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Papi sanguinari - Testimoni di Geova
XXXIV. LA SIGNIFICATIVA CARRELLATA DEI NUMEROSI PAPI RESPONSABILI DI SANGUINARI ORRENDI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ E DI GRAVISSIME ILLEGALITÀ FERNANDO LIGGIO (www.fernandoliggio.org) È storicamente ben documentato che i “Papi”, non solo sono stati direttamente responsabili di orrende atrocità, ma hanno sempre permesso, e continuano a permettere, azioni delittuose ed illegalità di ogni genere. Non a caso Lord Acton (1960-1967) afferma che “I papi non furono soltanto assassini in grande stile, ma fecero dell’assassinio un fondamento legale della Chiesa cristiana ed una condizione per ottenere la salvezza” (cfr. Acton J.E. «Lectures on Modern History», London, 1960 e «Essays in the Liberal Interpretation of History», Chigago-London, 1967). Il Papa Leone I (440-461) promosse la prima sanguinosa lotta “pro fide agere” (“agire per la fede”) contro i non cristiani giustificando per loro la pena di morte poiché non erano degni di “continuare a vivere” e la loro eresia “deve essere estirpata dal corpo della chiesa” (“haereses a corpore ecclesiae resecantur”): dichiarando di essere il “lungo braccio di Dio” sosteneva che i non cristiani devono essere perseguitati, oltre che “con la spada sguainata”, anche usando “la lingua come spada” (cfr. Leone I: «Epistulae» e «Sermones»). Inoltre, il Papa Leone I (440-461) fu il primo accanito persecutore degli ebrei che paragonava ad “animali selvaggi” insultandoli continuamente come “scellerati”, “empi”, “abietti”, “miscredenti”, “sacrileghi”, “carnefici di Dio” ― nonostante, con palese contraddizione, ammettesse che “Dio, secondo il suo piano di salvezza, ha voluto essere ucciso da loro per poter salvare l’umanità”! ―, “criminali”, “assetati di sangue”, “dissoluti”, “Servi e mercenari di Satana”, ecc. Tale papa fu santificato! Il Papa Felice IV (526-530) con un decreto emesso nel 529 ordinò la distruzione di tutte le sinagoghe dei samaritani, ai quali fece sequestrare i beni, e stabilì severe punizioni per chi tentasse di ricostruirle (cfr. Codex Justinianus), come attesta Procopio (500-565) furono decapitati circa centomila samaritani e ventimila, tra donne e bambini samaritani furono venduti come schiavi (cfr. Procopio: «Historia Arcana»). Anche tale papa fu santificato! Il Papa Gregorio I (590-604), il quale protesse il Vescovo Andrea di Taranto che aveva rapporti sessuali con le parrocchiane e picchiò violentemente una povera donna da farla morire per le lesioni riportate, ordinò la reclusione dei “peccatori carnali” in segrete paragonabili alle “antiche gabbie per schiavi” dove i reclusi erano talmente compressi da non poter muovere un passo (cfr. Kober F.: «Die köperliche Züchtigung als kircliches Strfmittel gegen Cleriker und Mönche», Vinneland, 1875). Anche tale papa fu santificato! Il Papa Stefano III (768-772), appena eletto, promosse selvagge vendette: il detronizzato antipapa Costantino II (767-768) fu fatto trascinare attraverso le vie di Roma fino al carcere dove fu fatto storpiare, ai vescovi ed ai cardinali suoi collaboratori furono fatti strappare gli occhi e la lingua ed, in particolare, al vescovo Teodoro, che aveva sostenuto fino all’ultimo Costantino II (767-768), furono fatti cavare gli occhi e mozzare la lingua e, quindi, fu fatto rinchiudere nel monastero di Clivur Scauri dove morì fra orribili sofferenze, ecc. (cfr. Deschner K.: Op. cit. Band IV, Reinbek bei Hamburg, 1994). Il Papa Leone III (795-816), nonostante fosse stato notoriamente adultero ed un un pluriassassino, fu santificato nel 1673! Egli ― oltre a fare decapitare numerosi proprietari terrieri, ritenuti rivoltosi, incamerandone i beni espropriati ― fece condannare a morte per impiccagione un notevole numero di persone ritenute “colpevoli di lesa maestà” nei suoi riguardi! Il Papa Leone IV (847-855) «… Prima della battaglia navale di Ostia aveva promesso ai suoi guerrieri, in caso di morte, la “divina mercede”: la più antica anticipazione dell’indulgenza delle crociate, una promessa di cui molti Santi Padri hanno largheggiato, sapendo di mentire, nei tempi futuri. Qui accadde, per la prima volta, che un papa garantisse generosamente il cielo a tutti 1 coloro che fossero morti per la “vera fede, per la salvezza della patria e per la difesa della cristianità” [!!] [ancora oggi continua ad essere garantito il “paradiso” per chi si sacrifica nel provocare le stragi terroristiche!]. E così l’impresa divenne un successo travolgente. [...]. I bravi credenti, tuttavia, trucidarono i naufraghi, che erravano inermi sulla costa, o appendendoli alle forche “perché il loro numero non sembrasse troppo grande”, o trascinandoli in catene a Roma, dove servirono come schiavi di guerra alla costruzione della fortezza vaticana e dove l’impresa fu esaltata come un miracolo operato dal principe degli apostoli [San Pietro]. [...]. Dunque, ad una “pax” così concepita, può seguire di tutto: conflitti ed atrocità, anzi senz’altro guerra qualora venga lesa la “iustitia” ed il “giusto ordine”, quello cristiano, appunto. E questo, non è difficile dimostrarlo, è così ancora oggi. Pace ad ogni costo è qualcosa che la storia del cristianesimo non conosce. “Libertà”, “ordine”, ossia i “valori cristiani di base” devono essere preservati e difesi fino al sangue, fino alla totale rovina dello stesso oggetto da difendere…» (cfr. Deschner K.: «Criminalgeschichte des Christentums» Fünfter Band, Reinbek bei Hamburg, 1997). Anche questo papa è stato santificato! Il Papa Giovanni VIII (872-882) fu un vero e proprio “papa-guerriero” e, poiché il duca Sergio di Napoli rifiutò la sua alleanza bellica lo scomunicò e «…senza pensarci troppo su, fece tagliare la testa a venti prigionieri napoletani…» (cfr. Gregorovius F.A.: «Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter», Beidreisburg, 1857) (ed oggi ci meravigliamo delle pochissime teste tagliate dai talebani!). Tale “papa-guerriero” nell’anno 877 organizzò una flotta navale da guerra di cui egli stesso prese il comando e diresse personalmente le operazioni navali nei pressi del Capo Circeo riuscendo a catturare 18 vascelli saraceni e ad uccidere numerosi maomettani: «…Per la prima volta un pontefice combatteva direttamente in veste di ammiraglio…» (cfr. Gregorovius F.A.: Op. cit. Beidresisburg, 1857)! Quindi, Giovanni VIII si vendicò nei confronti del duca Sergio di Napoli che fece catturare dal fratello Attanasio, vescovo di Napoli, il quale per ordine di Giovanni VIII non esitò a cavargli gli occhi con le proprie mani onorandosi di eseguire un devoto servigio al santo pontefice. Il duca Sergio, completamente cieco fu fatto incarcerare e fatto morire in prigione e, come precisa Gregorovius, «…Quel fratricidio commesso da un vescovo fu salutato dal pontefice [Giovanni VIII], come un evento felice […]. All’assassino fu corrisposto il prezzo del suo crimine com’era nei patti [fu nominato duca di Napoli al posto del fratello], e inviata una lettera di congratulazioni. A tali virtù apostoliche del sacerdozio, che con tale dominio è per ragioni morali assolutamente inconciliabile…» (cfr. Gregorovius F.A.: Op. cit. Beidresisburg, 1857). Dalla cronaca dell’epoca si apprende che il papa Giovanni VIII mori il 16 dicembre dell’anno 882, con la testa spaccata a colpi di martello, infertigli da un parente poiché il veleno che gli aveva propinato tardava ad agire! Il Papa Bonifacio VI (896), che governò appena 15 giorni, mentre era Cardinale per le sue innominabili scelleratezze dal Papa Formoso (891-896) fu persino privato dei privilegi e dei diritti ecclesiastici! Il Papa Stefano VI (896-897) per risentimenti personali verso Papa Formoso (891-896) ne fece disseppellire il cadavere e gli fece tagliare le dita con cui benediceva, ma i cardinali rimasti fedeli a Papa Formoso (891-896) lo fecero imprigionare e strangolare. Il Papa Sergio III (904-911), il quale non esitò a fare strangolare i predetti cardinali fedeli di Papa Formoso (891-896), praticava regolarmente i rapporti sessuali tanto che ebbe un figlio dalla famigerata Marozia ― tale figlio, eletto a sua volta Papa con il nome di Giovanni XI (931-935) all’età di soli dodici anni (grazie agli intrighi tra la madre ed i Cardinali), fu fatto morire, recluso per congiura in Castel S. Angelo, appena quattro anni dopo la sua elezione ― nobile spregiudicata di alto lignaggio che fece assassinare ben tre Papi (1). Il Papa Giovanni XII (955-964), nipote della predetta Marozia, oltre ad essere stato omicida ed incestuoso, fu un turbolento libertino abituato a vivere tra i piaceri più sfrenati, finché fu sorpreso a letto con una adultera dal marito di costei ed ucciso per defenestrazione (Fig.1). Egli «..Era talmente malvagio persino per quei tempi che i cittadini se ne sarebbero sbarazzati volentieri; dicevano infatti che avesse inventato peccati mai visti dal tempo dei tempi, incluso quello di andare 2 a letto con sua madre. Teneva un harem nel Palazzo del Laterano e giocava di azzardo con le offerte dei pellegrini; possedeva un allevamento di duemila cavalli che nutriva a mandorle e fichi bagnati nel vino e ricompensava le compagne delle sue notti d’amore con calici d’oro del tesoro di San Pietro. […]. Le donne in particolare venivano ammonite a non mettere piede a San Giovanni in Laterano se tenevano al proprio onore: il papa infatti era sempre a caccia. Giunse persino a brindare al Diavolo davanti all’altare maggiore della chiesa madre della Cristianità […], aveva celebrato la messa senza l’eucarestia; aveva ordinato un diacono in una stalla; aveva eseguito ordinazioni a pagamento; aveva copulato con una lunga serie di donne, tra le quali la vecchia fiamma di suo padre e sua nipote; aveva fatto accecare la sua guida spirituale e castrare un cardinale, provocandone la morte. [Per il suo comportamento sfacciatamente immorale fu deposto ed esiliato. Ma la sua] famiglia radunò un esercito per permettergli di tornare […]. Giunto a Roma riprese la carica pontificia e non si accontentò della sola scomunica, ma fece mutilare o condannare a morte tutti colori che avevano contribuito al suo esilio. […]. Persino, il Cardinale Bellarmino [(1542-1621)], strenuo difensore del papato che sapeva tutto dei Borgia, dovette ammettere che Giovanni XII “era la feccia”: “Fuerit fieri ominium deterrimus”…» (cfr. De Rosa P.: «Vicars of Christ», London, 1988) Il Papa Benedetto V (964-965), nonostante fosse tanto erudito da ricevere l’appellativo di “grammaticus”, era anche un famigerato donnaiolo e spendaccione. Infatti, «... dopo aver disonorato una fanciulla, partì immediatamente per Costantinopoli con tutto il tesoro di San Pietro, per ricomparire soltanto dopo avere esaurito i fondi, imperversando nuovamente per Roma […] finché fu ammazzato da un marito geloso ed il suo cadavere, straziato da un centinaio di pugnalate, fu trascinato per le strade e poi gettato in una fogna…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). Il Papa Bonifacio VII (974-985) uccise il suo predecessore Papa Benedetto VI (973-974) strangolandolo con le sue stesse mani. Per tale delitto fu scacciato da Roma e si rifugiò a Costantinopoli portandosi dietro tutto il “tesoro di S. Pietro”. Tornò a Roma nel 984 e s’impadronì nuovamente del potere, fece strappare gli occhi ad un cardinale, che lo aveva particolarmente ostacolato, e fece imprigionare il Papa Giovanni XIV (983-984) in Castel Sant’Angelo nell’aprile del 984, facendolo uccidere con veleno nell’agosto dello stesso anno! Nell’agosto dell’anno successivo (985) fu ucciso a furor di popolo ed il suo cadavere trascinato per le strade di Roma fu gettato ai piedi della statua di Marco Aurelio, finché fu recuperato dai suoi servi e sepolto in S. Pietro (cfr. Rendina C.: «I Papi: storia e segreti», Newton & Compton Editore, Roma, 1983). Il Papa Benedetto VIII (1012-1024) nel 1020, in occasione di una sommossa popolare antiebraica, scoppiata a Roma nel 1020 in seguito ad un terremoto del quale furono assurdamente ritenuti responsabili gli ebrei (!!), oltre agli ebrei ingiustamente massacrati dal popolo, ne fece atrocemente giustiziare un’ingente numero! Il Papa Benedetto IX (1032-1044, 1045-1046, 1047-1048), fu eletto ben tre volte, nonostante fosse stato detronizzato e scacciato per le sue efferate nefandezze, tanto che nel 1047 fece avvelenare il Papa Clemente II (1046-1047) e l’anno successivo avvelenò personalmente il Papa Damaso II (1048), appena dopo 24 giorni di pontificato, suo ultimo predecessore. Alla sua prima elezione, «…avvenuta nell’ottobre del 1032, Sua Santità Benedetto IX aveva undici anni. Secondo monsignor Louis Duchense, Benedetto era “soltanto un monello […] e doveva passare del tempo prima che diventasse effettivamente pericoloso”. Ci si trovava davanti uno strano spettacolo: un bambino con la voce non ancora formata era primo legislatore e sovrano della Chiesa Cattolica, portava la tiara, celebrava la messa solenne a San Pietro, concedeva prebende, nominava i vescovi e scomunicava gli eretici. Le imprese di Sua Santità con le donne dimostrarono che il papa fanciullo raggiunse molto presto la pubertà. Arrivato a 14 anni, dice un cronista, aveva superato tutti i predecessori per dissolutezza. San Pier Damiani, fine giudice del peccato, esclamò: “Quel miserabile sguazzò nell’immoralità dall’inizio del suo pontificato alla fine dei suoi giorni”. Un altro osservatore scrisse: “La Cattedra di Pietro è stata occupata da un diavolo dell’inferno travestito da prete”. Benedetto IX dovette spesso lasciare Roma in fretta e furia. […]. Alcuni nobili tentarono di farlo fuori durante la messa […]. Un’altra volta fu scacciato, ma le truppe 3 dell’imperatore Corrado lo fecero rientrare, Costretto nuovamente all’esilio nel 1046 per saccheggio, assassinio e vessazione. […]. Dopo cinquanta giorni […] fu rimesso sul trono dalla sua famiglia […]. Alla fine Benedetto IX decise di dimettersi, aveva messo gli occhi sulla sua bella cugina, la figlia Girard De Saxo, che diede il suo consenso, a patto che il papa abdicasse. Colto da un sorprendente attacco di scrupoli, Benedetto IX decise di controllare se aveva il diritto di farlo […]. Felice di dimettersi, richiese una buonuscita di tremila libbre d’oro e, dopo una lunga contrattazione decise per tutto l’Obolo di San Pietro fornito dall’Inghilterra. Nessuna colletta di cattolici inglesi ebbe miglior uso…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). Il Papa Gregorio VII (1073-1085) che, soprattutto fu un grande falsario (2), era «…piccolo di statura, poco appariscente, piuttosto bruttino, e perciò parodiato e dileggiato […]. Ma il suo spirito era potente e spietato, la sua forza espressiva spesso intensa, concentrata […]. Basta leggere qualche testimonianza contemporanea per vederne […] la passione l’odio e la brama di vendetta. Benché pieno di foga tempestosa, egli si frena e s’ammansisce, anche se lo fa soltanto per amore dei suoi obiettivi, dei suoi fini; sia pure per poter alla fine sferrare l’attacco, per colpire prima o dopo implacabile, per annientare ove qualcuno gli si opponga o solo azzardi ad opporglisi. Quest’uomo non conosce la pazienza. […]. Versatilità, pluralità di vedute, gli sono più estranee che mai. Aveva un unico obiettivo, il fine di tutti quelli della sua casta: potere, potere, potere. Ma egli vuole più potere, più di loro tutti, vuole un potere mondiale. […]. Per questo Santo Padre il bene si realizza ― ma questo, nella sua Chiesa, è un fatto ricorrente, quasi usuale ― quando zampilla il sangue del nemico, anche sangue di cristiani, si capisce, non è questo che importa, l’essenziale è che si muoia per essa. Che si crepi per il suo vantaggio. […]. Questo papa fu innamorato della guerra e non è un caso che uno dei più antichi documenti abbastanza dettagliati ― se non in assoluto la più antica testimonianza della fede di Gregorio VII nell’aiuto dal cielo ― faccia esplicito riferimento proprio alla guerra: cioè alla fede dei cristiani nel fatto che il papa dal cielo avrebbe protetto i suoi in battaglia e mandato in soccorso l’arcangelo Michele alla testa di tutele schiere elisie, […]. Gregorio dimostrò precocemente grande interesse per le armi e le imprese belliche. I suoi scritti papali sono costellati di modi di dire corrispondenti. Più di altri “vicari” egli si serve del linguaggio marziale, evocando spade e proiettili, ferite e morte, con ricorrenti espressioni di militia Christi, militia sancti Petri, christiana militia e simili. Parla senza tregua di “bravi soldati di Cristo” e di “combattenti regali”, con cui naturalmente allude ai “santi vescovi”; parla di “scudo della fede”, di “spada di Cristo”, “brando della parola divina”, “spada del brando universale”, di “spada della vendetta apostolica, un’arma che inguaribilmente ferisce dalla pianta dei piedi fino alla testa”. Ed incessante ricorre il suo motto ispiratore, il versetto della bibbia: “Maledetto l’uomo che trattiene la sua spada dal sangue”. […]. Naturalmente, Gregorio VII dichiarò l’uso delle armi lecito […] per la difesa dell’ordinamento stabilito da Dio [!!]. Certo, ciò che intende per […] ordinamento divino, altro non è se non ciò che torna a lui utile, ovvero quanto è di vantaggio per il papato e la Chiesa. […]. Difatti egli vuole governare in luogo dei principi, vuole governare su di loro: per questo non fa altro che denigrarli, strapazzandoli di continuo accusandoli […] di alterigia, di rapina, di infedeltà, di assassinio, “delitti di ogni specie, compiuti per incitamento del diavolo. Principe del mondo” [!!]; ed afferma che costoro vogliono dominare gli uomini con cieca bramosia, con insopportabile arroganza, ecc, precisamente quello che anche lui vuole! Tutte le pretese di primato dei papi si conformarono in lunghi periodi e s’andarono sempre più accrescendo visto che, alla fin fine, ambizione e sete di potere di questi umili servitori di Cristo, di questi “servi dei servi di Dio”, non conobbero praticamente nessun limite. […]. Tutta la Chiesa primitiva non conobbe alcun primato di diritto, istituito da Gesù, dovuto al vescovo di Roma. Anzi un tale primato è in netta contraddizione con l’insegnamento di tutti i primi padri della Chiesa., anche dei più famosi. Ciò nondimeno, a lungo andare si gabellarono come fatti sempre esistiti quelle che erano state grossolane novità; e tutto quanto era fondato su contraffazioni e menzogne. […]. Gregorio VII vorrebbe rendere docili e malleabili anche gli imperatori, subordinando in maniera assoluta i sovrani. Egli non esita a capovolgere le cose, le leggi, la storia, le realtà gerarchiche. Per raggiungere questo fine, o non possiede alcun titolo, oppure ne ricava da colossali imposture clericali, in special modo dai 4 famigerati Decretali pseudo-isidoriani, cioè dai “falsi più fortunati” di tutti i tempi. […]. Gregorio II era dominato dalla fissazione, da una sua idea peculiare: che il papa fosse il signore del mondo. Infatti lui […] è più di tutti ossessionato dal potere. Chiunque altro, sia vescovo sia re, è tenuto ad ubbidirgli e servirlo. Soltanto il papa deve avere precedenza e privilegi su tutti. In fondo egli disprezza tutti e vuole essere stimato da tutti. Nel modo più pregnante, la sua esorbitante megalomania fa sfoggio di sé nel famigerato “Dictatus papae”, di cui si riportano alcune delle 27 concise e disordinate pseudo-proposizioni […] che probabilmente dovevano costituire il nucleo fondamentale di una nuova silloge giuridica: VII) “solo a lui è consentito, in corrispondenza con le esigenze del tempo, proporre leggi nuove, formare nuove comunità”; IX) “tutti i principi bacino solo i piedi del papa”; XII) “solo a lui è consentito di detronizzare gli imperatori ed il suo verdetto non può essere ritrattato da nessuno, lui è l’unico a poter revocare sentenze e giudizi”; XVIII “lui non può essere giudicato da nessuno”; XXII) “la Chiesa di Roma non è mai caduta in errore e, secondo la testimonianza della scrittura, non errerà mai per l’eternità”. […]. Gregorio voleva sottoporre al proprio comando niente di meno che il mondo intero. […]. Le armi, per papa Gregorio, furono sempre le benvenute, le predilette, purché combattessero per lui. Tant’è vero che, nel gennaio del 1075, provò a sondare presso il re danese Sven Estridsen: “Nel caso che la Santa romana madre Chiesa avesse bisogno di combattenti e di spade mondane contro i senzadio e i nemici di Dio, vorremo sapere, tramite discreti messaggi, quale speranza potremmo riporre in Te”. […]. Gregorio ― beatificato nel 1584 e canonizzato nel 1606 [!!] da Paolo V (1605-1621) ― pretese dal potere politico, non solo guerre a favore della Chiesa, ma anche guerre promosse dalla Chiesa stessa. Subito dopo l’insediamento nella carica, egli si occupò intensamente del riarmo, dedicandosi ai preparativi bellici. Collette e donazioni, che confluivano di continuo a Roma […] furono adoperate per dar vita ad un’armata. Per i suoi attacchi egli ammassava truppe senza tregua e, poiché non ne aveva mai abbastanza, giunse a dichiarare che fosse compito del credente quello di consacrarsi alla “militia sancti Petri” (un concetto coniato da lui). Arrivò così a sancire anche la guerra di aggressione. Anzi, mantenne da sé un esercito alla testa del quale troneggiava sul suo destriero […]. [“…Tutti i gregoriani sono favorevoli ad una guerra della Chiesa, all’applicazione della forza delle armi per amore della religione…” (cfr. Erdmann C.: «Alle origini dell’idea di Crociata», Spoleto, 1966)]. Per sua Santità non potevano mai esserci abbastanza caduti né abbastanza vittime in battaglia. Gregorio se ne rammarica dinanzi ai fedelissimi della Santa Sede: “Fino ad oggi solo pochi dei nostri seguaci hanno resistito agli empi infedeli fino a versare il loro sangue, pochissimi hanno affrontato la morte per Cristo”. […]. Così l’indignato e deluso pontefice prega, implora e incalza senza sosta; ed ovviamente solo “da parte del santo Pietro (ex parte beate Petri)”, affinché i credenti scendano in campo “per il re celeste”, per la “celeste aristocrazia” (celestem nobilitatem), quale che sia il significato dell’espressione. […]. Ai suoi guerrieri, nonché alle sue vittime, comunque, il papa promette di più. Perché facendo speciale affidamento ― in tutti i suoi progetti di aggressione ― in volontari afflussi di truppe, egli garantisce a tutti una ricompensa in cielo. […]. Gregorio promette: “Per la vostra temporanea fatica (momentaneum laborem) potrete conseguire l’eterna mercede”. E nel suo ultimo appello dopo la perdita di Roma: “accorrete in aiuto se volete avere remissione dei peccati, benedizione e grazia in questa e nell’altra vita”. […]. Tra i primi provvedimenti militari, all’inizio del suo pontificato, vi fu la richiesta di Gregorio al suo legato spagnolo di reclutare soldati per una crociata contro i Mori in Spagna. Voleva infatti sottomettere definitivamente la Spagna alla Chiesa, giacché era “antica proprietà di Pietro” e non sottostava a nessun altro se non alla “apostolica” sede. […]. Gregorio VII, per colpa del quale grande parte dell’urbe era stata trasformata in cumuli di macerie, distrutta dal fuoco e spopolata, non poteva più restare a Roma: lo si sarebbe linciato per tutto quello sfacelo. Per mettere al sicuro dalla rabbia popolare, tagliò la corda insieme con Roberto il Guiscardo dopo essere stato liberato da Normanni e musulmani [si pensi alla stretta analogia con Benito Mussolini che fu liberato dai Tedeschi]: questi portarono via, come prigionieri e schiavi, un gran numero di pecorelle romane, oltre agli innumerevoli carri carichi di bottino. […]. Il 25 maggio del 1085 morì Gregorio VII, del quale molti teologi e storici cristiani, soprattutto cattolici, tessono l’apoteosi, 5 proclamandolo non di rado il più grande di tutti i papi [!!]…» (cfr. Deschner K.: «Kriminalgeschicte des Christentums», Sechs Band, Reimbek bei Hamburg, 1999). Sotto il pontificato del Papa Urbano II (1088-1099) «…la nobiltà cristiana ― predatoria, sanguinaria, assetata di guerra come la definiscono i cronisti ― decimava se stessa e i suoi sudditi in faide interminabili. […] si affrettò […] a recare soccorso “alla Chiesa prossima al naufragio ed a ripristinare la pace che era scomparsa nel mondo” con una guerra, naturalmente, per la quale egli incitò perfino i briganti a farsi soldati di Cristo. […]. Sua Santità, dopo aver scagliato ripetute grida di dolore, giunge in fine alla pia conclusione, alla provvidenza foriera di pace [!!]. “Impugnate dunque le armi con la passione di Dio, cari fratelli, cingete le vostre spade ai fianchi, siate figli dell’onnipotente! In verità è meglio morire in battaglia…”. In compenso ci saranno poi, ancora in questa vita, remissioni di debiti, ricco bottino; e nella vita futura, perdono dei peccati ed interminabile giubilo in paradiso. […]. La Chiesa ricoperse letteralmente i militi crociati di favori e vantaggi, di quelli che ad essa costavano invero pochissimo, ma che per i destinatari costavano un prezzo assai caro. Tra i più importanti di questi doni funesti si trova l’indulgenza dei peccati, e precisamente una remissione totale, “perfetta” […]; ma ne fanno parte anche esenzioni dai tributi ordinari, protezione da persecuzione a causa dei debiti anteriori alla crociata, scomunica automatica per chi offendesse il crociato […]. Si impartivano indulgenze anche alle mogli dei crociati, ai predicatori delle crociate e persino agli ascoltatori delle prediche. […]. Anche gli esattori dei soldi per le crociate ottenevano indulgenze perché le entrate della Chiesa aumentavano quanto più sangue scorreva. […]. Per il papato le stragi che si protraevano si trasformavano in un successo finanziario colossale: grazie alle offerte, raccolte specialmente dai monaci, grazie alle cosiddette indulgenze della croce […] e ai versamenti pecuniari che liberavano dall’obbligo di partecipare attivamente alle crociate, garantendo tuttavia, a chi restava a casa, le stesse identiche beatitudini promesse al combattente. […]. Ma cosa non si era mai disposti a fare per la salvezza della propria anima! E la Chiesa faceva l’impossibile per appagare questo sogno di salvezza [!!]. Si pagava (se si aveva il denaro) ed il versamento ― ovvero il “vangelo dei quattrini” ― assicurava i posti più belli “lassù”, garantendo le più splendide grazie divine; in tal modo si potevano estendere le facilitazioni dell’indulgenza anche a parenti e familiari defunti, continuando con i versamenti, s’intende. […] si poteva astutamente sbarazzarsi del purgatorio, dell’inferno, raggirando ovviamente il diavolo; tutto era letteralmente in vendita: remissio peccatorum, vita aeterna, salus perpetua […] tanto che la faccenda divenne “il più lucrativo di tutti gli affari commerciali”, prospettandosi in un “diritto giuridico al regno dei cieli: fu questa la meta finale di tutti i crociati, che in effetti la Chiesa fece sperare a tutti”. Al centro dell’irresistibile istigazione di Urbano II (1088-1099) si colloca l’asserzione che la Chiesa cristiana fosse vittima di oppressione e persecuzioni in Oriente. In realtà i Cristiani non avevano di che lamentarsi nei paesi orientali. […]. L’obiettivo vero e proprio della guerra di Urbano II (1088-1099) era la “liberazione” dell’intera Chiesa cristiana d’Oriente. […], simulando ansia ed affanno per il “santo sepolcro”, per Gerusalemme. […]. La città era divenuta ― sotto il dominio dei cristiani (330-638) ― un autentico polo magnetico di pellegrinaggi, dotata com’era di un arsenale letteralmente vertiginoso di reliquie, non ultime le “reliquie di Cristo”; dalla colonna della flagellazione con numerose impronte del volto e del corpo di Gesù, alla corona di spine ed al calice dell’ultima cena, fino alle divine impronte dei piedi lasciate sul Monte degli ulivi prima dell’ascensione in cielo […] tutte cose integrali, assolutamente autentiche [!!]. Purtroppo questi e mille altri tesori erano caduti sotto i colpi della bufera araba […] lasciando che vi facessero ritorno anche gli Ebrei, banditi da Gerusalemme durante l’egemonia cristiana. […]. Venne il momento in cui devoti partecipanti alla crociata in Francia, dove papa Urbano II (1088-1099) aveva proclamato dapprima la croce, massacrarono cittadini ebrei in numero sempre maggiore. Per cominciare orde cattoliche misero a sacco la comunità ebraica di Rouen: gli abitanti furono massacrati, le loro case date alle fiamme. Spesso anche gli ebrei battezzati scampavano a fatica da tali rastrellamenti. Nella Francia occidentale il clero aveva fatto già un lungo lavoro preparatorio di storia salvifica, da quando un sinodo dopo l’altro aveva emesso decreti esplicitamente antigiudaici. […]. Così nella Franconia merovingia, già alla fine del VI secolo, si procedette a battesimi coatti, 6 espulsioni di massa, distruzioni di sinagoghe e di case di ebrei [(3)]. […]. La predicazione popolare, martellando incessantemente sul tema del “popolo deicida degli Ebrei”, portava ad ebollizione gli animi sempliciotti dei credenti, tanto che molti crociati cedettero di poter compiere pie gesta già in patria. Ragionando in guisa del tutto cristiana ― anzi cristologica! ― si argomentava in questo modo: “Ecco, vedete, noi partiamo in cerca del nostro Salvatore per vendicarne la memoria sugli Israeliti […] ma qui tra noi vivono intanto quegli Ebrei che lo uccisero e lo crocifissero! Avanti, facciamo prima vendetta su di loro, togliamoli di mezzo, facciamoli fuori, liberiamo la comunità dei popoli…”. Sì, perché la parola d’ordine era “Uccidi un ebreo e salva la tua anima!”. Presto, e sempre più spesso, si credette di poter salvare non soltanto la propria anima, ma pure la propria pelle, di povera gente oberata di debiti. Ammazzando un ebreo, cioè, ci si liberava del rimborso del capitale e degli interessi. […]. Successivamente la Chiesa liberò esplicitamente i crociati da ogni pagamento d’interessi per denaro prestato […] ma tassando tanto più duramente gli ebrei. In tal modo si finanziavano i “pellegrini armati”, in misura cospicua, con denaro ebraico [(4)] […]. In questi massacri i magnati cristiani compivano gesta particolarmente gloriose. Infatti, non fu solo il metropolita [Arcivescovo cristiano ortodosso]. di Magonza a farsi prima pagare e poi uccidere lo stesso gli ebrei. […]. “non risparmiava né vecchi né giovani, non avendo pietà né per bambini né lattanti né infermi, che calpestava il popolo di Dio come polvere, percuotendo i ragazzi con la spada e squarciando le donne in gravidanza” [neppure i nazisti, nonostante tale esempio, arrivarono a tanto!]. Nelle cronache ebraiche dell’epoca non c’è che pianto e lutto, “un’interrotta litania funebre, composta dei più cupi suoni della disumanità e risonante ad un tempo del folle urlo del fanatismo fideistico […]. La croce di Cristo […]”: “le donne cingevano di forza i loro fianchi squartando i loro figli e le figlie ed, infine, se stesse; molti uomini si rifocillavano e macellavano le loro donne, la loro prole; la madre tenera e docile smembrava il suo figlioletto prediletto; tutti insorgevano, uomini e donne, scannandosi gli uni con gli altri. Le donne umili e pie si offrivano a vicenda il collo per il sacrificio a vantaggio dell’unità del nome di Dio […] uno ammazzava, l’altro veniva ammazzato, finché sangue si confondeva con sangue […] tutti venivano uccisi e smembrati a causa dell’unità del grandissimo e terribile nome divino” [(5)]. Molti ebrei si davano la morte. Si gettavano dal ponte, come tre ragazze a Colonia, nei flutti del Reno, avventandosi sulla spada, nel fuoco, tagliandosi le vene dei polsi o strangolando i propri bambini, come a Magonza, dove Mar Isac soffocò il figlio e la figlia a mezzanotte nella sinagoga [(6)]. Nessuno sa quante persone caddero in quel tempo vittime dei cattolici portatori di salvezza [!!]. Ma ne potrebbe risultare un numero di cinque cifre, quando non senz’altro la cifra di “50.000”. Solo a Magonza morirono più di mille ebrei ed in quella carneficina “i dignitari ecclesiastici hanno avuto un ruolo certamente vergognoso” [(7)]. […]. La prima Crociata si svolse in tre grandi ondate, la prima delle quali ― la “crociata dei contadini”, ossia dei massacratori di ebrei ― era composta di quattro possenti bande.