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Accetta con beneficio di inventario ma non sfugge

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Accetta con beneficio di inventario ma non sfugge
Accetta con beneficio di inventario ma non sfugge al fermo del veicolo
Giudice di Pace Palermo, sez. VIII, sentenza 10.03.2014
L'erede che abbia accettato l'eredità con beneficio d'inventario, pur
conservando una responsabilità limitata per i debiti e le passività ereditarie, subentra comunque nella
titolarità dei beni e dei diritti che costituiscono l'asse e ne assume l'amministrazione in forza di un
diritto proprio e nell'interesse anche degli eventuali debitori e legatari.
Di conseguenza, in quanto continuatore della persona del de cuius, risponde delle sanzioni comminate
per essere, il veicolo già di proprietà del defunto, privo di contrassegno assicurativo.
Sommario
•
•
Il fatto
L'accettazione con beneficio d'inventario e la figura dell'erede
Il fatto
Con la pronunzia 10 marzo 2014 il Giudice di Pace di Palermo è stato chiamato a decidere su
un'opposizione a sanzione amministrativa promossa da un soggetto che aveva accettato un'eredità con
beneficio d'inventario nel 2008. Dell'asse ereditario, tra l'altro, faceva parte un veicolo che era
risultato, come da verbale della Polizia Municipale di Palermo del 2013, privo di contrassegno
assicurativo.
Tra le altre cose, l'erede eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto, il bene, parte
dell'eredità accettata con beneficio d'inventario, era stato sottoposto altresì a fermo amministrativo
e come tale non era da intendersi nella sua disponibilità.
Il Giudice, dopo un breve e preciso excursus relativo all'istituto dell'eredità beneficiata, ha concluso
nel senso che l'erede è comunque considerato titolare dei beni ereditari e che il fermo
amministrativo non delimita la disponibilità della res, in quanto il titolare è comunque tenuto alla
corretta amministrazione dei suoi beni, senza che il provvedimento amministrativo possa in alcun modo
ridurre o menomare tale onere.
L'accettazione con beneficio d'inventario e la figura dell'erede
Nella sua più moderna accezione, l'accettazione con beneficio d'inventario è prevista, insieme alla
accettazione pura e semplice (sia essa espressa oppure tacita), come lo strumento attraverso il quale
un chiamato acquista l'eredità devolutagli per legge o per testamento.
L'erede che accetti con il beneficio d'inventario ottiene quale risultato la limitazione della propria
responsabilità verso i debiti ereditari e, più in generale, verso le passività della massa tra le quali, ad
esempio, vanno annoverati i legati, le disposizioni modali, nonché le altre passività di natura civilistica o
fiscale che si ritengono solitamente a carico della massa, come le imposte di successione o le spese
funerarie. Di conseguenza l'espressione “debiti” contenuta nell'art. 490, comma 2, n. 2 c.c., va intesa in
senso sufficientemente ampio, tale da comprendere ogni e qualsivoglia peso dell'eredità che
graverebbe anche sul patrimonio dell'erede, qualora questi avesse accettato puramente e
semplicemente.
Effetto tipico del beneficio dell'inventario, secondo quanto comunemente affermato dalla dottrina e
dalla giurisprudenza, è quello di tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede.
Il Tribunale di Palermo, nella pronunzia che qui brevemente si commenta, è stato chiamato a delineare
con maggiore esattezza il contenuto di tale separazione patrimoniale.
L'approfondimento prospettato dal Giudicante, da ritenersi corretto, ha dato per presupposto che il
chiamato che accetti con il beneficio dell'inventario diviene in ogni caso continuatore della persona del
de cuius, subentrando nei rapporti attivi, quale che sia la loro natura, ed acquistando ipso iure, e dalla
data di apertura della successione, il possesso dei beni dell'eredità.
Secondo un orientamento addirittura risalente alla Glossa, l'eredità accettata con beneficio
d'inventario dovrebbe essere considerata una persona giuridica autonoma rispetto alla soggettività
degli eredi. Tale tesi risulta, però, smentita in modo unanime dalla dottrina (per tutti, Capozzi,
Successioni e Donazioni, Milano, 2009, I, 266) e dalla giurisprudenza (Cass. 2 giugno 1992, n. 6683),
secondo cui, l'eredità beneficiata non ha carattere di soggetto di diritto e, pertanto, l'erede che
accetta con beneficio d'inventario non assume nei suoi riguardi la veste di mero rappresentante.
