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Papi sanguinari - Testimoni di Geova

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Papi sanguinari - Testimoni di Geova
XXXIV. LA SIGNIFICATIVA CARRELLATA DEI NUMEROSI PAPI RESPONSABILI DI
SANGUINARI ORRENDI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ E DI GRAVISSIME
ILLEGALITÀ
FERNANDO LIGGIO
(www.fernandoliggio.org)
È storicamente ben documentato che i “Papi”, non solo sono stati direttamente responsabili
di orrende atrocità, ma hanno sempre permesso, e continuano a permettere, azioni delittuose ed
illegalità di ogni genere. Non a caso Lord Acton (1960-1967) afferma che “I papi non furono
soltanto assassini in grande stile, ma fecero dell’assassinio un fondamento legale della Chiesa
cristiana ed una condizione per ottenere la salvezza” (cfr. Acton J.E. «Lectures on Modern
History», London, 1960 e «Essays in the Liberal Interpretation of History», Chigago-London,
1967).
Il Papa Leone I (440-461) promosse la prima sanguinosa lotta “pro fide agere” (“agire per
la fede”) contro i non cristiani giustificando per loro la pena di morte poiché non erano degni di
“continuare a vivere” e la loro eresia “deve essere estirpata dal corpo della chiesa” (“haereses a
corpore ecclesiae resecantur”): dichiarando di essere il “lungo braccio di Dio” sosteneva che i non
cristiani devono essere perseguitati, oltre che “con la spada sguainata”, anche usando “la lingua
come spada” (cfr. Leone I: «Epistulae» e «Sermones»). Inoltre, il Papa Leone I (440-461) fu il
primo accanito persecutore degli ebrei che paragonava ad “animali selvaggi” insultandoli
continuamente come “scellerati”, “empi”, “abietti”, “miscredenti”, “sacrileghi”, “carnefici di
Dio” ― nonostante, con palese contraddizione, ammettesse che “Dio, secondo il suo piano di
salvezza, ha voluto essere ucciso da loro per poter salvare l’umanità”! ―, “criminali”, “assetati di
sangue”, “dissoluti”, “Servi e mercenari di Satana”, ecc. Tale papa fu santificato!
Il Papa Felice IV (526-530) con un decreto emesso nel 529 ordinò la distruzione di tutte le
sinagoghe dei samaritani, ai quali fece sequestrare i beni, e stabilì severe punizioni per chi tentasse
di ricostruirle (cfr. Codex Justinianus), come attesta Procopio (500-565) furono decapitati circa
centomila samaritani e ventimila, tra donne e bambini samaritani furono venduti come schiavi (cfr.
Procopio: «Historia Arcana»). Anche tale papa fu santificato!
Il Papa Gregorio I (590-604), il quale protesse il Vescovo Andrea di Taranto che aveva
rapporti sessuali con le parrocchiane e picchiò violentemente una povera donna da farla morire per
le lesioni riportate, ordinò la reclusione dei “peccatori carnali” in segrete paragonabili alle
“antiche gabbie per schiavi” dove i reclusi erano talmente compressi da non poter muovere un
passo (cfr. Kober F.: «Die köperliche Züchtigung als kircliches Strfmittel gegen Cleriker und
Mönche», Vinneland, 1875). Anche tale papa fu santificato!
Il Papa Stefano III (768-772), appena eletto, promosse selvagge vendette: il detronizzato
antipapa Costantino II (767-768) fu fatto trascinare attraverso le vie di Roma fino al carcere dove fu
fatto storpiare, ai vescovi ed ai cardinali suoi collaboratori furono fatti strappare gli occhi e la lingua
ed, in particolare, al vescovo Teodoro, che aveva sostenuto fino all’ultimo Costantino II (767-768),
furono fatti cavare gli occhi e mozzare la lingua e, quindi, fu fatto rinchiudere nel monastero di
Clivur Scauri dove morì fra orribili sofferenze, ecc. (cfr. Deschner K.: Op. cit. Band IV, Reinbek
bei Hamburg, 1994).
Il Papa Leone III (795-816), nonostante fosse stato notoriamente adultero ed un un
pluriassassino, fu santificato nel 1673! Egli ― oltre a fare decapitare numerosi proprietari terrieri,
ritenuti rivoltosi, incamerandone i beni espropriati ― fece condannare a morte per impiccagione un
notevole numero di persone ritenute “colpevoli di lesa maestà” nei suoi riguardi!
Il Papa Leone IV (847-855) «… Prima della battaglia navale di Ostia aveva promesso ai
suoi guerrieri, in caso di morte, la “divina mercede”: la più antica anticipazione dell’indulgenza
delle crociate, una promessa di cui molti Santi Padri hanno largheggiato, sapendo di mentire, nei
tempi futuri. Qui accadde, per la prima volta, che un papa garantisse generosamente il cielo a tutti
1
coloro che fossero morti per la “vera fede, per la salvezza della patria e per la difesa della
cristianità” [!!] [ancora oggi continua ad essere garantito il “paradiso” per chi si sacrifica nel
provocare le stragi terroristiche!]. E così l’impresa divenne un successo travolgente. [...]. I bravi
credenti, tuttavia, trucidarono i naufraghi, che erravano inermi sulla costa, o appendendoli alle
forche “perché il loro numero non sembrasse troppo grande”, o trascinandoli in catene a Roma,
dove servirono come schiavi di guerra alla costruzione della fortezza vaticana e dove l’impresa fu
esaltata come un miracolo operato dal principe degli apostoli [San Pietro]. [...]. Dunque, ad una
“pax” così concepita, può seguire di tutto: conflitti ed atrocità, anzi senz’altro guerra qualora venga
lesa la “iustitia” ed il “giusto ordine”, quello cristiano, appunto. E questo, non è difficile
dimostrarlo, è così ancora oggi. Pace ad ogni costo è qualcosa che la storia del cristianesimo non
conosce. “Libertà”, “ordine”, ossia i “valori cristiani di base” devono essere preservati e difesi
fino al sangue, fino alla totale rovina dello stesso oggetto da difendere…» (cfr. Deschner K.:
«Criminalgeschichte des Christentums» Fünfter Band, Reinbek bei Hamburg, 1997). Anche questo
papa è stato santificato!
Il Papa Giovanni VIII (872-882) fu un vero e proprio “papa-guerriero” e, poiché il duca
Sergio di Napoli rifiutò la sua alleanza bellica lo scomunicò e «…senza pensarci troppo su, fece
tagliare la testa a venti prigionieri napoletani…» (cfr. Gregorovius F.A.: «Geschichte der Stadt Rom
im Mittelalter», Beidreisburg, 1857) (ed oggi ci meravigliamo delle pochissime teste tagliate dai
talebani!). Tale “papa-guerriero” nell’anno 877 organizzò una flotta navale da guerra di cui egli
stesso prese il comando e diresse personalmente le operazioni navali nei pressi del Capo Circeo
riuscendo a catturare 18 vascelli saraceni e ad uccidere numerosi maomettani: «…Per la prima volta
un pontefice combatteva direttamente in veste di ammiraglio…» (cfr. Gregorovius F.A.: Op. cit.
Beidresisburg, 1857)! Quindi, Giovanni VIII si vendicò nei confronti del duca Sergio di Napoli che
fece catturare dal fratello Attanasio, vescovo di Napoli, il quale per ordine di Giovanni VIII non
esitò a cavargli gli occhi con le proprie mani onorandosi di eseguire un devoto servigio al santo
pontefice. Il duca Sergio, completamente cieco fu fatto incarcerare e fatto morire in prigione e,
come precisa Gregorovius, «…Quel fratricidio commesso da un vescovo fu salutato dal pontefice
[Giovanni VIII], come un evento felice […]. All’assassino fu corrisposto il prezzo del suo crimine
com’era nei patti [fu nominato duca di Napoli al posto del fratello], e inviata una lettera di
congratulazioni. A tali virtù apostoliche del sacerdozio, che con tale dominio è per ragioni morali
assolutamente inconciliabile…» (cfr. Gregorovius F.A.: Op. cit. Beidresisburg, 1857). Dalla
cronaca dell’epoca si apprende che il papa Giovanni VIII mori il 16 dicembre dell’anno 882, con la
testa spaccata a colpi di martello, infertigli da un parente poiché il veleno che gli aveva propinato
tardava ad agire!
Il Papa Bonifacio VI (896), che governò appena 15 giorni, mentre era Cardinale per le sue
innominabili scelleratezze dal Papa Formoso (891-896) fu persino privato dei privilegi e dei diritti
ecclesiastici!
Il Papa Stefano VI (896-897) per risentimenti personali verso Papa Formoso (891-896) ne
fece disseppellire il cadavere e gli fece tagliare le dita con cui benediceva, ma i cardinali rimasti
fedeli a Papa Formoso (891-896) lo fecero imprigionare e strangolare.
Il Papa Sergio III (904-911), il quale non esitò a fare strangolare i predetti cardinali fedeli
di Papa Formoso (891-896), praticava regolarmente i rapporti sessuali tanto che ebbe un figlio dalla
famigerata Marozia ― tale figlio, eletto a sua volta Papa con il nome di Giovanni XI (931-935)
all’età di soli dodici anni (grazie agli intrighi tra la madre ed i Cardinali), fu fatto morire, recluso
per congiura in Castel S. Angelo, appena quattro anni dopo la sua elezione ― nobile spregiudicata
di alto lignaggio che fece assassinare ben tre Papi (1).
Il Papa Giovanni XII (955-964), nipote della predetta Marozia, oltre ad essere stato
omicida ed incestuoso, fu un turbolento libertino abituato a vivere tra i piaceri più sfrenati, finché fu
sorpreso a letto con una adultera dal marito di costei ed ucciso per defenestrazione (Fig.1). Egli
«..Era talmente malvagio persino per quei tempi che i cittadini se ne sarebbero sbarazzati volentieri;
dicevano infatti che avesse inventato peccati mai visti dal tempo dei tempi, incluso quello di andare
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a letto con sua madre. Teneva un harem nel Palazzo del Laterano e giocava di azzardo con le offerte
dei pellegrini; possedeva un allevamento di duemila cavalli che nutriva a mandorle e fichi bagnati
nel vino e ricompensava le compagne delle sue notti d’amore con calici d’oro del tesoro di San
Pietro. […]. Le donne in particolare venivano ammonite a non mettere piede a San Giovanni in
Laterano se tenevano al proprio onore: il papa infatti era sempre a caccia. Giunse persino a brindare
al Diavolo davanti all’altare maggiore della chiesa madre della Cristianità […], aveva celebrato la
messa senza l’eucarestia; aveva ordinato un diacono in una stalla; aveva eseguito ordinazioni a
pagamento; aveva copulato con una lunga serie di donne, tra le quali la vecchia fiamma di suo padre
e sua nipote; aveva fatto accecare la sua guida spirituale e castrare un cardinale, provocandone la
morte. [Per il suo comportamento sfacciatamente immorale fu deposto ed esiliato. Ma la sua]
famiglia radunò un esercito per permettergli di tornare […]. Giunto a Roma riprese la carica
pontificia e non si accontentò della sola scomunica, ma fece mutilare o condannare a morte tutti
colori che avevano contribuito al suo esilio. […]. Persino, il Cardinale Bellarmino [(1542-1621)],
strenuo difensore del papato che sapeva tutto dei Borgia, dovette ammettere che Giovanni XII “era
la feccia”: “Fuerit fieri ominium deterrimus”…» (cfr. De Rosa P.: «Vicars of Christ», London,
1988)
Il Papa Benedetto V (964-965), nonostante fosse tanto erudito da ricevere l’appellativo di
“grammaticus”, era anche un famigerato donnaiolo e spendaccione. Infatti, «... dopo aver
disonorato una fanciulla, partì immediatamente per Costantinopoli con tutto il tesoro di San Pietro,
per ricomparire soltanto dopo avere esaurito i fondi, imperversando nuovamente per Roma […]
finché fu ammazzato da un marito geloso ed il suo cadavere, straziato da un centinaio di pugnalate,
fu trascinato per le strade e poi gettato in una fogna…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988).
Il Papa Bonifacio VII (974-985) uccise il suo predecessore Papa Benedetto VI (973-974)
strangolandolo con le sue stesse mani. Per tale delitto fu scacciato da Roma e si rifugiò a
Costantinopoli portandosi dietro tutto il “tesoro di S. Pietro”. Tornò a Roma nel 984 e s’impadronì
nuovamente del potere, fece strappare gli occhi ad un cardinale, che lo aveva particolarmente
ostacolato, e fece imprigionare il Papa Giovanni XIV (983-984) in Castel Sant’Angelo nell’aprile
del 984, facendolo uccidere con veleno nell’agosto dello stesso anno! Nell’agosto dell’anno
successivo (985) fu ucciso a furor di popolo ed il suo cadavere trascinato per le strade di Roma fu
gettato ai piedi della statua di Marco Aurelio, finché fu recuperato dai suoi servi e sepolto in S.
Pietro (cfr. Rendina C.: «I Papi: storia e segreti», Newton & Compton Editore, Roma, 1983).
Il Papa Benedetto VIII (1012-1024) nel 1020, in occasione di una sommossa popolare
antiebraica, scoppiata a Roma nel 1020 in seguito ad un terremoto del quale furono assurdamente
ritenuti responsabili gli ebrei (!!), oltre agli ebrei ingiustamente massacrati dal popolo, ne fece
atrocemente giustiziare un’ingente numero!
Il Papa Benedetto IX (1032-1044, 1045-1046, 1047-1048), fu eletto ben tre volte,
nonostante fosse stato detronizzato e scacciato per le sue efferate nefandezze, tanto che nel 1047
fece avvelenare il Papa Clemente II (1046-1047) e l’anno successivo avvelenò personalmente il
Papa Damaso II (1048), appena dopo 24 giorni di pontificato, suo ultimo predecessore. Alla sua
prima elezione, «…avvenuta nell’ottobre del 1032, Sua Santità Benedetto IX aveva undici anni.
Secondo monsignor Louis Duchense, Benedetto era “soltanto un monello […] e doveva passare del
tempo prima che diventasse effettivamente pericoloso”. Ci si trovava davanti uno strano spettacolo:
un bambino con la voce non ancora formata era primo legislatore e sovrano della Chiesa Cattolica,
portava la tiara, celebrava la messa solenne a San Pietro, concedeva prebende, nominava i vescovi e
scomunicava gli eretici. Le imprese di Sua Santità con le donne dimostrarono che il papa fanciullo
raggiunse molto presto la pubertà. Arrivato a 14 anni, dice un cronista, aveva superato tutti i
predecessori per dissolutezza. San Pier Damiani, fine giudice del peccato, esclamò: “Quel
miserabile sguazzò nell’immoralità dall’inizio del suo pontificato alla fine dei suoi giorni”. Un
altro osservatore scrisse: “La Cattedra di Pietro è stata occupata da un diavolo dell’inferno
travestito da prete”. Benedetto IX dovette spesso lasciare Roma in fretta e furia. […]. Alcuni nobili
tentarono di farlo fuori durante la messa […]. Un’altra volta fu scacciato, ma le truppe
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dell’imperatore Corrado lo fecero rientrare, Costretto nuovamente all’esilio nel 1046 per
saccheggio, assassinio e vessazione. […]. Dopo cinquanta giorni […] fu rimesso sul trono dalla sua
famiglia […]. Alla fine Benedetto IX decise di dimettersi, aveva messo gli occhi sulla sua bella
cugina, la figlia Girard De Saxo, che diede il suo consenso, a patto che il papa abdicasse. Colto da
un sorprendente attacco di scrupoli, Benedetto IX decise di controllare se aveva il diritto di farlo
[…]. Felice di dimettersi, richiese una buonuscita di tremila libbre d’oro e, dopo una lunga
contrattazione decise per tutto l’Obolo di San Pietro fornito dall’Inghilterra. Nessuna colletta di
cattolici inglesi ebbe miglior uso…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988).
Il Papa Gregorio VII (1073-1085) che, soprattutto fu un grande falsario (2), era «…piccolo
di statura, poco appariscente, piuttosto bruttino, e perciò parodiato e dileggiato […]. Ma il suo
spirito era potente e spietato, la sua forza espressiva spesso intensa, concentrata […]. Basta leggere
qualche testimonianza contemporanea per vederne […] la passione l’odio e la brama di vendetta.
Benché pieno di foga tempestosa, egli si frena e s’ammansisce, anche se lo fa soltanto per amore dei
suoi obiettivi, dei suoi fini; sia pure per poter alla fine sferrare l’attacco, per colpire prima o dopo
implacabile, per annientare ove qualcuno gli si opponga o solo azzardi ad opporglisi. Quest’uomo
non conosce la pazienza. […]. Versatilità, pluralità di vedute, gli sono più estranee che mai. Aveva
un unico obiettivo, il fine di tutti quelli della sua casta: potere, potere, potere. Ma egli vuole più
potere, più di loro tutti, vuole un potere mondiale. […]. Per questo Santo Padre il bene si realizza
― ma questo, nella sua Chiesa, è un fatto ricorrente, quasi usuale ― quando zampilla il sangue del
nemico, anche sangue di cristiani, si capisce, non è questo che importa, l’essenziale è che si muoia
per essa. Che si crepi per il suo vantaggio. […]. Questo papa fu innamorato della guerra e non è un
caso che uno dei più antichi documenti abbastanza dettagliati ― se non in assoluto la più antica
testimonianza della fede di Gregorio VII nell’aiuto dal cielo ― faccia esplicito riferimento proprio
alla guerra: cioè alla fede dei cristiani nel fatto che il papa dal cielo avrebbe protetto i suoi in
battaglia e mandato in soccorso l’arcangelo Michele alla testa di tutele schiere elisie, […]. Gregorio
dimostrò precocemente grande interesse per le armi e le imprese belliche. I suoi scritti papali sono
costellati di modi di dire corrispondenti. Più di altri “vicari” egli si serve del linguaggio marziale,
evocando spade e proiettili, ferite e morte, con ricorrenti espressioni di militia Christi, militia sancti
Petri, christiana militia e simili. Parla senza tregua di “bravi soldati di Cristo” e di “combattenti
regali”, con cui naturalmente allude ai “santi vescovi”; parla di “scudo della fede”, di “spada di
Cristo”, “brando della parola divina”, “spada del brando universale”, di “spada della vendetta
apostolica, un’arma che inguaribilmente ferisce dalla pianta dei piedi fino alla testa”. Ed
incessante ricorre il suo motto ispiratore, il versetto della bibbia: “Maledetto l’uomo che trattiene la
sua spada dal sangue”. […]. Naturalmente, Gregorio VII dichiarò l’uso delle armi lecito […] per la
difesa dell’ordinamento stabilito da Dio [!!]. Certo, ciò che intende per […] ordinamento divino,
altro non è se non ciò che torna a lui utile, ovvero quanto è di vantaggio per il papato e la Chiesa.
[…]. Difatti egli vuole governare in luogo dei principi, vuole governare su di loro: per questo non fa
altro che denigrarli, strapazzandoli di continuo accusandoli […] di alterigia, di rapina, di infedeltà,
di assassinio, “delitti di ogni specie, compiuti per incitamento del diavolo. Principe del mondo”
[!!]; ed afferma che costoro vogliono dominare gli uomini con cieca bramosia, con insopportabile
arroganza, ecc, precisamente quello che anche lui vuole! Tutte le pretese di primato dei papi si
conformarono in lunghi periodi e s’andarono sempre più accrescendo visto che, alla fin fine,
ambizione e sete di potere di questi umili servitori di Cristo, di questi “servi dei servi di Dio”, non
conobbero praticamente nessun limite. […]. Tutta la Chiesa primitiva non conobbe alcun primato di
diritto, istituito da Gesù, dovuto al vescovo di Roma. Anzi un tale primato è in netta contraddizione
con l’insegnamento di tutti i primi padri della Chiesa., anche dei più famosi. Ciò nondimeno, a
lungo andare si gabellarono come fatti sempre esistiti quelle che erano state grossolane novità; e
tutto quanto era fondato su contraffazioni e menzogne. […]. Gregorio VII vorrebbe rendere docili e
malleabili anche gli imperatori, subordinando in maniera assoluta i sovrani. Egli non esita a
capovolgere le cose, le leggi, la storia, le realtà gerarchiche. Per raggiungere questo fine, o non
possiede alcun titolo, oppure ne ricava da colossali imposture clericali, in special modo dai
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famigerati Decretali pseudo-isidoriani, cioè dai “falsi più fortunati” di tutti i tempi. […]. Gregorio
II era dominato dalla fissazione, da una sua idea peculiare: che il papa fosse il signore del mondo.
Infatti lui […] è più di tutti ossessionato dal potere. Chiunque altro, sia vescovo sia re, è tenuto ad
ubbidirgli e servirlo. Soltanto il papa deve avere precedenza e privilegi su tutti. In fondo egli
disprezza tutti e vuole essere stimato da tutti. Nel modo più pregnante, la sua esorbitante
megalomania fa sfoggio di sé nel famigerato “Dictatus papae”, di cui si riportano alcune delle 27
concise e disordinate pseudo-proposizioni […] che probabilmente dovevano costituire il nucleo
fondamentale di una nuova silloge giuridica: VII) “solo a lui è consentito, in corrispondenza con le
esigenze del tempo, proporre leggi nuove, formare nuove comunità”; IX) “tutti i principi bacino
solo i piedi del papa”; XII) “solo a lui è consentito di detronizzare gli imperatori ed il suo verdetto
non può essere ritrattato da nessuno, lui è l’unico a poter revocare sentenze e giudizi”; XVIII “lui
non può essere giudicato da nessuno”; XXII) “la Chiesa di Roma non è mai caduta in errore e,
secondo la testimonianza della scrittura, non errerà mai per l’eternità”. […]. Gregorio voleva
sottoporre al proprio comando niente di meno che il mondo intero. […]. Le armi, per papa
Gregorio, furono sempre le benvenute, le predilette, purché combattessero per lui. Tant’è vero che,
nel gennaio del 1075, provò a sondare presso il re danese Sven Estridsen: “Nel caso che la Santa
romana madre Chiesa avesse bisogno di combattenti e di spade mondane contro i senzadio e i
nemici di Dio, vorremo sapere, tramite discreti messaggi, quale speranza potremmo riporre in Te”.
[…]. Gregorio ― beatificato nel 1584 e canonizzato nel 1606 [!!] da Paolo V (1605-1621) ―
pretese dal potere politico, non solo guerre a favore della Chiesa, ma anche guerre promosse dalla
Chiesa stessa. Subito dopo l’insediamento nella carica, egli si occupò intensamente del riarmo,
dedicandosi ai preparativi bellici. Collette e donazioni, che confluivano di continuo a Roma […]
furono adoperate per dar vita ad un’armata. Per i suoi attacchi egli ammassava truppe senza tregua
e, poiché non ne aveva mai abbastanza, giunse a dichiarare che fosse compito del credente quello di
consacrarsi alla “militia sancti Petri” (un concetto coniato da lui). Arrivò così a sancire anche la
guerra di aggressione. Anzi, mantenne da sé un esercito alla testa del quale troneggiava sul suo
destriero […]. [“…Tutti i gregoriani sono favorevoli ad una guerra della Chiesa, all’applicazione
della forza delle armi per amore della religione…” (cfr. Erdmann C.: «Alle origini dell’idea di
Crociata», Spoleto, 1966)]. Per sua Santità non potevano mai esserci abbastanza caduti né
abbastanza vittime in battaglia. Gregorio se ne rammarica dinanzi ai fedelissimi della Santa Sede:
“Fino ad oggi solo pochi dei nostri seguaci hanno resistito agli empi infedeli fino a versare il loro
sangue, pochissimi hanno affrontato la morte per Cristo”. […]. Così l’indignato e deluso pontefice
prega, implora e incalza senza sosta; ed ovviamente solo “da parte del santo Pietro (ex parte beate
Petri)”, affinché i credenti scendano in campo “per il re celeste”, per la “celeste aristocrazia”
(celestem nobilitatem), quale che sia il significato dell’espressione. […]. Ai suoi guerrieri, nonché
alle sue vittime, comunque, il papa promette di più. Perché facendo speciale affidamento ― in tutti
i suoi progetti di aggressione ― in volontari afflussi di truppe, egli garantisce a tutti una
ricompensa in cielo. […]. Gregorio promette: “Per la vostra temporanea fatica (momentaneum
laborem) potrete conseguire l’eterna mercede”. E nel suo ultimo appello dopo la perdita di Roma:
“accorrete in aiuto se volete avere remissione dei peccati, benedizione e grazia in questa e
nell’altra vita”. […]. Tra i primi provvedimenti militari, all’inizio del suo pontificato, vi fu la
richiesta di Gregorio al suo legato spagnolo di reclutare soldati per una crociata contro i Mori in
Spagna. Voleva infatti sottomettere definitivamente la Spagna alla Chiesa, giacché era “antica
proprietà di Pietro” e non sottostava a nessun altro se non alla “apostolica” sede. […]. Gregorio
VII, per colpa del quale grande parte dell’urbe era stata trasformata in cumuli di macerie, distrutta
dal fuoco e spopolata, non poteva più restare a Roma: lo si sarebbe linciato per tutto quello sfacelo.
Per mettere al sicuro dalla rabbia popolare, tagliò la corda insieme con Roberto il Guiscardo dopo
essere stato liberato da Normanni e musulmani [si pensi alla stretta analogia con Benito Mussolini
che fu liberato dai Tedeschi]: questi portarono via, come prigionieri e schiavi, un gran numero di
pecorelle romane, oltre agli innumerevoli carri carichi di bottino. […]. Il 25 maggio del 1085 morì
Gregorio VII, del quale molti teologi e storici cristiani, soprattutto cattolici, tessono l’apoteosi,
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proclamandolo non di rado il più grande di tutti i papi [!!]…» (cfr. Deschner K.: «Kriminalgeschicte
des Christentums», Sechs Band, Reimbek bei Hamburg, 1999).
Sotto il pontificato del Papa Urbano II (1088-1099) «…la nobiltà cristiana ― predatoria,
sanguinaria, assetata di guerra come la definiscono i cronisti ― decimava se stessa e i suoi sudditi
in faide interminabili. […] si affrettò […] a recare soccorso “alla Chiesa prossima al naufragio ed
a ripristinare la pace che era scomparsa nel mondo” con una guerra, naturalmente, per la quale egli
incitò perfino i briganti a farsi soldati di Cristo. […]. Sua Santità, dopo aver scagliato ripetute grida
di dolore, giunge in fine alla pia conclusione, alla provvidenza foriera di pace [!!]. “Impugnate
dunque le armi con la passione di Dio, cari fratelli, cingete le vostre spade ai fianchi, siate figli
dell’onnipotente! In verità è meglio morire in battaglia…”. In compenso ci saranno poi, ancora in
questa vita, remissioni di debiti, ricco bottino; e nella vita futura, perdono dei peccati ed
interminabile giubilo in paradiso. […]. La Chiesa ricoperse letteralmente i militi crociati di favori e
vantaggi, di quelli che ad essa costavano invero pochissimo, ma che per i destinatari costavano un
prezzo assai caro. Tra i più importanti di questi doni funesti si trova l’indulgenza dei peccati, e
precisamente una remissione totale, “perfetta” […]; ma ne fanno parte anche esenzioni dai tributi
ordinari, protezione da persecuzione a causa dei debiti anteriori alla crociata, scomunica automatica
per chi offendesse il crociato […]. Si impartivano indulgenze anche alle mogli dei crociati, ai
predicatori delle crociate e persino agli ascoltatori delle prediche. […]. Anche gli esattori dei soldi
per le crociate ottenevano indulgenze perché le entrate della Chiesa aumentavano quanto più sangue
scorreva. […]. Per il papato le stragi che si protraevano si trasformavano in un successo finanziario
colossale: grazie alle offerte, raccolte specialmente dai monaci, grazie alle cosiddette indulgenze
della croce […] e ai versamenti pecuniari che liberavano dall’obbligo di partecipare attivamente alle
crociate, garantendo tuttavia, a chi restava a casa, le stesse identiche beatitudini promesse al
combattente. […]. Ma cosa non si era mai disposti a fare per la salvezza della propria anima! E la
Chiesa faceva l’impossibile per appagare questo sogno di salvezza [!!]. Si pagava (se si aveva il
denaro) ed il versamento ― ovvero il “vangelo dei quattrini” ― assicurava i posti più belli
“lassù”, garantendo le più splendide grazie divine; in tal modo si potevano estendere le facilitazioni
dell’indulgenza anche a parenti e familiari defunti, continuando con i versamenti, s’intende. […] si
poteva astutamente sbarazzarsi del purgatorio, dell’inferno, raggirando ovviamente il diavolo; tutto
era letteralmente in vendita: remissio peccatorum, vita aeterna, salus perpetua […] tanto che la
faccenda divenne “il più lucrativo di tutti gli affari commerciali”, prospettandosi in un “diritto
giuridico al regno dei cieli: fu questa la meta finale di tutti i crociati, che in effetti la Chiesa fece
sperare a tutti”. Al centro dell’irresistibile istigazione di Urbano II (1088-1099) si colloca
l’asserzione che la Chiesa cristiana fosse vittima di oppressione e persecuzioni in Oriente. In realtà i
Cristiani non avevano di che lamentarsi nei paesi orientali. […]. L’obiettivo vero e proprio della
guerra di Urbano II (1088-1099) era la “liberazione” dell’intera Chiesa cristiana d’Oriente. […],
simulando ansia ed affanno per il “santo sepolcro”, per Gerusalemme. […]. La città era divenuta
― sotto il dominio dei cristiani (330-638) ― un autentico polo magnetico di pellegrinaggi, dotata
com’era di un arsenale letteralmente vertiginoso di reliquie, non ultime le “reliquie di Cristo”; dalla
colonna della flagellazione con numerose impronte del volto e del corpo di Gesù, alla corona di
spine ed al calice dell’ultima cena, fino alle divine impronte dei piedi lasciate sul Monte degli ulivi
prima dell’ascensione in cielo […] tutte cose integrali, assolutamente autentiche [!!]. Purtroppo
questi e mille altri tesori erano caduti sotto i colpi della bufera araba […] lasciando che vi facessero
ritorno anche gli Ebrei, banditi da Gerusalemme durante l’egemonia cristiana. […]. Venne il
momento in cui devoti partecipanti alla crociata in Francia, dove papa Urbano II (1088-1099) aveva
proclamato dapprima la croce, massacrarono cittadini ebrei in numero sempre maggiore. Per
cominciare orde cattoliche misero a sacco la comunità ebraica di Rouen: gli abitanti furono
massacrati, le loro case date alle fiamme. Spesso anche gli ebrei battezzati scampavano a fatica da
tali rastrellamenti. Nella Francia occidentale il clero aveva fatto già un lungo lavoro preparatorio di
storia salvifica, da quando un sinodo dopo l’altro aveva emesso decreti esplicitamente antigiudaici.
[…]. Così nella Franconia merovingia, già alla fine del VI secolo, si procedette a battesimi coatti,
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espulsioni di massa, distruzioni di sinagoghe e di case di ebrei [(3)]. […]. La predicazione popolare,
martellando incessantemente sul tema del “popolo deicida degli Ebrei”, portava ad ebollizione gli
animi sempliciotti dei credenti, tanto che molti crociati cedettero di poter compiere pie gesta già in
patria. Ragionando in guisa del tutto cristiana ― anzi cristologica! ― si argomentava in questo
modo: “Ecco, vedete, noi partiamo in cerca del nostro Salvatore per vendicarne la memoria sugli
Israeliti […] ma qui tra noi vivono intanto quegli Ebrei che lo uccisero e lo crocifissero! Avanti,
facciamo prima vendetta su di loro, togliamoli di mezzo, facciamoli fuori, liberiamo la comunità dei
popoli…”. Sì, perché la parola d’ordine era “Uccidi un ebreo e salva la tua anima!”. Presto, e
sempre più spesso, si credette di poter salvare non soltanto la propria anima, ma pure la propria
pelle, di povera gente oberata di debiti. Ammazzando un ebreo, cioè, ci si liberava del rimborso del
capitale e degli interessi. […]. Successivamente la Chiesa liberò esplicitamente i crociati da ogni
pagamento d’interessi per denaro prestato […] ma tassando tanto più duramente gli ebrei. In tal
modo si finanziavano i “pellegrini armati”, in misura cospicua, con denaro ebraico [(4)] […]. In
questi massacri i magnati cristiani compivano gesta particolarmente gloriose. Infatti, non fu solo il
metropolita [Arcivescovo cristiano ortodosso]. di Magonza a farsi prima pagare e poi uccidere lo
stesso gli ebrei. […]. “non risparmiava né vecchi né giovani, non avendo pietà né per bambini né
lattanti né infermi, che calpestava il popolo di Dio come polvere, percuotendo i ragazzi con la
spada e squarciando le donne in gravidanza” [neppure i nazisti, nonostante tale esempio,
arrivarono a tanto!]. Nelle cronache ebraiche dell’epoca non c’è che pianto e lutto, “un’interrotta
litania funebre, composta dei più cupi suoni della disumanità e risonante ad un tempo del folle urlo
del fanatismo fideistico […]. La croce di Cristo […]”: “le donne cingevano di forza i loro fianchi
squartando i loro figli e le figlie ed, infine, se stesse; molti uomini si rifocillavano e macellavano le
loro donne, la loro prole; la madre tenera e docile smembrava il suo figlioletto prediletto; tutti
insorgevano, uomini e donne, scannandosi gli uni con gli altri. Le donne umili e pie si offrivano a
vicenda il collo per il sacrificio a vantaggio dell’unità del nome di Dio […] uno ammazzava, l’altro
veniva ammazzato, finché sangue si confondeva con sangue […] tutti venivano uccisi e smembrati a
causa dell’unità del grandissimo e terribile nome divino” [(5)]. Molti ebrei si davano la morte. Si
gettavano dal ponte, come tre ragazze a Colonia, nei flutti del Reno, avventandosi sulla spada, nel
fuoco, tagliandosi le vene dei polsi o strangolando i propri bambini, come a Magonza, dove Mar
Isac soffocò il figlio e la figlia a mezzanotte nella sinagoga [(6)]. Nessuno sa quante persone
caddero in quel tempo vittime dei cattolici portatori di salvezza [!!]. Ma ne potrebbe risultare un
numero di cinque cifre, quando non senz’altro la cifra di “50.000”. Solo a Magonza morirono più
di mille ebrei ed in quella carneficina “i dignitari ecclesiastici hanno avuto un ruolo certamente
vergognoso” [(7)]. […]. La prima Crociata si svolse in tre grandi ondate, la prima delle quali ― la
“crociata dei contadini”, ossia dei massacratori di ebrei ― era composta di quattro possenti
bande.…» (cfr. Deschner K.: Op. Cit., Reimbek bei Hamburg, 1999).