…» (cfr. Deschner K.: Op. Cit., Reimbek bei Hamburg, 1999). Il Papa Adriano IV (1154-1159) fece bruciare vivo Arnaldo da Brescia nel 1155 perché aveva pubblicamente denunciato l’“immoralità della Chiesa”. Il Papa Lucio III (1181-1185) nel 1184 col decreto “Ad abolendam” promulgò la cosiddetta “Santa Inquisizione” ― istituzione giudiziaria escogitata allo scopo di scoraggiare, con il terrore dell’impiego della tortura e della condanna al rogo, l’incipiente diffusione delle “eresie” che ostacolavano l’affermarsi dell’“ortodossia cattolica” ― in nome della quale iniziò l’atroce persecuzione dei catari e dei valdesi facendo molte migliaia di vittime innocenti. Il Papa Innocenzo III (1198-1216) era talmente perverso tanto che, come riferisce Hauck (1958), «…le falsità facevano parte dei suoi normali strumenti diplomatici […]; nella sua attività politica non conosceva il dovere della verità […]; falsificava i fatti così come gli servivano e non disdegnava neanche l’aperta menzogna…» (cfr. Hauck A.: «Krchengeschichte Deutschlnds», Neudruck, 1958). Si servì delle milizie di Simone de Monfort per fare distruggere intere città, fra le quali Carcassonne, Lavaur, Tolosa e Beziers, solo perché i loro abitanti si erano rifiutati di consegnare i valdesi (cioè, i seguaci del riformatore religioso Pietro Valdo): le milizie cattoliche entrarono nelle predette città ed eseguirono carneficine di massa gridando “uccidiamoli tutti tanto 7 Dio saprà poi riconoscere i suoi!”, eseguendo l’ordine impartito dal Papa Innocenzo III (11981216): “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi” […], «…“Dovete cercare di annientare la miscredenza eretica in ogni modo e con tutti i mezzi che Dio vi rivelerà”. […]. I soldati […] uccisero quasi tutti, dal più giovane al più vecchio, e poi appiccarono il fuoco nella città. […]. Ai difensori della città, più di cento, cavarono gli occhi e tagliarono il naso. […]. I “Cavalieri di Cristo” uccisero tutti, dai bambini piccoli fino ai vecchi malati…» (cfr. Gubin P., Maisonneuve H.: «Histoire albigeoise, nouvelle traduction de l’ovrage de Pierre des Vaux de Carnay» Ed. Vrin, Paris, 1951). Il Papa Innocenzo III (1198-1216) esortava così il suo esercito: “Avanti bellicosi soldati di Cristo! Marciate contro i persecutori ed uccidete i servi dell’antico serpente! […] Fino ad oggi avete combattuto per il mondo: combattete adesso per Dio!” (cfr. Werner E., Erbstöß M.: «Ketzer und Heilige. Das religiöse Leben im Hochmittelalter», Berlin, 1986). «…All’inizio del 1211 […]. Si combattè a lungo presso Lavaur, con baliste, macchine d’assedio munite di crocifisso […] con innumerevoli trucchi e raffinatezze da parte dei cristiani che predicano l’amore per il prossimo e per il proprio nemico. […], Lavaur, una delle città più forte del paese, stracolma di profughi, proscritti, cavalieri, catari, viene presa e tutti coloro che vi si trovavano ― non importa di quale fede, età o sesso ― vengono scannati alla presenza dei vescovi. Una bella vittoria in nome del Signore e della santa Vergine. Aimery de Montréal […] viene impiccato; sua sorella Giraude, la castellana incinta, “haeretica pessima”, viene gettata viva in un pozzo e […] ricoperta di pietre affinché il suo pianto fosse soffocato. […]. Ottanta cavalieri, tutti “nemici della croce” […] vengono trucidati […] e, con enorme gioia, i crociati bruciarono un gran numero di eretici. […]. Alcuni sene vanno in giro per le strade al so lo scopo di massacrare innocui innocenti strappando loro gli occhi o tagliando loro a colpi di sciabola il naso o altre membra. Alti attaccano i pii pellegrini, riducono degli innocenti a storpi […]. In un solo convento furono trovati centocinquanta uomini e donne ai quali mancavano i pollici, le mani o i piedi o vi erano stati strappati gli occhi, i seni o altre parti del corpo. Ogni giorno si inventavano “con grande zelo nuove torture non ancora sperimentate”. Talvolta ― è orribile a dirsi ― strappavano violentemente gli arti dal corpo per mezzo di corde a uomini appesi per i genitali…» (cfr. Deschner K.: «Kriminalgeschichte des Christentums», Band 7, Reinbek bei Hamburg, 2002). Inoltre, il Papa Innocenzo III (11981216), nell’ultimo anno del suo pontificato, fece votare al Concilio Lateranense IV (1216) la legge che obbligava gli ebrei a vestire di giallo affinché fossero sottoposti al “pubblico ludibrio”, comportamento efficacemente imitato dai nazisti per facilitare lo sterminio degli ebrei! Il Papa Gregorio IX (1227-1241), come documenta De Rosa, «…impugnò la torcia del terrore con il massimo entusiasmo. […]. Il 27 luglio 1233 nominò i primi due inquisitori a tempo pieno, Peter Seila e Wiliam Arnald, i primi di una lunga serie tranquilli e spensierati della specie umana. […] nel 1239 inviò il domenicano Robert le Bourge nello Champagne per indagare su un vescovo di nome Moranis che, secondo le accuse, permetteva agli eretici di vivere e moltiplicarsi nella sua diocesi. In una settimana padre Robert aveva messo sotto processo l’intera città e il 29 maggio mandò al rogo 180 persone, vescovo compreso…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988)! Come documenta Deschner, «…I roghi continuano a fumare, e “una quantità innumerevole di persone” periscono a Erfurt, Magonza, Colonia, Marpurgo, dove si incenerisce anche una vecchia che non voleva “convertirsi”. […] molti eretici sono bruciati dal predicatore Corrado di Marburgo. Soltanto il suo aiutante, il frate domenicano Corrado Dorso, ne ha bruciati circa mille. Il frate Corrado Dorso ed il suo complice, guercio e mutilato, Giovanni, un vero aguzzino, si basavano su una regola assai religiosa: meglio che muoiano cento innocenti, piuttosto che sfugga un colpevole. “Nelle città e nei villaggi facevano arrestare chiunque volessero, e consegnavano ai giudici queste persone senza ulteriori prove con le parole: questi sono eretici, noi ritraiamo la nostra mano da loro”. Dopo di che i giudici dovevano bruciarli, volenti o nolenti, secondo gli “Annales Colonienses maximi” lo stesso giorno della denuncia. […] una quantità innumerevole di persone venne uccisa in virtù di inaudite violazioni del diritto, di false testimonianze, solo in base a sospetti e senza ulteriori indagini; perfino coloro che dichiararono la propria fede, che “invocarono Cristo e la sua divina madre” ancora tra le fiamme […]. Gregorio IX non concedeva appello agli 8 “eretici”. Gli avvocati che li assistevano perdevano “per sempre la loro carica”, così egli ordinò. Correvano anzi il rischio di essere bruciati essi stessi; […]. E nessuno osava intercedere per un accusato o anche solo presentare attenuanti, perché in quel modo veniva considerato un difensore degli eretici, e per questi e per chi li nascondeva il papa [Gregorio IX] aveva stabilito le stesse pene che per gli eretici stessi. […]. “Bruciamo molti ricchi eretici, e voi avrete i loro beni, Nelle città vescovili il vescovo ne riceverà una metà, e il re o un giudice l’altra. Di questo tali signori si rallegravano, e favorivano gli inquisitori, li chiamavano nelle loro città e nei loro villaggi”. […] Gregorio IX esortava l’arcivescovo di Magonza allo sterminio degli “eretici”, e cosi anche re Errico, al quale raccomandò di imitare questo luminoso esempio di omicidio di massa tratto dall’Antico Testamento: “Dov’è lo zelo di un Mosè, che in un sol giorno annientò ventimila idolatri? Dov’è lo zelo di un Finees, che con un sol colpo trafisse l’israelita e la medianità? Dov’è lo zelo di un Elia, che uccise con la spada i quattrocentocinquanta profeti di Baal […]”. […] Tutto questo si deve a Gregorio IX: ha tentato di realizzare un’inquisizione tramite i suoi legati, ha nominato inquisitori a Roma e a Firenze, ha rafforzato la legislazione esistente contro gli eretici nel 1231, esponendoli così alla pena di morte. Ha fondato infine un’inquisizione papale, accanto a quella dei vescovi, affidandone l’attuazione ai domenicani, i quali agiscono in modo terribile soprattutto in Italia settentrionale ed il Linguadoca. A Tolosa, nel 1232 furono bruciati ad opera del domenicano Raimondo di Falguario diciannove albigesi, tra cui diverse donne. A Firenze l’inquisitore domenicano Giovanni mandò sul rogo nel luglio 1233 sessanta rispettabili uomini e donne. L’inquisitore Roberto ― nominato da Gregorio IX ― che ridusse in cenere molte persone anche a Cambrai, Douai, Lille, fece bruciare soltanto il 29 maggio 1239 a Mont-Aime nella Champagne centotrentatre “eretici”, “maximum olocausto et placabile Domino” (“massimo olocausto e gradito al Padrone [Dio]”) […] I domenicani finirono per esercitare la loro crudele opera omicida in tutta l’Europa. […]. Papa Gregorio IX nel 1234 canonizzo Domenico di Guzman, un uomo il cui enmblema più frequente divenne un cane che stringe tra i denti una fiaccola accesa; così come i domenicani vennero chiamati, a causa del loro sanguinario compito di redenzione, “Domini cani”, i cani di Dio. […]. I Condannati si conducevano in processione, si pagavano alti prezzi per i posti alle finestre e per ogni cattolico cristiano che portasse legna sul rogo era certa una piena indulgenza […] e dopo che il grande inquisitore, in una piazza o in una casa di Dio, terminata la messa solenne e la predica, aveva consegnato i condannati a morte al potere secolare, non senza l’intimo desiderio di risparmiare a queste persone “la vita e le membra”, esse venivano condotte al luogo dell’esecuzione; a causa della loro folle depravazione, esse portavano un berretto da buffone ed un vestito fatto di sacco, di un giallo vivo e decorato con i più pazzeschi volti diabolici, affinché anche il più stupido dei cattolici potesse vedere immediatamente quali figli del demonio fossero quei malvagi; ed in uno slancio di autentico amore per il prossimo venivano maltrattati con dei bastoni, pizzicati con tenaglie roventi e talvolta veniva loro staccata la mano destra. Per premuroso rispetto nei confronti del popolo cristiano, agli “eretici” veniva messa in bocca ― per impedire che gridassero ― una specie di morso, cosicché non si sentiva altro che il familiare crepitio delle fiamme e la litania dei preti. E mentre le loro vittime, a seconda della direzione del vento, soffocavano o bruciavano lentamente, la comunità riunita, nobiltà, popolo e clero, cantava “Gran Dio, noi ti lodiamo”. […]. Accanto al tavolo di tortura era appeso il crocifisso, e durante il supplizio si aspergevano più volte di acqua santa gli strumenti della salvezza. […]. Se un torturato perdeva i sensi, gli si rovesciava addosso dell’acqua o lo si faceva rinvenire accendendo dello zolfo sotto il suo naso, così da poter continuare a torturarlo. Era incerto anche il limite di età delle persone da torturare. Verso l’alto esso era naturalmente aperto. Per i giovani, i concili di Tolosa, Béziers ed Albi fissarono 14 anni per il sesso maschile, dodici per quello femminile. Ma ci furono anche autorità ecclesiastiche che ridussero il termine fino a sette anni. Il “sacro arsenale” dell’inquisitore Tommaso Meneghini autorizzava anche la flagellazione dei bambini piccoli. […]. Nel 1229 Gregorio IX con la bolla “Excomunicamus”, stabilì che tutti coloro i quali dopo l’arresto si convertivano alla “vera fede” per paura della morte “fossero incarcerati a vita e scontassero in questo modo la loro giusta punizione”. […]. Papa Gregorio IX lodava addirittura il fatto che che gli 9 uomini tradiscono le loro donne, le donne i loro uomini, i genitori iloro figli, i figli i loro genitori, ed ordina che nessuno esiti a sacrificare la propria famiglia: “…uxor propriis liberis, aut marito, vel consortibus ejusdem criminis, in hac parte sibi aliquatenus non percebant…”. Un sistema diabolico, che fondava la sua certezza sul fatto di rendere sicuro, minacciare, rovinare tutto il mondo, di trascinare nella sua barbara giustizia vendicativa perfino e specialmente le famiglie, anche la più intima vita privata, anche i discendenti. Così nei confronti dei genitori eretici erano eliminati tutti i doveri filiali, questi dovevano essere considerati, “come estranei e stranieri” e consegnati all’inquisizione; solo in questo caso il diritto ereditario continuava ad esistere. Diversamente, anche i figli rimasti cattolici perdevano i loro averi, venivano privati di tutto il loro patrimonio. La chiesa non lasciava loro neanche la legittima, lasciava loro solo la nuda vita […] “solo per misericordia”. Tutto il resto lo perdevano senza alcuna misericordia…» (cfr. Deschner K.: Op. Cit., Reinbek bei Hamburg, 2002). Il Papa Innocenzo IV (1243-1254), oltre ad autorizzare la “Santa Inquisizione” mediante la Bolla “Ad Extirpandam” a dover usare la tortura, emanò severissime leggi inquisitorie che stabilivano la confisca dei beni e la condanna a morte per i praticanti altre religioni se si rifiutassero di abiurare a favore del Cattolicesimo. Tali leggi, tra l’altro, sollecitavano il comportamento infamante affinché i figli denunciassero i propri genitori non cattolici pur di salvare le proprietà di cui potevano divenire eredi! Tra i condannati a morte da questa legislazione si ricorda la figura di Paolo Bivacchino Rusconi che fu torturato e bruciato vivo per non avere abiurato. Innocenzo IV (1243-1254) nel 1252, si rivolse ad una povera donna incinta, accusata di stregoneria, con le seguenti espressioni: «…Ti torturerò […] per sei mesi o per un anno intero fino a quando non confesserai e, se non confessi ti torturerò a morte e poi ti brucerò…» (le grida e le contrazioni dolorose delle torturate erano ritenute uno spettacolo eroticamente eccitante che attirava molti estimatori specialmente nell’ambito del clero!) Il Papa Bonifacio VIII (1294-1303), miscredente (8), ambizioso, egoista, crudele e di turpi costumi, fece catturare ed assassinare il Papa Celestino V (1294) suo predecessore e, nel 1300, escogitò la più grande truffa di ogni tempo –– poi sempre più incentivata da tutti i papi successivi – – denominata “Giubileo” (9) (o “Anno Santo”!), durante il quale dal papa è concessa l’“indulgenza plenaria” a tutti quelli che si recheranno in pellegrinaggio a Roma (sede del vertice della gerarchia ecclesiastica), ove naturalmente apporteranno il vantaggio derivante dal consequenziale incremento economico, per pregare nelle quattro maggiori basiliche della cristianità secondo le intenzioni papali! All’“indulgenza” ― consistente nel divino benevolo pieno condono, post mortem (!!), della pena da dover infliggere per tutti i peccati commessi in vita ― alla cui effettività nessun Papa ha mai creduto, tanto che il pontefice Benedetto XIV (1740-1758), noto per la caratteristica di avere come interiezione preferita la parola “cazzo”, avrebbe avuto la spudoratezza di dire: “La voglio santificare questa parola, accordando l’indulgenza plenaria dei peccati a chi la pronuncia dieci volte al giorno!” (cfr. Alessandra D.: «Dizionario dei Papi», Milano, 1995). Il Papa Clemente V (1305-1314) fece ridurre a brandelli e bruciare al rogo Frate Dolcino, perché questi lo aveva accusato d’immoralità, facendo, in seguito condannare al rogo oltre mille seguaci dello stesso Frate Dolcino. Inoltre, ordinò la soppressione dei Templari con stragi e d atroci torture di massa : Molay, Gran Maestro dei Templari, fu fatto bruciare vivo dopo alcuni anni di atroci quotidiane torture! Tale papa, inoltre, distribuì quasi tutte le enormi ricchezze della Chiesa ai suoi parenti (10)! Il Papa Giovanni XXII (1316-1334) fece di tutto per riarricchire la Chiesa depauperata dal suo predecessore «…così vendette tutto quello che un francese fantasioso come lui poteva immaginare. Il perdono per qualsiasi crimine aveva un suo prezzo; ad esempio, i cattolici potevano pagare un tanto per l’assoluzione dall’omicidio ed un tanto per l’assoluzione dall’incesto e dalla sodomia. Peggio si comportavano i Cattolici, più sua Santità si arricchiva. Quando fu resa pubblica senza autorizzazione una lista di peccati e delle relative tangenti, si pensò ad un falso escogitato dai nemici della Chiesa, ma i nemici erano il papa e la Curia, che con l’alchimia più bizzarra 10 trasformavano i vizi in oro. Davano ai peccatori il diritto di peccare e di evitare le conseguenze dei loro misfatti. Giovanni XXII aveva bisogno di denaro. Nutriva una passione per la guerra e, specialmente per le guerre italiane. Si calcola che avesse speso in armi il 70% dei suoi redditi, […]. Particolarmente dispendiose si rivelarono le guerre feudali di Giovanni XXII con i Visconti di Milano. disse di lui un contemporaneo: “Il sangue che sparse avrebbe tinto di rosso le acque del Lago di Costanza e con i corpi dei caduti si sarebbe potuto costruire un ponte da una riva all’altra”. Questo avidissimo papa, che manteneva il fratello ed i nipoti nel lusso, contraddisse parecchi dei suoi predecessori sull’argomento della povertà di Cristo. […]. Giovanni XXII aveva un figlio, che se la cavava molto bene come cardinale, ma non aveva mai commesso il peccato di sposarsi. […]. Giovanni XXII [dopo morto] fu proclamato eretico, proprio lui che era stato il flagello degli eretici. Aveva, infatti, consegnato all’Inquisizione affinché fossero messi al rogo un gran numero di pii Francescani (ammontavano a 114) il cui unico crimine era quello di sostenere che Gesù ed i suoi discepoli erano vissuti in estrema povertà. […]. Alla sua morte le casse papali, vuote quando era salito al trono, traboccavano. I banchieri fiorentini chiamati a stimare il tesoro rimasero stupefatti: non avevano mai visto niente di simile. Contarono 25 milioni di fiorini d’oro [il cui valore dell’epoca corrisponde a quello di circa 500 milioni di euro attuali (anno 2005)] ed una somma equivalente in gemme ed oggetti preziosi. La vera eresia di Giovanni XXII, vicario di Cristo e successore di San Pietro, fu quella di avere messo al rogo il più povero dei poveri di Cristo e di essere morto come l’uomo più ricco del mondo…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). Il Papa Benedetto XII (1334-1342) nel 1336 lasciò che un orda di cristiani inferociti, capeggiati da Arnoldo di Ussigheim, uccidessero a pugnalate complessivamente millecinquecento ebrei, nel 1337 lasciò che a Deggensdorf fossero assaliti tutti gli ebrei, depredati, fatti a pezzi e bruciati (cfr. Browe P.: «Judembekämpfung im Nittelalter», Zeitschrift für Katholische Teologie, 2, 3, 1938) e che, nello stesso anno, fossero arsi vivi numerosi francescani (tra i quali si ricordano Donna Oliva da Parma, Antonio Bevilacqua, Bartolomeo Greco, Lorenzo Gherardi, Bartolomeo da Bucciano e Francesco da Pistoia) per il semplice fatto che andavano predicando la povertà! Il Papa Clemente VI (1342-1352), mentre se la spassava “nudo con le sue numerose amanti” nella sua alcova addobbata di ermellino (cfr. Cawthorne N.: «Das Sexleben Päpste, die Skandalchronik des Vatikan», Augstburg,1999), fece ingiustamente inquisire migliaia di vittime innocenti: tra le quali si ricordano Francesco Stabili (soprannominato Cecco d’Ascoli) che fu fatto bruciare vivo per aver detto a riguardo delle “tentazioni di Gesù” che, contrariamente a quanto asserito nei Vangeli, era impossibile vedere dall’alto di una montagna tutta la terra; il medico Pietro d’Albano che fu fatto bruciare vivo con l’accusa di “stregoneria”; il benefattore Domenico Savi che fu condannato al rogo per “avere eretto un ospedale senza la benedizione della Chiesa”! Il Papa Innocenzo VI (1352-1362) nell’anno 1359 ordinò all’inquisitore francescano della Provenza di dissotterrare e giudicare a posteriori gli ebrei “cristiani rinnegati” deceduti, che da vivi sarebbero dovuti essere imputati di “eresia” e condannati ad essere bruciati vivi sul rogo, onde condannarli ad avere bruciati i loro corpi esamini (cfr. Deschner K.: « Kriminalgeschichete des Christentums», Siebter Band: 13 und 14 Jahrhundert, Reinbek Hamburg, 2002). Il Papa Urbano V (1362-1370) «…silurò senza scrupoli non solo i curiali a lui antipatici, ma gli piacque dare alle fiamme anche “eretici” […]. Per quanto riguarda gli “eretici”, questo papa […] fece appello a vescovi e ad inquisitori di tutta la Francia, senza trascurare di comunicare “dove si possono trovare”, cosicché molti sospetti di eresia furono bruciati. Il “nobile Urbano” […] mandò a Napoli un “inquisitore speciale” allo scopo di snidare e liquidare i Fraticelli. A Viterbo, in seguito ad una sua campagna di agitazione, furono gettati sul rogo nove “settari”. In Germania papa Urbano fece di quattro domenicani i suoi “diavoli infiammati”, ammonendo vescovi e cittadini affinché “sostenessero attivamente l’inquisizione”…» (cfr. Deschner K.: «Kriminalgeschichete des Christentums», Achter Band: 15 und 16 Jahrhundert, Reinbek Hamburg, 2004). Sotto il pontificato di Papa Gregorio XI (1370-1378) le piazze di molte città (Ferrara, Firenze, Pisa, Roma, Venezia, ecc.) furono teatro di continui spettacolari roghi con i quali si 11 facevano continue stragi d’infedeli al cattolicesimo. Fra le vittime si ricorda un umile calzolaio, Agostino Beltramo, che il 5 giugno 1372 fu atrocemente torturato e bruciato vivo per “avere bestemmiato durante una partita a carte”; un certo Menelao Santori fu arso vivo il 10 ottobre 1387 perché conviveva con due donne; un certo Lorenzo da Bologna fu costretto a confessare sotto tortura di aver rubato un ciborio e reso moribondo dalle atroci torture fu condotto al rogo a colpi di frusta l’1 novembre 1388 (altro che via crucis del Cristo escogitata, e continuamente recitata, per la propaganda della fede!). Il Papa Urbano VI (1378-1389) il 22 maggio 1383 fece strangolare la Regina Giovanna di Napoli per il semplice motivo che si era dichiarata a favore dell’antipapa Clemente VII (13781394), a sua volta famigerato sanguinario, da non confondersi con il futuro Papa Clemente VII (1523-1534). Il Papa Bonifacio IX (1389-1404) fu straordinariamente avido e senza scrupoli, tanto da affermare che “un piccolo pesce in pugno era meglio di una balena in mare” e da essere esclusivamente impegnato nell’arricchimento proprio e dei suoi familiari (cfr. Kühner H.: «Das imperium der Päpste. Kirchengeschhte», Hamburg, 1977) e ad accumulare denaro per le sue guerre. Allo scopo sfruttò senza scrupoli ogni possibile fonte di guadagno (decime, raccolte caritatevoli, imposte, ecc.), facendosi persino pagare ogni petizione ed ogni incarico che elargiva in base all’entità delle offerte in moneta contante. Disgregò lo Stato della Chiesa smembrandolo in dipartimenti, dati in appalto ad acquirenti facoltosi, insignendoli come suoi “Vicari”, i quali dovevano prestargli giuramento di fedeltà ed erano obbligati a versargli cospicui interessi. Nei riguardi di questo Papa Deschner (2004) riferisce quanto segue: «…Non meno scandaloso fu il traffico che Bonifacio IX operò con le indulgenze, semplicemente spudorato. […]. Da molte regioni i suoi agenti estorsero oltre 100.000 fiorini d’oro. Infatti, concesse l’agevolazione di un anno giubilare non solo ben oltre Roma, ma la rese possibile anche ad altri paesi non meno che a diocesi, corporazioni, singoli cristiani, in cambio di un rimborso delle spese di viaggio a Roma in cambio […] di un importo che il pellegrino doveva elargire alle basiliche romane. Bonifacio IX icassava la metà di quei denari, l’altra metà andava nelle casse della rispettiva chiesa prescelta […]. In più, Bonifacio IX mise in vendita persino luoghi strategicamente importanti per lo stato della chiesa. […]. Col patrimonio della chiesa Bonifacio IX si barcamenava alla grande; esso era necessario per finanziare le sue guerre e questo caso era in pratica sempre ricorrente. […]. La guerra imperversò anche nello stato della chiesa, gravemente sconvolto, dove operavano i due fratelli del papa, mentre Bonifacio, sempre intento a procacciarsi denaro per potersi più intensamente riarmare, metteva sotto sequestro gli introiti ecclesiali in patria e all’estero, dappertutto coniava denaro, contraeva prestiti con importanti banche; si servì perfino di sequestro di ostaggi oppure del generale obbligo di rinnovo per tutte le grazie papali in caso di incombenti perdite in vista di scadenze annuali. Con mezzi e risorse sempre nuove il papa cercò di aumentare il rilancio militare […]. Bonifacio IX fece tagliar la testa a 31 dei suoi prigionieri […]. Ancora sul letto di morte lo tormentò l’inestinguibile “sete dell’oro”…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Innocenzo VII (1404-1406) per sedare una sommossa popolare, scatenatasi durante il suo breve pontificato, chiamò in aiuto il nipote Ludovico Migliorati che, in difesa dello zio, non esitò ad assassinare nell’Ospedale Santo Spirito “undici ambasciatori romani, tra cui due governatori della repubblica e parecchi capitani di regione, che fece buttare tutti in strada da un’alta finestra” ed in compenso lo zio Papa Innocenzo VII lo nominò “margravio di Ancona” e “conte di Fermo”. Il Papa Innocenzo VII morì avvelenato dal vescovo di Fermo per incarico del cardinale Baldassarre Cossa (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004), che divenne Papa col nome di Giovanni XXIII (1410-1415) da non confondersi con l’omonimo Papa Giovanni XXIII (1958-1963). Il Papa Gregorio XII (1406-1415) fu talmente spietato tanto che fra i numerosi condannati durante il suo pontificato si ricorda un certo Andreani che nel 1413 fu fatto torturare e bruciare vivo insieme alla moglie ed alla figlia perché aveva osato deridere i “Padri Conciliari” e tutti i cardinali del Concilio assistettero all’esecuzione per il semplice piacere di vedere morire con la sua famiglia 12 colui che essi avevano condannato “per solo sentimento di vendetta”. Inoltre, si ricordano anche M. Jan Hus (11) e Gerolamo da Praga, macellati e bruciati vivi per aver detto che “la morale del vangelo proibisce ai religiosi di possedere beni materiali”. Il Papa Giovanni XXIII (1410-1415), al secolo Baldassarre Cossa, appena chiamato in curia, «…si arricchi con affari usurai. Nel 1402 il Papa Bonifacio IX lo nominò cardinale legato a Bologna, dove divenne famigerato sia per la brutale bramosia di possesso sia per l’inaudita lussuria, tanto da accoppiarsi non solo con la moglie di suo fratello, ma altresì con vedove, fanciulle e spose a turno, alcune delle quali venivano poi uccise dai rispettivi mariti o parenti, senza che la cosa facesse grande impressione al cardinale. Nonostante fosse sospettato di essere l’assassino di due papi, il cardinale Baldassarre Cossa […] fu unanimemente eletto papa dal conclave riunito a Bologna nel 1410. […]. Egli non trascurò di “manipolare i suoi colleghi con tutti i mezzi che gli offriva la sua posizione. Non mancavano nel sacro collegio, elementi avidi e disposi alla corruzione. E così scorsero fiumi di denaro e compensi di ogni genere e senza misura, per comprare i voti degli elettori!”. […]. S’imputavano a papa Giovanni XXIII: avanzamenti di carriera acquistati a suon di denari, un malgoverno senza precedenti, dilapidazione dei beni ecclesiastici, perversioni sessuali di ogni specie e quantità. La lista comprendeva 72 punti dei crimini da lui commessi e anzi, in origine, ve n’ erano elencati molti di più; tuttavia poi molto venne ignorato, come si disse allora, “per salvare l’onore della sede apostolica”. […]. Giovanni XXIII era diventato cardinale e papa in seguito a corruzione, si era arricchito in modo colossale con la vendita di beni ecclesiastici, mediante simonia e manipolazione di indulgenze. […]. Secondo le testimonianze, Giovanni XXIII aveva avvelenato il suo predecessore e quello di quest’ultimo. Aveva inoltre commesso adulterio con la moglie del proprio fratello, aveva avuto come concubina la sorella del cardinale di Napoli, indulgendo sovente anche all’omosessualità, compensando col dono di un’abbazia uno dei suoi beniamini, ecc. […]. Egli avrebbe “sedotto nel primo anno del suo pontificato circa duecento donne sposate, vedove, fanciulle e moltissime monache”. […]. Gli vennero contestati 54 capi d’accusa, lasciandone tuttavia cadere ― per risparmiare le orecchie, pur abbondantemente insensibili dei padri conciliari ― molti altri che riguardavano la sua condotta di vita, in quanto troppo sudici. Secondo quanto fu detto: “Multi articoli, quia nimis sordidi erant, omissi”. Papa Giovanni XXIII […] venne unanimemente espulso dalla carica a causa di “indegnità di vita, notoria simonia, incorreggibilità, pessima amministrazione della Chiesa, promozione dello scisma e molti scandali arrecati alla Chiesa”…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Martino V (1417-1431) ha proclamato quattro sanguinarie crociate contro gli Hussiti, non tanto per estirpare l’“eresia” quanto ai fini di saccheggio. Egli non si stancò di rinfocolare la guerra, per cui impose tasse esorbitanti (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Eugenio IV (1431-1447) fu altrettanto spietato: infatti, durante il suo pontificato vi furono ignominiose atrocità come la condanna al rogo della giovanissima Giovanna d’Arco che, ingiustamente accusata di stregoneria, fu arsa viva nel 1431; nello stesso periodo furono fatti bruciare vivi due miseri popolani (Merenda e Matteo) semplicemente per fare un favore ai Colonna ed ai Savelli dei quali i poveretti avevano parlato male! Ma, immensamente riprovevole fu la strage fatta eseguire nei confronti dei seguaci di M. Jan Hus i quali furono obbligati ad entrare in un fienile al quale fu dato fuoco dopo averne chiuso le entrate. Il fatto fu descritto dalla cronaca cattolica come segue: «…Appena entrati, si chiusero le porte e si appiccò il fuoco; e in tal modo quella feccia, quel rifiuto della razza umana, dopo aver commesso tanti delitti [!!], pagò finalmente tra le fiamme la pena del suo disprezzo per la religione…» (cfr. Marchetti M.: «La santa inquisizione», Ragusa, 1999). Il Papa Callisto III (1455-1458) fu guerrafondaio ― a riguardo si ricordano le crociate contro i Turchi ― e nepotista, tanto da elevare alla carica cardinalizia due nipoti appena ventenni (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). 13 Il Papa Pio II (1458-1464) dopo aver trascorso una giovinezza spensierata, allietata dall’amore per una certa Angela, cantata nei suoi versi col nome di Cinthia, divenne segretario del vescovo di Capranica e, poi, del Cardinale Albergati che gli affidò una missione in Scozia, dove intraprese piccanti avventure femminili, tanto da ingravidare due diverse ragazze, accollando poi il mantenimento dei due figli, avuti da loro, “cinicamente al padre” (cfr. Falconi C.: «Storia dei Papi e del Papato», Milano, 1966-1972 e «I Papi sul divano», Milano, 1975). Quindi, divenne segretario dell’antipapa Felice V (1439-1449) alla cui difesa scrisse il “Libellus dialogorum de generalis concilii authoritate” e, per opportunismo, decise di prendere gli «..Ordini sacri e nello spazio di un anno fu suddiacono, prete e, nell’aprile del 1447, vescovo di Trieste. […]. Poi con entusiasmo nel 1450 accolse la nomina a vescovo di Siena […] finché nel 1456 ottenne da Callisto III (1455-1458) la porpora cardinalizia, come premio dell’attività svolta in favore della crociata contro i Turchi. La sua elezione al pontificato il 19 agosto 1458 fu senz’atro frutto di una serie di circostanze che lo fecero apparire agli occhi del collegio cardinalizio lo specchio dei tempi nuovi, perché non veniva da chiostro né da una precisa vocazione ecclesiastica. Aveva alle spalle una vita dal “colorito profano”. […]. Si delinea con Pio II la figura del papa-re: […] veniva condannato ogni appello ai concili contro le decisioni pontificie; mentre per la lotta ai feudatari riottosi si passa all’azione militare, come quella condotta nel 1461 contro i Savelli nella Campagna romana a forza di bombardate all’uso ancora efficace della scomunica e dell’interdetto in una forma che tende sempre più a identificare il nemico politico con il nemico della fede, come appunto si verifico con i Malatesta, definiti “perfidi ribelli di Dio e della fede apostolica”. […]. Riprese allora l’idea della crociata e Pio II entrò nella risoluzione di mettersi personalmente a capo della spedizione; la predicò con tutti i mezzi a disposizione e si prestò, in un misto di ipocrisia e fanatismo religioso, ad eccitare i partecipanti alla crociata con l’esposizione in giro per Roma di quella preziosa reliquia che l’ultimo dei Paleologhi aveva portato dall’oriente nel 1462: la testa dell’apostolo Andrea. Veniva proprio da Patrasso, il luogo presunto del suo martirio. Fu un affluire in massa di pellegrini a Roma per la venerazione di quella reliquia, con un susseguirsi di tridui e novene per la spedizione; guarda caso, il grido di guerra di Goffredo di Buglione nella prima crociata era stato “Sant’Andrea da Patrasso!”