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CONOSCERLI, PER AIUTARLI

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CONOSCERLI, PER AIUTARLI
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I - N U M E RO 1 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
febbraio 2008
Italia Caritas
HOMELESS: ANNI SENZA POLITICHE, QUALCOSA SI MUOVE?
CONOSCERLI, PER AIUTARLI
VIAGGIO AL SUD LA CALABRIA, TERRA PERSA? «NO, È COSA NOSTRA»
HAITI IL CONFINE COLABRODO SULL’ISOLA DIVISA IN DUE
BOSNIA UN PAESE CHE NON FUNZIONA, LABIRINTO SENZA USCITA?
sommario
ANNO XLI NUMERO 1
IN COPERTINA
Organismo Pastorale della Cei
via Aurelia, 796
00165 Roma
www.caritasitaliana.it
email:
[email protected]
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I - N U M E RO 1 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
febbraio 2008
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
Un uomo senza dimora
alla stazione Termini di Roma.
Da anni in Italia
le politiche di contrasto
della grave emarginazione sono
carenti. Ora sta per partire
una ricerca per mettere
a fuoco il fenomeno
foto Romano Siciliani
Mensile della Caritas Italiana
Italia Caritas
Italia Caritas
direttore
Vittorio Nozza
direttore responsabile
Ferruccio Ferrante
HOMELESS: ANNI SENZA POLITICHE, QUALCOSA SI MUOVE?
CONOSCERLI, PER AIUTARLI
coordinatore di redazione
VIAGGIO AL SUD LA CALABRIA, TERRA PERSA? «NO, È COSA NOSTRA»
HAITI IL CONFINE COLABRODO SULL’ISOLA DIVISA IN DUE
BOSNIA UN PAESE CHE NON FUNZIONA, LABIRINTO SENZA USCITA?
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,
Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, Renato
Marinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,
Giancarlo Perego, Domenico Rosati
editoriale di Vittorio Nozza
3
progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
5
stampa
Omnimedia
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)
Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408
6
sede legale
nazionale
via Aurelia, 796 - 00165 Roma
DI FREDDO NON SI DEVE MORIRE, CHI PENSA AI SENZA DIMORA?
di Paolo Brivio, Raffaele Gnocchi e Paolo Pezzana
database di Walter Nanni
CALABRIA, TERRA PERSA? «NO, È COSA NOSTRA»
di Paolo Brivio
LA POLITICA RIMANE INDIETRO, MA C’È CHI CERCA VIE DI SVILUPPO
di Giacomo Panizza
dall’altro mondo di Luca Di Sciullo
QUOTE A PORTATA DI CLICK: DEGLI IRREGOLARI COSA SARÀ?
di Oliviero Forti
contrappunto di Domenico Rosati
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panoramacaritas SERVIZIO CIVILE, ROMANIA, KENYA
progetti DIRITTO ALLA SALUTE
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redazione
tel. 06 66177226-503
offerte
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[email protected]
tel. 06 66177205-249-287-505
inserimenti e modifiche nominativi
richiesta copie arretrate
[email protected]
tel. 06 66177202
spedizione
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in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
art.1 comma 2 DCB - Roma
Autorizzazione numero 12478
del 26/11/1968 Tribunale di Roma
Chiuso in redazione il 18/1/2008
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AVVISO AI LETTORI
Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.
internazionale
IL CONFINE COLABRODO SULL’ISOLA DIVISA IN DUE
di Paolo Beccegato foto di Ana Becares
casa comune di Gianni Borsa
LA BOSNIA NON FUNZIONA, LABIRINTO SENZA USCITA?
servizi e foto di Daniele Bombardi
guerre alla finestra di Giovanni Sartor
SIDR E I SUOI FRATELLI. «SIAMO UN PAESE A RISCHIO»
di Alberto Chiara foto di Nino Leto
contrappunto di Alberto Bobbio
agenda territori
villaggio globale
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Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:
●
Versamento su c/c postale n. 347013
●
Bonifico una tantum o permanente a:
- Intesa Sanpaolo, piazzale Gregorio VII, Roma
Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707
- UniCredit Banca, piazzale dell’Industria 46, Roma
Iban: IT02 Y032 2303 2000 0000 5369 992
- Allianz Bank, via San Claudio 82, Roma
Iban: IT26 F035 8903 2003 0157 0306 097
- Banca Popolare Etica, via N. Tommaseo 7, Padova
Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113
●
Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 66177001
Cartasì anche on line, sul sito
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)
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incontri di servizio di Elisa Teja
LA MALINCONIA DI MATILDE CHE RACCONTA PER CONDIVIDERE
La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può
trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di
organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.
