Vis grata puellae
Dall’idea dell’insaziabilità sessuale della donna discende una delle
argomentazioni più turpi dell’antifemminismo: che la donna
violentata sia in qualche modo consenziente.
In un frammento di Varrone, la vittima gradirebbe lo stupro, anzi
parteciperebbe con tale foga che quasi s’inverte il rapporto
violentatore / violentata.
… violentata da non so quale mulattiere, fa scoppiare l’ernia allo
stupratore.
Hai mai avuto occasione di riscontrare, leggendo i giornali o
guardando la televisione, quanto sia ancora diffusa - nelle arringhe
dei difensori di uno stupratore in tribunale – l’affermazione che la
vittima sarebbe stata consenziente, quindi la violenza non ci
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sarebbe stata?
I fondamenti nei miti
Il tema dell’inganno a fini di stupro è il leit motif che nella
storia dell’Olimpo accompagna l’agire dei maschi nei
confronti di ignare fanciulle.
Sono numerosi i miti greci e romani che presentano scene di
rapimenti seguiti da stupro. Una vera e propria
cronologia di violenze.
In Grecia il rapimento di Persefone da parte di Ade, di Dafne e
Leucotoe da parte di Apollo, di Cassandra da parte di
Aiace di Locride, di Auge da parte di Eracle, di Andromaca
da parte di Ettore, di Polissena da parte di Achille, di
Climene da parte di Acamante, senza contare la lista di
dee e donne mortali prese con la forza o con l'inganno da
Zeus: Antiope, Asteria, Clitennestra, Danae, Egina, Elara,
Elettra, Europa, Io, Taigete.
A Roma, si menzionano la violenza del dio Marte su Rea Silvia
e quella di Tarquinio Sestio su Lucrezia.
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Come si comportava con le donne Zeus, il re degli
dei?
Quando veniva preso dal desiderio di un essere di
sesso femminile (divino, umano, o semiumano
che fosse), come spesso gli accadeva, non
ascoltava ragioni, non conosceva ostacoli,
soddisfaceva il suo istinto senza pensarci un
attimo.
Per riuscire a farlo non badava a mezzi. Ben poco gli
importava che la donna fosse o meno
consenziente, come le sue infinite avventure
amorose stanno a dimostrare.
Quella che più si avvicina a un corteggiamento (sia
pur molto particolare), e che meno di tutte
assomiglia a uno stupro è la storia con Europa,
la ragazza che ha dato il nome al nostro
continente.
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I Centauri, esseri duali
Non soltanto erano insieme uomo e cavallo,
avevano una doppia natura: saggi e guaritori,
ma anche violenti e stupratori.
L’identità maschile è scissa in animale
(fecondatore) e civile (paternità) ben più di
quanto lo sia quella femminile.
La sua polarità sociale non è frutto di lunga
evoluzione, ma recente e culturale. Quindi, più
precaria. Con lo sprofondare del patriarcato
riemerge, nel pieno della postmodernità, il
polo “rimosso”: la natura animale,
simboleggiata dal cavallo.
Come nel mito, irrompono patologie quale lo
stupro di gruppo, sconosciuto alle specie
animali, testimone di un’incapacità di relazione
risolta con la violenza.
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Filomela: dopo lo stupro,
l’alleanza tra donne
Venne violentata da Tereo, re della Tracia, marito della
sorella Procne.
Per impedirle di riferire le violenze le tagliò la lingua (la
donna è senza voce), ma Filomela riuscì ad
informare la sorella ricamando un messaggio su una
tela che le fece pervenire (simbolo della strategia
femminile di aggirare i divieti).
Saputo il fatto, Procne uccise il figlio Iti avuto con Tereo e
glielo diede in pasto di nascosto.
Quando Tereo capì quanto avvenuto si diede alla ricerca
delle due sorelle, che nel frattempo s’erano rifugiate
in Focide. Le due invocarono l'aiuto dagli dei, e
furono trasformate in uccelli (la metamorfosi
perpetua l’aggressione e la voce si riduce a canto).
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Aracne, la punizione per chi parla
Aracne è brava tessitrice, e sfida
Atena a costruire un arazzo.
Ricama tutte le infedeltà di Giove, ma
la dea la punisce, afferra il suo
magnifico tappeto lacerandolo
completamente, e le getta
addosso la spola.
Aracne, vinta dal dispiacere, si toglie la
vita impiccandosi ma la dea,
ancora non paga, la trasforma in
ragno, condannandola a tessere
per l'eternità appesa ad un filo.
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Rileggendo la storia
Il sesso è sempre stato usato come strumento di potere.
Dalla notte dei tempi non esiste manifestazione di
esercizio vittorioso più simbolico della violenza
maschile sui corpi femminili. I corpi delle donne
stuprate erano come le case e gli edifici distrutti ed
incendiati: una prova di forza, considerata accettabile.
Nel 753 a.C. fu fondata Roma; Romolo, dopo avere ucciso
il fratello Remo, ne divenne re incontrastato e la rese
forte. Per conquistare altri territori aveva però
l’esigenza di un esercito più numeroso di quello
esistente, e quindi la necessità di aumentare in breve
tempo il livello demografico; le donne romane in età
fertile non erano sufficienti a esaudirne il bisogno.
Col ratto delle Sabine (le sole vergini, ovviamente) il
problema venne risolto.
E’ insomma con uno stupro di massa che inizia la “Civiltà
romana”: lo certifica Tito Livio.
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Nel secolo scorso questo è accaduto, ad esempio, nel 1917 ad
opera delle truppe austro-tedesche dopo la disfatta di
Caporetto. È accaduto dopo il '43 ad opera dei tedeschi
nell'Italia occupata e nel '44 ad opera delle truppe alleate,
dalle cosiddette "marocchinate" immortalate nella
Ciociara da Moravia e poi da De Sica, alle 40.000 donne
italiane costrette dalla fame e spesso dalla violenza subita
a prostituirsi con gli angloamericani.
Ma non va taciuto il comportamento di tanti uomini italiani
nelle situazioni in cui questo è stato possibile.
Le cronache della conquista dell’Eritrea dal 1988, della
riconquista fascista della Libia fra il 1930 e il 1931, della
campagna di Grecia di un decennio dopo sono piene di
stupri feroci delle truppe italiane verso le donne dei popoli
oggetto di conquista. E tanti sono gli episodi accertati di
violenza sessuale contro donne partigiane da parte di
fascisti repubblichini dopo il '43.
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Stupri di guerra, Danzica: un soldato violenta
una donna incinta
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Una pratica ancora diffusa: la violenza sui corpi femminili
viene esercitata in un conflitto per umiliare il nemico o
per attuare rappresaglie.
E’ accaduto spesso durante le due guerre mondiali; ancora
dieci anni fa, nella Jugoslavia in fiamme, le truppe serbe
stuprarono oltre 25mila musulmane bosniache
(organizzando addirittura i rape camps), rompendo
l’illusione di un’Europa democratica fondata sul rispetto
dei diritti umani. A queste donne non è mai stato
riconosciuto lo statuto di vittime di guerra.
Le Nazioni Unite calcolano che più di 60mila donne siano
state stuprate durante la guerra civile in Sierra Leone
(1991-2002), più di 40mila in Liberia (1989-2003), e
almeno 200mila nella Repubblica del Congo durante gli
ultimi 12 anni di guerra.
Ricerche attuali confermano una situazione di violenza in
Ciad, dove si stuprano le rifugiate dal Darfur. Lo stesso è
accaduto in America Centrale. Si è calcolato che nel
genocidio del Rwanda (in tre mesi del 1994) siano state
violentate tra le 250 e le 500mila donne e bambine.
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Un costante corollario d’orrore
alle guerre degli uomini
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La violenza
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Ci si deve attrezzare a livello legale per punire questi reati e per
prevenirli, ma non riusciremo a entrare fino in fondo nel nodo
che si stringe tra un uomo e una donna, di qualsiasi età, ceto
sociale o provenienza geografica, prima dell’uccisione, se non
afferriamo il dato culturale profondo, la novità terribile che si
nasconde dietro ognuno di questi delitti.
Questa realtà riguarda prima di tutto gli uomini, i ragazzi, la loro
formazione, la loro sessualità, in un mondo in cui la posizione e
i sentimenti delle donne cambiano rapidamente e sono, per la
prima volta nella storia, espressi, raccontati, vissuti.
La sessualità degli uomini deve trasformarsi di fronte alla nuova
libertà delle donne, è una grande occasione, non è una perdita
anche se come ogni cosa nuova fa paura.
Cristina Comencini, maggio 2013
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Imparare a problematizzare la propria identità di genere
nel periodo dell’adolescenza è un fattore
determinante per poter progettare il proprio futuro esistenziale, affettivo e lavorativo - al di fuori delle
aspettative dominanti sulla maschilità e la
femminilità.
In questo processo, il mondo della scuola e quello della
formazione giocano un ruolo cruciale e sono chiamati
a introdurre una prospettiva di genere all’interno
delle proprie pratiche educative: un fare educazione
che sia in grado di disfare i modelli dominanti di
genere offrendo a studenti e studentesse gli
strumenti teorici e relazionali necessari a diventare gli
uomini e le donne che desiderano.
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In premessa è bene ricordare alcune date italiane che forse
non tutti conoscono:
solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha deciso che al marito non spettava nei
confronti della moglie e dei figli lo jus corrigendi, ossia il potere educativo e
correttivo del pater familias, che comprendeva anche la coazione fisica
1962 - l’abolizione del licenziamento per matrimonio
1963 - la possibilità per le donne di accedere alla carriera di magistrato
solo tra il 1968 e il 1969 la Corte Costituzionale ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 559 del codice penale che puniva
unicamente l’adulterio della moglie
1975 - il nuovo diritto di famiglia e l’abolizione del concetto di capofamiglia (e
con esso il diritto del marito di picchiare la moglie laddove, a sua discrezione,
questa aveva sbagliato)
1977 - la parità di trattamento sul lavoro
Ritardi che sono espressione evidente delle resistenze e della difficoltà di
estirpare nel nostro Paese le radici delle asimmetrie tra i sessi e, di
conseguenza, della violenza di genere.
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Comparazioni impietose
Nel Gender Gap Index 2012 del World Economic
Forum, che misura la parità di genere in 135 Paesi,
siamo all’80°posto, dopo l’Uruguay, il Botswana, il
Perù e Cipro. Si noti che i risultati nel Gender Gap
Report sono correlati sia con la competitività globale
dei Paesi, sia con il loro indice di sviluppo umano:
dove le donne stanno peggio, l’intero Paese sta
peggio.
63
1981: l’abolizione
del delitto «d’onore»
64
64
1996:
l’inclusione della violenza sessuale tra i reati
contro la persona
Prima, la violenza sessuale non era considerata un reato contro la
persona, ma un reato contro la morale, perciò aveva un certo
valore se la donna era ancora vergine (avendo provocato un
danno irreparabile nei confronti del futuro marito), ma valeva
ben poco se non lo era.
Certe cose non accadono alle donne “perbene”, ma a “quelle che
se la vanno a cercare»: questa era la filosofia di base.
Il 26 aprile 1979 rappresentò una data storica per la televisione italiana, ma
anche per l’intera società: alle 22 andò in onda, sulla RAI, Processo per
stupro. La trasmissione del documentario fu sconvolgente perché rendeva
visibile quanto gli avvocati che difendevano gli accusati di stupro potessero
essere violenti nei confronti delle vittime.