. Alle preghiere fece seguito il 22 ottobre 1463 la pubblicazione della Bolla che prolungava la guerra santa: un riscatto dell’Oriente dagli infedeli in nome di Cristo agli occhi di Pio II poteva anche contemplare il sacrificio della propria vita in un martirio, fonte di gloria imperitura…» (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983). Il Papa Paolo II (1464-1471) «…era uomo vanaglorioso, assetato di pompe, come dimostra la sua residenza principale, il “Palazzo Venezia”, per la cui costruzione saccheggiò antichi monumenti, addirittura anche il Colosseo […]. Nominò cardinali tre suoi parenti: Marco Barbo, Battista Zeno e Giovanni Micheli fatti, successivamente, avvelenare in Castel Sant’Angelo. Paolo II mantenne assoggettate le masse popolari ― espediente politico utilizzato anche oggi ― con giochi e manifestazioni sportive, curando anche oltre misura i giochi carnevaleschi, noti come “Ludi Romani”, divenuti “celebrità mondiali” grazie all’opera sua. Al centro di quelle feste collocò la rituale derisione degli ebrei, al cui finanziamento i bersagli della derisione erano per giunta costretti a contribuire. Ed è significativo che non solo introducesse una nuova tassa, la cosiddetta “quindemia”, ma decretasse anche nel 1570 che il lucrativo “Anno Santo” fosse celebrato ogni 25 anni. […]. Il valore della sua corona scintillante di pietre preziose si stimava in 200.000 fiorini d’oro [corrispondenti al potere d’acquisto di circa 4.000.000 di euro attuali (anno 2007)] […]. Lo storiografo Bartolomeo Platina […] aveva minacciato il papa Paolo II […] al che Paolo II […] lo fece gettare e torturare per quattro mesi (secondo altri fonti per un anno) in Castel S. Angelo. Paolo II, nonostante fosse padre di una figlia, si recava spesso nella prigione dello stato […] perché, conosciuto come omosessuale, si compiaceva di vedere i maschi nudi sotto tortura…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il papa Paolo II (1464-1471) morì improvvisamente il 26 luglio 1471 per «…infarto cardiaco, mentre intratteneva un rapporto anale con uno dei suoi ragazzi prediletti…» (cfr. Cawthoorne N.: «Das Sexleben der Päpste,die Skandalchronik des Vatikans», Augsburg, 1999). 14 Il Papa Sisto IV (1471-1484) nominò Inquisitore di “Santa Inquisizione” il crudelissimo frate domenicano Tommaso Torquemada per poi approfittarne obbligandolo a versargli il 50% delle enormi ricchezze da lui accumulate con i beni confiscati ai condannati (ebrei ed accusati di eresie e di stregoneria) e con i beni abbandonati dalla popolazione che, atterriti dalla triste fama del Torquemada, al suo arrivo fuggiva in massa lasciando tutto nelle sue mani. Torquemada, con la tacita protezione del pontefice, riuscì ad allontanare dalla sola Spagna 800.000 ebrei, confiscando loro tutti i beni, sotto pena di morte qualora fossero restati o ritornati. Inoltre, sotto il pontificato del Papa Sisto IV (1471-1484) furono bruciati vivi 10.200 ebrei e di 6.860 furono riesumati i cadaveri per essere bruciati in quanto condannati post-mortem alla confisca dei beni, altri 97.000 ebrei furono condannati alla prigione perpetua dopo aver avuti confiscato le proprietà. Sisto IV, infatti, promosse presso i sovrani di Spagna, tramite una Bolla speciale emanata nel primo novembre 1478, la più terribile “inquisizione”, autorizzandoli ad arrestare tutti gli “eretici”, specialmente se convertiti (“neo-cristiani”) che, dopo essere stati costretti all’abiura, erano accusati di falsità e condannati alla confisca dei beni, in favore del papa e della corona di Spagna, e quindi all’esecuzione. In base alla predetta Bolla si procedeva con esecuzioni massicce delle vittime che «…o le si bruciava vive ― con la più perfetta “tecnica letale”― oppure, dopo averle prima strangolate, venivano “garrottate”. Era un metodo mutuato tra l’altro dai briganti di strada i quali stordivano prima il rapinando con un cappio lanciato intorno al collo, fino allo svenimento; allo stesso modo i garrottieri dell’inquisizione uccidevano gli “eretici” che dovevano essere depredati, e questo era pure considerato un segno di speciale misericordia, una dimostrazione di grazia dei boia religiosi. Anche dopo che la peste si era portato via molti carcerati, si usava disseppellire i loro cadaveri e ricomporne i rimasugli per incassare dai parenti la loro eredità. Imperversava il sistema spionistico, il costume delatorio, incoraggiato dalla chiesa come cosa gradita a Dio nelle prediche e nella confessione. Avanza così inarrestabile verso il suo culmine il parto più raccapricciante ed infame dello spirito umano, autorizzato dal papato, controllato dalla monarchia, più atroce e più radicale che in qualsiasi altro luogo: uno strumento quasi perfetto di uccisione di massa, un terrore sistematicamente escogitato che ― divenuto esemplare per analoghe istituzioni del mondo ― si protrarrà per oltre tre secoli, fino al 1834…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). In Spagna i roghi furono organizzati come veri e propri spettacoli per il popolo ed a Toledo, sempre sotto Sisto IV, sono stati bruciati sul rogo 2.400 “marrani” (“maiali”), nome con cui erano denominati gli ebrei convertiti al cattolicesimo. Contemporaneamente, in tutte le piazze di Roma, spettacolari roghi bruciavano i non cattolici i cui patrimoni erano requisiti dalla “Confraternita di San Giovanni Decollato” per conto del Papa Sisto IV (1471-1485) che non badava a spenderli per suoi sollazzi, tanto che donava vasi da notte d’oro alle dame che s’intrattenevano con lui, dedito all’incesto ebbe un figlio (Pietro Riario) da sua sorella e che, ancora giovanissimo, fu da lui nominato Vescovo di Treviso, Arcivescovo di Firenze, Arcivescovo di Valenza, Cardinale di Siviglia e Patriarca di Costantinopoli, ma che, purtroppo, finì per morire presto a causa delle troppe dissolutezze (cfr. Griesinger Th.: «The Mysteries of the Vatican», London, 1964)! Il Papa Sisto IV (1471-1484) era noto anche per essere bisessuale e pedofilo, come ha ben documentato il cronista Stefano Infessura (1440-1500) attestando quanto segue: «…Costui, com’è tramandato dal popolo, e i fatti dimostrano, fu amante dei ragazzi e sodomita […], a loro non solo donò un reddito di molte migliaia di ducati, ma osò addirittura elargire il cardinalato e importanti vescovati. […]. E che dire del figlio del barbiere? Codesto, fanciullo di nemmeno dodici anni, stava di continuo con lui, e lo dotò di tali e tante ricchezze, buone rendite e di un importante vescovato; si dice che voleva elevarlo al cardinalato, contro ogni giustizia, anche se era bambino…» (cfr. Infessura S.: «Diario della città di Roma» [stilato in latino nel 1484], Tip. Forzani, Roma, 1890). Inoltre, tale papa permise la pratica della “sodomia” nei mesi più caldi (cfr. De Clemanges N.: «Opera omnia», Elzevirius & Laurentius , Lugduni Batavorum, 1539)! Sisto IV (1471-1485) ha dotato Roma di molte “Case di tolleranza” per entrambi i sessi «…che affittava ai cardinali, mentre egli incassava annualmente 80.000 ducati dalle sue meretrici, tenendo conto che una romana su sette era una prostituta […]. Fu il primo papa a far coniare il proprio profilo sulle monete. Speculò con titoli finanziari, fece salire il 15 fiscalismo aumentando le cariche vendibili a quota 625, a più del doppio. Mise in vendita notariati, protonotariati, posti di procuratore nella tesoreria, smerciò interi collegi nuovi, tra cui spuntarono titoli inauditi, per esempio un collegio di cento giannizzeri da nominare in cambio di 100.800 ducati. Aumentò le tasse per i sacerdoti che si mantenevano delle amanti, accrebbe la tassazione sulle prebende, le donazioni allo stato della chiesa (69 per cento delle entrate globali).Le sue imposte i decima […] suscitarono proteste […]. Inventò anche nuove fonti d’introito consentendo, per esempio, agli uomini facoltosi di “consolare certe matrone in assenza dei loro mariti”. Fece affari con le indulgenze, permise perfino la loro erogazione a favore dei defunti […] ed indisse un anno giubilare supplementare per il 1475. Come tanti suoi predecessori, anche Sisto IV si era procacciato la massima carica della cristianità con ogni sorta di pratiche simoniache. Aveva corrotto con generose regalie […] la maggioranza dei cardinali, nonché mediante mirabolanti promesse […]. Investì ingenti capitali per il riarmo della sua flotta (144.000 ducati d’oro, solo negli anni 1471-72, secondo i libri contabili) e inviò, nella primavera del 1472, i suoi più autorevoli cardinali in Spagna, Francia, Germania, Polonia, per fornire ai principi motivazioni a favore della guerra contro i Turchi. […]. Nel 1476 concesse al re francese l’introduzione di una indulgenza “giubilare” alle seguenti condizioni: la metà dei denari raccolti doveva andare a sostegno della difesa dell’isola di Rodi, l’altra metà alle finanze pontificie. […]. Una serie intera di suoi nipoti, in totale sei, furono fatti cardinali da Sisto IV: tre della Rovere, Giuliano, futuro papa Giulio II che ricevette oltre a numerose abbazie anche sei vescovadi, Cristoforo, sistematico cacciatore di prebende, e Girolamo della Rovere, nonché Pietro e Raffaele Riario, il primo nominato cardinale a 25 anni, il secondo già a 17; tenendo conto che “nipoti”, in quei tempi, erano spesse volte “bastardi”, ossia figli naturali dei loro santi padri.[…]. Ma anche i “nipoti” diventarono allo stesso modo “strumenti dei suoi turpi piaceri”. Più di tutti Pietro Riario godette il favore incondizionato del pontefice. […]. Pur essendo ancora un povero frate francescano, questo Pietro incassava ora un’entrata annuale di oltre 60.000 ducati d’oro. Il lusso di cui si circondava Pietro diventò strabiliante. […]. Nei suoi suntuosi banchetti pubblici si esibivano attori, artisti, poeti; vi servivano domestici avvolti in raffinate sete artistiche e si succedevano le portate, annunciate da trombe e flauti. Cinghiali con pelliccia erano serviti arrostiti, daini interi, perfino un orso, pavoni con le penne, cicogne, gru, pesci ricoperti di argento, confetti in forme e colori diversi, mentre la sua favorita era ricoperta di perle “dalla testa i piedi”. Il cardinale Pietro partiva dalla curia con cento cavalli di razza, percorreva le regioni d’Italia nel suo ruolo di legato con incredibile pompa, innumerevoli deleghe e pieni poteri, divinizzato dal popolo, corteggiato dai porporati. […]. Finché, dopo pazzesche stravaganze e dilapidazioni, morì il 5 gennaio 1474, appena ventottenne, aveva scialacquato 300.000 ducati d’oro, aveva lasciato dietro di sé montagne di debiti e aveva copulato letteralmente a morte, eppure ricevette anche uno dei più bei sarcofaghi di tutti i tempi, opera di Mino da Fiesole. Quindi, Sisto IV indirizzò le sue speciali premure a favore di Girolamo Riario, fratello di Pietro […] che divenne sposo della celebre Caterina Sforza, figlia illegittima del duca Galeazzo Maria, ritenuto assassino di sua madre, il quale, appena trentatreenne, cadde nel natale 1476, nella chiesa milanese di Santo Stefano, sotto i pugnali di giovani aristocratici : tutti quanti cristiani, lo si rammenti solo per inciso. Lo zio Sisto IV (in realtà suo padre naturale) comprò per 400.000 ducati la contea di Imola a favore di Girolamo Riario. Inoltre, lo investì della contea di Forlì (dove dei tirannicidi lo pugnalarono nel 1488) e gli procacciò altre città quali Faenza, Ravenna, Rimini, insomma tutta la Romagna: insomma un papale regno nepotista, operazione in cui Sisto IV “impiegò senza ritegno armi militari e spirituali”, superando oltre ogni misura “tutti i confini del nepotismo mai visti fino a quell’epoca”. […]. Durante quasi tutto il suo pontificato Sisto IV si occupò soprattutto […] di assistenza e protezione della propria famiglia. A tale scopo condusse guerre, tramò intrighi, inganni e cospirazioni; per tale motivo si produssero gravi destabilizzazioni politiche, ribellioni e campagne militari. E tutto ciò con la copertura di dichiarazioni metapolitiche, col pretesto di decantati obiettivi superiori, sotto il manto del suo ufficio sacerdotale e della religione. […]. Giunse così a suscitare la congiura dei Pazzi che […] non poteva accadere senza l’annientamento fisico dei capi dei Medici di cui i veri e propri mandanti fuono manifestamente il papa Sisto IV e Girolamo Riario. I quali volevano 16 espandersi instaurando a Firenze una signoria e comunque includere la città nella loro sfera di potere, sotto l’egemonia dei Pazzi [facoltosa famiglia di banchieri romani]. Tra loro e i congiurati fungeva da anello di congiunzione il giovane arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, respinto dai Medici, al quale era stato promesso l’arcivescovado di Firenze. Lorenzo e Giuliano dei Medici, dopo diverse modifiche del piano, dovevano essere pugnalati domenica 26 aprile 1478, durante una funzione solenne nel duomo di Firenze. Ma il capitano papalino Giambattista da Montesecco, prezzolato fin da principio, intendeva sbrigare la faccenda in modo meno solenne, solo all’esterno della chiesa, in luogo non consacrato; per questo fu sostituito e al suo posto furono messi due congiurati meno sensibili e meglio avvezzi a trattare col sacro […]. Proprio durante la consacrazione, davanti all’ostia sollevata, Giuliano Medici fu sgozzato sull’altare maggiore con 19 colpi di coltello, mentre il personaggio principale, Lorenzo il Mgnifico, se la cavò con lievi ferite grazie ad una corazza indossata sotto il vestito […]. E poiché i fiorentini si predisposero alla vendetta contro i rivoltosi, presto gli esponenti della famiglia Pazzi, l’arcivescovo Salviati di Pisa ed altri penzolarono dalle finestre del Palazzo della Signoria fino a che la folla fece a pezzi i cadaveri buttati sulla strada. […]. Ma Sisto IV scagliò anatemi in tutte le direzione[…] impose l’interdetto sulla città, sequestrò tutti i beni fiorentini, sobillò gli Svizzeri perché intervenissero in Italia […] e condusse lui stesso, con l’appoggio di Napoli, una guerra devastante contro Firenze […]. Il perfido gioco del papa Sisto IV precipita la maggior parte dell’Italia nelle fiamme della guerra. […]. Davanti ad Ostia, intanto, erano attraccate navi da guerra napoletane; venti triremi presidiavano e turbavano la costa, mentre nello stato della chiesa operava il duca Alfonso di Calabria […] che premeva sulla città appiccando incendi quasi ogni giorno fino alle porte di Roma. […] Il papa Sisto IV benedicendo da una finestra del Vaticano la sua carne da cannone, fece filare davanti a sé cavalieri, archibugieri, artiglieria e più di 9.000 fanti. Pochi giorni dopo, al comando di Roberto Malatesta, si conseguì la vittoria con la battaglia di Campo Morto a sudest di Roma, nelle paludi Pontine infestate dalla malaria. Sui due fronti combatterono gli Orsini, i Colonna, i Savelli, e perirono miseramente più di mille persone. Papa Sisto IV accolse giubilante la lieta novella. […]. Fece suonare a festa le campane di tutte le chiese e partecipò di persona ad una solenne cerimonia di ringraziamento in Santa Maria del Popolo. Solo tre settimane dopo la sua vittoria, Roberto Malatesta cadde vittima della febbre malarica […] e subito dopo il santo padre Sisto IV mandò Girolamo a Rimini per strappare l’eredità alla vedova del Malatesta e al figlio Pandolfo, allora ancora bambino. […]. Ma le ostilità non ebbero tregua. In Roma, dove Sisto IV ed il conte Riario, flagello della città, stavano con gli Orsini contro i Colonna, si depredarono chiese e case, si demolirono palazzi, si costruirono trincee, si espugnarono barricate e ovunque si appiccarono incendi. Si ebbero imprigionamenti, espulsioni, uccisioni e decapitazioni: insigni teste caddero. Una volta in uno scontro di sole due ore, dalla parte dei Colonna caddero circa quaranta uomini, dalla parte avversa tredici. La guerra dilagò per tutto il Lazio, dove il papa Sisto IV voleva annientare e sterminare i Colonna per investire dei loro beni e delle loro ricchezze l’idolatrato nipote [in realtà figlio], il quale a sua volta estorceva denaro dalle chiese di Roma, mentre il padre Sisto IV riarmava le sue truppe con l’artiglieria, benediceva i cannoni e tendeva le mani al cielo, senza tuttavia riuscire ad imporsi. […]. Ancora nel 1484, nell’anno della sua morte, papa Sisto IV trasmise un encomio del cardinale Borgia per il Grande Inquisitore di Spagna, integrandolo da parte sua: “Abbiamo appreso con grande gioia di questa lode e siamo entusiasti che Voi, ricco di conoscenze e rivestito di potere, dedichiate tutti i Vostri sforzi a tali oggetti che sublimano il nome del Signore [cioè Dio] e sono utili alla vera fede. Invochiamo su di Voi la benedizione del Signore [cioè Dio] e vi incoraggiamo, diletto figlio, a continuare con la precedente energia, servendo instancabilmente alla sicurezza e al consolidamento dei fondamenti della religione; in questa missione potrete sempre contare sulla nostra speciale benevolenza”. Sulla benevolenza non poté più contare, in quell’anno, il suo intimo compagno di studi ―il domenicano Andrea Zimometic ― un distinto figlio dei Balcani, elevato da papa Sisto IV nel 1476 ad arcivescovo titolare di Granea (presso Salonicco). Infatti, quando il prelato, ambasciatore imperiale a Roma, cominciò a criticare aspramente le condizioni esistenti alla corte papale, Sisto IV lo fece gettare nel Castello sant’Angelo. E quando egli, liberato grazie 17 all’intervento imperiale, si apprestò a reclamare la riforma della chiesa e della curia, ridando vita al Concilio generale di Basilea (con citazione del papa), l’arcivescovo Zamometic finì di nuovo in carcere […] dove fu trovato due anni dopo (1484) strangolato nella sua cella…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Innocenzo VIII (1485-1492) oltre ad essere un corrotto simoniaco, è stato un incallito libertino, tanto da aver dovuto mantenere ben sette figli riconosciuti, oltre ad essere anche provetto “sodomita” e, come tale, favoriti dal predecessore Sisto IV (1471-1484). Progettò una crociata contro i turchi, ma preferì patteggiare con il Sultano ed accettare da lui una pensione di 40.000 ducati, festeggiando l’avvenimento «…con uno dei più mondani carnevali che Roma ricordi…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995). Per bisogno di denaro «…s’impegnò la tiara e parte del tesoro vaticano presso una banca romana […]. Poi per ricavare altro denaro creò nuovi posti nella segreteria papale, anche se non ce n’era proprio bisogno, mettendoli in vendita; a parte l’abuso di potere, questo portò ad affidare gran parte degli uffici dell’amministrazione curiale a persone incapaci che cercavano a loro volta soltanto il proprio vantaggio per un’avidità di denaro che diventò regola quotidiana nella Santa Sede. Tutti gli impiegati erano corrotti e il caso più lampante si ebbe con l’istituzione del collegio dei Plumbatores delle Bolle pontificie, nel numero di 52; accadde che molti di loro s’industrializzarono in proprio e da autentici falsari misero su un’officina che emetteva bolle falsificate, in un lucroso commercio assai attivo finché non furono scoperti nel 1489 e finirono sul patibolo…» (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983). La più famigerata Bolla di questo papa fu la “Sunnis desiderantes” con la quale dichiarava «…essere cosa accertata che molti individui d’entrambi i sessi, nelle città e nelle campagne, abbandonata la religione cattolica, avevano contatto carnale con i demoni sotto spoglie umane maschili e femminili e, con l’ausilio di questi loro alleati infernali, compivano le maggiori nefandezze ed arrecavano i peggiori guai….». In virtù di questa bolla, come ricorda Rau (1911), «…Innocenzo VIII conferì a 3 monaci la facoltà di scacciare dalla Germania i demoni della stregoneria. Ebbero allora inizio, sulla base di indicazioni superficiali, di denuncie basate su nulla di concreto, persecuzioni terribili che erano condotte con voluttà fanatica di far scempio, di uccidere. E pur questi fanatici non furono soddisfatti. Occorreva un codice formale che servisse nei processi alle streghe e portasse cioè un’esatta e completa descrizione delle loro abominevoli azioni. Si venne così a foggiarsi la Stregoneria come un sistema vero e proprio di criminalità diabolica…» (cfr. Rau H.: «Sexuelle Grausamkeiten. Ein Studienbuch für Wissenschaftler», Frankfurt am Main, 1911). Innnocenzo VIII «…rinunciò alla sua favorita, consolandosi con diverse concubine, tanto da far dire ogni volta: “Sua Santità si alza dal letto delle meretrici per aprire e chiudere le porte del purgatorio e del cielo”. E, poiché il frutto non cade lontano dall’albero, alla stessa guisa se la spassò il figlio Franceschetto, che abitava in Vaticano col padre. Nelle sue scorrerie notturne, penetrando nelle abitazioni, si dice che stuprasse ogni donna che suscitava le sue voglie, senza biasimo da parte del santo padre. Quando non era in giro per irruzioni ed imprese amorose, Franceschetto trascorreva spesso le serate nelle bische della città; avendo perso una volta, in una sola notte, 14.000 ducati giocando col cardinale Riario, accusò il cardinale di frode ed il papa Innocenzo VIII costrinse Riario a rimborsare la somma. Innocenzo VIII era dedito al denaro non meno che alla felicità dei suoi figlioli. Fu, pertanto, l’artefice dello sposalizio di Franceschetto con Maddalena Medici, figlia di Lorenzo il magnifico, senza esitare , per contraccambio, ad elevare al cardinalato Giovanni Medici, il tredicenne figlio di Lorenzo e futuro papa Leone X (che Sisto IV aveva già nominto Protonotaro apostolico all’età di sette anni!). Nel contempo divenne cardinale anche il figlio illeggittimo del fratello del papa Innocenzo VIII. Come predecessore nella carica, il quale gli aveva lasciato gravi debiti, anche Innocenzo VIII ebbe necessità urgente di risanare le finanze, tanto più che anche la corte era tanto fastosa quanto immorale. Dovette essere ipotecato perfino il tesoro della corona, impiegando anche mitra e tiara. Alcuni suoi funzionari si videro perfino costretti a tenersi a galla con un’officina di falsari e con traffici di bolle false. Qindi, si vendettero indulgenze in quantità massicce, anche per sanare i peggiori crimini, creando una quantità enorme di uffici superflui ed aggiudicandoli ai migliori offerenti. Solo l’introduzione di 24 nuovi posti di segretariato papale 18 fruttò all’erario una somma di 63.000 ducati. E da ogni reato si poteva uscire impuniti se si era in grado di soddisfare adeguatamente la cancelleria papale. Di delitti, però, ce n’erano in continuità; solo nel breve periodo compreso tra l’inizio della malattia di Innocenzo VIII e l’elezione del suo successore si contarono 220 delitti capitali. […]. Innocenzo VIII, dopo un’agonia di cinque giorni, moriva, non senza aver prima profondamente inciso, e per sempre, il proprio nome nella storia della salvezza con il suo celebre scritto “Summis desiderantibus affectibus”, più nota come “Bolla delle streghe”, con la quale si colloca adesso al centro dell’attenzione il fenomeno dello spiritismo e della stregoneria cristiana…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Alessandro VI (1492-1503), Rodrigo Borgia ― figlio illegittimo del Callisto III (1455-1458) avuto da sua sorella nel 1431, allorchè non era ancora stato eletto papa ― il quale, oltre ad essere stato il famigerato organizzatore delle più aberranti orge e ad essere stato incestuoso con la propria figlia (Lucrezia), «…all’età di dodici anni, nel 1443, aveva ucciso con molte pugnalate un giovinetto suo coetaneo soltanto perché, essendo di condizione sociale inferiore alla propria, gli si era rivolto in maniera poco garbata […]. Egli era un maestro nel confezionare filtri velenosi e con l’assistenza del figlio [Cesare] aveva potuto perfezionare a dismisura questa sua arte […]. Non soltanto dalla morte di questo o di quel cardinale il pontefice traeva denaro, ma anche dalla loro elevazione alla porpora poiché, alla consegna del cappello rosso, il prescelto doveva pagare una forte somma di denaro…» (cfr. Spinosa A.: «La saga dei Borgia. Delitti e santità», Milano, 1999). Alessandro VI da cardinale «…era considerato il porporato più ricco in un’epoca in cui i cardinali erano tutti annoverati tra gli uomini più ricchi d’Europa. Il suo incommensurabile patrimonio lo impiegò per comprarsi il papato con mille imbrogli. […]. Egli fu tra i primi a profondere a pieni mani benefici, immobili, cariche. Promise ville, città, castelli, diocesi, abbazie, solo l’abbazia di Subiaco con tutti i suoi tesori, compreso l’ufficio di vicecancelliere e naturalmente somme incalcolabili. Allo stesso ricchissimo Ascanio Sforza, figlio del duca di Milano Francesco, fece recapitare, prima del conclave, quattro muli carichi di denari. In tal modo il Borgia ottenne, già alla prima votazione, il voto di Ascanio e questi, al quale egli per sua stessa dichiarazione era soprattutto debitore della tiara, ottenne a sua volta il castello di Nepi, la diocesi di Erlau, l’ufficio di vicecancelliere, un priorato, un’abbazia, ecc.. Di 25 cardinali solo 5 si dimostrarono incorruttibili. Era pervenuto così alla suprema carica un uomo […] che, a motivo della sua vita scostumata, la chiesa antica non avrebbe ammesso neppure ai livelli più bassi del clero.. giacché le intemperanze sessuali del Borgia erano conosciute dappertutto. […]. Un ruolo speciale tra le molte donne che il Borgia rese più o meno felici, che egli attirò a sé “più fortemente di quanto il magnete attiri il ferro”, fu l’avvenente romana Vanozza dei Catanei. Allorché egli conobbe nel 1461 la diciottenne fanciulla durante il concilio di Mantova, pare che avesse dormito già con la mamma e forse anche con la sorella di lei. In ogni modo Vanezza, dalla quale tra il 1475 e il 1481, cioè da cardinale, il Borgia ebbe quattro bambini amati fino all’idolatria e che accudì principescamente, divenne la sua amante per molto tempo, per oltre due decenni; il che non escluse naturalmente innumerevoli altri rapporti sessuali. […]. Alessandro VI fece cardinali non meno di cinque Borgia […] [tra cui] suo figlio Cesare, nato nel 1475 e destinato alla carriera religiosa […], ma prima di nominarlo cardinale, all’età di 18 anni, lo fece passare come figlio legittimo di un altro grazie al giuramento di falsi testimoni prezzolati. […]. Cesare, dopo aver fatto fuori suo fratello perché gli era di ostacolo col papa, divenne anche l’assassino di suo cognato Alfonso duca di Risceglie, il terzo marito di Lucrezia, da lei molto amato. Siccome questi non era morto ammazzato nell’attentato a lui destinato in piazza san Pietro, il boia privato di Cesare, Micheletto Coreglia, lo soffocò nel letto dove giaceva ferito, amorevolmente assistito ― e anche alimentato per paura del veleno ― dalla moglie e dalla sorella, la principessa di Squillace. Sotto spergiuro, nel giugno 1502, Cesare Borgia fece liquidare, nel carcere di Castel sant’Angelo, anche il sedicenne Astorre Manfredi, signore di Faenza assai amato dal popolo, insieme a suo fratello. Il 18 gennaio 1503 fece soffocare Paolo Orsini e il 9 giugno in Trastevere il segretario pontificio Troche […]. Lo strumento letale preferito dai Borgia (come più generalmente dai preti) fu in realtà il veleno. Col quale essi eliminarono principalmente prelati, vescovi, cardinali, avvelenando però anche un generale papalino, un ambasciatore francese, 19 diversi membri delle famiglie Orsini e Gaetani, nonché altri personaggi importanti o comunque facoltosi. In certe occasioni, Cesare Borgia prendeva meticolose informazioni dal suo maestro artigiano Lorenz Beheim, futuro canonico a Bamberga, circa la preparazione dei veleni che vengono mescolati a pozioni di cibi e vivande che, a seconda dei desideri, fanno effetto solo in un mese, in quattro sei mesi. Furono allora avvelenati, evidentemente in accordo col pontefice (ammesso che non fosse lui in prima persona, come corse voce, l’autore dell’avvelenamento), il cardinale Orsini, che aveva contribuito in maniera determinante all’elezione di Alessandro. Pure con la sua approvazione fu avvelenato anche il nipote Paolo II, il cardinale Michiel, sulle cui ricchezze Cesare aveva messo gli occhi. E fu nell’estate 1503 che egli avvelenò anche il cardinale di Monreale Juan Borgia. […]. Cesare Borgia è stato perfino capace di pugnalare il segretario particolare del papa, il beniamino di Alessandro VI, accoltellandolo sotto il mantello, tanto che il sangue schizzò in faccia al santo padre. […]. Lucrezia era servita come piccola marionetta dalla politica dei Borgia, nelle nozze destinate a promuoverla e determinate solo dal principio di opportunità. Dopo due fidanzamenti subito sciolti, il padre, dopo la sua elezione a papa, fece sposare la figlia quattordicenne, il cui valore crebbe “a cifre astronomiche” (Chamberlin E.R.: «Unhelige Päpste»,1982), con Giovanni Sforza e nel 1498, mutata la sua politica, annullò questo matrimonio a favore del diciassettenne principe Alfonso di Bisceglie. Dopo l’assassinio del quale Lucrezia si unì nel 1501 in terze nozze con Alfonzo d’Este, duca di Ferrara (solo per gli addobbi della cerimonia si versarono circa 20.000 ducati ed i cappelli di lei costarono 10.000 ducati cadauno). Anche per Lucrezia, ovviamente, ciò significava tutto. Il santo padre, che le affidava spesso durante la sua assenza perfino il governo in vaticano e il disbrigo degli affari di Stato (sebbene ella non fosse oltremodo intelligente, qualità d’altronde superflua), la teneva chiusa profondamente nel suo cuore di padre […]. Cesare Borgia, allora ventitreenne, più ebro di potere che accecato dalla lussuria, seducente non meno della sorella, malizioso ed intraprendente al tempo stesso, uomo coraggioso quanto subdolo e crudele, in breve tanto astuto quanto privo di scrupoli, aveva fatto bene i suoi calcoli. […]. Alessandro VI esultò per la caduta di Milano nel settembre 1499, e vide ora raggiunto il grande momento a favore del figlio prediletto: la sottomissione di Milano allo stato della chiesa. Quindi, destituì i principi della Romagna col pretesto dei pagamenti insoluti, li dichiarò privati dei loro feudi e annientò per prima cosa i Gaetani, di cui nell’estate del 1500 fece avvelenare in Castel san’Angelo il capostipite Giacomo, attirato a Roma con un’astuzia. Intanto i sicari di Cesare sopprimevano presso Sermoneta Bernardino Gaetani. A questo punto, finalmente, Alessandro VI incamerava tutti i beni del casato […]. Intanto, aveva preso avvio, nel novembre 1499, la spedizione bellica di Cesare Borgia in Romagna, preparata con truppe mercenarie, con alcune migliaia di svizzeri e col sostegno di 45.000 ducati prestati da Milano alla Camera Apostolica. Nella campagna cadde Imola e Forlì, mentre il papa entusiasta piangeva e rideva nello stesso tempo. In san Pietro, durante i fastosi festeggiamenti di carnevale, papa Alessandro VI nominò Gonfaloniere della chiesa il fratricida, che poco tempo prima aveva avvelenato anche il cardinale Juan Borgia, il cugino a lui inviso, e lo faceva così il successore della sua vittima, il duca di Guandia, e lo insigniva della rosa d’oro. L’anno santo 1500 […] radunò nel giorno di pasqua sul piazzale di san Pietro 200.000 devoti in ginocchio davanti ad Alessandro VI benedicente, riempì le casse pontificie non meno della decima in arrivo, destinata alla programmata guerra contro i Turchi, e fruttò più di 100.000 ducati, che una schiera di cardinali di fresca nomina consegnò a Cesare Borgia affinché, come egli confessò a muso duro, potesse condurre la sua prossima guerra Nell’autunno del 1500 il Borgia diede avvio alla seconda guerra in Romagna con un’armata di 10.000 uomini […] ed in un baleno conquistò Pesaro, Rimini e Faenza; ed Alessandro VI, versando nuovamente lacrime di gioia, nominò il figlio prediletto duca di Romagna, la maggiore provincia dello stato ecclesiastico che, a poco a poco secolarizzatosi, essendo pieno di Spagnoli, senza opposizione da parte del collegio dei cardinali, sarebbe dovuta passare nelle mani dei Borgia e diventare il loro principato ereditario come, alla fin fine, sarebbe divenuta tutta l’Italia centrale. […]. Alessandro IV nell’estate 1501 mise al bando i Colonna e i Savelli e s’impossessò dei loro possedimenti, nonché di tutti i territori del Gaetani, dei baroni di Pojano, di Magenza e di altri 20 casati, facendone due ducati: un ducato di Sermoneta per Rodrigo, il figlioletto di 2 anni di Lucrezia e di Alfonso; ed un ducato di Nepi per il suo personale rampollo di 3 anni Juan Borgia, generato da lui con Giulia Farnese, e che egli, nella Bolla del 2 settembre 1501, fece passare come figlio naturale di Cesare e che solo in una seconda Bolla dello stesso giorno legittimò come figlio proprio […]. Giulia Farnese, all’età di 15 anni, aveva preso per amante l’allora cinquantottenne cardinale. In quanto “concubina papae”, Giulia (detta la Bella) veniva chiamata in tutta Italia, anzi oltre i suoi confini, anche “sposa di Cristo” e “meretrice del papa”. Alessandro IV la fece eternare in un ritratto di Madonna, le fece fare parecchi bambini ed innalzò al cardinalato il suo diciannovenne fratello Alessandro Farnese: ciò che fruttò al giovane il nomignolo di “cardinale sottoveste” e di “cardinale in gonnella”. E sarebbe diventato il futuro papa Paolo III (1534-1549). Ai Borgia apparteneva ormai quasi tutto l’intero stato della chiesa. Nell’estate 1502, dopo avere febbrilmente provveduto al riarmo ed avere comprato anche l’artiglieria napoletana, Cesare Borgia proseguì la sua razzia in Romagna. In modi notoriamente perfidi, insidiosi, si annetté Urbino asportandone tesori per il valore di 150.000 ducati. Altrettanto perfidamente conquistò Camerino, elargendone la proprietà al giovane Juan Borgia, nominò se stesso “per grazia di Dio duca di Romagna, di Valenza e di Urbino, principe di Andria, signore di Piombino, gonfaloniere e capitano generale di Santa Romana Chiesa”. […]. Guerra e cultura, tutto costava denaro, ed i Borgia sapevano procurarne.. Avvelenarono allora il ricco cardinale Giambattista Ferrari, che in prima persona, nella sua funzione di provveditore della curia al conferimento di dispense e benefici, aveva fino allora tesaurizzato per sua santità il dio mammona, dominante su tutto, senza con ciò dimenticare evidentemente se medesimo. “il papa sa sempre far girare ogni cosa in modo tale da ingrassare per bene i suoi cardinali prima di avvelenarli, affinché i loro beni finiscano esattamente nei suoi forzieri”. Cesare Borgia fece sgozzare Vitellozzo Vitelli ed Oliverotto da Fermo, seduti schiena contro schiena. […]. A Roma, intanto, papa Alessandro VI tramava per la caduta degli Orsini, dei quali aveva pure goduto i servizi. Attirò in Vaticano il cardinale Orsini, lo fece arrestare e gettare in Castel sant’Angelo dove,spogliato del suo palazzo e di tutti i suoi tesori, mori il 22 febbaio avvelenato dai Borgia. Ciò avvenne solo poche settimane prima che, nello stesso posto, anche il cardinale Giovanni Michiel, il facoltosissimo nipote di Paolo II, soccombesse alla famigerata “polvere bianca” dei Borgia (composta da cantarella, un preparato all’arsenico): dopodichè furono confiscati anche i suoi beni del valore di 150.000 ducati. Ad entrambi i cardinali al momento della sua elezione, il papa Alessandro VI aveva fatto grandi promesse e, sicuramente, la loro ricchezza crebbe ulteriormente sotto i Borgia, tanto più che costoro solevano prima ingrassare le loro vittime designate: “essi infarcivano i più potenti tra i cardinali con prebende sempre più pingui, per cui ne rivavavano somme colossali di denari per poi farli fuori con una certa polvere bianca”.