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“Caviglia dolorosa post traumatica: l`uso dell`artroscopia nell
Università Cattolica del Sacro Cuore
Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”
Università Degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Facoltà di Ingegneria
I.N.A.I.L. Centro Protesi Polo Didattico
Formativo Laurea Tecnico Ortopedico
“Caviglia dolorosa post traumatica:
l’uso dell’artroscopia nell’impingement
osseo e fibroso”
Relatore: Chiar.mo
Prof. Delcogliano Antonio
Laureando :
Catenacci Marco
Correlatore: Chiar.mo
Prof. Lorini Giovanni
ANNO ACCADEMICO 2001 - 2002
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………….pag.1
CAPITOLO 1
ANATOMIA DELL’ARTICOLAZIONE TIBIO-TARSICA………… pag.3
CAPITOLO 2
BIOMECCANICA DELLA CAVIGLIA……………………………... pag.26
2.1 RAPPRESNTAZIONE SU MODELLO MECCANICO
DELL’ARTICOLAZIONE TIBIO-TARSICA……………………. pag.30
2.2 STABILITA’ANTERO POSTERIORE DELLA CAVIGLIA
E FATTORI LIMITANTI LA FLESSO ESTENSIONE…….. ….. pag.32
2.3 STABILITA’TRASVERSALE DELLA
ARTICOLAZIONE TIBIO-TARSICA…………………………… pag.34
CAPITOLO 3
ANATOMIA ARTROSCOPICA E PORTALI
DI INGRESSO NPER LE SONDE…………………………………… pag.36
3.1 I PORTALI ANTERO-LATERALI………………………………. pag.36
3.2 I PORTALI ANTERO-MEDIALI………………………………… pag.38
3.3 I PORTALI ANTERO-CENTRALI………………………………. pag.39
3.4 I PORTALI ACCESSORI ANTERO-MEDIALE
ED ANTERO-LATERALE………………………………….……. pag.40
3.5 I PORTALI POSTERIORI………………………………………... pag.41
3.6 IL PORTALE ATTRAVERSO
IL TENDINE D’ACHILLE……………………………………….. pag.42
3.7 IL PORTALE POSTERO-MEDIALE…………………………….. pag.42
CAPITOLO 4
DEFINIZIONE DELLA SINDROME
DA IMPINGEMENT…………………………………………….......... pag.43
4.1 IMPINGEMENT OSSEO.................................................................pag.43
4.2 IMPINGEMENT FIBROSO.............................................................pag.44
CAPITOLO 5
METODICHE DIAGNOSTICHE…………………………………….. pag.46
CAPITOLO 6
ARTROSCOPIA DI CAVIGLIA:
STRUMENTAZIONE E TECNICHE OPERATORIE……………….. pag.49
6.1 STRUMENTAZIONE SPECIALE………………………………... pag.50
6.2 TECNICA DI DISTRAZIONE MECCANICA…………….……... pag.54
CAPITOLO 7
TECNICA ARTROSCOPICA………………………………………… pag.55
7.1 TRATTAMENTO CHIRURGICO
DELL’IMPIGEMENT OSSEO…………………………….……... pag.55
7.2 TRATTAMENTO CHIRURGICO
DELL’IMPIGEMENT FIBROSO………………………….. ……. pag.57
CAPITOLO 8
8.1 MATERIALI E METODI………………………………….……… pag.59
8.2 RISULTATI……………………………………………………….. pag.60
8.3 CONCLUSIONE E DISCUSSIONE……………………….. ……. pag.63
BIBLIOGRAFIA………………………………………………... … pag.64
INTRODUZIONE
L’articolazione tibio tarsica rappresenta uno dei distretti più
frequentemente coinvolti nei traumi da sport. L’artroscopia della
caviglia si è rivelata una tecnica sempre più diffusa negli ultimi
anni
ed è divenuta indispensabile nella pratica ortopedica e
medico-sportiva. Inizialmente le indicazioni erano limitate, ma con
il passare del tempo il suo campo d’azione è arrivato a
comprendere quasi tutte le patologie dell’articolazione tibio-tarsica
come ad esempio le patologie sinoviali, osteocondrali e
legamentose. Traumi distorsivi della caviglia possono determinare
lesioni
a
carico
delle
strutture
capsulo-legamentose.
La
cicatrizzazione delle suddette lesioni, quando non trattate
correttamente, è generalmente ipertrofica e conduce, in una certa
percentuale dei casi, ad una iperplasia dei tessuti molli, con
conseguente insorgenza di un dolore cronico. Al fine di
comprendere
meglio
quali
possano
essere
le
strutture
maggiormente colpite e quali sollecitazioni tendano a danneggiarle,
nelle pagine che seguono è stata ampiamente trattata sia la parte
anatomica sia quella biomeccanica. In ultima analisi sono stati
1
affrontati lo studio delle tecniche diagnostiche e delle modalità di
intervento.
2
CAPITOLO 1
ANATOMIA DELL’ARTICOLAZIONE
TIBIO-TARSICA
L’articolazione della caviglia o tibio-tarsica è una diartrosi a
ginglimo angolare. La sua forma è quella di un mortaio a pestello,
essendo il pestello formato dalla tibia e dalla fibula, ed il mortaio
formato dall’epifisi distale della tibia, dalla faccia laterale del
malleolo mediale della tibia e dalla faccia mediale del malleolo
laterale della fibula. Come è possibile osservare in figura 1.
Fig.1 Visione anteriore della pinza malleolare
L’articolazione principale è quella tra la tibia e la troclea
3
dell’astragalo. La troclea è convessa sul piano sagittale e
leggermente concava sul piano frontale. Medialmente, ha un
margine rettilineo in senso antero posteriore, il suo margine laterale
è obliquo; la troclea è più larga anteriormente che posteriormente.
Una piccola superficie articolare semilunare, posta sulla faccia
antero-mediale della troclea, si articola con il malleolo mediale. Il
versante laterale della troclea è triangolare e si articola con il
malleolo laterale. L’articolazione tibio-fibulare distale è una
sindesmosi fibrosa che connette insieme le due ossa. Il malleolo
laterale della fibula e la superficie
articolare laterale dell’astragalo formano l’articolazione fibulotalare.
4
Fig.2 articolazione tibio-tarsica vista posteriormente con i legamenti
La capsula articolare è lassa anteriormente e posteriormente per
consentire i movimenti di flesso-estensione dell’articolazione;
possiede invece robusti legamenti collaterali che riducono
drasticamente i movimenti di lateralità. Le sottili parti anteriore e
posteriore della capsula articolare sono inserite, superiormente ai
margini della tibia e della fibula e, inferiormente, al talo, sia
anteriormente sia posteriormente alla superficie articolare della
troclea.
La capsula articolare è fusa medialmente, con il legamento
5
deltoideo e, lateralmente, con i legamenti fibulo-talari anteriore e
posteriore.
Fig.3 Articolazione tibio tarsica vista lateralmente con i legamenti
Il legamento deltoideo è un robusto legamento triangolare, inserito
ai margini anteriore e posteriore ed all’apice del malleolo mediale.