Il Papa Adriano IV (1154-1159) fece bruciare vivo Arnaldo da Brescia nel 1155 perché
aveva pubblicamente denunciato l’“immoralità della Chiesa”.
Il Papa Lucio III (1181-1185) nel 1184 col decreto “Ad abolendam” promulgò la
cosiddetta “Santa Inquisizione” ― istituzione giudiziaria escogitata allo scopo di scoraggiare, con
il terrore dell’impiego della tortura e della condanna al rogo, l’incipiente diffusione delle “eresie”
che ostacolavano l’affermarsi dell’“ortodossia cattolica” ― in nome della quale iniziò l’atroce
persecuzione dei catari e dei valdesi facendo molte migliaia di vittime innocenti.
Il Papa Innocenzo III (1198-1216) era talmente perverso tanto che, come riferisce Hauck
(1958), «…le falsità facevano parte dei suoi normali strumenti diplomatici […]; nella sua attività
politica non conosceva il dovere della verità […]; falsificava i fatti così come gli servivano e non
disdegnava neanche l’aperta menzogna…» (cfr. Hauck A.: «Krchengeschichte Deutschlnds»,
Neudruck, 1958). Si servì delle milizie di Simone de Monfort per fare distruggere intere città, fra le
quali Carcassonne, Lavaur, Tolosa e Beziers, solo perché i loro abitanti si erano rifiutati di
consegnare i valdesi (cioè, i seguaci del riformatore religioso Pietro Valdo): le milizie cattoliche
entrarono nelle predette città ed eseguirono carneficine di massa gridando “uccidiamoli tutti tanto
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Dio saprà poi riconoscere i suoi!”, eseguendo l’ordine impartito dal Papa Innocenzo III (11981216): “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi” […], «…“Dovete cercare di annientare la
miscredenza eretica in ogni modo e con tutti i mezzi che Dio vi rivelerà”. […]. I soldati […]
uccisero quasi tutti, dal più giovane al più vecchio, e poi appiccarono il fuoco nella città. […]. Ai
difensori della città, più di cento, cavarono gli occhi e tagliarono il naso. […]. I “Cavalieri di
Cristo” uccisero tutti, dai bambini piccoli fino ai vecchi malati…» (cfr. Gubin P., Maisonneuve H.:
«Histoire albigeoise, nouvelle traduction de l’ovrage de Pierre des Vaux de Carnay» Ed. Vrin,
Paris, 1951). Il Papa Innocenzo III (1198-1216) esortava così il suo esercito: “Avanti bellicosi
soldati di Cristo! Marciate contro i persecutori ed uccidete i servi dell’antico serpente! […] Fino
ad oggi avete combattuto per il mondo: combattete adesso per Dio!” (cfr. Werner E., Erbstöß M.:
«Ketzer und Heilige. Das religiöse Leben im Hochmittelalter», Berlin, 1986). «…All’inizio del
1211 […]. Si combattè a lungo presso Lavaur, con baliste, macchine d’assedio munite di crocifisso
[…] con innumerevoli trucchi e raffinatezze da parte dei cristiani che predicano l’amore per il
prossimo e per il proprio nemico. […], Lavaur, una delle città più forte del paese, stracolma di
profughi, proscritti, cavalieri, catari, viene presa e tutti coloro che vi si trovavano ― non importa di
quale fede, età o sesso ― vengono scannati alla presenza dei vescovi. Una bella vittoria in nome
del Signore e della santa Vergine. Aimery de Montréal […] viene impiccato; sua sorella Giraude, la
castellana incinta, “haeretica pessima”, viene gettata viva in un pozzo e […] ricoperta di pietre
affinché il suo pianto fosse soffocato. […]. Ottanta cavalieri, tutti “nemici della croce” […]
vengono trucidati […] e, con enorme gioia, i crociati bruciarono un gran numero di eretici. […].
Alcuni sene vanno in giro per le strade al so lo scopo di massacrare innocui innocenti strappando
loro gli occhi o tagliando loro a colpi di sciabola il naso o altre membra. Alti attaccano i pii
pellegrini, riducono degli innocenti a storpi […]. In un solo convento furono trovati centocinquanta
uomini e donne ai quali mancavano i pollici, le mani o i piedi o vi erano stati strappati gli occhi, i
seni o altre parti del corpo. Ogni giorno si inventavano “con grande zelo nuove torture non ancora
sperimentate”. Talvolta ― è orribile a dirsi ― strappavano violentemente gli arti dal corpo per
mezzo di corde a uomini appesi per i genitali…» (cfr. Deschner K.: «Kriminalgeschichte des
Christentums», Band 7, Reinbek bei Hamburg, 2002). Inoltre, il Papa Innocenzo III (11981216), nell’ultimo anno del suo pontificato, fece votare al Concilio Lateranense IV (1216) la legge
che obbligava gli ebrei a vestire di giallo affinché fossero sottoposti al “pubblico ludibrio”,
comportamento efficacemente imitato dai nazisti per facilitare lo sterminio degli ebrei!
Il Papa Gregorio IX (1227-1241), come documenta De Rosa, «…impugnò la torcia del
terrore con il massimo entusiasmo. […]. Il 27 luglio 1233 nominò i primi due inquisitori a tempo
pieno, Peter Seila e Wiliam Arnald, i primi di una lunga serie tranquilli e spensierati della specie
umana. […] nel 1239 inviò il domenicano Robert le Bourge nello Champagne per indagare su un
vescovo di nome Moranis che, secondo le accuse, permetteva agli eretici di vivere e moltiplicarsi
nella sua diocesi. In una settimana padre Robert aveva messo sotto processo l’intera città e il 29
maggio mandò al rogo 180 persone, vescovo compreso…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London,
1988)! Come documenta Deschner, «…I roghi continuano a fumare, e “una quantità innumerevole
di persone” periscono a Erfurt, Magonza, Colonia, Marpurgo, dove si incenerisce anche una
vecchia che non voleva “convertirsi”. […] molti eretici sono bruciati dal predicatore Corrado di
Marburgo. Soltanto il suo aiutante, il frate domenicano Corrado Dorso, ne ha bruciati circa mille. Il
frate Corrado Dorso ed il suo complice, guercio e mutilato, Giovanni, un vero aguzzino, si basavano
su una regola assai religiosa: meglio che muoiano cento innocenti, piuttosto che sfugga un
colpevole. “Nelle città e nei villaggi facevano arrestare chiunque volessero, e consegnavano ai
giudici queste persone senza ulteriori prove con le parole: questi sono eretici, noi ritraiamo la
nostra mano da loro”. Dopo di che i giudici dovevano bruciarli, volenti o nolenti, secondo gli
“Annales Colonienses maximi” lo stesso giorno della denuncia. […] una quantità innumerevole di
persone venne uccisa in virtù di inaudite violazioni del diritto, di false testimonianze, solo in base a
sospetti e senza ulteriori indagini; perfino coloro che dichiararono la propria fede, che “invocarono
Cristo e la sua divina madre” ancora tra le fiamme […]. Gregorio IX non concedeva appello agli
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“eretici”. Gli avvocati che li assistevano perdevano “per sempre la loro carica”, così egli ordinò.
Correvano anzi il rischio di essere bruciati essi stessi; […]. E nessuno osava intercedere per un
accusato o anche solo presentare attenuanti, perché in quel modo veniva considerato un difensore
degli eretici, e per questi e per chi li nascondeva il papa [Gregorio IX] aveva stabilito le stesse pene
che per gli eretici stessi. […]. “Bruciamo molti ricchi eretici, e voi avrete i loro beni, Nelle città
vescovili il vescovo ne riceverà una metà, e il re o un giudice l’altra. Di questo tali signori si
rallegravano, e favorivano gli inquisitori, li chiamavano nelle loro città e nei loro villaggi”. […]
Gregorio IX esortava l’arcivescovo di Magonza allo sterminio degli “eretici”, e cosi anche re
Errico, al quale raccomandò di imitare questo luminoso esempio di omicidio di massa tratto
dall’Antico Testamento: “Dov’è lo zelo di un Mosè, che in un sol giorno annientò ventimila
idolatri? Dov’è lo zelo di un Finees, che con un sol colpo trafisse l’israelita e la medianità? Dov’è
lo zelo di un Elia, che uccise con la spada i quattrocentocinquanta profeti di Baal […]”. […] Tutto
questo si deve a Gregorio IX: ha tentato di realizzare un’inquisizione tramite i suoi legati, ha
nominato inquisitori a Roma e a Firenze, ha rafforzato la legislazione esistente contro gli eretici nel
1231, esponendoli così alla pena di morte. Ha fondato infine un’inquisizione papale, accanto a
quella dei vescovi, affidandone l’attuazione ai domenicani, i quali agiscono in modo terribile
soprattutto in Italia settentrionale ed il Linguadoca. A Tolosa, nel 1232 furono bruciati ad opera del
domenicano Raimondo di Falguario diciannove albigesi, tra cui diverse donne. A Firenze
l’inquisitore domenicano Giovanni mandò sul rogo nel luglio 1233 sessanta rispettabili uomini e
donne. L’inquisitore Roberto ― nominato da Gregorio IX ― che ridusse in cenere molte persone
anche a Cambrai, Douai, Lille, fece bruciare soltanto il 29 maggio 1239 a Mont-Aime nella
Champagne centotrentatre “eretici”, “maximum olocausto et placabile Domino” (“massimo
olocausto e gradito al Padrone [Dio]”) […] I domenicani finirono per esercitare la loro crudele
opera omicida in tutta l’Europa. […]. Papa Gregorio IX nel 1234 canonizzo Domenico di Guzman,
un uomo il cui enmblema più frequente divenne un cane che stringe tra i denti una fiaccola accesa;
così come i domenicani vennero chiamati, a causa del loro sanguinario compito di redenzione,
“Domini cani”, i cani di Dio. […]. I Condannati si conducevano in processione, si pagavano alti
prezzi per i posti alle finestre e per ogni cattolico cristiano che portasse legna sul rogo era certa una
piena indulgenza […] e dopo che il grande inquisitore, in una piazza o in una casa di Dio, terminata
la messa solenne e la predica, aveva consegnato i condannati a morte al potere secolare, non senza
l’intimo desiderio di risparmiare a queste persone “la vita e le membra”, esse venivano condotte al
luogo dell’esecuzione; a causa della loro folle depravazione, esse portavano un berretto da buffone
ed un vestito fatto di sacco, di un giallo vivo e decorato con i più pazzeschi volti diabolici, affinché
anche il più stupido dei cattolici potesse vedere immediatamente quali figli del demonio fossero
quei malvagi; ed in uno slancio di autentico amore per il prossimo venivano maltrattati con dei
bastoni, pizzicati con tenaglie roventi e talvolta veniva loro staccata la mano destra. Per premuroso
rispetto nei confronti del popolo cristiano, agli “eretici” veniva messa in bocca ― per impedire
che gridassero ― una specie di morso, cosicché non si sentiva altro che il familiare crepitio delle
fiamme e la litania dei preti. E mentre le loro vittime, a seconda della direzione del vento,
soffocavano o bruciavano lentamente, la comunità riunita, nobiltà, popolo e clero, cantava “Gran
Dio, noi ti lodiamo”. […]. Accanto al tavolo di tortura era appeso il crocifisso, e durante il
supplizio si aspergevano più volte di acqua santa gli strumenti della salvezza. […]. Se un torturato
perdeva i sensi, gli si rovesciava addosso dell’acqua o lo si faceva rinvenire accendendo dello zolfo
sotto il suo naso, così da poter continuare a torturarlo. Era incerto anche il limite di età delle persone
da torturare. Verso l’alto esso era naturalmente aperto. Per i giovani, i concili di Tolosa, Béziers ed
Albi fissarono 14 anni per il sesso maschile, dodici per quello femminile. Ma ci furono anche
autorità ecclesiastiche che ridussero il termine fino a sette anni. Il “sacro arsenale” dell’inquisitore
Tommaso Meneghini autorizzava anche la flagellazione dei bambini piccoli. […]. Nel 1229
Gregorio IX con la bolla “Excomunicamus”, stabilì che tutti coloro i quali dopo l’arresto si
convertivano alla “vera fede” per paura della morte “fossero incarcerati a vita e scontassero in
questo modo la loro giusta punizione”. […]. Papa Gregorio IX lodava addirittura il fatto che che gli
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uomini tradiscono le loro donne, le donne i loro uomini, i genitori iloro figli, i figli i loro genitori,
ed ordina che nessuno esiti a sacrificare la propria famiglia: “…uxor propriis liberis, aut marito, vel
consortibus ejusdem criminis, in hac parte sibi aliquatenus non percebant…”. Un sistema
diabolico, che fondava la sua certezza sul fatto di rendere sicuro, minacciare, rovinare tutto il
mondo, di trascinare nella sua barbara giustizia vendicativa perfino e specialmente le famiglie,
anche la più intima vita privata, anche i discendenti. Così nei confronti dei genitori eretici erano
eliminati tutti i doveri filiali, questi dovevano essere considerati, “come estranei e stranieri” e
consegnati all’inquisizione; solo in questo caso il diritto ereditario continuava ad esistere.
Diversamente, anche i figli rimasti cattolici perdevano i loro averi, venivano privati di tutto il loro
patrimonio. La chiesa non lasciava loro neanche la legittima, lasciava loro solo la nuda vita […]
“solo per misericordia”. Tutto il resto lo perdevano senza alcuna misericordia…» (cfr. Deschner
K.: Op. Cit., Reinbek bei Hamburg, 2002).
Il Papa Innocenzo IV (1243-1254), oltre ad autorizzare la “Santa Inquisizione” mediante la
Bolla “Ad Extirpandam” a dover usare la tortura, emanò severissime leggi inquisitorie che
stabilivano la confisca dei beni e la condanna a morte per i praticanti altre religioni se si rifiutassero
di abiurare a favore del Cattolicesimo. Tali leggi, tra l’altro, sollecitavano il comportamento
infamante affinché i figli denunciassero i propri genitori non cattolici pur di salvare le proprietà di
cui potevano divenire eredi! Tra i condannati a morte da questa legislazione si ricorda la figura di
Paolo Bivacchino Rusconi che fu torturato e bruciato vivo per non avere abiurato. Innocenzo IV
(1243-1254) nel 1252, si rivolse ad una povera donna incinta, accusata di stregoneria, con le
seguenti espressioni: «…Ti torturerò […] per sei mesi o per un anno intero fino a quando non
confesserai e, se non confessi ti torturerò a morte e poi ti brucerò…» (le grida e le contrazioni
dolorose delle torturate erano ritenute uno spettacolo eroticamente eccitante che attirava molti
estimatori specialmente nell’ambito del clero!)
Il Papa Bonifacio VIII (1294-1303), miscredente (8), ambizioso, egoista, crudele e di turpi
costumi, fece catturare ed assassinare il Papa Celestino V (1294) suo predecessore e, nel 1300,
escogitò la più grande truffa di ogni tempo –– poi sempre più incentivata da tutti i papi successivi –
– denominata “Giubileo” (9) (o “Anno Santo”!), durante il quale dal papa è concessa
l’“indulgenza plenaria” a tutti quelli che si recheranno in pellegrinaggio a Roma (sede del vertice
della gerarchia ecclesiastica), ove naturalmente apporteranno il vantaggio derivante dal
consequenziale incremento economico, per pregare nelle quattro maggiori basiliche della cristianità
secondo le intenzioni papali! All’“indulgenza” ― consistente nel divino benevolo pieno condono,
post mortem (!!), della pena da dover infliggere per tutti i peccati commessi in vita ― alla cui
effettività nessun Papa ha mai creduto, tanto che il pontefice Benedetto XIV (1740-1758), noto per
la caratteristica di avere come interiezione preferita la parola “cazzo”, avrebbe avuto la
spudoratezza di dire: “La voglio santificare questa parola, accordando l’indulgenza plenaria dei
peccati a chi la pronuncia dieci volte al giorno!” (cfr. Alessandra D.: «Dizionario dei Papi»,
Milano, 1995).
Il Papa Clemente V (1305-1314) fece ridurre a brandelli e bruciare al rogo Frate Dolcino,
perché questi lo aveva accusato d’immoralità, facendo, in seguito condannare al rogo oltre mille
seguaci dello stesso Frate Dolcino. Inoltre, ordinò la soppressione dei Templari con stragi e d atroci
torture di massa : Molay, Gran Maestro dei Templari, fu fatto bruciare vivo dopo alcuni anni di
atroci quotidiane torture! Tale papa, inoltre, distribuì quasi tutte le enormi ricchezze della Chiesa ai
suoi parenti (10)!
Il Papa Giovanni XXII (1316-1334) fece di tutto per riarricchire la Chiesa depauperata dal
suo predecessore «…così vendette tutto quello che un francese fantasioso come lui poteva
immaginare. Il perdono per qualsiasi crimine aveva un suo prezzo; ad esempio, i cattolici potevano
pagare un tanto per l’assoluzione dall’omicidio ed un tanto per l’assoluzione dall’incesto e dalla
sodomia. Peggio si comportavano i Cattolici, più sua Santità si arricchiva. Quando fu resa pubblica
senza autorizzazione una lista di peccati e delle relative tangenti, si pensò ad un falso escogitato dai
nemici della Chiesa, ma i nemici erano il papa e la Curia, che con l’alchimia più bizzarra
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trasformavano i vizi in oro. Davano ai peccatori il diritto di peccare e di evitare le conseguenze dei
loro misfatti. Giovanni XXII aveva bisogno di denaro. Nutriva una passione per la guerra e,
specialmente per le guerre italiane. Si calcola che avesse speso in armi il 70% dei suoi redditi, […].
Particolarmente dispendiose si rivelarono le guerre feudali di Giovanni XXII con i Visconti di
Milano. disse di lui un contemporaneo: “Il sangue che sparse avrebbe tinto di rosso le acque del
Lago di Costanza e con i corpi dei caduti si sarebbe potuto costruire un ponte da una riva
all’altra”. Questo avidissimo papa, che manteneva il fratello ed i nipoti nel lusso, contraddisse
parecchi dei suoi predecessori sull’argomento della povertà di Cristo. […]. Giovanni XXII aveva un
figlio, che se la cavava molto bene come cardinale, ma non aveva mai commesso il peccato di
sposarsi. […]. Giovanni XXII [dopo morto] fu proclamato eretico, proprio lui che era stato il
flagello degli eretici. Aveva, infatti, consegnato all’Inquisizione affinché fossero messi al rogo un
gran numero di pii Francescani (ammontavano a 114) il cui unico crimine era quello di sostenere
che Gesù ed i suoi discepoli erano vissuti in estrema povertà. […]. Alla sua morte le casse papali,
vuote quando era salito al trono, traboccavano. I banchieri fiorentini chiamati a stimare il tesoro
rimasero stupefatti: non avevano mai visto niente di simile. Contarono 25 milioni di fiorini d’oro [il
cui valore dell’epoca corrisponde a quello di circa 500 milioni di euro attuali (anno 2005)] ed una
somma equivalente in gemme ed oggetti preziosi. La vera eresia di Giovanni XXII, vicario di Cristo
e successore di San Pietro, fu quella di avere messo al rogo il più povero dei poveri di Cristo e di
essere morto come l’uomo più ricco del mondo…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988).
Il Papa Benedetto XII (1334-1342) nel 1336 lasciò che un orda di cristiani inferociti,
capeggiati da Arnoldo di Ussigheim, uccidessero a pugnalate complessivamente millecinquecento
ebrei, nel 1337 lasciò che a Deggensdorf fossero assaliti tutti gli ebrei, depredati, fatti a pezzi e
bruciati (cfr. Browe P.: «Judembekämpfung im Nittelalter», Zeitschrift für Katholische Teologie, 2,
3, 1938) e che, nello stesso anno, fossero arsi vivi numerosi francescani (tra i quali si ricordano
Donna Oliva da Parma, Antonio Bevilacqua, Bartolomeo Greco, Lorenzo Gherardi, Bartolomeo da
Bucciano e Francesco da Pistoia) per il semplice fatto che andavano predicando la povertà!
Il Papa Clemente VI (1342-1352), mentre se la spassava “nudo con le sue numerose
amanti” nella sua alcova addobbata di ermellino (cfr. Cawthorne N.: «Das Sexleben Päpste, die
Skandalchronik des Vatikan», Augstburg,1999), fece ingiustamente inquisire migliaia di vittime
innocenti: tra le quali si ricordano Francesco Stabili (soprannominato Cecco d’Ascoli) che fu fatto
bruciare vivo per aver detto a riguardo delle “tentazioni di Gesù” che, contrariamente a quanto
asserito nei Vangeli, era impossibile vedere dall’alto di una montagna tutta la terra; il medico Pietro
d’Albano che fu fatto bruciare vivo con l’accusa di “stregoneria”; il benefattore Domenico Savi
che fu condannato al rogo per “avere eretto un ospedale senza la benedizione della Chiesa”!
Il Papa Innocenzo VI (1352-1362) nell’anno 1359 ordinò all’inquisitore francescano della
Provenza di dissotterrare e giudicare a posteriori gli ebrei “cristiani rinnegati” deceduti, che da vivi
sarebbero dovuti essere imputati di “eresia” e condannati ad essere bruciati vivi sul rogo, onde
condannarli ad avere bruciati i loro corpi esamini (cfr. Deschner K.: « Kriminalgeschichete des
Christentums», Siebter Band: 13 und 14 Jahrhundert, Reinbek Hamburg, 2002).
Il Papa Urbano V (1362-1370) «…silurò senza scrupoli non solo i curiali a lui antipatici,
ma gli piacque dare alle fiamme anche “eretici” […]. Per quanto riguarda gli “eretici”, questo papa
[…] fece appello a vescovi e ad inquisitori di tutta la Francia, senza trascurare di comunicare “dove
si possono trovare”, cosicché molti sospetti di eresia furono bruciati. Il “nobile Urbano” […]
mandò a Napoli un “inquisitore speciale” allo scopo di snidare e liquidare i Fraticelli. A Viterbo, in
seguito ad una sua campagna di agitazione, furono gettati sul rogo nove “settari”. In Germania
papa Urbano fece di quattro domenicani i suoi “diavoli infiammati”, ammonendo vescovi e
cittadini affinché “sostenessero attivamente l’inquisizione”…» (cfr. Deschner K.:
«Kriminalgeschichete des Christentums», Achter Band: 15 und 16 Jahrhundert, Reinbek Hamburg,
2004).
Sotto il pontificato di Papa Gregorio XI (1370-1378) le piazze di molte città (Ferrara,
Firenze, Pisa, Roma, Venezia, ecc.) furono teatro di continui spettacolari roghi con i quali si
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facevano continue stragi d’infedeli al cattolicesimo. Fra le vittime si ricorda un umile calzolaio,
Agostino Beltramo, che il 5 giugno 1372 fu atrocemente torturato e bruciato vivo per “avere
bestemmiato durante una partita a carte”; un certo Menelao Santori fu arso vivo il 10 ottobre 1387
perché conviveva con due donne; un certo Lorenzo da Bologna fu costretto a confessare sotto
tortura di aver rubato un ciborio e reso moribondo dalle atroci torture fu condotto al rogo a colpi di
frusta l’1 novembre 1388 (altro che via crucis del Cristo escogitata, e continuamente recitata, per la
propaganda della fede!).
Il Papa Urbano VI (1378-1389) il 22 maggio 1383 fece strangolare la Regina Giovanna di
Napoli per il semplice motivo che si era dichiarata a favore dell’antipapa Clemente VII (13781394), a sua volta famigerato sanguinario, da non confondersi con il futuro Papa Clemente VII
(1523-1534).
Il Papa Bonifacio IX (1389-1404) fu straordinariamente avido e senza scrupoli, tanto da
affermare che “un piccolo pesce in pugno era meglio di una balena in mare” e da essere
esclusivamente impegnato nell’arricchimento proprio e dei suoi familiari (cfr. Kühner H.: «Das
imperium der Päpste. Kirchengeschhte», Hamburg, 1977) e ad accumulare denaro per le sue guerre.
Allo scopo sfruttò senza scrupoli ogni possibile fonte di guadagno (decime, raccolte caritatevoli,
imposte, ecc.), facendosi persino pagare ogni petizione ed ogni incarico che elargiva in base
all’entità delle offerte in moneta contante. Disgregò lo Stato della Chiesa smembrandolo in
dipartimenti, dati in appalto ad acquirenti facoltosi, insignendoli come suoi “Vicari”, i quali
dovevano prestargli giuramento di fedeltà ed erano obbligati a versargli cospicui interessi. Nei
riguardi di questo Papa Deschner (2004) riferisce quanto segue: «…Non meno scandaloso fu il
traffico che Bonifacio IX operò con le indulgenze, semplicemente spudorato. […]. Da molte regioni
i suoi agenti estorsero oltre 100.000 fiorini d’oro. Infatti, concesse l’agevolazione di un anno
giubilare non solo ben oltre Roma, ma la rese possibile anche ad altri paesi non meno che a diocesi,
corporazioni, singoli cristiani, in cambio di un rimborso delle spese di viaggio a Roma in cambio
[…] di un importo che il pellegrino doveva elargire alle basiliche romane. Bonifacio IX icassava la
metà di quei denari, l’altra metà andava nelle casse della rispettiva chiesa prescelta […]. In più,
Bonifacio IX mise in vendita persino luoghi strategicamente importanti per lo stato della chiesa.
[…]. Col patrimonio della chiesa Bonifacio IX si barcamenava alla grande; esso era necessario per
finanziare le sue guerre e questo caso era in pratica sempre ricorrente. […]. La guerra imperversò
anche nello stato della chiesa, gravemente sconvolto, dove operavano i due fratelli del papa, mentre
Bonifacio, sempre intento a procacciarsi denaro per potersi più intensamente riarmare, metteva sotto
sequestro gli introiti ecclesiali in patria e all’estero, dappertutto coniava denaro, contraeva prestiti
con importanti banche; si servì perfino di sequestro di ostaggi oppure del generale obbligo di
rinnovo per tutte le grazie papali in caso di incombenti perdite in vista di scadenze annuali. Con
mezzi e risorse sempre nuove il papa cercò di aumentare il rilancio militare […]. Bonifacio IX fece
tagliar la testa a 31 dei suoi prigionieri […]. Ancora sul letto di morte lo tormentò l’inestinguibile
“sete dell’oro”…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004).
Il Papa Innocenzo VII (1404-1406) per sedare una sommossa popolare, scatenatasi durante
il suo breve pontificato, chiamò in aiuto il nipote Ludovico Migliorati che, in difesa dello zio, non
esitò ad assassinare nell’Ospedale Santo Spirito “undici ambasciatori romani, tra cui due
governatori della repubblica e parecchi capitani di regione, che fece buttare tutti in strada da
un’alta finestra” ed in compenso lo zio Papa Innocenzo VII lo nominò “margravio di Ancona” e
“conte di Fermo”. Il Papa Innocenzo VII morì avvelenato dal vescovo di Fermo per incarico del
cardinale Baldassarre Cossa (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004), che divenne Papa
col nome di Giovanni XXIII (1410-1415) da non confondersi con l’omonimo Papa Giovanni XXIII
(1958-1963).
Il Papa Gregorio XII (1406-1415) fu talmente spietato tanto che fra i numerosi condannati
durante il suo pontificato si ricorda un certo Andreani che nel 1413 fu fatto torturare e bruciare vivo
insieme alla moglie ed alla figlia perché aveva osato deridere i “Padri Conciliari” e tutti i cardinali
del Concilio assistettero all’esecuzione per il semplice piacere di vedere morire con la sua famiglia
12
colui che essi avevano condannato “per solo sentimento di vendetta”. Inoltre, si ricordano anche M.
Jan Hus (11) e Gerolamo da Praga, macellati e bruciati vivi per aver detto che “la morale del
vangelo proibisce ai religiosi di possedere beni materiali”.
Il Papa Giovanni XXIII (1410-1415), al secolo Baldassarre Cossa, appena chiamato in
curia, «…si arricchi con affari usurai. Nel 1402 il Papa Bonifacio IX lo nominò cardinale legato a
Bologna, dove divenne famigerato sia per la brutale bramosia di possesso sia per l’inaudita lussuria,
tanto da accoppiarsi non solo con la moglie di suo fratello, ma altresì con vedove, fanciulle e spose
a turno, alcune delle quali venivano poi uccise dai rispettivi mariti o parenti, senza che la cosa
facesse grande impressione al cardinale. Nonostante fosse sospettato di essere l’assassino di due
papi, il cardinale Baldassarre Cossa […] fu unanimemente eletto papa dal conclave riunito a
Bologna nel 1410. […]. Egli non trascurò di “manipolare i suoi colleghi con tutti i mezzi che gli
offriva la sua posizione. Non mancavano nel sacro collegio, elementi avidi e disposi alla
corruzione. E così scorsero fiumi di denaro e compensi di ogni genere e senza misura, per
comprare i voti degli elettori!”. […]. S’imputavano a papa Giovanni XXIII: avanzamenti di carriera
acquistati a suon di denari, un malgoverno senza precedenti, dilapidazione dei beni ecclesiastici,
perversioni sessuali di ogni specie e quantità. La lista comprendeva 72 punti dei crimini da lui
commessi e anzi, in origine, ve n’ erano elencati molti di più; tuttavia poi molto venne ignorato,
come si disse allora, “per salvare l’onore della sede apostolica”. […]. Giovanni XXIII era
diventato cardinale e papa in seguito a corruzione, si era arricchito in modo colossale con la vendita
di beni ecclesiastici, mediante simonia e manipolazione di indulgenze. […]. Secondo le
testimonianze, Giovanni XXIII aveva avvelenato il suo predecessore e quello di quest’ultimo.
Aveva inoltre commesso adulterio con la moglie del proprio fratello, aveva avuto come concubina
la sorella del cardinale di Napoli, indulgendo sovente anche all’omosessualità, compensando col
dono di un’abbazia uno dei suoi beniamini, ecc. […]. Egli avrebbe “sedotto nel primo anno del suo
pontificato circa duecento donne sposate, vedove, fanciulle e moltissime monache”. […]. Gli
vennero contestati 54 capi d’accusa, lasciandone tuttavia cadere ― per risparmiare le orecchie, pur
abbondantemente insensibili dei padri conciliari ― molti altri che riguardavano la sua condotta di
vita, in quanto troppo sudici. Secondo quanto fu detto: “Multi articoli, quia nimis sordidi erant,
omissi”. Papa Giovanni XXIII […] venne unanimemente espulso dalla carica a causa di “indegnità
di vita, notoria simonia, incorreggibilità, pessima amministrazione della Chiesa, promozione dello
scisma e molti scandali arrecati alla Chiesa”…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg,
2004).
Il Papa Martino V (1417-1431) ha proclamato quattro sanguinarie crociate contro gli
Hussiti, non tanto per estirpare l’“eresia” quanto ai fini di saccheggio. Egli non si stancò di
rinfocolare la guerra, per cui impose tasse esorbitanti (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg,
2004).
Il Papa Eugenio IV (1431-1447) fu altrettanto spietato: infatti, durante il suo pontificato vi
furono ignominiose atrocità come la condanna al rogo della giovanissima Giovanna d’Arco che,
ingiustamente accusata di stregoneria, fu arsa viva nel 1431; nello stesso periodo furono fatti
bruciare vivi due miseri popolani (Merenda e Matteo) semplicemente per fare un favore ai Colonna
ed ai Savelli dei quali i poveretti avevano parlato male! Ma, immensamente riprovevole fu la strage
fatta eseguire nei confronti dei seguaci di M. Jan Hus i quali furono obbligati ad entrare in un fienile
al quale fu dato fuoco dopo averne chiuso le entrate. Il fatto fu descritto dalla cronaca cattolica
come segue: «…Appena entrati, si chiusero le porte e si appiccò il fuoco; e in tal modo quella
feccia, quel rifiuto della razza umana, dopo aver commesso tanti delitti [!!], pagò finalmente tra le
fiamme la pena del suo disprezzo per la religione…» (cfr. Marchetti M.: «La santa inquisizione»,
Ragusa, 1999).
Il Papa Callisto III (1455-1458) fu guerrafondaio ― a riguardo si ricordano le crociate
contro i Turchi ― e nepotista, tanto da elevare alla carica cardinalizia due nipoti appena ventenni
(cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004).
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Il Papa Pio II (1458-1464) dopo aver trascorso una giovinezza spensierata, allietata
dall’amore per una certa Angela, cantata nei suoi versi col nome di Cinthia, divenne segretario del
vescovo di Capranica e, poi, del Cardinale Albergati che gli affidò una missione in Scozia, dove
intraprese piccanti avventure femminili, tanto da ingravidare due diverse ragazze, accollando poi il
mantenimento dei due figli, avuti da loro, “cinicamente al padre” (cfr. Falconi C.: «Storia dei Papi
e del Papato», Milano, 1966-1972 e «I Papi sul divano», Milano, 1975). Quindi, divenne segretario
dell’antipapa Felice V (1439-1449) alla cui difesa scrisse il “Libellus dialogorum de generalis
concilii authoritate” e, per opportunismo, decise di prendere gli «..Ordini sacri e nello spazio di un
anno fu suddiacono, prete e, nell’aprile del 1447, vescovo di Trieste. […]. Poi con entusiasmo nel
1450 accolse la nomina a vescovo di Siena […] finché nel 1456 ottenne da Callisto III (1455-1458)
la porpora cardinalizia, come premio dell’attività svolta in favore della crociata contro i Turchi. La
sua elezione al pontificato il 19 agosto 1458 fu senz’atro frutto di una serie di circostanze che lo
fecero apparire agli occhi del collegio cardinalizio lo specchio dei tempi nuovi, perché non veniva
da chiostro né da una precisa vocazione ecclesiastica. Aveva alle spalle una vita dal “colorito
profano”. […]. Si delinea con Pio II la figura del papa-re: […] veniva condannato ogni appello ai
concili contro le decisioni pontificie; mentre per la lotta ai feudatari riottosi si passa all’azione
militare, come quella condotta nel 1461 contro i Savelli nella Campagna romana a forza di
bombardate all’uso ancora efficace della scomunica e dell’interdetto in una forma che tende sempre
più a identificare il nemico politico con il nemico della fede, come appunto si verifico con i
Malatesta, definiti “perfidi ribelli di Dio e della fede apostolica”. […]. Riprese allora l’idea della
crociata e Pio II entrò nella risoluzione di mettersi personalmente a capo della spedizione; la
predicò con tutti i mezzi a disposizione e si prestò, in un misto di ipocrisia e fanatismo religioso, ad
eccitare i partecipanti alla crociata con l’esposizione in giro per Roma di quella preziosa reliquia
che l’ultimo dei Paleologhi aveva portato dall’oriente nel 1462: la testa dell’apostolo Andrea.