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di Vittorio Nozza
PARI OPPORTUNITÀ,
“CURA” CONTRO LA POVERTÀ
Paolo Brivio
in redazione
PARI OPPORTUNITÀ, “CURA” CONTRO LA POVERTÀ
parola e parole di Giovanni Nicolini
FEMMINILE CENTRALE, L’UMANITÀ HA SETE DEL SIGNORE
paese caritas di Giorgio Quici
ANIMARE UN TERRITORIO, LA GIUSTIZIA NASCE DAI RIFIUTI
editoriale
5 PER MILLE
Per destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primo
dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi
e indicare il codice fiscale 80102590587
Nel mondo i veri confini sono tra i poveri e i ricchi (Kofi Annan)
na buona notizia di “pari opportunità”, nell’Anno europeo dedicato a questo tema. È nato l’Istituto nazionale
per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp).
Persone impoverite e immigrati sono i protagonisti, troppo
spesso trascurati dalle istituzioni, cui vuole rivolgersi questa
nuova struttura, che eredita l’esperienza consolidata di un ambulatorio per migranti nello storico ospedale San Gallicano
tratta di persone, con storie, malattie, angosce, sogni, progetti ed emozioni protagonisti di centinaia di
migliaia di incontri di umanità e
prossimità con un gruppo di professionisti del diritto alla salute, medici, infermieri, psicologi, assistenti
sociali, mediatori culturali, sociologi, impiegati, addetti alle pulizie.
Tutti contribuiscono, pur nella diversità delle funzioni, ad accogliere
persone fragili e vulnerabili, per cerdi Roma, specializzato nell’assistencare di capirle e di curarle con il riza a fasce deboli della popolazione.
Inaugurato a Roma
spetto che si deve a ogni creatura
«Da oltre venticinque anni la mia
un Istituto contro
umana, considerando le diverse
esperienza di lavoro si svolge nell’Ile malattie legate
istanze culturali e religiose di cui
stituto dermosifilopatico Santa Maa indigenza e migrazioni.
ognuno è portatore. È un’avventura
ria e San Gallicano. All’inizio ero coUn segnale incoraggiante,
affascinante, incredibile e umanastretto a visitare nella camera mornell’Anno europeo
mente straordinaria e drammatica.
tuaria, luogo “non luogo” per ecceldedicato alle pari
Come non lasciarsi provocare e solenza, fuori dall’orario di servizio, i
opportunità: anche chi
praffare da sofferenze di proporziopazienti immigrati irregolari, quindi
sta ai margini, è cittadino
ni antiche, da dolori indicibili e racprivi di documenti che ne “attestascontati in lingue sconosciute, con le
sero l’esistenza” – ha raccontato il
portatore di diritti
mani, gli occhi, le lacrime, le urla, la
giorno dell’inaugurazione dell’Inmp,
pelle, ma sempre profondi, così
mercoledì 9 gennaio, il suo direttore
Aldo Morrone –. La scelta di accogliere decine e decine di profondi da non scorgerne mai la fine?
migliaia di persone, provenienti da più di 150 paesi del
È ormai accertata l’esistenza di un indubbio rapmondo, cercando di prendercene cura e di curare le loro porto tra fenomeni complessi: la crescita della povertà
malattie, psichiche o fisiche che fossero, è stata sempre in molti paesi (non solo i cosiddetti “in via di svilupmolto contrastata e considerata extraistituzionale». Ep- po”), l’espansione delle migrazioni nel mondo, il livello
pure si tratta di persone che sono “in regola” con le leggi di salute di una popolazione. Si tratta di relazioni che
dell’universo. Sono zingari e nomadi, anziani pensionati interrogano la capacità dei sistemi sanitari di affrontaa reddito minimo, donne vittime della tratta a scopo di re le sfide che nascono da mutamenti profondi, di porsfruttamento, senza dimora, minori non accompagnati, tata globale. Nel contesto italiano, caratterizzato dalla
richiedenti asilo politico e vittime di tortura.