65
In questo quadro si inserisce il tema della violenza sulle donne.
Fare informazione su questo non è una scelta neutra: tocca tabù
sociali, molti antichi e alcuni - purtroppo - anche nuovi.
La reazione misogina e la violenza verbale di singoli e di gruppi si
manifestano con evidenza sui social network e nei commenti
ai siti che trattano questi argomenti.
66
67
Differenze tra conflitto e violenza
68
Ø
Ø
Ø
Ø
Ø
Nel mondo oltre 600 milioni di donne subiscono
violenze
sono 6 milioni 743.000 le donne italiane tra i 16 e i
70 anni che hanno subìto almeno una violenza fisica
o sessuale nel corso della vita
3 milioni 961.000 donne sono state vittime di
violenze fisiche (pugni, schiaffi ecc.)
5 milioni (il 23,7%) hanno subìto violenze sessuali
le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le
classi e a tutti i ceti
69
Sono triplicati in un anno, dal 2011 al
2012, i reati di atti sessuali con
minorenni.
Il 78% dei 505 bambini che li hanno
subiti (166 nel 2011) è femmina.
In Italia le bambine e le ragazze
risultano più vulnerabili, di fronte
alla violenza, rispetto ai loro coetanei
maschi: in 6 casi su 10 la vittima di
reati commessi e denunciati su
minori nel 2012 è una giovanissima
donna.
70
Le dimensioni della violenza domestica
Ogni minuto una donna subisce una violenza domestica. E non in
paesi del Terzo Mondo, ma nella civilissima Europa. Le
donne subiscono violenze soprattutto tra le mura
domestiche, dal marito o compagno, proprio nel luogo in cui
dovrebbero sentirsi maggiormente protette.
“Una donna su quattro è stata vittima di maltrattamenti durante
la propria vita” - afferma il segretario del Consiglio d'Europa,
Terry Davis - “mentre una su dieci ha subito una violenza
sessuale. Molte di queste donne non sono sopravvissute alla
violenza domestica, che è ancora uno dei killer più spietati
per le donne tra i 18 e i 44 anni”.
71
I costi sociali
Le violenze domestiche hanno conseguenze sia sulla vita delle
vittime che per la società. Attacchi di panico, paura,
depressione, incapacità di relazionarsi con l’esterno e di
contribuire all’educazione dei figli sono solo alcuni dei sintomi
più frequenti cui vanno incontro le donne violentate.
Alla sofferenza umana si aggiungono poi gli effetti negativi sulla
società, con una crescita delle spese per sanità, polizia e
giustizia, e una riduzione della produttività.
Ad esempio, la Svizzera spende ogni anno 260 milioni di euro
mentre in Inghilterra e in Galles il costo è di 34 miliardi di euro.
Tutti i paesi europei sono colpiti da questa piaga: il governo
spagnolo paga 2,4 miliardi di euro, nei Paesi Bassi 151 milioni di
euro e in Finlandia 101 milioni.
72
In Italia ogni giorno ogni 12 secondi una
donna viene colpita da atti di violenza
di genere (fisica, verbale e
psicologica).
Nell’ultimo anno con dati disponibili (il
2010) si sono contati oltre 105mila
reati di genere, pari ad oltre 290 al
giorno.
Più in dettaglio, ogni giorno 95 donne
denunciano di aver subito minacce e
87 di aver subito ingiurie; 64 donne al
giorno sono vittime di lesioni dolose,
19 di percosse, 14 di stalking, 10 di
violenze sessuali.
73
Il caso estremo
Femminicidio
74
E’una recente categoria di analisi socio-criminologica delle violenze
perpetrate nei confronti delle donne entro un rapporto di
coppia.
E’ un neologismo per indicare ogni forma di violenza posta in
essere contro la donna in quanto donna.
Inventare nuove parole serve: finché non hanno
un nome, le cose sono invisibili.
Dare un nome a un problema è essenziale sia per far sorgere
consapevolezza della sua esistenza, sia per agire.
Iniziare a chiamare gli omicidi misogini con il termine femminicidio
serve a rimuovere la generalizzazione che deriva dall’uso di
parole quali “omicidio” e “uccisione” e comprendere invece i
fattori di rischio specifici, la loro diffusione, le modalità per
effettuare le indagini.
75
75
Si parla finalmente di femminicidio.
Si parla ancora troppo poco delle diverse forme che la
violenza sulle donne assume, delle sue dinamiche
spesso invisibili.
Troppo poco delle diverse strade che tante donne
coraggiose intraprendono, riuscendo a reagire
interrompendo la spirale della violenza, e
riconoscendola al primo apparire.
Troppo poco di come dovremmo collettivamente reagire
di fronte a questa barbarie. Perché c’è bisogno di un
cambiamento culturale profondo, che attraversi tutta
la società.
76
Nel vocabolario Devoto-Oli, 2009
Il femminicidio è, nello specifico,
qualsiasi forma di violenza esercitata
sistematicamente sulle donne in nome di una
sovrastruttura ideologica di matrice
patriarcale, allo scopo di perpetuarne la
subordinazione e di annientarne l’identità
attraverso l’assoggettamento fisico o
psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.
77
Scrive l’Accademia della Crusca
E’ genericamente omicidio qualsiasi azione che abbia
come conseguenza la morte di un soggetto da parte
di un altro soggetto.
E’ uxoricidio il provocare la morte della propria moglie,
è infanticidio provocare la morte di un bambino.
E’ femminicidio provocare la morte di una donna,
bambina o adulta, da parte del proprio compagno,
marito, padre o di un uomo qualsiasi, conseguente al
mancato assoggettamento fisico e psicologico della
vittima.
78
E’ l’adeguamento - stentato - della lingua a una
stortura di millenni
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Il termine ‘femminicidio’ si è diffuso dopo il filmdenuncia diretto da Gregory Nava e
interpretato da Jennifer Lopez e Antonio
Banderas, che racconta 14 anni di omicidi di
donne in Messico.
Dal 1993, più di 400 donne sono state
barbaramente assassinate a Ciudad Juárez e
in altre città dello Stato messicano di
Chihuahua, e più di 650 stuprate.
Le indagini locali sono risultate inadeguate, tra
omertà, depistaggi, colpevoli ritardi,
falsificazione delle prove.
Grazie alla tenacia delle donne messicane, il
Messico è stato condannato dalla Corte
interamericana per i diritti umani per i
femminicidi avvenuti sul suo territorio.
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Donne uccise nel 2013
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Bollettino di guerra
Menna era al lavoro, alla guida di uno scuolabus. Giustiziata.
Francesca dormiva nel suo letto, come Rosanna. Giustiziate.
Gabriella era in macchina accanto al suo assassino, Antonia aveva appuntamento con
lui per strada ... giustiziate.
Stefania, brillante studentessa di psicologia, battagliera nel movimento degli studenti.
Il ragazzo che la uccise, dopo un amore finito, non seppe dire altro che una frase
assurda: «L’amavo più della sua vita».
Carmela, liceale palermitana, si frappone fra la sorella e il suo omicida. Cerca di
salvarla dal furore dell’ex fidanzato respinto. Le hanno trovate una accanto
all’altra, le ragazze, riverse nell’androne di casa al ritorno da scuola.
Silvia è stata fatta a pezzi e poi messa dentro un congelatore.
Donne diversissime tra loro per provenienza, mestiere, classe sociale. Ma con vicende
simili.
Il dopo si assomiglia: l’ospedale, la questura, la paura, i processi. Ma si assomiglia
anche il prima. Il colpo di fulmine, l’innamoramento, il sentimento assoluto, la vita
in comune, le botte, i primi abusi, l’isolamento, la denigrazione, le minacce sui figli
quando ci sono, la segregazione.
96
Prima: quando si poteva ancora fare qualcosa.
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98
Un triste primato
Ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa per
mano del proprio partner
Un fenomeno allarmante per le Nazioni Unite: eppure in
Italia è trattato come un reato di scarsa pericolosità sociale,
quasi fisiologico e inevitabile. Basti pensare che violenze e
percosse alle donne, spesso preludio del delitto, sono
perseguite solo su querela della vittima.
Anche per l’informazione, il reiterarsi di questo crimine fa sì
che scenda la soglia di attenzione e che il trattamento della
notizia sia ormai scaduto in un racconto di routine. E colpisce la
frequenza con cui si usano, per raccontare questi crimini,
categorie come "delitto passionale", "raptus di follia", o che si
leggano titoli come: "l’ex confessa: l’amavo più della mia vita".
"Gelosia", "passione", "amore" diventano facile movente e
persino attenuante, che abbassa la soglia dell’allarme sociale,
nel silenzio delle famiglie “normali”.
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99
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Una mattanza sotto traccia
Ricerche nazionali e
E’ difficile conoscere il fenomeno
internazionali hanno
della violenza dai dati delle
evidenziato che 7-8 donne su
statistiche amministrative,
10 prima di essere uccise dal
essendo le denunce scarsissime.
loro partner o ex partner
Solo circa il 7% delle violenze, sia
avevano subìto
fisiche che sessuali da partner o
maltrattamenti o erano state
ex-partner sono state denunciate,
perseguitate.
nel 33% dei casi le vittime non
hanno parlato con nessuno della
violenza subìta, e soltanto nel
2,8% si sono rivolte ad un Centro
antiviolenza.
101
101
Chi lavora stabilmente sui casi di violenza spiega come sia
indiscutibile che gli uomini che “condividono la subcultura
della superiorità maschile” siano più inclini a diventare
“partner abusanti”.
Così come è dimostrato dai fatti che “le donne portate a
concepire per sé un ruolo subalterno” nella coppia/famiglia
siano più inclini a subirla e a non denunciarla.
L’85% degli uomini che agiscono violenza l’hanno vista
perpetrata dai propri padri o familiari.
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2013: una ogni due giorni
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110
Su dieci uccisioni di donne, 7,5 sono
precedute da maltrattamenti, violenza
fisica o psicologica
In Italia
sono 250 al giorno …
… le donne che vengono
aggredite e picchiate dal loro
partner o dal loro ex partner.
Nel tempo che avete impiegato
a leggere questa diapositiva,
è successo, da qualche parte,
almeno una volta.
111
111
Barbablù sposava le ragazze e le uccideva, poi
nascondeva i loro corpi in cantina. Così, in
serie.
Il primo serial killer delle favole. Marito omicida
seriale, impunito.
Perché lo facesse, la storia non lo spiega: non
per i soldi, era ricco e viveva in un castello.
Non per gelosia, le sue mogli non lo
tradivano né potevano avere la tentazione di
farlo: vivevano isolate nel maniero, sole con
lui.
Non per rabbia, non per reazione a qualche
episodio che potesse scatenarla: niente di
tutto questo dice la storia. Solo che lui le
uccideva.
Concita De Gregorio, Malamore
112
Santa Monica
Allevata così nella pudicizia e nella temperanza… quando ebbe raggiunta l’età
conveniente andò a marito, e lo servì come un padrone, studiandosi di
guadagnarlo a te (Dio, ndr)… ne tollerò le infedeltà tanto di non farne mai
motivo di litigio, ma attendeva la tua misericordia su lui…
In realtà egli era molto affettuoso, ma anche molto irascibile. Ella però aveva
imparato a non opporsi alle sue sfuriate né con i fatti né con le parole: quando
poi, sbollita la collera, lo vedeva quieto e ben disposto, gli spiegava i motivi
della sua condotta, se le pareva che egli si fosse adirato troppo a torto.