Veniva proprio da Patrasso, il luogo presunto del suo martirio. Fu un affluire in massa di pellegrini
a Roma per la venerazione di quella reliquia, con un susseguirsi di tridui e novene per la spedizione;
guarda caso, il grido di guerra di Goffredo di Buglione nella prima crociata era stato “Sant’Andrea
da Patrasso!”. Alle preghiere fece seguito il 22 ottobre 1463 la pubblicazione della Bolla che
prolungava la guerra santa: un riscatto dell’Oriente dagli infedeli in nome di Cristo agli occhi di Pio
II poteva anche contemplare il sacrificio della propria vita in un martirio, fonte di gloria
imperitura…» (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983).
Il Papa Paolo II (1464-1471) «…era uomo vanaglorioso, assetato di pompe, come dimostra
la sua residenza principale, il “Palazzo Venezia”, per la cui costruzione saccheggiò antichi
monumenti, addirittura anche il Colosseo […]. Nominò cardinali tre suoi parenti: Marco Barbo,
Battista Zeno e Giovanni Micheli fatti, successivamente, avvelenare in Castel Sant’Angelo. Paolo II
mantenne assoggettate le masse popolari ― espediente politico utilizzato anche oggi ― con giochi
e manifestazioni sportive, curando anche oltre misura i giochi carnevaleschi, noti come “Ludi
Romani”, divenuti “celebrità mondiali” grazie all’opera sua. Al centro di quelle feste collocò la
rituale derisione degli ebrei, al cui finanziamento i bersagli della derisione erano per giunta costretti
a contribuire. Ed è significativo che non solo introducesse una nuova tassa, la cosiddetta
“quindemia”, ma decretasse anche nel 1570 che il lucrativo “Anno Santo” fosse celebrato ogni 25
anni. […]. Il valore della sua corona scintillante di pietre preziose si stimava in 200.000 fiorini
d’oro [corrispondenti al potere d’acquisto di circa 4.000.000 di euro attuali (anno 2007)] […]. Lo
storiografo Bartolomeo Platina […] aveva minacciato il papa Paolo II […] al che Paolo II […] lo
fece gettare e torturare per quattro mesi (secondo altri fonti per un anno) in Castel S. Angelo. Paolo
II, nonostante fosse padre di una figlia, si recava spesso nella prigione dello stato […] perché,
conosciuto come omosessuale, si compiaceva di vedere i maschi nudi sotto tortura…» (cfr.
Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il papa Paolo II (1464-1471) morì
improvvisamente il 26 luglio 1471 per «…infarto cardiaco, mentre intratteneva un rapporto anale
con uno dei suoi ragazzi prediletti…» (cfr. Cawthoorne N.: «Das Sexleben der Päpste,die
Skandalchronik des Vatikans», Augsburg, 1999).
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Il Papa Sisto IV (1471-1484) nominò Inquisitore di “Santa Inquisizione” il crudelissimo
frate domenicano Tommaso Torquemada per poi approfittarne obbligandolo a versargli il 50% delle
enormi ricchezze da lui accumulate con i beni confiscati ai condannati (ebrei ed accusati di eresie e
di stregoneria) e con i beni abbandonati dalla popolazione che, atterriti dalla triste fama del
Torquemada, al suo arrivo fuggiva in massa lasciando tutto nelle sue mani. Torquemada, con la
tacita protezione del pontefice, riuscì ad allontanare dalla sola Spagna 800.000 ebrei, confiscando
loro tutti i beni, sotto pena di morte qualora fossero restati o ritornati. Inoltre, sotto il pontificato del
Papa Sisto IV (1471-1484) furono bruciati vivi 10.200 ebrei e di 6.860 furono riesumati i cadaveri
per essere bruciati in quanto condannati post-mortem alla confisca dei beni, altri 97.000 ebrei
furono condannati alla prigione perpetua dopo aver avuti confiscato le proprietà. Sisto IV, infatti,
promosse presso i sovrani di Spagna, tramite una Bolla speciale emanata nel primo novembre 1478,
la più terribile “inquisizione”, autorizzandoli ad arrestare tutti gli “eretici”, specialmente se
convertiti (“neo-cristiani”) che, dopo essere stati costretti all’abiura, erano accusati di falsità e
condannati alla confisca dei beni, in favore del papa e della corona di Spagna, e quindi
all’esecuzione. In base alla predetta Bolla si procedeva con esecuzioni massicce delle vittime che
«…o le si bruciava vive ― con la più perfetta “tecnica letale”― oppure, dopo averle prima
strangolate, venivano “garrottate”. Era un metodo mutuato tra l’altro dai briganti di strada i quali
stordivano prima il rapinando con un cappio lanciato intorno al collo, fino allo svenimento; allo
stesso modo i garrottieri dell’inquisizione uccidevano gli “eretici” che dovevano essere depredati, e
questo era pure considerato un segno di speciale misericordia, una dimostrazione di grazia dei boia
religiosi. Anche dopo che la peste si era portato via molti carcerati, si usava disseppellire i loro
cadaveri e ricomporne i rimasugli per incassare dai parenti la loro eredità. Imperversava il sistema
spionistico, il costume delatorio, incoraggiato dalla chiesa come cosa gradita a Dio nelle prediche e
nella confessione. Avanza così inarrestabile verso il suo culmine il parto più raccapricciante ed
infame dello spirito umano, autorizzato dal papato, controllato dalla monarchia, più atroce e più
radicale che in qualsiasi altro luogo: uno strumento quasi perfetto di uccisione di massa, un terrore
sistematicamente escogitato che ― divenuto esemplare per analoghe istituzioni del mondo ― si
protrarrà per oltre tre secoli, fino al 1834…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004).
In Spagna i roghi furono organizzati come veri e propri spettacoli per il popolo ed a Toledo, sempre
sotto Sisto IV, sono stati bruciati sul rogo 2.400 “marrani” (“maiali”), nome con cui erano
denominati gli ebrei convertiti al cattolicesimo. Contemporaneamente, in tutte le piazze di Roma,
spettacolari roghi bruciavano i non cattolici i cui patrimoni erano requisiti dalla “Confraternita di
San Giovanni Decollato” per conto del Papa Sisto IV (1471-1485) che non badava a spenderli per
suoi sollazzi, tanto che donava vasi da notte d’oro alle dame che s’intrattenevano con lui, dedito
all’incesto ebbe un figlio (Pietro Riario) da sua sorella e che, ancora giovanissimo, fu da lui
nominato Vescovo di Treviso, Arcivescovo di Firenze, Arcivescovo di Valenza, Cardinale di
Siviglia e Patriarca di Costantinopoli, ma che, purtroppo, finì per morire presto a causa delle troppe
dissolutezze (cfr. Griesinger Th.: «The Mysteries of the Vatican», London, 1964)! Il Papa Sisto IV
(1471-1484) era noto anche per essere bisessuale e pedofilo, come ha ben documentato il cronista
Stefano Infessura (1440-1500) attestando quanto segue: «…Costui, com’è tramandato dal popolo, e
i fatti dimostrano, fu amante dei ragazzi e sodomita […], a loro non solo donò un reddito di molte
migliaia di ducati, ma osò addirittura elargire il cardinalato e importanti vescovati. […]. E che dire
del figlio del barbiere? Codesto, fanciullo di nemmeno dodici anni, stava di continuo con lui, e lo
dotò di tali e tante ricchezze, buone rendite e di un importante vescovato; si dice che voleva elevarlo
al cardinalato, contro ogni giustizia, anche se era bambino…» (cfr. Infessura S.: «Diario della città
di Roma» [stilato in latino nel 1484], Tip. Forzani, Roma, 1890). Inoltre, tale papa permise la
pratica della “sodomia” nei mesi più caldi (cfr. De Clemanges N.: «Opera omnia», Elzevirius &
Laurentius , Lugduni Batavorum, 1539)! Sisto IV (1471-1485) ha dotato Roma di molte “Case di
tolleranza” per entrambi i sessi «…che affittava ai cardinali, mentre egli incassava annualmente
80.000 ducati dalle sue meretrici, tenendo conto che una romana su sette era una prostituta […]. Fu
il primo papa a far coniare il proprio profilo sulle monete. Speculò con titoli finanziari, fece salire il
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fiscalismo aumentando le cariche vendibili a quota 625, a più del doppio. Mise in vendita notariati,
protonotariati, posti di procuratore nella tesoreria, smerciò interi collegi nuovi, tra cui spuntarono
titoli inauditi, per esempio un collegio di cento giannizzeri da nominare in cambio di 100.800
ducati. Aumentò le tasse per i sacerdoti che si mantenevano delle amanti, accrebbe la tassazione
sulle prebende, le donazioni allo stato della chiesa (69 per cento delle entrate globali).Le sue
imposte i decima […] suscitarono proteste […]. Inventò anche nuove fonti d’introito consentendo,
per esempio, agli uomini facoltosi di “consolare certe matrone in assenza dei loro mariti”. Fece
affari con le indulgenze, permise perfino la loro erogazione a favore dei defunti […] ed indisse un
anno giubilare supplementare per il 1475. Come tanti suoi predecessori, anche Sisto IV si era
procacciato la massima carica della cristianità con ogni sorta di pratiche simoniache. Aveva corrotto
con generose regalie […] la maggioranza dei cardinali, nonché mediante mirabolanti promesse […].
Investì ingenti capitali per il riarmo della sua flotta (144.000 ducati d’oro, solo negli anni 1471-72,
secondo i libri contabili) e inviò, nella primavera del 1472, i suoi più autorevoli cardinali in Spagna,
Francia, Germania, Polonia, per fornire ai principi motivazioni a favore della guerra contro i Turchi.
[…]. Nel 1476 concesse al re francese l’introduzione di una indulgenza “giubilare” alle seguenti
condizioni: la metà dei denari raccolti doveva andare a sostegno della difesa dell’isola di Rodi,
l’altra metà alle finanze pontificie. […]. Una serie intera di suoi nipoti, in totale sei, furono fatti
cardinali da Sisto IV: tre della Rovere, Giuliano, futuro papa Giulio II che ricevette oltre a
numerose abbazie anche sei vescovadi, Cristoforo, sistematico cacciatore di prebende, e Girolamo
della Rovere, nonché Pietro e Raffaele Riario, il primo nominato cardinale a 25 anni, il secondo già
a 17; tenendo conto che “nipoti”, in quei tempi, erano spesse volte “bastardi”, ossia figli naturali
dei loro santi padri.[…]. Ma anche i “nipoti” diventarono allo stesso modo “strumenti dei suoi
turpi piaceri”. Più di tutti Pietro Riario godette il favore incondizionato del pontefice. […]. Pur
essendo ancora un povero frate francescano, questo Pietro incassava ora un’entrata annuale di oltre
60.000 ducati d’oro. Il lusso di cui si circondava Pietro diventò strabiliante. […]. Nei suoi suntuosi
banchetti pubblici si esibivano attori, artisti, poeti; vi servivano domestici avvolti in raffinate sete
artistiche e si succedevano le portate, annunciate da trombe e flauti. Cinghiali con pelliccia erano
serviti arrostiti, daini interi, perfino un orso, pavoni con le penne, cicogne, gru, pesci ricoperti di
argento, confetti in forme e colori diversi, mentre la sua favorita era ricoperta di perle “dalla testa i
piedi”. Il cardinale Pietro partiva dalla curia con cento cavalli di razza, percorreva le regioni d’Italia
nel suo ruolo di legato con incredibile pompa, innumerevoli deleghe e pieni poteri, divinizzato dal
popolo, corteggiato dai porporati. […]. Finché, dopo pazzesche stravaganze e dilapidazioni, morì il
5 gennaio 1474, appena ventottenne, aveva scialacquato 300.000 ducati d’oro, aveva lasciato dietro
di sé montagne di debiti e aveva copulato letteralmente a morte, eppure ricevette anche uno dei più
bei sarcofaghi di tutti i tempi, opera di Mino da Fiesole. Quindi, Sisto IV indirizzò le sue speciali
premure a favore di Girolamo Riario, fratello di Pietro […] che divenne sposo della celebre
Caterina Sforza, figlia illegittima del duca Galeazzo Maria, ritenuto assassino di sua madre, il quale,
appena trentatreenne, cadde nel natale 1476, nella chiesa milanese di Santo Stefano, sotto i pugnali
di giovani aristocratici : tutti quanti cristiani, lo si rammenti solo per inciso. Lo zio Sisto IV (in
realtà suo padre naturale) comprò per 400.000 ducati la contea di Imola a favore di Girolamo
Riario. Inoltre, lo investì della contea di Forlì (dove dei tirannicidi lo pugnalarono nel 1488) e gli
procacciò altre città quali Faenza, Ravenna, Rimini, insomma tutta la Romagna: insomma un papale
regno nepotista, operazione in cui Sisto IV “impiegò senza ritegno armi militari e spirituali”,
superando oltre ogni misura “tutti i confini del nepotismo mai visti fino a quell’epoca”. […].
Durante quasi tutto il suo pontificato Sisto IV si occupò soprattutto […] di assistenza e protezione
della propria famiglia. A tale scopo condusse guerre, tramò intrighi, inganni e cospirazioni; per tale
motivo si produssero gravi destabilizzazioni politiche, ribellioni e campagne militari. E tutto ciò con
la copertura di dichiarazioni metapolitiche, col pretesto di decantati obiettivi superiori, sotto il
manto del suo ufficio sacerdotale e della religione. […]. Giunse così a suscitare la congiura dei
Pazzi che […] non poteva accadere senza l’annientamento fisico dei capi dei Medici di cui i veri e
propri mandanti fuono manifestamente il papa Sisto IV e Girolamo Riario. I quali volevano
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espandersi instaurando a Firenze una signoria e comunque includere la città nella loro sfera di
potere, sotto l’egemonia dei Pazzi [facoltosa famiglia di banchieri romani]. Tra loro e i congiurati
fungeva da anello di congiunzione il giovane arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, respinto dai
Medici, al quale era stato promesso l’arcivescovado di Firenze. Lorenzo e Giuliano dei Medici,
dopo diverse modifiche del piano, dovevano essere pugnalati domenica 26 aprile 1478, durante una
funzione solenne nel duomo di Firenze. Ma il capitano papalino Giambattista da Montesecco,
prezzolato fin da principio, intendeva sbrigare la faccenda in modo meno solenne, solo all’esterno
della chiesa, in luogo non consacrato; per questo fu sostituito e al suo posto furono messi due
congiurati meno sensibili e meglio avvezzi a trattare col sacro […]. Proprio durante la
consacrazione, davanti all’ostia sollevata, Giuliano Medici fu sgozzato sull’altare maggiore con 19
colpi di coltello, mentre il personaggio principale, Lorenzo il Mgnifico, se la cavò con lievi ferite
grazie ad una corazza indossata sotto il vestito […]. E poiché i fiorentini si predisposero alla
vendetta contro i rivoltosi, presto gli esponenti della famiglia Pazzi, l’arcivescovo Salviati di Pisa ed
altri penzolarono dalle finestre del Palazzo della Signoria fino a che la folla fece a pezzi i cadaveri
buttati sulla strada. […]. Ma Sisto IV scagliò anatemi in tutte le direzione[…] impose l’interdetto
sulla città, sequestrò tutti i beni fiorentini, sobillò gli Svizzeri perché intervenissero in Italia […] e
condusse lui stesso, con l’appoggio di Napoli, una guerra devastante contro Firenze […]. Il perfido
gioco del papa Sisto IV precipita la maggior parte dell’Italia nelle fiamme della guerra. […].
Davanti ad Ostia, intanto, erano attraccate navi da guerra napoletane; venti triremi presidiavano e
turbavano la costa, mentre nello stato della chiesa operava il duca Alfonso di Calabria […] che
premeva sulla città appiccando incendi quasi ogni giorno fino alle porte di Roma. […] Il papa Sisto
IV benedicendo da una finestra del Vaticano la sua carne da cannone, fece filare davanti a sé
cavalieri, archibugieri, artiglieria e più di 9.000 fanti. Pochi giorni dopo, al comando di Roberto
Malatesta, si conseguì la vittoria con la battaglia di Campo Morto a sudest di Roma, nelle paludi
Pontine infestate dalla malaria. Sui due fronti combatterono gli Orsini, i Colonna, i Savelli, e
perirono miseramente più di mille persone. Papa Sisto IV accolse giubilante la lieta novella. […].
Fece suonare a festa le campane di tutte le chiese e partecipò di persona ad una solenne cerimonia di
ringraziamento in Santa Maria del Popolo. Solo tre settimane dopo la sua vittoria, Roberto
Malatesta cadde vittima della febbre malarica […] e subito dopo il santo padre Sisto IV mandò
Girolamo a Rimini per strappare l’eredità alla vedova del Malatesta e al figlio Pandolfo, allora
ancora bambino. […]. Ma le ostilità non ebbero tregua. In Roma, dove Sisto IV ed il conte Riario,
flagello della città, stavano con gli Orsini contro i Colonna, si depredarono chiese e case, si
demolirono palazzi, si costruirono trincee, si espugnarono barricate e ovunque si appiccarono
incendi. Si ebbero imprigionamenti, espulsioni, uccisioni e decapitazioni: insigni teste caddero. Una
volta in uno scontro di sole due ore, dalla parte dei Colonna caddero circa quaranta uomini, dalla
parte avversa tredici. La guerra dilagò per tutto il Lazio, dove il papa Sisto IV voleva annientare e
sterminare i Colonna per investire dei loro beni e delle loro ricchezze l’idolatrato nipote [in realtà
figlio], il quale a sua volta estorceva denaro dalle chiese di Roma, mentre il padre Sisto IV riarmava
le sue truppe con l’artiglieria, benediceva i cannoni e tendeva le mani al cielo, senza tuttavia riuscire
ad imporsi. […]. Ancora nel 1484, nell’anno della sua morte, papa Sisto IV trasmise un encomio del
cardinale Borgia per il Grande Inquisitore di Spagna, integrandolo da parte sua: “Abbiamo appreso
con grande gioia di questa lode e siamo entusiasti che Voi, ricco di conoscenze e rivestito di potere,
dedichiate tutti i Vostri sforzi a tali oggetti che sublimano il nome del Signore [cioè Dio] e sono
utili alla vera fede. Invochiamo su di Voi la benedizione del Signore [cioè Dio] e vi incoraggiamo,
diletto figlio, a continuare con la precedente energia, servendo instancabilmente alla sicurezza e al
consolidamento dei fondamenti della religione; in questa missione potrete sempre contare sulla
nostra speciale benevolenza”. Sulla benevolenza non poté più contare, in quell’anno, il suo intimo
compagno di studi ―il domenicano Andrea Zimometic ― un distinto figlio dei Balcani, elevato
da papa Sisto IV nel 1476 ad arcivescovo titolare di Granea (presso Salonicco). Infatti, quando il
prelato, ambasciatore imperiale a Roma, cominciò a criticare aspramente le condizioni esistenti alla
corte papale, Sisto IV lo fece gettare nel Castello sant’Angelo. E quando egli, liberato grazie
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all’intervento imperiale, si apprestò a reclamare la riforma della chiesa e della curia, ridando vita al
Concilio generale di Basilea (con citazione del papa), l’arcivescovo Zamometic finì di nuovo in
carcere […] dove fu trovato due anni dopo (1484) strangolato nella sua cella…» (cfr. Deschner K.:
Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004).
Il Papa Innocenzo VIII (1485-1492) oltre ad essere un corrotto simoniaco, è stato un
incallito libertino, tanto da aver dovuto mantenere ben sette figli riconosciuti, oltre ad essere anche
provetto “sodomita” e, come tale, favoriti dal predecessore Sisto IV (1471-1484). Progettò una
crociata contro i turchi, ma preferì patteggiare con il Sultano ed accettare da lui una pensione di
40.000 ducati, festeggiando l’avvenimento «…con uno dei più mondani carnevali che Roma
ricordi…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995). Per bisogno di denaro «…s’impegnò la tiara
e parte del tesoro vaticano presso una banca romana […]. Poi per ricavare altro denaro creò nuovi
posti nella segreteria papale, anche se non ce n’era proprio bisogno, mettendoli in vendita; a parte
l’abuso di potere, questo portò ad affidare gran parte degli uffici dell’amministrazione curiale a
persone incapaci che cercavano a loro volta soltanto il proprio vantaggio per un’avidità di denaro
che diventò regola quotidiana nella Santa Sede. Tutti gli impiegati erano corrotti e il caso più
lampante si ebbe con l’istituzione del collegio dei Plumbatores delle Bolle pontificie, nel numero di
52; accadde che molti di loro s’industrializzarono in proprio e da autentici falsari misero su
un’officina che emetteva bolle falsificate, in un lucroso commercio assai attivo finché non furono
scoperti nel 1489 e finirono sul patibolo…» (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983). La più
famigerata Bolla di questo papa fu la “Sunnis desiderantes” con la quale dichiarava «…essere cosa
accertata che molti individui d’entrambi i sessi, nelle città e nelle campagne, abbandonata la
religione cattolica, avevano contatto carnale con i demoni sotto spoglie umane maschili e femminili
e, con l’ausilio di questi loro alleati infernali, compivano le maggiori nefandezze ed arrecavano i
peggiori guai….». In virtù di questa bolla, come ricorda Rau (1911), «…Innocenzo VIII conferì a 3
monaci la facoltà di scacciare dalla Germania i demoni della stregoneria. Ebbero allora inizio, sulla
base di indicazioni superficiali, di denuncie basate su nulla di concreto, persecuzioni terribili che
erano condotte con voluttà fanatica di far scempio, di uccidere. E pur questi fanatici non furono
soddisfatti. Occorreva un codice formale che servisse nei processi alle streghe e portasse cioè
un’esatta e completa descrizione delle loro abominevoli azioni. Si venne così a foggiarsi la
Stregoneria come un sistema vero e proprio di criminalità diabolica…» (cfr. Rau H.: «Sexuelle
Grausamkeiten. Ein Studienbuch für Wissenschaftler», Frankfurt am Main, 1911). Innnocenzo VIII
«…rinunciò alla sua favorita, consolandosi con diverse concubine, tanto da far dire ogni volta: “Sua
Santità si alza dal letto delle meretrici per aprire e chiudere le porte del purgatorio e del cielo”. E,
poiché il frutto non cade lontano dall’albero, alla stessa guisa se la spassò il figlio Franceschetto,
che abitava in Vaticano col padre. Nelle sue scorrerie notturne, penetrando nelle abitazioni, si dice
che stuprasse ogni donna che suscitava le sue voglie, senza biasimo da parte del santo padre.
Quando non era in giro per irruzioni ed imprese amorose, Franceschetto trascorreva spesso le serate
nelle bische della città; avendo perso una volta, in una sola notte, 14.000 ducati giocando col
cardinale Riario, accusò il cardinale di frode ed il papa Innocenzo VIII costrinse Riario a rimborsare
la somma. Innocenzo VIII era dedito al denaro non meno che alla felicità dei suoi figlioli. Fu,
pertanto, l’artefice dello sposalizio di Franceschetto con Maddalena Medici, figlia di Lorenzo il
magnifico, senza esitare , per contraccambio, ad elevare al cardinalato Giovanni Medici, il
tredicenne figlio di Lorenzo e futuro papa Leone X (che Sisto IV aveva già nominto Protonotaro
apostolico all’età di sette anni!). Nel contempo divenne cardinale anche il figlio illeggittimo del
fratello del papa Innocenzo VIII. Come predecessore nella carica, il quale gli aveva lasciato gravi
debiti, anche Innocenzo VIII ebbe necessità urgente di risanare le finanze, tanto più che anche la
corte era tanto fastosa quanto immorale. Dovette essere ipotecato perfino il tesoro della corona,
impiegando anche mitra e tiara. Alcuni suoi funzionari si videro perfino costretti a tenersi a galla
con un’officina di falsari e con traffici di bolle false. Qindi, si vendettero indulgenze in quantità
massicce, anche per sanare i peggiori crimini, creando una quantità enorme di uffici superflui ed
aggiudicandoli ai migliori offerenti. Solo l’introduzione di 24 nuovi posti di segretariato papale
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fruttò all’erario una somma di 63.000 ducati. E da ogni reato si poteva uscire impuniti se si era in
grado di soddisfare adeguatamente la cancelleria papale. Di delitti, però, ce n’erano in continuità;
solo nel breve periodo compreso tra l’inizio della malattia di Innocenzo VIII e l’elezione del suo
successore si contarono 220 delitti capitali. […]. Innocenzo VIII, dopo un’agonia di cinque giorni,
moriva, non senza aver prima profondamente inciso, e per sempre, il proprio nome nella storia della
salvezza con il suo celebre scritto “Summis desiderantibus affectibus”, più nota come “Bolla delle
streghe”, con la quale si colloca adesso al centro dell’attenzione il fenomeno dello spiritismo e della
stregoneria cristiana…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004).
Il Papa Alessandro VI (1492-1503), Rodrigo Borgia ― figlio illegittimo del Callisto III
(1455-1458) avuto da sua sorella nel 1431, allorchè non era ancora stato eletto papa ― il quale,
oltre ad essere stato il famigerato organizzatore delle più aberranti orge e ad essere stato incestuoso
con la propria figlia (Lucrezia), «…all’età di dodici anni, nel 1443, aveva ucciso con molte
pugnalate un giovinetto suo coetaneo soltanto perché, essendo di condizione sociale inferiore alla
propria, gli si era rivolto in maniera poco garbata […]. Egli era un maestro nel confezionare filtri
velenosi e con l’assistenza del figlio [Cesare] aveva potuto perfezionare a dismisura questa sua arte
[…]. Non soltanto dalla morte di questo o di quel cardinale il pontefice traeva denaro, ma anche
dalla loro elevazione alla porpora poiché, alla consegna del cappello rosso, il prescelto doveva
pagare una forte somma di denaro…» (cfr. Spinosa A.: «La saga dei Borgia. Delitti e santità»,
Milano, 1999). Alessandro VI da cardinale «…era considerato il porporato più ricco in un’epoca in
cui i cardinali erano tutti annoverati tra gli uomini più ricchi d’Europa. Il suo incommensurabile
patrimonio lo impiegò per comprarsi il papato con mille imbrogli. […]. Egli fu tra i primi a
profondere a pieni mani benefici, immobili, cariche. Promise ville, città, castelli, diocesi, abbazie,
solo l’abbazia di Subiaco con tutti i suoi tesori, compreso l’ufficio di vicecancelliere e naturalmente
somme incalcolabili. Allo stesso ricchissimo Ascanio Sforza, figlio del duca di Milano Francesco,
fece recapitare, prima del conclave, quattro muli carichi di denari. In tal modo il Borgia ottenne, già
alla prima votazione, il voto di Ascanio e questi, al quale egli per sua stessa dichiarazione era
soprattutto debitore della tiara, ottenne a sua volta il castello di Nepi, la diocesi di Erlau, l’ufficio di
vicecancelliere, un priorato, un’abbazia, ecc.. Di 25 cardinali solo 5 si dimostrarono incorruttibili.
Era pervenuto così alla suprema carica un uomo […] che, a motivo della sua vita scostumata, la
chiesa antica non avrebbe ammesso neppure ai livelli più bassi del clero.. giacché le intemperanze
sessuali del Borgia erano conosciute dappertutto. […]. Un ruolo speciale tra le molte donne che il
Borgia rese più o meno felici, che egli attirò a sé “più fortemente di quanto il magnete attiri il
ferro”, fu l’avvenente romana Vanozza dei Catanei. Allorché egli conobbe nel 1461 la diciottenne
fanciulla durante il concilio di Mantova, pare che avesse dormito già con la mamma e forse anche
con la sorella di lei. In ogni modo Vanezza, dalla quale tra il 1475 e il 1481, cioè da cardinale, il
Borgia ebbe quattro bambini amati fino all’idolatria e che accudì principescamente, divenne la sua
amante per molto tempo, per oltre due decenni; il che non escluse naturalmente innumerevoli altri
rapporti sessuali. […]. Alessandro VI fece cardinali non meno di cinque Borgia […] [tra cui] suo
figlio Cesare, nato nel 1475 e destinato alla carriera religiosa […], ma prima di nominarlo cardinale,
all’età di 18 anni, lo fece passare come figlio legittimo di un altro grazie al giuramento di falsi
testimoni prezzolati. […]. Cesare, dopo aver fatto fuori suo fratello perché gli era di ostacolo col
papa, divenne anche l’assassino di suo cognato Alfonso duca di Risceglie, il terzo marito di
Lucrezia, da lei molto amato. Siccome questi non era morto ammazzato nell’attentato a lui destinato
in piazza san Pietro, il boia privato di Cesare, Micheletto Coreglia, lo soffocò nel letto dove giaceva
ferito, amorevolmente assistito ― e anche alimentato per paura del veleno ― dalla moglie e dalla
sorella, la principessa di Squillace. Sotto spergiuro, nel giugno 1502, Cesare Borgia fece liquidare,
nel carcere di Castel sant’Angelo, anche il sedicenne Astorre Manfredi, signore di Faenza assai
amato dal popolo, insieme a suo fratello. Il 18 gennaio 1503 fece soffocare Paolo Orsini e il 9
giugno in Trastevere il segretario pontificio Troche […]. Lo strumento letale preferito dai Borgia
(come più generalmente dai preti) fu in realtà il veleno. Col quale essi eliminarono principalmente
prelati, vescovi, cardinali, avvelenando però anche un generale papalino, un ambasciatore francese,
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diversi membri delle famiglie Orsini e Gaetani, nonché altri personaggi importanti o comunque
facoltosi. In certe occasioni, Cesare Borgia prendeva meticolose informazioni dal suo maestro
artigiano Lorenz Beheim, futuro canonico a Bamberga, circa la preparazione dei veleni che
vengono mescolati a pozioni di cibi e vivande che, a seconda dei desideri, fanno effetto solo in un
mese, in quattro sei mesi. Furono allora avvelenati, evidentemente in accordo col pontefice
(ammesso che non fosse lui in prima persona, come corse voce, l’autore dell’avvelenamento), il
cardinale Orsini, che aveva contribuito in maniera determinante all’elezione di Alessandro. Pure
con la sua approvazione fu avvelenato anche il nipote Paolo II, il cardinale Michiel, sulle cui
ricchezze Cesare aveva messo gli occhi. E fu nell’estate 1503 che egli avvelenò anche il cardinale
di Monreale Juan Borgia. […]. Cesare Borgia è stato perfino capace di pugnalare il segretario
particolare del papa, il beniamino di Alessandro VI, accoltellandolo sotto il mantello, tanto che il
sangue schizzò in faccia al santo padre. […]. Lucrezia era servita come piccola marionetta dalla
politica dei Borgia, nelle nozze destinate a promuoverla e determinate solo dal principio di
opportunità. Dopo due fidanzamenti subito sciolti, il padre, dopo la sua elezione a papa, fece
sposare la figlia quattordicenne, il cui valore crebbe “a cifre astronomiche” (Chamberlin E.R.:
«Unhelige Päpste»,1982), con Giovanni Sforza e nel 1498, mutata la sua politica, annullò questo
matrimonio a favore del diciassettenne principe Alfonso di Bisceglie. Dopo l’assassinio del quale
Lucrezia si unì nel 1501 in terze nozze con Alfonzo d’Este, duca di Ferrara (solo per gli addobbi
della cerimonia si versarono circa 20.000 ducati ed i cappelli di lei costarono 10.000 ducati
cadauno). Anche per Lucrezia, ovviamente, ciò significava tutto. Il santo padre, che le affidava
spesso durante la sua assenza perfino il governo in vaticano e il disbrigo degli affari di Stato
(sebbene ella non fosse oltremodo intelligente, qualità d’altronde superflua), la teneva chiusa
profondamente nel suo cuore di padre […]. Cesare Borgia, allora ventitreenne, più ebro di potere
che accecato dalla lussuria, seducente non meno della sorella, malizioso ed intraprendente al tempo
stesso, uomo coraggioso quanto subdolo e crudele, in breve tanto astuto quanto privo di scrupoli,
aveva fatto bene i suoi calcoli. […]. Alessandro VI esultò per la caduta di Milano nel settembre
1499, e vide ora raggiunto il grande momento a favore del figlio prediletto: la sottomissione di
Milano allo stato della chiesa. Quindi, destituì i principi della Romagna col pretesto dei pagamenti
insoluti, li dichiarò privati dei loro feudi e annientò per prima cosa i Gaetani, di cui nell’estate del
1500 fece avvelenare in Castel san’Angelo il capostipite Giacomo, attirato a Roma con un’astuzia.
Intanto i sicari di Cesare sopprimevano presso Sermoneta Bernardino Gaetani. A questo punto,
finalmente, Alessandro VI incamerava tutti i beni del casato […]. Intanto, aveva preso avvio, nel
novembre 1499, la spedizione bellica di Cesare Borgia in Romagna, preparata con truppe
mercenarie, con alcune migliaia di svizzeri e col sostegno di 45.000 ducati prestati da Milano alla
Camera Apostolica. Nella campagna cadde Imola e Forlì, mentre il papa entusiasta piangeva e
rideva nello stesso tempo. In san Pietro, durante i fastosi festeggiamenti di carnevale, papa
Alessandro VI nominò Gonfaloniere della chiesa il fratricida, che poco tempo prima aveva
avvelenato anche il cardinale Juan Borgia, il cugino a lui inviso, e lo faceva così il successore della
sua vittima, il duca di Guandia, e lo insigniva della rosa d’oro. L’anno santo 1500 […] radunò nel
giorno di pasqua sul piazzale di san Pietro 200.000 devoti in ginocchio davanti ad Alessandro VI
benedicente, riempì le casse pontificie non meno della decima in arrivo, destinata alla programmata
guerra contro i Turchi, e fruttò più di 100.000 ducati, che una schiera di cardinali di fresca nomina
consegnò a Cesare Borgia affinché, come egli confessò a muso duro, potesse condurre la sua
prossima guerra Nell’autunno del 1500 il Borgia diede avvio alla seconda guerra in Romagna con
un’armata di 10.000 uomini […] ed in un baleno conquistò Pesaro, Rimini e Faenza; ed Alessandro
VI, versando nuovamente lacrime di gioia, nominò il figlio prediletto duca di Romagna, la
maggiore provincia dello stato ecclesiastico che, a poco a poco secolarizzatosi, essendo pieno di
Spagnoli, senza opposizione da parte del collegio dei cardinali, sarebbe dovuta passare nelle mani
dei Borgia e diventare il loro principato ereditario come, alla fin fine, sarebbe divenuta tutta l’Italia
centrale. […]. Alessandro IV nell’estate 1501 mise al bando i Colonna e i Savelli e s’impossessò dei
loro possedimenti, nonché di tutti i territori del Gaetani, dei baroni di Pojano, di Magenza e di altri
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casati, facendone due ducati: un ducato di Sermoneta per Rodrigo, il figlioletto di 2 anni di Lucrezia
e di Alfonso; ed un ducato di Nepi per il suo personale rampollo di 3 anni Juan Borgia, generato da
lui con Giulia Farnese, e che egli, nella Bolla del 2 settembre 1501, fece passare come figlio
naturale di Cesare e che solo in una seconda Bolla dello stesso giorno legittimò come figlio proprio
[…]. Giulia Farnese, all’età di 15 anni, aveva preso per amante l’allora cinquantottenne cardinale.