[…]. Quando i capi degli Orsini, coalizzati coi Savelli, con alcuni Colonna e col resto dei baroni si sollevarono giurando vendetta, il papa Alessandro VI raccomandò per l’occasione perfino l’impiego dell’artiglieria. Istituì altresì ottanta nuovi uffici di curia, ognuno dei quali fu messo in vendita per 760 ducati, e nominò ulteriori cardinali dotati di forti disponibilità di capitali. Dopo aver messo fuori gioco la maggior parte degli oppositori, Alessandro VI progettò di nominare Cesare re della Romagna e delle Marche. […]. Alessandro VI morì nel mese di agosto 1503 per un attacco di malarie e, ancora in punto di morte si giacque tra due meretrici che avrebbero dovuto lenire i freddi brividi della febbre mentre si ordinava ad una donna, murata viva nel corridoio del Vaticano, di pregare per lui [!!]…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Inoltre, tra i numerosi personaggi condannati al rogo sotto il pontificato del Papa Alessandro VI (1492-1503) si ricordano Girolamo Savonarola, bruciato vivo, insieme ai suoi discepoli Domenico da Pescia e Silvestro da Firenze, il 23 maggio 1948 in Piazza Signoria a Firenze; tre ebrei anonimi che furono fatti bruciare vivi il 13 gennaio 1498 in Campo dei Fiori a Roma; Marcello da Fiorentino che fu fatto bruciare vivo in Piazza San Pietro il 29 luglio 1498; ecc. Ma, la più riprovevole azione criminale contro l’umanità commessa dal Papa Alessandro VI (1492-1503) è stata quella perpetrata a danno degli innocenti indigeni del “Nuovo Mondo”. Appena un anno dopo lo sbarco degli spagnoli (1492) nel “Nuovo Mondo”, il predetto Papa ― col pretesto che “Dio”, “tramite il figlio Gesù”, ha trasmesso 21 il suo potere divino a San Pietro e, tramite costui, ai papi suoi successori ― nel 1493 ebbe l’arroganza di emanare una “Bolla” con la quale delegava la “divina autorità papale” sugli abitanti del “Nuovo Mondo”, appena scoperto, ai monarchi spagnoli suoi vassalli che, così, acquisirono “per volontà divina” (sic!) la sovranità su quelle terre e su i suoi abitanti! In base a tale “Bolla” papale, qualora gli indigeni del nuovo continente ne avessero accettato il contenuto, sarebbero diventati semplicemente “schiavi degli spagnoli” ed, in caso contrario, sarebbero stati costretti a subire le terribili conseguenze previste nel documento ― che i “conquistadores” spagnoli dovevano leggere agli indigeni prima di decidere se doverli attaccare ― come segue: «…con l’aiuto di Dio, entreremo con la forza nel vostro paese e combatteremo contro di voi con tutti i mezzi e tutti i modi possibili e vi sottometteremo al giogo e all’obbedienza della Chiesa e delle Loro Altezze; prenderemo voi, le vostre mogli ed i vostri bambini e vi faremo schiavi secondo l’ordine; porteremo via i vostri beni e vi faremo ogni male o danno possibile trattandovi come schiavi disobbedienti che rifiutano di ricevere il loro signore, resistono al suo volere e lo contrariano…» (cfr. Tzvetan T.: «The Conquest of America», New York, 1984). Tale minacciosa intimazione veniva letta agli indigeni «…dopo averli incatenati, senza che essi comprendessero la lingua e senza interpreti…» (cfr. Lewis H.: «The Spanish Struggle for Justice in the Conquest of America», Filadelfia, 1949). Dal diario del cattolicissimo Cristoforo Colombo, riguardo agli indigeni del “Nuovo Mondo”, si legge quanto segue: «…Non portano armi e non le conoscono, poiché ho mostrato loro una spada e l’hanno presa dalla parte della lama tagliandosi […]. Sono le persone migliori del mondo e le più miti di tutte, senza la più minima coscienza di ciò che è male, e non uccidono né rubano […], amano i loro vicini come loro stessi […] e sono sempre allegri, sarebbero proprio dei servi ideali, con soli cinquanta uomini potremo sottometterli tutti e far fare a loro quello che vogliamo…» [questa era, in pratica, la moralità dei cristiani-cattolici i quali hanno fatto conoscere, a quella popolazione indigena innocente, l’odio e la violenza!] (12). Il Papa Pio III (1503-1503), nipote di Pio II (1458-1464) che lo aveva nominato cardinale nel 1463 all’età di appena vent’anni, durante il suo cardinalato era divenuto padre di ben dodici figli (cfr. Gregorovius F.A.: Op. cit., Beidreisburg, 1857)! Eletto papa il 22 settembre 1503 nonostante fosse notevolmente malato, l’unica azione riprovevole che riusci a commettere prima di morire ― assassinato con un veleno propinatogli da Pandolfo Petrucci che da lui era stato redarguito in quanto ritenuto usurpatore e tiranno della città di Siena (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983) il 18 ottobre 1503, appena 28 giorni dopo la sua elezione! ― fu l’emissione del divieto di procedere contro le nefandezze di Cesare Borgia, condannando qualsiasi azione fosse intrapresa contro di lui! Il Papa Giulio II (1503-1513), al pari del suo famigerato zio Sisto IV conferì la porpora cardinalizia a numerosi suoi consanguinei, tra cui «…al figlio maggiore di sua sorella Lucchina, Galeotto della Rovere, suo speciale beniamino, al quale conferì in più l’importante lucroso ufficio di vicecancelliere, oltre d un’infinità di benefici. Diventò cardinale anche Clemente Grosso della Rovere. E quando già nel 1508 Galeotto morì, Giulio II nominò cardinale un altro nipote, Sisto Gara della Rovere, nominandolo pure vicecancelliere e ricoprendolo di tutti i benefici appartenuti al defunto. […]. Inoltre, da tempo papa Giulio II aveva elevato a prefetto urbano di Roma un altro parente, Franceso aria Rovere, in ragazzo tredicenne, preoccupandosi inoltre che questi diventasse nel 1508 duca di Urbino; con questo titolo costui, nipote del papa Giulio II, pugnalerà nel 1511 a Roma un cardinale sulla pubblica via! Una scena degna dei Borgia. Ma Giulio II lo assolverà e gli regalerà per di più, sul letto di morte, la città di Pesaro […].Anche per altri aspetti molti episodi rivelano il costume dei Borgia. In certe occasioni Giulio II si inebriava del lusso; ad esempio, per una manciata di pietre preziose sborsò 12.000 ducati, come per un diamante da far scintillare fra tanti altri preziosi sul suo piviale, o per le sue, del valore di 300.000 ducati. […]. Giulio II istituì un bordello alla condizione che un quarto dei beni delle dame che vi lavoravano andasse a beneficio, dopo la loro morte, delle monache di Santa Maria Maddalena. Giulio II ebbe anche tre figlie e si prese pure la sifilide; nei suoi riguardi, i contemporanei parlavano di pederastia, anzi di un “grande sodomita”. […]. La sua vita era stata viziosa quanto “quella di quasi tutti i prelati del suo tempo” […]. Naturalmente Giulio II era anche cacciatore, essendo tale attività intrecciata con quella bellica, 22 nonostante che ai religiosi fosse da sempre proibita sia la guerra sia la caccia. Maneggiava con passione un bastone, con cui percosse anche Michelangelo, da lui ingaggiato a servizio […]; mentre, minacciò Ludovico Ariosto […] di farlo annegare come un cane nel Tevere: insomma “un papa malvagio e dedito al bere” […]. Nella sua qualità di comandante supremo, Giulio II controllava le truppe tenendo la spada in pugno, fasciato nella corazza […]. E quasi ogni anno del suo pontificato fece una guerra, volendo con le sue battaglie “superare il tuono”. Conquistò alla santa sede una trentina di capisaldi e fondò una potenza “come mai un papa aveva posseduto” […]. I Papi in origine presero nelle loro grinfie rapaci questo Stato ― che lacerò l’Italia in tre parti per oltre un millennio e creò conflitti senza fine ― unicamente con la guerra e con l’inganno, con la sedicente “Donazione di Costantino”, a cui anche Giulio II si appellava e che, pertanto, la riconquista si basava solo su un diritto fittizio, non essendo che la prosecuzione di un antico torto. Per tacere completamente il fatto che Giulio II ampliò anche lo stato della chiesa annettendovi città che non vi appartenevano in nessun modo come Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Accanto a Gesù, il predicatore dell’amore del prossimo e del nemico, all’annunciatore della rinunzia al contrattacco, alla rappresaglia, all’affermazione di sé, come si giustifica e si pone invece uno che incita la sua soldatesche al saccheggio, al furto, alla violenza assassina, uno che marcia in testa ad essa con tanto di elmo, di corazza e di spada? E che per giunta si spaccia come discepolo di Gesù e come suo luogotenente? Non è assolutamente raccapricciante e grottesco?! […]. Macché servo di Dio: il diavolo! Il diavolo in persona! […]. Per quanto vantaggiose fossero al clero, alla gerarchia ed al papato in particolare, le azioni militari del “papa terribile”, altrettanto devastante fu la continuità dello stato della chiesa per il popolo italiano e per il resto del mondo: una fonte perenne zampillante di tirannia spirituale, di sfruttamento sociale, di guerre sanguinose. […]. Tutto il suo pontificato fu dominato dalla guerra. Certo, sono innumerevoli i papi che capeggiarono azioni belliche, ma solo pochi vi combatterono in prima persona e solo pochi così interrottamente e con tanto accanimento […] ed il 3 maggio 1512, protetto dai soldati tutt’intorno a lui, affrontò con successo un’assemblea di cardinali ribelli che progettavano la sua deposizione…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il Papa Giulio II (1503-1513) fu accanito fautore della condanna a morte e, durante il suo pontificato, tra le numerose condanne capitali si ricordano quella di quattro donne, accusate di stregoneria, fatte bruciare vive a Cavalese nel 1505 ed a Logrono sempre nel 1505 e per lo stesso motivo furono fatte bruciare vive ben 30 persone; nel 1506 Diego Portoghese fu fatto impiccare perché accusato di “eresia”; nel 1507 per lo stesso motivo fu fatto impiccare Agostino Grimaldi; nel 1513 per lo stesso motivo furono fatti impiccare i fratelli Orazio e Giacomo di Rifreddo e nello stesso anno furono fatti massacrare dalle guardie svizzere 15 cittadini romani anche loro perché accusati di “eresia”; ecc. Il Papa Leone X (1513-1521) ― che dal padre Lorenzo il Magnifico all’età di appena 8 anni era stato fatto nominare abate di Front Douce (Francia), a 9 anni abate di Passignano, a 11 anni abate dell’abbazia di Monte Cassino ed, infine, all’età di 13 anni tale padre lo fece nominare cardinale dal papa Innocenzo VIII (1484-1492)! ― è stato eletto Pontefice all’età di 37 anni «…solo perché, a causa di una fistola nel basso ventre [anale], lo avevano trasportato da Firenze a Roma in una portantina, durante il conclave, rivelando a chiunque volesse ascoltare, in particolare agli elettori più anziani, il suo preoccupante stato di salute, insomma la sua provabilissima, breve aspettativa di vita. Agli occhi di molti, il morbo fistolare di Leone X appariva come conseguenza di una condotta di vita immorale […]. Il papa Leone X, corpulento, quasi goffo, dal volto turgido, grasso, per giunta assai miope, non aveva in se nulla di attraente […]. Somigliava totalmente in modo assai generico ed icastico nel contempo, alle disgustose figure di prelati copiosamente in circolazione ed era […] un individuo d’una pigrizia a dir poco impareggiabile. Sua santità si alzava tardi la mattina, ascoltava poi la messa ogni giorno, concedeva udienza, consumava il pranzo, indugiava di nuovo al riposo, dopo di che conversava giocando a scacchi, a carte, e poi cavalcava attraverso i giardini vaticani o si dilettava a squartare animali. La sua passione era, infatti, rivolta alla caccia, canonicamente proibita ad ogni sacerdote […]. A soli nove chilometri da Roma si ergeva il suo prediletto casino da caccia alla Magliana, che fece ingrandire ed abbellire ancora poco 23 prima della sua morte, giacché gli piaceva rappresentare se stesso anche come cacciatore. Di conseguenza, ordinò al custode di una villa papale: “Devi assicurati che vi sia per me un buon pranzo con molto pesce, giacché mi sta molto a cuore che si sfoggi il massimo sfarzo al cospetto dei dotti e degli ospiti che saranno al mio seguito”. Alla caccia col falcone amava dedicarsi nei dintorni di Viterbo, alla pesca con l’amo sul lago di Bolsena. A lui erano riservate intere riserve di caccia, dove faceva strage di cinghiali e di cervi. In Autunno Leone X trascorreva quasi tutto ottobre, ma anche due o tre mesi, tutto assorto nella caccia […]. Più di tutto nella caccia agli uccelli provava diletto nel contemplare, per ore ed ore come i rapaci appositamente addestrati soffocavano a morte quaglie, pernici, fagiani. In quelle battute si abbattevano anche lepri, cinghiali ed altri capi di selvaggina. Un momento culminante della nobile arte venatoria era quando a Santa Marinella entro una “trappola per selvaggina” fatta a regola d’arte, si sospingevano i cervi in mare, dove poi dei gentiluomini o dei chierici, in agguato sulle barche, potevano comodamente abbatterli. Sua santità in persona dava con uno spiedo il colpo di grazia ai cervi catturati nelle reti. […]. Il papa Leone X non lesinava spese quando si trattava del suo sport sanguinario. E se, di regola, andava a caccia solo con un seguito di alcune centinaia di accompagnatori, cardinali, inservienti, musicisti, letterati, intrattenitori di corte (buffoni) e qualcosa come 160 guardie del corpo, si organizzavano battute di caccia frequentate perfino da due o tremila cavalieri. Dato che il pontefice amante del lusso non badava ad economie nemmeno per le feste e il suo palazzo era divenuto piuttosto il palcoscenico di una scintillante scenografia, la cornice di un festival senza pause, furono colossali le spese fatte da Leone X, un vero talento naturale nel dissipare denaro. Solo per la cerimonia del “sacro Possesso” (festa impareggiabile per l’inserimento nella carica papale), Leone X fu disposto a versare 100.000 ducati […]. Ed in soli due anni ebbe esaurito completamente tutto il suo patrimonio, in una città, la cui pubblica indigenza gridava vendetta al cielo non meno del suo lusso privato. […]. Sotto Leone X, lo sperpero fu esorbitante. Egli e la sua corte dilapidarono somme leggendarie. Si sono calcolate le entrate statali pontificie nel marzo 1517 ― ricavate da dazi fluviali e dogane, dalle miniere di alluminio di Tolfa, dalle saline di Cervia, dalle riscossioni di Spoleto, di Ancona, ecc. ― che ammontavano allora a 420.000 ducati. Inoltre, i cosiddetti “ricavi spirituali” che fruttavano circa 200.000 ducati annui; gli uffici in vendita, creati ad hoc, che papa Leone X moltiplicò fino alla sua morte da un migliaio di membri a 2150, un valore capitale di circa 3.000.000 di ducati. A ciò si aggiungevano gli introiti delle decime, dei giubilei e delle indulgenze utilizzati a dismisura,, transazioni gigantesche, i denari derivavano dalle sempre crescenti nomine cardinalizie e quelli che affluivano dalle confische e da altre speculazioni finanziarie della curia. Questi capitali venivano prelevati tanto rapidamente quanto rapidamente spesi. Si era perciò costretti a fare dei prestiti, pagando talvolta fino al 40% di interessi; si dovevano pagare i tappeti del papa, le più costose statue di santi, l’argenteria, i gioielli della corona. […] Durante il suo pontificato operarono a Roma trenta banche fiorentine per cui fioccarono debiti su debiti. Solo con la banca Bini il debito ammontava a 200.000 ducati. I cardinali Ridolfi e Ragnoni avevano sacrificato tutti i loro beni per procacciare denaro, il cardinale Salviati ci aveva rimesso 80.000 ducati, il cardinale Pucci 150.000, il cardinale Armellini aveva impegnato l’intero suo patrimonio. Alla morte di papa Leone X pencolavano tutti quanti sull’orlo della bancarotta. […]. Papa Leone X aveva speso durante il suo regnoquattro milioni e mezzo di ducati, lasciando per di più 400.000 ducati di debiti…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). «…In una lettera indirizzata al cardinale Bembo […] aveva lasciato intravedere con chiarezza il pensiero più intimo della Chiesa cattolica quando scrisse “Si sa da tempi remoti quanto ci sia stata utile la favola di Gesù Cristo”…» (cfr. Rodríguez P.: «Mentiras fundamentales de la Iglesia católica», Barcellona, 1997), questo stesso Papa nel 1517, allo scopo di accumulare ricchezza con le indulgenze (ossia la remissione dei peccati ed il condono delle colpe, compresi i delitti più orrendi, a coloro che erano in grado di pagare determinate somme), emise la famosa Taxa Camarae, corredata dal relativo tariffario (13) che esprime il massimo della corruzione (cfr. Dacio J.: «I papi da Pietro a Giovanni XXIII», 1963) e, sotto il suo pontificato, nel 1514 a Bormio furono arse vive 30 donne accusate di stregoneria ed altre 80 furono arse vive in Valcamonica nel 1518 per lo stesso motivo 24 Sotto il pontificato del Papa Clemente VII (1523-1534), figlio illegittimo di Giulio Medici ucciso nella famosa “congiura dei Pazzi” del 1478, ottenne la sua elezione a papa mediante corruzione per cui raggiunto lo scopo, tra l’altro, dovette compensare il cardinale Pompeo Colonna con la carica di vicecancelliere e con la donazione di un palazzo. Il papa Clemente VII «…per esclusive ragioni finanziarie, dinastiche e politiche nominò cardinali diverse dozzine di prelati, tra i quali vi furono uomini né particolarmente cristiani né clericali, come ad esempio l’adolescente allievo Odet de Coligny […]. Papa Clemente VII, che oppresse Roma con dogane e nuove imposte, fu molto inviso al popolo. […]. Clemente VII, uomo pauroso volubile, sleale e scaltro, portò avanti una politica orientata agli interessi piuttosto particolaristici della dinastia dei Medici, in cui, mutando continuamente i fronti a seconda del bisogno, non si tirò mai fuori dal tergiversare, dal temporeggiare, dal continuo barcamenarsi…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Nel 1525 migliaia di protestanti “Anabattisti” furono fatti decapitare, ardere vivi, annegare e torturare a morte; il 30 settembre del 1525 una povera donna, ingiustamente accusata di stregoneria, fu fatta ardere viva in Campidoglio; fra i tanti, fatti atrocemente uccidere con l’accusa di “eresia”, si ricordano Anna Furabach (9 maggio 1524), Claudio Artoldi e Lorenza di Pietro (16 maggio 1525); Rinaldo di Colonia (26 agosto 1528); Bernardino da Palestrina (20 novembre 1529); Giovanni Milanese (23 novembre 1530); ecc. Il Papa Paolo III (1534-1549) «…già noto col nomignolo di “cardinale della gonnella”, veniva da una famiglia legata al commercio delle armi e aveva la sua carriera alla bellissima sorella Giulia, ritratta da Tiziano, sposata ad un Orsini e amante prediletta del Papa Alessandro VI. […]. E naturalmente, da autentico prelato del rinascimento, aveva anche lui un’amante che lo rese padre di tre figli e di una figlia. Il maggiore dei figli maschi, Pier Luigi, sfrenato “sciupafemmine” e speciale beniamino del padre, che ne fece il gonfaloniere, il comandante supremo delle truppe pontificie e duca di Parma e di Piacenza, dove nel 1547 verrà poi assassinato. […]. Paolo III si permise anche uno spudorato nepotismo. Già nel 1534, poco dopo la sua elezione, elevò al cardinalato due dei suoi nipoti: Alessandro Farnese, figlio di Pier Luigi, all’età di 14 anni e Guido Ascanio Sforza, figlio della figlia Costanza, all’età di 16 anni. Entrambi questi cardinali, ancora studenti, vennero letteralmente ricoperti di diocesi, abbazie, priorati, ed ottennero inoltre gli uffici più lucrativi della curia. In quel tempo Paolo III elesse il nipote Alessandro governatore di Spoleto e governatore di Tivoli, lo elevò già a 15 anni, allorché ricevette anche l’abbazia Tre Fontane presso Roma e l’arcivescovado di Avignone, alla carica di vicecancelliere e gli affidò, all’età di 18 anni, la maggior parte degli affari di stato. E come il papa nonno, anche il papa nipote cardinale Alessandro fu padre di una figlia e visse a Roma in maniera grandiosa, secondo le abitudini di tutti i Farnesi che, dapprima in segreto, quindi pubblicamente, si affacciarono sul proscenio della città e si arricchirono in breve tempo. Ricolmato di prebende e di vescovadi fu anche suo nipote Guido Ascanio. Il giovane cardinale divenne legato di Bologna e di Romagna, fu promosso camerlengo, oltre che direttore dell’amministrazione finanziaria di curia e patriarca di Alessandria. Un terzo nipote, il quindicenne Ranuccio, ottenne il cappello rosso ed il nipote Ottavio Farnese ottenne come feudo ereditario il ducato di Camerino […]. Paolo III diede festini clamorosi, organizzo in Vaticano balli in maschera, fece rappresentare frivoli spettacoli, ingaggiando gruppi musicali, cantanti femminili, buffoni e pagliacci. Amava far feste fastose coi suoi nipoti, invitando a tavola anche sue donne, tanto che il maestro delle cerimonie Biagio de Martinellis registra in data 7 febbraio 1535: “Papa habuit 8 vel 10 mulieres secum in prandio”. Gli piacevano i banchetti sontuosi, le feste carnascialesche, le corse di tori e di cavalli e non disdegnava dispendiose partite di caccia. […]. Già il primo mese dopo la sua elezione, nel novembre 1534, Paolo III dichiarò la guerra contro i Turchi come il suo dovere più sacro. […]. Incoraggiato dalla fortuna delle armi (espressione terribile!) il padre santo continuò ad incitare alla lotta contro gli “infedeli”. Perciò taglieggiò i suoi sudditi e gravò il clero italiano di sempre nuove decime “contro i turchi”, ripetute negli anni1537, 1541, 1543 e 1544…» (cfr. Deschner K.: Op. cit., Reinbek Hamburg, 2004). Il papa Paolo III nel 1542 ritenne opportuno ribattezzare la “Santa Inquisizione” con la denominazione di “Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione” o “Sant’Uffizio”, tramite la quale nel 25 1540 fece uccidere, e confiscarne i beni, tutti gli abitanti di Mérindol (città francese), che rimase del tutto disabitata, per essersi convertiti alla fede protestante “Evangelica”; fece, altresì, massacrare tutti i protestanti “Anabattisti” di Münster (città tedesca) ed il loro capo Giovanni di Leida fu fatto uccidere il 4 aprile 1535 dopo averlo fatto sottoporre ad “orrendo supplizio”; fra i numerosi personaggi fatti atrocemente uccidere con l’accusa di “eresia” si ricordano Martino Govinin (1536); Francesco di Giovanni (1538); Ene di Ambrogio (1539); Galateo di Girolamo (1541); Giandomenico dell’Aquila (1542); Federico d’Abbruzzo che fu fatto atrocemente trasportare al supplizio trascinato da un cavallo, tanto che fu appeso alla forca completamente dilacerato il 12 luglio 1542; Girolamo Francese (1546); Baldassarre Altieri (1548); Federico Consalvo (1549); Annibale di Lattanzio (1549); ecc. Il papa Paolo III, nonostante che egli stesso soleva affermare spudoratamente la non esistenza di “Gesù il Cristo”, nel 1546 fece condannare a morte Etienne Dolet, per avere sostenuto che Gesù-Cristo è “un’entità inventata come testimoniano numerose contraddizioni ed omissioni”, facendolo bruciare vivo a Lione insieme con i suoi libri e facendo lasciare priva di mezzi la sua famiglia. Infine, si ricorda anche che nell’aprile 1545 nella sola Provenza furono fatti massacrare dai “cattolici” di papa Paolo III ben 2.740 “valdesi”. Il Papa Giulio III (1550-1555), avido e nepotista senza scrupoli, fece continuare senza tregua la carneficina del “Sant’Uffizio”, fra le numerose vittime innocenti accusati di “eresia” si ricordano Fanino Faenza fatto impiccare ed ardere da morto il 18 febbraio 1550; Domenico Della Casa Bianca fatto decapitare il 20 febbraio 1550; Geronimo Gerin fatto impiccare e poi squartare il 20 marzo 1550; Giovanni Buzio e Giovanni Deodori fatti impiccare e bruciare agonizzanti il 4 settembre 1553; Micheal Serveto, insigne medico spagnolo scopritore della circolazione del sangue, fu fatto bruciare vivo nell’ottobre del 1553 con l’accusa di “eresia” per aver criticato la Trinità ed il battesimo dei neonati; Francesco Gamba fatto decapitare e poi bruciare il 21 luglio 1554; Giovanni Moglio e Tesserando da Perugia fatti impiccare e bruciare agonizzanti il 5 settembre 1554; ecc. Il Papa Paolo IV (1555-1559), già accanito inquisitore da Cardinale, spesso presenziava personalmente le sedute inquisitorie; con la bolla “Cum numinis absurdum” del 1555 fece rinchiudere gli ebrei nei ghetti con la seguente riprovevole giustificazione: «…È assurdo e sconveniente in massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna [!!], possano, con la scusa della protezione dell’amore cristiano, essere tollerati nella loro abitazione in mezzo a noi…». Inoltre, li obbligò a portare un cappello giallo come visibile distintivo discriminante. Infine, incrementò notevolmente le persecuzioni contro gli accusati di “eresia”: fra i numerosi fatti condannare a morte si ricordano Francesco Cola di Salerno (14 giugno 1555); Bartolomeo Hector fatto bruciare vivo per avere venduto due Bibbie (20 giugno 1555); Elia Golla e Paolo Rappi fatti bruciare vivi perché protestanti (22 giugno 1555); Giovanni Vernon e Antonio Labori fatti bruciare vivi perché “evangelisti” (28 agosto 1955); Stefano di Girolamo fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (11 gennaio 1956); Giulio Napoletano fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (6 marzo 1556), Ambrogio de Cavoli fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (15 giugno 1556); Pompeo Dei Monti fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (4 luglio- 1556); Pomponio Angerio fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (19 agosto 1556); Nicola Sartorio fatto bruciare vivo perché “luterano” (13 maggio 1557); Jeronimo da Bergamo ed Alessandra Fiorentini fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché omosessuali (22 dicembre 1557) ― nonostante fossero notoriamente omosessuali molti prelati ed anche lo stesso Paolo IV (1555-1559): infatti, come precisa Mariotti (1952), «…vi erano i così detti falsetti: giovani adolescenti, con voce femminea, che servivano da gitoni, da mignons e da ganimedi […] a parecchi cardinali ed anche a qualche Giudice Inquisitore. Ricordiamo a questo proposito l’affetto violento […] di Paolo IV (1555-1559), per un falsetto portante il dolce nome Baéza…» (cfr. Mariotti E.: «La Neofilia», Roma, 1952) ―; Gioffredo Varaglia fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (25 marzo 1558), Gisberto di Milanuccio fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (15 giugno 1558), Francesco Cartone fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (3 agosto 1558), nel 1559 furono fatti bruciare vivi ben 29 “protestanti”, Gabriello di Thomaien fu fatto bruciare vivo perché omosessuale (8 febbraio 1559); Antonio di Colella fu fatto 26 bruciare vivo perché accusato di “eresia” (8 febbraio 1959); Leonardo da Meola e Giovanni Antonio del Bò furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (8 ebbraio 1559); un gruppo di 13 individui furono fatti bruciare vivi perché accusati di “eresia” (17 febbraio 1559); Antonio Gesualdi fu fatto bruciare vivi perché “luterano” (16 marzo 1559); Bisantino Ferrante fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (24 agosto 1559); Sipione Retio fu fatto trucidare nelle carceri della “Santa Inquisizione” perché accusato di “eresia” (15 settembre 1559); ecc. Il Papa Pio IV (1559-1565) nel dicembre del 1559 ordinò lo scempio dei “valdesi” calabri, facendo atrocemente torturare, vecchi, donne e bambini prima di essere uccisi: «…gente sgozzata, squartata, bruciata ed orrendamente mutilata. Pezzi di resti umani furono appesi alle porte delle case come esempio. Quelli che fuggirono sulle montagne furono assediati fino a che morirono di fame. Molte donne e fanciulli furono ridotti in schiavitù…» (cfr. Marchetti M.: «La Santa Inquisizione», Ed. La Fiaccola, Ragusa,); nel 1560 furono massacrati ben 4.000 “valdesi”, nello stesso anno furono condannati a morte 6 persone (Giulio Ghirlanda, Baudo Lupettino, Marcello Spinola, Nicola Buccello, Antonio Rietto e Francesco Sega) perché sorpresi ad assistere ad una funzione religiosa in una casa privata; Giacomo Bonello fu fatto bruciare vivo perché “evangelista” (18 febbraio 1560); Mermetto Savoiardo e Dionigi di Cola furono fatti bruciare vivi perché accusati di “eresia” (13 agosto 1560); Pascale Aloisio fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché “evangelista” (8 settembre 1560); Gian Pascali di Cuneo fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (15 settembre 1560); Stefano Negrone fu fatto morire di fame perché accusato di “eresia” (15 settembre 1960); Stefano Morello fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (25 settembre 1560); Bernardino Conte fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (16 ottobre 1560); Macario di Macedonia fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (10 giugno 1962); nel 1562 ben 363 persone (tra uomini e donne) furono fatte bruciare