Molte altre mogli, dai mariti meno furiosi, portavano sulla faccia sfigurata i segni
delle percosse; parlando con le amiche, esse inveivano contro la condotta dei
mariti, ed ella contro la loro lingua… E poiché esse, ben sapendo quale marito
violento dovesse sopportare, si maravigliavano che non si era mai sentito né
constatato che Patrizio (il marito, ndr) avesse battuto la moglie o che vi fosse
stata un solo giorno domestica discussione tra loro e, in via di amicizia, gliene
domandavano come fosse possibile, ella esponeva loro il suo metodo, quello
che ho sopra ricordato.
Quelle che ne facevano la prova, dopo l’esperimento ne la ringraziavano; quelle che
non volevano farla, continuavano a essere schiave e malmenate.
113
da Sant’Agostino, “Le confessioni”.
Isabella Morra
Lucana, figlia del barone di Favale, poetessa petrarchista del
Rinascimento; fu prima reclusa e poi uccisa - a 26 anni dai suoi stessi fratelli, per via di una presunta relazione
clandestina.
I fieri assalti di crudel Fortuna
scrivo, piangendo la mia verde etate,
me che 'n si vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate,
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna.
114
Carmen, la gitana che voleva vivere libera
Poco prima di essere barbaramente assassinata dà un
bacio sulla guancia a Don José. Non lo percepisce
come un pericolo, lo considera una vecchia
fiamma alla quale è ancora affezionata. Non ha
desideri di vendetta o di rivalsa nei suoi
confronti: desidera solo vivere la vita che si è
scelta. Gli restituisce l’anello di fidanzamento con
un gesto semplice, quasi con pudore, con
tenerezza.
Per questo tanti uomini sorprendono le donne con la
violenza, perché le donne non credono che si
possa arrivare a uccidere per qualcosa – glielo
dice, a José: c’est fini, je ne t’aime plus – che non
esiste più.
E si sbaglia Carmen, si sbagliano le donne, purtroppo.
115
Un fatto di cronaca del 1785
Francesco Ferdinando II, Principe di Palagonia,
pretore a Palermo, brutto e deforme,
sposato all’età di sessant’anni con una
giovinetta, ne era a tal punto geloso da
applicare specchi ai soffitti della sua
residenza, la famosa "Villa dei Mostri" di
Bagheria, al fine di controllare meglio la
consorte.
Quando la scoprì in compagnia di un falegname,
la fece legare con una fune ad un cavallo e
trascinare fino alla morte, mentre il
falegname fu murato vivo nella villa.
Delitti impuniti, ovviamente.
116
L’ «onore» come attenuante
Riporto - in onore della memoria - l’articolo del codice penale che
è stato in vigore in Italia fino al 1981:
art. 587: Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della
sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale
e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o
della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona
la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale
col coniuge, con la figlia o con la sorella.
Queste disposizioni sono state abrogate con la L.442/1981.
117
Identikit della violenza
Le tipologie principali della violenza
- sessuale (stupro, tentato stupro, molestie, rapporto imposto,
sfruttamento)
- fisica (percosse, ferite, mutilazioni, uccisioni)
- economica ( privazione di fondi e risorse)
- psicologica e verbale (minacce, ricatti, umiliazioni, denigrazioni,
insulti).
La violenza ha come autori uomini molto diversi
Nessuna ricerca ha rilevato specifici fattori come indicatori di
rischio: né la razza, né l’età, né le condizioni socio-economiche
e culturali, né una specifica condizione psico-patologica.
118
118
119
120
Amore e violenza: il legame
insospettabile
Nell’immaginario sessuale dominante maschile le
donne sono viste come corpi erotici, seduttivi,
che scatenano desiderio, oppure come corpi
materni, figure integre, rigeneranti e salvifiche.
Esiste un legame insospettabile tra amore e
violenza: l’uomo si accanisce sul corpo che gli ha
dato la vita, le prime cure, le prime sollecitazioni
sessuali.
Occorre dunque interrogarsi su che cosa è stata nei
secoli e che cosa è oggi la famiglia, sui vincoli di
dipendenza che crea, sulla mutata condizione
delle donne, divise tra casa e lavoro, sulla
difficoltà degli uomini ad affrontare una libertà
femminile finora sconosciuta.
121
Ti amo,
perciò ti uccido
L’analisi storica e sociologica aiuta a comprendere.
Non è perché gli uomini sono malvagi che alcuni di loro umiliano o
uccidono le loro compagne, ma perché la società nel corso dei
secoli ha creato in loro la convinzione di essere i legittimi
proprietari del corpo femminile e che il loro desiderio fosse il
solo a contare.
Questa convinzione, costruita socialmente e culturalmente e
radicata nella legge, nella letteratura e nei media, crea quello
squilibrio di genere che è all’origine della violenza e che deve
cambiare.
122
122
L’amavo più della sua vita
http://www.youtube.co
m/watch?v=jqNoBva
wLk4
Video della regista Cristina
Comencini
123
124
Non è un destino ineluttabile
Il punto non è «donne contro uomini».
In tutto il mondo lo scontro in atto è di
mentalità.
Coloro che vogliono conservare regole e
abitudini del passato «devono»
umiliare le donne. Ai loro occhi è il solo
modo per evitare che lo status quo sia
messo in pericolo.
Le persone moderne invece non avvertono
questa necessità, perché sono in grado
di adattarsi a una società retta da
princìpi nuovi.
125
126
E invece …
Mai stare zitte davanti alle espressioni di questa cultura, di questo
controllo, di questa violenza, cui assistiamo o che vengono
esercitate su di noi nel quotidiano.
Non reagire a un comportamento sessista significa legittimare la
cultura che è alla base del femminicidio.
127
A lungo mi sono chiesta come fosse possibile che persone
intelligenti, il più delle volte colte, spesso autonome
economicamente, accettassero di essere oggetto di violenza
all’interno della propria relazione.
Adesso so che contano l’educazione femminile, frutto di secoli di
addestramento alla subordinazione, e anche la parallela
formazione maschile, imbevuta di proiezioni dominanti e
possessive.
Contano i modelli sociali patriarcali, e conta moltissimo la
sensibilità popolare educata all’idea che uno schiaffo sia solo
una carezza veloce, nella convinzione diffusa che l’amore sia
tale anche quando procura occhi pesti, zigomi lividi e sospette
cadute dalle scale.
Michela Murgia
128
La violenza si può fermare
Brutali e fragili: non c’è mix più micidiale.
Se scartiamo l’infondata ipotesi di una connaturata malvagità
del sesso maschile, possiamo pensare, più
ragionevolmente, che un cambiamento - nel senso di
relazioni più umane tra uomini e donne - venga dalla
cultura, dall’educazione, dalle leggi, da una conoscenza di
sé e dell’altra più consapevole della barbarie che ci
portiamo dentro, nostro malgrado.
Non è una questione per sole donne, ma la condizione
fondamentale per dar vita a una società libera
dall’oppressione.
129
130
Stereotipi sulla violenza di genere
(1)‫‏‬
Sulle donne …
•
•
•
•
“Va in giro vestita in un modo tale che se l’è cercata!”
“Se lui la picchia ci sarà un motivo, no?”
“Se lei proprio non voleva, non sarebbe successo”
“Si è ricordata di andare dalla polizia troppo tardi, di
sicuro non è vero”
Stereotipi sulla violenza di genere
(2)‫‏‬
Sugli uomini …
• “Un uomo di fronte ad una donna provocante non può
resistere all’istinto”
• “Gli stupratori sono uomini stranieri oppure
tossicodipendenti”
• “Gli ha fatto violenza perché è malato, un uomo normale
non farebbe una cosa così”
• “Gli uomini sono fatti così, la violenza e la forza sono una
loro caratteristica, anche se ogni tanto si lasciano andare”
Stereotipi sulla violenza di genere
(3)‫‏‬
Sui luoghi …
• “Le violenze avvengono in strada o in luoghi bui e
isolati”
• “Casa mia è il luogo più sicuro del mondo, non mi può
succedere niente”
• “Sono cose che ti possono succedere con gli estranei,
non con le persone che conosci”
Stereotipi sulla violenza di genere
(4)
Nella tradizione popolare …
• Picchia tua moglie ogni sera: tu non sai perché lo fai, ma
lei lo sa.
• Buono o cattivo che sia, al cavallo si dà di sprone. Buona o
cattiva che sia alla moglie si dà con il bastone.
• La donna è come la chitarra. Prima la si suona e poi la si
appende al chiodo.
La ricerca - a partire da un'indagine in
ambito piacentino - intende dar voce alla
percezione che gli adolescenti hanno nei
confronti della violenza di genere.
Emerge un quadro preoccupante, fatto di
pregiudizi e stereotipi che finiscono per
legittimare la violenza, soprattutto
quand’essa occupa le mura domestiche
e laddove essa non raggiunge le
conseguenze estreme; gli intervistati
esprimono infatti un giudizio perlopiù
negativo sulle donne che subiscono
violenza, dibattendosi in una particolare
difficoltà nel distinguere tra il volere, nel
senso del desiderio, e il violare, a causa
di quel desiderio; sembra mancare in
loro la distinzione fra conflitto e sopruso,
fra pericolo reale e insicurezza sociale.
Ascoltare i campanelli d’allarme
Anna Costanza Baldry, ricercatrice specializzata in
criminologia:
Ho studiato 479 fascicoli processuali di altrettanti omicidi di
donne per cercare di capire se, prima dell'uccisione, ci
fossero stati campanelli d’allarme. Nel 70% dei casi erano
suonati eccome, ma nessuno li aveva sentiti.
In 9 casi su 10, se si valuta il rischio correttamente, è possibile
capire se ci sarà un’escalation della violenza.
136
Ragazze: continuiamo pure a credere all’amore
eterno e continuiamo a raccontare alle nostre
amiche tutte le romanticherie che ci
piacciono, ma non tralasciamo mai di
chiederci e di chiedere “Ti rispetta?”
Ficchiamoci in testa che questa domanda è
essenziale.
Ficchiamoci in testa che il solo vero amore è
quello che ti rispetta.
137
138
139
140
Nessuna donna dovrebbe accettare un rapporto in cui è
sempre il compagno a dettare le regole.
Uno dei segnali da “allarme rosso”, ad esempio, è se l’uomo
cerca progressivamente di isolare la compagna dal mondo
esterno, quindi le impedisce di vedere gli amici, di avere
attività di vario genere che la portino a trascorrere del
tempo senza di lui.
L’uomo manipolatore e lo psicopatico tentano con tutti i mezzi
di costruire un rapporto “fusionale” con la donna e non
perché siano realmente innamorati di lei, ma solo perché
vogliono mantenerla sotto controllo.
141
Riconoscere la violenza
I maltrattanti si comportano tutti in maniera molto simile.
Considerano la compagna una cosa di proprietà, ne sono gelosi al
punto da impedirle progressivamente di uscire, di avere una
propria vita sociale, spesso la inducono a lasciare il lavoro per
badare ai figli, la umiliano verbalmente fino a distruggere la sua
autostima.