persistenza di una diffusa povertà economica (7,5 milioni di persone povere, il 12,9% della popolazione, ovSofferenze, provocazioni
vero 2,6 milioni di famiglie, l’11,1% delle famiglie resiAl San Gallicano c’è il privilegio di incontrare persone denti) e da una crescita esponenziale, negli ultimi anni,
straordinarie, soprattutto in un momento particolare dell’immigrazione (i residenti in Italia sono ormai 2,9
della loro vita, fatto di sofferenza, paura e solitudine. Si milioni), il nuovo Istituto vuole essere una risposta for-
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FEBBRAIO 2008
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editoriale
parola e parole
di Giovanni Nicolini
te e diretta della politica, delle istituzioni e del non profit. Obiettivo finale della nuova struttura è creare una
rete di collaborazioni a livello regionale in tutta Italia:
oltre alla regione Lazio, già coinvolta, insieme al ministero della salute, anche Sicilia e Puglia hanno aderito
al progetto, creando a loro volta un centro regionale di
riferimento. Le strutture socio-sanitarie regionali dovrebbero sorgere in stretta integrazione con i servizi
territoriali, le Asl, i centri di ricerca scientifica e le associazioni del terzo settore locali, e dovrebbero venire incontro alle esigenze sanitarie fornendo visite specialistiche e informazioni aggiornate per la prevenzione
delle malattie più comuni nelle regioni tropicali, le patologie della povertà, i disagi fisici tipici delle persone a
rischio di esclusione sociale e degli immigrati, in un’ottica di inclusione e integrazione.
Il destinatario degli interventi è, infatti, un individuocittadino, lavoratore o non, che si trova, per il suo essere
transitoriamente in condizione di bisogno, in uno stato
psico-fisico e sociale da cui un paese evoluto deve garantirgli di potersi sottrarre. È un’esperienza interdisciplinare, che non risponde solo ai bisogni ma che li anticipa, perseguendo l’eccellenza nella prevenzione, la diagnosi, l’assistenza, la ricerca e la formazione riguardo alle malattie prevalenti in persone povere e immigrate.
Malattia trasmissibile
Giunta all’inizio del 2008, questa è una buona notizia di
“pari opportunità”. L’Italia, con questa scelta, adotta,
entro la sua sanità pubblica, un modello virtuoso di attenzione alle persone in stato di estrema povertà. Lun-
gi dal ghettizzarle in un circuito sanitario parallelo, le si
riconosce come persone a tutti gli effetti, con pari dignità e diritti entro il sistema sanitario nazionale. È una
buona notizia di “pari opportunità”, perché la sperimentazione, partendo e valorizzando un’esperienza
storica e consolidata come quella del San Gallicano,
guarda lontano, coinvolgendo nel progetto da subito
altre regioni, soprattutto del sud, e mantenendo significative relazioni con l’Europa e l’Organizzazione mondiale della sanità. È l’ottica giusta, per non creare ulteriori divisioni o dimenticanze nel paese e impostare il
contrasto alla grave emarginazione entro la prospettiva
globale, che meglio può permettere di coglierne la
complessità.
È una buona notizia di “pari opportunità”, anche
perché l’impegno dello stato italiano, che potrà dare
luogo a una buona prassi di eccellenza a livello internazionale, è stato assunto mediante l’autorevole pronunciamento di due ministri e, soprattutto, alla presenza,
non simbolica, della massima autorità dello stato, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Ed è una
buona notizia di “pari opportunità”, infine, perché
l’avvio di tale servizio sembra collocarsi dentro i primi
segnali della volontà di costruire, in Italia, una politica
organica di contrasto della povertà. Tale politica non
potrà che essere frutto di piena integrazione fra strumenti sociali e sanitari, fra azione dei soggetti pubblici e
del privato sociale. Solo così si potrà arrivare a contrastare quella povertà che, come ha affermato lo stesso
professor Morrone, «non è una malattia infettiva, ma di
certo è una malattia trasmissibile».
‘‘
Integrando politiche e azioni, dobbiamo
contrastare la povertà, che non è una malattia infettiva
ma certamente è una malattia trasmissibile
’’
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I TA L I A C A R I TA S
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FEBBRAIO 2008
FEMMINILE CENTRALE,
L’UMANITÀ HA SETE DEL SIGNORE
«Signore – gli disse la donna – dammi di quest’acqua, perché‚ non abbia più sete
e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Giovanni 4, 1-26)
trappo qualche pensierino dalla meraviglia dell’incontro nuziale
tra Gesù e la Donna di Samaria. Ma vorrei dire semplicemente “la
Donna”. Grande predilezione di Gesù verso di loro, le nostre donne. Le nostre madri, le nostre spose, le nostre sorelle, le nostre figlie. Memorie privilegiate di incontri e dialoghi di Gesù con le donne: da Nazaret a Cana, dalla Visitazione alla Croce del Quarto Vangelo, dalla peccatrice del settimo capitolo di Luca a Maria di Betania e al suo contestato
profumo... fino a qui, al pozzo della stanchezza e della sete di Dio.