Inferiormente, il legamento si allarga a ventaglio e forma
un’inserzione continua con le ossa del piede; le sue quattro porzioni
indicano le sue inserzioni distali.
6
Il legamento tibio-talare anteriore unisce il margine anteriore del
malleolo mediale alla testa del talo.
Il legamento tibio-navicolare unisce il margine anteriore e l’apice
del
malleolo mediale alla parte superiore e mediale dell’osso
navicolare; le sue fibre si sovrappongono in parte a quelle del
legamento tibio-talare anteriore.
Il legamento tibio-calcaneale scende verticalmente all’apice del
malleolo mediale e si fissa all’intera superficie del sustentaculum
tali; le sue fibre si sovrappongono all’origine del legamento tibionavicolare.
Il legamento tibio-talare posteriore è la parte più spessa del
legamento deltoideo; le sue fibre uniscono il margine posteriore del
malleolo mediale alla faccia mediale del talo ed al tubercolo
mediale del suo processo posteriore.
7
Il legamento collaterale laterale è formato da tre fasci separati
che non costituiscono un dispositivo robusto come il legamento
deltoideo.
Il legamento fibulo-talare anteriore unisce il margine anteriore e
l’apice del malleolo laterale al collo del talo.
Il legamento fibulo-calcaneale è un legamento cordoniforme,
sottile ed arrotondato, che discende dall’apice del malleolo laterale
ad un tubercolo posto nel mezzo della faccia laterale del calcagno.
Il legamento fibulo-talare posteriore quasi orizzontale come quello
anteriore. Origina dalla fossa malleolare del malleolo laterale e si
dirige, medialmente ed indietro, alla superficie superiore del
processo del talo. La membrana sinoviale dell’articolazione della
caviglia è larga e capiente; si estende, in alto, tra le superfici
contigue delle epifisi distali della tibia e della fibula, raggiungendo
il legamento interosseo dell’articolazione tibio-fibulare distale.
8
Fig.4 Articolazione tibio tarsica vista lateralmente con i legamenti
L’articolazione della caviglia è vascolarizzata dai quattro rami
malleolari dell’arteria tibiale anteriore e posteriore e peronea.
Nell’articolazione della caviglia sono consentiti movimenti di
flessione dorsale e plantare per una escursione totale di circa 90
gradi. Nella flessione dorsale completa, la parte anteriore, più larga,
della troclea occupa completamente il mortaio tibio-fibulare; in tale
posizione, la stabilità dell’articolazione è superiore per il maggior
contatto delle superfici articolari e la maggiore tensione dei
legamenti. Nella flessione plantare completa, è la parte più stretta
che entra in contatto con il mortaio
9
e
la
stabilità
dell’articolazione
diminuisce;
sono
infatti
possibili
piccoli
movimenti laterali, di rotazione, di adduzione e di abduzione. Alla
stabilità dell’articolazione partecipano anche i tendini dei muscoli
delle logge anteriore, laterale e posteriore della gamba quali:
- Il muscolo gastrocnemio, che è il più superficiale ed è formato da
due capi di origine. Il capo mediale, più largo, origina dalla
superficie poplitea del femore, subito sopra il condilo mediale. Il
capo laterale origina dalla parte postero-superiore del condilo
laterale del femore e dell’estremità della linea sopracondiloidea.
Due borse mucose separano entrambi i capi della faccia dorsale
della capsula articolare dell’articolazione del ginocchio. Le fibre di
entrambi i capi convergono verso la linea mediana della gamba e si
uniscono, a metà circa di questa, in una larga aponeurosi che si
fonde, distalmente, con il tendine del muscolo soleo e con esso
forma il tendine calcaneale (o di Achille).
- Il muscolo soleo, è un muscolo largo e carnoso che decorre
profondamente al muscolo gastrocnemio. Origina, internamente al
10
di sotto del ginocchio, dalle superfici dorsale della testa della fibula
e dal terzo prossimale della sua diafisi, da un arco tendineo posto
tra la tibia e la fibula, dalla linea del soleo della tibia e dal margine
mediale della tibia, a livello del suo terzo medio.
Le sue fibre convergono in una spessa aponeurosi che, distalmente,
si unisce a quella del muscolo gastrocnemio, questa unione forma il
tendine calcaneale. Questo tendine, che è il più lungo di tutto il
corpo e misura 15 cm di lunghezza; inizia a metà della gamba e
riceve fibre fino quasi alla sua inserzione, restringendosi verso il
basso, si inserisce sulla parte media della faccia dorsale del
calcagno; profondamente al tendine, vi è una borsa mucosa
sottotendinea che lo separa dalla parte superiore della faccia
dorsale di quest’osso.
- Il muscolo plantare, è un piccolo muscolo rudimentale che
origina dalla linea sopracondiloidea laterale inferiore del femore,
subito prossimamente al capo laterale del muscolo gastrocnemio, e
dal legamento popliteo obliquo. Il suo breve ventre (10 cm circa)
termina in un lungo e sottile tendine che decorre distalmente, tra il
11
capo mediale del muscolo gastrocnemio e il muscolo soleo; scorre
lungo il margine mediale del tendine calcaneale e si inserisce sul
calcagno, medialmente a tale tendine. Il muscolo plantare a livello
del cavo popliteo, incrocia il fascio pascolo-nervoso della gamba,
formato dal nervo tibiale, dalla vena e dall’arteria poplitea. Il fascio
pascolo-nervoso poggia sul muscolo popliteo che appartiene alla
loggia profonda posteriore della gamba. Nel cavo popliteo, dal
nervo tibiale, origina il nervo per il muscolo soleo.
- Il muscolo flessore lungo dell’alluce, origina dai due terzi distali
della faccia dorsale della dialisi della fibula e dai setti
intermuscolari che lo separano dai muscoli tibiale posteriore e
peroneo breve. Il suo tendine decorre a ridosso della faccia
posteriore del talo e della superficie inferiore del sustentaculum tali
del calcagno. Nella pianta del piede, il tendine offre un piano di
scorrimento al (più superficiale) muscolo flessore lungo delle dita e
passa fra i due capi del muscolo flessore lungo delle dita e passa fra
i due capi del muscolo flessore breve dell’alluce per andare ad
inserirsi sulla base della falange distale dell’alluce.
12
- Il muscolo flessore lungo delle dita, è posto sul lato mediale della
gamba. Origina dal lato mediale della faccia posteriore dei tre
quinti medi della tibia e dal setto intermuscolare. I suoi fasci
muscolari pennati convergono verso il tendine che si trova lungo il
margine mediale del muscolo e riceve fasci fino quasi al malleolo
mediale. A livello della caviglia, il tendine del muscolo tibiale
posteriore è posto ventralmente a quello del muscolo flessore lungo
delle dita. Entrambi i tendini penetrano nel piede attraverso il solco
della faccia dorsale del malleolo mediale, dove essi decorrono in
guaine mucose separate. Il tendine del muscolo flessore lungo delle
dita decorre diagonalmente, nella pianta del piede, incrociando il
legamento deltoideo dell’articolazione tibio-tarsica e decorrendo tra
il muscolo flessore breve delle dita e il tendine del muscolo flessore
lungo dell’alluce. Circa a metà della pianta del piede, il tendine del
muscolo flessore lungo delle dita riceve l’inserzione del muscolo
quadrato della pianta e, successivamente, si divide in quattro
tendini, questi si inseriscono sulle basi delle falangi distali,
i
tendini del muscolo flessore lungo delle dita danno anche origine ai
muscoli lombricali.