A questi comportamenti, poi, alternano periodi di docilità e
tranquillità. Questo crea confusione e sensi di colpa nella donna,
ed è questa la ragione per cui le donne portano avanti relazioni
violente così a lungo, rivolgendosi mediamente ai centri
antiviolenza dopo 7 anni di maltrattamenti.
Lo scopo per tutti è lo stesso: ridurre la donna in condizione di
isolamento e quindi di dipendenza, economica e psicologica. La
soggezione psicologica è tale che molte subiscono
sistematicamente anche violenza sessuale, ma accettano la cosa
142
come normale.
Valutazione dei livelli di negazione
Non è vero
Negazione dei fatti
Mi ha istigato
Negazione della responsabilità
Non ero in me
Negazione della
consapevolezza
Non mi pare così
grave !
Negazione dell’impatto
Alcuni piccoli consigli da seguire se sei oggetto di
violenza:
•reagisci subito, al primo schiaffo: la tua passività rafforzerebbe nell’uomo
la convinzione del suo diritto alla violenza su di te;
•se hai un fidanzato manesco, lascialo subito: con il matrimonio non
cambierà;
•non giustificare la tua incapacità a lasciare un marito violento con l’alibi
dei figli: loro soffrono a vivere in un clima di violenza. Inoltre, le statistiche
dicono che un bambino che vive in una famiglia violenta ha ottime
possibilità di diventare un violento, e una bambina quella di diventare
oggetto passivo di violenze;
•non perdere la stima di te stessa solo per quello che un uomo può dire di
te;
•se vieni picchiata, vai in ospedale, fatti rilasciare un certificato che attesti
le tue condizioni e sporgi denuncia, dopo aver contattato un centro
antiviolenza o il telefono rosa perché ti affianchino e ti aiutino nell’iter
della denuncia e ti informino sui tuoi diritti, onde evitare errori per
potrebbero ritorcersi contro di te.
144
Saper riconoscere i sintomi
Chiari sono i tre indicatori fondamentali perché una donna
possa riconoscere una situazione di maltrattamento: la
sofferenza, la confusione e la paura.
Quando si è in una situazione di maltrattamento psicologico c’è
sofferenza e ci si sente responsabili, come se essere trattate
male sia propria colpa.
C’è confusione, non si capisce più chi ha torto o ragione nelle
discussioni, non si riesce a seguire il proprio punto di vista e
ci si sente indecise e insicure su ogni cosa.
C’è paura, si sente un disagio forte perché si è continuamente
in ansia per le oscillazioni di umore del proprio compagno.
145
146
147
Le storie violente cominciano sempre con uno schiaffo: un
“piccolo“ episodio che spesso viene sottovalutato nella
speranza che non accadrà ancora. E invece lo schiaffo si ripete,
più forte. Sempre.
Di solito una vittima non reagisce alle prime avvisaglie di un
comportamento violento con comportamenti di fuga,
allontanamento o ribellione: è portata piuttosto a perdonarlo o
comunque a trascurarlo, confidando che non si presenti più.
Un ceffone è già troppo. Anche se è la prima volta, anche se
l’uomo si pente e promette di non usare più le mani, in quel
momento il limite è stato superato e può andare soltanto
148
peggio.
Stai attenta a chi ti dice troppo spesso cosa fare, senza
chiedersi cosa vorresti fare tu.
Stai attenta a chi ti promette amore per qualcosa in
cambio.
Stai attenta a chi ti tratta male e giustifica il suo
comportamento come necessario.
Stai attenta a chi non ti fa mai un apprezzamento.
Stai attenta a chi non ha fiducia in te.
Stai attenta a chi ti fa sentire in colpa, come se tu fossi
sbagliata.
Stai attenta a chi ti vuole "troppo bella", "troppo
gentile", "troppo buona", "troppo disponibile".
Stai attenta a chi non ti vuole per quello che sei e cerca
di modificarti in un'altra.
149
Assumiti la responsabilità di aiutare te stessa e il tuo
compagno (che deve essere curato e incarcerato nei casi più
gravi) riconoscendo il problema. Se hai un tumore far finta di
non averlo non ti guarirà: morirai lo stesso. I dati ci
suggeriscono da dove viene il problema. Dal nostro tipo di
attaccamento relazionale che è disfunzionale. Se abbiamo
avuto traumi affettivi e un attaccamento insicuro con i nostri
genitori ci riteniamo indegne, ci identifichiamo nel nostro
carnefice e giustifichiamo le sue manchevolezze.
Ammettere di non essere amate ci fa profondamente soffrire
ma negarlo non ci restituisce quell’amore che stiamo
mendicando.
Giustificare il tuo compagno addossandoti la colpa di averlo
provocato fa parte di un retroterra culturale retrivo e
violento.
150
Il ciclo della violenza
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152
153
E le pubblicità, che
relazioni umane
suggeriscono?
E perché i maschi accettano
che li si rappresenti così?
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Se questo
è un uomo
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Una sessualità da incubo
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158
Deumanizzare
Non stiamo dicendo che messaggi come questo provochino
direttamente la violenza. Non è così semplice.
Ma trasformare un essere umano in una cosa che è quasi
sempre il primo passo per giustificare la violenza contro la
persona. Lo vediamo con il razzismo. Lo vediamo con
l’omofobia. Lo vediamo con il terrorismo. È sempre lo
stesso processo . La persona viene disumanizzata e la
violenza diventa legittima, o almeno possibile; possibile
compiere su di lei azioni inaccettabili.
E questo passaggio è già stato fatto contro le donne.
159
Nella storia della nostra specie
deumanizzare serve a
pensare l’altro essere
umano incompleto, animale,
oggetto. Serve a compiere
su di lui azioni inaccettabili
in un contesto normale.
Queste sottrazioni di umanità
accompagnano la nostra vita
senza che spesso ne
abbiamo consapevolezza.
160
Fin da una giovane età, ai ragazzi vengono messe camicie di forza
emozionali da un ristretto codice di comportamento che definisce
falsamente la mascolinità.
Aderire a questo codice lascia molti uomini dissociati dai loro
sentimenti ed impossibilitati ad accedere, nominare, condividere o
accettare molte delle loro emozioni.
Quando gli uomini non comprendono le loro stesse emozioni diventa
impossibile comprendere i sentimenti di un’altra persona. Questo
crea un “disordine da deficit di empatia” che è fondamentale per
bullismo, abusi e violenza di genere.
Ai ragazzi viene insegnato ad essere tosti, indipendenti e ad evitare ad
ogni costo qualunque cosa considerata femminile per paura di
essere associati con le donne. Questo porta molti uomini a
rinunciare alla comune umanità con le donne in modo da sentire
una disconnessione emozionale con loro. Le donne diventano così
oggetti, usati per validare l’insicurezza mascolina o per soddisfare
161
bisogni fisici.
Possesso
Il rapporto con la donna è fortemente segnato dal verbo
avere: “ho un moglie”, “ho una ragazza”, “farò di tutto per
riaverti”, “sei mia”, “l’ho posseduta” sono forme linguistiche che
chiariscono molto più di tante analisi a quale tipo di rapporto
siamo stati/e educati/e.
La donna “si ha”, e se è negata
è legittimo toglierle la vita,
romperla come un oggetto.
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Tanto dagli uomini maltrattanti quanto da quelli “buoni”,
spesso è considerato normale un controllo pressante sulla
vita e le libertà della partner.
Vietare facebook alla fidanzata, leggere la sua posta, impedirle
di lavorare o seguirla ogni giorno per controllare che il
rivale in amore non si faccia vedere, è considerato un modo
normale di essere uomini e innamorati, anche per molte
donne.
Ma è solo una questione di possesso e dominio.
168
Questo non è amore
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Che cos’è la gelosia?
L' "amore geloso" si attiva quando predomina una tensione
determinata da insoddisfazione, scarsa autostima, frustrazione: un
vuoto che il partner dovrebbe colmare.
In questa modalità di relazione si tende al possesso del partner. E’ un
rapporto di potere. C'è un bisogno esasperato di essere amati,
ammirati e scelti come unici destinatari dell'investimento affettivo
del partner, da cui si esige una presenza e una disponibilità continua
e totale.
Il partner geloso, con la sua pretesa di possesso esclusivo dell'altro da
cui ricevere un amore incondizionato e una soddisfazione totale,
non riesce ad identificare il partner come "altro da sé", ma come
specchio di se stesso.
E' un amore a metà, dove predomina l'illusoria convinzione delle
donne di essere ricercate, amate, desiderate intensamente da un
uomo che dice di non poter vivere senza il loro amore, ma che in
realtà sta pensando solo a se stesso.
Per amare è necessario riconoscere il partner come altro da noi, con la
sua personalità, il suo modo di essere, i suoi spazi di libertà.
175
Per quale motivo – nel XXI secolo – la gelosia di un
uomo viene considerata da alcune donne un elemento
a suo favore, quasi un pregio, una virtù?
“Il mio ragazzo è molto geloso, non vuole che esca da sola la sera con le
amiche”; “ Non mi posso vestire troppo scollata, o con una mini, perché sai,
poi lui si arrabbia”; “Io controllo sempre di nascosto i messaggi sul cellulare
del mio ragazzo, e anche lui lo fa sempre … se mi arriva un messaggio di un
altro, anche se non c’è niente tra di noi, diventa gelosissimo e spesso
minaccia di lasciarmi o di farmela pagare. Allora io sto zitta e faccio quello
che vuole, perché non voglio perderlo”.
La violenza sulle donne non è solo stupro, è anche pressione psicologica, è
anche l’essere costretta a fare cose che non si vorrebbero fare, è anche l’’
ssere ostacolata nel prendere decisioni individuali o l’essere
psicologicamente costretta a non essere indipendente, è essere controllata
costantemente.
176
L’«amore» uccide
più della malavita
177
178
Il sommerso resterà sommerso?
Emergerà quando almeno i medici e gli operatori
psico-sociali impareranno a cogliere le richieste
d’aiuto non esplicite
Troppo spesso gli stereotipi e i pregiudizi, ancora
sottesi in tradizioni, istituti, ruoli e realtà
sociali attuali, trovano la donna incapace di
quella consapevolezza che la condurrebbe a
percepirsi nel suo ruolo di vittima quando
questo fosse.
E’ soggiogata troppe volte anche da una fragilità
psicologica che la mantiene passiva,
indulgente e tollerante, incline a
sopportazione e oblatività come
caratteristiche materne e quindi confacenti
con il suo ruolo di donna.
E’ soggiogata troppo spesso da una sudditanza
economica, quando non possa contare
sull’efficienza di una rete istituzionale
sistemica e coordinata che la protegga e la
difenda.
180
Nelle storie di piccola e di grande
violenza mancano sempre
le parole da dire
Non ci sono le parole della vittima che subisce, si percepisce
impotente e si arrende a un potere che diventa sopraffazione.
Non ci sono le parole di chi utilizza la violenza perché non sa
raccontare in altro modo la sua paura di vivere ai margini, la
sua vulnerabilità che è spesso il risultato di storie di vita
dall’avvio problematico e dalle poche risorse educative ed
emotive.
Non ci sono nemmeno le parole di coloro che dovrebbero
presidiare il campo della crescita e dell ’ educazione, che
dovrebbero prendere posizione rispetto alle prepotenze e alle
181
ingiustizie.
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184
Nella violenza domestica
le conseguenze sulle vittime si possono descrivere così:
•perdita del valore di sé e della sicurezza sino alla perdita dell’autostima
•perdita del senso di gestione autonoma della propria vita e del proprio
corpo
•senso di impotenza e isolamento.