Di conseguenza, il contenuto della separazione patrimoniale va inteso in senso non assoluto.
Nella complessa sfera patrimoniale dell'erede che abbia accettato con beneficio d'inventario, la massa
relitta dal defunto, pur essendo entrata nella titolarità dell'erede stesso, costituisce un patrimonio
autonomo rispetto ai beni personali, dacché, con riferimento alle obbligazioni gravanti sulla massa,
l'erede risponderebbe solamente nei limiti del valore dei beni dell'eredità (intra vires hereditatis) e
cum viribus hereditatis. Con quest’ultima formula si intende che ai creditori ereditari non è data la
possibilità di aggredire i beni personali dell'erede, neppure nel limite del valore dei beni ereditari
(in tal senso, Cass. 29 aprile 1993, n. 5067; in senso parzialmente difforme, Cass. 20 maggio 1980, n.
3308). Diversamente, la massa ereditaria potrà essere aggredita dai creditori particolari dell'erede,
ma sulla stessa avranno preferenza i creditori dell'eredità, i quali vantano, tra l'altro, un autonomo
diritto a far valere la separazione dei beni, anche nel caso in cui l'erede decada da beneficio
dell’inventario e venga meno, di conseguenza, la separazione patrimoniale (artt. 512 e ss. c.c.).
Secondo l'orientamento prevalente, nonostante la responsabilità patrimoniale limitata, l'erede
beneficiato subentra di pieno diritto anche nei rapporti passivi del defunto ed è comunque
legittimato passivamente alla domanda di adempimento proposta dal creditore del de cuius, seppure
entro i limiti del valore dell'eredità. Secondo un orientamento più risalente, invece, l'erede beneficiato
non subentrerebbe nei debiti dell'eredità e quindi non potrebbe essere soggetto passivo di una azione
di condanna in proprio da parte dei creditori del de cuius, in quanto il rapporto obbligatorio si
estinguerebbe con la morte del debitore e si trasformerebbe in un rapporto di natura diversa (cioè
reale) inerente la res ereditata.
La legittimazione passiva dell'erede non viene meno, ovviamente, in caso di decadenza dal beneficio
dell'inventario, per la quale si determina semplicemente la responsabilità illimitata del beneficiato, che
sarebbe tenuto nei confronti dei debitori anche con i propri beni personali. Né tale responsabilità può
essere impedita da una rinuncia all’eredità effettuata successivamente alla dichiarazione di voler
accettare con beneficio d'inventario resa in forma solenne davanti al notaio o al Cancelliere del
Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.
E' ben vero che, secondo la tesi sposata dalla più recente giurisprudenza (Cass. 9 agosto 2005, n.
16739), l'accettazione con beneficio d'inventario è il frutto di una fattispecie a formazione
progressiva, composta dalla dichiarazione di accettare e dalla successiva (effettiva) stesura
dell'inventario o, se si vuole, essa costituisce una fattispecie complessa composta da una dichiarazione
di volontà unilaterale e da un'operazione materiale. Nondimeno, il chiamato all'eredità che abbia
accettato con beneficio d'inventario assume una volta per tutte la qualità di erede, per cui mentre da
parte sua non è ammessa rinuncia all'eredità, egli potrà rinunciare al limite di responsabilità intra vires
hereditatis, come espressamente previsto dall'ultima parte dell'art. 490 c.c. senza che, per tale
rinuncia, sia richiesta la medesima forma prevista per l'accettazione con beneficio d'inventario (Cass.
23 giugno 1992, n. 7695).
L'erede assume, dunque, la piena titolarità dei beni, nonostante la dichiarazione di accettare con
beneficio d'inventario. Come esattamente rilevato dal Giudice di Pace di Palermo, egli è per legge
responsabile, sia pure per colpa grave, dell'amministrazione dei beni nei confronti dei creditori e dei
legatari e può essere tenuto a prestare idonea garanzia ex art. 492 c.c., il che presuppone la piena
titolarità dei beni ereditari.
Anche a voler considerare la sanzione inferta quale passività della massa ereditaria, quindi, l'erede
avrebbe solamente potuto eccepire (trattandosi di eccezione in senso stretto, Cass. 26 giugno 2007, n.
14766) la limitazione della sua responsabilità entro il valore dei beni conseguiti con la successione,
dimostrando non solo di avere accettato con beneficio d'inventario, ma anche di aver provveduto alla
redazione, nei modi di legge, dell'inventario medesimo (Cass. 16739/2005, cit.).