13
- Il muscolo tibiale posteriore è posto a ridosso della membrana
interossea, profondamente ai muscoli flessori lunghi dell’alluce e
delle dita. Origina dalla faccia posteriore della membrana
interossea, dal terzo prossimale della parte laterale della faccia
posteriore della tibia, dai due terzi prossimali della faccia dorsale
della fibula, dai setti intermuscolari circostanti.
Il suo tendine emerge dal lato mediale del muscolo, circa a metà
gamba, e prosegue per ricevere le fibre muscolari fino quasi a
livello del malleolo mediale. Il tendine decorre dorsalmente al
malleolo mediale, centralmente a quello del muscolo flessore lungo
delle dita e penetra nel piede rivestito da una sua guaina mucosa,
profondamente al retinacolo dei tendini dei muscoli flessori.
Incrocia il legamento deltoideo dell’articolazione tibio-tarsica,
decorre sotto il legamento calcaneo-navicolare plantare e si
inserisce sulla tuberosità dell’osso navicolare e sul lato inferiore
dell’osso cuneiforme mediale.
- Il muscolo tibiale anteriore origina dal condilo laterale della tibia
e dalla metà prossimale della sua faccia laterale. Alcune fibre
14
originano anche dalla membrana interossea, dalla fascia crurale e
dal setto intermuscolare che separa questo muscolo dal muscolo
estensore lungo delle dita. Il ventre muscolare, situato sulla faccia
laterale della tibia, si continua con un robusto tendine nel terzo
inferiore della gamba; questo passa sotto i retinacoli superiore ed
inferiore dei tendini dei muscoli estensori, circondato da una guaina
mucosa, il tendine di questo muscolo si inserisce sulla faccia
mediale dell’osso cuneiforme mediale e sulla base del primo osso
metatarsale.
- Il muscolo estensore lungo dell’alluce è un muscolo sottile, posto
profondamente ai muscoli tibiale anteriore ed estensore lungo delle
dita, che affiora, tra questi muscoli all’altezza del terzo distale della
gamba. Origina dai due quarti medi della faccia anteriore della
fibula e della membrana interossea. Il suo tendine si ferma a livello
della faccia superficiale del muscolo, passa profondamente ai
retinacoli dei tendini dei muscoli estensori e si inserisce sulla base
della falange distale dell’alluce.
- Il muscolo estensore lungo delle dita è posto nella parte laterale
15
della loggia anteriore della gamba. È un muscolo pennato che
origina dal condilo laterale della tibia, dalla faccia anteriore della
fibula, dalla fascia crurale e dai setti intermuscolari. Il tendine di
inserzione compare circa a metà gamba e riceve fibre fino in
prossimità della caviglia. Passa profondamente al retinacolo
superiore dei tendini dei muscoli estensori e si divide in due parti
che passano sotto il retinacolo inferiore suddividendosi, a loro volta
in due parti. Si formano così quattro tendini, che decorron o sul
dorso del piede, diretti alle quattro dita laterali. I tendini del
muscolo estensore lungo delle dita, distalmente, si dividono in tre
linguette tendinee: la linguetta centrale si inserisce al dorso della
falange media, le due linguette laterali convergono verso la base
della falange distale, inserendovisi.
- Il muscolo peroneo terzo corrisponde alla parte laterale del
muscolo estensore lungo delle dita e le fibre dei due muscoli sono
spesso fuse. Il muscolo si origina dal terzo distale della faccia
anteriore della fibula, dall’adiacente membrana interossea e dal
setto
intermuscolare
anteriore.
16
Portandosi
distalmente,
profondamente ai retinacoli dei tendini dei muscoli estensori e
nello stesso compartimento del muscolo estensore lungo delle dita,
esso ripiega lateralmente, per terminare sul dorso della dialisi del
quinto osso metatarsale.
- Il muscolo peroneo lungo è un muscolo bipennato che nasce nella
parte più prossimale della gamba e decorre superficialmente.
Origina dalla testa e dai due terzi prossimali della faccia laterale
della dialisi della fibula, dai setti intermuscolari anteriore e
posteriore e dalla fascia crurale. Il suo tendine origina, in alto, sulla
faccia superficiale del muscolo e riceve fibre fino quasi a livello
del malleolo laterale. Dorsalmente al malleolo, il tendine è situato
posteriormente al tendine del muscolo peroneo breve; entrambi i
tendini sono contenuti in una guaina mucosa comune e passano
profondamente al retinacolo superiore dei tendini dei muscoli
peronei. Il tendine del muscolo peroneo lungo decorre con
direzione diagonale, inferiormente al tendine del muscolo peroneo
breve, e curva, nel piede, a ridosso della tuberosità dell’osso
cuboide. Un osso sesamoide è posto all’interno del tendine, a
17
livello di tale tuberosità. Incrociando la pianta del piede,
profondamente ai suoi muscoli intrinseci, il tendine termina sulla
superficie infero-laterale dell’osso cuneiforme mediale, sulla base e
sulla faccia infero-laterale del primo osso metatarsale.
- Il muscolo peroneo breve è situato profondamente e, rispetto al
muscolo peroneo lungo, è più piccolo e più corto. Origina dai due
terzi distali della faccia laterale della fibula e dai setti
intermuscolari anteriore e posteriore. Il suo tendine passa sulla
parte posteriore del malleolo laterale decorrendo in una guaina
mucosa comune con il tendine del muscolo peroneo lungo.
Curva in avanti, profondamente al retinacolo superiore dei tendini
dei muscoli peronei, e passa attraverso il retinacolo inferiore dei
tendini dei muscoli peronei per inserirsi sulla tuberosità della base
del quinto osso metatarsale. I muscoli peronei lungo e breve
provocano la torsione laterale e l’abduzione del piede contribuendo
alla sua flessione dorsale.
18
Fig.5 Visione laterale dei muscoli della tibio-tarsica
19
Fig.6 Visione laterale delle strutture profonde dell’articolazione tibio-tarsica
20
L’irrorazione sanguinea dei
muscoli descritti è garantita da
numerose arterie quali:
- L’arteria poplitea, che è la diretta continuazione dell’arteria
femorale, a livello dello iato tendineo adduttorio. Portandosi
posteriormente al ginocchio, l’arteria si dirige distalmente,
attraverso la fossa poplitea, e termina a livello del margine distale
del muscolo popliteo dividendosi nelle arterie tibiali anteriori e
posteriori. L’arteria è situata profondamente nella fossa poplitea, a
ridosso della faccia posteriore dell’articolazione del ginocchio; dà
origine a cinque arterie del ginocchio e ad alcune grosse arterie
surali.