vive perché accusate di “stregoneria”; Cornelio di Olanda fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (23 gennaio 1563); Francesco Cipriotto fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (4 settembre 1564); Giglio Cesare Vanini fatto bruciare vivo dopo avergli fatto strappare la lingua perché accusato di “eresia” (5 novembre 1564); Giulio di Grifone fatto decapitare perché accusato di “eresia” (14 gennaio 1565); ecc. Il Papa Pio V (1566-1572) appena eletto emise una bolla con la quale imponeva la chiusura di tutte le Sinagoghe ebraiche e fece dono del cimitero ebraico bolognese alle Suore del Convento di “San Pietro Martire”, imponendo loro di “…distruggere qualunque sepolcro di ebrei […], di togliere le iscrizioni, le memorie e le lapidi di marmo, distruggendole completamente, raschiandole e spezzandole […] e traslocare ove volessero i cadaveri e le ossa…”. Inoltre, durante il suo pontificato perseguitò ferocemente gli accusati di “eresia”, tra i quali ricordano Muzio della Torella fatto decapitare (1 marzo 1566); Giulio Napoletano fatto bruciare vivo (6 marzo 1566); Pompeo dei Monti fatto decapitare (3 luglio 1566); Curzio di Cave fatto decapitare (9 luglio 1566); nel 1566 furono fatti massacrare ben 17.000 “protestanti” nelle sole Fiandre, Giorgio Olivetto fu fatto bruciare vivo perché “luterano” (27 gennaio 1567); Domenico Zocchi fu fatto impiccare e bruciare agonizzante in piazza Giudia del Ghetto di Roma perché “ebreo” (1 febbraio 1567); Girolamo Landi fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (25 febbraio 1567); Pietro Carnesecchi fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (30 settembre 1567); Giulio Maresco fatto decapitare ed ardere dopo morto perché accusato di “eresia” (30 settembre 1567); Paolo di Matteo, Ottaviano Fioravanti, Giovannino Guastavillani e Geronimo del Puzzo fatti murare vivi perché accusati di “eresia” (30 settembre 1567); Gerolamo Donato ed alcuni suoi confratelli dell’Ordine degli Umiliati sono fatti barbaramente uccidere dopo averli fatti atrocemente torturare perché accusati di “eresia” (2 agosto 1570); Macario Giulio da Cetona fatto decapitare e bruciare dopo morto perché accusato di “eresia” (18 ottobre 1567); Lorenzo da Mugnano fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (10 maggio 1568); Matteo d’Ippolito e Francesco Stanga fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (10 maggio 1568); Donato Matteo Minoli fatto morire nelle carceri dopo avergli fatto 27 rompere le ossa e fatto bruciare i piedi (27 maggio 1568); Francesco Castellani, Pietro Gelosi e Marcantonio Verotti fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (6 dicembre 1568), Luca di Faenza fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (28 febbraio 1569); Filippo Borghesi e Giovanni Dei Blasi furono fatti impiccare e brucia agonizzanti perché accusati di “eresia” (2 maggio 1569); Camillo Ragnolo, Francesco Cellario e Bartolomeo Bartoccio furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (25 maggio 1569); Guido Zanetti fu fatto murare vivo perché accusato di “eresia” (27 maggio 1569); Filippo Perroni fu fatto impiccare perché “luterano” (11 febbraio 1570); Nicolò Franco fu fatto impiccare per aver deriso il Papa (11 marzo 1570); Giovanni di Pietro fu fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (13 maggio 1570); Aolio Paliero fu fatto impiccare e bruciare agonizzante per diretto insistente desiderio di Papa Pio V (ciò nonostante tale papa è stato santificato!) con l’accusa di “eresia” (3 luglio 1570); Girolamo di Pesaro, Giovanni Antonio di Jesi e Pietro Paolo di Maranzano furono fatti decapitare perché accusati di “eresia” (6 ottobre 1571); Francesco Gelatieri fu ucciso pugnalato dai sicari del Papa Pio V perché ritenuto “eretico” (5 gennaio 1572); Francesco Gelatieri, Dianora di Montpelier, Pellegrina di Valenza, Girolama Guanziana e Isabella di Montpelier furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (9 febbraio 1572); Teofilo Pennarelli ed Alessandro di Giulio furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (22 febbraio 1572); ecc. Infine, si deve anche ricordare che il Papa Pio V fece impiccare Nicolò Franco, ingiustamente accusato di essere l’autore di una irriguardosa “pasquinata”, nonostante l’accorata difesa del Cardinale Morone, oltre a fare bruciare vivo il noto poeta latino Antonio Paleario semplicemente per averlo sospettato di essere l’autore seguenti anonimi versi: “Quasi che fosse inverno,//brucia cristiani Pio siccome legna,// per avvezzarsi al fuoco eterno”! Il Papa Gregorio XIII (1572-1585) fu spietato persecutore degli “eretici” tanto che, per suo diretto ordine, ne fece massacrare ben 10.000 in Francia (la famosa “strage degli Ugonotti” della notte di S. Bartolomeo del 24 agosto 1572) e 500 in Croazia tramite il crudele vescovo cattolico Juraj Draskovic (1573): fra l’immenso numero di “eretici” fatti atrocemente eliminare durante il suo pontificato si ricordano Alessandro di Giulio e Giovanni di Giovan Battista fatti impiccare e bruciare agonizzanti (15 marzo 1572); Nicolò Colonici fatto impiccare e bruciare agonizzante (20 agosto 1573); Giovanni Francesco Ghisleri fatto strangolare (25 ottobre 1574): Benedetto Thomaria fatto bruciare vivo (12 maggio 1574); Alessandro di Giacomo fatto bruciare vivo (19 novembre 1574); nell’anno 1578 ben 222 persone furono fatte bruciare vive al rogo perché “ebree”; Antonio Nolfo e Giovanni Battista di Tigoni furono fatti decapitare (29 luglio 1578); Baldassarre Di Nicolò, Antonio Valies De la Malta, Francesco di Giovanni Martino, Bernardino Di Alfar, Alfonso Di Polis, Marco Di Pintus, Girolamo Di Giovanni, Gaspare Di Martino e Clemente Sapone furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti (13 agosto 1578); Pompeo Loiani e Cosimo Tronconi furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti (12 giugno 1579); un ebreo di nome Salomone fu fatto impiccare perché aveva rifiutato il battesimo (13 marzo 1580); un turista inglese fu fatto bruciare vivo perché aveva offeso un prete cattolico (2 agosto 1581); Borro d’Arezzo fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (7 febbraio 1583); Diego Lopez, Domenico Danzarelli, Prospero di barbera e Gabriello Henriquez furono fatti buciare vivi perché accusati di “eresia” (18 febbraio 1583); Ludovico Moro fu fatto bruciare vivo perché accusati di “eresia” (10 luglio 1583); Camillo Limaccio, Giulio Carino e Leonardo di Andrea furono fatti strangolare perché accusati di “eresia” (23 luglio 1583) Lorenzo Perna fu fatto arrestare perché accusato di “eresia” (16 giugni 1584) e fatto scomparire; la “Signora di Bellegard” fu fatta arrestare perché accusata di “eresia” (15 ottobre 1584) e fatta scomparire, Giacomo Paleologo fu fatto decapitare perché accusato di “eresia” e bruciato dopo morto (22 marzo 1585), i fratelli Missori furono fatti decapitare per il semplice motivo di avere espresso il diritto di libertà di stampa e le loro teste furono esposte al pubblico per esemplare ammonizione (22 marzo 1585); ecc. (si pensi che le spoglie di Gregorio XII, Papa assassino e cruento carnefice, sono onorate e riverite dai cattolici nella sua monumentale tomba in S. Pietro a Roma!). 28 Il Papa Sisto V (1585-1590), il quale non esitò a simulare di essere ammalato uscendo appoggiato al bastone prima di essere eletto ed, appena eletto Papa, gettò il bastone e mostrò la sua piena gagliardia ed il suo carattere autoritario e violento, iniziando a far lavorare senza sosta i boia ed i torturatori, tanto da assistere gioiosamente alle crudeli esecuzioni facendosi portare da mangiare poiché, come diceva, “gli atti di giustizia mi fanno accrescere l’appetito” e dopo un’atroce esecuzione ebbe persino a dire: “Dio sia benedetto per il grande appetito con cui ho mangiato”! Fra le sue numerose vittime si ricordano un povero spagnolo che involontariamente aveva causato la morte, difendendosi con un bastone, di una guardia svizzera che lo aveva ferito con l’alabarda; Pietro Benato fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (25 aprile 1585); Giovanni Bellinelli, Antonio Nantrò, Gaspare Ravelli e Pomponio Rustici, fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (5 agosto 1587); Francis Kett nel gennaio del 1589 fu fatto bruciare al rogo per aver dubitato che Cesù-Cristo fosse stato un “moralista”;Valerio Marliano fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (16 febbraio 1590); Domenico Bravo fatto decapitare perché accusato di “eresia” (30 marzo 1590), Lorenzo Dell’Aglio fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (13 aprile 1590); ecc. Durante il suo pontificato si recò personalmente a vedere un crocifisso che sanguinava dalle ferite portando con se una scure con la quale ridusse a pezzi il crocifisso dicendo “come Cristo ti adoro, come legno ti spaccò” (cfr. Rendina C.: Op. cit. Roma, 1983); si scoprì, così, un sistema di spugnette imbevute di un liquido rosso simile a sangue! I frati, che escogitarono l’artificio per carpire cospicue offerte imbrogliando gli ingenui fedeli, furono severamente puniti. Il Papa Gregorio XIV (1590-1591), talmente sprovveduto tanto da lasciarsi plagiare dal nipote Paolo Emilio che aveva nominato segretario di Stato, nel suo brevissimo pontificato dissipò completamente le enormi ricchezze accumulate dal predecessore Papa Sisto V (1585-1590) di cui continuò la strage di numerosi innocenti in un solo anno di pontificato: tra le vittime si ricordano Giovanni Angelo Fullo. Giovanni Carlo Di Luna, Decio Panella, Domenico Trailo, Antonio Costa, Giovanni Battista Grosso, ecc. fatti scomparire dalla Santa Inquisizione; Giovanni Battista Corbinacci, Giovanni Antonio De Manno, Alexandro D’Arcangelo, Fulvio Luparino e Francsco De Alessandro fatti decapitare; Andrea Forzati, Flaminio Fabrizzi e Francesco Serafini fatti impiccare e bruciare agonizzanti; ecc. Il Papa Clemente VIII (1592-1605) fece spietatamente condannare e torturare numerosi innocenti tra cui si ricordano i più noti. La giovinetta appena sedicenne Beatrice Cenci la quale, dopo aver invano cercato protezione presso detto Papa riguardo le continue violenze ed abusi sessuali che subiva da parte del padre incestuoso, fu ingiustamente accusata insieme al fratello Giacomo di avere fatto uccidere il violento depravato padre e, sotto atroce tortura, costretta a confessarsi colpevole. Nonostante fosse stata dimostrata, dall’avvocato Prospero Farinaccio, la sua estraneità all’uccisione del padre, fu condannata dal predetto Papa ad essere trascinata legata alla coda di un cavallo e, quindi, decapitata in Piazza di Ponte S. Angelo l’11 settembre del 1599. Contemporaneamente, dopo aver fatto uccidere anche la madre, dal boia fu fatto uccidere a colpi di mazza il fratello maggiore, mentre il fratellino più piccolo che aveva appena nove anni fu impietosamente obbligato ad assistere all’uccisione di tutti i suoi congiunti! Naturalmente, tutti i cospicui beni della famiglia Cenci, così eliminata, furono sequestrati dalla Chiesa ed, alcuni anni dopo, dal successivo pontefice Paolo V (1605-1621), appena insediatosi, furono sfacciatamente donati ai suoi familiari (cfr. Muratori L. A.: «Annali d’Italia dal principio dell’era volgare all’anno 1749», Modena, 1749)! Clemente VIII (1592-1605) non esitò a promulgare la condanna a morte di Giordano Bruno (1548-1600) il quale, all’alba del 17 febbraio 1600, ammanettato e con una morsa nella bocca bloccante la lingua in modo che non potesse parlare, fu trasportato in Campo dei Fiori ed ivi denudato e, legato ad un palo, arso vivo alla presenza delle potenti autorità ecclesiastiche e del popolo impotente! Inoltre, Francesco Gambonelli fu fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (17 febbraio 1594); Marcantonio Valena ed altri furono fatti bruciare vivi perché “luterani” (12 agosto 1594); Agostino Graziano e Menandro Prestini furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (15 gennaio 1596); Cesare Di Giuliano, Giovanni 29 De Magistris e Damiano Di Francesco furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti perché accusati di “eresia” (17 giugno 1597); Ottavio Scipione fu fatto decapitare e bruciare da morto perché accusato di “eresia” (20 giugno 1597); Giovanni Antonio da Verona fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (16 settembre 1559); Cierrente Mancini e Galeazzo Porta fatti decapitare perché accusati di “eresia” (9 novembre 1599); quattro giovani donne ed un vecchietto furono fatti bruciare vivi perché accusati di “eresia” (16 febbraio 1600); Maurizio Rinaldi fatto bruciare vivo perché accusato di “eresia” (23 febbraio 1600); Francesco Moreno fatto impiccare e bruciare agonizzante perché accusato di “eresia” (9 giugno 1600); Nunzio Servadio fatto impiccare perché “ebreo” (25 giugno 1600); Bartolomeo Coppino fatto bruciare vivo perché “luterano” (7 aprile 1601); Tommaso Caraffa e Onorio Costanzo fatti decapitare e bruciare da morti perché accusati di “eresia” (10 maggio 1601); il 29 novembre 1602 fu fatto ingiustamente condannare Tommaso Campanella alla “prigionia perpetua nelle carceri del Santo Uffizio in Roma” ed ivi fatto atrocemente torturare (14); ecc. Il Papa Paolo V (1605-1621), «…prima di essere nominato papa fu un modello di virtù e di devozione, ma la tiara dovette dargli alla testa se le sue abitudini, i suoi gesti e persino il suo modo di parlare mutarono. Il suo fu un governo dispotico, intollerante contro chiunque deviasse dalla linea apostolica romana. […]. Durante il suo pontificato fu condannato il sistema copernicano…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995). Delle numerose atroci esecuzioni effettuate sotto il pontificato del Papa Paolo V (1605- 1621) si ricordano quella di Giovanni Pietro di Tunisi, fra quelli fatti impiccare e bruciare agonizzanti nell’anno 1607 perché accusati di “eresia”; quelle di Giuseppe Teodoro, Felice d’Ottavio, Fancesco Rossi, Antonio di Jacopo, Fortunato Aniello, Pietro Vincenti ed Umberto Marcantonio fatti impiccare e bruciare agonizzanti nell’anno 1609, per lo stesso motivo; quelle di Fulgenzio Manfredi, Battista Lucarelli ed Emilio di Valerio, fatti impiccare e bruciare agonizzanti nell’anno 1610, sempre per lo stesso motivo; quella di Domenico Di Giovanni, fatto impiccare nel 1611, per il semplice motivo di essere passato dal cristianesimo all’ebraismo, quella di Giovanni Milo perché “luterano” e quella di Giovanni Mancini che fu fatto impiccare e bruciare agonizzante il 22 ottobre 1611 per avere celebrato la messa da spretato; fra quelli fatti impiccare e bruciare agonizzanti nel 1616 perché accusati di “eresia” si ricordano Jacopo de Elia (22 gennaio 1616) e Francesco Maria Sagni (1 luglio 1616); fra quelli fatti bruciare vivi nell’anno 1617 si ricorda un negromante zoppo fatto bruciare vivo perché accusato di “stregoneria”; mentre, il 17 febbraio 1618 fu fatto bruciare al rogo, dopo avergli atrocemente fatta strappare la lingua e fatto strangolare, Lucilio Vanini per il semplice motivo di avere dubitato dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima; inoltre, nell’anno 1620 nella solo Valtellina, furono fatti trucidare dai cattolici alcune migliaia di innocenti perché accusati di “eresia” (15); ecc. Inoltre, da una “pasquinata” si apprende che tale papa, quando era cardinale, avrebbe avuto rapporti omosessuali attivi con il suo “intimo amico” Stefano Pignatelli (1578-1623): «…Dunque perché a stupore il Mondo prese, se nel collegio [in Vaticano] volse [volle] una Creatura [il Pignatelli], il cazzo ancor del Casrdinal Borghese [divenuto Papa Paolo V]?...» (cfr. Dall’Orto G.: «Il trionfo di Sodoma», La fenice di Babilonia, 2, 37-69, 1997). Il Papa Urbano VIII (1623-1644), oltre a potenziare L’Inquisizione, fu «…Ambizioso guerrafondaio e satrapesco [spadroneggiatore]…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995). Tra le numerose condanne eseguite sotto il suo pontificato si ricordano le seguenti: nel 1624 fu fatto impiccare Ambrogio Ferrari perché accusato di “eresia”; nel 1633 fu fatto torturare e condannare a xperpetua reclusione Galileo Galilei (1564-1642), il quale evitò di essere arso vivo perché abiurò la sua concezione, avendolo accusato di “eresia” per avere affermato la verità scientifica che la terra ruota intorno al sole; nel 1635 fu fatto decapitare Giacinto Centini “per avere offeso la sovranità papale”; sempre nel 1635 fu fatto impiccare e bruciare agonizzante Diego Giavaloni perché accusato di “eresia”; nel 1640 fu fatto bruciare vivo Ferdinando Alvarez “per essersi convertito all’ebraismo”; nel 1642 fu fatto impiccare e bruciare vivo Angelo Policarpo “per avere celebrato la messa da spretato”; nel 1644 furono fatti impiccare e bruciare agonizzanti Ferrante Pallavicino, Camillo d’Angelo, Domenico Ludovico, Simone Cossio, Domenico da Sterigliano; ecc. 30 Il Papa Innocenzo X (1644-1655), il quale «…fu succube della cognata, Olimpia Maidalchini, chiamata dai romani “Pampinaccia” per la sua scandalosa condotta, ed in un secondo tempo, della nipote Olimpia Aldobrandini (tra le due ci furono intrighi e dispetti, finché la cognata rimase l’incontrastata “signora”)…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995) ed oltre a perseguitare accanitamente i Barberini, parenti arricchiti del suo predecessore, fece eseguire numerose atroci condanne, tanto che nel 1652 fece impiccare e bruciare agonizzanti Giuseppe Brugnello e Claudio Borgognone per la semplice accusa di avere falsificato alcune “lettere apostoliche”! Il Papa Alessandro VII (1655-1657) che, nonostante da Cardinale fosse stato uno dichiarato riprovatore del nepotismo papale, da papa divenne un strenuo nepotista (16), oltre che riprovevole persecutore. A riguardo basta ricordare che sotto il suo pontificato nel 1655 furono fatti massacrare dai “Cattolici” ben 1.712 “valdesi” e che nel 1657, tra gli altri, fu fatto decapitare Giovanni Fello perché accusato di “eresia”. Il Papa Innocenzo XI (1676-1689) nel 1680 fece condannare al rogo 20 ebrei; il 2 agosto 1685 fece decapitare Vincenzo Scatolari per avere esercitato la professione di giornalista senza l’autorizzazione della “Santa Madre Chiesa”; nel mese di maggio del 1686 per suo ordine diretto furono fatti massacrare dai “Cattolici” 2.000 “Valdesi”; nel 1687 fece uccidere dai “cattolici” 24 “protestanti”; ecc.! Tale papa è stato spudoratamente santificato da Pio XII (1939-1958) nel 1956! IL Papa Alessandro VIII (1689-1691) «…regnò solo 16 mesi ma gli furono sufficienti per fare arricchire scandalosamente i parenti […]. Appena eletto, infatti, li convocò a Roma, affrettandosi ad investirli di uffici altamente remunerativi [(17)]…» (cfr. Rendina C.: Op. cit., Roma, 1983). Sotto il suo pontificato fu fatto morire in carcere Alessandro Martino, nel maggio 1690, a seguito di atroci torture. Il Papa Innocenzo XII (1691-1700) incrementò notevolmente le nefande “missioni” (18) in America, Asia ed Africa e non impedì che la Chiesa Cattolica continuasse a mietere vittime innocenti, tra le quali si ricordano i 37 ebrei fatti bruciare vivi nel 1691, oltre ad Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana fatti atrocemente decapitare il 26 marzo 1695 perché seguaci del “Quietismo di Molinos”. Il Papa Clemente XI (1700-1721) non fu da meno dei suoi predecessori per le riprovevoli atrocità perpetrate durante il suo pontificato: basta ricordare i casi di Filippo Rivarola che, portato in barella al patibolo per le torture infertegli fu fatto decapitare in tali pietose condizioni il 4 agosto 1708, di Domenico Spallaccini fatto impiccare e bruciare agonizzante per il semplice motivo di avere bestemmiato allorché fu colpito con l’alabarda da una guardia papalina il 28 luglio 1711 e di Gaetano Volpini fatto decapitare il 3 febbraio 1720 per avere scritto una poesia contro il medesimo Papa! Ed ora ci si meraviglia per le decapitazioni effettuate in Iraq! Il Papa Clemente XII (1730-1740) fu tutt’altro che clemente in quanto si dimostrò uno dei più cinici sostenitori dell’“arte della tortura”, tanto da ripristinare la cosiddetta “mazzolatura” (atroce tortura consistente nella frantumazione di tutte le ossa a colpi di mazza). La maggior parte delle sue numerose vittime sono rimaste sconosciute poiché preferiva la tecnica di fare morire le vittime sotto tortura nelle carceri anziché nel patibolo in pubblica piazza. Tuttavia, si ricorda il caso del filosofo e storico Pietro Giarinone che fu fatto morire sotto tortura il 24 marzo 1736 per il semplice motivo di “avere sostenuto la supremazia del re sulla curia ecclesiastica” ed il caso di Enrico Trivelli fatto decapitare per il semplice motivo di “avere scritto frasi di rivolta” contro il papa medesimo! Nel giugno del 1733 fu emesso un editto che obbligava gli ebrei a rimanere nel ghetto durante la notte, a non poter leggere il Talmud, a dover portare il segno di color giallo ben visibile, ecc. Il Papa Benedetto XIV (1740-1758) non prese l’iniziativa di abolire la truffa dell’“indulgenza plenaria”, nonostante non credesse affatto alla relativa millantata efficacia nell’ottenere il condono divino della pena da avere inflitta “post mortem” per tutti i peccati commessi in vita, tanto che ― essendo noto per la caratteristica di avere come interiezione preferita la parola “cazzo” ― ebbe la spudoratezza di dire: “La voglio santificare questa parola, 31 accordando l’indulgenza plenaria dei peccati a chi la pronuncia dieci volte l giorno!” (cfr. D.: Op. cit., Milano, 1995) Il Papa Clemente XIII (1758-1759) incentivò la persecuzione e la condanna a morte per gli iscritti alla massoneria, istituite dal suo predecessore. Tra i condannati a morte sotto il suo pontificato si ricorda il caso di Giuseppe Morelli fatto impiccare il 22 agosto 1761 per il semplice motivo di avere “somministrato l’eucarestia da spretato” ed il caso di Carlo Sala fatto impiccare il 25 settembre 1765 perché accusato di “eresia”; ecc. Il Papa Pio VI (1775-1799) intensificò aspramente la persecuzione contro gli ebrei costringendoli ad indossare “vestiti di colore giallo” affinché fossero riconosciuti e pubblicamente oltraggiati! Il Papa Pio VII (1800-1829) promosse accanite persecuzioni contro i cospiratori politici, i giornalisti ed i progressisti che intendevano impedire l’immoralità dell’oscurantismo religioso attraverso azioni rivoluzionarie. Tra le numerose vittime si ricordano i casi di Giorgio Silvestri fatto impiccare il 18 gennaio 1800 perché accusato di “cospirazione politica”, di Ottavio Cappello fatto impiccare il 29 gennaio 1800 perché “patriota rivoluzionario”, di Giovanni Battista Genovesi fatto squartare vivo e fattagli esporre la testa al pubblico per ammonizione e bruciarne le parti squartate del corpo il 7 febbraio 1800; di Teodoro Cacciona fatto impiccare e squartare agonizzante il 9 febbraio 1801 per il semplice motivo di “avere rubato un abito ecclesiatico”; di Paolo Salvati fatto impiccare e squartare agonizzante l’11 dicembre 1805 per il semplice motivo di “avere derubato un corriere del papa”; di Bernardo Fortuna fatto impiccare e squartare agonizzante il 22 aprile 1806 per il semplice motivo di “avere fatto un furto ai danni di un corriere francese”; di Tommaso Rotilesi fatto impiccare il 15 giugno 1809 per “avere ferito un ufficiale francese”, ecc. Nel 1814 fu fatto obbligo ai rabbini romani di continuare a vestirsi di nero durante il carnevale, indossando calzoni corti, una mantellina ed una specie di gravatta, al fine di essere dileggiati e scherniti dalla folla di cristiani cattolici! Nel contempo la Chiesa Cattolica continuava a diffondere opuscoli contro gli ebrei dove erano descritti come “la peste dell’umanità, un branco di sporchi usurari e ruffiani, i quali meritavano la punizione divina a loro riservata”, ecc.! Il Papa Leone XII (1823-1829) «…uomo intellettualmente limitato, malato, con una relazione con la moglie del capitano della guardia svizzera […], mise a morte diversi carbonari…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995) e perseguitò accanitamente gli ebrei tanto da proibire che venissero vaccinati contro il vaiolo durante un’epidemia perché secondo lui “andavano contro la legge di natura”(19)! Tra i numerosi ghigliottinati sotto il suo pontificato si ricordano i casi del medico Leonida Montanari fatto decapitare il 23 novembre 1825 per “lesa maestà” avendo offeso pubblicamente il papa medesimo, di Angelo Targhino fatto decapitare il 23 novembre 1825 per “avere ferito una spia papalina” e di Luigi Zanoli il 13 maggio 1828 perché accusato di “avere ucciso una guardia papalina”. Si ricordano anche Giuseppe Franconi fatto uccidere tramite “mazzolatura” (atroce tortura consistente nella frantumazione di tutte le ossa a colpi di mazza) il 25 aprile 1826 perché accusato di “avere ucciso un prete per rapina”; Angelo Ortolani fatto impiccare il 13 maggio 1828 perché accusato di “avere ucciso una guardia papalina”; Gaetano Montanari fatto squartare vivo il 15 giugno 1828 perché accusato di tentato omicidio nei riguardi di un “emissario papalino”; Gaetano Rambelli fatto impiccare il 15 giugno 1828 per avere ferito un “emissario papalino”; ecc. Il Papa Gregorio XVI (1831-1846), «…Reazionario, chiuso ad ogni novità, persino alle scoperte scientifiche e mediche, nell’enciclica Mirari vos (1832) condannò la libertà di coscienza, di stampa e di pensiero […], aveva un’amante, la moglie del suo ex barbiere, che viene cantata dal Belli come “puttana santissima”…» (cfr. Alessandra D.: Op. cit., Milano, 1995), impose l’assoluto divieto di ogni libertà di azione e di pensiero che non fosse conforme ai dettami della “Santa Madre Chiesa”, con gravi minacce costrinse gli ebrei a non esercitare alcuna attività al di fuori del “ghetto”. Fra i numerosi condannati sotto il suo pontificato si ricordano i casi di Giuseppe Balzani fatto decapitare il 14 maggio 1833 per avere offeso il papa medesimo, di Luigi Scopino fatto decapitare il 21 luglio 1840 semplicemente per avere rubato “oggetti sacri”, di Pietro Rossi e Luigi 32 Muzi fatti decapitare il 9 gennaio 1944 semplicemente perché avevano commesso dei piccoli furti, di Giovanni Battista Rossi fatto decapitare il 3 agosto 1844 semplicemente perché aveva commesso un piccolo furto. Oltre queste disumane condanne a morte, nei 15 anni del pontificato di Gregorio XVI (1831-1846) ne furono eseguite altre 110, mentre non fu affatto punito un prete stupratore! I numerosi riprovevoli “gusti volgari” di Gregorio XVI sono stati dettagliatamente descritti da Aurelio Bianchi-Giovini (pseudonimo di Angelo Bianchi) (1860) (cfr. Bianchi-Giovini A.: «Il papa e la sua corte. Ricordi inediti d’un carabiniere al servizio di sua santità», Napoli, 1860). Il Papa Pio IX (1848-1878) con l’enciclica “Quanta cura” e con il “Sillabo degli Errori”, emessi contemporaneamente l’ 8 dicembre 1864, condannò in blocco tutte le dottrine anticattoliche dal “panteismo” al “naturalismo”, al “razionalismo” ed al “modernismo” (20), dal “socialismo” al “comunismo” ed al “liberalismo” (cioè la “libertà di coscienza ed i conseguenti valori civili”), riaffermando l’“origine divina di Chiesa e Stato” e ribadendo definitivamente l’impossibilità di una riconciliazione del pontefice (da lui proclamato “infallibile”!) “…con il progresso, con il liberalismo, con la società moderna…”. Tale papa fu così criminale che non esitò ad armare eserciti, a firmare un numero esorbitante di condanne capitali (21) ― tra le quali si ricordano quella di Romoli Salvatori, fatto decapitare il 10 settembre 1851 per avere consegnato ai carabinieri l’arciprete di Anagni, quella di Antonio Felici, fatto decapitare 24 gennaio 1854 per avere attentato al Cardinale Antonelli, e quella dei due patrioti Monti e Tognetti fatti inesorabilmente decapitare il 24 novembre 1868 nonostante l’insistente richiesta di grazia da parte del Re Vittorio Emanuele II ― ed a riempire le carceri pontificie di tanti innocenti che, quando i patrioti dell’unificazione d’Italia vi entrarono per liberare le centinaia di prigionieri che vi erano stati costretti a vivere incatenati per un tempo talmente protratto, li trovarono talmente malridotti tanto che molti di essi avevano perso l’uso della vista e degli arti! Inoltre, nei bui ed umidi sotterranei furono trovati mucchi di scheletri e di cadaveri in decomposizione commisti a mucchi di tonache (di frati e di suore), di vestiti civili (di uomini e di donne), di divise militari, ecc., di scarpe, di giocattoli vicino a scheletri di bambini incarcerati insieme ai genitori, ecc., né più né meno di quanto fu rinvenuto nei lager nazisti! Tale papa, dichiarato antisemita, fece nuovamente rinchiudere gli ebrei nel “ghetto”ed impose ai commercianti ebrei a dovergli pagare il “pizzo”, proibì ai medici ebrei di esercitare la professione, fece incarcerare un ebreo benestante per il semplice motivo di avere assunto come lavandaia una donna cristiana (22) ed arrivò persino a fare rapire, per farli crescere nella “vera religione”, tre bambini ebrei (Edgardo Mortasa, Giuseppe Michele Coen e Graziosa Cavigli), battezzati nascostamente dalla rispettive bambinaie cristiane! Si pensi che questo pontefice è stato beatificato, da Papa Giovanni Paolo II, il 3 settembre 2000, nonostante il giudizio estremamente negativo sulla sua persona, espresso da Giuseppe Garibaldi ― in una lettera scritta l’8 dicembre 1869 in occasione del Concilio Vaticano che sancì l’“infallibilità del papa” e la “perpetua Verginità” di Myriam Bar-Yeôyakim (Maria Figlia di Gioacchino) “ante partum, in partu et post partum” ― come segue: «…nella contaminata vecchia capitale del mondo, si discuterà sulla verginità di Maria, che partorì un bel maschio sono ora 18 secoli (e ciò importa veramente molto alle affamate popolazioni); sulla eucaristia, cioè sul modo di far inghiottire il reggitore dei mondi, e depositarlo poi in un closet qualunque. Sacrilegio, che prova l’imbecillità degli uomini che […] così sfacciatamente si fa beffa di loro […] sull’infallibilità di quel metro cubo di letame che si chiama Pio IX…» (cfr. Ciampoli D.: «Giuseppe Garibaldi: scritti politici e militari. Ricordi e pensieri inediti, raccolti su autografi, stampe e manoscritti», Roma, 1907). Il Papa Benedetto XV (1914-1922) il 23 marzo 1918 «…si congratula pubblicamente con monsignor Jovin […] autore di La judéo-maçonnerie et la révolution sociale e di La judéomaçonnerie et la domination du monde, i cui titoli lasciano chiaramente intendere il loro contenuto diffamatorio antisemita. L’anno successivo anche il Segretario di Stato del Vaticano, Cardinal Gasparri, invia le sue pubbliche congratulazioni al prelato razzista…» (cfr. Magazzini P.: «La Chiesa che offende», Roma, 1993). Appare evidente come anche quest’ennesimo pontefice abbia contribuito a rinforzare il nefando condizionamento, costantemente operato dalla Chiesa Cattolica, 33 che inesorabilmente condurrà, senza alcuna possibilità di riflessione critica, al raggiungimento del tumultuoso sterminio di massa degli ebrei attuato dal nazi-fascismo! Il Papa Pio XI (1922-1939) in una conferenza tenuta presso l’Università Cattolica di Milano il 13 febbraio 1929 elogiò notevolmente il fascismo e Benito Mussolini tanto che, tra l’altro, disse di lui: “…ci voleva un uomo come quello che la provvidenza ci ha fatto incontrare…” (23)! Le frequenti manifestazioni di simpatia da parte del Papa Pio XI nei confronti del fascismo e di Mussolini spinsero i “moderati” milanesi ad intervenire presso tale pontefice affinché assicurasse il suo appoggio per il colpo di stato fascista che così poté essere facilmente realizzato (24). Nel 1933, tramite il Cardinale Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII), stipulò un’alleanza col governo nazista ed indusse il Centro Cattolico tedesco a votare i pieni poteri al Führer, nel 1935 diede tutto il suo appoggio all’aggressione fascista contro l’Abissinia ― tanto che «…Quando nel 1935 Mussolini invase l’Abissinia tra le acclamazioni di giubilo dei prelati italiani, uno dei principali fornitori bellici era una fabbrica di munizioni di proprietà del Vaticano!