In quanto “concubina papae”, Giulia (detta la Bella) veniva chiamata in tutta Italia, anzi oltre i suoi
confini, anche “sposa di Cristo” e “meretrice del papa”. Alessandro IV la fece eternare in un
ritratto di Madonna, le fece fare parecchi bambini ed innalzò al cardinalato il suo diciannovenne
fratello Alessandro Farnese: ciò che fruttò al giovane il nomignolo di “cardinale sottoveste” e di
“cardinale in gonnella”. E sarebbe diventato il futuro papa Paolo III (1534-1549). Ai Borgia
apparteneva ormai quasi tutto l’intero stato della chiesa. Nell’estate 1502, dopo avere febbrilmente
provveduto al riarmo ed avere comprato anche l’artiglieria napoletana, Cesare Borgia proseguì la
sua razzia in Romagna. In modi notoriamente perfidi, insidiosi, si annetté Urbino asportandone
tesori per il valore di 150.000 ducati. Altrettanto perfidamente conquistò Camerino, elargendone la
proprietà al giovane Juan Borgia, nominò se stesso “per grazia di Dio duca di Romagna, di Valenza
e di Urbino, principe di Andria, signore di Piombino, gonfaloniere e capitano generale di Santa
Romana Chiesa”. […]. Guerra e cultura, tutto costava denaro, ed i Borgia sapevano procurarne..
Avvelenarono allora il ricco cardinale Giambattista Ferrari, che in prima persona, nella sua funzione
di provveditore della curia al conferimento di dispense e benefici, aveva fino allora tesaurizzato per
sua santità il dio mammona, dominante su tutto, senza con ciò dimenticare evidentemente se
medesimo. “il papa sa sempre far girare ogni cosa in modo tale da ingrassare per bene i suoi
cardinali prima di avvelenarli, affinché i loro beni finiscano esattamente nei suoi forzieri”. Cesare
Borgia fece sgozzare Vitellozzo Vitelli ed Oliverotto da Fermo, seduti schiena contro schiena. […].
A Roma, intanto, papa Alessandro VI tramava per la caduta degli Orsini, dei quali aveva pure
goduto i servizi. Attirò in Vaticano il cardinale Orsini, lo fece arrestare e gettare in Castel
sant’Angelo dove,spogliato del suo palazzo e di tutti i suoi tesori, mori il 22 febbaio avvelenato dai
Borgia. Ciò avvenne solo poche settimane prima che, nello stesso posto, anche il cardinale
Giovanni Michiel, il facoltosissimo nipote di Paolo II, soccombesse alla famigerata “polvere
bianca” dei Borgia (composta da cantarella, un preparato all’arsenico): dopodichè furono confiscati
anche i suoi beni del valore di 150.000 ducati. Ad entrambi i cardinali al momento della sua
elezione, il papa Alessandro VI aveva fatto grandi promesse e, sicuramente, la loro ricchezza crebbe
ulteriormente sotto i Borgia, tanto più che costoro solevano prima ingrassare le loro vittime
designate: “essi infarcivano i più potenti tra i cardinali con prebende sempre più pingui, per cui ne
rivavavano somme colossali di denari per poi farli fuori con una certa polvere bianca”.[…].
Quando i capi degli Orsini, coalizzati coi Savelli, con alcuni Colonna e col resto dei baroni si
sollevarono giurando vendetta, il papa Alessandro VI raccomandò per l’occasione perfino l’impiego
dell’artiglieria. Istituì altresì ottanta nuovi uffici di curia, ognuno dei quali fu messo in vendita per
760 ducati, e nominò ulteriori cardinali dotati di forti disponibilità di capitali. Dopo aver messo
fuori gioco la maggior parte degli oppositori, Alessandro VI progettò di nominare Cesare re della
Romagna e delle Marche. […]. Alessandro VI morì nel mese di agosto 1503 per un attacco di
malarie e, ancora in punto di morte si giacque tra due meretrici che avrebbero dovuto lenire i freddi
brividi della febbre mentre si ordinava ad una donna, murata viva nel corridoio del Vaticano, di
pregare per lui [!!]…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Inoltre, tra i numerosi
personaggi condannati al rogo sotto il pontificato del Papa Alessandro VI (1492-1503) si ricordano
Girolamo Savonarola, bruciato vivo, insieme ai suoi discepoli Domenico da Pescia e Silvestro da
Firenze, il 23 maggio 1948 in Piazza Signoria a Firenze; tre ebrei anonimi che furono fatti bruciare
vivi il 13 gennaio 1498 in Campo dei Fiori a Roma; Marcello da Fiorentino che fu fatto bruciare
vivo in Piazza San Pietro il 29 luglio 1498; ecc. Ma, la più riprovevole azione criminale contro
l’umanità commessa dal Papa Alessandro VI (1492-1503) è stata quella perpetrata a danno degli
innocenti indigeni del “Nuovo Mondo”. Appena un anno dopo lo sbarco degli spagnoli (1492) nel
“Nuovo Mondo”, il predetto Papa ― col pretesto che “Dio”, “tramite il figlio Gesù”, ha trasmesso
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il suo potere divino a San Pietro e, tramite costui, ai papi suoi successori ― nel 1493 ebbe
l’arroganza di emanare una “Bolla” con la quale delegava la “divina autorità papale” sugli abitanti
del “Nuovo Mondo”, appena scoperto, ai monarchi spagnoli suoi vassalli che, così, acquisirono
“per volontà divina” (sic!) la sovranità su quelle terre e su i suoi abitanti! In base a tale “Bolla”
papale, qualora gli indigeni del nuovo continente ne avessero accettato il contenuto, sarebbero
diventati semplicemente “schiavi degli spagnoli” ed, in caso contrario, sarebbero stati costretti a
subire le terribili conseguenze previste nel documento ― che i “conquistadores” spagnoli
dovevano leggere agli indigeni prima di decidere se doverli attaccare ― come segue: «…con
l’aiuto di Dio, entreremo con la forza nel vostro paese e combatteremo contro di voi con tutti i
mezzi e tutti i modi possibili e vi sottometteremo al giogo e all’obbedienza della Chiesa e delle Loro
Altezze; prenderemo voi, le vostre mogli ed i vostri bambini e vi faremo schiavi secondo l’ordine;
porteremo via i vostri beni e vi faremo ogni male o danno possibile trattandovi come schiavi
disobbedienti che rifiutano di ricevere il loro signore, resistono al suo volere e lo contrariano…»
(cfr. Tzvetan T.: «The Conquest of America», New York, 1984). Tale minacciosa intimazione
veniva letta agli indigeni «…dopo averli incatenati, senza che essi comprendessero la lingua e
senza interpreti…» (cfr. Lewis H.: «The Spanish Struggle for Justice in the Conquest of America»,
Filadelfia, 1949). Dal diario del cattolicissimo Cristoforo Colombo, riguardo agli indigeni del
“Nuovo Mondo”, si legge quanto segue: «…Non portano armi e non le conoscono, poiché ho
mostrato loro una spada e l’hanno presa dalla parte della lama tagliandosi […]. Sono le persone
migliori del mondo e le più miti di tutte, senza la più minima coscienza di ciò che è male, e non
uccidono né rubano […], amano i loro vicini come loro stessi […] e sono sempre allegri, sarebbero
proprio dei servi ideali, con soli cinquanta uomini potremo sottometterli tutti e far fare a loro
quello che vogliamo…» [questa era, in pratica, la moralità dei cristiani-cattolici i quali hanno fatto
conoscere, a quella popolazione indigena innocente, l’odio e la violenza!] (12).
Il Papa Pio III (1503-1503), nipote di Pio II (1458-1464) che lo aveva nominato cardinale
nel 1463 all’età di appena vent’anni, durante il suo cardinalato era divenuto padre di ben dodici figli
(cfr. Gregorovius F.A.: Op. cit., Beidreisburg, 1857)! Eletto papa il 22 settembre 1503 nonostante
fosse notevolmente malato, l’unica azione riprovevole che riusci a commettere prima di morire ―
assassinato con un veleno propinatogli da Pandolfo Petrucci che da lui era stato redarguito in quanto
ritenuto usurpatore e tiranno della città di Siena (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983) il 18 ottobre
1503, appena 28 giorni dopo la sua elezione! ― fu l’emissione del divieto di procedere contro le
nefandezze di Cesare Borgia, condannando qualsiasi azione fosse intrapresa contro di lui!
Il Papa Giulio II (1503-1513), al pari del suo famigerato zio Sisto IV conferì la porpora
cardinalizia a numerosi suoi consanguinei, tra cui «…al figlio maggiore di sua sorella Lucchina,
Galeotto della Rovere, suo speciale beniamino, al quale conferì in più l’importante lucroso ufficio
di vicecancelliere, oltre d un’infinità di benefici. Diventò cardinale anche Clemente Grosso della
Rovere. E quando già nel 1508 Galeotto morì, Giulio II nominò cardinale un altro nipote, Sisto
Gara della Rovere, nominandolo pure vicecancelliere e ricoprendolo di tutti i benefici appartenuti al
defunto. […]. Inoltre, da tempo papa Giulio II aveva elevato a prefetto urbano di Roma un altro
parente, Franceso aria Rovere, in ragazzo tredicenne, preoccupandosi inoltre che questi diventasse
nel 1508 duca di Urbino; con questo titolo costui, nipote del papa Giulio II, pugnalerà nel 1511 a
Roma un cardinale sulla pubblica via! Una scena degna dei Borgia. Ma Giulio II lo assolverà e gli
regalerà per di più, sul letto di morte, la città di Pesaro […].Anche per altri aspetti molti episodi
rivelano il costume dei Borgia. In certe occasioni Giulio II si inebriava del lusso; ad esempio, per
una manciata di pietre preziose sborsò 12.000 ducati, come per un diamante da far scintillare fra
tanti altri preziosi sul suo piviale, o per le sue, del valore di 300.000 ducati. […]. Giulio II istituì un
bordello alla condizione che un quarto dei beni delle dame che vi lavoravano andasse a beneficio,
dopo la loro morte, delle monache di Santa Maria Maddalena. Giulio II ebbe anche tre figlie e si
prese pure la sifilide; nei suoi riguardi, i contemporanei parlavano di pederastia, anzi di un “grande
sodomita”. […]. La sua vita era stata viziosa quanto “quella di quasi tutti i prelati del suo tempo”
[…]. Naturalmente Giulio II era anche cacciatore, essendo tale attività intrecciata con quella bellica,
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nonostante che ai religiosi fosse da sempre proibita sia la guerra sia la caccia. Maneggiava con
passione un bastone, con cui percosse anche Michelangelo, da lui ingaggiato a servizio […];
mentre, minacciò Ludovico Ariosto […] di farlo annegare come un cane nel Tevere: insomma “un
papa malvagio e dedito al bere” […]. Nella sua qualità di comandante supremo, Giulio II
controllava le truppe tenendo la spada in pugno, fasciato nella corazza […]. E quasi ogni anno del
suo pontificato fece una guerra, volendo con le sue battaglie “superare il tuono”. Conquistò alla
santa sede una trentina di capisaldi e fondò una potenza “come mai un papa aveva posseduto” […].
I Papi in origine presero nelle loro grinfie rapaci questo Stato ― che lacerò l’Italia in tre parti per
oltre un millennio e creò conflitti senza fine ― unicamente con la guerra e con l’inganno, con la
sedicente “Donazione di Costantino”, a cui anche Giulio II si appellava e che, pertanto, la
riconquista si basava solo su un diritto fittizio, non essendo che la prosecuzione di un antico torto.
Per tacere completamente il fatto che Giulio II ampliò anche lo stato della chiesa annettendovi città
che non vi appartenevano in nessun modo come Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Accanto a
Gesù, il predicatore dell’amore del prossimo e del nemico, all’annunciatore della rinunzia al
contrattacco, alla rappresaglia, all’affermazione di sé, come si giustifica e si pone invece uno che
incita la sua soldatesche al saccheggio, al furto, alla violenza assassina, uno che marcia in testa ad
essa con tanto di elmo, di corazza e di spada? E che per giunta si spaccia come discepolo di Gesù e
come suo luogotenente? Non è assolutamente raccapricciante e grottesco?! […]. Macché servo di
Dio: il diavolo! Il diavolo in persona! […]. Per quanto vantaggiose fossero al clero, alla gerarchia
ed al papato in particolare, le azioni militari del “papa terribile”, altrettanto devastante fu la
continuità dello stato della chiesa per il popolo italiano e per il resto del mondo: una fonte perenne
zampillante di tirannia spirituale, di sfruttamento sociale, di guerre sanguinose. […]. Tutto il suo
pontificato fu dominato dalla guerra. Certo, sono innumerevoli i papi che capeggiarono azioni
belliche, ma solo pochi vi combatterono in prima persona e solo pochi così interrottamente e con
tanto accanimento […] ed il 3 maggio 1512, protetto dai soldati tutt’intorno a lui, affrontò con
successo un’assemblea di cardinali ribelli che progettavano la sua deposizione…» (cfr. Deschner
K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Giulio II (1503-1513) fu accanito fautore della
condanna a morte e, durante il suo pontificato, tra le numerose condanne capitali si ricordano quella
di quattro donne, accusate di stregoneria, fatte bruciare vive a Cavalese nel 1505 ed a Logrono
sempre nel 1505 e per lo stesso motivo furono fatte bruciare vive ben 30 persone; nel 1506 Diego
Portoghese fu fatto impiccare perché accusato di “eresia”; nel 1507 per lo stesso motivo fu fatto
impiccare Agostino Grimaldi; nel 1513 per lo stesso motivo furono fatti impiccare i fratelli Orazio e
Giacomo di Rifreddo e nello stesso anno furono fatti massacrare dalle guardie svizzere 15 cittadini
romani anche loro perché accusati di “eresia”; ecc.
Il Papa Leone X (1513-1521) ― che dal padre Lorenzo il Magnifico all’età di appena 8
anni era stato fatto nominare abate di Front Douce (Francia), a 9 anni abate di Passignano, a 11 anni
abate dell’abbazia di Monte Cassino ed, infine, all’età di 13 anni tale padre lo fece nominare
cardinale dal papa Innocenzo VIII (1484-1492)! ― è stato eletto Pontefice all’età di 37 anni
«…solo perché, a causa di una fistola nel basso ventre [anale], lo avevano trasportato da Firenze a
Roma in una portantina, durante il conclave, rivelando a chiunque volesse ascoltare, in particolare
agli elettori più anziani, il suo preoccupante stato di salute, insomma la sua provabilissima, breve
aspettativa di vita. Agli occhi di molti, il morbo fistolare di Leone X appariva come conseguenza di
una condotta di vita immorale […]. Il papa Leone X, corpulento, quasi goffo, dal volto turgido,
grasso, per giunta assai miope, non aveva in se nulla di attraente […]. Somigliava totalmente in
modo assai generico ed icastico nel contempo, alle disgustose figure di prelati copiosamente in
circolazione ed era […] un individuo d’una pigrizia a dir poco impareggiabile. Sua santità si alzava
tardi la mattina, ascoltava poi la messa ogni giorno, concedeva udienza, consumava il pranzo,
indugiava di nuovo al riposo, dopo di che conversava giocando a scacchi, a carte, e poi cavalcava
attraverso i giardini vaticani o si dilettava a squartare animali. La sua passione era, infatti, rivolta
alla caccia, canonicamente proibita ad ogni sacerdote […]. A soli nove chilometri da Roma si
ergeva il suo prediletto casino da caccia alla Magliana, che fece ingrandire ed abbellire ancora poco
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prima della sua morte, giacché gli piaceva rappresentare se stesso anche come cacciatore. Di
conseguenza, ordinò al custode di una villa papale: “Devi assicurati che vi sia per me un buon
pranzo con molto pesce, giacché mi sta molto a cuore che si sfoggi il massimo sfarzo al cospetto dei
dotti e degli ospiti che saranno al mio seguito”. Alla caccia col falcone amava dedicarsi nei dintorni
di Viterbo, alla pesca con l’amo sul lago di Bolsena. A lui erano riservate intere riserve di caccia,
dove faceva strage di cinghiali e di cervi. In Autunno Leone X trascorreva quasi tutto ottobre, ma
anche due o tre mesi, tutto assorto nella caccia […]. Più di tutto nella caccia agli uccelli provava
diletto nel contemplare, per ore ed ore come i rapaci appositamente addestrati soffocavano a morte
quaglie, pernici, fagiani. In quelle battute si abbattevano anche lepri, cinghiali ed altri capi di
selvaggina. Un momento culminante della nobile arte venatoria era quando a Santa Marinella entro
una “trappola per selvaggina” fatta a regola d’arte, si sospingevano i cervi in mare, dove poi dei
gentiluomini o dei chierici, in agguato sulle barche, potevano comodamente abbatterli. Sua santità
in persona dava con uno spiedo il colpo di grazia ai cervi catturati nelle reti. […]. Il papa Leone X
non lesinava spese quando si trattava del suo sport sanguinario. E se, di regola, andava a caccia solo
con un seguito di alcune centinaia di accompagnatori, cardinali, inservienti, musicisti, letterati,
intrattenitori di corte (buffoni) e qualcosa come 160 guardie del corpo, si organizzavano battute di
caccia frequentate perfino da due o tremila cavalieri. Dato che il pontefice amante del lusso non
badava ad economie nemmeno per le feste e il suo palazzo era divenuto piuttosto il palcoscenico di
una scintillante scenografia, la cornice di un festival senza pause, furono colossali le spese fatte da
Leone X, un vero talento naturale nel dissipare denaro. Solo per la cerimonia del “sacro Possesso”
(festa impareggiabile per l’inserimento nella carica papale), Leone X fu disposto a versare 100.000
ducati […]. Ed in soli due anni ebbe esaurito completamente tutto il suo patrimonio, in una città, la
cui pubblica indigenza gridava vendetta al cielo non meno del suo lusso privato. […]. Sotto Leone
X, lo sperpero fu esorbitante. Egli e la sua corte dilapidarono somme leggendarie. Si sono calcolate
le entrate statali pontificie nel marzo 1517 ― ricavate da dazi fluviali e dogane, dalle miniere di
alluminio di Tolfa, dalle saline di Cervia, dalle riscossioni di Spoleto, di Ancona, ecc. ― che
ammontavano allora a 420.000 ducati. Inoltre, i cosiddetti “ricavi spirituali” che fruttavano circa
200.000 ducati annui; gli uffici in vendita, creati ad hoc, che papa Leone X moltiplicò fino alla sua
morte da un migliaio di membri a 2150, un valore capitale di circa 3.000.000 di ducati. A ciò si
aggiungevano gli introiti delle decime, dei giubilei e delle indulgenze utilizzati a dismisura,,
transazioni gigantesche, i denari derivavano dalle sempre crescenti nomine cardinalizie e quelli che
affluivano dalle confische e da altre speculazioni finanziarie della curia. Questi capitali venivano
prelevati tanto rapidamente quanto rapidamente spesi. Si era perciò costretti a fare dei prestiti,
pagando talvolta fino al 40% di interessi; si dovevano pagare i tappeti del papa, le più costose statue
di santi, l’argenteria, i gioielli della corona. […] Durante il suo pontificato operarono a Roma trenta
banche fiorentine per cui fioccarono debiti su debiti. Solo con la banca Bini il debito ammontava a
200.000 ducati. I cardinali Ridolfi e Ragnoni avevano sacrificato tutti i loro beni per procacciare
denaro, il cardinale Salviati ci aveva rimesso 80.000 ducati, il cardinale Pucci 150.000, il cardinale
Armellini aveva impegnato l’intero suo patrimonio. Alla morte di papa Leone X pencolavano tutti
quanti sull’orlo della bancarotta. […]. Papa Leone X aveva speso durante il suo regnoquattro
milioni e mezzo di ducati, lasciando per di più 400.000 ducati di debiti…» (cfr. Deschner K.: Op.
cit., Reinbek Hamburg, 2004). «…In una lettera indirizzata al cardinale Bembo […] aveva lasciato
intravedere con chiarezza il pensiero più intimo della Chiesa cattolica quando scrisse “Si sa da
tempi remoti quanto ci sia stata utile la favola di Gesù Cristo”…» (cfr. Rodríguez P.: «Mentiras
fundamentales de la Iglesia católica», Barcellona, 1997), questo stesso Papa nel 1517, allo scopo di
accumulare ricchezza con le indulgenze (ossia la remissione dei peccati ed il condono delle colpe,
compresi i delitti più orrendi, a coloro che erano in grado di pagare determinate somme), emise la
famosa Taxa Camarae, corredata dal relativo tariffario (13) che esprime il massimo della
corruzione (cfr. Dacio J.: «I papi da Pietro a Giovanni XXIII», 1963) e, sotto il suo pontificato, nel
1514 a Bormio furono arse vive 30 donne accusate di stregoneria ed altre 80 furono arse vive in
Valcamonica nel 1518 per lo stesso motivo
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Sotto il pontificato del Papa Clemente VII (1523-1534), figlio illegittimo di Giulio Medici
ucciso nella famosa “congiura dei Pazzi” del 1478, ottenne la sua elezione a papa mediante
corruzione per cui raggiunto lo scopo, tra l’altro, dovette compensare il cardinale Pompeo Colonna
con la carica di vicecancelliere e con la donazione di un palazzo. Il papa Clemente VII «…per
esclusive ragioni finanziarie, dinastiche e politiche nominò cardinali diverse dozzine di prelati, tra i
quali vi furono uomini né particolarmente cristiani né clericali, come ad esempio l’adolescente
allievo Odet de Coligny […]. Papa Clemente VII, che oppresse Roma con dogane e nuove imposte,
fu molto inviso al popolo. […]. Clemente VII, uomo pauroso volubile, sleale e scaltro, portò avanti
una politica orientata agli interessi piuttosto particolaristici della dinastia dei Medici, in cui,
mutando continuamente i fronti a seconda del bisogno, non si tirò mai fuori dal tergiversare, dal
temporeggiare, dal continuo barcamenarsi…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004).
Nel 1525 migliaia di protestanti “Anabattisti” furono fatti decapitare, ardere vivi, annegare e
torturare a morte; il 30 settembre del 1525 una povera donna, ingiustamente accusata di stregoneria,
fu fatta ardere viva in Campidoglio; fra i tanti, fatti atrocemente uccidere con l’accusa di “eresia”,
si ricordano Anna Furabach (9 maggio 1524), Claudio Artoldi e Lorenza di Pietro (16 maggio
1525); Rinaldo di Colonia (26 agosto 1528); Bernardino da Palestrina (20 novembre 1529);
Giovanni Milanese (23 novembre 1530); ecc.
Il Papa Paolo III (1534-1549) «…già noto col nomignolo di “cardinale della gonnella”,
veniva da una famiglia legata al commercio delle armi e aveva la sua carriera alla bellissima sorella
Giulia, ritratta da Tiziano, sposata ad un Orsini e amante prediletta del Papa Alessandro VI. […]. E
naturalmente, da autentico prelato del rinascimento, aveva anche lui un’amante che lo rese padre di
tre figli e di una figlia. Il maggiore dei figli maschi, Pier Luigi, sfrenato “sciupafemmine” e speciale
beniamino del padre, che ne fece il gonfaloniere, il comandante supremo delle truppe pontificie e
duca di Parma e di Piacenza, dove nel 1547 verrà poi assassinato. […]. Paolo III si permise anche
uno spudorato nepotismo. Già nel 1534, poco dopo la sua elezione, elevò al cardinalato due dei suoi
nipoti: Alessandro Farnese, figlio di Pier Luigi, all’età di 14 anni e Guido Ascanio Sforza, figlio
della figlia Costanza, all’età di 16 anni. Entrambi questi cardinali, ancora studenti, vennero
letteralmente ricoperti di diocesi, abbazie, priorati, ed ottennero inoltre gli uffici più lucrativi della
curia. In quel tempo Paolo III elesse il nipote Alessandro governatore di Spoleto e governatore di
Tivoli, lo elevò già a 15 anni, allorché ricevette anche l’abbazia Tre Fontane presso Roma e
l’arcivescovado di Avignone, alla carica di vicecancelliere e gli affidò, all’età di 18 anni, la maggior
parte degli affari di stato. E come il papa nonno, anche il papa nipote cardinale Alessandro fu padre
di una figlia e visse a Roma in maniera grandiosa, secondo le abitudini di tutti i Farnesi che,
dapprima in segreto, quindi pubblicamente, si affacciarono sul proscenio della città e si arricchirono
in breve tempo. Ricolmato di prebende e di vescovadi fu anche suo nipote Guido Ascanio. Il
giovane cardinale divenne legato di Bologna e di Romagna, fu promosso camerlengo, oltre che
direttore dell’amministrazione finanziaria di curia e patriarca di Alessandria. Un terzo nipote, il
quindicenne Ranuccio, ottenne il cappello rosso ed il nipote Ottavio Farnese ottenne come feudo
ereditario il ducato di Camerino […]. Paolo III diede festini clamorosi, organizzo in Vaticano balli
in maschera, fece rappresentare frivoli spettacoli, ingaggiando gruppi musicali, cantanti femminili,
buffoni e pagliacci. Amava far feste fastose coi suoi nipoti, invitando a tavola anche sue donne,
tanto che il maestro delle cerimonie Biagio de Martinellis registra in data 7 febbraio 1535: “Papa
habuit 8 vel 10 mulieres secum in prandio”. Gli piacevano i banchetti sontuosi, le feste
carnascialesche, le corse di tori e di cavalli e non disdegnava dispendiose partite di caccia. […]. Già
il primo mese dopo la sua elezione, nel novembre 1534, Paolo III dichiarò la guerra contro i Turchi
come il suo dovere più sacro. […]. Incoraggiato dalla fortuna delle armi (espressione terribile!) il
padre santo continuò ad incitare alla lotta contro gli “infedeli”. Perciò taglieggiò i suoi sudditi e
gravò il clero italiano di sempre nuove decime “contro i turchi”, ripetute negli anni1537, 1541,
1543 e 1544…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il papa Paolo III nel 1542
ritenne opportuno ribattezzare la “Santa Inquisizione” con la denominazione di “Sacra
Congregazione della Romana e Universale Inquisizione” o “Sant’Uffizio”, tramite la quale nel
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1540 fece uccidere, e confiscarne i beni, tutti gli abitanti di Mérindol (città francese), che rimase del
tutto disabitata, per essersi convertiti alla fede protestante “Evangelica”; fece, altresì, massacrare
tutti i protestanti “Anabattisti” di Münster (città tedesca) ed il loro capo Giovanni di Leida fu fatto
uccidere il 4 aprile 1535 dopo averlo fatto sottoporre ad “orrendo supplizio”; fra i numerosi
personaggi fatti atrocemente uccidere con l’accusa di “eresia” si ricordano Martino Govinin
(1536); Francesco di Giovanni (1538); Ene di Ambrogio (1539); Galateo di Girolamo (1541);
Giandomenico dell’Aquila (1542); Federico d’Abbruzzo che fu fatto atrocemente trasportare al
supplizio trascinato da un cavallo, tanto che fu appeso alla forca completamente dilacerato il 12
luglio 1542; Girolamo Francese (1546); Baldassarre Altieri (1548); Federico Consalvo (1549);
Annibale di Lattanzio (1549); ecc. Il papa Paolo III, nonostante che egli stesso soleva affermare
spudoratamente la non esistenza di “Gesù il Cristo”, nel 1546 fece condannare a morte Etienne
Dolet, per avere sostenuto che Gesù-Cristo è “un’entità inventata come testimoniano numerose
contraddizioni ed omissioni”, facendolo bruciare vivo a Lione insieme con i suoi libri e facendo
lasciare priva di mezzi la sua famiglia. Infine, si ricorda anche che nell’aprile 1545 nella sola
Provenza furono fatti massacrare dai “cattolici” di papa Paolo III ben 2.740 “valdesi”.
Il Papa Giulio III (1550-1555), avido e nepotista senza scrupoli, fece continuare senza
tregua la carneficina del “Sant’Uffizio”, fra le numerose vittime innocenti accusati di “eresia” si
ricordano Fanino Faenza fatto impiccare ed ardere da morto il 18 febbraio 1550; Domenico Della
Casa Bianca fatto decapitare il 20 febbraio 1550; Geronimo Gerin fatto impiccare e poi squartare il
20 marzo 1550; Giovanni Buzio e Giovanni Deodori fatti impiccare e bruciare agonizzanti il 4
settembre 1553; Micheal Serveto, insigne medico spagnolo scopritore della circolazione del sangue,
fu fatto bruciare vivo nell’ottobre del 1553 con l’accusa di “eresia” per aver criticato la Trinità ed il
battesimo dei neonati; Francesco Gamba fatto decapitare e poi bruciare il 21 luglio 1554; Giovanni
Moglio e Tesserando da Perugia fatti impiccare e bruciare agonizzanti il 5 settembre 1554; ecc.
Il Papa Paolo IV (1555-1559), già accanito inquisitore da Cardinale, spesso presenziava
personalmente le sedute inquisitorie; con la bolla “Cum numinis absurdum” del 1555 fece
rinchiudere gli ebrei nei ghetti con la seguente riprovevole giustificazione: «…È assurdo e
sconveniente in massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla
schiavitù eterna [!!], possano, con la scusa della protezione dell’amore cristiano, essere tollerati
nella loro abitazione in mezzo a noi…». Inoltre, li obbligò a portare un cappello giallo come visibile
distintivo discriminante. Infine, incrementò notevolmente le persecuzioni contro gli accusati di
“eresia”: fra i numerosi fatti condannare a morte si ricordano Francesco Cola di Salerno (14 giugno
1555); Bartolomeo Hector fatto bruciare vivo per avere venduto due Bibbie (20 giugno 1555); Elia
Golla e Paolo Rappi fatti bruciare vivi perché protestanti (22 giugno 1555); Giovanni Vernon e
Antonio Labori fatti bruciare vivi perché “evangelisti” (28 agosto 1955); Stefano di Girolamo fatto
bruciare vivo perché accusato di “eresia” (11 gennaio 1956); Giulio Napoletano fatto bruciare vivo
perché accusato di “eresia” (6 marzo 1556), Ambrogio de Cavoli fatto impiccare e bruciare
agonizzante perché accusato di “eresia” (15 giugno 1556); Pompeo Dei Monti fatto bruciare vivo
perché accusato di “eresia” (4 luglio- 1556); Pomponio Angerio fatto bruciare vivo perché
accusato di “eresia” (19 agosto 1556); Nicola Sartorio fatto bruciare vivo perché “luterano” (13
maggio 1557); Jeronimo da Bergamo ed Alessandra Fiorentini fatti impiccare e bruciare agonizzanti
perché omosessuali (22 dicembre 1557) ― nonostante fossero notoriamente omosessuali molti
prelati ed anche lo stesso Paolo IV (1555-1559): infatti, come precisa Mariotti (1952), «…vi erano i
così detti falsetti: giovani adolescenti, con voce femminea, che servivano da gitoni, da mignons e da
ganimedi […] a parecchi cardinali ed anche a qualche Giudice Inquisitore. Ricordiamo a questo
proposito l’affetto violento […] di Paolo IV (1555-1559), per un falsetto portante il dolce nome
Baéza…» (cfr. Mariotti E.: «La Neofilia», Roma, 1952) ―; Gioffredo Varaglia fatto bruciare vivo
perché accusato di “eresia” (25 marzo 1558), Gisberto di Milanuccio fatto bruciare vivo perché
accusato di “eresia” (15 giugno 1558), Francesco Cartone fatto bruciare vivo perché accusato di
“eresia” (3 agosto 1558), nel 1559 furono fatti bruciare vivi ben 29 “protestanti”, Gabriello di
Thomaien fu fatto bruciare vivo perché omosessuale (8 febbraio 1559); Antonio di Colella fu fatto
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bruciare vivo perché accusato di “eresia” (8 febbraio 1959); Leonardo da Meola e Giovanni
Antonio del Bò furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (8 ebbraio
1559); un gruppo di 13 individui furono fatti bruciare vivi perché accusati di “eresia” (17 febbraio
1559); Antonio Gesualdi fu fatto bruciare vivi perché “luterano” (16 marzo 1559); Bisantino
Ferrante fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (24 agosto 1559); Sipione Retio fu fatto
trucidare nelle carceri della “Santa Inquisizione” perché accusato di “eresia” (15 settembre 1559);
ecc.
Il Papa Pio IV (1559-1565) nel dicembre del 1559 ordinò lo scempio dei “valdesi” calabri,
facendo atrocemente torturare, vecchi, donne e bambini prima di essere uccisi: «…gente sgozzata,
squartata, bruciata ed orrendamente mutilata. Pezzi di resti umani furono appesi alle porte delle case
come esempio. Quelli che fuggirono sulle montagne furono assediati fino a che morirono di fame.
Molte donne e fanciulli furono ridotti in schiavitù…» (cfr. Marchetti M.: «La Santa Inquisizione»,
Ed. La Fiaccola, Ragusa,); nel 1560 furono massacrati ben 4.000 “valdesi”, nello stesso anno
furono condannati a morte 6 persone (Giulio Ghirlanda, Baudo Lupettino, Marcello Spinola, Nicola
Buccello, Antonio Rietto e Francesco Sega) perché sorpresi ad assistere ad una funzione religiosa in
una casa privata; Giacomo Bonello fu fatto bruciare vivo perché “evangelista” (18 febbraio 1560);
Mermetto Savoiardo e Dionigi di Cola furono fatti bruciare vivi perché accusati di “eresia” (13
agosto 1560); Pascale Aloisio fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché “evangelista” (8
settembre 1560); Gian Pascali di Cuneo fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (15
settembre 1560); Stefano Negrone fu fatto morire di fame perché accusato di “eresia” (15
settembre 1960); Stefano Morello fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di
“eresia” (25 settembre 1560); Bernardino Conte fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia”
(16 ottobre 1560); Macario di Macedonia fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (10
giugno 1962); nel 1562 ben 363 persone (tra uomini e donne) furono fatte bruciare vive perché
accusate di “stregoneria”; Cornelio di Olanda fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché
accusato di “eresia” (23 gennaio 1563); Francesco Cipriotto fu fatto impiccare e bruciare
agonizzante perché accusato di “eresia” (4 settembre 1564); Giglio Cesare Vanini fatto bruciare
vivo dopo avergli fatto strappare la lingua perché accusato di “eresia” (5 novembre 1564); Giulio
di Grifone fatto decapitare perché accusato di “eresia” (14 gennaio 1565); ecc.