- L’arteria tibiale posteriore origina, come diretta continuazione
dell’arteria poplitea, a livello del margine distale del muscolo
polpliteo. Accompagnata dalle sue vene comitanti e dal nervo
tibiale, discende nella loggia profonda posteriore, tra i muscoli
flessore lungo delle dita e tibiale posteriore. Prossimalmente, essa
si inclina verso la fibula; più distalmente, dopo aver dato origine
all’arteria peronea, ripiega di nuovo medialmente e, a livello della
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caviglia, passa sotto il malleolo mediale. Termina nel piede,
profondamente alla base del muscolo abduttore dell’alluce. Nella
gamba dà origine ad un ramo comunicante, che passa
profondamente al tendine del muscolo flessore lungo dell’alluce e
si anastomizza con l’arteria peronea, al ramo malleolare mediale
posteriore, che si anastomizza con il ramo malleolare mediale
anteriore dell’arteria tibiale anteriore, ed al ramo calcaneale
mediale che si porta sulla faccia dorsale del calcagno.
- L’arteria peronea è il ramo più grosso dell’arteria tibiale
posteriore. Origina, 2-3 cm distalmente all’inizio dell’arteria tibiale
posteriore, dall’arteria poplitea e si dirige distalmente, in prossimità
della fibula, nello spessore del muscolo flessore lungo dell’alluce o
fra questo e il muscolo tibiale posteriore. Dà rami muscolari ai
muscoli laterali della gamba; un ramo perforante si porta
ventralmente al margine inferiore della membrana interossea ed
entra nella loggia anteriore della gamba irrorando l’articolazione
tibio-tarsica. L’arteria peronea fornisce anche il ramo comunicante,
che si anastomizza con il corrispondente dell’arteria tibiale
22
posteriore, il ramo malleolare laterale posteriore, che si
anastomizza con l’arteria malleolare laterale anteriore dell’arteria
tibiale anteriore. L’arteria peronea costituisce un importante vaso
collaterale longitudinale mediante il suo ramo comunicante con
l’arteria tibiale posteriore ed il ramo perforante che si anastomizza
con l’arteria tibiale anteriore.
- L’arteria tibiale anteriore è un ramo di divisione dell’arteia
poplitea. Essa si dirige centralmente, sopra l’estremità prossimale
della membrana interossea della gamba, e penetra nella loggia
anteriore, a ridosso del collo della fibula. L’arteria discende lungo
la membrana interossea decorrendo, prossimalmente, tra i muscoli
tibiale anteriore ed estensore lungo delle dita, distalmente, tra i
muscoli tibiale anteriore ed estensore lugo dell’alluce.
- L’arteria malleolare mediale anteriore origina a livello della
caviglia e si porta in direzione mediale, profondamente ai tendini
dei muscoli tibiale anteriore ed estensore lungo dell’alluce.
Vascolarizza la porzione mediale della cute e dell’articolazione
23
della caviglia e si anastomizza con i rami malleolari dell’arteria
tibiale posteriore.
- L’arteria malleolare laterale anteriore origina in posizione
opposta rispetto alla precedente e si porta lateralmente,
profondamente ai tendini del muscolo estensore lungo delle dita.
Vascolarizza
la
porzione
laterale
dei
piani
superficiali
dell’articolazione della caviglia e si anastomizza con il ramo
perforante dell’arteria peronea.
L’innervazione di questo distretto è affidata ai nervi che
fuoriescono
dall’ultimo
tratto
della
colonna
vertebrale
e
precisamente da L4, L5 e S1.
- Il nervo ischiatico, è composto da una parte derivata dalle branche
anteriori (segmento tibiale) e da una parte costituita dalle branche
posteriori (segmento perone comune) dei rami anteriori del quarto e
quinto nervo lombare e dei primi tre nervi sacrali. Il tronco del
nervo in sezione trasversale, ha sezione ovale ed ha un calibro di
circa 18 mm. All’altezza della fossa poplitea il nervo si divide nei
suoi rami terminali il nervo tibiale e il peroneo comune.
24
- Il nervo tibiale, è il ramo terminale più voluminoso del nervo
ischiatico, origina a livello della fossa poplitea, nel suo punto di
origine
è
ricoperto
dai
margini
contigui
dei
muscoli
semimembranoso e bicipite del femore. Il nervo si porta all’interno
della gamba, profondamente ai muscoli gastrocnemio, sul muscolo
popliteo e all’arco tendineo del muscolo soleo. Scendendo verso il
basso si pone tra i muscoli flessore lungo dell’alluce e delle dita.
Nel terzo distale della gamba il nervo è ricoperto solamente dalla
cute e dalla fascia crurale. A livello della caviglia, curva anteroinferiormente, dietro al malleolo mediale e profondamente al
retinacolo dei tendini dei muscoli flessori e raggiunge la pianta del
piede.
-
Il nervo peroneo comune, è il ramo terminale più piccolo del
nervo ischiatico, le sue diramazioni innervano la maggior parte
del polpaccio. Una di queste, il nervo cutaneo dorsale mediale
decorre davanti alla caviglia e sul dorso del piede, dando
origine ad ulteriori rami per la cute.
25
CAPITOLO 2
BIOMECCANICA DELLA CAVIGLIA
L’articolazione tibio-tarsica è l’articolazione distale dell’arto
inferiore. E’ una troclea e possiede quindi un solo grado di libertà.
Essa condiziona i movimenti della gamba in rapporto al piede, sul
piano sagittale.
È molto sollecitata nella marcia, sia che avvenga su terreno piano
che su terreno accidentato. È un’articolazione molto serrata, molto
incastonata che subisce sollecitazioni estremamente importanti,
poiché in appoggio monopodalico, essa sopporta la totalità del peso
del corpo con la spinta aggiuntiva dall’energia cinetica, dovuta al
moto del corpo
quando il piede prende contatto con il suolo
durante la marcia, la corsa o il salto. È quindi facile immaginare i
problemi che si presentano nella realizzazione delle protesi di tibiotarsica affidabili nel tempo. Per questioni di comodità descrittiva si
è soliti identificare tre assi principali nell’articolazione della
caviglia, (figura 7) questi sono:
L’asse trasversale XX' che passa per i due malleoli e corrisponde
26
all’asse della tibio-tarsica.
È compreso all’incirca nel piano frontale e condiziona i movimenti
di flesso-estensione del piede che si effettuano sul piano sagittale.
L’asse longitudinale della gamba Y è verticale e condiziona i
movimenti d’adduzione-abduzione del piede, che si effettuano nel
piano trasversale. Questi movimenti sono possibili grazie alla
rotazione assiale del ginocchio flesso, e danno evidenza di strutture
articolari poste nella parte posteriore del tarso inoltre, sono sempre
combinati a movimenti attorno a un terzo asse.
L’asse longitudinale del piede Z è orizzontale e contenuto in un
piano sagittale. Condiziona l’orientamento della pianta del piede
permettendole di flettersi verso il basso, verso l’esterno e verso
l’interno. Per analogia con l’arto superiore, questi movimenti
vengono rispettivamente chiamati di pronazione e supinazione.