…» (cfr. Deschner K.: «Kriminalgeschichte des Christentums» Band I, Reinbek bei Hamburg, 1986) ― e nel 1936 ai falangisti di Franco contro il legittimo governo spagnolo (25). Inoltre, il Papa Pio XI non mosse mai alcuna critica al carattere totalitario sia del regime fascista che di quello nazista, né al riprovevole inquadramento militare dei giovani fin dalla prima infanzia! Egli non disse mai una parola di solidarietà verso le migliaia di ebrei (26) che, senza alcuna colpa, erano ingiustamente perseguitati e banditi dalle attività pubbliche! Anche per il Papa Pio XI, come per Hitler e per Mussolini, nonché per i gesuiti della “Civiltà Cattolica”, gli ebrei costituivano un gravissimo pericolo per l’umanità (27)! Il Papa Pio XII (1939-1958), al secolo il nobile Eugenio Pacelli (1875-1958) che all’età di 41 anni prese come compagna la giovanissima suora ventitreenne Pascalina Lehnert da cui non si è mai separato, come attesta Nassi (1992) «…non disertava mai una gita, un ballo o una recita […]. Però preferiva le battute di caccia, specie quelle al cinghiale […]. In Germania, già Nunzio Apostolico prenderà lezioni nella scuderia di un generale amico, nella foresta dei Cinghiali…» (cfr. Nassi E.: «Pio XII», Milano, 1992). Infatti, era stato “Nunzio Apostolico” in Germania dal 1918 al 1929 (28) e «…Pur avendo visto il nazismo da vicino, aveva sempre temuto di più il comunismo [tanto fa fare affiggere in ogni parrocchia il “Decreto di scomunica ai comunisti” (Fig. 6)]. […]. Quando Mussolini mise sotto pressione la comunità ebraica, egli prese l’abitudine di non dir nulla. Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco di Hitler; alla fine del 1941 tre quarti degli ebrei italiani avevano perso la vita. […]. In tutta l’Italia e nel Reich gli Ebrei venivano vessati sistematicamente ed, in molti casi, uccisi. Dal Vaticano non venne alcuna parola esplicita di condanna e questo silenzio, dicono molti fu peggiore di qualsiasi eresia. Di solito tanto pronte a correggere e condannare anche la minima deviazione della fede, o qualsiasi “errore” nella moralità sessuale, le labbra di Roma [cioè, di Papa Pio XII] erano strettamente, e come si vide poi, perennemente serrate. Lo sterminio di massa degli Ebrei era diffusamente noto molto prima della fine del 1942. Il primo luglio [1942] la trasmissione in francese della BBC parlò del massacro di 700.000 Ebrei polacchi; una settimana dopo il cardinale di Westminster, Hinsley, ripetè questa cifra alla BBC [quindi, è impossibile che il pontefice Pio XII non ne fosse venuto a conoscenza] […]. Quell’estate la Francia di Vichy si dimostrò molto zelante nel deportare bambini ebrei, anche prima che i Nazisti della Zona Occupata fossero pronti a riceverli. Un pediatra calcolò che dal 21 luglio al 9 settembre [1942], 5.500 bambini erano passati per Drancy sulla via dello sterminio; più di mille erano sotto i sei anni. I loro genitori erano già stati deportati e furono accompagnati da sorveglianti ebrei per nascondere che erano orfani. Gorge Wellers, avvocato parigino, era uno di quei sorveglianti, e descrisse la scena del campo di transito nei pressi di Parigi nel suo libro Drancy. I bambini ― nel suo gruppo ce n’erano sei sotto i due anni ― somigliavano “a un gregge di agnellini spaventati”. La descrizione che fa delle loro condizioni è sconvolgente: piccini che non conoscevano nemmeno il proprio nome aspettavano sul pianerottolo un adulto che li portasse al gabinetto, giacevano nei propri escrementi a causa della diarrea [mandatagli dal buon “Dio”!], piangevano tutta la notte. Il 17 agosto [1943] 530 bambini con alcuni accompagnatori adulti furono 34 chiusi in carri bestiame; il caldo ed il puzzo erano insopportabili. Due giorni dopo arrivarono ad Auschwitz e la sera stessa erano già morti. [si vede che il buon “Dio” aveva bisogno di angioletti!]. Poco dopo un medico delle SS del campo confidò al suo diario: “in confronto a quello che ho visto, l’Inferno di Dante sembra poco meno di una commedia”. L’inferno di Hitler avrebbe divorato un milione di bambini. Il 5 agosto [1943] il nunzio apostolico a Parigi, Valerio Valeri, aveva riferito al cardinale Segretario di Stato a Roma che i bambini deportati dalla Francia non venivano mandati in Germania, ma in Polonia. Sette settimane dopo Myron C. Taylor, l’ambasciatore americano,inviò allo stesso Segretario di Stato, cardinale Maglione, particolari sullo sterminio di massa degli Ebrei polacchi. Pierre Laval [allora capo del governo francese], filonazista, alle proteste del cardinale di Parigi Suhard gli rispose che avrebbe dovuto tenersi fuori della politica e stare zitto come Sua Santità. […]. Il papa si trincerò dietro un silenzio ancora più impenetrabile, temendo che rompendolo avrebbe peggiorato la situazione degli Ebrei. La notte tra il 15 e il 16 ottobre [1943] gli Ebrei erano in casa a festeggiare il Sabato. Ne furono catturati un migliaio, tra cui alcune donne incinte e anziani; su un camion militare fu addirittura portata via una donna in travaglio. Tra quelli condotti all’Accademia Militare si trovava una coppia con dieci figli, e la prima notte due donne partorirono. Due giorni dopo, lunedì 18 ottobre, all’interno del gruppo composto da più di mille persone fu portato su un binario di deposito e chiuso in carri bestiame piombati. Il treno Partì alle 14,05 in direzione nord […] diretto ad Auschwitz. […]. Anche l’ambasciatore di Germania era profondamente preoccupato: gli Ebrei, riferì a Berlino, erano portati via praticamente sotto la finestra del papa. Anch’egli, come molti vescovi francesi non avrebbe avuto altra alternativa che quella di protestare contro la politica di Hitler. Pio XII non disse nulla. Quando il diplomatico fu ricevuto in udienza tre giorni dopo, il papa non menzionò gli Ebrei; la sua preoccupazione principale erano le cellule comuniste sparse per Roma. I Nazisti rimasero meravigliati; non riuscivano quasi a credere alla loro fortuna e furono incoraggiati ad adottare misure similari a Firenze, Venezia, Ferrara, Genova e Fiume. Nel giro di sei settimane diecimila Ebrei furono catturati e portati ad Auschwith dove ne morirono 7.550. […]. Nel dicembre del 1943 gli Ebrei furono privati formalmente della cittadinanza italiana. In una retata a Roma ne furono cattutati 650, in un’altra 244. C’erano 70 ebrei tra i 335 ostaggi fucilati alle Fosse Ardeatine nel marzo del 1944 […]. Tra i primi ostaggi uccisi con un colpo alla nuca c’era Domenico Ricci, un impiegato cattolico di trentun anni padre di cinque figli. Nella tasca gli fu trovato un biglietto scritto in stampatello: “O MIO DIO, TI PREGHIAMO AFFINCHÉ TU PROTEGGA GLI EBREI DALLE BARBARE PERSECUZIONI. UN PADRENOSTRO, DIECI AVEMARIE E UN GLORIA” [!]. con Ricci morirono sei Ebrei che di cognome facevano Di Consiglio: tre fratelli, il padre, il nonno e lo zio. Scrisse Robert Katz nel suo libro Death in Rome: “Non era necessario un miracolo per salvare i 335 destinati a morire nelle Fosse Ardeatine. C’era un uomo che avrebbe potuto. Anzi, avrebbe dovuto […] e ora deve rendere conto del motivo per cui non l’ha fatto: papa Pio XII”. Il Papa venne a sapere da Dollman, capo delle SS a Roma, che ci sarebbe stato un bagno di sangue. Tuttavia, riteneva che il crimine più grave fosse l’attacco alle truppe tedesche da parte della Resistenza, in quanto non era stato provocato. Il giorno del massacro lo trovò in udienza con i cardinali del Sant’Uffizio e con la Congregazione dei Riti, per la preparazione agli esercizi quaresimali [!!]. La radio vaticana non diede notizia della carneficina. Se soltanto il papa avesse rischiato l’arresto portando la stella di Davide, o avesse parlato, anche una sola volta, per dire al popolo ebreo che non era solo nella sua agonia! […]. Il mondo […] tace. Tace anche il rappresentante di Dio in Vaticano. Gli orrori di Roma cessarono il 5 giugno 1944, quando gli Alleati liberarono la città. Il cappellano militare tolse i sigilli dalle porte della Grande Sinagoga, compresi quelli di Pio XII. Gli Ebrei erano di nuovo liberi; uscirono dai nascondigli per scoprire che più di duemila dei loro non c’erano più. […]. Perché Pio XII non fece sentire la sua voce? I suoi difensori dicono che voleva mantenere la neutralità del Vaticano come mediatore e temeva di caricare le coscienze dei Cattolici tedeschi di un peso intollerabile. Rispondono i critici: può esserci neutralità tra il bene ed un male tanto tremendo? Ed il peso imposto agli Ebrei, ammazzati a milioni, dai tedeschi sia Cattolici che non? […]. Sua santità, dopo aver dichiarato infallibilmente nel 35 1950 che un’Ebrea era stata assunta in cielo corpo ed anima [!], non avrebbe potuto affermare autoritariamente nel 1942 che la sua razza non doveva essere annientata per il fatto di essere ebrea? […]. L’unica spiegazione soddisfacente al silenzio di Pio XII è che egli era prima di tutto e soprattutto un Cattolico; un Cattolico prima che un Cristiano o un essere umano, anche se era un buon Cristiano e un essere umano profondamente compassionevole. Il suo ammiratore ebreo Lapide scrisse: “Un solo editto papale in cui si dicesse ai Cristiani che la legge ebraica insegnata dal Cristo ai suoi discepoli ― ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ ― andava applicata anche agli Ebrei sarebbe stato più utile di lunghi elenchi di proibizioni e restrizioni. Ma una simile lettera non venne mai da Roma”. Sarebbe bastato che Pio XII avesse amato gli Ebrei quanto Pio IX aveva amato il suo Stato Pontificio…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). Invece, come precisa Rossi (1966), «…Pio XII ― malgrado fosse a completa conoscenza dei feroci crimini commessi dalle SS e dello sterminio in massa degli ebrei ― fece tutto quello che poteva per aiutare Hitler a vincere la guerra, ritenendo che il nazismo fosse l’unico baluardo valido per contenere l’espansione del comunismo nell’Europa occidentale…» (cfr. Rossi E.: Op. cit., Roma, 1966). Tale riprovevole comportamento di Pio XII fu notato e segnalato da Mounier (1939) già fin dall’inizio del suo pontificato (cfr. Mounier E.: «En interrogant les silences de Pie XII», Le Voltigeur, 5 maggio, 1939) ed è stato ampiamente discusso da Nobércourt (1964) (crf Nobércourt J.: «“Le Vicarie” et l’hstoire», Paris, 1964). In definitiva, a Pio XII si contesta, con ogni evidenza, di essersi sottratto dal denunziare dei gravissimi crimini del tutto assurdi pur essendo a conoscenza dei responsabili. Il papa Pio XII era talmente entusiasta della guerra mondiale in corso, tanto che nel suo radiomessaggio natalizio del 1942 si esprime come segue: «…Pervasi da un entusiasmo di crociate, ai migliori e più eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, giustizia e di amore al grido: “Dio lo Vuole!” [lo stesso grido degli attuali “kamikaze” giudaici ed islamici!], pronti a servire, a sacrificarsi, come gli antichi crociati. […]. Scopo essenziale di questa Crociata necessaria e santa è che la stella della pace, la stella di Betlemme, spunti di nuovo su tutta l’umanità nel suo rutilante fulgore…», mentre, come giustamente sottolinea Falconi (1965), «…Le camere a gas bruciavano con metodo nei lager tedeschi e polacchi, villaggi interi venivano arsi con le chiese ortodosse e coi loro fedeli in Croazia, in Slovacchia si preparavano le deportazioni, in Bessarabia e in Bucovina 300.000 ebrei erano già stati tacitamente liquidati, milioni di altre future vittime vivevano in ghetti, nei campi di concentramento, nelle loro case nell’attesa drammatica dello sterminio, e Pio XII annunciava come scopo essenziale della “Crociata necessaria e santa” la “stella della pace”!...» (cfr. Falconi C.: «Il silenzio di Pio XII», Milano, 1965). Infine, si ricordi che il Papa Pio XII (1939-1958) è morto «…con un patrimonio di 80 milioni di marchi [equivalenti a circa 500 milioni di euro attuali (anno 2006)] in oro ed i suoi tre nipoti ne hanno accumulati 120 [equivalenti a circa 750 milioni di euro attuali (anno 2006)] nei diciannove anni di papato dello zio…» (cfr. Deschner K.: «Ein Jahrhundert Heilsgeschichte. Die Politik der Päpste im Zeitalter der Weltkriege: von Pius XII», Band II, Reimbek bei Hamburg, 1983)! Il Papa Giovanni XXIII bis (1958-1963), al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, per la sua attiva ed appassionata benevolenza verso gli “emarginati” di ogni genere, dal popolo romano fu acclamato come “er papa buono” di cui, dallo stesso popolo, ne fu auspicata la futura beatificazione. Tuttavia, «… per fermarne il processo di beatificazione, i tradizionalisti della Curia vaticana pensarono bene di riesumare l’antica diceria secondo la quale monsignor Roncalli, allorquando era Nunzio apostolico in Turchia, avrebbe intrattenuto una relazione sessuale con un suo domestico […]. I tratti autoritari e dispotici dell’Eminenza isterica si facevano melliflui e insinuanti di ammiccante melensaggine non appena egli era circondato dalla sua personale corte: una specie di Arca biblica stipata di giovinetti di varia taglia, però tutti minorenni e dello stesso sesso. Bisognava vederla, l’Eminenza non più isterica, in mezzo a frotte di fanciulli come chioccia coi pulcini: li coccolava, li carezzava, li baciava, li titillava, li abbracciava senza risparmio. […]. Alcuni ragazzini del preseminario cominciarono a lamentare attenzioni di tipo morboso, e molestie di tipo sessuale, da parte del Porporato, che vennero subito riferite dal loro Sacerdote ai piani alti della Segreteria di Stato. Ne sortì un provvedimento immediato: i fanciulli vennero zittiti, e il loro 36 Sacerdote indotto a lasciare il Vaticano. Unico dato positivo: L’Eminenza, sempre più isterica, ridusse la sua capiente Arca biblica trasformandola in una barchetta biposto, e moderò sensibilmente le sue straripanti e pelose affettuosità. Che tuttavia ― pur ridotte di quantità e intensità ― non cessarono del tutto. Così fu poi la volta di un giovane prete veneto dalle fattezze efebiche, il quale lamentò in Segreteria di Stato le pressanti attenzioni, con affettuosità spinte, rivoltegli da quello stesso Porporato: venne accusato di mitomania e di morbosità proiettive, e dovette cambiare aria…» (cfr. I Millenari: «Fumo di Satana in Vaticano», Milanono, 2001). Il Papa Paolo VI (1963-1978), figlio di un imprenditore e banchiere bresciano, inizia il suo pontificato col dover risolvere un grave problema finanziario. Per tale motivo, nel 1964 non esitò a reintegrare Padre Pio da Pietrelcina (1887-1964), che dal Santo Uffizio il 31 maggio 1923 era stato ufficialmente smascherato come truffatore, in cambio del passaggio di proprietà alla Santa Sede delle sue enormi attività finanziarie. Nel contempo non si fece scrupolo di intraprendere anche attività illecite ben illustrate da Guarino (1998) come segue: «…sulle casse papali incombe l’incognita della nuova legislazione fiscale italiana, che dal dicembre 1962 impone una tassazione fino al 30% dei profitti derivanti dai dividenti azionari. Per le sue speculazioni sui mercati azionari, il Vaticano pretenderebbe un regime di totale esenzione fiscale […]. La questione è oggetto di una delicata trattativa diplomatica che si protrarrà negli anni, sia per l’instabilità dei governi italiani sia per il tenace rifiuto Vaticano di rispettare la legge. Il contrasto si risolve nel 1968, quando il governo conferma che il Vaticano è tenuto a pagare le tasse sui profitti azionari ed entro fine anno dovrà cominciare a versare il dovuto pregresso (circa 240 miliardi di lire dell’epoca [equivalenti a circa 1.200 milioni di euro attuali]. A quel punto la Santa Sede decide di correre ai ripari spostando fuori dall’Italia il suo patrimonio azionario per sottrarlo alla tassazione dell’Erario italiano. L’operazione al limite della legalità, viene affidata alle alchimie societarie di un finanziere siciliano attivo a Milano, amico di Paolo VI e suo “consulente”, già in affari col Vaticano, e con solidi legami negli USA: Michele Sindona. […]. Tanto cattolico quanto spregiudicato, Sindona si era specializzato nella remunerativa pratica dell’elusione fiscale, studiando a fondo i paradisi fiscali europei […]. Nel 1955 Sindona aveva attuato una serie di speculazioni edilizie nella periferia di Milano ed in quella occasione era entrato in contatto con l’arcivescovo Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI). […]. Sindona, a quel punto, era divenuto il “consulente finanziario” della curia milanese: non solo uomo di fiducia di Montini, ma legato anche a Monsignor Pasquale Macchi, il potente segretario dell’alto prelato. I rapporti ecclesiali di Sindona non si erano limitati all’arcidiocesi milanese, ma erano arrivati fino in Vaticano. Nel 1960 Sindona aveva raggiunto lo status di banchiere proprio attraverso un affare concluso con la banca del papa […]. Nel 1963, quando era sceso al soglio di Pietro, Montini aveva insediato in Vaticano anche Monsignor Macchi ed altri esponenti della Curia lombarda: una cerchia di collaboratori che negli stessi ambienti era stata ribattezzata “mafia milanese”, perché tra essi c’era il consulente esterno in odore di mafia Michele Sindona. Paolo VI, infatti, alle prese con le difficoltà economiche del Vaticano, era intenzionato a rafforzare ed espandere il potere finanziario della Santa Sede ed aveva affidato il compito all’amico Sindona, affiancandolo all’esperto di finanza vaticana Massimo Spada e ai dirigenti dello Ior Luigi Pennini e Pellegrino De Strobel. Nella seconda metà degli anni sessanta Sindona non si occupa solo della finanza vaticana. È anche il consulente tributario, per esempio del boss mafioso italo-americano Joe Doto […]. Sindona si reca negli Stati Uniti […] ed a New York viene accolto dalla famiglia mafiosa di don Vito Genovese. Per conto del clan Genovese, Sindona si occupa di alcune società predisponendo canali per il riciclaggio dei proventi illeciti. Consulente del Vaticano e della mafia italo-americana, il finanziere siciliano brucia le tappe anche negli USA ed in breve diviene un protagonista del mercato finanziario nordamericano. […]. Sospettato negli USA di essere coinvolto nel traffico internazionale di stupefacenti e legato ad ambienti mafiosi, in Italia il chiacchierato Sindona può dedicarsi indisturbato ai suoi loschi traffici finanziari. Può farlo grazie agli ottimi rapporti instaurati con la Democrazia Cristiana ed alle credenziali che gli derivano dall’essere legato al Vaticano e personalmente al papa. Un legame, quest’ultimo, che nel 1968 si fa strettissimo. Infatti Paolo VI, intenzionato ad eludere la legislazione fiscale italiana sottraendo alla 37 tassazione l’ingente patrimonio azionario Vaticano, affida la delicata incombenza al finanziere siciliano, il quale non tradisce le aspettative del pontefice ― tanto che «…Paolo VI avrebbe definito Sindona, con il suo piano per moltiplicare i capitali vaticani così come Cristo aveva moltiplicato i pani e i pesci, “un uomo mandato da Dio”…» (cfr. Willey D. : «God’s Politician», London, 1992) ― “Sindona spiega al Santo Padre il suo piano: trasferire gli investimenti dall’Italia nel mercato degli eurodollari tramite una rete di banche off-shore [= residenti nei “paradisi Fiscali”]. Il Papa […] consegna a Sindona un documento, da lui stesso firmato, che gli affida il controllo degli investimenti del Vaticano all’estero. I due si inginocchiano e pregano. Poi Sindona prende la mano di Paolo VI e bacia l’anello del Papa” [Cfr. Di Fonzo L.: «Saint Peter’s Bank», New York, 1983]. Ma è necessario che al regista esterno Sindona corrisponda all’interno del Vaticano un referente altrettanto abile e spregiudicato. Così Paolo VI provvede ad insediare al vertice dello IOR un prelato di assoluta fiducia e dai molti talenti: monsignor Paul Casimir Marcinkus. […] La carriera di Marcinkus è simile a quella di Sindona: folgorante. Nel dicembre 1968 Paolo VI lo nomina vescovo della diocesi di Orte, e di lì a poco gli viene affidata la presidenza della banca vaticana. […]. Nella primavera del 1969 il duo Sindona-Marcinkus si attiva per alienare uno dei più importanti cespiti vaticani, la Società Generale Immobiliare (SGI), da anni fiore all’occhiello dello IOR, che ne detiene il controllo con il 38% del capitale (un valore Stimato più di 30 miliardi dell’epoca [corrispondenti a circa 15.000 milioni di euro attuali]). […]. Sindona compra solo una piccola parte di quel 38% di azioni della SGI, mentre Marcinkus parcheggia le rimanenti azioni dello IOR in una società domiciliata nel paradiso fiscale lussemburghese, sottraendole così alla tassazione del Fisco italiano. I maneggi del duo Sindona-Marcinkus intorno alle azioni SGI di proprietà dello IOR sono comprensivi di una truffa […] che diviene evidente […]. Con l’operazione SGI, il duo Sindona-Marcinkus dà l’avvio ad una lunga serie di intrichi societari, artifici contabili, speculazioni, elusioni ed evasioni fiscali. Scorribande finanziarie alle quali ben presto si unisce un terzo personaggio: il banchiere cattolico e massone Roberto Calvi. […]. Con l’insediamento di Calvi alla guida del Banco Ambrosiano, l’originale progetto del Vaticano di sottrarsi all’Erario italiano diviene molto più ambizioso. L’obiettivo strategico è di costruire un polo finanziario cattolico capace di competere con la finanza laica internazionale, in grado di salvaguardare gli interessi temporali di Santa Romana Chiesa ma anche influenzare gli assetti politici occidentali in chiave anticomunista Un progetto che sembra tagliato su misura per il fiduciario del pontefice Michele Sindona, il quale non è solo un finanziere di successo: è anche legato alla Democrazia Cristiana italiana, a importanti esponenti dell’Amministrazione USA, alla mafia italo-americana e a settori della massoneria internazionale, tutte entità unificate dalla comune matrice anticomunista [...]. Per realizzare l’ambizioso programma è indispensabile l’apporto del Banco Ambrosiano, quella banca dei preti con sede a Milano che, infatti, sotto la guida di Calvi, diverrà ben presto il più importante istituto di credito privato d’Italia, assumendo una posizione di rilievo nel gotha finanziario internazionale. […]. È l’inizio di una spericolata ragnatela societaria tessuta dalla triade Sindona-Marcinkus-Calvi secondo lo schema delle “scatole cinesi” […]. Fin dall’inizio, il sodalizio fra i tre banchieri cattolici si configura come una specie di mutua associazione a delinquere. Sindona accresce il proprio impero, e riesce a ripulire ed a occultare gli ingenti capitali affidatigli dalle cosche mafiose siculo-americane. Calvi utilizza i capitali dell’Ambrosiano per acquistare in proprio pacchetti azionari sempre più consistenti del Banco allo scopo di divenirne il proprietario. Marcinkus riesce a sottrarre il patrimonio vaticano alla tassazione del Fisco italiano, ed a sviluppare gli interessi temporali del papato. Ma per le casse della Chiesa Cattolica ci sono anche concreti vantaggi aggiuntivi: lo IOR, oltre a lucrare cospicue commissioni sulle vorticose operazioni che la triade va tessendo, ricava ingenti profitti dall’illegale esportazione di capitali italiani all’estero. Una pratica, quest’ultima, che la banca del papa può attuare grazie alla extraterritorialità dello Stato del Vaticano rispetto all’Italia, e che lo stesso Sindona racconterà così: “Lo IOR apriva un conto corrente con l’istituto di credito italiano che voleva esportare in nero. Il cliente della banca italiana depositava i soldi liquidi sul conto, e lo IOR provvedeva ad accreditarglieli all’estero, nella valuta e presso la banca che gli erano state indicate. Nell’eseguire 38 l’operazione, lo IOR distraeva una commissione poco più alta della normale. […]. Il vescovo Marcinkus, si convinse che il sistema usato dallo IOR per esportare fondi fosse una specie di delitto perfetto” [(29)]. Nelle loro scorrerie finanziarie, Sindona e Marcinkus, nel periodo 1971-73, arrivano a maneggiare obbligazioni falsificate di provenienza mafiosa per un miliardo e mezzo di dollari [= circa trenta miliardi di euro attuali (2005)]. […]. Nei primi mesi del 1974 il mercato azionario internazionale attraversa una congiuntura negativa. Sindona deve fronteggiare un generale ribasso delle quotazioni delle sue società ed una grave crisi di liquidità: l’effetto congiunto dei due problemi potrebbe provocare contraccolpi fatali all’ambiguo impero finanziario costruito dal consulente personale di Paolo VI. Per uscire dalla difficile situazione, Sindona conta sull’aiuto dei suoi padrini politici italiani ed americani, la destra clericale Democrazia Cristiana di FanfaniAndreotti e l’Amministrazione Nixon. […]. Benché il finanziere siciliano abbia versato nelle casse della Dc 2 miliardi [= circa 20 milioni di euro attuali (2005)] per sostenere la campagna referendaria antidivorzista fortemente voluta dal Vaticano, il 12 maggio la Democrazia Cristiana esce sconfitta dal responso delle urne e deve affrontare una difficile crisi politica. […]. Senza la copertura politica che fino a questo momento gli ha garantito complicità e connivenze sia in Italia sia negli USA, la situazione di Sindona precipita. […]. In un’appunto riservato del SID (il Servizio Segreto Italiano), datato 13 gennaio 1975, si legge che “la situazione contabile [di Sindona] registra un ‘buco’ valutato in circa 700 miliardi [=circa 14 milioni di euro attuali (2005)]” [(30)]. Il crac dell’impero sindoniano, in effetti è un grave insidia ― finanziaria e giudiziaria ― anche per i due soci-partner IOR e Banco Ambrosiano; monsignor Marcinkus e Calvi, per fronteggiare l’emergenza, incrementano le loro spericolate operazioni finanziarie [(31)]. […]. Il 6 agosto 1978 muore Paolo VI. La scomparsa di Papa Montini, ispiratore della triade Sindona-Marcinkus-Calvi, è un altro duro colpo alle superstite speranze sindoniane. Un colpo che diviene definitivo con l’elezione del nuovo papa. […]. Appena eletto, al nuovo papa, Giovanni Paolo I si rivolge il Giornalista Paolo Panerai […] con un’accorata lettera aperta nella quale scrive: “Vostra Santità, è giusto che il Vaticano operi sui mercati come un’agente speculatore? È giusto che il Vaticano abbia una banca che interviene nei trasferimenti illegali di capitali dall’Italia in altri Paesi? È giusto che quella banca aiuti gli italiani ad evadere il Fisco?” […]. Il settimanale “Op”, diretto da Mino Pecorelli, sotto il titolo “La Gran Loggia Vaticana” pubblica l’elenco di 121 nomi di esponenti vaticani affiliati alla massoneria; nella lista, oltre ai nomi di alti prelati, compaiono quelli di Paul Marcinkus e di Donato De Bonis (braccio destro del presidente dello IOR). […]. Dopo aver disposto un’inchiesta sulla presenza di massoni tra le gerarchie vaticane. Il 28 settembre Giovanni Paolo I affronta con il segretario di Stato Joan Villot la scabrosa questione-IOR: “Luciani avvertì Villot che Marcinkus doveva essere trasferito subito. Non tra una settimana o un mese: il giorno seguente […]. Luciani gli disse ‘Ci sono altri cambiamenti all’interno dello IOR che devono essere operati immediatamente. Pennini, De Strobel e monsignor De Bonis devono essere sostituiti subito […]. Voglio che siano interrotti tutti i nostri rapporti con il Banco Ambrosiano’ […]”. La mattina del 29 settembre ― poche ore dopo il colloquio con Villot e le disposizioni papali in merito allo IOR ― Giovanni Paolo I viene rinvenuto cadavere. Una morte improvvisa e per più aspetti misteriosa [(32)], seguita da una frettolosa imbalsamazione: per decisione del cardinale Jean Villot, il cadavere del pontefice non viene sottoposto ad autopsia [(33)]. Il 16 ottobre 1978 il conclave elegge papa il cardinale polacco Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II). Nel segno della piena continuità con Paolo VI, Wojtyla non attua alcuno dei cambiamenti decisi da Luciani. Così “Marcinkus, aiutato da Pennini, De Strobel e monsignor De Bonis, continuò a dirigere la Banca vaticana e continuò a far sì che le attività criminali col Banco Ambrosiano prosperassero. Calvi e i suoi maestri della P2, Gelli e Ortolani, furono liberi di continuare nei loro furti e nelle loro frodi con protezione [dello IOR]”. Papa Wojtyla diventerà un estimatore di Marcinkus: nel settembre 1981 lo promuoverà arcivescovo, e gli affiderà l’ulteriore incarico di vicegovernatore dello Stato della Città del Vaticano. All’inizio del 1982, inoltre, Giovanni Paolo II si appresterà a nominare Marcinkus cardinale, ma il presidente dello IOR non avrà l’onore della porpora, proprio a causa degli strascichi 39 giudiziari del più grave scandalo della storia di Santa Romana Chiesa…» (cfr. Guarino M.: «I mercanti del Vaticano. Affari e scandali: l’industria delle anime», Milano, 1998). Il Papa Giovanni Paolo II (1978-2005), che il noto antropologo Alfonso Maria Di Nola (docente di storia delle religioni) ha definito “papa mediocre, di scadente livello intellettuale, incapace di affrontare la gravità dei tempi perché passa da impensate aperture a chiusure ideologiche tipiche della teologia medievale”; ma, come sottolinea Guarino (1998), «…popolarissimo e carismatico grazie ad un’immagine mediatica che ne ha fatto un Pontefice-divo: “È bello, è forte, è un divo, smuove gli istinti di Eros e di Vita, libera la Chiesa da tetraggini, sembra aperto al mondo perché ha una piscina e va a sciare”. Un papa “medievale” ammantato di “modernità”, che in attesa di celebrare “il primo Giubileo dell’era telematica” (parole sue) ha deciso qualcosa che nessun suo predecessore aveva osato: concedere lo stemma del Vaticano per pubblicizzare prodotti commerciali. È accaduto nell’ottobre 1995, dopo l’ultima sua visita negli Stati Uniti. In pratica il papa ha autorizzato alcune aziende ad utilizzare lo stemma pontificio a scopo commerciale. Secondo il quotidiano finanziario Americano “Wall Street Journal”, il mercato USA verrà presto invaso da una serie di oggetti targati Vaticano: magliette, cartoline, gioielli, orologi, gadget d’ogni tipo. La spudorata operazione commerciale, reclamizzata con spot pubblicitari, è curata dall’Archivio Vaticano. Si calcola che il giro d’affari porterà nelle casse dello IOR circa 20 milioni di dollari l’anno [di dieci anni or sono]…» (cfr. Guarino M.: Op. cit., Milano, 1998). Egli protegge spudoratamente lo spregiudicato monsignor Paul Marcinkus «…che per volontà del Santo Padre viene confermato alla presidenza dello IOR. Una decisione inspiegabile [(34)], che suscita sconcerti in Vaticano e polemiche in Italia, ma che riaccende le superstiti speranze di Michele Sindona. […]. Il finanziere […] organizza l’omicidio del liquidatore della Banco Ambrosiano, Giorgio Ambrosoli. L’11 luglio 1981, a Milano, dopo aver testimoniato di fronte agli investigatori americani in merito alla documentazione sindoniana che ha scoperto durante la procedura liquidatoria, Ambrosoli viene fatto assassinare dal killer di “Cosa nostra” William Aricò. […]. Ad agosto Marcinkus convoca Calvi in Vaticano e gli detta le condizioni per un accordo che favorisce lo IOR, ma che il presidente dell’Ambrosiano non può rifiutare. Calvi è costretto a sottoscrivere una lettera di manleva con la quale si addossa tutte le responsabilità per le operazioni passate, presenti e future dell’Ambrosiano, liberando Marcinkus e la banca del papa da ogni possibile addebito; in cambio lo IOR fornisce al presidente del banco Ambrosiano alcune lettere di patronage garantendo le posizioni debitorie di una serie di società estere dell’Ambrosiano. L’accordo-capestro ha un termine: il 30 giugno 1982, data dopo la quale Calvi si impegna a pagare allo IOR una penale di circa 300 milioni di dollari [= a circa 30.000 milioni di euro attuali (2005)], somma che libererà definitivamente lo IOR. In pratica Marcinkus accorda a Calvi dieci mesi di tempo per salvare la situazione dell’Ambrosiano fornendogli documenti utili per tranquillizzare i mercati e per trovare nuovi partner e nuovi capitali; nel frattempo, lo IOR deve essere liberato dal ginepraio debitorio che ha contribuito a creare nelle casse della società dell’Ambrosiano. […]. Il 9 giugno Roberto Calvi si dà alla fuga. Il 17 giugno si svolge l’ultima drammatica riunione del consiglio di amministrazione dell’Ambrosiano […]. Il giorno successivo, 18 giugno, Roberto Calvi viene rinvenuto cadavere a Londra, impiccato sotto il Black Triars Bridge [(35)]. Alla fine del giugno 1982, i commissari insediati al vertice dell’Ambrosiano rilevano come gran parte dei crediti riguardano la costellazione di società estere legate allo IOR; si rivolgono quindi a Marcinkus, invitando la banca del papa a onorare i debiti. Ma il presidente dello IOR è irremovibile: non intende sborsare un soldo. […]. Benché non ritenga di dover onorare i propri impegni debitori esteri, lo IOR subisce un grave nocumento […]. Al punto che deve mobilitarsi in prima persona il Santo Padre. Wojtyla annuncia infatti che il 1983 sarà proclamato Anno Santo straordinario [(36)]: una decisione del tutto estranea ad esigenze spirituali, ma dettata dalla necessità di fare affluire denaro contante [Fig. 7, 8, 9] nelle esangui casse della Santa Sede [tanto da non esitare nel 1991 ― in conformità a quanto sostenuto nel 1986 dall’arcivescovo Paul Marcinkus allorché ebbe a dichiarare in un’intervista che “…non si può governare la Chiesa con le Ave Maria…” (cfr. l’OBSERVER del 25 maggio 1986) ― a ricorrere persino all’illecito riciclaggio di “parte della 40 maxitangente dell’Enimont” (Fig. 10)!]