Il Giudice ha peraltro disatteso le obiezioni mosse dall’opponente, anche in considerazione del fatto che
il provvedimento che dispone il fermo amministrativo di un bene mobile registrato, eseguito a mente
dell'art. 86 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, mediante apposita iscrizione nei registri mobiliari, è
preordinato soltanto all'espropriazione forzata esattoriale, quale mezzo di realizzazione del credito, e
non limita la titolarità del bene stesso, né deresponsabilizza in alcun modo il proprietario rispetto alla
corretta amministrazione della cosa.
(Altalex, 7 aprile 2014. Nota di Paolo Criscuoli tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)
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/ erede / de cuius / assicurazione / auto / Paolo Criscuoli /
Giudice di Pace di Palermo
Sezione VIII Civile
Sentenza 10 marzo 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI PALERMO
Il Giudice di Pace della VIII sezione civile di Palermo, Dott. Vincenzo Vitale
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 11718/2013 del Ruolo Generale degli affari civili contenziosi vertente
TRA
S. G., rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Francesca Guastella, presso il cui studio,
sito in via F. P. Di Blasi n. 35, ha eletto domicilio
opponente
CONTRO
Prefettura di Palermo, in persona del Prefetto pro-tempore, rappresentato e difeso dal Vice-Prefetto
Dr. R. Chiarello
opposto costituito
Oggetto : opposizione a sanzione amministrative ex L. 689/81.
Conclusioni : come in atti.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato il 01/10/2013, l’opponente impugnava l’ordinanza-ingiunzione prot. n.
M_IT_PR_PAUTG 00014438, emessa dal Prefetto di Palermo il 01.07.2013, a seguito di ricorso
gerarchico avverso il verbale di contestazione n. E3486 elevato il 16.01.2013 dalla Polizia Municipale di
Palermo (veicolo privo di contrassegno assicurativo).
La ricorrente eccepiva in via preliminare il difetto di legittimazione passiva in capo al Vice-Prefetto
firmatario dell’ordinanza impugnata, nonché il difetto di motivazione di quest’ultima, e nel merito
precisava che il veicolo in questione rientrava fra i beni ereditati con beneficio d’inventario dal de
cuius, sig. T. O., ma che del predetto mezzo la stessa non aveva la disponibilità atteso che il veicolo era
stato sottoposto a fermo amministrativo.
Costituitasi in giudizio, la Prefettura di Palermo rilevava la legittimità dei dirigenti prefettizi, in quanto
delegati a firmare i connessi atti amministrativi, sulla scorta del provvedimento prot. n. 3555 del
10.01.2012, nonché la regolarità della motivazione per relationem in riferimento alle controdeduzioni
predisposte dell’organo accertatore e richiamate nel corpo dell’ordinanza-ingiunzione ; e nel merito
osservava che l’opponente, avendo accettato l’eredità con beneficio d’inventario già nel 2008, si trovava
nella piena disponibilità del bene in questione, onde avrebbe dovuto compiere gli atti consequenziali
(copertura assicurativa o ricovero del mezzo in luogo non aperto al pubblico passaggio).
In via preliminare, si rileva che nella fattispecie per cui è causa si applica – quale lex specialis – il D.M.
150/11 che, all’art. 7 comma 8 dispone che “nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio
personalmente. L'amministrazione resistente può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati”.
Nel merito, dall’analisi sia dei motivi esposti dalla ricorrente che delle controdeduzioni di parte
resistente, non si ritiene giuridicamente accoglibile l’opposizione di che trattasi.
In via preliminare, per quanto riguarda la legittimità del Vice-Prefetto, si ritiene, secondo la propria
costante giurisprudenza, che il c.d. mansionario ministeriale, ossia la manifestazione di volonta’ provvedi
mentale, spetti ai soli funzionari apicali : dunque, soltanto a Prefetto e Vice-Prefetto, come peraltro
statuito in altre pronunce di merito (per tutte, sent. Gdp Palermo n. 10419/2007 R.g.).
Peraltro, va rimarcato come anche i giudici di legittimita’ evidenzino che la sottoscrizione da parte del
Vice-Prefetto è autonoma ed indipendente, poiché lo stesso è, al riguardo, titolare di un potere
autonomo e concorrente con quello del Prefetto : una sorta di titolarita’ disgiunta.
Pertanto, il Vice Prefetto che sottoscriva un’ordinanza in tema di illeciti amministrativi non deve
assolutamente giustificare in concreto i suoi poteri (cioè, indicare i motivi per i quali firmi in vece del
Prefetto).