27
Fig.7 Schematizzazione degli assi passanti per l’articolazione
tibio-tarsica
La posizione di riferimento di un piede si ha quando il piano della
pianta del piede è perpendicolare all’asse della gamba. Partendo da
questa posizione, la flessione della caviglia (dorso-flessione) si
definisce come il movimento che ravvicina il dorso del piede alla
faccia anteriore della gamba.
28
Fig.8 Rappresentazione della flessione plantare e dorsale della
tibio-tarsica
Inversamente, l’estensione della tibio-tarsica allontana il dorso del
piede dalla faccia anteriore della gamba, mentre il piede tende a
disporsi
nel
prolungamento
29
della gamba. Questo movimento
è anche denominato flessione plantare; questa denominazione è
impropria in quanto con il termine flessione si tende sempre ad
identificare un movimento che avvicini un segmento corporeo al
tronco. Si sa che la flessione plantare è maggiore di quella dorsale e
per misurare l’angolo di flessione, piuttosto che usare l’asse della
tibio-tarsica si può comodamente misurare l’angolo formato tra la
pianta del piede e l’asse della gamba.
Quando l’angolo rilevato è acuto siamo in una situazione di
flessione, quando l’angolo è ottuso ci troviamo in una situazione di
estensione.
2.1 RAPPRESENTAZIONE SU MODELLO MECCANICO
DELL’ARTICOLAZIONE TIBIO-TARSICA.
L’articolazione tibio tarsica può essere paragonata ad un sistema
meccanico come quello schematizzato in figura 9, che è costituito
dalle seguenti parti:
- una parte inferiore (A), a superficie approssimativamente
cilindrica a grande asse trasversale XX' che rappresenta l’astragalo;
30
-
una parte superiore (B), che rappresenta l’estremità inferiore
della tibia e del perone, che formano un blocco, la cui faccia
inferiore è scavata da un segmento di cilindro complementare al
precedente.
Il cilindro pieno incastrato nel segmento di cilindro cavo,
mantenuto lateralmente fra i due fianchi della parte superiore, può
effettuare dei movimenti di flessione (F) ed estensione (E) attorno
all’asse comune XX'
Fig. 9 Rappresentazione meccanica dell’articolazione tibio-tarsica
31
2.2 STABILITA’ ANTERO-POSTERIORE DELLA
CAVIGLIA E FATTORI LIMITANTI LA FLESSOESTENSIONE
L’ampiezza dei movimenti di flesso-estensione è innanzitutto
determinata dallo sviluppo delle superfici articolari. Dato che la
superficie tibiale ha uno sviluppo di circa 70° d’arco e la troclea
astragalica si estende da 140° a 150°, se ne deduce con una
semplice sottrazione, che l’ampiezza totale della flesso-estensione
varia tra 70° e 80°. Si constata inoltre che lo sviluppo della
puleggia è maggiore in dietro che in avanti, il che spiega la
predominanza dell’estensione sulla flessione.
La limitazione della flessione dipende da fattori ossei, capsulolegamentosi e muscolari:
- Fattori ossei: nella flessione estrema, la faccia superiore del collo
dell’astragalo viene ad urtare contro il margine anteriore della
superficie tibiale. Se il movimento è troppo violento, il collo può
fratturarsi. La parte anteriore della capsula è preservata dal
32
pinzettamento perché viene tirata dalla tensione dei flessori, grazie
alle aderenze che essa contrae con le loro guaine.
- Fattori capsulo-legamentosi: la parte posteriore della capsula si
tende , così come i fasci posteriori dei leg amenti collaterali.
- Fattori muscolari: la resistenza tonica del muscolo tricipite
interviene prima dei fattori precedenti. Una retrazione muscolare
può quindi limitare la flessione e la caviglia può rimanere estesa
(piede equino); in questi casi si può ricorrere ad un intervento
consistente nell’allungamento del tendine d’Achille.
La limitazione dell’estensione può essere ascritta ai medesimi
fattori:
- Fattori ossei: i tubercoli posteriori dell’astragalo, l’esterno
soprattutto, vengono a contatto con il margine posteriore della
superficie tibiale
- Fattori capsulo-legamentosi: la parte anteriore della capsula si
tende come si tendono i fasci anteriori dei legamenti collaterali
- Fattori muscolari: la resistenza offerta dal tono dei muscoli
flessori limita ovviamente l’estensione. L’iper tono dei flessori
porta ad una flessione permanente. La stabilità antero-posteriore
33
dell’articolazione tibio-tarsica e la sua coattazione sono assicurate
dalla gravità, che trattiene l’astragalo sotto la superficie tibiale i cui
margini anteriore e posteriore formano dei rilievi che impediscono
lo scivolamento della troclea in avanti, o più spesso, all’indietro
come nel caso in cui il piede in estensione viene violentemente a
contatto con il terreno. I legamenti collaterali assicurano la
coattazione passiva ed i muscoli sono tutti coattori attivi su una
articolazione normale. Quando i movimenti di flesso-estensione
superano
l’ampiezza
permessa,
uno
degli
elementi
deve
necessariamente cedere.
2.3 STABILITA’ TRASVERSALE DELLA TIBIO-TARSICA
La tibio-tarsica, essendo un’ articolazione con un solo grado di
libertà non può compiere movimenti sugli altri due assi, essa deve
la sua stabilità ad un incastro stretto, una vera e propria giuntura: la
troclea
astragalica
è
strettamente
mantenuta
nel
mortaio
tibioperoneale. Ciascuna branca della pinza bimalleolare trattiene
lateralmente l’astragalo, a condizione che la distanza tra i due
malleoli, quello interno e quello esterno rimanga immutata. Questo
presuppone, oltre all’integrità dei malleoli, quella dei legamenti
34
peroneo-tibiali inferiori. Inoltre i potenti legamenti collaterali
esterno ed interno impediscono ogni movimento di rollio
dell’astragalo sul suo asse longitudinale.
35
CAPITOLO 3
ANATOMIA ARTROSCOPICA E PORTALI D’INGRESSO
PER LE SONDE
Dieci distinti approcci artroscopici alla caviglia hanno identificato
tre principali gruppi di portali d’ingresso: anteriori, posteriori e
transmalleolari (figura 10). La maggior parte degli interventi viene
effettuato mediante il portale anteriore, sia esso antero-mediale o
antero-laterale. Questa tecnica ha trovato particolare diffusione
con l’utilizzo dei distrattori esterni, che creano maggiore spazio
articolare nella zona in cui viene effettuato l’intervento. L’utilizzo
dei distrattori esterni è minore in percentuale per gli interventi con
portale posteriore.