La violenza può provocare conseguenze traumatiche. Spesso le donne
trovano delle strategie per convivere con il dolore e i sentimenti feriti. Queste
donne investono un’enorme energia per sopravvivere e affrontare la
quotidianità. Ma la violenza continua aumenta il peso, le tensioni e ansie
determinano le giornate rendendole insopportabili. A volte si ricorre all’alcol
o alle droghe per calmare la tensione, l’ansia, nei casi di situazioni
particolarmente pesanti alcune donne ricorrono agli psicofarmaci. Con il
tempo però ciò porta ad un calo dell’energia e delle forze che servono alla
donna per affrontare la vita quotidiana e quella della famiglia.
Per uscire dal ciclo della violenza un aiuto adeguato dall’esterno è
assolutamente necessario.
185
Lesioni quotidiane all’autostima
Mi diceva che sono grassa, che
sono stupida, che sono
brutta: e io andavo davanti
allo specchio, mi guardavo
con gli occhi suoi e mi
dicevo che forse aveva
ragione
186
Che cosa prova la donna
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
massima VULNERABILITA’
pervasivi sentimenti di COLPA e VERGOGNA
paura
ansia/angoscia
solitudine
diffidenza
disorientamento/confusione
disperazione
disvalore/incompetenza
… rabbia
Il giudizio degli altri
In molti casi, una donna in condizione di fragilità
psicologica subisce l’ulteriore carico del giudizio dei
familiari, che sminuiscono la sua condizione di
sofferenza con frasi come "Te lo sei sposato e te lo
tieni", e delle forze dell’ordine, che spesso
scoraggiano quelle che vanno a denunciare:
"Signora, è il padre dei suoi figli: ci pensi bene".
Per aiutarle a uscire dall’isolamento è dunque
importante avvicinarsi loro con cautela e istruire in
modo adeguato forze dell’ordine e operatori sociali.
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I bisogni delle donne che subiscono
violenza
BISOGNI INIZIALI
üUSCIRE DALLA CONFUSIONE
üESSERE ASCOLTATE
üRACCONTARE LA PROPRIA STORIA E LE
PROPRIE EMOZIONI
üESSERE CREDUTE E NON GIUDICATE
üRICONOSCERE LA VIOLENZA COME TALE
üVEDERE LEGITTIMATE LE PROPRIE EMOZIONI
üRACCOGLIERE INFORMAZIONI
CONOSCERE LA RETE DEI SERVIZI
consente alla vittima, informata sulle
motivazioni di un accompagnamento o invio ad
altro servizio, di essere
UN SOGGETTO ATTIVO CONSAPEVOLE
Incolpare la vittima è ucciderla due volte
Sminuire la portata della violenza, ritenendo fisiologica
l’episodica aggressione nella sfera del privato di
coppia,
definire genericamente conflittualità di coppia l’agire
violento del partner maschile, o
ricercare nella vittima, nel suo comportamento e/o nella
sua psicologia, le cause della violenza,
dà luogo a un processo che è stato definito di
vittimizzazione secondaria, che consiste nel cercare la
causa della violenza in tratti di personalità, in
particolari
comportamenti
delle
donne
o
caratteristiche morali di queste ultime.
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199
200
200
«Non è vero»
«Non sta succedendo a me». Luisa, 38 anni, toscana, dice di
essere andata avanti per mesi con quel pensiero fisso.
Mesi durante i quali il fidanzato, da cui attendeva un figlio,
alternava momenti di tenerezza a scatti di ira, carezze a
botte.
Chi lavora con le donne maltrattate spiega che dalla fase «non
sta succedendo a me» passano quasi tutte.
Se si avessero le chiavi per decodificare i segnali, imboccare il
tunnel che porta a diventare vittime di violenza sarebbe
meno semplice. Capire significa salvarsi.
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La rappresentazione mediatica
203
La RAI
204
Se si prova a cercare la parola “femminicidio” negli archivi dei
giornali si scopre che essa fa la sua prima comparsa intorno
al 2006-2007, per poi diffondersi sensibilmente solo negli
ultimi anni.
Non che prima, ovviamente, non si consumassero femminicidi:
semplicemente non c’era una parola per indicare il
fenomeno e i singoli episodi venivano raccontati slegati
l’uno dall’altro.
Da qualche tempo, molto lentamente e con grandi lacune,
alcuni mezzi di comunicazione hanno deciso di tirar fuori
dal flusso indistinto degli avvenimenti i casi di donne uccise
per aver osato mettere in discussione il loro ruolo e hanno
iniziato a dare a questi fenomeni il nome di femminicidio
(anche se qualcuno ancora storce il naso di fronte a questa
parola).
205
Alla luce del crescente
risalto dato dai media e
dalla politica ai
femminicidi e, più in
generale, alla violenza
contro le donne, è
importante valutare la
qualità dei messaggi che
riceviamo sul tema.
206
Al centro della violenza maschile c’è il nodo della
soggettività e della libertà delle donne: il
riconoscimento del desiderio femminile, il
riconoscimento della propria compagna come
interlocutrice, il misurarsi con la libertà di scelta di
una donna che se ne va.
Ma nella comunicazione pubblica e nelle iniziative
sulla violenza questo nodo emerge di rado: gli
uomini restano invisibili e le donne sono
rappresentate come soggetti deboli, da
proteggere, magari da controllare.
Non è possibile la progettazione di servizi, la
costruzione di campagne di sensibilizzazione senza
sviluppare una riflessione critica sui modelli
dominanti di mascolinità.
207
Le parole per raccontarlo
Il femminicidio nei media viene generalmente legato a due motivi,
ambedue fuorvianti: l’amore o la malattia.
Quando il movente viene identificato nel delitto passionale, quello
per «troppo amore»: si confonde l’amore con la rabbia o
l’incapacità di affrontare solitudine e abbandono.
Quando è identificato con la malattia, si lega l’atto omicida ad una
patologia. La violenza viene quasi sempre spiegata come un
“raptus” o una “follia omicida”, anche se l’uccisione della donna
avviene dopo anni di violenze familiari o stalking, e le indagini
rivelano che il delitto era stato organizzato precedentemente .
Con l’uso di queste parole i giornalisti e le giornaliste hanno la
responsabilità più o meno consapevole di confermare la cultura
che giustifica la violenza nei confronti delle donne.
208
Negli articoli di nera o nei servizi televisivi si sottintende o si
esplicita che a scatenare la “follia” sia stato un
comportamento “sbagliato” della donna che ha scatenato la
reazione distruttiva dell’ex compagno.
Al femminicida vengono attribuite quasi sempre buone qualità
(più raramente se è straniero): “buon padre”, “bravo
ragazzo”, o viene messa in luce l’infelicità.
La donna invece viene spesso descritta come una portatrice di
disordine che aveva (o aveva avuto) molte relazioni”, o non
accudente, o infedele. Una donna che non rispettava le
aspettative sociali e quelle del compagno, di essere una
“buona moglie”.
209
È a lui che, incredibilmente, tutte le storie sono rivolte. A morire è una donna
ma chi si impadronisce della scena è l’uomo che l’ha uccisa, restando
comunque entro una costellazione di tipo passionale.
Il maschio agisce il dominio sull’oggetto di sua proprietà fino a liberarsene,
sopprimendolo nel momento in cui si rende conto che gli si palesa dinanzi
un soggetto.
Dunque questo amore imperituro e furioso, che porta alla morte dell’oggetto
amato, diviene il leitmotiv di ogni narrazione: c’è una soggettività maschile
che o è malata o è tradita, della donna poco e nulla si sa.
C’è bisogno di un nuovo baricentro rispetto al tema, posizionarsi al centro e
aprire lo sguardo, smascherando le consuetudini che vorrebbero le donne
imprigionate nel preconcetto vittimizzante di eterne vestali o surrogate
mamme cattive.
210
Ricordati di me, che son la Pia
«Non svelo il nome del mio assassino – dice
Pia de’ Tolomei quando incontra Dante
in Purgatorio – altrimenti vi ricorderete
solo di lui e non di me».
Andata in sposa a Nello dei Pannocchieschi, podestà
di Volterra e capitano della Taglia guelfa nel
1284, fu fatta uccidere dal marito che la fece
precipitare dal balcone del suo castello della
Pietra, in Maremma.
La causa del delitto sarebbe, secondo alcuni, la
punizione di un’infedeltà, secondo altri la volontà
di lui di passare a seconde nozze.
211
212
Dramma della gelosia
Otello è solo un elemento di una coppia fatale:
l’altro è Desdemona (in greco ‘sfortunata’), la
bionda patrizia veneziana che il Moro ama,
sposa e poi strangola sul letto nuziale,
convinto che lei lo tradisca.
Shakespeare, che da questa vicenda immaginaria
ha tratto una delle sue tragedie più intense e
famose, illumina a tutto tondo la figura di
Otello, ma lascia in ombra quella di
Desdemona, della quale presenta solo gli
aspetti funzionali al progredire della passione
del Moro, all’acuirsi ed esasperarsi di essa
sotto il pungolo del perfido Jago.
213
214
Un “amore criminale” è
un ossimoro,
un “omicidio passionale” è
una giustificazione,
un “raptus di follia” è una
menzogna.
215
1 marzo 2012:
“Fracassa il cranio del figlio per
vendicarsi dell’abbandono della moglie”
Come poteva essere un “uomo mite”, “buono come il pane”,
padre “amorevole”, come lo hanno descritto la maggior parte
dei giornali ostentando profili psicologici di un uomo “distrutto
dal dolore” per la separazione dalla moglie, quello che ha
fracassato a martellate il cranio del figlio di 17 anni che
dormiva nel letto di casa sua per vendicarsi della donna che lo
aveva messo di fronte all’inevitabilità della separazione dopo
l’ennesima lite?
Come poteva essere un uomo “pacifico”, uno che decide
scientemente di uccidere il figlio, prima di togliersi lui stesso la
vita lasciando alla moglie la scoperta dell’orrendo delitto
consumato in casa sua?
Quale concezione aveva dei rapporti, dell’amore, della paternità?
Quale maturità, quale autonomia, se a tal punto non
sopportava un abbandono?
Quale pace mai potrà trovare questa madre, rosa dal rimorso di
aver lasciato il figlio in mano al suo aguzzino travestito da
216
216
padre amoroso?
Vittoria, giugno 2013
Un bidello uccide un’insegnante.
Si scrive che l'assassino era "ferito" dall'"indifferenza" e
"freddezza" dell'insegnante, quasi la colpa fosse di
quest'ultima.
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O la colpa è del caldo?
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Gentilmente
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Passione, fuoco
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222
Un titolo di giornale
(Il resto del Carlino)
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Accade spesso che la vittima venga
mostrata in abiti succinti
224
anche se è minorenne
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Pretendiamo
227
Il racconto della violenza nei mass media è spettacolarizzato.
La volontà tenace di mostrare la donna vittima è così reiterata da
diventare una sorta di perversa pedagogia.
Non servono raccomandazioni, né consigli, né prediche, né
racconti pietosi: questo vale per tutti i mezzi di
comunicazione.