Il Papa Pio V (1566-1572) appena eletto emise una bolla con la quale imponeva la chiusura
di tutte le Sinagoghe ebraiche e fece dono del cimitero ebraico bolognese alle Suore del Convento
di “San Pietro Martire”, imponendo loro di “…distruggere qualunque sepolcro di ebrei […], di
togliere le iscrizioni, le memorie e le lapidi di marmo, distruggendole completamente, raschiandole
e spezzandole […] e traslocare ove volessero i cadaveri e le ossa…”. Inoltre, durante il suo
pontificato perseguitò ferocemente gli accusati di “eresia”, tra i quali ricordano Muzio della Torella
fatto decapitare (1 marzo 1566); Giulio Napoletano fatto bruciare vivo (6 marzo 1566); Pompeo dei
Monti fatto decapitare (3 luglio 1566); Curzio di Cave fatto decapitare (9 luglio 1566); nel 1566
furono fatti massacrare ben 17.000 “protestanti” nelle sole Fiandre, Giorgio Olivetto fu fatto
bruciare vivo perché “luterano” (27 gennaio 1567); Domenico Zocchi fu fatto impiccare e bruciare
agonizzante in piazza Giudia del Ghetto di Roma perché “ebreo” (1 febbraio 1567); Girolamo
Landi fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (25 febbraio 1567);
Pietro Carnesecchi fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (30
settembre 1567); Giulio Maresco fatto decapitare ed ardere dopo morto perché accusato di “eresia”
(30 settembre 1567); Paolo di Matteo, Ottaviano Fioravanti, Giovannino Guastavillani e Geronimo
del Puzzo fatti murare vivi perché accusati di “eresia” (30 settembre 1567); Gerolamo Donato ed
alcuni suoi confratelli dell’Ordine degli Umiliati sono fatti barbaramente uccidere dopo averli fatti
atrocemente torturare perché accusati di “eresia” (2 agosto 1570); Macario Giulio da Cetona fatto
decapitare e bruciare dopo morto perché accusato di “eresia” (18 ottobre 1567); Lorenzo da
Mugnano fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (10 maggio 1568);
Matteo d’Ippolito e Francesco Stanga fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di
“eresia” (10 maggio 1568); Donato Matteo Minoli fatto morire nelle carceri dopo avergli fatto
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rompere le ossa e fatto bruciare i piedi (27 maggio 1568); Francesco Castellani, Pietro Gelosi e
Marcantonio Verotti fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (6 dicembre
1568), Luca di Faenza fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (28 febbraio 1569); Filippo
Borghesi e Giovanni Dei Blasi furono fatti impiccare e brucia agonizzanti perché accusati di
“eresia” (2 maggio 1569); Camillo Ragnolo, Francesco Cellario e Bartolomeo Bartoccio furono
fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (25 maggio 1569); Guido Zanetti
fu fatto murare vivo perché accusato di “eresia” (27 maggio 1569); Filippo Perroni fu fatto
impiccare perché “luterano” (11 febbraio 1570); Nicolò Franco fu fatto impiccare per aver deriso il
Papa (11 marzo 1570); Giovanni di Pietro fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato
di “eresia” (13 maggio 1570); Aolio Paliero fu fatto impiccare e bruciare agonizzante per diretto
insistente desiderio di Papa Pio V (ciò nonostante tale papa è stato santificato!) con l’accusa di
“eresia” (3 luglio 1570); Girolamo di Pesaro, Giovanni Antonio di Jesi e Pietro Paolo di
Maranzano furono fatti decapitare perché accusati di “eresia” (6 ottobre 1571); Francesco Gelatieri
fu ucciso pugnalato dai sicari del Papa Pio V perché ritenuto “eretico” (5 gennaio 1572); Francesco
Gelatieri, Dianora di Montpelier, Pellegrina di Valenza, Girolama Guanziana e Isabella di
Montpelier furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (9 febbraio
1572); Teofilo Pennarelli ed Alessandro di Giulio furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti
perché accusati di “eresia” (22 febbraio 1572); ecc. Infine, si deve anche ricordare che il Papa Pio
V fece impiccare Nicolò Franco, ingiustamente accusato di essere l’autore di una irriguardosa
“pasquinata”, nonostante l’accorata difesa del Cardinale Morone, oltre a fare bruciare vivo il noto
poeta latino Antonio Paleario semplicemente per averlo sospettato di essere l’autore seguenti
anonimi versi: “Quasi che fosse inverno,//brucia cristiani Pio siccome legna,// per avvezzarsi al
fuoco eterno”!
Il Papa Gregorio XIII (1572-1585) fu spietato persecutore degli “eretici” tanto che, per
suo diretto ordine, ne fece massacrare ben 10.000 in Francia (la famosa “strage degli Ugonotti”
della notte di S. Bartolomeo del 24 agosto 1572) e 500 in Croazia tramite il crudele vescovo
cattolico Juraj Draskovic (1573): fra l’immenso numero di “eretici” fatti atrocemente eliminare
durante il suo pontificato si ricordano Alessandro di Giulio e Giovanni di Giovan Battista fatti
impiccare e bruciare agonizzanti (15 marzo 1572); Nicolò Colonici fatto impiccare e bruciare
agonizzante (20 agosto 1573); Giovanni Francesco Ghisleri fatto strangolare (25 ottobre 1574):
Benedetto Thomaria fatto bruciare vivo (12 maggio 1574); Alessandro di Giacomo fatto bruciare
vivo (19 novembre 1574); nell’anno 1578 ben 222 persone furono fatte bruciare vive al rogo perché
“ebree”; Antonio Nolfo e Giovanni Battista di Tigoni furono fatti decapitare (29 luglio 1578);
Baldassarre Di Nicolò, Antonio Valies De la Malta, Francesco di Giovanni Martino, Bernardino Di
Alfar, Alfonso Di Polis, Marco Di Pintus, Girolamo Di Giovanni, Gaspare Di Martino e Clemente
Sapone furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti (13 agosto 1578); Pompeo Loiani e Cosimo
Tronconi furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti (12 giugno 1579); un ebreo di nome
Salomone fu fatto impiccare perché aveva rifiutato il battesimo (13 marzo 1580); un turista inglese
fu fatto bruciare vivo perché aveva offeso un prete cattolico (2 agosto 1581); Borro d’Arezzo fu
fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (7 febbraio 1583); Diego Lopez, Domenico
Danzarelli, Prospero di barbera e Gabriello Henriquez furono fatti buciare vivi perché accusati di
“eresia” (18 febbraio 1583); Ludovico Moro fu fatto bruciare vivo perché accusati di “eresia” (10
luglio 1583); Camillo Limaccio, Giulio Carino e Leonardo di Andrea furono fatti strangolare perché
accusati di “eresia” (23 luglio 1583) Lorenzo Perna fu fatto arrestare perché accusato di “eresia”
(16 giugni 1584) e fatto scomparire; la “Signora di Bellegard” fu fatta arrestare perché accusata di
“eresia” (15 ottobre 1584) e fatta scomparire, Giacomo Paleologo fu fatto decapitare perché
accusato di “eresia” e bruciato dopo morto (22 marzo 1585), i fratelli Missori furono fatti
decapitare per il semplice motivo di avere espresso il diritto di libertà di stampa e le loro teste
furono esposte al pubblico per esemplare ammonizione (22 marzo 1585); ecc. (si pensi che le
spoglie di Gregorio XII, Papa assassino e cruento carnefice, sono onorate e riverite dai cattolici
nella sua monumentale tomba in S. Pietro a Roma!).
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Il Papa Sisto V (1585-1590), il quale non esitò a simulare di essere ammalato uscendo
appoggiato al bastone prima di essere eletto ed, appena eletto Papa, gettò il bastone e mostrò la sua
piena gagliardia ed il suo carattere autoritario e violento, iniziando a far lavorare senza sosta i boia
ed i torturatori, tanto da assistere gioiosamente alle crudeli esecuzioni facendosi portare da
mangiare poiché, come diceva, “gli atti di giustizia mi fanno accrescere l’appetito” e dopo
un’atroce esecuzione ebbe persino a dire: “Dio sia benedetto per il grande appetito con cui ho
mangiato”! Fra le sue numerose vittime si ricordano un povero spagnolo che involontariamente
aveva causato la morte, difendendosi con un bastone, di una guardia svizzera che lo aveva ferito con
l’alabarda; Pietro Benato fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (25 aprile 1585); Giovanni
Bellinelli, Antonio Nantrò, Gaspare Ravelli e Pomponio Rustici, fatti impiccare e bruciare
agonizzanti perché accusati di “eresia” (5 agosto 1587); Francis Kett nel gennaio del 1589 fu fatto
bruciare al rogo per aver dubitato che Cesù-Cristo fosse stato un “moralista”;Valerio Marliano
fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (16 febbraio 1590); Domenico
Bravo fatto decapitare perché accusato di “eresia” (30 marzo 1590), Lorenzo Dell’Aglio fatto
impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (13 aprile 1590); ecc. Durante il suo
pontificato si recò personalmente a vedere un crocifisso che sanguinava dalle ferite portando con se
una scure con la quale ridusse a pezzi il crocifisso dicendo “come Cristo ti adoro, come legno ti
spaccò” (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983); si scoprì, così, un sistema di spugnette imbevute di
un liquido rosso simile a sangue! I frati, che escogitarono l’artificio per carpire cospicue offerte
imbrogliando gli ingenui fedeli, furono severamente puniti.
Il Papa Gregorio XIV (1590-1591), talmente sprovveduto tanto da lasciarsi plagiare dal
nipote Paolo Emilio che aveva nominato segretario di Stato, nel suo brevissimo pontificato dissipò
completamente le enormi ricchezze accumulate dal predecessore Papa Sisto V (1585-1590) di cui
continuò la strage di numerosi innocenti in un solo anno di pontificato: tra le vittime si ricordano
Giovanni Angelo Fullo. Giovanni Carlo Di Luna, Decio Panella, Domenico Trailo, Antonio Costa,
Giovanni Battista Grosso, ecc. fatti scomparire dalla Santa Inquisizione; Giovanni Battista
Corbinacci, Giovanni Antonio De Manno, Alexandro D’Arcangelo, Fulvio Luparino e Francsco De
Alessandro fatti decapitare; Andrea Forzati, Flaminio Fabrizzi e Francesco Serafini fatti impiccare e
bruciare agonizzanti; ecc.
Il Papa Clemente VIII (1592-1605) fece spietatamente condannare e torturare numerosi
innocenti tra cui si ricordano i più noti. La giovinetta appena sedicenne Beatrice Cenci la quale,
dopo aver invano cercato protezione presso detto Papa riguardo le continue violenze ed abusi
sessuali che subiva da parte del padre incestuoso, fu ingiustamente accusata insieme al fratello
Giacomo di avere fatto uccidere il violento depravato padre e, sotto atroce tortura, costretta a
confessarsi colpevole. Nonostante fosse stata dimostrata, dall’avvocato Prospero Farinaccio, la sua
estraneità all’uccisione del padre, fu condannata dal predetto Papa ad essere trascinata legata alla
coda di un cavallo e, quindi, decapitata in Piazza di Ponte S. Angelo l’11 settembre del 1599.
Contemporaneamente, dopo aver fatto uccidere anche la madre, dal boia fu fatto uccidere a colpi di
mazza il fratello maggiore, mentre il fratellino più piccolo che aveva appena nove anni fu
impietosamente obbligato ad assistere all’uccisione di tutti i suoi congiunti! Naturalmente, tutti i
cospicui beni della famiglia Cenci, così eliminata, furono sequestrati dalla Chiesa ed, alcuni anni
dopo, dal successivo pontefice Paolo V (1605-1621), appena insediatosi, furono sfacciatamente
donati ai suoi familiari (cfr. Muratori L. A.: «Annali d’Italia dal principio dell’era volgare all’anno
1749», Modena, 1749)! Clemente VIII (1592-1605) non esitò a promulgare la condanna a morte di
Giordano Bruno (1548-1600) il quale, all’alba del 17 febbraio 1600, ammanettato e con una morsa
nella bocca bloccante la lingua in modo che non potesse parlare, fu trasportato in Campo dei Fiori
ed ivi denudato e, legato ad un palo, arso vivo alla presenza delle potenti autorità ecclesiastiche e
del popolo impotente! Inoltre, Francesco Gambonelli fu fatto bruciare vivo perché accusato di
“eresia” (17 febbraio 1594); Marcantonio Valena ed altri furono fatti bruciare vivi perché
“luterani” (12 agosto 1594); Agostino Graziano e Menandro Prestini furono fatti impiccare e
bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (15 gennaio 1596); Cesare Di Giuliano, Giovanni
29
De Magistris e Damiano Di Francesco furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati
di “eresia” (17 giugno 1597); Ottavio Scipione fu fatto decapitare e bruciare da morto perché
accusato di “eresia” (20 giugno 1597); Giovanni Antonio da Verona fatto bruciare vivo perché
accusato di “eresia” (16 settembre 1559); Cierrente Mancini e Galeazzo Porta fatti decapitare
perché accusati di “eresia” (9 novembre 1599); quattro giovani donne ed un vecchietto furono fatti
bruciare vivi perché accusati di “eresia” (16 febbraio 1600); Maurizio Rinaldi fatto bruciare vivo
perché accusato di “eresia” (23 febbraio 1600); Francesco Moreno fatto impiccare e bruciare
agonizzante perché accusato di “eresia” (9 giugno 1600); Nunzio Servadio fatto impiccare perché
“ebreo” (25 giugno 1600); Bartolomeo Coppino fatto bruciare vivo perché “luterano” (7 aprile
1601); Tommaso Caraffa e Onorio Costanzo fatti decapitare e bruciare da morti perché accusati di
“eresia” (10 maggio 1601); il 29 novembre 1602 fu fatto ingiustamente condannare Tommaso
Campanella alla “prigionia perpetua nelle carceri del Santo Uffizio in Roma” ed ivi fatto
atrocemente torturare (14); ecc.
Il Papa Paolo V (1605-1621), «…prima di essere nominato papa fu un modello di virtù e di
devozione, ma la tiara dovette dargli alla testa se le sue abitudini, i suoi gesti e persino il suo modo
di parlare mutarono. Il suo fu un governo dispotico, intollerante contro chiunque deviasse dalla
linea apostolica romana. […]. Durante il suo pontificato fu condannato il sistema copernicano…»
(cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995). Delle numerose atroci esecuzioni effettuate sotto il
pontificato del Papa Paolo V (1605- 1621) si ricordano quella di Giovanni Pietro di Tunisi, fra
quelli fatti impiccare e bruciare agonizzanti nell’anno 1607 perché accusati di “eresia”; quelle di
Giuseppe Teodoro, Felice d’Ottavio, Fancesco Rossi, Antonio di Jacopo, Fortunato Aniello, Pietro
Vincenti ed Umberto Marcantonio fatti impiccare e bruciare agonizzanti nell’anno 1609, per lo
stesso motivo; quelle di Fulgenzio Manfredi, Battista Lucarelli ed Emilio di Valerio, fatti impiccare
e bruciare agonizzanti nell’anno 1610, sempre per lo stesso motivo; quella di Domenico Di
Giovanni, fatto impiccare nel 1611, per il semplice motivo di essere passato dal cristianesimo
all’ebraismo, quella di Giovanni Milo perché “luterano” e quella di Giovanni Mancini che fu fatto
impiccare e bruciare agonizzante il 22 ottobre 1611 per avere celebrato la messa da spretato; fra
quelli fatti impiccare e bruciare agonizzanti nel 1616 perché accusati di “eresia” si ricordano
Jacopo de Elia (22 gennaio 1616) e Francesco Maria Sagni (1 luglio 1616); fra quelli fatti bruciare
vivi nell’anno 1617 si ricorda un negromante zoppo fatto bruciare vivo perché accusato di
“stregoneria”; mentre, il 17 febbraio 1618 fu fatto bruciare al rogo, dopo avergli atrocemente fatta
strappare la lingua e fatto strangolare, Lucilio Vanini per il semplice motivo di avere dubitato
dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima; inoltre, nell’anno 1620 nella solo Valtellina,
furono fatti trucidare dai cattolici alcune migliaia di innocenti perché accusati di “eresia” (15); ecc.
Inoltre, da una “pasquinata” si apprende che tale papa, quando era cardinale, avrebbe avuto
rapporti omosessuali attivi con il suo “intimo amico” Stefano Pignatelli (1578-1623): «…Dunque
perché a stupore il Mondo prese, se nel collegio [in Vaticano] volse [volle] una Creatura [il
Pignatelli], il cazzo ancor del Casrdinal Borghese [divenuto Papa Paolo V]?...» (cfr. Dall’Orto G.:
«Il trionfo di Sodoma», La fenice di Babilonia, 2, 37-69, 1997).
Il Papa Urbano VIII (1623-1644), oltre a potenziare L’Inquisizione, fu «…Ambizioso
guerrafondaio e satrapesco [spadroneggiatore]…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995). Tra
le numerose condanne eseguite sotto il suo pontificato si ricordano le seguenti: nel 1624 fu fatto
impiccare Ambrogio Ferrari perché accusato di “eresia”; nel 1633 fu fatto torturare e condannare a
xperpetua reclusione Galileo Galilei (1564-1642), il quale evitò di essere arso vivo perché abiurò la
sua concezione, avendolo accusato di “eresia” per avere affermato la verità scientifica che la terra
ruota intorno al sole; nel 1635 fu fatto decapitare Giacinto Centini “per avere offeso la sovranità
papale”; sempre nel 1635 fu fatto impiccare e bruciare agonizzante Diego Giavaloni perché
accusato di “eresia”; nel 1640 fu fatto bruciare vivo Ferdinando Alvarez “per essersi convertito
all’ebraismo”; nel 1642 fu fatto impiccare e bruciare vivo Angelo Policarpo “per avere celebrato
la messa da spretato”; nel 1644 furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti Ferrante Pallavicino,
Camillo d’Angelo, Domenico Ludovico, Simone Cossio, Domenico da Sterigliano; ecc.
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Il Papa Innocenzo X (1644-1655), il quale «…fu succube della cognata, Olimpia
Maidalchini, chiamata dai romani “Pampinaccia” per la sua scandalosa condotta, ed in un secondo
tempo, della nipote Olimpia Aldobrandini (tra le due ci furono intrighi e dispetti, finché la cognata
rimase l’incontrastata “signora”)…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995) ed oltre a
perseguitare accanitamente i Barberini, parenti arricchiti del suo predecessore, fece eseguire
numerose atroci condanne, tanto che nel 1652 fece impiccare e bruciare agonizzanti Giuseppe
Brugnello e Claudio Borgognone per la semplice accusa di avere falsificato alcune “lettere
apostoliche”!
Il Papa Alessandro VII (1655-1657) che, nonostante da Cardinale fosse stato uno
dichiarato riprovatore del nepotismo papale, da papa divenne un strenuo nepotista (16), oltre che
riprovevole persecutore. A riguardo basta ricordare che sotto il suo pontificato nel 1655 furono fatti
massacrare dai “Cattolici” ben 1.712 “valdesi” e che nel 1657, tra gli altri, fu fatto decapitare
Giovanni Fello perché accusato di “eresia”.
Il Papa Innocenzo XI (1676-1689) nel 1680 fece condannare al rogo 20 ebrei; il 2 agosto
1685 fece decapitare Vincenzo Scatolari per avere esercitato la professione di giornalista senza
l’autorizzazione della “Santa Madre Chiesa”; nel mese di maggio del 1686 per suo ordine diretto
furono fatti massacrare dai “Cattolici” 2.000 “Valdesi”; nel 1687 fece uccidere dai “cattolici” 24
“protestanti”; ecc.! Tale papa è stato spudoratamente santificato da Pio XII (1939-1958) nel 1956!
IL Papa Alessandro VIII (1689-1691) «…regnò solo 16 mesi ma gli furono sufficienti per
fare arricchire scandalosamente i parenti […]. Appena eletto, infatti, li convocò a Roma,
affrettandosi ad investirli di uffici altamente remunerativi [(17)]…» (cfr. Rendina C.: Op. cit.,
Roma, 1983). Sotto il suo pontificato fu fatto morire in carcere Alessandro Martino, nel maggio
1690, a seguito di atroci torture.
Il Papa Innocenzo XII (1691-1700) incrementò notevolmente le nefande “missioni” (18) in
America, Asia ed Africa e non impedì che la Chiesa Cattolica continuasse a mietere vittime
innocenti, tra le quali si ricordano i 37 ebrei fatti bruciare vivi nel 1691, oltre ad Antonio
Bevilacqua e Carlo Maria Campana fatti atrocemente decapitare il 26 marzo 1695 perché seguaci
del “Quietismo di Molinos”.
Il Papa Clemente XI (1700-1721) non fu da meno dei suoi predecessori per le riprovevoli
atrocità perpetrate durante il suo pontificato: basta ricordare i casi di Filippo Rivarola che, portato in
barella al patibolo per le torture infertegli fu fatto decapitare in tali pietose condizioni il 4 agosto
1708, di Domenico Spallaccini fatto impiccare e bruciare agonizzante per il semplice motivo di
avere bestemmiato allorché fu colpito con l’alabarda da una guardia papalina il 28 luglio 1711 e di
Gaetano Volpini fatto decapitare il 3 febbraio 1720 per avere scritto una poesia contro il medesimo
Papa! Ed ora ci si meraviglia per le decapitazioni effettuate in Iraq!
Il Papa Clemente XII (1730-1740) fu tutt’altro che clemente in quanto si dimostrò uno dei
più cinici sostenitori dell’“arte della tortura”, tanto da ripristinare la cosiddetta “mazzolatura”
(atroce tortura consistente nella frantumazione di tutte le ossa a colpi di mazza). La maggior parte
delle sue numerose vittime sono rimaste sconosciute poiché preferiva la tecnica di fare morire le
vittime sotto tortura nelle carceri anziché nel patibolo in pubblica piazza. Tuttavia, si ricorda il caso
del filosofo e storico Pietro Giarinone che fu fatto morire sotto tortura il 24 marzo 1736 per il
semplice motivo di “avere sostenuto la supremazia del re sulla curia ecclesiastica” ed il caso di
Enrico Trivelli fatto decapitare per il semplice motivo di “avere scritto frasi di rivolta” contro il
papa medesimo! Nel giugno del 1733 fu emesso un editto che obbligava gli ebrei a rimanere nel
ghetto durante la notte, a non poter leggere il Talmud, a dover portare il segno di color giallo ben
visibile, ecc.
Il Papa Benedetto XIV (1740-1758) non prese l’iniziativa di abolire la truffa
dell’“indulgenza plenaria”, nonostante non credesse affatto alla relativa millantata efficacia
nell’ottenere il condono divino della pena da avere inflitta “post mortem” per tutti i peccati
commessi in vita, tanto che ― essendo noto per la caratteristica di avere come interiezione
preferita la parola “cazzo” ― ebbe la spudoratezza di dire: “La voglio santificare questa parola,
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accordando l’indulgenza plenaria dei peccati a chi la pronuncia dieci volte l giorno!” (cfr. D.: Op.
cit., Milano, 1995)
Il Papa Clemente XIII (1758-1759) incentivò la persecuzione e la condanna a morte per gli
iscritti alla massoneria, istituite dal suo predecessore. Tra i condannati a morte sotto il suo
pontificato si ricorda il caso di Giuseppe Morelli fatto impiccare il 22 agosto 1761 per il semplice
motivo di avere “somministrato l’eucarestia da spretato” ed il caso di Carlo Sala fatto impiccare il
25 settembre 1765 perché accusato di “eresia”; ecc.
Il Papa Pio VI (1775-1799) intensificò aspramente la persecuzione contro gli ebrei
costringendoli ad indossare “vestiti di colore giallo” affinché fossero riconosciuti e pubblicamente
oltraggiati!
Il Papa Pio VII (1800-1829) promosse accanite persecuzioni contro i cospiratori politici, i
giornalisti ed i progressisti che intendevano impedire l’immoralità dell’oscurantismo religioso
attraverso azioni rivoluzionarie. Tra le numerose vittime si ricordano i casi di Giorgio Silvestri fatto
impiccare il 18 gennaio 1800 perché accusato di “cospirazione politica”, di Ottavio Cappello fatto
impiccare il 29 gennaio 1800 perché “patriota rivoluzionario”, di Giovanni Battista Genovesi fatto
squartare vivo e fattagli esporre la testa al pubblico per ammonizione e bruciarne le parti squartate
del corpo il 7 febbraio 1800; di Teodoro Cacciona fatto impiccare e squartare agonizzante il 9
febbraio 1801 per il semplice motivo di “avere rubato un abito ecclesiatico”; di Paolo Salvati fatto
impiccare e squartare agonizzante l’11 dicembre 1805 per il semplice motivo di “avere derubato un
corriere del papa”; di Bernardo Fortuna fatto impiccare e squartare agonizzante il 22 aprile 1806
per il semplice motivo di “avere fatto un furto ai danni di un corriere francese”; di Tommaso
Rotilesi fatto impiccare il 15 giugno 1809 per “avere ferito un ufficiale francese”, ecc. Nel 1814 fu
fatto obbligo ai rabbini romani di continuare a vestirsi di nero durante il carnevale, indossando
calzoni corti, una mantellina ed una specie di gravatta, al fine di essere dileggiati e scherniti dalla
folla di cristiani cattolici! Nel contempo la Chiesa Cattolica continuava a diffondere opuscoli contro
gli ebrei dove erano descritti come “la peste dell’umanità, un branco di sporchi usurari e ruffiani, i
quali meritavano la punizione divina a loro riservata”, ecc.!
Il Papa Leone XII (1823-1829) «…uomo intellettualmente limitato, malato, con una
relazione con la moglie del capitano della guardia svizzera […], mise a morte diversi carbonari…»
(cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995) e perseguitò accanitamente gli ebrei tanto da proibire
che venissero vaccinati contro il vaiolo durante un’epidemia perché secondo lui “andavano contro
la legge di natura”(19)! Tra i numerosi ghigliottinati sotto il suo pontificato si ricordano i casi del
medico Leonida Montanari fatto decapitare il 23 novembre 1825 per “lesa maestà” avendo offeso
pubblicamente il papa medesimo, di Angelo Targhino fatto decapitare il 23 novembre 1825 per
“avere ferito una spia papalina” e di Luigi Zanoli il 13 maggio 1828 perché accusato di “avere
ucciso una guardia papalina”. Si ricordano anche Giuseppe Franconi fatto uccidere tramite
“mazzolatura” (atroce tortura consistente nella frantumazione di tutte le ossa a colpi di mazza) il 25
aprile 1826 perché accusato di “avere ucciso un prete per rapina”; Angelo Ortolani fatto impiccare
il 13 maggio 1828 perché accusato di “avere ucciso una guardia papalina”; Gaetano Montanari
fatto squartare vivo il 15 giugno 1828 perché accusato di tentato omicidio nei riguardi di un
“emissario papalino”; Gaetano Rambelli fatto impiccare il 15 giugno 1828 per avere ferito un
“emissario papalino”; ecc.
Il Papa Gregorio XVI (1831-1846), «…Reazionario, chiuso ad ogni novità, persino alle
scoperte scientifiche e mediche, nell’enciclica Mirari vos (1832) condannò la libertà di coscienza,
di stampa e di pensiero […], aveva un’amante, la moglie del suo ex barbiere, che viene cantata dal
Belli come “puttana santissima”…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995), impose l’assoluto
divieto di ogni libertà di azione e di pensiero che non fosse conforme ai dettami della “Santa Madre
Chiesa”, con gravi minacce costrinse gli ebrei a non esercitare alcuna attività al di fuori del
“ghetto”. Fra i numerosi condannati sotto il suo pontificato si ricordano i casi di Giuseppe Balzani
fatto decapitare il 14 maggio 1833 per avere offeso il papa medesimo, di Luigi Scopino fatto
decapitare il 21 luglio 1840 semplicemente per avere rubato “oggetti sacri”, di Pietro Rossi e Luigi
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Muzi fatti decapitare il 9 gennaio 1944 semplicemente perché avevano commesso dei piccoli furti,
di Giovanni Battista Rossi fatto decapitare il 3 agosto 1844 semplicemente perché aveva commesso
un piccolo furto. Oltre queste disumane condanne a morte, nei 15 anni del pontificato di Gregorio
XVI (1831-1846) ne furono eseguite altre 110, mentre non fu affatto punito un prete stupratore! I
numerosi riprovevoli “gusti volgari” di Gregorio XVI sono stati dettagliatamente descritti da
Aurelio Bianchi-Giovini (pseudonimo di Angelo Bianchi) (1860) (cfr. Bianchi-Giovini A.: «Il papa
e la sua corte. Ricordi inediti d’un carabiniere al servizio di sua santità», Napoli, 1860).
Il Papa Pio IX (1848-1878) con l’enciclica “Quanta cura” e con il “Sillabo degli Errori”,
emessi contemporaneamente l’ 8 dicembre 1864, condannò in blocco tutte le dottrine anticattoliche
dal “panteismo” al “naturalismo”, al “razionalismo” ed al “modernismo” (20), dal “socialismo”
al “comunismo” ed al “liberalismo” (cioè la “libertà di coscienza ed i conseguenti valori civili”),
riaffermando l’“origine divina di Chiesa e Stato” e ribadendo definitivamente l’impossibilità di una
riconciliazione del pontefice (da lui proclamato “infallibile”!) “…con il progresso, con il
liberalismo, con la società moderna…”. Tale papa fu così criminale che non esitò ad armare
eserciti, a firmare un numero esorbitante di condanne capitali (21) ― tra le quali si ricordano quella
di Romoli Salvatori, fatto decapitare il 10 settembre 1851 per avere consegnato ai carabinieri
l’arciprete di Anagni, quella di Antonio Felici, fatto decapitare 24 gennaio 1854 per avere attentato
al Cardinale Antonelli, e quella dei due patrioti Monti e Tognetti fatti inesorabilmente decapitare il
24 novembre 1868 nonostante l’insistente richiesta di grazia da parte del Re Vittorio
Emanuele II ― ed a riempire le carceri pontificie di tanti innocenti che, quando i patrioti
dell’unificazione d’Italia vi entrarono per liberare le centinaia di prigionieri che vi erano stati
costretti a vivere incatenati per un tempo talmente protratto, li trovarono talmente malridotti tanto
che molti di essi avevano perso l’uso della vista e degli arti! Inoltre, nei bui ed umidi sotterranei
furono trovati mucchi di scheletri e di cadaveri in decomposizione commisti a mucchi di tonache (di
frati e di suore), di vestiti civili (di uomini e di donne), di divise militari, ecc., di scarpe, di
giocattoli vicino a scheletri di bambini incarcerati insieme ai genitori, ecc., né più né meno di
quanto fu rinvenuto nei lager nazisti! Tale papa, dichiarato antisemita, fece nuovamente rinchiudere
gli ebrei nel “ghetto”ed impose ai commercianti ebrei a dovergli pagare il “pizzo”, proibì ai medici
ebrei di esercitare la professione, fece incarcerare un ebreo benestante per il semplice motivo di
avere assunto come lavandaia una donna cristiana (22) ed arrivò persino a fare rapire, per farli
crescere nella “vera religione”, tre bambini ebrei (Edgardo Mortasa, Giuseppe Michele Coen e
Graziosa Cavigli), battezzati nascostamente dalla rispettive bambinaie cristiane! Si pensi che questo
pontefice è stato beatificato, da Papa Giovanni Paolo II, il 3 settembre 2000, nonostante il giudizio
estremamente negativo sulla sua persona, espresso da Giuseppe Garibaldi ― in una lettera scritta
l’8 dicembre 1869 in occasione del Concilio Vaticano che sancì l’“infallibilità del papa” e la
“perpetua Verginità” di Myriam Bar-Yeôyakim (Maria Figlia di Gioacchino) “ante partum, in
partu et post partum” ― come segue: «…nella contaminata vecchia capitale del mondo, si
discuterà sulla verginità di Maria, che partorì un bel maschio sono ora 18 secoli (e ciò importa
veramente molto alle affamate popolazioni); sulla eucaristia, cioè sul modo di far inghiottire il
reggitore dei mondi, e depositarlo poi in un closet qualunque. Sacrilegio, che prova l’imbecillità
degli uomini che […] così sfacciatamente si fa beffa di loro […] sull’infallibilità di quel metro cubo
di letame che si chiama Pio IX…» (cfr. Ciampoli D.: «Giuseppe Garibaldi: scritti politici e militari.
Ricordi e pensieri inediti, raccolti su autografi, stampe e manoscritti», Roma, 1907).
Il Papa Benedetto XV (1914-1922) il 23 marzo 1918 «…si congratula pubblicamente con
monsignor Jovin […] autore di La judéo-maçonnerie et la révolution sociale e di La judéomaçonnerie et la domination du monde, i cui titoli lasciano chiaramente intendere il loro contenuto
diffamatorio antisemita. L’anno successivo anche il Segretario di Stato del Vaticano, Cardinal
Gasparri, invia le sue pubbliche congratulazioni al prelato razzista…» (cfr. Magazzini P.: «La
Chiesa che offende», Roma, 1993). Appare evidente come anche quest’ennesimo pontefice abbia
contribuito a rinforzare il nefando condizionamento, costantemente operato dalla Chiesa Cattolica,
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che inesorabilmente condurrà, senza alcuna possibilità di riflessione critica, al raggiungimento del
tumultuoso sterminio di massa degli ebrei attuato dal nazi-fascismo!