3.1 PORTALI ANTERO-LATERALI
Nell’artroscopia della caviglia l’ingresso antero-laterale è la via di
accesso primaria, quella in cui l’artroscopio viene inserito all’inizio
dell’intervento. L’ingresso antero-laterale viene creato 5 mm al di
sotto della rima articolare, appena lateralmente ai tendini estensori,
36
molto vicino alla branca laterale cutanea del nervo peroneo
superficiale. Con questo tipo di approccio è possibile visualizzare
la maggior parte dell’area antero-mediale, il chirurgo può spingere
la sonda in profondità visualizzando anche alcuni elementi
dell’articolazione nel compartimento posteriore come ad esempio
la sindesmosi tibio-fibulare, i legamenti tibio-fibulari posteriori, il
legamento trasverso e le pliche sinoviali.
Fig. 10 Linee di taglio disegnate sul paziente per la creazione dei
portali
37
Fig 11 Schematizzazione dei portali correlati alle strutture
anatomiche
3.2 PORTALI ANTERO-MEDIALI
Il portale antero-mediale viene creato a 5 mm dalla rima articolare,
medialmente al tendine tibiale-anteriore. Tramite questo approccio
è possibile inserire l’artroscopio molto in profondità fino ad
arrivare alla cavità di Harty vicino al malleolo mediale. Questo
ingresso è utilizzato inizialmente per il posizionamento di una
sonda diagnostica o per un tagliatore motorizzato che viene
utilizzato per pulire i blocchi articolari dovuti alla sinovia che si
verificano vicino l’articolazione. In generale la strumentazione
artroscopica è inserita nella stessa zona della patologia, con
38
l’artroscopio visivo situato nell’apposito portale anteriore. Con
questi ingressi si ottiene la migliore visuale possibile ottenibile
tramite ingressi anteriori.
3.3 PORTALI ANTERO-CENTRALI
L’ingresso antero centrale viene creato distalmente la rima
articolare a 5 mm da essa tra il gruppo degli estensori lunghi (figura
12). Questo consente un passaggio degli strumenti attraverso il
solco concavo della troclea del talo nel compartimento posteriore.
In passato questo portale non era molto utilizzato perché potevano
essere intaccate l’arteria pedilia e la branca terminale del nervo
peroneo profondo. Questo fino all’avvento dei distrattori esterni
che sono in grado di creare uno spazio maggiore tra queste
strutture.
39
Fig 12 Portali Antero-centrali disegnati sulla caviglia del paziente
3.4 PORTALI ACCESSORI ANTERO-MEDIALE E
ANTERO-LATERALE
I portali accessori vengono fatti all’incirca 1,5 cm lateralmente ai
portali
principali,
essi
sono
utilizzati
principalmente
per
raggiungere lo spazio talo-malleolare, con il microscopio
posizionato nel portale ipsilaterale, la presenza simultanea di più
strumenti operatori all’interno di questa articolazione è di solito un
40
problema.
3.5 PORTALI POSTERIORI
Il portale postero-laterale viene creato nello spazio tra il tendine
d’Achille e il tendine peroneale (figura 13) . Questo ingresso
posteriore può essere fatto molto distante, circa 1 cm dal portale
corrispondente situato nella parte antero-laterale, nella zona
posteriore il portale è molto distante dalla rima articolare. Per
minimizzare il rischio di infortuni al nervo surale e alla vena
piccola safena, l’incisione della pelle va effettuata nelle vicinanze
del bordo laterale del tendine d’achille. Il portale postero laterale è
usato principalmente per gli strumenti operatori.
Fig. 13 Portali posteriori disegnati sulla caviglia del paziente
41
3.6 PORTALE ATTRAVERSO IL TENDINE D’ACHILLE
Questo approccio viene effettuato attraverso il tendine d’Achille in
corrispondenza della rima articolare, i vantaggi di questo ingresso
sono da ricercare nel minor danneggiamento delle strutture neurovascolari, aumentando il margine di sicurezza della struttura
anatomica. Gli svantaggi sono da riscontrare nell’eventuale
indebolimento strutturale del tendine d’Achille.
3.7 PORTALE POSTERO-MEDIALE
Questo portale viene creato in prossimità della rima articolare
posteriore medialmente al tendine d’Achille. Questo è un ingresso
poco utilizzato a causa dei numerosi rischi di eventuali lesioni alle
strutture neuro-vascolari.
42
CAPITOLO 4
DEFINIZIONE DELLA SINDROME DA IMPINGEMENT
Con il termine sindrome da impingement o sindrome da conflitto si
identifica una particolare patologia che insorge quando due
strutture fibrose o una ossea e una fibrosa entrano in conflitto tra
loro determinando una limitazione della flessione e la persistenza
di un forte dolore distrettuale. L’impingement può classificarsi in
osseo o fibroso. Una sotto classificazione distingue l’impingement
in base alla sede di localizzazione, sia essa antero-laterale, posterolaterale, postero-mediale (Foot and Ankle Arthroscopy; Guhl, J.F;
Thorofare, New York, 1993).
4.1 IMPINGEMENT OSSEO
Questa patologia è indotta da un osteofita osteo-cartilagineo che
può prodursi a livello dell’articolazione tibio-tarsica in sede
anteriore o posteriore in seguito a condizioni di sovraccarico,
microtraumi o traumi ripetuti. L’osteofita si presenta come una
protuberanza
ben
valutabile
43
sia
radiograficamente
che
artroscopicamente, localizzato per lo più in corrispondenza del
margine anteriore della superficie articolare anteriore della tibia.
Spesso a questo si associa un osteofita opponente situato sul
versante anteriore dell’astragalo. Questo impingement osseo
determina una riduzione dell’articolarità specialmente nella
dorsiflessione, dolore in sede anteriore esacerbato dalla corsa,
dall’accovacciamento e dal cammino in salita, pseudoblocchi e
gonfiore.
4.2 IMPINGEMENT FIBROSO
Come per quello osseo l’impingement fibroso è accompagnato da
forte dolore distrettuale che si accentua con il movimento, e da
gonfiore. In genere l’impingement fibroso è causato da un errato
trattamento di un trauma distorsivo di grande entità. Il tessuto così
danneggiato tende a cicatrizzarsi in maniera ipertrofica, questa
porta alla nascita di corpi semirigidi che interferiscono con
l’articolazione. La sindrome da impingement fibroso può essere
divisa e classificata in:
- Sindrome da impingement antero-laterale, che è più frequente ed
44
è legata ad una lesione del legamento peroneo-astragalico anteriore
talvolta associata ad una lesione del legamento peroneo-calcaneare.
- Sindrome da impingement della sindesmosi tibio-peroneale,
discretamente frequente, che è legata a lesioni dei legamenti tibioperoneali inferiori anteriore e posteriore.
- Sindrome da impingement posteriore, molto più rara e legata a
una lesione del legamento peroneo-astragalico posteriore con
interessamento talvolta dei legamenti tibio-peroneale posteriore e
trasverso.
45
CAPITOLO 5
METODICHE DIAGNOSTICHE
Quando si avverte un forte dolore alla caviglia, sia esso dovuto ad
una distorsione o ad uno sforzo eccessivo, è necessario eseguire
una radiografia. Questa, oltre che nelle routinarie visioni anteriore e
laterale, deve essere eseguita anche in visione laterale con
inclinazione del piede a 45° in flessione plantare. Ciò è necessario
al fine di ottenere una buona visuale all’interno dell’articolazione
per osservare la presenza di osteofiti, i quali possono aver
provocato una situazione di impingement osseo.