Noi pensiamo che solo la stima di sé possa salvare le donne dalla
violenza, perché le renderà capaci di riconoscere la violenza
prima che accada, le aiuterà a non affidarsi ciecamente e a
contare sulle proprie forze. Il resto, le leggi, i provvedimenti,
l’ascolto possono aiutare, ma la stima di sé è l’essenziale.
La società in cui viviamo è ancora profondamente impreparata
alla libertà delle donne. Quando diciamo società intendiamo
dire che anche noi donne siamo impreparate alla nostra
libertà e alle sue conseguenze. Può sembrare un paradosso ma
non lo è.
228
Libere dalla paura di essere punite
Vorrei un Paese che non rappresenti più la
donna come la vittima con l'occhio nero
coperta di lividi, ma che sia chiara
l'immagine di un soggetto, e non di un
oggetto, che si alza in piedi e dice forte
e chiaro: "Non osare mai più".
Le donne non si rendono conto
pienamente della loro forza, perché
non riconoscono il guinzaglio con cui
sono tenute a bada.
229
Dibattito aperto:
si può usare la violenza per vendere?
230
Sulla violenza non si
può scherzare!
Banalizzazione della
violenza da parte di
pubblicitari senza scrupoli
231
231
Estetizzazione e banalizzazione della violenza
nelle riviste di moda
232
233
Titoli di giornale su donne importanti
234
Non basta essere bravi
professionisti, e non basta
essere cittadini sensibili;
bisogna essere preparati,
studiare.
Per dare corretta informazione su
questa realtà e in generale sui
diritti e le discriminazioni di
genere, oltre ai pur utilissimi
blog, bisognerebbe entrare a
pieno titolo nel tessuto del
giornale, avviando un processo
di trasformazione dentro le
redazioni.
235
236
La violenza assistita
237
238
Secondo dati del 2006 sono state
690mila in Italia le donne che
hanno subìto violenze ripetute dal
partner e avevano figli al momento
della violenza.
Il 62,4% ha dichiarato che i figli hanno
assistito ad uno o più episodi di
violenza.
Le piccole vittime di violenza assistita
apprendono che l’uso della
violenza è normale nelle relazioni
affettive.
L’aver subìto e/o assistito a
maltrattamenti intrafamiliari è tra i
maggiori fattori di rischio per lo
sviluppo di comportamenti violenti
239
nella vita adulta.
241
242
IL BAMBINO CHE VIVE IN UNA SITUAZIONE DI
MALTRATTAMENTO E/O ABUSO FAMILIARE E'
MESSO DI FRONTE AD UN PROBLEMA
INSOLUBILE; IL TERRORE, LA DISPERAZIONE, LA
MORTIFICAZIONE LO PORTANO A RIVOLGERSI,
PER CHIEDERE AIUTO, ALL'ADULTO PROTETTIVO
CHE, IN QUESTO CASO, E' PROPRIO COLUI DAL
QUALE DIPENDE LA SUA SOFFERENZA.
244
246
247
248
LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA
CONIUGALE SUI FIGLI
• Psicologiche:
Psicologiche Senso di colpa e
d’impotenza, Aggressività, Insicurezza,
Paura, Dipendenza dalla madre, Sentirsi
diviso fra la madre ed il padre
• Fisiche:
Fisiche Insonnia, Iperattività
• Sociali:
Sociali Stigmatizzazione, Assenteismo
scolastico
Emozioni
•
•
•
•
•
•
•
Paura (per sé e i familiari)
Orrore
Impotenza
Vergogna
Umiliazione
Rabbia (per l’ingiustizia percepita e vissuta)
Aggressività (apprendono che l’uso della violenza è
normale nelle relazioni affettive, e che l’espressione di
pensieri ed emozioni è pericolosa)
• Mancanza di empatia
• Sfiducia
• Senso di colpa (si sentono privilegiati se non vittimizzati
direttamente;si sentono responsabili della violenza perché
cattivi)
Gli esiti dannosi dovuti alla violenza familiare si
riscontrano anche a lungo termine nella vita
adulta:
paura, impotenza, colpa, vergogna, bassa
autostima, distacco emotivo, depressione,
disturbi d’ansia, aggressività, impulsività,
passività, dipendenza, somatizzazioni, sintomi
dissociativi, suicidio, abuso di sostanze, difficoltà
di autoprotezione e tendenza ad essere
vittimizzati, difficoltà genitoriali, trascuratezza,
violenza fisica, psicologica e sessuale, disturbi di
personalità.
L’intensità e la qualità degli esiti dannosi derivano dal bilancio
tra le caratteristiche dell’evento (precocità, frequenza,
durata ecc...) e i fattori di protezione (risorse individuali
della vittima e del suo ambiente familiare, interventi
attivati nell’ambito psico-sociale, sanitario e giudiziario.
Il danno è tanto maggiore quanto più:
- il fenomeno resta nascosto e non viene riconosciuto
- non viene attivata protezione nel contesto primario e
sociale
- l’esperienza resta non verbalizzata e non elaborata
- viene mantenuta la relazione di dipendenza con chi nega
l’abuso.
Che fare?
Attivare interventi di sostegno a favore del nucleo
familiare, laddove sussistano sufficienti risorse, è la
strada maggiormente auspicabile.
Riuscire a salvare il legame con le figure genitoriali, o con
almeno una di esse, rappresenta un aspetto
fondamentale per la resilienza e per il processo di
elaborazione del trauma nei bambini/e.
Uno dei principali fattori di riparazione del danno subito dai
minori vittime di violenza familiare è la consapevolezza,
che permett e l’attivazione delle capacità protettive di
almeno una delle figure genitoriali.
254
Il contrasto alla violenza
255
256
La più lenta a cambiare è la giustizia. In alcune
procure esistono pool specializzati, ma nella
maggior parte d’Italia l’argomento è ancora tabù
257
La “Dichiarazione sull’eliminazione della
violenza contro le donne” dell’Onu, del
1993, fornisce per la prima volta una
definizione della violenza contro le donne,
intesa come “qualsiasi atto di violenza per
motivi di genere che provochi o possa
verosimilmente provocare danno fisico,
sessuale o psicologico, comprese le
minacce di violenza, la coercizione o la
privazione arbitraria della libertà
personale, sia nella vita pubblica che
privata”.
258
259
Ricordate che la violenza
è recidiva
260
260
261
Telefono Rosa nacque nel febbraio 1988 a Roma come
strumento temporaneo di ricerca volto a far emergere,
attraverso la voce diretta delle donne, la violenza sommersa
di cui non si trovava traccia nei verbali degli operatori
sanitari o delle forze dell'ordine.
In una stanza cinque volontarie con l’ausilio di un quaderno e di
una penna si alternano nell’ascolto di donne che chiamano
da tutta Italia.
Oggi l’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa
onlus è una rete di associazioni territoriali.
262
262
263
263
I centri antiviolenza
sono luoghi in cui vengono accolte le donne che hanno subìto
violenza.
Grazie all’accoglienza telefonica, ai colloqui personali,
all’ospitalità in case rifugio e ai numerosi altri servizi offerti, le
donne sono coadiuvate nel loro percorso di uscita dalla violenza.
Le Case rifugio, spesso ad indirizzo segreto, ospitano le donne e i
loro figli minorenni per un periodo di emergenza.
Per maggiori informazioni D.i.Re: donne in rete contro la violenza
264
265
A Catania
266
A Siracusa
267
Lo storico centro antiviolenza di Bologna e provincia
gestisce: 3 appartamenti rifugio che hanno accolto, al
31 ottobre 2013, 24 donne e 22 minori; il nuovo
servizio SAVE, casa d’accoglienza per donne ad alto
rischio violenza, che nel primo anno di attività ha
accolto 33 donne e 37 minori; 7 alloggi di transizione
per il reinserimento abitativo e lavorativo delle donne e
tanti altri servizi e attività.
La grande rilevanza che il tema della violenza ha avuto
quest’anno ha spinto a chiedere aiuto alla Casa ben
100 donne in più dello scorso anno: finora i casi sono
561, di queste il 20% hanno sporto denuncia delle
violenze subìte (il dato nazionale è il 7%).
268
La distribuzione territoriale dei centri
269
Un ritardo colpevole
Il Consiglio d'Europa raccomanda un centro antiviolenza ogni
10.000 persone e un centro d’accoglienza ogni 50.000 abitanti:
in Italia dovrebbero esserci dunque 5700 posti letto ma ce ne
sono solo 500, contro i 1100 della Francia, i 7000 della
Germania, i 4500 della Spagna e i 3890 dell'Inghilterra.
Anche la Turchia è più avanti di noi, con 1478 posti a
disposizione.
Gli studi dell’associazione Women Against Violence (www.
womenagainstviolence. org) dicono che al 30 giugno 2011 il
nostro Paese aveva 54 case rifugio per donne in pericolo.
In Inghilterra sono 685, in Germania 346, in Spagna 148, in Svezia
180, nel Paesi Bassi 100.
270
Le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza aumentano
di anno in anno, ma le capacità di ospitalità ed accoglienza
diminuiscono a causa della riduzione dei fondi messi a
disposizione dagli enti locali per la protezione delle vittime.
Diversi centri antiviolenza hanno già chiuso e altri sono a rischio
chiusura.
271
Nella manovra finanziaria sono
previste spese per la
costruzione di nuove navi
da guerra per 340 milioni
l'anno x 15 anni. Totale 5
miliardi e 100.
Per le case rifugio e i centri
antiviolenza 10 milioni
l’anno (7 per il 2014).
272
Legge 119/2013 su
violenza di genere e sicurezza
Nel contrastato decreto,
diventato legge l’11 ottobre,
5 articoli su 11 riguardano il
contrasto al femminicidio,
con inasprimento delle
pene, nuove aggravanti,
misure di repressione,
misure di tutela.
C’è poco spazio per la
prevenzione e per
l’educazione.
273
274
Quelle che ce l’hanno fatta
In tutta Italia, per fortuna, le storie di donne riuscite a
liberarsi dai maltrattamenti sono migliaia.
Ad accoglierle e accompagnarle, le operatrici dei
Centri, che riconoscono i loro problemi prima
ancora di sentire i loro racconti.
Le donne che riescono a liberarsi non hanno una
marcia in più di quelle che non ce la fanno. Hanno
solo deciso, una volta per tutte, di averne
abbastanza.
A volte la decisione scatta per paura di morire, a volte
dopo aver visto picchiare o violentare i figli, a
volte dopo un colloquio con un centro
antiviolenza o con un'amica. Ogni percorso è
diverso, ma tutti conducono allo stesso traguardo:
la libertà
275
Per saperne di più
www2.units.it/noallaviolenza
Un sito dedicato alle ragazze e ai ragazzi sulla violenza sessuale,
fisica e psicologica
Troverete anche esercizi di
autoanalisi
276
276
277
Argomenti per donne?
Dice Serena Dandini:
Comincio a stancarmi nel vedere le battaglie portate avanti
sempre e solo da donne, come se fosse solo un problema
nostro. Gli uomini, soprattutto quelli non violenti, devono
farsi carico della loro parte di problema, perché a produrlo
è il loro genere. Invece in tutto il mondo, nei servizi sociali,
nell’avvocatura, nel volontariato, nei centri antiviolenza,
trovi solo donne. Come se fosse un argomento di serie B.
278
Oggi, più che l’affermazione di una forza e di un dominio, più
che retaggio di incultura e degrado, questa violenza pare
nascere dalla disperata opposizione a un cambiamento
femminile, dall’incapacità di accettarlo e comprenderlo;
dal panico provocato dalla nuova libertà e autonomia
delle donne.