Il Papa Pio XI (1922-1939) in una conferenza tenuta presso l’Università Cattolica di Milano
il 13 febbraio 1929 elogiò notevolmente il fascismo e Benito Mussolini tanto che, tra l’altro, disse
di lui: “…ci voleva un uomo come quello che la provvidenza ci ha fatto incontrare…” (23)! Le
frequenti manifestazioni di simpatia da parte del Papa Pio XI nei confronti del fascismo e di
Mussolini spinsero i “moderati” milanesi ad intervenire presso tale pontefice affinché assicurasse il
suo appoggio per il colpo di stato fascista che così poté essere facilmente realizzato (24). Nel 1933,
tramite il Cardinale Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII), stipulò un’alleanza col governo nazista
ed indusse il Centro Cattolico tedesco a votare i pieni poteri al Führer, nel 1935 diede tutto il suo
appoggio all’aggressione fascista contro l’Abissinia ― tanto che «…Quando nel 1935 Mussolini
invase l’Abissinia tra le acclamazioni di giubilo dei prelati italiani, uno dei principali fornitori
bellici era una fabbrica di munizioni di proprietà del Vaticano!…» (cfr. Deschner K.:
«Kriminalgeschichte des Christentums» Band I, Reinbek bei Hamburg, 1986) ― e nel 1936 ai
falangisti di Franco contro il legittimo governo spagnolo (25). Inoltre, il Papa Pio XI non mosse mai
alcuna critica al carattere totalitario sia del regime fascista che di quello nazista, né al riprovevole
inquadramento militare dei giovani fin dalla prima infanzia! Egli non disse mai una parola di
solidarietà verso le migliaia di ebrei (26) che, senza alcuna colpa, erano ingiustamente perseguitati e
banditi dalle attività pubbliche! Anche per il Papa Pio XI, come per Hitler e per Mussolini, nonché
per i gesuiti della “Civiltà Cattolica”, gli ebrei costituivano un gravissimo pericolo per l’umanità
(27)!
Il Papa Pio XII (1939-1958), al secolo il nobile Eugenio Pacelli (1875-1958) che all’età di
41 anni prese come compagna la giovanissima suora ventitreenne Pascalina Lehnert da cui non si è
mai separato, come attesta Nassi (1992) «…non disertava mai una gita, un ballo o una recita […].
Però preferiva le battute di caccia, specie quelle al cinghiale […]. In Germania, già Nunzio
Apostolico prenderà lezioni nella scuderia di un generale amico, nella foresta dei Cinghiali…» (cfr.
Nassi E.: «Pio XII», Milano, 1992). Infatti, era stato “Nunzio Apostolico” in Germania dal 1918 al
1929 (28) e «…Pur avendo visto il nazismo da vicino, aveva sempre temuto di più il comunismo
[tanto fa fare affiggere in ogni parrocchia il “Decreto di scomunica ai comunisti” (Fig. 6)]. […].
Quando Mussolini mise sotto pressione la comunità ebraica, egli prese l’abitudine di non dir nulla.
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco di Hitler; alla fine del 1941 tre quarti degli ebrei
italiani avevano perso la vita. […]. In tutta l’Italia e nel Reich gli Ebrei venivano vessati
sistematicamente ed, in molti casi, uccisi. Dal Vaticano non venne alcuna parola esplicita di
condanna e questo silenzio, dicono molti fu peggiore di qualsiasi eresia. Di solito tanto pronte a
correggere e condannare anche la minima deviazione della fede, o qualsiasi “errore” nella moralità
sessuale, le labbra di Roma [cioè, di Papa Pio XII] erano strettamente, e come si vide poi,
perennemente serrate. Lo sterminio di massa degli Ebrei era diffusamente noto molto prima della
fine del 1942. Il primo luglio [1942] la trasmissione in francese della BBC parlò del massacro di
700.000 Ebrei polacchi; una settimana dopo il cardinale di Westminster, Hinsley, ripetè questa cifra
alla BBC [quindi, è impossibile che il pontefice Pio XII non ne fosse venuto a conoscenza] […].
Quell’estate la Francia di Vichy si dimostrò molto zelante nel deportare bambini ebrei, anche prima
che i Nazisti della Zona Occupata fossero pronti a riceverli. Un pediatra calcolò che dal 21 luglio al
9 settembre [1942], 5.500 bambini erano passati per Drancy sulla via dello sterminio; più di mille
erano sotto i sei anni. I loro genitori erano già stati deportati e furono accompagnati da sorveglianti
ebrei per nascondere che erano orfani. Gorge Wellers, avvocato parigino, era uno di quei
sorveglianti, e descrisse la scena del campo di transito nei pressi di Parigi nel suo libro Drancy. I
bambini ― nel suo gruppo ce n’erano sei sotto i due anni ― somigliavano “a un gregge di
agnellini spaventati”. La descrizione che fa delle loro condizioni è sconvolgente: piccini che non
conoscevano nemmeno il proprio nome aspettavano sul pianerottolo un adulto che li portasse al
gabinetto, giacevano nei propri escrementi a causa della diarrea [mandatagli dal buon “Dio”!],
piangevano tutta la notte. Il 17 agosto [1943] 530 bambini con alcuni accompagnatori adulti furono
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chiusi in carri bestiame; il caldo ed il puzzo erano insopportabili. Due giorni dopo arrivarono ad
Auschwitz e la sera stessa erano già morti. [si vede che il buon “Dio” aveva bisogno di angioletti!].
Poco dopo un medico delle SS del campo confidò al suo diario: “in confronto a quello che ho visto,
l’Inferno di Dante sembra poco meno di una commedia”. L’inferno di Hitler avrebbe divorato un
milione di bambini. Il 5 agosto [1943] il nunzio apostolico a Parigi, Valerio Valeri, aveva riferito al
cardinale Segretario di Stato a Roma che i bambini deportati dalla Francia non venivano mandati in
Germania, ma in Polonia. Sette settimane dopo Myron C. Taylor, l’ambasciatore americano,inviò
allo stesso Segretario di Stato, cardinale Maglione, particolari sullo sterminio di massa degli Ebrei
polacchi. Pierre Laval [allora capo del governo francese], filonazista, alle proteste del cardinale di
Parigi Suhard gli rispose che avrebbe dovuto tenersi fuori della politica e stare zitto come Sua
Santità. […]. Il papa si trincerò dietro un silenzio ancora più impenetrabile, temendo che
rompendolo avrebbe peggiorato la situazione degli Ebrei. La notte tra il 15 e il 16 ottobre [1943] gli
Ebrei erano in casa a festeggiare il Sabato. Ne furono catturati un migliaio, tra cui alcune donne
incinte e anziani; su un camion militare fu addirittura portata via una donna in travaglio. Tra quelli
condotti all’Accademia Militare si trovava una coppia con dieci figli, e la prima notte due donne
partorirono. Due giorni dopo, lunedì 18 ottobre, all’interno del gruppo composto da più di mille
persone fu portato su un binario di deposito e chiuso in carri bestiame piombati. Il treno Partì alle
14,05 in direzione nord […] diretto ad Auschwitz. […]. Anche l’ambasciatore di Germania era
profondamente preoccupato: gli Ebrei, riferì a Berlino, erano portati via praticamente sotto la
finestra del papa. Anch’egli, come molti vescovi francesi non avrebbe avuto altra alternativa che
quella di protestare contro la politica di Hitler. Pio XII non disse nulla. Quando il diplomatico fu
ricevuto in udienza tre giorni dopo, il papa non menzionò gli Ebrei; la sua preoccupazione
principale erano le cellule comuniste sparse per Roma. I Nazisti rimasero meravigliati; non
riuscivano quasi a credere alla loro fortuna e furono incoraggiati ad adottare misure similari a
Firenze, Venezia, Ferrara, Genova e Fiume. Nel giro di sei settimane diecimila Ebrei furono
catturati e portati ad Auschwith dove ne morirono 7.550. […]. Nel dicembre del 1943 gli Ebrei
furono privati formalmente della cittadinanza italiana. In una retata a Roma ne furono cattutati 650,
in un’altra 244. C’erano 70 ebrei tra i 335 ostaggi fucilati alle Fosse Ardeatine nel marzo del 1944
[…]. Tra i primi ostaggi uccisi con un colpo alla nuca c’era Domenico Ricci, un impiegato cattolico
di trentun anni padre di cinque figli. Nella tasca gli fu trovato un biglietto scritto in stampatello: “O
MIO DIO, TI PREGHIAMO AFFINCHÉ TU PROTEGGA GLI EBREI DALLE BARBARE
PERSECUZIONI. UN PADRENOSTRO, DIECI AVEMARIE E UN GLORIA” [!]. con Ricci
morirono sei Ebrei che di cognome facevano Di Consiglio: tre fratelli, il padre, il nonno e lo zio.
Scrisse Robert Katz nel suo libro Death in Rome: “Non era necessario un miracolo per salvare i
335 destinati a morire nelle Fosse Ardeatine. C’era un uomo che avrebbe potuto. Anzi, avrebbe
dovuto […] e ora deve rendere conto del motivo per cui non l’ha fatto: papa Pio XII”. Il Papa
venne a sapere da Dollman, capo delle SS a Roma, che ci sarebbe stato un bagno di sangue.
Tuttavia, riteneva che il crimine più grave fosse l’attacco alle truppe tedesche da parte della
Resistenza, in quanto non era stato provocato. Il giorno del massacro lo trovò in udienza con i
cardinali del Sant’Uffizio e con la Congregazione dei Riti, per la preparazione agli esercizi
quaresimali [!!]. La radio vaticana non diede notizia della carneficina. Se soltanto il papa avesse
rischiato l’arresto portando la stella di Davide, o avesse parlato, anche una sola volta, per dire al
popolo ebreo che non era solo nella sua agonia! […]. Il mondo […] tace. Tace anche il
rappresentante di Dio in Vaticano. Gli orrori di Roma cessarono il 5 giugno 1944, quando gli
Alleati liberarono la città. Il cappellano militare tolse i sigilli dalle porte della Grande Sinagoga,
compresi quelli di Pio XII. Gli Ebrei erano di nuovo liberi; uscirono dai nascondigli per scoprire
che più di duemila dei loro non c’erano più. […]. Perché Pio XII non fece sentire la sua voce? I suoi
difensori dicono che voleva mantenere la neutralità del Vaticano come mediatore e temeva di
caricare le coscienze dei Cattolici tedeschi di un peso intollerabile. Rispondono i critici: può esserci
neutralità tra il bene ed un male tanto tremendo? Ed il peso imposto agli Ebrei, ammazzati a
milioni, dai tedeschi sia Cattolici che non? […]. Sua santità, dopo aver dichiarato infallibilmente nel
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1950 che un’Ebrea era stata assunta in cielo corpo ed anima [!], non avrebbe potuto affermare
autoritariamente nel 1942 che la sua razza non doveva essere annientata per il fatto di essere ebrea?
[…]. L’unica spiegazione soddisfacente al silenzio di Pio XII è che egli era prima di tutto e
soprattutto un Cattolico; un Cattolico prima che un Cristiano o un essere umano, anche se era un
buon Cristiano e un essere umano profondamente compassionevole. Il suo ammiratore ebreo Lapide
scrisse: “Un solo editto papale in cui si dicesse ai Cristiani che la legge ebraica insegnata dal
Cristo ai suoi discepoli ― ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ ― andava applicata anche agli
Ebrei sarebbe stato più utile di lunghi elenchi di proibizioni e restrizioni. Ma una simile lettera non
venne mai da Roma”. Sarebbe bastato che Pio XII avesse amato gli Ebrei quanto Pio IX aveva
amato il suo Stato Pontificio…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). Invece, come precisa
Rossi (1966), «…Pio XII ― malgrado fosse a completa conoscenza dei feroci crimini commessi
dalle SS e dello sterminio in massa degli ebrei ― fece tutto quello che poteva per aiutare Hitler a
vincere la guerra, ritenendo che il nazismo fosse l’unico baluardo valido per contenere l’espansione
del comunismo nell’Europa occidentale…» (cfr. Rossi E.: Op. cit., Roma, 1966). Tale riprovevole
comportamento di Pio XII fu notato e segnalato da Mounier (1939) già fin dall’inizio del suo
pontificato (cfr. Mounier E.: «En interrogant les silences de Pie XII», Le Voltigeur, 5 maggio,
1939) ed è stato ampiamente discusso da Nobércourt (1964) (crf Nobércourt J.: «“Le Vicarie” et
l’hstoire», Paris, 1964). In definitiva, a Pio XII si contesta, con ogni evidenza, di essersi sottratto
dal denunziare dei gravissimi crimini del tutto assurdi pur essendo a conoscenza dei responsabili. Il
papa Pio XII era talmente entusiasta della guerra mondiale in corso, tanto che nel suo
radiomessaggio natalizio del 1942 si esprime come segue: «…Pervasi da un entusiasmo di crociate,
ai migliori e più eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, giustizia e di
amore al grido: “Dio lo Vuole!” [lo stesso grido degli attuali “kamikaze” giudaici ed islamici!],
pronti a servire, a sacrificarsi, come gli antichi crociati. […]. Scopo essenziale di questa Crociata
necessaria e santa è che la stella della pace, la stella di Betlemme, spunti di nuovo su tutta l’umanità
nel suo rutilante fulgore…», mentre, come giustamente sottolinea Falconi (1965), «…Le camere a
gas bruciavano con metodo nei lager tedeschi e polacchi, villaggi interi venivano arsi con le chiese
ortodosse e coi loro fedeli in Croazia, in Slovacchia si preparavano le deportazioni, in Bessarabia e
in Bucovina 300.000 ebrei erano già stati tacitamente liquidati, milioni di altre future vittime
vivevano in ghetti, nei campi di concentramento, nelle loro case nell’attesa drammatica dello
sterminio, e Pio XII annunciava come scopo essenziale della “Crociata necessaria e santa” la
“stella della pace”!...» (cfr. Falconi C.: «Il silenzio di Pio XII», Milano, 1965). Infine, si ricordi che
il Papa Pio XII (1939-1958) è morto «…con un patrimonio di 80 milioni di marchi [equivalenti a
circa 500 milioni di euro attuali (anno 2006)] in oro ed i suoi tre nipoti ne hanno accumulati 120
[equivalenti a circa 750 milioni di euro attuali (anno 2006)] nei diciannove anni di papato dello
zio…» (cfr. Deschner K.: «Ein Jahrhundert Heilsgeschichte. Die Politik der Päpste im Zeitalter der
Weltkriege: von Pius XII», Band II, Reimbek bei Hamburg, 1983)!
Il Papa Giovanni XXIII bis (1958-1963), al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, per la sua
attiva ed appassionata benevolenza verso gli “emarginati” di ogni genere, dal popolo romano fu
acclamato come “er papa buono” di cui, dallo stesso popolo, ne fu auspicata la futura
beatificazione. Tuttavia, «… per fermarne il processo di beatificazione, i tradizionalisti della Curia
vaticana pensarono bene di riesumare l’antica diceria secondo la quale monsignor Roncalli,
allorquando era Nunzio apostolico in Turchia, avrebbe intrattenuto una relazione sessuale con un
suo domestico […]. I tratti autoritari e dispotici dell’Eminenza isterica si facevano melliflui e
insinuanti di ammiccante melensaggine non appena egli era circondato dalla sua personale corte:
una specie di Arca biblica stipata di giovinetti di varia taglia, però tutti minorenni e dello stesso
sesso. Bisognava vederla, l’Eminenza non più isterica, in mezzo a frotte di fanciulli come chioccia
coi pulcini: li coccolava, li carezzava, li baciava, li titillava, li abbracciava senza risparmio. […].
Alcuni ragazzini del preseminario cominciarono a lamentare attenzioni di tipo morboso, e molestie
di tipo sessuale, da parte del Porporato, che vennero subito riferite dal loro Sacerdote ai piani alti
della Segreteria di Stato. Ne sortì un provvedimento immediato: i fanciulli vennero zittiti, e il loro
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Sacerdote indotto a lasciare il Vaticano. Unico dato positivo: L’Eminenza, sempre più isterica,
ridusse la sua capiente Arca biblica trasformandola in una barchetta biposto, e moderò
sensibilmente le sue straripanti e pelose affettuosità. Che tuttavia ― pur ridotte di quantità e
intensità ― non cessarono del tutto. Così fu poi la volta di un giovane prete veneto dalle fattezze
efebiche, il quale lamentò in Segreteria di Stato le pressanti attenzioni, con affettuosità spinte,
rivoltegli da quello stesso Porporato: venne accusato di mitomania e di morbosità proiettive, e
dovette cambiare aria…» (cfr. I Millenari: «Fumo di Satana in Vaticano», Milanono, 2001).
Il Papa Paolo VI (1963-1978), figlio di un imprenditore e banchiere bresciano, inizia il suo
pontificato col dover risolvere un grave problema finanziario. Per tale motivo, nel 1964 non esitò a
reintegrare Padre Pio da Pietrelcina (1887-1964), che dal Santo Uffizio il 31 maggio 1923 era stato
ufficialmente smascherato come truffatore, in cambio del passaggio di proprietà alla Santa Sede
delle sue enormi attività finanziarie. Nel contempo non si fece scrupolo di intraprendere anche
attività illecite ben illustrate da Guarino (1998) come segue: «…sulle casse papali incombe
l’incognita della nuova legislazione fiscale italiana, che dal dicembre 1962 impone una tassazione
fino al 30% dei profitti derivanti dai dividenti azionari. Per le sue speculazioni sui mercati azionari,
il Vaticano pretenderebbe un regime di totale esenzione fiscale […]. La questione è oggetto di una
delicata trattativa diplomatica che si protrarrà negli anni, sia per l’instabilità dei governi italiani sia
per il tenace rifiuto Vaticano di rispettare la legge. Il contrasto si risolve nel 1968, quando il
governo conferma che il Vaticano è tenuto a pagare le tasse sui profitti azionari ed entro fine anno
dovrà cominciare a versare il dovuto pregresso (circa 240 miliardi di lire dell’epoca [equivalenti a
circa 1.200 milioni di euro attuali]. A quel punto la Santa Sede decide di correre ai ripari spostando
fuori dall’Italia il suo patrimonio azionario per sottrarlo alla tassazione dell’Erario italiano.
L’operazione al limite della legalità, viene affidata alle alchimie societarie di un finanziere siciliano
attivo a Milano, amico di Paolo VI e suo “consulente”, già in affari col Vaticano, e con solidi
legami negli USA: Michele Sindona. […]. Tanto cattolico quanto spregiudicato, Sindona si era
specializzato nella remunerativa pratica dell’elusione fiscale, studiando a fondo i paradisi fiscali
europei […]. Nel 1955 Sindona aveva attuato una serie di speculazioni edilizie nella periferia di
Milano ed in quella occasione era entrato in contatto con l’arcivescovo Giovanni Battista Montini
(il futuro Paolo VI). […]. Sindona, a quel punto, era divenuto il “consulente finanziario” della curia
milanese: non solo uomo di fiducia di Montini, ma legato anche a Monsignor Pasquale Macchi, il
potente segretario dell’alto prelato. I rapporti ecclesiali di Sindona non si erano limitati
all’arcidiocesi milanese, ma erano arrivati fino in Vaticano. Nel 1960 Sindona aveva raggiunto lo
status di banchiere proprio attraverso un affare concluso con la banca del papa […]. Nel 1963,
quando era sceso al soglio di Pietro, Montini aveva insediato in Vaticano anche Monsignor Macchi
ed altri esponenti della Curia lombarda: una cerchia di collaboratori che negli stessi ambienti era
stata ribattezzata “mafia milanese”, perché tra essi c’era il consulente esterno in odore di mafia
Michele Sindona. Paolo VI, infatti, alle prese con le difficoltà economiche del Vaticano, era
intenzionato a rafforzare ed espandere il potere finanziario della Santa Sede ed aveva affidato il
compito all’amico Sindona, affiancandolo all’esperto di finanza vaticana Massimo Spada e ai
dirigenti dello Ior Luigi Pennini e Pellegrino De Strobel. Nella seconda metà degli anni sessanta
Sindona non si occupa solo della finanza vaticana. È anche il consulente tributario, per esempio del
boss mafioso italo-americano Joe Doto […]. Sindona si reca negli Stati Uniti […] ed a New York
viene accolto dalla famiglia mafiosa di don Vito Genovese. Per conto del clan Genovese, Sindona si
occupa di alcune società predisponendo canali per il riciclaggio dei proventi illeciti. Consulente del
Vaticano e della mafia italo-americana, il finanziere siciliano brucia le tappe anche negli USA ed in
breve diviene un protagonista del mercato finanziario nordamericano. […]. Sospettato negli USA di
essere coinvolto nel traffico internazionale di stupefacenti e legato ad ambienti mafiosi, in Italia il
chiacchierato Sindona può dedicarsi indisturbato ai suoi loschi traffici finanziari. Può farlo grazie
agli ottimi rapporti instaurati con la Democrazia Cristiana ed alle credenziali che gli derivano
dall’essere legato al Vaticano e personalmente al papa. Un legame, quest’ultimo, che nel 1968 si fa
strettissimo. Infatti Paolo VI, intenzionato ad eludere la legislazione fiscale italiana sottraendo alla
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tassazione l’ingente patrimonio azionario Vaticano, affida la delicata incombenza al finanziere
siciliano, il quale non tradisce le aspettative del pontefice ― tanto che «…Paolo VI avrebbe
definito Sindona, con il suo piano per moltiplicare i capitali vaticani così come Cristo aveva
moltiplicato i pani e i pesci, “un uomo mandato da Dio”…» (cfr. Willey D. : «God’s Politician»,
London, 1992) ― “Sindona spiega al Santo Padre il suo piano: trasferire gli investimenti
dall’Italia nel mercato degli eurodollari tramite una rete di banche off-shore [= residenti nei
“paradisi Fiscali”]. Il Papa […] consegna a Sindona un documento, da lui stesso firmato, che gli
affida il controllo degli investimenti del Vaticano all’estero. I due si inginocchiano e pregano. Poi
Sindona prende la mano di Paolo VI e bacia l’anello del Papa” [Cfr. Di Fonzo L.: «Saint Peter’s
Bank», New York, 1983]. Ma è necessario che al regista esterno Sindona corrisponda all’interno del
Vaticano un referente altrettanto abile e spregiudicato. Così Paolo VI provvede ad insediare al
vertice dello IOR un prelato di assoluta fiducia e dai molti talenti: monsignor Paul Casimir
Marcinkus. […] La carriera di Marcinkus è simile a quella di Sindona: folgorante. Nel dicembre
1968 Paolo VI lo nomina vescovo della diocesi di Orte, e di lì a poco gli viene affidata la presidenza
della banca vaticana. […]. Nella primavera del 1969 il duo Sindona-Marcinkus si attiva per alienare
uno dei più importanti cespiti vaticani, la Società Generale Immobiliare (SGI), da anni fiore
all’occhiello dello IOR, che ne detiene il controllo con il 38% del capitale (un valore Stimato più di
30 miliardi dell’epoca [corrispondenti a circa 15.000 milioni di euro attuali]). […]. Sindona compra
solo una piccola parte di quel 38% di azioni della SGI, mentre Marcinkus parcheggia le rimanenti
azioni dello IOR in una società domiciliata nel paradiso fiscale lussemburghese, sottraendole così
alla tassazione del Fisco italiano. I maneggi del duo Sindona-Marcinkus intorno alle azioni SGI di
proprietà dello IOR sono comprensivi di una truffa […] che diviene evidente […]. Con l’operazione
SGI, il duo Sindona-Marcinkus dà l’avvio ad una lunga serie di intrichi societari, artifici contabili,
speculazioni, elusioni ed evasioni fiscali. Scorribande finanziarie alle quali ben presto si unisce un
terzo personaggio: il banchiere cattolico e massone Roberto Calvi. […]. Con l’insediamento di
Calvi alla guida del Banco Ambrosiano, l’originale progetto del Vaticano di sottrarsi all’Erario
italiano diviene molto più ambizioso. L’obiettivo strategico è di costruire un polo finanziario
cattolico capace di competere con la finanza laica internazionale, in grado di salvaguardare gli
interessi temporali di Santa Romana Chiesa ma anche influenzare gli assetti politici occidentali in
chiave anticomunista Un progetto che sembra tagliato su misura per il fiduciario del pontefice
Michele Sindona, il quale non è solo un finanziere di successo: è anche legato alla Democrazia
Cristiana italiana, a importanti esponenti dell’Amministrazione USA, alla mafia italo-americana e a
settori della massoneria internazionale, tutte entità unificate dalla comune matrice anticomunista
[...]. Per realizzare l’ambizioso programma è indispensabile l’apporto del Banco Ambrosiano,
quella banca dei preti con sede a Milano che, infatti, sotto la guida di Calvi, diverrà ben presto il più
importante istituto di credito privato d’Italia, assumendo una posizione di rilievo nel gotha
finanziario internazionale. […]. È l’inizio di una spericolata ragnatela societaria tessuta dalla triade
Sindona-Marcinkus-Calvi secondo lo schema delle “scatole cinesi” […]. Fin dall’inizio, il
sodalizio fra i tre banchieri cattolici si configura come una specie di mutua associazione a
delinquere. Sindona accresce il proprio impero, e riesce a ripulire ed a occultare gli ingenti capitali
affidatigli dalle cosche mafiose siculo-americane. Calvi utilizza i capitali dell’Ambrosiano per
acquistare in proprio pacchetti azionari sempre più consistenti del Banco allo scopo di divenirne il
proprietario. Marcinkus riesce a sottrarre il patrimonio vaticano alla tassazione del Fisco italiano, ed
a sviluppare gli interessi temporali del papato. Ma per le casse della Chiesa Cattolica ci sono anche
concreti vantaggi aggiuntivi: lo IOR, oltre a lucrare cospicue commissioni sulle vorticose
operazioni che la triade va tessendo, ricava ingenti profitti dall’illegale esportazione di capitali
italiani all’estero. Una pratica, quest’ultima, che la banca del papa può attuare grazie alla
extraterritorialità dello Stato del Vaticano rispetto all’Italia, e che lo stesso Sindona racconterà così:
“Lo IOR apriva un conto corrente con l’istituto di credito italiano che voleva esportare in nero. Il
cliente della banca italiana depositava i soldi liquidi sul conto, e lo IOR provvedeva ad
accreditarglieli all’estero, nella valuta e presso la banca che gli erano state indicate. Nell’eseguire
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l’operazione, lo IOR distraeva una commissione poco più alta della normale. […]. Il vescovo
Marcinkus, si convinse che il sistema usato dallo IOR per esportare fondi fosse una specie di delitto
perfetto” [(29)]. Nelle loro scorrerie finanziarie, Sindona e Marcinkus, nel periodo 1971-73,
arrivano a maneggiare obbligazioni falsificate di provenienza mafiosa per un miliardo e mezzo di
dollari [= circa trenta miliardi di euro attuali (2005)]. […]. Nei primi mesi del 1974 il mercato
azionario internazionale attraversa una congiuntura negativa. Sindona deve fronteggiare un generale
ribasso delle quotazioni delle sue società ed una grave crisi di liquidità: l’effetto congiunto dei due
problemi potrebbe provocare contraccolpi fatali all’ambiguo impero finanziario costruito dal
consulente personale di Paolo VI. Per uscire dalla difficile situazione, Sindona conta sull’aiuto dei
suoi padrini politici italiani ed americani, la destra clericale Democrazia Cristiana di FanfaniAndreotti e l’Amministrazione Nixon. […]. Benché il finanziere siciliano abbia versato nelle casse
della Dc 2 miliardi [= circa 20 milioni di euro attuali (2005)] per sostenere la campagna referendaria
antidivorzista fortemente voluta dal Vaticano, il 12 maggio la Democrazia Cristiana esce sconfitta
dal responso delle urne e deve affrontare una difficile crisi politica. […]. Senza la copertura politica
che fino a questo momento gli ha garantito complicità e connivenze sia in Italia sia negli USA, la
situazione di Sindona precipita. […]. In un’appunto riservato del SID (il Servizio Segreto Italiano),
datato 13 gennaio 1975, si legge che “la situazione contabile [di Sindona] registra un ‘buco’
valutato in circa 700 miliardi [=circa 14 milioni di euro attuali (2005)]” [(30)]. Il crac dell’impero
sindoniano, in effetti è un grave insidia ― finanziaria e giudiziaria ― anche per i due soci-partner
IOR e Banco Ambrosiano; monsignor Marcinkus e Calvi, per fronteggiare l’emergenza,
incrementano le loro spericolate operazioni finanziarie [(31)]. […]. Il 6 agosto 1978 muore Paolo
VI. La scomparsa di Papa Montini, ispiratore della triade Sindona-Marcinkus-Calvi, è un altro duro
colpo alle superstite speranze sindoniane. Un colpo che diviene definitivo con l’elezione del nuovo
papa. […]. Appena eletto, al nuovo papa, Giovanni Paolo I si rivolge il Giornalista Paolo Panerai
[…] con un’accorata lettera aperta nella quale scrive: “Vostra Santità, è giusto che il Vaticano operi
sui mercati come un’agente speculatore? È giusto che il Vaticano abbia una banca che interviene
nei trasferimenti illegali di capitali dall’Italia in altri Paesi? È giusto che quella banca aiuti gli
italiani ad evadere il Fisco?” […]. Il settimanale “Op”, diretto da Mino Pecorelli, sotto il titolo
“La Gran Loggia Vaticana” pubblica l’elenco di 121 nomi di esponenti vaticani affiliati alla
massoneria; nella lista, oltre ai nomi di alti prelati, compaiono quelli di Paul Marcinkus e di Donato
De Bonis (braccio destro del presidente dello IOR). […]. Dopo aver disposto un’inchiesta sulla
presenza di massoni tra le gerarchie vaticane. Il 28 settembre Giovanni Paolo I affronta con il
segretario di Stato Joan Villot la scabrosa questione-IOR: “Luciani avvertì Villot che Marcinkus
doveva essere trasferito subito. Non tra una settimana o un mese: il giorno seguente […]. Luciani
gli disse ‘Ci sono altri cambiamenti all’interno dello IOR che devono essere operati
immediatamente. Pennini, De Strobel e monsignor De Bonis devono essere sostituiti subito […].
Voglio che siano interrotti tutti i nostri rapporti con il Banco Ambrosiano’ […]”. La mattina del 29
settembre ― poche ore dopo il colloquio con Villot e le disposizioni papali in merito allo IOR ―
Giovanni Paolo I viene rinvenuto cadavere. Una morte improvvisa e per più aspetti misteriosa
[(32)], seguita da una frettolosa imbalsamazione: per decisione del cardinale Jean Villot, il cadavere
del pontefice non viene sottoposto ad
autopsia [(33)]. Il 16 ottobre 1978 il conclave elegge
papa il cardinale polacco Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II). Nel segno della piena continuità con
Paolo VI, Wojtyla non attua alcuno dei cambiamenti decisi da Luciani. Così “Marcinkus, aiutato da
Pennini, De Strobel e monsignor De Bonis, continuò a dirigere la Banca vaticana e continuò a far
sì che le attività criminali col Banco Ambrosiano prosperassero. Calvi e i suoi maestri della P2,
Gelli e Ortolani, furono liberi di continuare nei loro furti e nelle loro frodi con protezione [dello
IOR]”. Papa Wojtyla diventerà un estimatore di Marcinkus: nel settembre 1981 lo promuoverà
arcivescovo, e gli affiderà l’ulteriore incarico di vicegovernatore dello Stato della Città del
Vaticano. All’inizio del 1982, inoltre, Giovanni Paolo II si appresterà a nominare Marcinkus
cardinale, ma il presidente dello IOR non avrà l’onore della porpora, proprio a causa degli strascichi
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giudiziari del più grave scandalo della storia di Santa Romana Chiesa…» (cfr. Guarino M.: «I
mercanti del Vaticano. Affari e scandali: l’industria delle anime», Milano, 1998).
Il Papa Giovanni Paolo II (1978-2005), che il noto antropologo Alfonso Maria Di Nola
(docente di storia delle religioni) ha definito “papa mediocre, di scadente livello intellettuale,
incapace di affrontare la gravità dei tempi perché passa da impensate aperture a chiusure
ideologiche tipiche della teologia medievale”; ma, come sottolinea Guarino (1998),
«…popolarissimo e carismatico grazie ad un’immagine mediatica che ne ha fatto un Pontefice-divo:
“È bello, è forte, è un divo, smuove gli istinti di Eros e di Vita, libera la Chiesa da tetraggini,
sembra aperto al mondo perché ha una piscina e va a sciare”. Un papa “medievale” ammantato di
“modernità”, che in attesa di celebrare “il primo Giubileo dell’era telematica” (parole sue) ha
deciso qualcosa che nessun suo predecessore aveva osato: concedere lo stemma del Vaticano per
pubblicizzare prodotti commerciali. È accaduto nell’ottobre 1995, dopo l’ultima sua visita negli
Stati Uniti. In pratica il papa ha autorizzato alcune aziende ad utilizzare lo stemma pontificio a
scopo commerciale. Secondo il quotidiano finanziario Americano “Wall Street Journal”, il mercato
USA verrà presto invaso da una serie di oggetti targati Vaticano: magliette, cartoline, gioielli,
orologi, gadget d’ogni tipo. La spudorata operazione commerciale, reclamizzata con spot
pubblicitari, è curata dall’Archivio Vaticano. Si calcola che il giro d’affari porterà nelle casse dello
IOR circa 20 milioni di dollari l’anno [di dieci anni or sono]…» (cfr. Guarino M.: Op. cit., Milano,
1998). Egli protegge spudoratamente lo spregiudicato monsignor Paul Marcinkus «…che per
volontà del Santo Padre viene confermato alla presidenza dello IOR. Una decisione
inspiegabile [(34)], che suscita sconcerti in Vaticano e polemiche in Italia, ma che riaccende le
superstiti speranze di Michele Sindona. […]. Il finanziere […] organizza l’omicidio del liquidatore
della Banco Ambrosiano, Giorgio Ambrosoli. L’11 luglio 1981, a Milano, dopo aver testimoniato di
fronte agli investigatori americani in merito alla documentazione sindoniana che ha scoperto
durante la procedura liquidatoria, Ambrosoli viene fatto assassinare dal killer di “Cosa nostra”
William Aricò. […]. Ad agosto Marcinkus convoca Calvi in Vaticano e gli detta le condizioni per
un accordo che favorisce lo IOR, ma che il presidente dell’Ambrosiano non può rifiutare. Calvi è
costretto a sottoscrivere una lettera di manleva con la quale si addossa tutte le responsabilità per le
operazioni passate, presenti e future dell’Ambrosiano, liberando Marcinkus e la banca del papa da
ogni possibile addebito; in cambio lo IOR fornisce al presidente del banco Ambrosiano alcune
lettere di patronage garantendo le posizioni debitorie di una serie di società estere dell’Ambrosiano.