Fig.14 Radiogramma latero-laterale con piede flesso a 45°
46
Per quanto riguarda la diagnosi di un impingement fibroso si deve
ricorrere all’utilizzo di una RMN, la quale mostra con una migliore
risoluzione spaziale i tessuti molli, i quali, se cicatrizzati in maniera
ipertrofica o addirittura calcificati appaiono più chiari.
Fig.15 Risonanza magnetica dell’articolazione tibio-tarsica
In entrambi i casi grande attenzione deve essere effettuata durante
la palpazione della parte. Questa operazione consente in
collaborazione con il paziente di determinare la zona in cui viene
avvertito più dolore che, in genere è quella in cui è localizzata la
patologia. È necessario effettuare una diagnosi differenziale con le
47
patologie della tibio-tarsica quali le forme di instabilità o la
condromatosi
sinoviale.
Quest’ultima
è
una
patologia
caratterizzata dalla presenza di globuli di cartilagine metaplasica
all’interno dell’articolazione.
48
CAPITOLO 6
ARTROSCOPIA DI CAVIGLIA: STRUMENTAZIONE
SPECIALE E TECNICHE OPERATORIE
L’interesse per l’artroscopia dell’articolazione tibio-tarsica iniziò
alla fine del 1970. Inizialmente i problemi erano dati dal gran
numero di legamenti presenti in questa articolazione e dal ridotto
spazio articolare, in aggiunta a questo la particolare curvatura
dell’articolazione talo-crurale e la presenza di strutture neurovascolari a bloccare l’accesso artroscopico rappresentavano un
altro problema di difficile risoluzione. Il piccolo diametro degli
artroscopi in uso in quel periodo e il ristretto campo di portali
utilizzabili rendevano l’utilizzo dell’artroscopia per questa
articolazione quasi impossibile, inoltre non era nota una posizione
migliore da far assumere al paziente durante l’intervento. Con il
passare del tempo si cominciò ad utilizzare artroscopi più grandi, si
iniziarono a studiare le posizioni che il paziente doveva assumere
durante l’intervento, si fecero diverse sperimentazioni sui nuovi
portali d’accesso, si introdusse l’utilizzo dei distrattori meccanici.
Questo rese possibile la diffusione
49
dell’artroscopia per la
risoluzione delle patologie
dell’articolazione tibio-tarsica e
consentì di sfruttare al meglio le potenzialità di questa tecnica
operatoria.
6.1 STRUMENTAZIONE SPECIALE
Una strumentazione speciale ha aiutato a superare i problemi legati
all’artroscopia della caviglia. La tecnica che consente una
distrazione meccanica dell’articolazione è un prodotto dello
sviluppo tecnologico che ha condizionato questo tipo di intervento.
L’artroscopio più comunemente utilizzato è uno strumento con un
diametro di 4,5 mm e una inclinazione di 25°-30° (per un approccio
anteriore), ma non è da sottovalutare neanche quello inclinato a 70°
(utilizzato per gli approcci posteriori), anche se in molte caviglie si
preferisce utilizzare un artroscopio di grandi dimensioni. Dei
piccoli tubi semirigidi da 6 oz o da 2-3 oz sono i più usati
nell’artroscopia di questo distretto e precisamente quelli da 2-3 oz
sono indicati quando si sta praticando un approccio posteriore.
All’occorrenza possono essere utilizzate delle cannule di plastica
specialmente in presenza di un approccio antero-centrale. I bisturi
utilizzati vengono introdotti nell’articolazione attraverso delle
50
cannule, questi solitamente hanno il tagliente da una sola parte per
evitare danneggiamenti delle parti molli durante le manovre
operatorie (figura 16). I bisturi possono essere utilizzati per tagliare
le bande fibrose, le pliche e il tessuto capsulare, vi sono però bisturi
che hanno un doppio tagliente, questi, sono utilizzati in casi
particolari per il taglio di legamenti nelle artrodesi.
51
Fig.16 Tipi di bisturi utilizzati per l’artroscopia dalla tibio-tarsica
Piccole lime molto strette e curve sono particolarmente indicate per
il rimodellamento dell’osso dopo la rimozione dell’osteofita (figura
17).
52
Fig.17 Set di lime utilizzate pert l’artroscopia dell’articolazione
tibio-tarsica
Per l’estrazione dei frammenti più grandi si utilizzano delle
particolari pinze, queste, devono essere molto sottili
e con un
corpo estremamente lungo. I tagliatori motorizzati, rivestono
un’importanza primaria, essi sono utilizzati per la rimozione di
cicatrizzazioni fibrose e per l’ipertrofia delle lesioni sinoviali. Gli
53
abrasori sono utilizzati per il rimodellamento dell’area sottostante
l’osteofita, questi utensili sono molto utili in una artrodesi o in una
operazione di rimodellamento della rima articolare.
6.2 TECNICA DI DISTRAZIONE MECCANICA
Il
distrattore
ha
un
impiego
molto
ampio
nell’ambito
dell’artroscopia della caviglia, questo facilita la distrazione
dell’articolazione senza il pericolo di danneggiare le strutture
legamentose , e tende anche a stabilizzare l’articolazione durante
l’intervento consentendo una grande varietà di approcci come si
può osservare in figura 18.
Fig.18 Distrattore meccanico applicato su un un paziente
54
CAPITOLO 7
TECNICA ARTROSCOPICA
Dopo aver adagiato il paziente sul tavolo operatorio seguendo una
delle particolari procedure, si passa all’intervento vero e proprio.
L’utilizzo o meno di un distrattore articolare è a discrezione del
chirurgo. Il chirurgo effettua delle ripetizioni di movimenti di
estensione e flessione del piede al fine di ottenere un
“ammorbidimento” della capsula articolare della caviglia. Le
incisioni vengono praticate appena sotto la pelle seguendo i criteri
sopra citati con un bisturi n°11. Nell’articolazione viene praticata
un’iniezione contenente epinefrina per ridurre la rigidità articolare.
La cannula per l’artroscopio da 4,5 mm viene inserita nella capsula
articolare, seguita da un otturatore smusso, il resto della
strumentazione viene introdotta nel campo operatorio usufruendo
dei portali accessori.
7.1 TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL’IMPINGEMENT
OSSEO
Le esostosi che generano un
55
impingement
osseo
si
localizzano in prevalenza sul margine anteriore della parte mediale
della tibia e sulla superficie talare, anche se situazioni analoghe
possono essere riscontrate sui malleoli. L’impingement osseo è
molto limitante per la dorsiflessione del piede. È una patologia che
colpisce molto spesso i giocatori di calcio, a questo proposito uno
studio ha dimostrato che un giocatore quando calcia il pallone
subisce un microtrauma dovuto al contatto del piede con il pallone,
questo contatto avviene in media ad una velocità di 96 km/h e
all’incirca 120 volte per ogni partita. Impingement ossei posteriori
vengono riscontrati spesso nei ballerini, questi, quando ballano
sulle punte determinano una compressione forzata del tubercolo
talare posteriore, che secondo gli esperti porta con il passare degli
anni ad una ipertrofia del tubercolo talare posteriore.