Quanto più cresce la capacità di affermazione femminile,
tanto più vengono denudate la fragilità o la dipendenza o
l’inadeguatezza maschile.
Il gesto violento diviene l’estremo atto di un potere morente,
la resa dinanzi all’impossibilità di sottomettere, lo sfregio
di un’altrimenti incancellabile alterità. La negazione e,
insieme, la massima affermazione della propria
vulnerabilità e parzialità.
279
280
Che la violenza sulle donne sia in realtà un problema degli uomini è
fatto ovvio, ma che, nell’attuale discorso pubblico sulla
violenza, può apparire rivoluzionario. Basta pensare
all’immaginario delle campagne contro la violenza di genere,
che di solito si limitano a raffigurare le donne come vittime
passive e a lasciare totalmente fuori dalla rappresentazione i
responsabili della violenza, ovvero gli uomini che la
perpetrano.
L’inadeguatezza e l’inefficacia di questo tipo di approccio sono ben
chiare ad alcuni autori di campagne contro la violenza di
genere che, per contrastarla, hanno scelto di rivolgere i propri
sforzi esplicitamente a un pubblico maschile.
281
Nel 2012 ha preso piede una nuova
campagna contro la violenza sulle donne
che vede protagonisti gli uomini.
Qualcosa sta cambiando poiché non tutti
vogliono essere identificati come i
carnefici dei quali troppo spesso si sente
parlare in tv; esiste una grandissima fetta
che vuole schierarsi apertamente dalla
parte delle donne.
Ci fa capire la consapevolezza che sta
nascendo: l’opera di sensibilizzazione sta
avendo, anche se lentamente e con
qualche difficoltà, i suoi frutti.
Riconoscere la violenza è un passo avanti
molto importante affinché si ottengano
risultati positivi.
282
283
284
L’originaria angoscia maschile, legata anche al fatto di avere un corpo che non
può generare, è stata fonte di insicurezza e paura, e ha prodotto ansie di
controllo del corpo altrui. Tracce di quell’angoscia le ritroviamo nella
sessualità, pensata e vissuta, nella cultura del dominio maschile, come
strumento di controllo delle donne e di negazione dei diversi orientamenti
sessuali. Questo ha schiacciato la nostra sessualità nell’ansia della
prestazione, della verifica di una virilità associata al dominio, e ha ristretto
la nostra socialità nella percezione del corpo maschile come minaccia, oltre
che nell’ansia omofoba.
Incontrare la libertà e l’autonomia femminile ci mette di fronte al nostro limite e
alla nostra parzialità. Quest’esperienza, invece di essere motivo di
frustrazione, può dare inizio alla ricerca di una relazione libera, di uno
scambio sessuale e affettivo nella differenza. Si tratta, per noi, di seguire
un’altra idea di felicità, liberando la nostra capacità di cura e il piacere
dell’incontro, mettendoci in gioco fino in fondo nella relazione con l’altro/a.
Stefano Ciccone
285
Essere amati per piacere e non per dovere: ecco la nostra
rieducazione sentimentale - Michele Serra (2013)
A volte provo a ragionare, da maschio, sulla bruta ostinazione con la quale alcuni uomini
pretendono di possedere e controllare la “loro” donna, relegarla in casa, costringerla a un
amore non sentito, a una devozione non sincera. Qualcosa di ancestrale — di bestiale —
abita in quei maschi: l’istinto di trasmettere i propri geni tenendo a distanza quelli altrui. Ma
al di là di quell’impulso da tricheco, da orango, e dunque comprensibile e rispettabile nel
tricheco e nell’orango, che cosa c’è di gratificante, di eccitante nella sottomissione della
femmina? Essere amati per dovere, non per piacere, come può non essere umiliante? A
parte le perversioni erotiche, che hanno i loro bravi luoghi e tempi di esercizio, come si fa
nella vita vera, e tutta intera, a perseguire una forma così minore e minorata di amore,
incatenare qualcuna perché non fugga, farsene carceriere, e se tenta la fuga ucciderla?
A parte questo, e restando più in superficie: come è noiosa l’idea della femmina addomesticata e
possibilmente domestica. Com’è mediocre l’uomo che non solo se ne accontenta, ma se ne
vanta. Com’è migliore — più vario, più stimolante, più luminoso — il confronto con una tua
pari, che ha vita da raccontarti, che ti fronteggia, che oltre ad ascoltarti ti parla, e sei tu che
l’ascolti. Come è più vero, più simile alla vita, il “pericolo” di un rapporto esposto al mondo,
alle scelte soggettive, al mutamento, perfino al dolore dell’abbandono, che è di gran lunga
preferibile alla mortificazione dell’obbligo. Quando ogni maschio capirà, sentirà che cosa
perde, perdendo la libertà della “sua” donna, finalmente il mondo potrà cominciare a
cambiare.
286
Che cosa ha domandato?
Ho chiesto che cosa è per loro la sessualità, se la
violenza ne è una componente, che cosa provano
quando leggono di uomini che violentano le donne, se
si sentono coinvolti e come quando si parla di calo del
desiderio, che significa essere virili e che rapporto
hanno con la pornografia.
Che cosa è emerso dall’indagine?
Agli uomini con cui ho dialogato non piacciono gli
stereotipi in cui sono imprigionati, non si riconoscono
nell’immagine virile e maschilista che la società e i
media attribuiscono loro. Ma non sanno come
esprimere questo malessere, principalmente per tre
motivi: non hanno luoghi di riferimento per potere
condividere questi loro pensieri; se dismettono le
armature “virili” perdono potere; rischiano di essere
risucchiati nelle categorie “non veri uomini” oppure
“omosessuali”. Questa loro incapacità di nominare un
disagio si riflette anche nel rifiuto di considerare il
corpo maschile come capace di compiere violenza.
Non riescono ad ammettere una responsabilità come
genere rispetto alla violenza.
287
Possibili interpretazioni
della violenza maschile
u come effetto e riproposizione di un’esperienza traumatica, o
come espressione di una patologia individuale;
u come forma di comportamento appreso e interiorizzato,
attraverso la socializzazione;
u come espressione identitaria, in quanto modalità espressiva
socioculturale della maschilità o virilità;
(come adesione a dinamiche collettive o di gruppo);
u come strumento di controllo e potere sugli altri ed in
particolare sulle persone importanti.
u come reazione distruttiva ad un senso di inadeguatezza nel
mutamento delle relazioni e di impotenza a fronte di
scacchi relazionali.
DUE QUADERNI PER
APPROFONDIRE
Anche gli uomini possono
cambiare. Il percorso del
centro LDV di Modena
Il continente sconosciuto.
Gli uomini e la violenza
maschile
uA cura di M. Deriu
uPubblicato da Regione Emilia
Romagna, Servizio Sanitario
uA cura di M. Deriu
uPubblicato da Regione Emilia
Romagna, Servizio Sanitario
Scaricabili da: http://sociale.regione.emiliaromagna.it/documentazione/pubblicazioni/guide/altrepubblicazioni-servizio-politiche-familiari/2012/
Azioni necessarie per contrastare la
violenza sulle donne nel nostro Paese
1)
2)
3)
Formazione e sensibilizzazione delle forze dell’ordine. Devono stabilire protocolli
chiari riguardo ai passi da seguire nei casi di violenza domestica, affinché le
vittime siano immediatamente incamminate verso i centri d’accoglimento e le
cliniche specializzate per appoggio psicologico e medico (inclusa la pillola del
giorno, nei casi di violenza sessuale).
Media e dignità femminile. E’necessario che i media assumano la responsabilità
che risulta dal loro ruolo di creatori di opinioni. C’è bisogno di un organo che
garantisca il rispetto della dignità degli uomini e delle donne nelle loro
rappresentazioni nei media, in particolare la televisione, il medium di riferimento
per la maggior parte degli italiani.
Educazione di genere nelle scuole. Come in Francia, bisogna varare una legge per
l’insegnamento obbligatorio dei temi di genere. Il valore di questo lavoro di
sensibilizzazione di maestri e alunni al tema di violenza di genere non può più
essere lasciato alla buona volontà di qualche regione, scuola o città, come lo è
stato fino ad adesso, ma va promosso a livello nazionale, senza ulteriori indugi, a
prescindere dai tagli di bilancio.
290
291
Un video di
Donne in rete contro la violenza
http://www.sosdonna.co
m/2012/11/23/un-videoper-raccontare-ilpercorso-antiviolenza/
Il filmato, intitolato “Potenziare i
Centri, Rafforzare le
Donne”, ripercorre il
percorso che la donna
intraprende dal momento
della presa di coscienza della
violenza di cui è vittima.
292
293
Filmografia
La moglie del poliziotto (Germania, 2013) di Philip Gröning
Miss Violence (Grecia, 2013) di Alexandros Avranas
Ti do i miei occhi (Spagna, 2013) di Iciar Bollain
La casa di Ester (Italia, 2012) di Stefano Chiodini
Come pietra paziente (Afghanistan, 2012) di Atiq Rahimi
La bicicletta verde (Arabia Saudita, 2012) di Haifaa Al-Mansour
Il mio primo schiaffo (Italia, 2010) di Corrado Ceroni
Un giorno perfetto (Italia, 2008) di Ferzan Ozpetek
Bordertown (USA, 2006) di Gregory Nava
La bestia nel cuore (Italia, 2005) di Cristina Comencini
Il vestito da sposa (Italia, 2004) di Fiorella Infascelli
A letto con il nemico (USA, 1991) di Joseph Ruben
294
Sotto accusa (Canada, 1988) di Jonathan Kaplan
http://www.youtube.com/wa
tch?v=FAHHSypOe3I
Prima che faccia buio: il primo
cortometraggio realizzato in
Italia contro il femminicidio.
Ispirato a una storia vera e ideato dal
centro antiviolenza Linea Rosa di
Ravenna.
Con la regia di Gerardo Lamattina,
verrà usato per la formazione alle
forze dell’ordine, degli assistenti
sociali, degli avvocati e degli
operatori sanitari.
La pellicola racconta una
storia vera, un fatto di
cronaca accaduto a
Ravenna che le operatrici di
Linea Rosa hanno potuto
seguire da vicino,
assistendo una donna in
fuga da quel mostro che,
alla fine, è riuscito ad avere
la meglio.
295
296
La libertà negata: stalking
297
L'attenzione che si trasforma in ossessione. Molestie quotidiane,
silenziose, difficili da individuare e arrestare.
E il sospetto diventa paura, erode la libertà fino a costringersi in
una prigione soffocante.
Questo è lo stalking: comportamenti reiterati di sorveglianza,
controllo, contatto pressante e minaccia che invadono con
insistenza la vita di una persona per toglierle la quiete e
l’autonomia.
Gli atti persecutori sono ora un reato ben definito, punito con
condanne da sei mesi a quattro anni di reclusione.
Per una prima assistenza è attivo 24 ore su 24 il numero gratuito
antiviolenza 1522, in grado di mettere in collegamento diretto
le vittime con le questure, offrendo anche supporto
psicologico e giuridico.
298
298
299
Con la L. 23 aprile 2009 n. 38 è stato
introdotto nell'ordinamento italiano
il reato di atti persecutori (altrimenti
detto di stalking). Richiede che tale
condotta sia reiterata nel tempo e
siab tale da «cagionare un
perdurante e grave stato di ansia o
di paura» alla vittima.