L’accordo-capestro ha un termine: il 30 giugno 1982, data dopo la quale Calvi si impegna a pagare
allo IOR una penale di circa 300 milioni di dollari [= a circa 30.000 milioni di euro attuali (2005)],
somma che libererà definitivamente lo IOR. In pratica Marcinkus accorda a Calvi dieci mesi di
tempo per salvare la situazione dell’Ambrosiano fornendogli documenti utili per tranquillizzare i
mercati e per trovare nuovi partner e nuovi capitali; nel frattempo, lo IOR deve essere liberato dal
ginepraio debitorio che ha contribuito a creare nelle casse della società dell’Ambrosiano. […]. Il 9
giugno Roberto Calvi si dà alla fuga. Il 17 giugno si svolge l’ultima drammatica riunione del
consiglio di amministrazione dell’Ambrosiano […]. Il giorno successivo, 18 giugno, Roberto Calvi
viene rinvenuto cadavere a Londra, impiccato sotto il Black Triars Bridge [(35)]. Alla fine del
giugno 1982, i commissari insediati al vertice dell’Ambrosiano rilevano come gran parte dei crediti
riguardano la costellazione di società estere legate allo IOR; si rivolgono quindi a Marcinkus,
invitando la banca del papa a onorare i debiti. Ma il presidente dello IOR è irremovibile: non
intende sborsare un soldo. […]. Benché non ritenga di dover onorare i propri impegni debitori
esteri, lo IOR subisce un grave nocumento […]. Al punto che deve mobilitarsi in prima persona il
Santo Padre. Wojtyla annuncia infatti che il 1983 sarà proclamato Anno Santo straordinario [(36)]:
una decisione del tutto estranea ad esigenze spirituali, ma dettata dalla necessità di fare affluire
denaro contante [Fig. 7, 8, 9] nelle esangui casse della Santa Sede [tanto da non esitare nel 1991
― in conformità a quanto sostenuto nel 1986 dall’arcivescovo Paul Marcinkus allorché ebbe a
dichiarare in un’intervista che “…non si può governare la Chiesa con le Ave Maria…” (cfr.
l’OBSERVER del 25 maggio 1986) ― a ricorrere persino all’illecito riciclaggio di “parte della
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maxitangente dell’Enimont” (Fig. 10)!]. […]. Grazie al complice avvallo di papa Wojtyla [grato per
il trasferimento dei fondi del Banco Ambrosiano in Polonia per sostenere Solidarnosc (Fig. 11)],
Marcinkus rimarrà insediato al vertice dello IOR fino al 19 giugno 1989, quando lascerà la guardia
della banca papale e l’Italia per ritornarsene nella natìa Chicago. Il 16 aprile 1992 il Tribunale di
Milano comminerà pesanti pene detentive per la bancarotta fraudolenta: ma tra i condannati
mancherà il nome di monsignor Paul Casimir Marcinkus…» (cfr. Morgan-Witts M., Thomas G.:
«Pontiff», Garden City, 1983). Anche il Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) è stato l’ennesimo
«…capo di una monarchia assoluta distintasi nei secoli per la sua barbarie. La Chiesa che ha
perpetrato e benedetto il massacro di milioni e milioni di uomini e donne torturate, bruciate, uccise
in nome della croce [nonostante ciò, Papa Giovanni Paolo II non si è vergognato di esibirsi fra una
miriadi di croci, come documentato dalla Fig. 12] non è il ricordo di un passaggio ormai rinnegato,
ma ha trovato in Wojtyla un degno epilogo. Karol Wojtyla in 27 anni si è distinto per le sue scelte
reazionarie e per la drastica ostracizzazione di numerosi eminenti teologi e sacerdoti dissenzienti
alle sue dispotiche direttive (37). Egli è stato responsabile della diffusione dell’AIDS in Africa dove
la pubblicizzazione e l’uso dei preservativi avrebbero potuto salvare dalla malattia milioni di
persone, fra cui tantissimi bambini [(38)]. Egli ha dato copertura al dittatore, torturatore ed
assassino cileno Augusto Pinochet, al quale ha stretto la mano durante un viaggio nel martoriato
paese sudamericano, nelle cui carceri vivevano straziati migliaia di oppositori politici. Non una
parola per le vittime ma benedizioni per il carnefice e la sua famiglia. Egli ha indossato le vesti
della pecora e quella del lupo a seconda degli interessi dell’organizzazione di cui è stato sovrano.
[…] Egli sostenne e giustificò le guerre che hanno insanguinato la ex Jugoslavia. Con la Croazia
cattolica, contro musulmani e ortodossi, il papa dell’“ecumenismo religioso” ha fatto santo
Stepinac, il cardinale che a fianco dei fascisti croati si schierò con Hitler, “inviato da Dio” e
benedisse le innumerevoli atrocità perpetrate dagli ustascia [nazionalisti croati ribelli-combattenti]
con la complicità delle truppe di occupazione italiane. Egli ha protetto e sostenuto il Cardinale Pio
Laghi, già Nunzio Apostolico in Argentina ai tempi della dittatura che massacrò 30.000 persone.
Pio Laghi benedisse e coprì i torturatori e gli assassini. Egli è stato il capo di una multinazionale
con interessi ramificati in tutto il mondo e redditi elevatissimi in un pianeta dove la maggioranza
della popolazione sopravvive con meno di due dollari al giorno. Egli, un “paladino della vita” che
ha mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti della pena capitale, è stato l’artefice di una
cultura di oppressione. Una cultura che vorrebbe la mortificazione della vita delle donne,
condannate a partorire ad ogni costo bambini malformati o destinati alla morte per fame. Una
cultura che preferisce una vita di dolore ad una vita di gioia e salute, una cultura che criminalizza
gli omosessuali, che trasforma il desiderio e l’amore in colpa, che difende chi non è nato e
perseguita i vivi. Egli ha santificato i preti spagnoli che si schierarono in armi con le truppe del
Cattolico-fascista Francisco Franco. Questi santi martiri volevano rinverdire i fasti della chiesa di
Torquemada e dei quemaderos, i “forni collettivi” dove gli eretici erano cotti a fuoco lento…» (cfr.
Art. «Sulla morte di Karol Wojtyla», diffuso dalla Commissione di Corrispondenza, F.A.I., 2005).
Infine, si devono ricordare gli assassini commessi in Vaticano il 4 maggio 1998. A riguardo Vergès
e Brossolet (2002) documentano quanto segue: «…Il 4 maggio del 1998, in Vaticano, vengono
trovati i corpi di Cédrtic Tornay e dei coniugi Estermann, nel domicilio di quest’ultimi, situato sotto
le finestre degli appartamenti privati del Papa. I tre sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco. Il
vicecaporale della Guardia svizzera pontificia Cédrtic Tornay ha la testa attraversata da una
pallottola. Non esiste alcun testimone diretto, oculare o acustico, di questi colpi di arma da fuoco
che stranamente non sono stati sentiti dalle persone presenti in Vaticano […], la Santa sede, con
sollecitudine perlomeno sospetta, proclama la sua versione […]. Cédrtic Tornay avrebbe ucciso i
coniugi Estermann per poi suicidarsi. […]. La madre di Cédrtic Tornay, signora Baudat, […] è
presa dal dubbio; gli elementi i quali smentiscono che suo figlio sia diventato un assassino prima di
sopprimersi si moltiplicano. In Vaticano si tenta di influenzarla, ma invano. Quando lei decide di
esprimersi attraverso i media, non si esita ad intimidirla, ma senza risultato. Quando tenterà, a più
riprese, di conoscere gli atti dell’inchiesta per verificare la serietà e l’ampiezza delle indagini, si
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vedrà opporre rifiuti pretestuosi. La giustizia vaticana ritiene che la madre non debba conoscere gli
elementi in base ai quali suo figlio viene accusato di un omicidio! Ma la signora Baudat non si è
scoraggiata; benché isolata, è riuscita a raccogliere numerose informazioni che rimettono in
discussione la tesi ufficiale. Con rimarchevole coraggio ha rifiutato il diktat [=l’imposizione] del
vaticano, determinata ad ottenere la riapertura dell’inchiesta. […]. Lo stupore cede il passo
all’indignazione. Le istituzioni giudiziarie dello Stato del Vaticano, in pieno accordo con la Santa
Sede, hanno operato un puro e semplice sequestro delle circostanze della morte di Cédric.
L’intangibile diritto dei congiunti di essere informati nel dettaglio, è stato sostituito dall’obbligo di
fede loro richiesto. Il messaggio è stato chiarissimo: saprete solo quello che riterremo di dirvi,
variante della nota formula poliziesca “Circolare non c’è niente da vedere” con sovrappiù di
manipolazione. […]. Credete nelle nostre affermazioni, pur incoerenti ed autoritarie, senza discutere
il segreto del quale ammantiamo le nostre presunte prove! Qualunque sia stato lo svolgimento dei
fatti, questa estrema segretezza procedurale suscita nuovo scandalo. […]. Perché non comunicare
alla Baudat gli esiti dell’autopsia giudiziaria di suo figlio, se non si teme che possa essere
contraddetta? Perché porre sotto sigillo i rilievi tecnici dell’inchiesta […] effettuati subito dopo la
scoperta dei corpi? […]. Per consuetudine, ogni richiesta indirizzata al Papa riceve una risposta, sia
essa interlocutoria o semplice pro forma. In questo caso, niente più che il silenzio, purtroppo
confinante con il disprezzo. A meno che non riveli l’immenso imbarazzo avvertito in Vaticano. Non
si prova più compassione per la sofferenza ed il dolore del prossimo? […]. Il silenzio del Santo
Padre non lascia alla signora Baudat altra soluzione che rendere pubblica l’istanza. […]. Perché si
sono voluti eliminare i coniugi Estermann? Esiste un legame fra il dramma del 4 maggio […] e il
caso Orlandi? [….]. Si tratta semplicemente di dimostrare che l’inchiesta vaticana è stata ben lungi
dall’essere esaustiva, e che Cédrtic Tornay non solo è innocente del duplice delitto che gli è stato
attribuito, ma più ancora è stato anche lui ucciso. […]. Fin dall’inizio della vicenda, la giustizia
vaticana ha dato prova di ostruzionismo. Per prima cosa ha rifiutato la costituzione di parte civile
della madre di Cédrtic Tornay, poi ha negato la partecipazione dei suoi primi avvocati allo
svolgimento dell’inchiesta ed, infine, l’accesso e la trasmissione del dossier, anche dopo la chiusura
e l’archiviazione della procedura. Non si può che prendere atto della volontà accanita ed incessante
del Vaticano di impedire che possa essere fatta luce su una vicenda, manifestamente sbarrata sotto
la pressione della “Ragion di stato”. […]. Consapevole o no, Giovanni Paolo II rimane sovrano e,
nel caso specifico, magistrato supremo di uno Stato dove si assassina impunemente la gente, dove la
ricerca della verità è condizionata da interessi di regime, dove la giustizia si basa su espedienti e su
farse, dove i diritti più elementari della persona non sono che parole, dove le vittime e le loro
famiglie non hanno neppure diritto al più elementare rispetto. Che l’apatia di Giovanni Paolo II si
basi su una volontà personale o su una decisione presa per lui dal suo enturage, il Santo Padre porta
e porterà la responsabilità di un’ingiustizia stridente, tanto più vergognosa in quanto ammantata di
uno sprezzante silenzio…» (cfr. Vergès J., Brossollet L.: «Assassini in Vaticano, 4 maggio 1998»
Ed. it., Milano, 2002). Si pensi che pontefice Giovanni Paolo II (1978-2005), con ogni evidenza per
trarne vantaggi, oltre ad ostentare con grande teatralità, in ogni occasione, atti estremi di recitata
umiltà (Fig. 13, 14), ha persino avuto l’ardire di chiedere “perdono” per gli errori commessi dalla
Chiesa (Fig. 15) e per tutte le atrocità commesse dal “Cristianesimo Cattolico” in passato, e che
impunemente continua a commettere in presente e continuerà a commettere in futuro! Ciò
nonostante questo pontefice sarà santificato ad onorem per chiara fama coram populi, proprio da
quel popolo ingenuo, abilmente plagiato ed indotto al fanatismo (Fig. 16, 17), da lui continuamente
incrementato, con notevoli vantaggi esclusivamente per l’associazione dei santificatori! Sotto il
pontificato del papa Giovanni Paolo II (1978-2005) in Italia «… si denuncia da più parti un
cedimento sempre più evidente dello stato di fronte al prepotere della chiesa cattolica, rappresentata
dal più intollerante, fanatico e reazionario papa degli ultimi tempi, il polacco Karol Wojtyla. Quel
che fa paura è che anche i classici politici ed intellettuali laici mostrano uno strano, malsano e
infondato rispetto per tale persona e per i suoi cortigiani anche nei casi di pesanti intromissioni di
costui in faccende che non sono di sua competenza. Egli può certo parlare ai cattolici e chiedere
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loro quel che vuole, ma non può pretendere, come fa, che lo stato accetti le sue visioni “morali” e
le trasformi in leggi. Perché fare questo significa perpetrare un atto assoluto di prepotenza, molto
duro e violento […]. Lo stato dovrebbe rivendicare per sé una dignità e un’autorità che non è mai
inferiore a nessuna chiesa e a nessun papa, di cui deve respingere con fermezza ogni minima
ingerenza. Non si capiscono quindi tutti questi toni […] da conniventi malfattori che si nascondono
nell’oscurità. […]. E non si capiscono tutti gli sbavamenti dei media televisivi nazionali ― pagati
da tutti i 60 milioni o giù di lì di italiani ― intorno a questo papa. Un esempio: “Week end di
sangue sulle strade italiane”. Commento alla TV: “Anche il papa, durante l’angelus domenicale,
ha raccomandato la prudenza nelle strade”. Caspita, che acume! Chi ci poteva arrivare se non un
ispirato direttamente dallo spirito santo! Non c’è telegiornale che non parli del papa, ogni passo che
muove è mostrato, ogni parola che dice è riportata. Bisogna riconoscere che questo polacco e la sua
corte hanno grandi doti di recitazione e di presenzialismo. Vengono confezionate e trasmesse
fictions, che colano di raccontato buonismo, su preti, su suore, su Lourdes […] [ma basti pensare
che la RAI trasmette, e con scrupolosa regolarità, soltanto le funzioni della religione cattolica (in
diretto collegamento con la Radio Vaticana) e nessuna funzione di ogni altra religione! Si pensi che
nella “Santa” “messa” (in c…, cioè in casa), trasmessa regolarmente ogni domenica dalla TV di
stato, la parola “signore” (39) ricorre in media ben settanta volte!]. […]. E così abbiamo un paese
allo sbando, nelle mani di politici veterocattolici che hanno le labbra deformate a furia di baciare
mani papali […]. Gli italiani, perfettamente educati dalla chiesa cattolica, amano i potenti e i
vincenti, anche se disonesti, piuttosto che i perdenti, anche se giusti. […]. Karol Wojtyla, il papa
cattolico più oscurantista degli ultimi decenni, in un suo recente viaggio nel Sinai, al monastero di
santa Caterina, ha detto (20-02-2000): “Il mondo non ha futuro senza i Dieci Comandamenti”.
Bastano queste parole per far capire come funziona il cervello di un prete: questi è una persona che
riduce la fede […] in una sorta di contratto commerciale, in un do ut des, dove l’uomo per avere
qualcosa da Dio (come la vita eterna […] o il perdono delle colpe, o più possibilmente una vita
terrena prospera e felice) deve dargli qualcosa in cambio, pena la punizione…» (cfr. Il Viandante:
«Qualche considerazione» di un lettore anonimo incaricato dell’Editore, poste alla fine del Tomo I
dell’Ed. it. ― Ariele, Milano, 2000 ― di Deschner K.: «Kriminalgeschichte des Christentums»
Band I, Reinbek bei Hamburg, 1986).
Il Papa Benedetto XVI (2005), Joseph Ratzinger, nominato fin dal 25 novembre 1981
prefetto della “Congregazione per la dottrina della fede” (ex “Sant’Uffizio” ossia l’antica “Santa
Inquisizione”), è stato candidato alla successione di Giovanni Paolo II (1978-2005) soprattutto per
opera dell’inarrestabile congregazione reazionaria “Opus Dei” (in Vaticano definita “Santa
Piovra”!). A dimostrare la mentalità “dispotico-dittatoriale” del pontefice Benedetto XVI (2005)
basta ricordare quanto segue: «…A metà marzo 1986, braccio destro del papa, privò padre Charles
E. Curan della licenza d’insegnamento. […]. L’affermazione di Ratzinger secondo cui Curran “non
possiede assolutamente i requisiti” per insegnare in un Istituto Cattolico era un altro colpo
d’avvertimento sparato per i pensatori di spirito indipendente. Ratzinger ha, inoltre, messo agli atti
che i Cattolici leali debbono obbedire non soltanto ad un determinato precetto, ma anche all’intera
dottrina magistrale così com’è espressa dal papa. […]. I vescovi non possono essere indipendenti o,
in parole povere, che i vescovi ed i teologi possono mettersi al servizio della verità soltanto
obbedendo al papa. Tacitamente il dissenso leale, per il Vaticano, come per il Cremlino è una
contraddizione in termini. […]. Più di una volta Ratzinger ed il Generale dei Gesuiti di Roma
dissero a Sweeney di bruciare gli esiti delle sue ricerche o di lasciare l’Ordine. Sweeney, Gesuita da
ventiquattro anni, ritenne che la sua unica possibilità fosse quella di andarsene. Come avrebbe
potuto bruciare la verità? Quel tipo di obbedienza, affermo, “non è consona alla dignità umana”. È
difficile capire perché un eminente Gesuita debba essere costretto a lasciare l’Ordine non in
conseguenza di una devianza morale o dottrinale, ma per avere reso pubbliche le opinioni di alcuni
vescovi che hanno risposto liberamente alle sue domande. Il papa sembra terrorizzato all’idea che
qualcuno sappia cosa pensano veramente i vescovi, cioè i suoi vescovi. È questa l’immagine che
viene in mente: il papa considera i suoi vescovi come i suoi impiegati. Qualsiasi possa essere la loro
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opinione non devono comunicarla, ed egli solo parla per conto della Chiesa…» (cfr. De Rosa P.:
Op. cit., London, 1988). Il teologo dissidente Hans Kung, prima di essere silurato da Ratzinger, fece
appena in tempo a dichiarare “Per Ratzinger, oggi esiste al mondo un unico buon teologo: Joseph
Ratzinger. È l’orgoglio dell’uomo di potere che del potere si è impossessato” ed a dire che l’“Opus
Dei” consiste in “un’organizzazione segreta, un’istituzione teologicamente e politicamente
reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e
controriformisti”, tanto è vero che un ex-affiliato dell’organizzazione asserisce quanto segue: “Non
vi sono dubbi che l’obbiettivo dell’ ‘Opus dei’ è di conquistare il potere politico, bancario, militare.
Il sogno, la cospirazione machiavellica che muove gli uomini dell’ Opus è di entrare in tutti i
gangli vitali della vita del Paese, per condizionarli. […]. L’Opus è come una droga e fa anche male
alla salute mentale. Ci sono molti che hanno perduto la salute psichica vivendo dentro l’Opus. Ho
conosciuto personalmente due casi di persone che hanno avuto gravissime crisi psichiche”. Il 22
febbraio 1996 da Ratzinger, con altri eminenti personaggi della curia, fu fatta firmare al Papa
Giovanni Paolo II la Costituzione Apostolica “Universi Dominaci Graegis” che stabilisce per i
futuri conclavi l’annullamento del quorum dei due/terzi dei votanti alla trentaquattresima votazione
per favorire il principio della “semplice maggioranza” allo scopo di far prevalere i voti dei
numerosi cardinali appartenenti all’“Opus dei”, fatto che ha garantito l’elezione a pontefice di
Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) (40). Infine, la riprovevole mentalità dell’attuale pontefice
Benedetto XVI, tipica dei capi delle peggiori cosche mafiose, è rivelata da una sua lettera, scritta
nel 2001 quando era Cardinale, con la quale ordina ai Vescovi di tutto il mondo, pena la scomunica,
il diniego a collaborare alle inchieste giudiziarie sui preti pedofili (41), già distrattamente
scotomizzate dal suo predecessore Giovanni Paolo II (Fig. 18). Imponeva di mantenere il segreto e
di archiviare in silenzio i relativi rilievi scaturiti dalle loro investigazioni, nonostante i numerosi
episodi di sacerdoti pedofili fossero rivelate dai giornali di tutti i paesi. In tal modo «… Il Vaticano
cercava di arginare l’inchiesta sul potentissimo Marciel Degallado, messicano, fondatore dei
“Legionari di Cristo”, accusato di pedofilia dai suoi ex allievi. Il processo si era aperto in Texas nel
1997. Pubblico persino al riscontro di testimonianze, come quella di Padre Juan, ex seminarista di
Degallado: “Quante volte mi svegliava nel cuore della notte ed abusava della mia innocenza. Notti
di paura, notti di assoluto terrore”. Ratzinger scrisse (con perfetto rigore) che “casi del genere
sono soggetti al segreto pontificio”. Scrisse che si sarebbe dovuto aspettare la maggiore età delle
vittime e poi altri 10 anni prima di rivelare le accuse. Raccomandava cautela. Minacciava
scomuniche. Secondo l’avvocato texano Daniel Shea, si trattava di indicazioni così perentorie da
“costituire un intralcio alla giustizia”, reato che la giustizia americana considera assai grave.
L’intera storia, non ancora conclusa e continua negli sviluppi, è venuta a galla in questi giorni sui i
giornali britannici. Accresciuta in ragione degli eventi e dei protagonisti. Ratzinger è diventato
Papa. I “Legionari di Cristo” hanno moltiplicato il loro potere insidiando persino quello
dell’“Opus Dei”. La pedofilia dentro la Chiesa è un problema rimosso. Il danno si perpetua. Eppure
sui devoti fogli italiani nulla di nulla (ad eccezione dell’Unità). Nonostante lo spazio, e l’attenzione
per certi versi maniacale…» (cfr Art. nella Rivista “Vanity Fair”, p. 24, n. 18, 12 maggio 2005).
Nel 2005 Ratzinger, a seguito delle sue disposizioni imponenti la copertura dei reati di pedofilia
commessi dal clero, è stato incriminato da una Corte Distrettuale del Texas per“connivenza di
reato” ed “ostacolo alle indagini”. Tuttavia, essendo nel frattempo il cardinale Ratzinger divenuto
papa Benedetto XVI, il Ministero della Giustizia degli Stati Uniti ha decretato, in data 26 settembre
2005, l’archiviazione della relativa pratica, avendo in atto egli diritto all’immunità in quanto “Capo
di Stato”! Ma, nel contempo, papa Ratzinger ― come riferisce il Cardinale Tarciso Bertone nel
giornale “La Stampa” dell’1 maggio 2005 ― «…Ogni volta che incontrava un gatto, lo salutava e
ci parlava anche a lungo. […]. Una volta si è portato dietro fino in Vaticano una decina di felini.
Sono dovute intervenire le guardie svizzere…»!
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NOTE
(1) «…Quando Marozia divenne l’amante del Papa Sergio III (904-911) aveva quindici anni, mentre lui ne aveva
quarantacinque; gli diede un figlio alla cui carriera si sarebbe dedicata anima e corpo. Sergio morì cinque anni più tardi,
dopo un pontificato di sette anni costellato di delitti, intrighi e passioni. Marozia non avrebbe mai dimentico il primo
amore; dividere il letto con lui le aveva dato un senso di utilità e un’allegria che non poterono essere cancellate neppure
da tre matrimoni e da innumerevoli relazioni. Papa Sergio l’aveva sedotta per la prima volta nel palazzo del Laterano; le
loro strade si erano spesso incrociate perché la fanciulla aveva trascorso lì gran parte dell’infanzia, essendo figlia del
primo senatore di Roma, ma venne il giorno in cui Sergio si accorse che la bella bambina si era trasformata in una
donna stupenda. Marozia dal canto suo non cercava tanto il piacere tra le sue papali braccia quanto l’estasi del potere.
Sua madre, Teodora, aveva già fatto e distrutto due papi quando, contravvenendo alla legge cattolica, aveva preso per
mano l’amante preferito e da Vescovo di Bologna prima l’aveva fatto diventare Arcivescovo di Ravenna e poi l’aveva
condotto fino alla Cattedra di Pietro, come papa Giovanni X. […]. Papa Giovanni X (914-928) fece presente all’amante
Teodora che un matrimonio tra Marozia ed Alberico di Tuscolo avrebbe portato beneficio a tutti; Marozia, che sapeva
riconoscere una stella nascente, accettò e dall’unione nacque Alberico junior. Alberico senior, incitato dalla moglie
[Marozia], tentò di prendere il comando di Roma e restò ucciso. Papa Giovanni X costrinse la giovane vedova
[Marozia] a guardare il cadavere mutilato del marito, ma fu un errore perché Marozia era una grande esperta di
vendette. Alla morte di Teodora nel 928, Marozia fece imprigionare il pontefice [Giovanni X] ed ordinò che fosse
soffocato. […]. I due papi successivi [Leone VI (928) e Stefano VII (828-931)] ebbero un pontificato breve [essendo
stati fatti assassinare da Marozia per fare eleggere Papa il proprio figlio avuto dal Papa Sergio III (904-911), nonostante
fosse ancora minorenne, che assunse il nome di Giovanni XI]. Ma le ambizioni di Marozia non finirono. Morto il suo
secondo marito, Guido, ne sposò il fratellastro, re Ugo di Provenza. Fu una fortuna per Marozia che suo figlio fosse
papa; infatti costui dispensò da qualsiasi impedimento la coppia felice, compreso l’incesto. […]. Giovanni XI (931-936
celebrò il matrimonio di sua madre a Roma nella primavera del 932. Poi però tutto andò a rotoli per colpa del secondo
figlio di Marozia, l’invidioso Alberico junior che s’impadronì di Roma. Ugo di Provenza abbandonò la moglie e fuggì;
Alberico mise agli arresti permanenti il Papa Giovanni XI (931-936), suo fratellastro figlio di un papa, che vi mori
quattro anni dopo, e, cosa ancora peggiore, imprigionò sua madre. Non più nel fiore degli anni Marozia fu rinchiusa in
Castel Sant’Angelo e rimase in quell’orribile prigione per cinquant’anni, senza mai uscirne. […]. Nella sua cella
ricevette la notizia che Alberico era morto a quarant’anni e che il figlio di lui, Ottaviano, si era intrufolato nella Chiesa
come papa, prendendo il nome di Giovanni XII (955-964)…» (cfr. De Rosa P.: «Vicars of Christ», London, 1988).
(2) È noto, come attesta De Rosa (1988), che i papi sono stati tutti dei provetti “falsari”, tanto che la Roma papalina è
stata definita “patria delle truffe”. Infatti, i papi sono stati sempre abilissimi nel produrre e diffondere “documenti
falsi”., ma Gregorio VII, come precisa De Rosa (1988), «…andò ben oltre la Donazione di Costantino [notissimo
falso]: aveva intorno a sé un’intera scuola di falsari che sfornavano un documento dopo l’altro con il sigillo del papa per
soddisfare qualsiasi sua esigenza. I rappresentanti principali della scuola erano Anselmo da Lucca, nipote del pontefice
precedente, il cardinale Adeodato e, successivamente, il cardinale Gregorio da Pavia. Ad esempio il Papa aveva bisogno
di giustificare un’azione, quei prelati producevano letteralmente il documento appropriato. […]. Molti scritti di epoche
anteriori furono ritoccati in modo che dicessero il contrario di quello che dicevano in origine, anche se molti di essi
erano già di per sé contraffatti. La scuola di Gregorio trattava tutti i documenti, veri o falsi che fossero, con la stessa
imparziale disonestà, anticipando di nove secoli il 1984 di Owell, non in uno stato ateo agli ordini del Grande Fratello,
ma nel cuore del Cattolicesimo romano in favore del papa. Questo metodo istantaneo di inventare la storia ebbe un
successo fantastico, specialmente perché le falsità venivano inserite immediatamente nella legge canonica. Attraverso
innumerevoli sottili mutamenti fecero si che il Cattolicesimo apparisse immutabile, e trasformarono l’ “oggi” nel “fu
così e lo sarà sempre” che tutt’ora contraddistingue il Cattolicesimo, nonostante le scoperte della storia. […]. Non
avrebbe funzionato in un’era di alfabetizzazione universale, stampa, fotocopie e datazione al carbonio; ma precedette
senza intoppi in un’epoca in cui i manoscritti erano rari, gli studiosi inetti e persino certi imperatori non sapevano né
leggere né scrivere. […]. Il suo Decretum, o codice di legge canonica, fu il libro più influente mai scritto da un
cattolico; era un miscuglio di tre secoli di truffe, delle conclusioni da esse tratte e fantasiose aggiunte dell’autore. Dei
324 brani citati da Graziano come opera di papi vissuti nei primi quattro secoli, solo undici sono autentici.. Tra le
aggiunte personali vi era una serie di canoni che trattavano come eretici tutti gli scomunicati; e ciò era allarmante, visto
come erano trattati gli eretici a quell’epoca. Infatti, Urbano II, alla fine dell’undicesimo secolo, aveva decretato che
dovessero essere torturati ed uccisi. Graziano inventò un modo nuovo per estendere il potere papale. Il papa, dichiarò,
guadagnandosi l’approvazione di Roma, è superiore a tutte le leggi e ne è la fonte, senza limitazioni; perciò deve essere
posto su un piano di parità con il Figlio di Dio Quest’ipotesi ispirò la Curia, che agiva in nome del papa, ed ogni
scribacchino era quindi, in un certo senso, un Dio. […]. San Tommaso afferma che gli eretici dovrebbero essere
giustiziati allo stesso modo dei falsari, in quanto non falsificano il denaro, ma qualcosa di ben più prezioso: la fede. Non
si chiese quale fosse la punizione più appropriata per i criminali che falsificavano i documenti […], come aveva fatto
anche lui. Le falsità di Gregorio VII avevano il vantaggio di essere nello stesso tempo originali e sacrosante, nuove ed
antiche. […]. La storia divenne una branca minore della teologia, e tale è rimasta; dopotutto nemmeno la storia può
contraddire la verità infallibile [!!]. Di conseguenza negli anni in cui si costituì il Cristianesimo Cattolico Romano, tutte
le discussioni vennero soffocate facendo ricorso ad “autorità” fabbricate al momento. Gli sviluppi non si verificarono
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spontaneamente, ma secondo rigidi schemi prestabiliti […]. Opinioni discusse e talvolta ridicole divennero dogmi
inconfutabili, e pareri di parte furono consacrati come insegnamenti cattolici irreversibili e senza tempo. Ma non è cosa
da poco fabbricare la Storia. Appena eletto Gregorio VII si mise in moto per attuare numerose riforme. In primo luogo,
per assicurarsi che le proprietà della Chiesa non passassero mai di mano, tentò di eliminare la “fornicazione”
universale, cioè il matrimonio degli ecclesiastici. […]. Egli decretò che se i sacerdoti non si fossero adeguati, sarebbero
stati sospesi ed i laici non avrebbero potuto accettati da loro alcun sacramento. […]. L’effetto di questa legislazione fu
di “creare migliaia di virtuali prostitute tra le mogli innocenti di piccoli sacerdoti confusi ed adirati”. “Quando furono
separate in gran numero dai mariti per opera di Gregorio VII, molte mogli di sacerdoti, indifese, distrutte dal dolore e
con il cuore spezzato, decisero di abbreviare quell’agonia con il suicidio”. […]. Se Gregorio VII avesse messo in
pratica la minaccia di sospendere i sacerdoti intemperanti, avrebbe praticamente cancellato il Cattolicesimo, ma non si
sa se questa sia o meno una fortuna, la sua campagna non ebbe successo duraturo. Riuscì infatti a far rispettare il
celibato, ma non la castità; comunque, attraverso il celibato, istituzionalizzò il sistema di apartheid da sempre vigente
nel Cattolicesimo, in cui gli ecclesiastici, che godono di diritti, sono separati dai laici che non ne hanno alcuno.
Curiosamente furono più numerosi i laici che si separarono dalle mogli, forse maggiormente colpiti dagli ideali ascetici
di Gregorio VII. I sacerdoti, dopo breve tregua, continuarono a comportarsi come se ciò che facevano a letto fosse solo
affare loro…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988).
(3) Cfr. Ecker W.P., Ehrlich E.L.: «Judenhaβ – Schuld Christen?», München, 1964.
(4) Cfr.Heer F.: «Kreuzzüge – gestern, Heute, morgen?». Frankfurt, 1969.
(5) Cfr. Wollschläger H.: «Die bewaffneten Wallfahrten gen Jerusalem», Hamburg,1970.
(6) Cfr Zöllner. W.: «Geschichte der Kreuzzüge», Hanburg, 1990.
(7) Cfr. Kupisc K.: «Kirchengeschihte», Berlin, 1973.
(8) Il Papa Bonifacio VIII (1294-1303) non ha esitato a dichiarare che «…la religione cristiana era opera dell’uomo a
pari della fede degli ebrei o dei musulmani, che la vergine Maria, avendo partorito, non poteva essere stata vergine più
della sua stessa madre quando aveva messo al mondo lui, che era stupido credere che un solo dio fosse anche trino, che
le persone le quali si inginocchiavano dinanzi all’ostia erano “asini” e “bestie”, che i morti non sarebbero risorti più
del suo cavallo crepato due giorni prima, che non ci sarebbe stata una fine del mondo, che solo per gli uomini la morte
significava la fine del mondo…» (cfr. Davidsohn R.: «Gerchichte von Florenz», Berlin, 1896) ed, in altra occasione,
ebbe a dire quanto segue: «…Io dò importanza alla vita di un altro quanto ne posso dare ad un fagiolo. Gli uomini
hanno un’anima del tutto uguale a quella delle bestie. Il vangelo insegna più menzogne che erità; il parto di una vergine
è assurdo; l’incarnazione del figlio di Dio è ridicola; il dogma della transustanziazione è una pazia. Le quantità di
denaro che la favola di cristo ha apportato ai preti è incalcolabile. Le religioni sono state inventate dagli ambiziosi per
ingannare gli uomini. […]. L’abbandonarsi ai piaceri sessuali con una bambina o con un ragazzo è un atto da
considerarsi privo di peccato come stropicciarsi le due mani insieme. Il nostro solo scopo è quello di vendere nelle
chiese tutto cio che gli idioti vogliono…» (cfr. G. Villani [storico fiorentino (1276-1348)]: «Cronica», editore Baccio
Valori, Firenze, 1587).
(9) Il termine “Giubileo” deriva dall’arcaico sostantivo ebraico “yôbhel” che significava “montone” ed in senso
traslato “corno di montone”, poiché mediante il suono del corno di montone, presso gli antichi Ebrei, si annunciava
solennemente l’inizio del periodico anno in cui si rimettevano i debiti, si condonavano le pene, ecc.