Cosi’, nello specifico, la Suprema Corte (Cass. Civ. 2085/2005), laddove precisa che “l'ordinanza
ingiunzione prefettizia di irrogazione delle sanzioni per infrazioni… come tutti i provvedimenti riservati
al prefetto - è legittima anche se emessa e sottoscritta dal vice prefetto, a nulla rilevando la mancanza
della espressa menzione delle ragioni di assenza o di impedimento del prefetto; ciò in quanto questi può
di diritto essere sostituito dal vicario in tutte le sue funzioni e attribuzioni, senza necessità di
espressa delega per il procedimento e il provvedimento“.
E, del resto – come acutamente osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. Civ.
12868/2005) – l’art. 16 del D.Lgs 265/2001, nel disciplinare le funzioni dei dirigenti di uffici
dirigenziali generali, attribuisce altresi’ agli stessi il potere di promuovere e resistere alle liti, cosi’
riconoscendo agli stessi la legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie riguardanti il
settore dell’amministrazione, cui sono preposti.
Del pari, infondata risulta l’eccezione relativa al difetto di motivazione del provvedimento impugnato :
da una semplice lettura dell’ordinanza prefettizia, si evince infatti : la natura dell’infrazione
originariamente commessa; il richiamo espresso alle controdeduzioni fornite dall’ufficio di
appartenenza dell’organo accertatore ; il riferimento diretto agli atti dell’istruttoria ; l’indicazione,
infine, per relationem dei motivi formulati dall’organo accertatore nelle controdeduzioni quale elemento
caratterizzante il rigetto del ricorso presentato dall’opponente.
In merito all’obbligo di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione, inoltre la giurisprudenza della Corte di
Cassazione appare orientata nel sostenere la piena legittimita’ della motivazione per relationem.
Cosi’, a partire da una pronuncia della suprema Corte del 1996, secondo cui “l’obbligo di motivazione, che
l’art. 18 legge 689/81 prevede per l’ordinanza-ingiunzione puo’ essere assolto anche per relationem“
(Cass. Civ., 23/08/1996 n. 7774 ).
Significativa, per il caso in esame, si ritiene altra sentenza della Cassazione, per la quale – una volta
precisato che “il contenuto dell’obbligo di motivare l’atto applicativo della sanzione amministrativa va
individuato in funzione dello scopo della motivazione stessa, che è quello di consentire all’ingiunto la
tutela dei suoi diritti mediante l’opposizione “– si sottolinea che “ il suddetto obbligo deve considerarsi
soddisfatto quando dall’ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far
valere le sue ragioni ed il giudice esercitare il controllo giurisdizionale, con la conseguenza che è
perfettamente ammissibile la motivazione per relationem mediante il richiamo di altri atti del
procedimento amministrativo, ed , in particolare, del verbale di accertamento, gia’ noto al trasgressore
in virtu’ della obbligatoria preventiva contestazione“ (Cass. Civ. 28/10/2003 n. 16203 ; conf. Cass. Civ.
02/02/1996 n. 911).
Sempre per la Corte di Cassazione “e’ legittima la motivazione per relationem dei provvedimenti
inflittivi di sanzioni che risulti strutturata secondo un inequivoco richiamo agli atti del procedimento
istruttorio, contenenti gli elementi necessari al controllo giurisdizionale del provvedimento stesso“
(Cass. Civ. , sez. I, 03/07/1998 n. 6259).
“In particolare – sostiene altra pronuncia della Suprema Corte - non occorre che la motivazione de qua
esponga anche l’iter logico giuridico seguito per giustificare l’an ed il quantum della sanzione irrogata,
ben potendo tale iter essere esposto in sede di giudizio di opposizione“ (Cass. Civ., 17/06/1997 n.
5425).
Nel merito, poi, dall’esame degli atti di causa prodotti ex art. 2697 c.c., si rivelava l’infondatezza
dell’eccezione sollevata dalla ricorrente, secondo cui la stessa, avendo accettato con beneficio
d’inventario, fra l’altro, il veicolo contravvenzionato, non ne avrebbe mai avuto la disponibilità, atteso
poi che lo stesso sarebbe stato sottoposto a fermo amministrativo.
Orbene, al riguardo appare doveroso svolgere alcune brevi considerazioni.
L’accettazione con beneficio di inventario è una dichiarazione resa con atto pubblico attraverso cui
l'erede dichiara di accettare con beneficio di inventario, evitando, in tal modo, la confusione del suo
patrimonio con quello del defunto (ex art. 490 c.c.).