Quando ci si trova in presenza di un paziente che manifesta i segni
clinici di una sindrome da impingement e la conferme ci giunge
dagli esami radiografici si può passare alla rimozione dell’esostosi.
Questa può essere rimossa molto facilmente mediante tecnica
artroscopica. La distrazione dell’articolazione per questo intervento
può non essere utilizzata, dato che la lesione è spesso localizzata
56
nel compartimento anteriore, anche se si rende necessaria l’apertura
di due o tre portali d’ingresso per le sonde. Al fine di rendere più
agevole la visualizzazione del compartimento deve essere eseguita
una sinovialectomia parziale del compartimento anteriore, questa
viene eseguita con dei piccoli strumenti motorizzati. L’incisione si
ottiene mediante l’utilizzo di diversi strumenti quali: abrasori,
piccole lime e bisturi monotagliente. Viene poi applicata una
fasciatura compressiva seguita dall’applicazione di ghiaccio e da
una mobilitazione attiva. L’utilizzo di
drenaggi può rendersi
necessario alla fine dell’intervento. I risultati a breve termine di
questo tipo di intervento sono eccellenti e portano ad un rapido
ritorno alla normale funzionalità dell’articolazione.
7.2 TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL’IMPINGEMENT
FIBROSO
Il
trattamento
artroscopico
di
questa
patologia
consiste
nell’incisione delle bande aderenti, in una parziale sinovialectomia,
nella rimozione delle cartilagini articolari degenerate e nella
rimozione mediante abrasori di eventuali difetti osteocondrali. La
distrazione
meccanica
57
dell’articolazione
è
raccomandata in questo tipo di intervento non solo per aumentare il
campo visivo, ma anche per facilitare il movimento della
strumentazione
operatoria
all’interno
dell’articolazione.
L’intervento viene realizzato in anestesia totale o parziale. Il
paziente viene adagiato sul tavolo operatorio in posizione supina,
una rotazione verso l’interno della gamba rende possibile accedere
all’articolazione posteriormente. La distrazione dell’articolazione
non deve avere una durata superiore ai 60 minuti. I portali utilizzati
sono in genere quelli anteriori, e quello postero-laterale.
58
CAPITOLO 8
STUDIO CLINICO
8.1 MATERIALI E METODI
Lo sviluppo di questa tesi si basa sull’osservazione di 24 pazienti
trattati
con
la
tecnica
artroscopica
per
la
risoluzione
dell’impingement osseo e fibroso tra il 1996 e il 1999. Lo studio è
stato condotto su 14 uomini e 10 donne, con un’età media di 36
anni. In 16 pazienti la patologia era localizzata alla caviglia destra,
in 8 era localizzata alla caviglia sinistra. Da un esame anamnestico
era affiorato che 12 pazienti avevano subito in precedenza una
distorsione per eversione, 7 pazienti avevano subito una frattura in
questo distretto e 5 pazienti non avevano accusato nessun trauma.
La classificazione dello stadio della malattia è stato effettuato
basandosi sulla scheda a punti di Bray e sulle radiografie effettuate
in proiezione antero-posteriore e latero-laterale. La stadiazione
artroscopica
delle
lesioni
è
stata
effettuata
secondo
la
classificazione di Outerbridge (1961). Nei pazienti trattati per una
sindrome di impingement osseo sono state riscontrate le lesioni
59
condrali rappresentate in tab I.
Nei pazienti trattati per una sindrome di impingement fibroso sono
state riscontrate le lesioni condrali schematizzate in tab II.
8.2 RISULTATI
Nell’impingement osseo la valutazione post-operatoria è stata
eseguita utilizzano la scheda di Bray, questa ha fatto rilevare
risultati eccellenti in 4 casi, risultati buoni in 2 casi, risultati
mediocri in 3 casi e nessun risultato scarso, come è possibile
osservare in tab III. Utilizzando gli stessi criteri valutativi per
l’impingement fibroso si sono rilevati risultati eccellenti in 6 casi,
risultati buoni in 4 casi, risultati mediocri in 5 casi e nessun
risultato scarso, come è possibile osservere in tab IV. Analizzando
le tabelle III e IV si nota che vi sono 8 pazienti trattati con risultati
mediocri, di questi 2 (affetti da impingement osseo) erano aggravati
da una condropatia di III grado e, 4 (affetti da impingement
fibroso) erano aggravati da una condropatia di III-IV grado. Il
follow-up medio è stato di 14,6 mesi.
60
Nessuna lesione condrale
3 pazienti
Condropatia di I grado
0 pazienti
Condropatia di II grado
4 pazienti
Condropatia di III grado
2 pazienti
Condropatia di IV grado
0 pazienti
Tab.I schematizzazione delle lesioni condrali riscontrate nei
pazienti operati per una sindrome di impingement fibroso
Nessuna lesione condrale
Condropatia di I grado
5 pazienti
4 pazienti
Condropatia di II grado
Condropatia di III grado
2 pazienti
3 pazienti
Condropatia di IV grado
1 pazienti
Tab.II schematizzazione delle lesioni condrali riscontrate nei
pazienti operati per una sindrome di impingement fibroso
Fig.20 Fotografia artroscopicadi una lesione condrale in una
sindrome da impingement osseo
61
Eccellente
4 pazienti
Buono
2 pazienti
Mediocre
3 pazienti
Scarso
0 pazienti
Tab. III risultati ottenuti nel trattamento delle
sindromi di impingement osseo
Eccellente
Buono
Mediocre
Scarso
6 pazienti
4 pazienti
5 pazienti
0 pazienti
Tab. IV risultati ottenuti nel trattamento delle sindromi di
impingement fibroso
Fig. 21 Foto artroscopica di una lesione condrale in una sindrome da
impigement fibroso
62
8.3 CONCLUSIONI E DISCUSSIONE
Analizzando lo studio effettuato si è riscontrato un 75% di buoni
risultati che possono essere considerati soddisfacenti. Non vi è
differenza statisticamente significativa fra i risultati dei casi di
impingement osseo e quelli di impingement fibroso. Il risultato
finale dell’intervento è fortemente condizionato dalla presenza e
dalla gravità delle lesioni cartilaginee. Nei pazienti più giovani con
gravi
lesioni
cartilaginee
l’artroscopia
ha
permesso
un
miglioramento dei sintomi, per lo più temporaneo. In conclusione
si può affermare che una situazione di impingement, se trascurata
può indurre l’insorgenza delle lesioni condrali, le quali a loro volta
possono portare ad artrosi. Quindi, uno shearing artroscopico,
benché in un elevato numero di casi non consente la risoluzione
definitiva del quadro clinico, rallenta l’evoluzione del quadro
artrosico. La nostra esperienza ci ha fornito dei risultati comunque
confortanti che ci spingono a sottoporre ad artroscopia gran parte
dei pazienti affetti da impingement dell’articolazione tibio-tarsica.
63
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