Prevede pene fino a 4 anni di reclusione
per molestie reiterate, che possono
essere aumentate se il fatto è
commesso dal coniuge legalmente
separato/divorziato - o da persona
che sia stata legata da relazione
affettiva - ovvero ai danni di un
minore, di donna in stato di
gravidanza o di soggetto disabile. 300
301
302
Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sullo Stalking, nel 2011 un
italiano su cinque è stato vittima di molestie insistenti: nel 70% dei casi la
vittima è una donna. Uno stalker su tre è recidivo
303
303
Gli atti
ü
ü
ü
ü
ü
ü
ü
Seguire la vittima negli spostamenti quotidiani
Aspettarla sotto casa oppure presso il luogo di lavoro
Compiere incursioni inaspettate nei luoghi di lavoro per
spaventare i colleghi o il datore di lavoro allo scopo di far
licenziare la donna
Comparire inaspettatamente nei luoghi abitualmente
frequentati dalla donna in modo che si senta sempre
controllata
Telefonare continuamente a casa, sul cellulare, sul posto
di lavoro
Inviare continuamente messaggi telefonici o in posta
elettronica o lettere o biglietti
Far sentire la donna “ in trappola” minando il suo senso di
autonomia e di indipendenza
304
305
305
306
307
Amore nero è un
cortometraggio del 2011
scritto e diretto da Raoul
Bova.
Il film ha lo scopo di
comunicare e
sensibilizzare l’opinione
pubblica sui temi delle
discriminazioni, abusi e
violenze subite dalle
donne.
308
= preventivi, punitivi e
soprattutto dotati di effettività
= apertura di sportelli di
ascolto e di denuncia,
creazione di presidi antiviolenza nei vari ambiti
territoriali, attivazione di
linee telefoniche dedicate,
assistenza attraverso
personale specializzato
= per riconoscere la violenza, per acquisirne consapevolezza, per
professionalizzare le forze di polizia, per combattere gli stereotipi,
stereotipi per
sensibilizzare alla parità e al contrasto di qualsiasi forma di
discriminazione
309
Leggi che tutelano le donne
Norme contro la violenza sessuale
Legge 15 febbraio 1996, n. 66. La violenza sessuale è qualificata come delitto contro la
libertà personale. La legge attuale riconosce una maggior gravità alla violenza
sessuale rispetto alla precedente normativa che la collocava fra i “delitti contro la
moralità pubblica ed il buon costume”
Misure contro la violenza nelle relazioni familiari
Legge 4 aprile 2001 n. 154. Si può denunciare una violenza fino a tre mesi dal suo
accadimento. E’ sufficiente presentarsi presso la Questura o presso la sede dei
Carabinieri o della Polizia più vicini, con il certificato medico che attesta l’avvenuta
violenza. E’ possibile allontanare da casa il coniuge o altro convivente. Se la sua
condotta è giudicata pericolosa per l’integrità fisica o morale o per la libertà
dell’altro coniuge o convivente o dei suoi prossimi congiunti, su ordine cautelare del
Giudice possono essere applicate misure di protezione sociale.
Misure antistalking
Dal 2009 art. 612-bis del codice penale: il carcere va da 6 mesi a 4 anni, aumentabili fino a
6 se il colpevole è un partner o un ex.
310
Legge 119/2013
Nel contrastato decreto, diventato legge l’11 ottobre 2013, 5
articoli su 11 riguardano il contrasto al femminicidio, con
misure di repressione e misure di tutela.
Nell’aprile 2012 il Tribunale di Caltagirone ha emesso una
sentenza esemplare nei confronti dell’assassino di Stefania
Noce e di suo nonno. Per la prima volta in Italia in un atto
giudiziario si è ritrovato il termine femminicidio, perché il
giudice ha accolto in pieno i principali capi d’accusa a carico
dell’autore del crimine, primo tra tutti la premeditazione dei
due delitti.
311
Leggi regionali in materia
di violenza sulle donne
312
Le molestie sessuali
Per molestia sessuale s’intende ogni comportamento indesiderato
basato sul sesso che offenda la dignità e la libertà della persona che
lo subisce.
La gamma è molto varia: si va dalla frase equivoca con doppio senso al
fraseggio volgare, dall’apprezzamento pesante alla proposta diretta,
dalla minaccia subdola e imbarazzante, ripetuta più volte, fino al
gesto osceno, al ricatto e all’intimidazione sul posto di lavoro.
Si consuma di preferenza in quegli ambiti in cui si determina da una
parte una condizione di bisogno e dall’altra parte una condizione
sociale contrattualmente più forte che abusa del suo potere o della
sua autorità.
La legge viene oggi in aiuto anche a chi subisce molestie sessuali in
quanto ogni atto che disturba anche in minima parte la sfera sessuale
313
altrui costituisce un reato penale.
Una ricerca CGIL sulle molestie sul
lavoro
Il 52,5% delle donne afferma di aver subito comportamenti
indesiderati, anche verbali, a connotazione sessuale.
L’aggressione avviene prevalentemente da un soggetto interno
all’organizzazione e il responsabile è prevalentemente un
uomo (un collega o un superiore).
Le molestie subite più spesso sono frasi equivoche a doppio senso,
battute o gesti volgari, apprezzamenti verbali su corpo e
sessualità, richieste o proposte di prestazioni sessuali, contatti
fisici, ovvero baci e abbracci indesiderati, che spesso
sconfinano nel palpeggiamento.
La maggior parte rimane sommersa.
314
Regione Sicilia. Codice di condotta
315
Un’enorme transizione ha avuto inizio a livello globale: che si
trattasse delle donne europee uccise dai loro compagni,
degli studenti violentatori da party, o delle donne
segregate in cantina negli Stati Uniti, o della ragazza
sventrata di Delhi, dovunque il responso di indignazione è
stato superiore al previsto, inaspettato in molti casi.
L’incredibile successo di One Billion Rising, nel febbraio
scorso, è figlio anche di questa atmosfera.
Alla maggior parte di uomini e ragazzi la situazione richiede,
per la prima volta in vita loro, di mutare il modo in cui
pensano allo stupro, alle molestie, all’abuso: subito.
316
Regione Toscana
317
Università di Bologna
318
Roma
319
320
Genova
321
Torino
322
Sassari
323
Bari
324
Puglia
325
Palermo
326
327
Catania
328
28 maggio 2013
329
Campagne
di educazione
sentimentale
330
331
332
333
334
335
336
337
“La violenza contro le donne e
le ragazze persiste in ogni
continente, paese e cultura.
Essa costituisce un alto prezzo
da pagare nella vita delle
donne, delle loro famiglie e
della società nel suo complesso.
Molte società proibiscono tale
violenza, tuttavia la realtà è
che troppo spesso essa è tenuta
nascosta o accettata
tacitamente”
Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle
338
338
Nazioni Unite, 8 marzo 2007
In tutto il mondo …
339
339
La violenza sulle donne è parte di una cultura globale che nega alle donne pari
opportunità e pari diritti e legittima la violenta appropriazione del loro corpo per
gratificazione individuale o scopi politici.
Milioni di donne nel mondo sono terrorizzate da violenze domestiche, schiavizzate in
matrimoni forzati, comprate e vendute per alimentare il mercato della prostituzione,
violentate come trofei di guerra o torturate in stato di detenzione.
340
Più di 125 paesi del mondo hanno delle leggi
specifiche per contrastare la violenza
domestica, ma sono ancora 603 milioni le
donne che vivono in nazioni dove questo
fenomeno non è considerato un crimine.
341
342
Le campagne
343
Se guardiamo alle rappresentazioni cui ricorrono le
campagne di sensibilizzazione prodotte dalle
istituzioni, e spesso anche dalle associazioni di donne,
l’immagine che rimandano nella maggior parte dei
casi è quella di una donna sola e ripiegata su se stessa
dopo la violenza; la figura di un uomo non compare
quasi mai. Lo sguardo sociale punta alla vittima e
non all’autore, con uno spostamento che comporta
due conseguenze: ripropone un’immagine di minorità
femminile, confermando una disparità tra i sessi, e
occulta il maschile a uno sguardo critico.
344
345
Amnesty International
346
347
348
UE
349
350
351
352
Francia
353
354
355
356
357
358
359
360
World Health Organization
361
USA
362
363
UK
364
365
366
367
368
369
Islanda
370
Spagna
371
Germania
372
Caucaso
373
Palestina
374
Cile
375
Brasile
376
Bolivia
377
378
Sudafrica
379
India
380
381
382
383
384
385
A teatro
Uno spettacolo multimediale,
curato dalle giornaliste di
Giulia.
La suggestione dei femminicidi
letterari per raccontare
l’orrida sequela di quelli reali
e la mistificante narrazione
mediatica.
386
387
388
389
Mostre
390
391
Suggerimenti
bibliografici
Raccolte
di inferni nascosti
392
393
394
395
396
397
Dossier/Relazioni tra i generi e violenza
7 Introduzione
8 Qualche riflessione sulla violenza maschile contro le donne,
Tamar Pitch
12 Rapporti di genere e violenza domestica. Uno sguardo
antropologico, Maria Rita Bartolomei
18 Violenza maschile e produzione del genere, Cristina Papa
23 La cattiveria femminile. Violenza nel genere, Laura Pigozzi
29 Le donne maltrattate di fronte alle istituzioni, Daniela Danna
34 Contro la violenza di genere occorre più consapevolezza dei
diritti delle donne, Marilisa D’Amico
39 Uomini che uccidono le donne, Pietro Barbetta
43 Femminicidio, Nicole Janigro
49 La violenza dei media, Giacomo Brunoro
54 Un morto non ancora sepolto. Resistenza del
virilismo, Alberto Leiss
58 Aver cura delle storie tese, Massimo Michele Greco
63 Il conflitto necessario, Barbara Mapelli
69 Forza e Violenza, Paola Zaretti
74 Come fili d’erba, Anna Maria Piussi
398
Sono scarpe di donne, donne che non ci sono più,
donne che le scarpe non le potranno più indossare
399
È un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di
violenza. Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex,
un amante, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita,
occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana,
nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro, affinché la
quotidianità non lo sommerga.
400
401
Non solo vittime
Un miliardo di donne a ballare
contro la violenza
402
Possibili unità didattiche
I primi secoli
•Dante Alighieri: Inferno, canto V; Purgatorio, canto V; Paradiso, canto III.
•Giovanni Boccaccio: Decameron, IV, novelle 1, 5, 6, 9; X, novella 10.
L’età moderna
•Carlo Porta, La Ninetta del Verzeé
•Alessandro Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica (passi scelti).
•Alessandro Manzoni, I promessi sposi (capp. IX-X; XX-XXIII)
•Giovanni Prati, Edmenegarda
I contemporanei
•Anna Banti, Artemisia (1947), Bompiani 1994.
•Maria Barresi, Non dire niente, Solfanelli Editore, 2007.
•Laura Maragnani, Isoke Aikpitanyi, Le ragazze di Benin City, Melampo 2007.
Letteratura e cinema
•Marianna Ucrìa di Roberto Faenza (1997).
•La bestia nel cuore di Cristina Comencini (2005).
•Tutta la vita davanti di Paolo Virzì (2008)
•Agorà di Alejandro Amenábar (2009).
403
404
405
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