S
Per Gesù, il Settimo, lo Sposo vero
da sempre, è ormai vicina quell’ora
delle Nozze nel suo Sangue che sembrava lontana a Cana, dove il vino
nelle giare si poneva come primo segno delle grandi nozze d’amore della
fine. Qui, al pozzo, nella stanchezza
di quell’ora sesta che lo porterà sulla
Croce, facendosi mendicante della
donna – «Dammi da bere!» – Gesù
vince le sue ultime resistenze e la porta alla trepidante domanda circa un
fidanzamento nuovo e insperato:
«Che sia forse il Messia?».
D’altronde, questo è il grande progetto che da sempre accompagna la
Al pozzo di Samaria Gesù
storia dell’umanità. Creatura amata
incontra “la Donna”.
e perduta. Sposa amata e perduta,
E in lei la Sposa amata,
da ritrovare, da sanare, da trarre a Sè.
Apostola degli Apostoli
perduta, ritrovata
È la grande ricerca che Dio fa dell’uCon un anticipo sulla mattina degli
e sanata: l’umanità.
manità: un po’ diversa da quella che
angeli e delle donne, prima che la
Il potere maschile
i filosofi una volta pensavano fosse
Maddalena si faccia “apostola” degli
rischia sempre
la ricerca che l’uomo fa di Dio. Oggi
Apostoli per invitarli a uscire dalla lodi farsi imperversante.
neppure i filosofi Lo cercano. D’altra
ro paura con la Buona Notizia del RiLa potenza della Madre
parte sant’Agostino, che di queste
sorto, la Samaritana si fa grembo delcose se ne intendeva, diceva che
la fede per i suoi eretici concittadini,
genera la fede nell’umiltà
non lo potremmo cercare, se Lui
che sulla di lei parola credono in Lui.
non ci avesse già trovati!
Diversamente da un potere maLa Donna di Samaria mi conferma di questa centra- schile che rischia sempre di farsi imperversante e perenlità del “femminile” nel cuore di Dio. E rappresenta con ne, la potenza della Madre sa ritrarsi nell’umiltà di un
efficacia drammatica le resistenze, i sospetti e insieme compito di fecondità che riconosce il suo compimento
la sete, prima nascosta, ma alla fine prepotente, che la nella fede ormai matura dei figli: «Non è più sulla tua panostra povera umanità ha del suo Signore. Nessuno dei rola che noi crediamo…». Poco dopo, dalla Croce, al Dicinque mariti, più l’attuale sesto che non è suo marito, scepolo amato, Gesù consegnerà la Madre dicendogli:
hanno saputo onorare e avvolgere la sua femminilità in- «Ecco la tua Madre». Da quel momento, il Discepolo amaquieta, costretta a farsi aggressiva per difendersi, ripara- to la prenderà con sè, Sposa e Madre, umanità nuova.
ta dietro alla misera autosufficienza di una brocca per
La Samaritana, come da lontano, presagisce. E
attingere, ma in realtà desiderosa di trovare alla fine una preannuncia la grazia di Dio per la nostra inquieta umafonte zampillante. Anzi, di diventare fonte zampillante, nità. Dice ancora Agostino: “Signore, ci hai fatti per Te. E
finalmente libera di esprimere tutta la fecondità esube- il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”. Buon
rante del suo femminile sponsale e materno.
viaggio verso Pasqua.
I TA L I A C A R I TA S
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FEBBRAIO 2008
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paese caritas
di Giorgio Quici
direttore Caritas Caserta
ANIMARE UN TERRITORIO,
LA GIUSTIZIA NASCE DAI RIFIUTI
I
luogo, cerchiamo di “abitare” in modo
responsabile e consapevole la realtà
nella quale siamo immersi, a partire
dalla capacità di osservare, ascoltare e
discernere in modo critico (consapevole) ciò che ci circonda, cominciando dalla dimensione planetaria (custodia del creato) per approdare alla
realtà sociale di quartiere, suggerendo
riflessioni su come determinati stili di
vita abbiano un impatto significativo
negli equilibri ambientali anche locali, oltre che nelle disuguaglianze tra
Nord e Sud del mondo.
che ruotano intorno ai riti che scandiscono i tempi dell’anno liturgico,
Nel casertano
alle attività ordinarie legate alle catevi
sono
molte emergenze
chesi, alle iniziative di aggregazione
legali
e
sociali.