In particolare con l'accettazione beneficiata l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e
dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti : in tal modo l'erede eviterà una damnosa ereditas,
estinguendo tutti i pesi che gravano sull'eredità solo con l'attivo dell'asse ereditario senza intaccare il
suo patrimonio.
Secondo la legge, la dichiarazione di accettazione deve preceduta o seguita dall'inventario.
L'erede che accetta l'eredità con beneficio di inventario può, infatti, trovarsi o meno nel possesso dei
beni ereditari.
Se è nel possesso dei beni ereditari (art. 485 c.c.), questi deve fare l'inventario entro tre mesi dal
giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità : se non fa l'inventario
entro i tre mesi, si considera che abbia accettato puramente e semplicemente ; ugualmente accade se
compiuto l'inventario, entro di quaranta giorni dal compimento medesimo non dichiara se accetta o
rinuncia all'eredità.
Con l'accettazione con beneficio d'inventario, in buona sostanza, il chiamato all'eredità diventa
comunque erede, ma i suoi poteri sul patrimonio del defunto non saranno certamente quelli pieni che gli
sarebbero derivati dalla accettazione pura e semplice : con l'accettazione beneficiata, infatti, l'erede
diviene l'amministratore del patrimonio del de cuius, patrimonio che amministra nel suo interesse e in
quello dei creditori e dei legatari; proprio perché l'erede amministra pur sempre delle cose sue, l'art.
491 c.c. prevede la sua responsabilità per l'amministrazione solo per colpa grave.
Orbene, nel caso di specie, l’opponente eccepiva che il veicolo contravvenzionato era già stato
sottoposto a fermo amministrativo, ma “il provvedimento di fermo amministrativo di un bene mobile
registrato - regolato dall'art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo vigente dopo le
modifiche recate con l'art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 - secondo il quale il concessionario può
eseguirlo sui beni mobili registrati del debitore d'imposta mediante iscrizione del provvedimento che lo
dispone nei registri mobiliari, è preordinato (solo, n.d.r.) all'espropriazione forzata, atteso che il
rimedio, disciplinato da norme collocate nel titolo II sulla riscossione coattiva delle imposte, si
inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del credito”
(così, fra le altre, Cass. Civ.14701/2006).
In tal senso, il c.d. fermo amministrativo si differisce dal sequestro del veicolo, “misura a carattere
cautelare e non già sanzionatorio, come il fermo” (Cass. Civ. 12399/2006).
A tale riguardo, si condivide l’assunto di parte resistente, secondo cui la ricorrente, avendo accettato
l’eredità con beneficio d’inventario già dall’anno 2008, ben avrebbe potuto, e dovuto, compiere quegli
atti necessari a non determinare pericolo alla circolazione stradale, rientrando fra questi rimedi la
copertura assicurativa del veicolo (che, secondo il verbale n. E3486/2012, risultava lasciato in sosta “in
via Moscatello Pietro n. 18…sprovvisto del relativo contrassegno assicurativo”) o il ricovero del mezzo in
luogo non aperto al pubblico passaggio.
In tal senso, ci si limita a ricordare che, per giurisprudenza dominante della Suprema Corte di
Cassazione, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con
riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante, come avvenuti in sua presenza e conosciuti
senza alcun margine di apprezzamento, o da lui compiuti.
Trattasi, infatti, di atto pubblico dotato di fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 del Codice Civile
(cosi’, per tutte, Cass. Civ. n. 3240 del 09/02/2009; conf. da Cass. Civ. 2988/96; 13010/97; 6302796).
In conclusione, non si ritiene sufficientemente provata l’opposizione proposta, che pertanto viene
rigettata.
Stante la specificità della controversia, si ritiene che ricorrano i presupposti per compensare fra le
parti le spese di lite.
P.Q.M.
Visti gli artt. 22 e 23 della Legge 689/81;
Rigetta il ricorso proposto da S. G., come sopra rappresentata e difesa, in data 01/10/2013, in
quanto giuridicamente infondato.
Conseguentemente, convalida l’ordinanza-ingiunzione prot. n. M_IT_PR_PAUTG 00014438, emessa
dal Prefetto di Palermo il 01.07.2013, ed ingiungente l’importo di € 1.616,87.
Dichiara compensate interamente tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Palermo il 10/03/2014.
Il Giudice di Pace
(Dott. Vincenzo Vitale)
( da www.altalex.it )
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