(10) M. Jan Hus, rettore dell’Università di Praga, il quale, pochi giorni prima della sua esecuzione sul rogo, avvenuta il
6 luglio 1415, in una lettera inviata ai suoi amici di Costanza il 25 giugno 1414, scritta nella cella del Convento dei
Carmelitani Scalzi di Costanza dove era tenuto prigioniero dalla “Santa Inquisizione” , riferisce quanto segue: «…Un
teologo mi disse che tutto mi sarebbe concesso senza difficoltà se soltanto mi sottomettessi alla volontà del Concilio. E
aggiunse: se il Concilio proclamasse che tu hai un occhio solo, anche se ne hai due, sarebbe tuo dovere riconoscere col
Concilio che è così. Io gli risposi: anche se il mondo intero lo sostenesse, non potrei ammetterlo senza contrastare la
mia coscienza, dato che avrei l’intelletto come ce l’ho ora…» (cfr. il testo latino della suddetta lettera, pubblicata nel
1920, in «Korespondence a dokumenty; Spisuv M Jana Husi č. 9, vydal Václav Novotný», Praze, 1920).
(11) Cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988.
(12) Solo nelle prime due settimane di annotazione nel predetto diario la parola “oro” ricorre ben settantacinque volte!
Cristoforo Colombo ordinò agli indigeni di portargli un ingente quantità di “oro” e, se non l’avessero procurato entro
un breve periodo di tempo stabilito, i suoi uomini li avrebbero atrocemente mutilati tagliando loro le mani! A coloro che
scapparono verso le montagne, come documentato dallo storico Morison (1961), «…fu data la caccia con i cani, e tra
quelli che riuscirono a fuggire, la morte per fame e malattia richiese un pesante tributo in vite umane, mentre migliaia
delle povere creature in preda alla disperazione assunsero veleno di manioca per porre fine alle proprie miserie
[causategli dai “conquistadores” cattolici]. […]. Di circa 300.000 indigeni, nel solo biennio 1494-1496 ne venne ucciso
un terzo ed, alla fine del 1508, ne erano rimasti vivi solo 60.000…» (cfr. Morison S.E.: «Admiral of the Ocean Sea. A
life of Christopher Columbus», Princeton University Press, New, Jersey, 1961). Le atrocità raccapriccianti che i cattolici
spagnoli, sbarcati nel nuovo continente, infersero agli indigeni sono state minuziosamente descritte dal diretto testimone
Bartolomé De Las Casas (1472-1566) che alla descrizione premise la seguente significativa considerazione: «…in tutto
l’infinito universo dell’umanità, questa gente è la più innocente, la più sprovvista di vizio e falsità […]. Giunsero gli
spagnoli, che si comportarono immediatamente come bestie fameliche […] il motivo delle loro stragi e distruzioni […]
è che i cristiani hanno un solo obiettivo finale, che è quello di acquisire oro. […]…». Quindi, in sintesi, riferisce che
vide i cattolicissimi spagnoli accoltellare gli indigeni per puro divertimento e che maciullavano le teste dei bambini
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sbattendoli sulle rocce oppure li lanciavano ai cani affamati per farli divorare o li gettavano vivi nella folta giungla
lasciandoli morire [senza che il Dio della loro fede, “infinitamente misericordioso e giusto” lo impedisse!], che se gli
adulti opponevano resistenza erano afferrati ed uccisi con “lance, picchi, balestre e fucili”, fatti sbranare dai cani
inferociti e calpestare dai cavalli, se toccavano per caso i loro oggetti ― non conoscendo il concetto di proprietà
privata, tanto che concedevano liberamente a chiunque ciò che possedevano ― venivano o decapitati o bruciati vivi sul
rogo! Inoltre, gli indigeni venivano costretti al lavoro forzato nelle miniere e nei campi incuranti della diffusione di
molte malattie (tifo, difterite, vaiolo, tubercolosi, sifilide, ecc.), dalle quali non erano immuni, che li portavano
rapidamente a morire; molti bambini morivano anche perché le madri, sfiancate dall’eccessivo lavoro impostogli ed
affamate non producevano più latte: detto autore ebbe a constatare che ben 7.000 bambini morirono in appena tre mesi
nella sola isola di Cuba (cfr. De Las Casas B.: «Brevissima Relacion de la Destruycion de las Indias», Se ville, 1552)!
(13) Di tale tariffario si riportano, per esempio, solo quattro dei ben trentadue articoli: Art. 1 “L’ecclesiastico che
incorresse in peccato carnale, sia con suore, sia con cugine, nipoti o figliocce, sia, infine, con un’altra qualsiasi donna,
sarà assolto, mediante il pagamento di 67 libbre [il termine “libbra” in senso monetario era usato come sinonimo del
termine “lira” ed il potere d’acquisto di 1 lira dell’epoca equivaleva al potere d’acquisto di circa 50.000 lire attuali
(anno 2003) corrispondenti a 25,82 euro] e 12 soldi [pertanto, 67 libbre e 12 soldi (= 60 centesimi di libbra o lira)
equivalevano al potere d’acquisto di circa 3.380.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 1.745,62 euro]”, Art. 2
“Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione, chiedesse di essere assolto dal peccato contro natura o di
bestialità, dovrà pagare 219 libbre e 15 soldi [= al potere di acquisto di circa 10.988.000 lire attuali (anno 2003)
corrispondenti a 5.674,83 euro]. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie [si noti come i
bambini sono comparati alle bestie!] e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre e 15 soldi [= al potere
d’acquisto di circa 6.550.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 3.402,42 euro]”, Art. 3 “Il sacerdote che
deflorasse una vergine, pagherà 2 libbre e 8 soldi [= al potere d’acquisto di circa 115.000 lire attuali (anno 2003)
corrispondenti a 59,39 euro]”, […], Art.12 “Chi affogasse suo figlio, pagherà 17 libbre e 15 soldi [= al potere
d’acquisto di circa 888.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 4.586,61 euro] e se ad uccidere fossero il padre e la
madre di comune accordo, pagheranno 27 libbre e 1 soldo[= al potere d’acquisto di circa 1.352.500 lire attuali (anno
2003) corrispondenti a 698,51 euro] per l’assoluzione”, ecc. Si noti come la lunga lista inizia proprio con gli articoli
riguardanti le colpe di cui più frequentemente si macchiavano gli “ecclesiastici” dell’epoca.
(14) Il filosofo Tommaso Campanella (1568-1639) durante i suoi vari processi fu più volte atrocemente torturato come
egli stesso diffusamente racconta: «…essendo stato fino adesso già chiuso in cinquanta carceri, e con durissimo
tormento esaminato. E l’ultimo durò quarantott’ore, legato con funi strettissime che sempre mi segavano l’ossa,
pendendo per le mani avvinte dietro, sopra un acutissimo legno, il quale nelle parti direttane mi divorò la sesta parte
della carne, e la terra bevve dieci libbre del mio sangue, e finalmente risanato dopo sei mesi […] mi posero, come
Geremia, in luogo bassissimo, ove non è né luce né aria, ma fetore ed umidità, e notte e freddo perpetuo…»(cfr.
Campanella T.: «Atheismus triunphatus Seu reductio ad religionem per scientiarum veritates», Roma, 1636).
(15) A riguardo, si pensi che il Papa Giovanni Paolo II (1978-2005), nonostante abbia sfacciatamente “chiesto
perdono” per queste stragi disumane, ha disposto di tenere sotto controllo le tendenze religiose non cattoliche della
popolazione della Valtellina tramite la cosiddetta “Missione Rezia”, affidata ai Frati Cappuccini della “Propaganda
Fide”!
(16) Tanto che, come precisa Rendina (1983), «…Suo fratello, don Mario, ottenne le cariche più redditizie, dalla
sovrintendenza dell’Annona all’amministrazione della giustizia in borgo. Il nipote Flavio, dopo il noviziato presso i
gesuiti, divenne cardinale ed affianco Giulio Rospigliosi nella Segreteria di Stato, badando essenzialmente ad
accaparrare rendite ecclesiastiche che in breve raggiunsero i 100.000 scudi [il valore di 100.000 scudi d’oro dell’epoca
(anno 1650) corrispondono al valore di circa 15.000.000 di Euro attuali (anno 2005). Un altro nipote, Agostino fuscello
invece per iniziare la famiglia principesca dei Chigi; rimasto laicale, da castellano di Castel S. Angelo ricevette via via
splendidi possedimenti, come Ariccia ed il palazzo di famiglia in Piazza Colonna, e si sposò con Maria Virginia
Borghese. E così Alessandro VII, una volta fattasi prendere la mano dal nepotismo, non riuscì più a trattenersi,
estendendo i suoi favori anche a lontani parenti, come ad esempio quel commentatore Antonio Bichi che ebbe la
porpora cardinalizia. Fu una vera e propria scalata di ricchezza…» (cfr. Rendina C.: Op. cit., Roma, 1983).
(17) Come precisa Rendina (1983) «…il fratello fu nominato generale della Chiesa ed il nipote Pietro, appena
diciottenne, ebbe la porpora cardinalizia. Per quest’ultimo Pasquino disse: “Pietro spogliò Pietro, per vestire Pietro”.
Infatti, questo cardinale aveva impiantato un tenore di vita così alto che non gli bastavano mai i soldi; tra il gioco e le
feste che organizzava da gran mecenate, bussava continuamente quattrini allo zio, che non glieli negava. Alessandro
VIII sembrava che avesse fretta di arricchire i parenti; data l’età avanzata, temeva di morire prima di averli accontentati.
E così era solito ripetere loro, incitandoli ad arraffare; “Affrettiamo al possibile, perché sono sonate le 23 ore!”[…];
così Marco, figlio di un altro fratello del papa, per quanto gobbo e zoppo, si ritrovò sovrintendente delle galere
pontificie, nonché duca di Fiano e sposato con Tarquinia Colonna, pronipote del cardinale Altieri…» (cfr. Rendina C.:
Op. cit., Roma, 1983).
(18) Riguardo le tristi cronache delle prime “missioni” basta ricordare la seguente: «…Alcuni cristiani incontrarono
un’indiana, che teneva in braccio un bambino a cui dava il latte; e poiché il cane che li accompagnava aveva fame,
strapparono il bambino dalle braccia della madre e lo gettarono vivo in pasto al cane, che lo fece a pezzi sotto gli occhi
della donna […], se i neonati si mettevano a piangere, li prendevano per le gambe e li sbattevano contro le rocce o li
gettavano fra gli sterpi perché finissero di morire [forse neppure i più crudeli dei nazisti arrivarono a tanto! Ed i
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cristiani di oggi si preoccupano degli embrioni lasciati morire in provetta e dei feti fatti morire con gli aborti!!!]…» (cfr.
Todorov T., Baudot G.: «Racconti atzechi della conquista», Ed. it., Einaudi, Torino, 1988)
(19) Cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988).
(20) Il neologismo “modernismo”, sorto nell’ambito letterario verso la fine del XIX secolo, si è subito riversato
inevitabilmente nel contesto religioso, stabilizzandosi come lessico ecclesiastico (cfr.Ranchetti M.: «Cultura e riforma
religiosa nella storia del modernismo», Einaudi, Torino, 1963; Scoppola P.: «Crisi modernista e rinnovamento
cattolico in Italia», Il Mulino, Bologna, 1969; Bedeschi L.: «Interpretazioni e sviluppo del modernismo», Bombiani,
Milano, 1975; Boland A.: «La drise moderniste hier et aujourd’hui», Beauchesne, Paris, 1980; ecc.), sostanzialmente,
per designare l’esordiente critica rinnovatrice riguardo la natura dei “dogmi” imposti dalla Chiesa Cattolica. Il
“modernismo” fu aspramente attaccato dal Papa Pio X (1903-1914) che con l’enciclica “Lamentabili”, stilata nel luglio
del 1907, rasenta il “delirio di persecuzione” in quanto vi afferma che «…Questi “Modernisti” non credono nella
rivelazione, né in Dio, né nella Chiesa come istituzione divina. Costituiscono un’organizzazione molto solida e si
nascondono ovunque: nella filosofia, nella teologia, negli studi biblici, nella politica […], si celano nel seno della
Chiesa con l’unico scopo di distruggerla diffondendo la loro miscredenza…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988).
(21) Sotto il ponteficato di Pio IX (1848-1878) le pene capitali erano eseguite nei modi più svariati che andavano dal
taglio della testa mediante la scure, allo squartamento, al mazzolamento, all’impiccaggione, ecc. Al servizio del papa
Pio IX (1848-1878) vi fu il famoso boia Giambattista Bugatti, soprannominato “Mastro Titta”, il quale nella sua lunga
carriera uccise ben 517 condannati!
(22) Cfr. Roth C.: «History of the Jews in Italy», Filadelfia, 1941.
(23) Cfr. Castelli G.: «Il Vaticano nei tentacoli del fascismo», Roma, 1946. D’altra parte, le ostentate manifestazioni
filofasciste di Pio XI hanno suscitato persino la produzione di un’infinità di vignette di cui se ne riportano alcune (Fig.
2, 3, 4, 5).
(24) Cfr. Gramsci A.: «Le Vatican», Corréspondence Internazionale, IV, 179, 523, 1924.
(25) Cfr. Rossi E.: «Pagine anticlericali», Roma, 1966.
(26) Cfr. Spinosa A.: «Le persecuzioni razziali in Italia», Il Ponte, 8, 1079, 1952.
(27) Cfr. Rossi E.: «Il manganello e l’aspersorio», Milano, 1958.
(28) Papa Pio XII, che era appassionato per le battute di caccia, specie quelle al cinghiale, nel periodo in cui era
“Nunzio Apostolico”, prese persino «…lezioni nella scuderia d’un generale suo amico, nella Foresta dei Cinghiali…»
(cfr. Nassi E.: «Pio XII», Milano, 1992).
(29) Cfr. Tosches N.: «Il mistero Sindona», Milano, 1986.
(30) Cfr Flamigini S.: «Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2», Milano, 1996.
(31) Tra cui, «…un investimento da parte dello IOR [la Banca Vaticana] nel Casinò di Montecarlo, nelll’acquisto di
azioni dell’industria delle armi da fuoco Beretta, nei titoli di un’industria canadese produttrice di contraccettivi orali…»
(cfr. Morgan-Witts M.,Thomas G.: «Pontiff», Garden City, 1983).
(32) Ma, non tanto misteriosa se si pensa quanto alcuni giorni prima è accaduto in Vaticano allo sfortunato metropolita
Nikodim arcivescovo di Leningrado (quarantanovenne, vigoroso ed in piena salute) per essersi recato in Vaticano a
colloquio con papa Luciani: «…Al metropolita sono stati concessi quindici minuti per parlare privatamente al papa dei
problemi relativi al culto religioso in Russia. […]. Mentre avvengono le presentazioni entra suor Vincenza con un
vassoio su cui sono disposte delle tazze per il caffè. […]. Per un momento parla all’ospite, poi versa il caffè in due
tazze. Giovanni Paolo I offre al metropolita panna e zucchero […]. Nikodim beve un sorso dalla sua tazza. Giovanni
Paolo I sta per fare la stessa cosa quando si ferma trasalendo. Uno sguardo affranto appare sul volto di Nikodim. La
tazza ed il piattino gli cadono dalle mani. Il piattino si frantuma sulla scrivania; dalla tazza cade il caffè che si sparge sul
tappeto […]. Nikodim stringe le mani al petto, emette un suono soffocato e poi si rovescia all’indietro, crollando al
suolo. Il papa prende il telefono bianco e chiama Lorenzi dicendo di convocare subito un dottore. […]. Buzzonetti
arriva subito dopo. Il dottore si inginocchia vicino al corpo, ascolta i battiti del cuore, cerca il polso. Poi si alza
scuotendo il capo. […]. Giovanni Paolo I guarda il corpo. Il cadavere è ancora caldo quando comincia a circolare una
voce: Nikodim è la vittima sbagliata di un avvelenamento; ha bevuto un caffè mortale che in realtà era destinato al
papa…» (cfr. Morgan-Witts M., Gordon.T.: Op. cit., Garden City, 1983).
(33) Dalle indagini di David Yallop il Papa Giovanni Paolo I (1978) risulta essere stato assassinato per avvelenamento
su mandato dell’alta gerarchia vaticana (cfr. Yallop D.: «In God’s name», London, 1984).
(34) La risposta a riguardo si ritrova documentata nel dossier dal titolo «All’ombra del Papa infermo» ― pubblicato da
“Discepoli di Verità”, Milano, 2001 ― come segue: «…In vaticano la enigmatica inamovibilità di monsignor
Marcinkus dalla presidenza dello IOR trova spiegazione in relazione ai fatti di Polonia: i finanziamenti papali a
Solidarnosc. “il supporto finanziario all’organizzazione clandestina dei lavoratori polacchi [Solidarnosc] era davvero
considerevole. I flussi di denaro confluivano a Varsavia attraverso lo IOR e, più concretamente, attraverso l’istituto
finanziario che faceva da alleato laico per eccellenza della banca vaticana e di Macinkus: il Banco Ambrosiano …».
(35) Dalle dichiarazioni di alcuni noti “collaboratori di giustizia” (Tommaso Buscetta, Marino Mannoia e Francesco
Di Carlo) si è poi saputo che Calvi fu fatto assassinare per ordine di “Cosa nostra” poiché non aveva protetto i capitali
della mafia depositati per riciclaggio presso il Banco Ambrosiano. A riguardo, il figlio di Calvi ha reso pubblica una
lettera del padre inviata a Giovanni Paolo II (1978-2005) in cui si legge quanto segue: «…Sono stato io […] che, su
preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e
associazioni politico-religiose dell’Est [alludendo, in particolare, a Solidarnosc (Polonia) che ha sconfitto il
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“comunismo” con i finanziamenti di papa Giovanni Paolo II (1978-2005) mediante i fondi dello IOR] […] allo scopo di
contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste. E sono io, infine, che oggi vengo tradito e
abbandonato…» (cfr. Pinotti F.: «Poteri forti», Milano 2005).
(36) L’“Anno Santo” ordinario, escogitato fin dall’origine dalla Chiesa Cattolica per trarre i vantaggi derivanti dal
consequenziale incremento economico (cfr. Liggio F.: Art. III. LA STRATEGIA CRIMINALE ADOTTATA
DALL’EFFERATO POTERE CLERICALE PER IMPEDIRE L’ESTINZIONE DEL CRISTANESIMO), era
previsto per l’anno 2000, in cui è stato puntualmente celebrato, ritenendo quello del 1983 come supplementare!
(37) Fra le numerose personalità ingiustamente perseguitate si ricordano le seguenti. Il teologo Paul Collins è stato
obbligato a lasciare il sacerdozio per la sua opinione critica sull’infallibilità del papa e sullo strapotere della gerarchia
vaticana; al teologo Charles Curran è stata tolta la cattedra di “Teologia Morale” dell’università Cattolica di
Washington per le sue idee sulla sessualità non conformi alla dottrina cattolica; al sacerdote psicoterapeuta Eugen
Drewermann è stato tolto l’insegnamento presso la cattedra di “Teologia e Storia delle Religioni” dell’Università Di
paterbon; il teologo Josef Imbach è stato inquisito per aver messo in dubbio i “miracoli” del Nuovo Testamento in una
sua pubblicazione; Il teologo Hans küng è stato deposto alla cattedra di “Teologia” per aver messo in dubbio il dogma
dell’infallibilita ella Chiesa cattolica; il teologo Edward Chillebeeckx è stato inquisito per le sue opinioni favorevoli al
divorzio; il teologo Marciano Vidal è stato inquisito e costretto a ritrattare le sue opinioni sulla contraccezione, l’aborto
e la fecondazione artificiale; ecc. (cfr. Cardia C.: «Karol Wojtyla. Vittoria e tramonto», Roma, 1994; Gentiloni F.:
«Karol Wojtyla. Nel segno della contraddizione», Milano, 1996; Sandri L.: «L’ultimo papa re. Wojtyla, breve storia di
un pontificato controverso», Roma 1996; ecc.)
(38) A riguardo Eisler (1995) ha ben evidenziato quanto segue: «…sebbene sia ampiamente noto che l’unica protezione
efficace contro la trasmissione dell’AIDS […] è l’uso del preservativo […] il papa [Giovanni Paolo II] ed i leader
religiosi continuano a fare una pressione enorme sui governi nazionali e sulle organizzazioni internazionali affinché
neghino alla gente l’educazione sessuale e l’accesso alle tecniche contracettive. La cosa forse più traumatizzante è che
in occasione della sua visita in Africa nel 1993, epoca in cui già era ben noto che milioni di donne e uomini di quel
continente erano contagiati dall’HIV ed interi villaggi cominciavano ad essere decimati dal flagello dell’AIDS, il papa
[Giovanni Paolo II] ad ogni tappa del suo viaggio predicò che la contracezione è peccato. In Uganda, dove nonostante
un individuo su otto sia contagiato dall’HIV i vescovi […] hanno strenuamente lottato contro i tentativi del governo
[…] tesi a promuovere l’uso del preservativo, papa Giovanni Paolo II disse a migliaia di giovani che “la castità
[drastica procedura antifisiologica (cfr. Liggio F.: «Funzione primaria e funzioni secondarie dell'erotismo e della
reazione orgasmica nella specie umana», Riv. Sessuol., 22, 61, 1998)] è l’unico modo certo e sicuro per porre fine al
tragico flagello dell’AIDS” [!!]. È impossibile valutare il terribile carico di sofferenza e di vite umane prodotto
dall’opposizione religiosa all’unico modo realistico per fermare l’epidemia dell’AIDS. In Africa, dove già nel 1990 dal
20 al 30 per cento delle donne incinte […] erano contagiate e dove la trasmissione eterosessuale è la principale causa
del diffondersi del virus, un numero incalcolabile di donne, comprese quelle sposate contagiate dai mariti, ha partorito
bambini contagiati. Se il papa [Giovanni Paolo II] ed altri leader religiosi avessero invece fatto pressioni sulle autorità
governative affinché educassero la popolazione alla contraccezione e mettessero a disposizione di tutti i preservativi,
molti di questi bambini (e molte donne e molti uomini), ora destinati ad una morte dolorosissima, si sarebbero salvati.
Inoltre, se tanti leader religiosi di tutto il mondo la smettessero di parlare dell’AIDS come una sorta di castigo divino
per la dilagante immoralità sessuale, forse non assisteremmo all’orribile trattamento riservato alle vittime dell’AIDS che
la stampa internazionale riporta […]. [Parimenti], gli uomini che guidano le potenti gerarchie religiose del mondo non
aprono bocca a proposito del sesso violento ed indifferente, neanche quando si arriva a limiti estremi con la mutilazione
dei genitali e lo stupro. Invece di far pressione sui leader mondiali affinché addossino agli uomini tutta la responsabilità
dello stupro, sprecano le loro notevoli risorse cercando di proibire a donne e uomini “peccati” quali la contraccezione e
l’aborto. E la risposta di papa Giovanni Paolo II agli stupri di massa delle donne in Bosnia non fu quella di sostenere
quanti oggi operano affinché gli stupri di massa siano alfine riconosciuti come crimini di guerra: la sua risposta fu
quella di pregare affinché le donne violentate non ricorressero all’aborto. […], a causa della mancanza di un’adeguata
pianificazione familiare, ogni anno novanta milioni di individui vengono ad aumentare la popolazione del mondo […].
Questa crescita esponenziale della popolazione già ha ampiamente contribuito alla distruzione di foreste e terre
coltivate, all’annientamento di molte specie e all’inquinamento dell’aria e dell’acqua. La sovrappopolazione è anche
causa di guerre civili e di guerre di conquista. Inoltre, nelle regioni industrializzate più opulente, anche una crescita
moderata della popolazione, accompagnata dagli alti tassi di consumo, minaccia le risorse limitate del mondo. Mentre,
nelle regioni più sovrappopolate del pianeta ogni giorno migliaia di bambini, ed anche di donne e uomini, muoiono
lentamente di consunzione […]. Pertanto, secondo qualsiasi standard umano e razionale, fare il possibile per ridurre
fortemente il tasso delle nascite dovrebbe essere una priorità morale assoluta per tutti i leader laici e religiosi del mondo
intero, in particolare perché i tassi di mortalità infantile, e delle puerpere, sono i più alti proprio in quelle zone in cui le
donne sono costrette dalla mancanza della contraccezione […] a partorire bambini che non riceveranno cure adeguate.
Tuttavia, invece di promuovere energicamente le tecnologie per un controllo sicuro ed efficace delle nascite e
l’educazione sessuale, per la maggior parte degli uomini a capo delle potenti gerarchie religiose mondiali
tendenzialmente vi si oppongono attivamente […]. Sebbene […] la Chiesa dovrebbe approvare l’uso dei preservativi
per evitare il diffondersi dell’AIDS, il vescovo Raymond Boland della Conferenza nazionale dei vescovi cattolici di
recente ha ancora insistito sul fatto che la presa di posizione della Chiesa contro la contraccezione deriva dai Vangeli,
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sebbene nei Vangeli non si trovi assolutamente nulla in proposito. […], nonostante il fatto che, sebbene importanti
dichiarazioni ufficiali della Chiesa cattolica parlino della necessità di una più giusta ridistribuzione delle ricchezze, il
Vaticano non si sogna neanche di ridistribuire le sue enormi ricchezze [cfr. Pallemberg C.: «I segreti del Vaticano»,
Milano, 1959; Grilli G.: «Le finanze vaticane in Italia», Roma, 1961; ecc.] e neppure di sostenere attivamente coloro
che in molti paesi cattolici lottano proprio in favore di ciò, come testimoniano ex sacerdoti che a questa lotta prendono
parte. Inoltre, sebbene gli esperti affermano che l’unico modo vero […] per ridurre l’aumento della popolazione
consiste nell’emancipare le donne, nell’educare le donne e nel consentire alle donne di fare altre scelte al di là della
maternità, potenti capi religiosi come il papa non sono mai intervenuti a sostegno dell’eguaglianza per le donne. Al
contrario, il Vaticano continua a considerare contracezione e femminismo due mali intrecciati tra loro. Di conseguenza,
assieme ad organizzatissimi gruppi di protestanti fondamentalisti, negli Stati Uniti la Chiesa cattolica ha lavorato con
grande lena per bloccare non soltanto il finanziamento per la pianificazione famigliare ma anche tutti i tentativi per
migliorare lo status delle donne (si pensi soltanto alla dichiarazione del papa nel 1994 in cui afferma che il sacerdozio
per le donne non può neanche essere oggetto di discussione) [a riguardo, come riferisce Palermo (1998), uno dei
maggiori storici contemporanei (Jacques Le Goff) non esita a rimproverare al pontificato di Giovanni Paolo II proprio
«…di non aver saputo rinnovare la Chiesa su alcune tematiche come il femminismo e la sessualità…» (cfr. Palermo C.:
«Il Papa nel mirino», Roma, 1998)]. Queste pressioni antifemministe e pro natalità hanno avuto una tale riuscita che nel
1985 il governo americano smise di versare il suo contributo al Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite,
un’organizzazione che fornisce assistenza sanitaria alle famiglie bisognose nei paesi in via di sviluppo. […]. Tutto ciò
fu promosso da persone cui le autorità religiose hanno assicurato che così si agisce a favore della vita. Ma in perfetta
armonia con l’enfasi data dalle religioni della dominanza non alla vita su questa Terra ma in un qualche remoto aldilà,
l’unica vita di cui molti leader del movimento contro la pianificazione famigliare sembrano occuparsi, fino ad esserne
ossessionati, è la vita prima della nascita e dopo la morte. Alcuni studi dimostrano che quei politici statunitensi che si
unirono agli antiabortisti furono in genere gli stessi che si opposero al controllo delle armi e si schierarono a favore
dell’aiuto militare ai Contras, mentre nel contempo votavano a favore di tagli all’assistenza sanitaria, all’istruzione e
all’assistenza sociale, compresi i pasti a scuola per i bambini svantaggiati mostrando così la più spietata indifferenza nei
confronti della vita umana, ovviamente del bambino già nato. […]. Ma, come scrive la teologa femminista Rosemary
Radford Ruether, l’unico modo vero per ridurre drasticamente il numero degli aborti sta nel “migliorare le circostanze
che mettono le donne in situazione di gravidanza non voluta e non accettata”. […], in paesi in cui l’aborto è illegale,
compresi i paesi cattolici dell’America Latina, gli aborti non sono cessati e sono invece una delle principali cause degli
altissimi tassi di mortalità femminile. […]. Tutto ciò è messo drammaticamente in luce da quanto accadde nel 1992 al
Summit sulla Terra di Rio de Janeiro. In questa riunione di leader mondiali venuti a discutere come prevenire la
degradazione irreversibile dell’ambiente e la miseria di tanta parte del mondo. Il Vaticano riuscì brillantemente a far
deragliare una raccomandazione a favore dello sviluppo di contraccettivi sicuri e ad annacquare notevolmente tutti i
riferimenti alla necessità della pianificazione famigliare. Parecchi furono i motivi che determinarono il successo del
Vaticano nel suo pesare a favore di qualsiasi seria considerazione dell'importanza della sovrappopolazione quale fattore
di devastazione ambientale. […]. Ma c'era un filo comune nella coalizione che il Vaticano riuscì a mettere insieme per
spingere il suo ordine del giorno sull’antipianificazione famigliare: nella coalizione rientravano non soltanto molti paesi
cattolici ma anche molte nazioni islamiche che col Vaticano condividono una forte opposizione a qualsiasi
cambiamento reale dei ruoli “tradizionali” delle donne. E ancora questo stesso filo permise, durante la Conferenza sulla
Popolazione e lo Sviluppo tenuta dalle Nazioni Unite al Cairo nel 1994, la formazione di alleanze che,
immancabilmente sotto la maschera della “morale”, sviarono l’attenzione dalle sofferenze delle donne e dei bambini di
tutto il mondo derivati da un’inadeguata pianificazione famigliare e fecero dimenticare il fatto che, come sottolinea
Population Communication International, esiste un collegamento diretto tra ogni singolo problema sociale, economico
ed ecologico e la crescita astronomica della popolazione mondiale. […]. Sicuramente papa Giovanni Paolo II non è
l’unico uomo di potere ad usare vocaboli altisonanti come morale o patriottismo per giustificare le politiche pro
natalità. […]. Nel caso del papa, si dice che uno dei fattori sia la paura di ammettere l’erroneità di un insegnamento
religioso perché ciò significa insidiare l’autorità, il che a quanto pare spiega come mai ci sono voluti secoli prima che la
Chiesa ammettesse quanto tutti da tempo sapevano, cioè che era stato un errore negare la validità delle scoperte di
Galileo Galilei. Un altro motivo del persistere del partito della natalità indiscriminata, anche di fronte alla crisi
mondiale, è che più numerosi sono gli individui che un dato leader (laico o religioso) controlla e più egli ha potere,
specie se è in grado di imporre quel che la gente deve o non deve pensare e fare senza essere ritenuto responsabile delle
conseguenze. E questa continua tuttora ad essere la situazione per molti capi religiosi del mondo, che ancora si basano
sullo stesso diritto divino all’autorità morale che da tempo nelle società democratiche è stato rifiutato quale base
dell’autorità politica. […], come può esistere una morale giusta in un sistema in cui l’unica responsabilità è a senso
unico e si sposta in senso verticale dal basso verso l’alto? Eppure questo è l’unico tipo di moralità adatto ad
un’organizzazione sociale della dominanza, dove chi sta “sopra” non è mai responsabile nei confronti di chi sta
“sotto”, si tratti della moglie o dei figli di un uomo (ed in altri tempi di schiavi), o dei “sudditi” o del “gregge” del
regno temporale o spirituale di un uomo. […] questa moralità della dominanza, con il suo doppio standard per chi
detiene il potere e chi no, è ancora ben presente tra noi, e come una delle sue principali funzioni sia quella d’inculcare,
in coloro che non detengono il potere, che per loro è morale soltanto conformarsi e persino collaborare con chi li
domina. Nei rapporti politici, questa “moralità” fin troppo spesso è servita a giustificare la violenza contro coloro che
si ribellano ad un’autorità brutale, e ci è riuscita così bene che i soldati ed i poliziotti incaricati di distribuire questa
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violenza spesso sono stati reclutati per l’appunto nei gruppi che reclamano una maggiore responsabilità politica. Nei
rapporti economici spesso ha una funzione simile, come quando sia la Chiesa e sia lo Stato giustificano la violenza di
quanti sono economicamente potenti e dei loro agenti (anche in questo caso spesso provenienti dai gruppi
economicamente sfruttati) contro coloro che lottano per una maggiore eguaglianza economica, e contro qualsiasi
tentativo di cambiare lo status quo economico accollando una maggiore responsabilità a quanti detengono il potere…»
(cfr. Eisler.R.: «Sacred Pleasure», New York, 1995). Inoltre, per una ancora più approfondita documentazione a
riguardo, cfr. Liggio F.: Art. VI. L’INVADENTE CANCRO DELLE RELIGIONI E LE SUE MICIDIALI
METASTASI ed Art. XX. LE DELETERIE CONSEGUENZE DELLA POLITICA DI PAPA GIOVANNI
PAOLO II.
(39) L’alienante ripetizione stereotipata (in semeiotica psichiatrica le “stereotipie” costituiscono uno dei sintomi di
grave psicosi), fino all’ossessione, della parola “signore” è stata attuata per condizionare i “poveri di spirito” alla
rispettosa sottomissione al detentore del potere (sia “celeste” che “terrestre”) il quale deve mantenerli “buoni”,
“docili, “contenti” e “sottomessi”. Infatti, il termine aramaico “Adonaj”, che letteralmente significa “Padrone”
(giustamente tradotto in greco con il termine “Kuvrio"” = “Padrone” ed in latino con il termine “Dominus” =
“Padrone”), si trova, dal medioevo in poi mistificativamente tradotto con il termine “Signore” che, invece deriva da
“senior” (=“il più vecchio”) comparativo del sostantivo latino “senex” (“il vecchio”) ― corrispondente al termine
aramaico “baal” con cui si soleva indicare il capofamiglia ― falsando, così, l'idea della suprema onnipotente divinità
che aveva ogni israelita. Tale mistificazione è stata necessaria, da parte dei gestori dell’ormai costituito
“cattolicesimo”, per attenuare il significato negativo ed, addirittura odioso, che la parola “padrone” suscitava
all’incente numero di schiavi e di contadini che si ribellavano in co
(40) Cfr Art. in “Plebe” del 20 aprile 2005.
(41) Per una più approfondita documentazione riguardo il notevole riscontro di pedofilia nel clero cattolico cfr. Liggio
F.: Art. XIV. L’ABNORME FREQUENZA DI “PEDOFILIA” ED “OMOSESSUALITÀ” NEL CLERO
CATTOLICO.
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