. […]. Grazie al complice avvallo di papa Wojtyla [grato per il trasferimento dei fondi del Banco Ambrosiano in Polonia per sostenere Solidarnosc (Fig. 11)], Marcinkus rimarrà insediato al vertice dello IOR fino al 19 giugno 1989, quando lascerà la guardia della banca papale e l’Italia per ritornarsene nella natìa Chicago. Il 16 aprile 1992 il Tribunale di Milano comminerà pesanti pene detentive per la bancarotta fraudolenta: ma tra i condannati mancherà il nome di monsignor Paul Casimir Marcinkus…» (cfr. Morgan-Witts M., Thomas G.: «Pontiff», Garden City, 1983). Anche il Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) è stato l’ennesimo «…capo di una monarchia assoluta distintasi nei secoli per la sua barbarie. La Chiesa che ha perpetrato e benedetto il massacro di milioni e milioni di uomini e donne torturate, bruciate, uccise in nome della croce [nonostante ciò, Papa Giovanni Paolo II non si è vergognato di esibirsi fra una miriadi di croci, come documentato dalla Fig. 12] non è il ricordo di un passaggio ormai rinnegato, ma ha trovato in Wojtyla un degno epilogo. Karol Wojtyla in 27 anni si è distinto per le sue scelte reazionarie e per la drastica ostracizzazione di numerosi eminenti teologi e sacerdoti dissenzienti alle sue dispotiche direttive (37). Egli è stato responsabile della diffusione dell’AIDS in Africa dove la pubblicizzazione e l’uso dei preservativi avrebbero potuto salvare dalla malattia milioni di persone, fra cui tantissimi bambini [(38)]. Egli ha dato copertura al dittatore, torturatore ed assassino cileno Augusto Pinochet, al quale ha stretto la mano durante un viaggio nel martoriato paese sudamericano, nelle cui carceri vivevano straziati migliaia di oppositori politici. Non una parola per le vittime ma benedizioni per il carnefice e la sua famiglia. Egli ha indossato le vesti della pecora e quella del lupo a seconda degli interessi dell’organizzazione di cui è stato sovrano. […] Egli sostenne e giustificò le guerre che hanno insanguinato la ex Jugoslavia. Con la Croazia cattolica, contro musulmani e ortodossi, il papa dell’“ecumenismo religioso” ha fatto santo Stepinac, il cardinale che a fianco dei fascisti croati si schierò con Hitler, “inviato da Dio” e benedisse le innumerevoli atrocità perpetrate dagli ustascia [nazionalisti croati ribelli-combattenti] con la complicità delle truppe di occupazione italiane. Egli ha protetto e sostenuto il Cardinale Pio Laghi, già Nunzio Apostolico in Argentina ai tempi della dittatura che massacrò 30.000 persone. Pio Laghi benedisse e coprì i torturatori e gli assassini. Egli è stato il capo di una multinazionale con interessi ramificati in tutto il mondo e redditi elevatissimi in un pianeta dove la maggioranza della popolazione sopravvive con meno di due dollari al giorno. Egli, un “paladino della vita” che ha mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti della pena capitale, è stato l’artefice di una cultura di oppressione. Una cultura che vorrebbe la mortificazione della vita delle donne, condannate a partorire ad ogni costo bambini malformati o destinati alla morte per fame. Una cultura che preferisce una vita di dolore ad una vita di gioia e salute, una cultura che criminalizza gli omosessuali, che trasforma il desiderio e l’amore in colpa, che difende chi non è nato e perseguita i vivi. Egli ha santificato i preti spagnoli che si schierarono in armi con le truppe del Cattolico-fascista Francisco Franco. Questi santi martiri volevano rinverdire i fasti della chiesa di Torquemada e dei quemaderos, i “forni collettivi” dove gli eretici erano cotti a fuoco lento…» (cfr. Art. «Sulla morte di Karol Wojtyla», diffuso dalla Commissione di Corrispondenza, F.A.I., 2005). Infine, si devono ricordare gli assassini commessi in Vaticano il 4 maggio 1998. A riguardo Vergès e Brossolet (2002) documentano quanto segue: «…Il 4 maggio del 1998, in Vaticano, vengono trovati i corpi di Cédrtic Tornay e dei coniugi Estermann, nel domicilio di quest’ultimi, situato sotto le finestre degli appartamenti privati del Papa. I tre sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco. Il vicecaporale della Guardia svizzera pontificia Cédrtic Tornay ha la testa attraversata da una pallottola. Non esiste alcun testimone diretto, oculare o acustico, di questi colpi di arma da fuoco che stranamente non sono stati sentiti dalle persone presenti in Vaticano […], la Santa sede, con sollecitudine perlomeno sospetta, proclama la sua versione […]. Cédrtic Tornay avrebbe ucciso i coniugi Estermann per poi suicidarsi. […]. La madre di Cédrtic Tornay, signora Baudat, […] è presa dal dubbio; gli elementi i quali smentiscono che suo figlio sia diventato un assassino prima di sopprimersi si moltiplicano. In Vaticano si tenta di influenzarla, ma invano. Quando lei decide di esprimersi attraverso i media, non si esita ad intimidirla, ma senza risultato. Quando tenterà, a più riprese, di conoscere gli atti dell’inchiesta per verificare la serietà e l’ampiezza delle indagini, si 41 vedrà opporre rifiuti pretestuosi. La giustizia vaticana ritiene che la madre non debba conoscere gli elementi in base ai quali suo figlio viene accusato di un omicidio! Ma la signora Baudat non si è scoraggiata; benché isolata, è riuscita a raccogliere numerose informazioni che rimettono in discussione la tesi ufficiale. Con rimarchevole coraggio ha rifiutato il diktat [=l’imposizione] del vaticano, determinata ad ottenere la riapertura dell’inchiesta. […]. Lo stupore cede il passo all’indignazione. Le istituzioni giudiziarie dello Stato del Vaticano, in pieno accordo con la Santa Sede, hanno operato un puro e semplice sequestro delle circostanze della morte di Cédric. L’intangibile diritto dei congiunti di essere informati nel dettaglio, è stato sostituito dall’obbligo di fede loro richiesto. Il messaggio è stato chiarissimo: saprete solo quello che riterremo di dirvi, variante della nota formula poliziesca “Circolare non c’è niente da vedere” con sovrappiù di manipolazione. […]. Credete nelle nostre affermazioni, pur incoerenti ed autoritarie, senza discutere il segreto del quale ammantiamo le nostre presunte prove! Qualunque sia stato lo svolgimento dei fatti, questa estrema segretezza procedurale suscita nuovo scandalo. […]. Perché non comunicare alla Baudat gli esiti dell’autopsia giudiziaria di suo figlio, se non si teme che possa essere contraddetta? Perché porre sotto sigillo i rilievi tecnici dell’inchiesta […] effettuati subito dopo la scoperta dei corpi? […]. Per consuetudine, ogni richiesta indirizzata al Papa riceve una risposta, sia essa interlocutoria o semplice pro forma. In questo caso, niente più che il silenzio, purtroppo confinante con il disprezzo. A meno che non riveli l’immenso imbarazzo avvertito in Vaticano. Non si prova più compassione per la sofferenza ed il dolore del prossimo? […]. Il silenzio del Santo Padre non lascia alla signora Baudat altra soluzione che rendere pubblica l’istanza. […]. Perché si sono voluti eliminare i coniugi Estermann? Esiste un legame fra il dramma del 4 maggio […] e il caso Orlandi? [….]. Si tratta semplicemente di dimostrare che l’inchiesta vaticana è stata ben lungi dall’essere esaustiva, e che Cédrtic Tornay non solo è innocente del duplice delitto che gli è stato attribuito, ma più ancora è stato anche lui ucciso. […]. Fin dall’inizio della vicenda, la giustizia vaticana ha dato prova di ostruzionismo. Per prima cosa ha rifiutato la costituzione di parte civile della madre di Cédrtic Tornay, poi ha negato la partecipazione dei suoi primi avvocati allo svolgimento dell’inchiesta ed, infine, l’accesso e la trasmissione del dossier, anche dopo la chiusura e l’archiviazione della procedura. Non si può che prendere atto della volontà accanita ed incessante del Vaticano di impedire che possa essere fatta luce su una vicenda, manifestamente sbarrata sotto la pressione della “Ragion di stato”. […]. Consapevole o no, Giovanni Paolo II rimane sovrano e, nel caso specifico, magistrato supremo di uno Stato dove si assassina impunemente la gente, dove la ricerca della verità è condizionata da interessi di regime, dove la giustizia si basa su espedienti e su farse, dove i diritti più elementari della persona non sono che parole, dove le vittime e le loro famiglie non hanno neppure diritto al più elementare rispetto. Che l’apatia di Giovanni Paolo II si basi su una volontà personale o su una decisione presa per lui dal suo enturage, il Santo Padre porta e porterà la responsabilità di un’ingiustizia stridente, tanto più vergognosa in quanto ammantata di uno sprezzante silenzio…» (cfr. Vergès J., Brossollet L.: «Assassini in Vaticano, 4 maggio 1998» Ed. it., Milano, 2002). Si pensi che pontefice Giovanni Paolo II (1978-2005), con ogni evidenza per trarne vantaggi, oltre ad ostentare con grande teatralità, in ogni occasione, atti estremi di recitata umiltà (Fig. 13, 14), ha persino avuto l’ardire di chiedere “perdono” per gli errori commessi dalla Chiesa (Fig. 15) e per tutte le atrocità commesse dal “Cristianesimo Cattolico” in passato, e che impunemente continua a commettere in presente e continuerà a commettere in futuro! Ciò nonostante questo pontefice sarà santificato ad onorem per chiara fama coram populi, proprio da quel popolo ingenuo, abilmente plagiato ed indotto al fanatismo (Fig. 16, 17), da lui continuamente incrementato, con notevoli vantaggi esclusivamente per l’associazione dei santificatori! Sotto il pontificato del papa Giovanni Paolo II (1978-2005) in Italia «… si denuncia da più parti un cedimento sempre più evidente dello stato di fronte al prepotere della chiesa cattolica, rappresentata dal più intollerante, fanatico e reazionario papa degli ultimi tempi, il polacco Karol Wojtyla. Quel che fa paura è che anche i classici politici ed intellettuali laici mostrano uno strano, malsano e infondato rispetto per tale persona e per i suoi cortigiani anche nei casi di pesanti intromissioni di costui in faccende che non sono di sua competenza. Egli può certo parlare ai cattolici e chiedere 42 loro quel che vuole, ma non può pretendere, come fa, che lo stato accetti le sue visioni “morali” e le trasformi in leggi. Perché fare questo significa perpetrare un atto assoluto di prepotenza, molto duro e violento […]. Lo stato dovrebbe rivendicare per sé una dignità e un’autorità che non è mai inferiore a nessuna chiesa e a nessun papa, di cui deve respingere con fermezza ogni minima ingerenza. Non si capiscono quindi tutti questi toni […] da conniventi malfattori che si nascondono nell’oscurità. […]. E non si capiscono tutti gli sbavamenti dei media televisivi nazionali ― pagati da tutti i 60 milioni o giù di lì di italiani ― intorno a questo papa. Un esempio: “Week end di sangue sulle strade italiane”. Commento alla TV: “Anche il papa, durante l’angelus domenicale, ha raccomandato la prudenza nelle strade”. Caspita, che acume! Chi ci poteva arrivare se non un ispirato direttamente dallo spirito santo! Non c’è telegiornale che non parli del papa, ogni passo che muove è mostrato, ogni parola che dice è riportata. Bisogna riconoscere che questo polacco e la sua corte hanno grandi doti di recitazione e di presenzialismo. Vengono confezionate e trasmesse fictions, che colano di raccontato buonismo, su preti, su suore, su Lourdes […] [ma basti pensare che la RAI trasmette, e con scrupolosa regolarità, soltanto le funzioni della religione cattolica (in diretto collegamento con la Radio Vaticana) e nessuna funzione di ogni altra religione! Si pensi che nella “Santa” “messa” (in c…, cioè in casa), trasmessa regolarmente ogni domenica dalla TV di stato, la parola “signore” (39) ricorre in media ben settanta volte!]. […]. E così abbiamo un paese allo sbando, nelle mani di politici veterocattolici che hanno le labbra deformate a furia di baciare mani papali […]. Gli italiani, perfettamente educati dalla chiesa cattolica, amano i potenti e i vincenti, anche se disonesti, piuttosto che i perdenti, anche se giusti. […]. Karol Wojtyla, il papa cattolico più oscurantista degli ultimi decenni, in un suo recente viaggio nel Sinai, al monastero di santa Caterina, ha detto (20-02-2000): “Il mondo non ha futuro senza i Dieci Comandamenti”. Bastano queste parole per far capire come funziona il cervello di un prete: questi è una persona che riduce la fede […] in una sorta di contratto commerciale, in un do ut des, dove l’uomo per avere qualcosa da Dio (come la vita eterna […] o il perdono delle colpe, o più possibilmente una vita terrena prospera e felice) deve dargli qualcosa in cambio, pena la punizione…» (cfr. Il Viandante: «Qualche considerazione» di un lettore anonimo incaricato dell’Editore, poste alla fine del Tomo I dell’Ed. it. ― Ariele, Milano, 2000 ― di Deschner K.: «Kriminalgeschichte des Christentums» Band I, Reinbek bei Hamburg, 1986). Il Papa Benedetto XVI (2005), Joseph Ratzinger, nominato fin dal 25 novembre 1981 prefetto della “Congregazione per la dottrina della fede” (ex “Sant’Uffizio” ossia l’antica “Santa Inquisizione”), è stato candidato alla successione di Giovanni Paolo II (1978-2005) soprattutto per opera dell’inarrestabile congregazione reazionaria “Opus Dei” (in Vaticano definita “Santa Piovra”!). A dimostrare la mentalità “dispotico-dittatoriale” del pontefice Benedetto XVI (2005) basta ricordare quanto segue: «…A metà marzo 1986, braccio destro del papa, privò padre Charles E. Curan della licenza d’insegnamento. […]. L’affermazione di Ratzinger secondo cui Curran “non possiede assolutamente i requisiti” per insegnare in un Istituto Cattolico era un altro colpo d’avvertimento sparato per i pensatori di spirito indipendente. Ratzinger ha, inoltre, messo agli atti che i Cattolici leali debbono obbedire non soltanto ad un determinato precetto, ma anche all’intera dottrina magistrale così com’è espressa dal papa. […]. I vescovi non possono essere indipendenti o, in parole povere, che i vescovi ed i teologi possono mettersi al servizio della verità soltanto obbedendo al papa. Tacitamente il dissenso leale, per il Vaticano, come per il Cremlino è una contraddizione in termini. […]. Più di una volta Ratzinger ed il Generale dei Gesuiti di Roma dissero a Sweeney di bruciare gli esiti delle sue ricerche o di lasciare l’Ordine. Sweeney, Gesuita da ventiquattro anni, ritenne che la sua unica possibilità fosse quella di andarsene. Come avrebbe potuto bruciare la verità? Quel tipo di obbedienza, affermo, “non è consona alla dignità umana”. È difficile capire perché un eminente Gesuita debba essere costretto a lasciare l’Ordine non in conseguenza di una devianza morale o dottrinale, ma per avere reso pubbliche le opinioni di alcuni vescovi che hanno risposto liberamente alle sue domande. Il papa sembra terrorizzato all’idea che qualcuno sappia cosa pensano veramente i vescovi, cioè i suoi vescovi. È questa l’immagine che viene in mente: il papa considera i suoi vescovi come i suoi impiegati. Qualsiasi possa essere la loro 43 opinione non devono comunicarla, ed egli solo parla per conto della Chiesa…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). Il teologo dissidente Hans Kung, prima di essere silurato da Ratzinger, fece appena in tempo a dichiarare “Per Ratzinger, oggi esiste al mondo un unico buon teologo: Joseph Ratzinger. È l’orgoglio dell’uomo di potere che del potere si è impossessato” ed a dire che l’“Opus Dei” consiste in “un’organizzazione segreta, un’istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformisti”, tanto è vero che un ex-affiliato dell’organizzazione asserisce quanto segue: “Non vi sono dubbi che l’obbiettivo dell’ ‘Opus dei’ è di conquistare il potere politico, bancario, militare. Il sogno, la cospirazione machiavellica che muove gli uomini dell’ Opus è di entrare in tutti i gangli vitali della vita del Paese, per condizionarli. […]. L’Opus è come una droga e fa anche male alla salute mentale. Ci sono molti che hanno perduto la salute psichica vivendo dentro l’Opus. Ho conosciuto personalmente due casi di persone che hanno avuto gravissime crisi psichiche”. Il 22 febbraio 1996 da Ratzinger, con altri eminenti personaggi della curia, fu fatta firmare al Papa Giovanni Paolo II la Costituzione Apostolica “Universi Dominaci Graegis” che stabilisce per i futuri conclavi l’annullamento del quorum dei due/terzi dei votanti alla trentaquattresima votazione per favorire il principio della “semplice maggioranza” allo scopo di far prevalere i voti dei numerosi cardinali appartenenti all’“Opus dei”, fatto che ha garantito l’elezione a pontefice di Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) (40). Infine, la riprovevole mentalità dell’attuale pontefice Benedetto XVI, tipica dei capi delle peggiori cosche mafiose, è rivelata da una sua lettera, scritta nel 2001 quando era Cardinale, con la quale ordina ai Vescovi di tutto il mondo, pena la scomunica, il diniego a collaborare alle inchieste giudiziarie sui preti pedofili (41), già distrattamente scotomizzate dal suo predecessore Giovanni Paolo II (Fig. 18). Imponeva di mantenere il segreto e di archiviare in silenzio i relativi rilievi scaturiti dalle loro investigazioni, nonostante i numerosi episodi di sacerdoti pedofili fossero rivelate dai giornali di tutti i paesi. In tal modo «… Il Vaticano cercava di arginare l’inchiesta sul potentissimo Marciel Degallado, messicano, fondatore dei “Legionari di Cristo”, accusato di pedofilia dai suoi ex allievi. Il processo si era aperto in Texas nel 1997. Pubblico persino al riscontro di testimonianze, come quella di Padre Juan, ex seminarista di Degallado: “Quante volte mi svegliava nel cuore della notte ed abusava della mia innocenza. Notti di paura, notti di assoluto terrore”. Ratzinger scrisse (con perfetto rigore) che “casi del genere sono soggetti al segreto pontificio”. Scrisse che si sarebbe dovuto aspettare la maggiore età delle vittime e poi altri 10 anni prima di rivelare le accuse. Raccomandava cautela. Minacciava scomuniche. Secondo l’avvocato texano Daniel Shea, si trattava di indicazioni così perentorie da “costituire un intralcio alla giustizia”, reato che la giustizia americana considera assai grave. L’intera storia, non ancora conclusa e continua negli sviluppi, è venuta a galla in questi giorni sui i giornali britannici. Accresciuta in ragione degli eventi e dei protagonisti. Ratzinger è diventato Papa. I “Legionari di Cristo” hanno moltiplicato il loro potere insidiando persino quello dell’“Opus Dei”. La pedofilia dentro la Chiesa è un problema rimosso. Il danno si perpetua. Eppure sui devoti fogli italiani nulla di nulla (ad eccezione dell’Unità). Nonostante lo spazio, e l’attenzione per certi versi maniacale…» (cfr Art. nella Rivista “Vanity Fair”, p. 24, n. 18, 12 maggio 2005). Nel 2005 Ratzinger, a seguito delle sue disposizioni imponenti la copertura dei reati di pedofilia commessi dal clero, è stato incriminato da una Corte Distrettuale del Texas per“connivenza di reato” ed “ostacolo alle indagini”. Tuttavia, essendo nel frattempo il cardinale Ratzinger divenuto papa Benedetto XVI, il Ministero della Giustizia degli Stati Uniti ha decretato, in data 26 settembre 2005, l’archiviazione della relativa pratica, avendo in atto egli diritto all’immunità in quanto “Capo di Stato”! Ma, nel contempo, papa Ratzinger ― come riferisce il Cardinale Tarciso Bertone nel giornale “La Stampa” dell’1 maggio 2005 ― «…Ogni volta che incontrava un gatto, lo salutava e ci parlava anche a lungo. […]. Una volta si è portato dietro fino in Vaticano una decina di felini. Sono dovute intervenire le guardie svizzere…»! 44 NOTE (1) «…Quando Marozia divenne l’amante del Papa Sergio III (904-911) aveva quindici anni, mentre lui ne aveva quarantacinque; gli diede un figlio alla cui carriera si sarebbe dedicata anima e corpo. Sergio morì cinque anni più tardi, dopo un pontificato di sette anni costellato di delitti, intrighi e passioni. Marozia non avrebbe mai dimentico il primo amore; dividere il letto con lui le aveva dato un senso di utilità e un’allegria che non poterono essere cancellate neppure da tre matrimoni e da innumerevoli relazioni. Papa Sergio l’aveva sedotta per la prima volta nel palazzo del Laterano; le loro strade si erano spesso incrociate perché la fanciulla aveva trascorso lì gran parte dell’infanzia, essendo figlia del primo senatore di Roma, ma venne il giorno in cui Sergio si accorse che la bella bambina si era trasformata in una donna stupenda. Marozia dal canto suo non cercava tanto il piacere tra le sue papali braccia quanto l’estasi del potere. Sua madre, Teodora, aveva già fatto e distrutto due papi quando, contravvenendo alla legge cattolica, aveva preso per mano l’amante preferito e da Vescovo di Bologna prima l’aveva fatto diventare Arcivescovo di Ravenna e poi l’aveva condotto fino alla Cattedra di Pietro, come papa Giovanni X. […]. Papa Giovanni X (914-928) fece presente all’amante Teodora che un matrimonio tra Marozia ed Alberico di Tuscolo avrebbe portato beneficio a tutti; Marozia, che sapeva riconoscere una stella nascente, accettò e dall’unione nacque Alberico junior. Alberico senior, incitato dalla moglie [Marozia], tentò di prendere il comando di Roma e restò ucciso. Papa Giovanni X costrinse la giovane vedova [Marozia] a guardare il cadavere mutilato del marito, ma fu un errore perché Marozia era una grande esperta di vendette. Alla morte di Teodora nel 928, Marozia fece imprigionare il pontefice [Giovanni X] ed ordinò che fosse soffocato. […]. I due papi successivi [Leone VI (928) e Stefano VII (828-931)] ebbero un pontificato breve [essendo stati fatti assassinare da Marozia per fare eleggere Papa il proprio figlio avuto dal Papa Sergio III (904-911), nonostante fosse ancora minorenne, che assunse il nome di Giovanni XI]. Ma le ambizioni di Marozia non finirono. Morto il suo secondo marito, Guido, ne sposò il fratellastro, re Ugo di Provenza. Fu una fortuna per Marozia che suo figlio fosse papa; infatti costui dispensò da qualsiasi impedimento la coppia felice, compreso l’incesto. […]. Giovanni XI (931-936 celebrò il matrimonio di sua madre a Roma nella primavera del 932. Poi però tutto andò a rotoli per colpa del secondo figlio di Marozia, l’invidioso Alberico junior che s’impadronì di Roma. Ugo di Provenza abbandonò la moglie e fuggì; Alberico mise agli arresti permanenti il Papa Giovanni XI (931-936), suo fratellastro figlio di un papa, che vi mori quattro anni dopo, e, cosa ancora peggiore, imprigionò sua madre. Non più nel fiore degli anni Marozia fu rinchiusa in Castel Sant’Angelo e rimase in quell’orribile prigione per cinquant’anni, senza mai uscirne. […]. Nella sua cella ricevette la notizia che Alberico era morto a quarant’anni e che il figlio di lui, Ottaviano, si era intrufolato nella Chiesa come papa, prendendo il nome di Giovanni XII (955-964)…» (cfr. De Rosa P.: «Vicars of Christ», London, 1988). (2) È noto, come attesta De Rosa (1988), che i papi sono stati tutti dei provetti “falsari”, tanto che la Roma papalina è stata definita “patria delle truffe”. Infatti, i papi sono stati sempre abilissimi nel produrre e diffondere “documenti falsi”., ma Gregorio VII, come precisa De Rosa (1988), «…andò ben oltre la Donazione di Costantino [notissimo falso]: aveva intorno a sé un’intera scuola di falsari che sfornavano un documento dopo l’altro con il sigillo del papa per soddisfare qualsiasi sua esigenza. I rappresentanti principali della scuola erano Anselmo da Lucca, nipote del pontefice precedente, il cardinale Adeodato e, successivamente, il cardinale Gregorio da Pavia. Ad esempio il Papa aveva bisogno di giustificare un’azione, quei prelati producevano letteralmente il documento appropriato. […]. Molti scritti di epoche anteriori furono ritoccati in modo che dicessero il contrario di quello che dicevano in origine, anche se molti di essi erano già di per sé contraffatti. La scuola di Gregorio trattava tutti i documenti, veri o falsi che fossero, con la stessa imparziale disonestà, anticipando di nove secoli il 1984 di Owell, non in uno stato ateo agli ordini del Grande Fratello, ma nel cuore del Cattolicesimo romano in favore del papa. Questo metodo istantaneo di inventare la storia ebbe un successo fantastico, specialmente perché le falsità venivano inserite immediatamente nella legge canonica. Attraverso innumerevoli sottili mutamenti fecero si che il Cattolicesimo apparisse immutabile, e trasformarono l’ “oggi” nel “fu così e lo sarà sempre” che tutt’ora contraddistingue il Cattolicesimo, nonostante le scoperte della storia. […]. Non avrebbe funzionato in un’era di alfabetizzazione universale, stampa, fotocopie e datazione al carbonio; ma precedette senza intoppi in un’epoca in cui i manoscritti erano rari, gli studiosi inetti e persino certi imperatori non sapevano né leggere né scrivere. […]. Il suo Decretum, o codice di legge canonica, fu il libro più influente mai scritto da un cattolico; era un miscuglio di tre secoli di truffe, delle conclusioni da esse tratte e fantasiose aggiunte dell’autore. Dei 324 brani citati da Graziano come opera di papi vissuti nei primi quattro secoli, solo undici sono autentici.. Tra le aggiunte personali vi era una serie di canoni che trattavano come eretici tutti gli scomunicati; e ciò era allarmante, visto come erano trattati gli eretici a quell’epoca. Infatti, Urbano II, alla fine dell’undicesimo secolo, aveva decretato che dovessero essere torturati ed uccisi. Graziano inventò un modo nuovo per estendere il potere papale. Il papa, dichiarò, guadagnandosi l’approvazione di Roma, è superiore a tutte le leggi e ne è la fonte, senza limitazioni; perciò deve essere posto su un piano di parità con il Figlio di Dio Quest’ipotesi ispirò la Curia, che agiva in nome del papa, ed ogni scribacchino era quindi, in un certo senso, un Dio. […]. San Tommaso afferma che gli eretici dovrebbero essere giustiziati allo stesso modo dei falsari, in quanto non falsificano il denaro, ma qualcosa di ben più prezioso: la fede. Non si chiese quale fosse la punizione più appropriata per i criminali che falsificavano i documenti […], come aveva fatto anche lui. Le falsità di Gregorio VII avevano il vantaggio di essere nello stesso tempo originali e sacrosante, nuove ed antiche. […]. La storia divenne una branca minore della teologia, e tale è rimasta; dopotutto nemmeno la storia può contraddire la verità infallibile [!!]. Di conseguenza negli anni in cui si costituì il Cristianesimo Cattolico Romano, tutte le discussioni vennero soffocate facendo ricorso ad “autorità” fabbricate al momento. Gli sviluppi non si verificarono 45 spontaneamente, ma secondo rigidi schemi prestabiliti […]. Opinioni discusse e talvolta ridicole divennero dogmi inconfutabili, e pareri di parte furono consacrati come insegnamenti cattolici irreversibili e senza tempo. Ma non è cosa da poco fabbricare la Storia. Appena eletto Gregorio VII si mise in moto per attuare numerose riforme. In primo luogo, per assicurarsi che le proprietà della Chiesa non passassero mai di mano, tentò di eliminare la “fornicazione” universale, cioè il matrimonio degli ecclesiastici. […]. Egli decretò che se i sacerdoti non si fossero adeguati, sarebbero stati sospesi ed i laici non avrebbero potuto accettati da loro alcun sacramento. […]. L’effetto di questa legislazione fu di “creare migliaia di virtuali prostitute tra le mogli innocenti di piccoli sacerdoti confusi ed adirati”. “Quando furono separate in gran numero dai mariti per opera di Gregorio VII, molte mogli di sacerdoti, indifese, distrutte dal dolore e con il cuore spezzato, decisero di abbreviare quell’agonia con il suicidio”. […]. Se Gregorio VII avesse messo in pratica la minaccia di sospendere i sacerdoti intemperanti, avrebbe praticamente cancellato il Cattolicesimo, ma non si sa se questa sia o meno una fortuna, la sua campagna non ebbe successo duraturo. Riuscì infatti a far rispettare il celibato, ma non la castità; comunque, attraverso il celibato, istituzionalizzò il sistema di apartheid da sempre vigente nel Cattolicesimo, in cui gli ecclesiastici, che godono di diritti, sono separati dai laici che non ne hanno alcuno. Curiosamente furono più numerosi i laici che si separarono dalle mogli, forse maggiormente colpiti dagli ideali ascetici di Gregorio VII. I sacerdoti, dopo breve tregua, continuarono a comportarsi come se ciò che facevano a letto fosse solo affare loro…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). (3) Cfr. Ecker W.P., Ehrlich E.L.: «Judenhaβ – Schuld Christen?», München, 1964. (4) Cfr.Heer F.: «Kreuzzüge – gestern, Heute, morgen?». Frankfurt, 1969. (5) Cfr. Wollschläger H.: «Die bewaffneten Wallfahrten gen Jerusalem», Hamburg,1970. (6) Cfr Zöllner. W.: «Geschichte der Kreuzzüge», Hanburg, 1990. (7) Cfr. Kupisc K.: «Kirchengeschihte», Berlin, 1973. (8) Il Papa Bonifacio VIII (1294-1303) non ha esitato a dichiarare che «…la religione cristiana era opera dell’uomo a pari della fede degli ebrei o dei musulmani, che la vergine Maria, avendo partorito, non poteva essere stata vergine più della sua stessa madre quando aveva messo al mondo lui, che era stupido credere che un solo dio fosse anche trino, che le persone le quali si inginocchiavano dinanzi all’ostia erano “asini” e “bestie”, che i morti non sarebbero risorti più del suo cavallo crepato due giorni prima, che non ci sarebbe stata una fine del mondo, che solo per gli uomini la morte significava la fine del mondo…» (cfr. Davidsohn R.: «Gerchichte von Florenz», Berlin, 1896) ed, in altra occasione, ebbe a dire quanto segue: «…Io dò importanza alla vita di un altro quanto ne posso dare ad un fagiolo. Gli uomini hanno un’anima del tutto uguale a quella delle bestie. Il vangelo insegna più menzogne che erità; il parto di una vergine è assurdo; l’incarnazione del figlio di Dio è ridicola; il dogma della transustanziazione è una pazia. Le quantità di denaro che la favola di cristo ha apportato ai preti è incalcolabile. Le religioni sono state inventate dagli ambiziosi per ingannare gli uomini. […]. L’abbandonarsi ai piaceri sessuali con una bambina o con un ragazzo è un atto da considerarsi privo di peccato come stropicciarsi le due mani insieme. Il nostro solo scopo è quello di vendere nelle chiese tutto cio che gli idioti vogliono…» (cfr. G. Villani [storico fiorentino (1276-1348)]: «Cronica», editore Baccio Valori, Firenze, 1587). (9) Il termine “Giubileo” deriva dall’arcaico sostantivo ebraico “yôbhel” che significava “montone” ed in senso traslato “corno di montone”, poiché mediante il suono del corno di montone, presso gli antichi Ebrei, si annunciava solennemente l’inizio del periodico anno in cui si rimettevano i debiti, si condonavano le pene, ecc. (10) M. Jan Hus, rettore dell’Università di Praga, il quale, pochi giorni prima della sua esecuzione sul rogo, avvenuta il 6 luglio 1415, in una lettera inviata ai suoi amici di Costanza il 25 giugno 1414, scritta nella cella del Convento dei Carmelitani Scalzi di Costanza dove era tenuto prigioniero dalla “Santa Inquisizione” , riferisce quanto segue: «…Un teologo mi disse che tutto mi sarebbe concesso senza difficoltà se soltanto mi sottomettessi alla volontà del Concilio. E aggiunse: se il Concilio proclamasse che tu hai un occhio solo, anche se ne hai due, sarebbe tuo dovere riconoscere col Concilio che è così. Io gli risposi: anche se il mondo intero lo sostenesse, non potrei ammetterlo senza contrastare la mia coscienza, dato che avrei l’intelletto come ce l’ho ora…» (cfr. il testo latino della suddetta lettera, pubblicata nel 1920, in «Korespondence a dokumenty; Spisuv M Jana Husi č. 9, vydal Václav Novotný», Praze, 1920). (11) Cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988. (12) Solo nelle prime due settimane di annotazione nel predetto diario la parola “oro” ricorre ben settantacinque volte! Cristoforo Colombo ordinò agli indigeni di portargli un ingente quantità di “oro” e, se non l’avessero procurato entro un breve periodo di tempo stabilito, i suoi uomini li avrebbero atrocemente mutilati tagliando loro le mani! A coloro che scapparono verso le montagne, come documentato dallo storico Morison (1961), «…fu data la caccia con i cani, e tra quelli che riuscirono a fuggire, la morte per fame e malattia richiese un pesante tributo in vite umane, mentre migliaia delle povere creature in preda alla disperazione assunsero veleno di manioca per porre fine alle proprie miserie [causategli dai “conquistadores” cattolici]. […]. Di circa 300.000 indigeni, nel solo biennio 1494-1496 ne venne ucciso un terzo ed, alla fine del 1508, ne erano rimasti vivi solo 60.000…» (cfr. Morison S.E.: «Admiral of the Ocean Sea. A life of Christopher Columbus», Princeton University Press, New, Jersey, 1961). Le atrocità raccapriccianti che i cattolici spagnoli, sbarcati nel nuovo continente, infersero agli indigeni sono state minuziosamente descritte dal diretto testimone Bartolomé De Las Casas (1472-1566) che alla descrizione premise la seguente significativa considerazione: «…in tutto l’infinito universo dell’umanità, questa gente è la più innocente, la più sprovvista di vizio e falsità […]. Giunsero gli spagnoli, che si comportarono immediatamente come bestie fameliche […] il motivo delle loro stragi e distruzioni […] è che i cristiani hanno un solo obiettivo finale, che è quello di acquisire oro. […]…». Quindi, in sintesi, riferisce che vide i cattolicissimi spagnoli accoltellare gli indigeni per puro divertimento e che maciullavano le teste dei bambini 46 sbattendoli sulle rocce oppure li lanciavano ai cani affamati per farli divorare o li gettavano vivi nella folta giungla lasciandoli morire [senza che il Dio della loro fede, “infinitamente misericordioso e giusto” lo impedisse!], che se gli adulti opponevano resistenza erano afferrati ed uccisi con “lance, picchi, balestre e fucili”, fatti sbranare dai cani inferociti e calpestare dai cavalli, se toccavano per caso i loro oggetti ― non conoscendo il concetto di proprietà privata, tanto che concedevano liberamente a chiunque ciò che possedevano ― venivano o decapitati o bruciati vivi sul rogo! Inoltre, gli indigeni venivano costretti al lavoro forzato nelle miniere e nei campi incuranti della diffusione di molte malattie (tifo, difterite, vaiolo, tubercolosi, sifilide, ecc.), dalle quali non erano immuni, che li portavano rapidamente a morire; molti bambini morivano anche perché le madri, sfiancate dall’eccessivo lavoro impostogli ed affamate non producevano più latte: detto autore ebbe a constatare che ben 7.000 bambini morirono in appena tre mesi nella sola isola di Cuba (cfr. De Las Casas B.: «Brevissima Relacion de la Destruycion de las Indias», Se ville, 1552)! (13) Di tale tariffario si riportano, per esempio, solo quattro dei ben trentadue articoli: Art. 1 “L’ecclesiastico che incorresse in peccato carnale, sia con suore, sia con cugine, nipoti o figliocce, sia, infine, con un’altra qualsiasi donna, sarà assolto, mediante il pagamento di 67 libbre [il termine “libbra” in senso monetario era usato come sinonimo del termine “lira” ed il potere d’acquisto di 1 lira dell’epoca equivaleva al potere d’acquisto di circa 50.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 25,82 euro] e 12 soldi [pertanto, 67 libbre e 12 soldi (= 60 centesimi di libbra o lira) equivalevano al potere d’acquisto di circa 3.380.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 1.745,62 euro]”, Art. 2 “Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione, chiedesse di essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre e 15 soldi [= al potere di acquisto di circa 10.988.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 5.674,83 euro]. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie [si noti come i bambini sono comparati alle bestie!] e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre e 15 soldi [= al potere d’acquisto di circa 6.550.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 3.402,42 euro]”, Art. 3 “Il sacerdote che deflorasse una vergine, pagherà 2 libbre e 8 soldi [= al potere d’acquisto di circa 115.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 59,39 euro]”, […], Art.12 “Chi affogasse suo figlio, pagherà 17 libbre e 15 soldi [= al potere d’acquisto di circa 888.000 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 4.586,61 euro] e se ad uccidere fossero il padre e la madre di comune accordo, pagheranno 27 libbre e 1 soldo[= al potere d’acquisto di circa 1.352.500 lire attuali (anno 2003) corrispondenti a 698,51 euro] per l’assoluzione”, ecc. Si noti come la lunga lista inizia proprio con gli articoli riguardanti le colpe di cui più frequentemente si macchiavano gli “ecclesiastici” dell’epoca. (14) Il filosofo Tommaso Campanella (1568-1639) durante i suoi vari processi fu più volte atrocemente torturato come egli stesso diffusamente racconta: «…essendo stato fino adesso già chiuso in cinquanta carceri, e con durissimo tormento esaminato. E l’ultimo durò quarantott’ore, legato con funi strettissime che sempre mi segavano l’ossa, pendendo per le mani avvinte dietro, sopra un acutissimo legno, il quale nelle parti direttane mi divorò la sesta parte della carne, e la terra bevve dieci libbre del mio sangue, e finalmente risanato dopo sei mesi […] mi posero, come Geremia, in luogo bassissimo, ove non è né luce né aria, ma fetore ed umidità, e notte e freddo perpetuo…»(cfr. Campanella T.: «Atheismus triunphatus Seu reductio ad religionem per scientiarum veritates», Roma, 1636). (15) A riguardo, si pensi che il Papa Giovanni Paolo II (1978-2005), nonostante abbia sfacciatamente “chiesto perdono” per queste stragi disumane, ha disposto di tenere sotto controllo le tendenze religiose non cattoliche della popolazione della Valtellina tramite la cosiddetta “Missione Rezia”, affidata ai Frati Cappuccini della “Propaganda Fide”! (16) Tanto che, come precisa Rendina (1983), «…Suo fratello, don Mario, ottenne le cariche più redditizie, dalla sovrintendenza dell’Annona all’amministrazione della giustizia in borgo. Il nipote Flavio, dopo il noviziato presso i gesuiti, divenne cardinale ed affianco Giulio Rospigliosi nella Segreteria di Stato, badando essenzialmente ad accaparrare rendite ecclesiastiche che in breve raggiunsero i 100.000 scudi [il valore di 100.000 scudi d’oro dell’epoca (anno 1650) corrispondono al valore di circa 15.000.000 di Euro attuali (anno 2005). Un altro nipote, Agostino fuscello invece per iniziare la famiglia principesca dei Chigi; rimasto laicale, da castellano di Castel S. Angelo ricevette via via splendidi possedimenti, come Ariccia ed il palazzo di famiglia in Piazza Colonna, e si sposò con Maria Virginia Borghese. E così Alessandro VII, una volta fattasi prendere la mano dal nepotismo, non riuscì più a trattenersi, estendendo i suoi favori anche a lontani parenti, come ad esempio quel commentatore Antonio Bichi che ebbe la porpora cardinalizia. Fu una vera e propria scalata di ricchezza…» (cfr. Rendina C.: Op. cit., Roma, 1983). (17) Come precisa Rendina (1983) «…il fratello fu nominato generale della Chiesa ed il nipote Pietro, appena diciottenne, ebbe la porpora cardinalizia. Per quest’ultimo Pasquino disse: “Pietro spogliò Pietro, per vestire Pietro”. Infatti, questo cardinale aveva impiantato un tenore di vita così alto che non gli bastavano mai i soldi; tra il gioco e le feste che organizzava da gran mecenate, bussava continuamente quattrini allo zio, che non glieli negava. Alessandro VIII sembrava che avesse fretta di arricchire i parenti; data l’età avanzata, temeva di morire prima di averli accontentati. E così era solito ripetere loro, incitandoli ad arraffare; “Affrettiamo al possibile, perché sono sonate le 23 ore!”[…]; così Marco, figlio di un altro fratello del papa, per quanto gobbo e zoppo, si ritrovò sovrintendente delle galere pontificie, nonché duca di Fiano e sposato con Tarquinia Colonna, pronipote del cardinale Altieri…» (cfr. Rendina C.: Op. cit., Roma, 1983). (18) Riguardo le tristi cronache delle prime “missioni” basta ricordare la seguente: «…Alcuni cristiani incontrarono un’indiana, che teneva in braccio un bambino a cui dava il latte; e poiché il cane che li accompagnava aveva fame, strapparono il bambino dalle braccia della madre e lo gettarono vivo in pasto al cane, che lo fece a pezzi sotto gli occhi della donna […], se i neonati si mettevano a piangere, li prendevano per le gambe e li sbattevano contro le rocce o li gettavano fra gli sterpi perché finissero di morire [forse neppure i più crudeli dei nazisti arrivarono a tanto! Ed i 47 cristiani di oggi si preoccupano degli embrioni lasciati morire in provetta e dei feti fatti morire con gli aborti!!!]…» (cfr. Todorov T., Baudot G.: «Racconti atzechi della conquista», Ed. it., Einaudi, Torino, 1988) (19) Cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). (20) Il neologismo “modernismo”, sorto nell’ambito letterario verso la fine del XIX secolo, si è subito riversato inevitabilmente nel contesto religioso, stabilizzandosi come lessico ecclesiastico (cfr.Ranchetti M.: «Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo», Einaudi, Torino, 1963; Scoppola P.: «Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia», Il Mulino, Bologna, 1969; Bedeschi L.: «Interpretazioni e sviluppo del modernismo», Bombiani, Milano, 1975; Boland A.: «La drise moderniste hier et aujourd’hui», Beauchesne, Paris, 1980; ecc.), sostanzialmente, per designare l’esordiente critica rinnovatrice riguardo la natura dei “dogmi” imposti dalla Chiesa Cattolica. Il “modernismo” fu aspramente attaccato dal Papa Pio X (1903-1914) che con l’enciclica “Lamentabili”, stilata nel luglio del 1907, rasenta il “delirio di persecuzione” in quanto vi afferma che «…Questi “Modernisti” non credono nella rivelazione, né in Dio, né nella Chiesa come istituzione divina. Costituiscono un’organizzazione molto solida e si nascondono ovunque: nella filosofia, nella teologia, negli studi biblici, nella politica […], si celano nel seno della Chiesa con l’unico scopo di distruggerla diffondendo la loro miscredenza…» (cfr. De Rosa P.: Op. cit., London, 1988). (21) Sotto il ponteficato di Pio IX (1848-1878) le pene capitali erano eseguite nei modi più svariati che andavano dal taglio della testa mediante la scure, allo squartamento, al mazzolamento, all’impiccaggione, ecc. Al servizio del papa Pio IX (1848-1878) vi fu il famoso boia Giambattista Bugatti, soprannominato “Mastro Titta”, il quale nella sua lunga carriera uccise ben 517 condannati! (22) Cfr. Roth C.: «History of the Jews in Italy», Filadelfia, 1941. (23) Cfr. Castelli G.: «Il Vaticano nei tentacoli del fascismo», Roma, 1946. D’altra parte, le ostentate manifestazioni filofasciste di Pio XI hanno suscitato persino la produzione di un’infinità di vignette di cui se ne riportano alcune (Fig. 2, 3, 4, 5). (24) Cfr. Gramsci A.: «Le Vatican», Corréspondence Internazionale, IV, 179, 523, 1924. (25) Cfr. Rossi E.: «Pagine anticlericali», Roma, 1966. (26) Cfr. Spinosa A.: «Le persecuzioni razziali in Italia», Il Ponte, 8, 1079, 1952. (27) Cfr. Rossi E.: «Il manganello e l’aspersorio», Milano, 1958. (28) Papa Pio XII, che era appassionato per le battute di caccia, specie quelle al cinghiale, nel periodo in cui era “Nunzio Apostolico”, prese persino «…lezioni nella scuderia d’un generale suo amico, nella Foresta dei Cinghiali…» (cfr. Nassi E.: «Pio XII», Milano, 1992). (29) Cfr. Tosches N.: «Il mistero Sindona», Milano, 1986. (30) Cfr Flamigini S.: «Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2», Milano, 1996. (31) Tra cui, «…un investimento da parte dello IOR [la Banca Vaticana] nel Casinò di Montecarlo, nelll’acquisto di azioni dell’industria delle armi da fuoco Beretta, nei titoli di un’industria canadese produttrice di contraccettivi orali…» (cfr. Morgan-Witts M.,Thomas G.: «Pontiff», Garden City, 1983). (32) Ma, non tanto misteriosa se si pensa quanto alcuni giorni prima è accaduto in Vaticano allo sfortunato metropolita Nikodim arcivescovo di Leningrado (quarantanovenne, vigoroso ed in piena salute) per essersi recato in Vaticano a colloquio con papa Luciani: «…Al metropolita sono stati concessi quindici minuti per parlare privatamente al papa dei problemi relativi al culto religioso in Russia. […]. Mentre avvengono le presentazioni entra suor Vincenza con un vassoio su cui sono disposte delle tazze per il caffè. […]. Per un momento parla all’ospite, poi versa il caffè in due tazze. Giovanni Paolo I offre al metropolita panna e zucchero […]. Nikodim beve un sorso dalla sua tazza. Giovanni Paolo I sta per fare la stessa cosa quando si ferma trasalendo. Uno sguardo affranto appare sul volto di Nikodim. La tazza ed il piattino gli cadono dalle mani. Il piattino si frantuma sulla scrivania; dalla tazza cade il caffè che si sparge sul tappeto […]. Nikodim stringe le mani al petto, emette un suono soffocato e poi si rovescia all’indietro, crollando al suolo. Il papa prende il telefono bianco e chiama Lorenzi dicendo di convocare subito un dottore. […]. Buzzonetti arriva subito dopo. Il dottore si inginocchia vicino al corpo, ascolta i battiti del cuore, cerca il polso. Poi si alza scuotendo il capo. […]. Giovanni Paolo I guarda il corpo. Il cadavere è ancora caldo quando comincia a circolare una voce: Nikodim è la vittima sbagliata di un avvelenamento; ha bevuto un caffè mortale che in realtà era destinato al papa…» (cfr. Morgan-Witts M., Gordon.T.: Op. cit., Garden City, 1983). (33) Dalle indagini di David Yallop il Papa Giovanni Paolo I (1978) risulta essere stato assassinato per avvelenamento su mandato dell’alta gerarchia vaticana (cfr. Yallop D.: «In God’s name», London, 1984). (34) La risposta a riguardo si ritrova documentata nel dossier dal titolo «All’ombra del Papa infermo» ― pubblicato da “Discepoli di Verità”, Milano, 2001 ― come segue: «…In vaticano la enigmatica inamovibilità di monsignor Marcinkus dalla presidenza dello IOR trova spiegazione in relazione ai fatti di Polonia: i finanziamenti papali a Solidarnosc. “il supporto finanziario all’organizzazione clandestina dei lavoratori polacchi [Solidarnosc] era davvero considerevole. I flussi di denaro confluivano a Varsavia attraverso lo IOR e, più concretamente, attraverso l’istituto finanziario che faceva da alleato laico per eccellenza della banca vaticana e di Macinkus: il Banco Ambrosiano …». (35) Dalle dichiarazioni di alcuni noti “collaboratori di giustizia” (Tommaso Buscetta, Marino Mannoia e Francesco Di Carlo) si è poi saputo che Calvi fu fatto assassinare per ordine di “Cosa nostra” poiché non aveva protetto i capitali della mafia depositati per riciclaggio presso il Banco Ambrosiano. A riguardo, il figlio di Calvi ha reso pubblica una lettera del padre inviata a Giovanni Paolo II (1978-2005) in cui si legge quanto segue: «…Sono stato io […] che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell’Est [alludendo, in particolare, a Solidarnosc (Polonia) che ha sconfitto il 48 “comunismo” con i finanziamenti di papa Giovanni Paolo II (1978-2005) mediante i fondi dello IOR] […] allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste. E sono io, infine, che oggi vengo tradito e abbandonato…» (cfr. Pinotti F.: «Poteri forti», Milano 2005). (36) L’“Anno Santo” ordinario, escogitato fin dall’origine dalla Chiesa Cattolica per trarre i vantaggi derivanti dal consequenziale incremento economico (cfr. Liggio F.: Art. III. LA STRATEGIA CRIMINALE ADOTTATA DALL’EFFERATO POTERE CLERICALE PER IMPEDIRE L’ESTINZIONE DEL CRISTANESIMO), era previsto per l’anno 2000, in cui è stato puntualmente celebrato, ritenendo quello del 1983 come supplementare! (37) Fra le numerose personalità ingiustamente perseguitate si ricordano le seguenti. Il teologo Paul Collins è stato obbligato a lasciare il sacerdozio per la sua opinione critica sull’infallibilità del papa e sullo strapotere della gerarchia vaticana; al teologo Charles Curran è stata tolta la cattedra di “Teologia Morale” dell’università Cattolica di Washington per le sue idee sulla sessualità non conformi alla dottrina cattolica; al sacerdote psicoterapeuta Eugen Drewermann è stato tolto l’insegnamento presso la cattedra di “Teologia e Storia delle Religioni” dell’Università Di paterbon; il teologo Josef Imbach è stato inquisito per aver messo in dubbio i “miracoli” del Nuovo Testamento in una sua pubblicazione; Il teologo Hans küng è stato deposto alla cattedra di “Teologia” per aver messo in dubbio il dogma dell’infallibilita ella Chiesa cattolica; il teologo Edward Chillebeeckx è stato inquisito per le sue opinioni favorevoli al divorzio; il teologo Marciano Vidal è stato inquisito e costretto a ritrattare le sue opinioni sulla contraccezione, l’aborto e la fecondazione artificiale; ecc. (cfr. Cardia C.: «Karol Wojtyla. Vittoria e tramonto», Roma, 1994; Gentiloni F.: «Karol Wojtyla. Nel segno della contraddizione», Milano, 1996; Sandri L.: «L’ultimo papa re. Wojtyla, breve storia di un pontificato controverso», Roma 1996; ecc.) (38) A riguardo Eisler (1995) ha ben evidenziato quanto segue: «…sebbene sia ampiamente noto che l’unica protezione efficace contro la trasmissione dell’AIDS […] è l’uso del preservativo […] il papa [Giovanni Paolo II] ed i leader religiosi continuano a fare una pressione enorme sui governi nazionali e sulle organizzazioni internazionali affinché neghino alla gente l’educazione sessuale e l’accesso alle tecniche contracettive. La cosa forse più traumatizzante è che in occasione della sua visita in Africa nel 1993, epoca in cui già era ben noto che milioni di donne e uomini di quel continente erano contagiati dall’HIV ed interi villaggi cominciavano ad essere decimati dal flagello dell’AIDS, il papa [Giovanni Paolo II] ad ogni tappa del suo viaggio predicò che la contracezione è peccato. In Uganda, dove nonostante un individuo su otto sia contagiato dall’HIV i vescovi […] hanno strenuamente lottato contro i tentativi del governo […] tesi a promuovere l’uso del preservativo, papa Giovanni Paolo II disse a migliaia di giovani che “la castità [drastica procedura antifisiologica (cfr. Liggio F.: «Funzione primaria e funzioni secondarie dell'erotismo e della reazione orgasmica nella specie umana», Riv. Sessuol., 22, 61, 1998)] è l’unico modo certo e sicuro per porre fine al tragico flagello dell’AIDS” [!!]. È impossibile valutare il terribile carico di sofferenza e di vite umane prodotto dall’opposizione religiosa all’unico modo realistico per fermare l’epidemia dell’AIDS. In Africa, dove già nel 1990 dal 20 al 30 per cento delle donne incinte […] erano contagiate e dove la trasmissione eterosessuale è la principale causa del diffondersi del virus, un numero incalcolabile di donne, comprese quelle sposate contagiate dai mariti, ha partorito bambini contagiati. Se il papa [Giovanni Paolo II] ed altri leader religiosi avessero invece fatto pressioni sulle autorità governative affinché educassero la popolazione alla contraccezione e mettessero a disposizione di tutti i preservativi, molti di questi bambini (e molte donne e molti uomini), ora destinati ad una morte dolorosissima, si sarebbero salvati. Inoltre, se tanti leader religiosi di tutto il mondo la smettessero di parlare dell’AIDS come una sorta di castigo divino per la dilagante immoralità sessuale, forse non assisteremmo all’orribile trattamento riservato alle vittime dell’AIDS che la stampa internazionale riporta […]. [Parimenti], gli uomini che guidano le potenti gerarchie religiose del mondo non aprono bocca a proposito del sesso violento ed indifferente, neanche quando si arriva a limiti estremi con la mutilazione dei genitali e lo stupro. Invece di far pressione sui leader mondiali affinché addossino agli uomini tutta la responsabilità dello stupro, sprecano le loro notevoli risorse cercando di proibire a donne e uomini “peccati” quali la contraccezione e l’aborto. E la risposta di papa Giovanni Paolo II agli stupri di massa delle donne in Bosnia non fu quella di sostenere quanti oggi operano affinché gli stupri di massa siano alfine riconosciuti come crimini di guerra: la sua risposta fu quella di pregare affinché le donne violentate non ricorressero all’aborto. […], a causa della mancanza di un’adeguata pianificazione familiare, ogni anno novanta milioni di individui vengono ad aumentare la popolazione del mondo […]. Questa crescita esponenziale della popolazione già ha ampiamente contribuito alla distruzione di foreste e terre coltivate, all’annientamento di molte specie e all’inquinamento dell’aria e dell’acqua. La sovrappopolazione è anche causa di guerre civili e di guerre di conquista. Inoltre, nelle regioni industrializzate più opulente, anche una crescita moderata della popolazione, accompagnata dagli alti tassi di consumo, minaccia le risorse limitate del mondo. Mentre, nelle regioni più sovrappopolate del pianeta ogni giorno migliaia di bambini, ed anche di donne e uomini, muoiono lentamente di consunzione […]. Pertanto, secondo qualsiasi standard umano e razionale, fare il possibile per ridurre fortemente il tasso delle nascite dovrebbe essere una priorità morale assoluta per tutti i leader laici e religiosi del mondo intero, in particolare perché i tassi di mortalità infantile, e delle puerpere, sono i più alti proprio in quelle zone in cui le donne sono costrette dalla mancanza della contraccezione […] a partorire bambini che non riceveranno cure adeguate. Tuttavia, invece di promuovere energicamente le tecnologie per un controllo sicuro ed efficace delle nascite e l’educazione sessuale, per la maggior parte degli uomini a capo delle potenti gerarchie religiose mondiali tendenzialmente vi si oppongono attivamente […]. Sebbene […] la Chiesa dovrebbe approvare l’uso dei preservativi per evitare il diffondersi dell’AIDS, il vescovo Raymond Boland della Conferenza nazionale dei vescovi cattolici di recente ha ancora insistito sul fatto che la presa di posizione della Chiesa contro la contraccezione deriva dai Vangeli, 49 sebbene nei Vangeli non si trovi assolutamente nulla in proposito. […], nonostante il fatto che, sebbene importanti dichiarazioni ufficiali della Chiesa cattolica parlino della necessità di una più giusta ridistribuzione delle ricchezze, il Vaticano non si sogna neanche di ridistribuire le sue enormi ricchezze [cfr. Pallemberg C.: «I segreti del Vaticano», Milano, 1959; Grilli G.: «Le finanze vaticane in Italia», Roma, 1961; ecc.] e neppure di sostenere attivamente coloro che in molti paesi cattolici lottano proprio in favore di ciò, come testimoniano ex sacerdoti che a questa lotta prendono parte. Inoltre, sebbene gli esperti affermano che l’unico modo vero […] per ridurre l’aumento della popolazione consiste nell’emancipare le donne, nell’educare le donne e nel consentire alle donne di fare altre scelte al di là della maternità, potenti capi religiosi come il papa non sono mai intervenuti a sostegno dell’eguaglianza per le donne. Al contrario, il Vaticano continua a considerare contracezione e femminismo due mali intrecciati tra loro. Di conseguenza, assieme ad organizzatissimi gruppi di protestanti fondamentalisti, negli Stati Uniti la Chiesa cattolica ha lavorato con grande lena per bloccare non soltanto il finanziamento per la pianificazione famigliare ma anche tutti i tentativi per migliorare lo status delle donne (si pensi soltanto alla dichiarazione del papa nel 1994 in cui afferma che il sacerdozio per le donne non può neanche essere oggetto di discussione) [a riguardo, come riferisce Palermo (1998), uno dei maggiori storici contemporanei (Jacques Le Goff) non esita a rimproverare al pontificato di Giovanni Paolo II proprio «…di non aver saputo rinnovare la Chiesa su alcune tematiche come il femminismo e la sessualità…» (cfr. Palermo C.: «Il Papa nel mirino», Roma, 1998)]. Queste pressioni antifemministe e pro natalità hanno avuto una tale riuscita che nel 1985 il governo americano smise di versare il suo contributo al Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite, un’organizzazione che fornisce assistenza sanitaria alle famiglie bisognose nei paesi in via di sviluppo. […]. Tutto ciò fu promosso da persone cui le autorità religiose hanno assicurato che così si agisce a favore della vita. Ma in perfetta armonia con l’enfasi data dalle religioni della dominanza non alla vita su questa Terra ma in un qualche remoto aldilà, l’unica vita di cui molti leader del movimento contro la pianificazione famigliare sembrano occuparsi, fino ad esserne ossessionati, è la vita prima della nascita e dopo la morte. Alcuni studi dimostrano che quei politici statunitensi che si unirono agli antiabortisti furono in genere gli stessi che si opposero al controllo delle armi e si schierarono a favore dell’aiuto militare ai Contras, mentre nel contempo votavano a favore di tagli all’assistenza sanitaria, all’istruzione e all’assistenza sociale, compresi i pasti a scuola per i bambini svantaggiati mostrando così la più spietata indifferenza nei confronti della vita umana, ovviamente del bambino già nato. […]. Ma, come scrive la teologa femminista Rosemary Radford Ruether, l’unico modo vero per ridurre drasticamente il numero degli aborti sta nel “migliorare le circostanze che mettono le donne in situazione di gravidanza non voluta e non accettata”. […], in paesi in cui l’aborto è illegale, compresi i paesi cattolici dell’America Latina, gli aborti non sono cessati e sono invece una delle principali cause degli altissimi tassi di mortalità femminile. […]. Tutto ciò è messo drammaticamente in luce da quanto accadde nel 1992 al Summit sulla Terra di Rio de Janeiro. In questa riunione di leader mondiali venuti a discutere come prevenire la degradazione irreversibile dell’ambiente e la miseria di tanta parte del mondo. Il Vaticano riuscì brillantemente a far deragliare una raccomandazione a favore dello sviluppo di contraccettivi sicuri e ad annacquare notevolmente tutti i riferimenti alla necessità della pianificazione famigliare. Parecchi furono i motivi che determinarono il successo del Vaticano nel suo pesare a favore di qualsiasi seria considerazione dell'importanza della sovrappopolazione quale fattore di devastazione ambientale. […]. Ma c'era un filo comune nella coalizione che il Vaticano riuscì a mettere insieme per spingere il suo ordine del giorno sull’antipianificazione famigliare: nella coalizione rientravano non soltanto molti paesi cattolici ma anche molte nazioni islamiche che col Vaticano condividono una forte opposizione a qualsiasi cambiamento reale dei ruoli “tradizionali” delle donne. E ancora questo stesso filo permise, durante la Conferenza sulla Popolazione e lo Sviluppo tenuta dalle Nazioni Unite al Cairo nel 1994, la formazione di alleanze che, immancabilmente sotto la maschera della “morale”, sviarono l’attenzione dalle sofferenze delle donne e dei bambini di tutto il mondo derivati da un’inadeguata pianificazione famigliare e fecero dimenticare il fatto che, come sottolinea Population Communication International, esiste un collegamento diretto tra ogni singolo problema sociale, economico ed ecologico e la crescita astronomica della popolazione mondiale. […]. Sicuramente papa Giovanni Paolo II non è l’unico uomo di potere ad usare vocaboli altisonanti come morale o patriottismo per giustificare le politiche pro natalità. […]. Nel caso del papa, si dice che uno dei fattori sia la paura di ammettere l’erroneità di un insegnamento religioso perché ciò significa insidiare l’autorità, il che a quanto pare spiega come mai ci sono voluti secoli prima che la Chiesa ammettesse quanto tutti da tempo sapevano, cioè che era stato un errore negare la validità delle scoperte di Galileo Galilei. Un altro motivo del persistere del partito della natalità indiscriminata, anche di fronte alla crisi mondiale, è che più numerosi sono gli individui che un dato leader (laico o religioso) controlla e più egli ha potere, specie se è in grado di imporre quel che la gente deve o non deve pensare e fare senza essere ritenuto responsabile delle conseguenze. E questa continua tuttora ad essere la situazione per molti capi religiosi del mondo, che ancora si basano sullo stesso diritto divino all’autorità morale che da tempo nelle società democratiche è stato rifiutato quale base dell’autorità politica. […], come può esistere una morale giusta in un sistema in cui l’unica responsabilità è a senso unico e si sposta in senso verticale dal basso verso l’alto? Eppure questo è l’unico tipo di moralità adatto ad un’organizzazione sociale della dominanza, dove chi sta “sopra” non è mai responsabile nei confronti di chi sta “sotto”, si tratti della moglie o dei figli di un uomo (ed in altri tempi di schiavi), o dei “sudditi” o del “gregge” del regno temporale o spirituale di un uomo. […] questa moralità della dominanza, con il suo doppio standard per chi detiene il potere e chi no, è ancora ben presente tra noi, e come una delle sue principali funzioni sia quella d’inculcare, in coloro che non detengono il potere, che per loro è morale soltanto conformarsi e persino collaborare con chi li domina. Nei rapporti politici, questa “moralità” fin troppo spesso è servita a giustificare la violenza contro coloro che si ribellano ad un’autorità brutale, e ci è riuscita così bene che i soldati ed i poliziotti incaricati di distribuire questa 50 violenza spesso sono stati reclutati per l’appunto nei gruppi che reclamano una maggiore responsabilità politica. Nei rapporti economici spesso ha una funzione simile, come quando sia la Chiesa e sia lo Stato giustificano la violenza di quanti sono economicamente potenti e dei loro agenti (anche in questo caso spesso provenienti dai gruppi economicamente sfruttati) contro coloro che lottano per una maggiore eguaglianza economica, e contro qualsiasi tentativo di cambiare lo status quo economico accollando una maggiore responsabilità a quanti detengono il potere…» (cfr. Eisler.R.: «Sacred Pleasure», New York, 1995). Inoltre, per una ancora più approfondita documentazione a riguardo, cfr. Liggio F.: Art. VI. L’INVADENTE CANCRO DELLE RELIGIONI E LE SUE MICIDIALI METASTASI ed Art. XX. LE DELETERIE CONSEGUENZE DELLA POLITICA DI PAPA GIOVANNI PAOLO II. (39) L’alienante ripetizione stereotipata (in semeiotica psichiatrica le “stereotipie” costituiscono uno dei sintomi di grave psicosi), fino all’ossessione, della parola “signore” è stata attuata per condizionare i “poveri di spirito” alla rispettosa sottomissione al detentore del potere (sia “celeste” che “terrestre”) il quale deve mantenerli “buoni”, “docili, “contenti” e “sottomessi”. Infatti, il termine aramaico “Adonaj”, che letteralmente significa “Padrone” (giustamente tradotto in greco con il termine “Kuvrio"” = “Padrone” ed in latino con il termine “Dominus” = “Padrone”), si trova, dal medioevo in poi mistificativamente tradotto con il termine “Signore” che, invece deriva da “senior” (=“il più vecchio”) comparativo del sostantivo latino “senex” (“il vecchio”) ― corrispondente al termine aramaico “baal” con cui si soleva indicare il capofamiglia ― falsando, così, l'idea della suprema onnipotente divinità che aveva ogni israelita. Tale mistificazione è stata necessaria, da parte dei gestori dell’ormai costituito “cattolicesimo”, per attenuare il significato negativo ed, addirittura odioso, che la parola “padrone” suscitava all’incente numero di schiavi e di contadini che si ribellavano in co (40) Cfr Art. in “Plebe” del 20 aprile 2005. (41) Per una più approfondita documentazione riguardo il notevole riscontro di pedofilia nel clero cattolico cfr. Liggio F.: Art. XIV. L’ABNORME FREQUENZA DI “PEDOFILIA” ED “OMOSESSUALITÀ” NEL CLERO CATTOLICO. 51