Ma spesso
nel territorio e ad attività caritative
Denunciare, costruire
l’azione e la sensibilità
essenzialmente di tipo assistenziale.
Accanto al lavoro di animazione parpastorale scorrono
Ma nelle quali c’e, in buona sostanza,
rocchiale, un problema ci interpella
sui binari della normalità.
scarsa attenzione (conoscenza) dei
con particolare urgenza: l’emergenza
bisogni presenti nel territorio.
rifiuti. Il suo manifestarsi, in questi
Fino a che un’emergenza
Così l’esperienza di lavoro che ci
anni (ben prima dell’ultima clamoronon ha fatto riscoprire
caratterizza cerca di coniugare la
sa crisi di dicembre e gennaio), ha foril ruolo autentico
proposizione di una spiritualità Canito l’occasione per cominciare a diadell’azione Caritas…
ritas con l’esigenza di dare risposte
logare con varie realtà impegnate in
concrete ai casi di bisogno che
ambito sociale. La Caritas diocesana
l’emergenza quotidianamente sottopone. Evitando, ha riscoperto il suo ruolo animatore, che non si sostituisce
pertanto, di limitarsi a un mero spiritualismo di manie- all’impegno delle singole realtà sociali, ma incoraggia, prora o, al contrario, di scivolare verso forme di iper-effi- muove e favorisce iniziative volte alla denuncia di abusi e
cientismo che oscurano il rapporto con l’altro. Nel no- alla proposta costruttiva di soluzioni legali ai problemi.
stro lavoro prevediamo diversi livelli di approccio, sotCon numerose associazioni ambientaliste, da metolineando con forza l’importanza delle competenze, il si condividiamo lo sforzo di recuperare una situaziolavoro di équipe, il concetto di rete.
ne di legalità, attraverso manifestazioni e la sensibilizCentrale, nell’impulso all’animazione pastorale che zazione delle parrocchie. Abbiamo dato vita a numecerchiamo di realizzare nelle parrocchie, è il recupero del- rose iniziative di protesta e denuncia, che hanno visto
la dimensione teologica della carità, propellente essenzia- impegnato in prima linea il nostro vescovo, seguito da
le per ricominciare (come insegna lo statuto Caritas) a diverse comunità parrocchiali. Dopo alcuni successi
“scorgere Cristo nel volto dell’altro, soprattutto nel volto di degli ultimi mesi, sul piano giudiziario, resta ora la
coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi, perché parte più difficile: lavorare in rete, per favorire un senella persona dei poveri c’è una sua presenza speciale, che rio recupero della coscienza civica, nel rispetto delimpone alla Chiesa un’opzione preferenziale”. In secondo l’ambiente e della legalità.
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I TA L I A C A R I TA S
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FEBBRAIO 2008
Italia Caritas
le notizie che contano
un anno con Italia Caritas
Nel 2004 abbiamo cambiato veste.
Da allora abbiamo migliorato sempre.
Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.
Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.
Storie che raccontano l’Italia e il mondo.
Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I - N U M E RO 1 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
febbraio 2008
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
l territorio casertano è animato da improvvisi sussulti di impegno civile, che intervallano lunghe pause di inerzia e una certa indifferenza
alle emergenze ricorrenti, dalla microcriminalità allo smaltimento dei
rifiuti. A tutto ciò vanno ad aggiungersi patologie socio-economiche sempre più diffuse: la precarietà del lavoro, perché flessibile e sempre meno tutelato; le fragilità economiche (nuove povertà); il massiccio fenomeno migratorio, particolarmente avvertito. Però anche nel casertano la vita nelle
parrocchie, nella maggior parte dei casi, scorre su binari di “normalità”,
Italia Caritas
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HOMELESS: ANNI SENZA POLITICHE, QUALCOSA SI MUOVE?
CONOSCERLI, PER AIUTARLI
VIAGGIO AL SUD LA CALABRIA, TERRA PERSA? «NO, È COSA NOSTRA»
HAITI IL CONFINE COLABRODO SULL’ISOLA DIVISA IN DUE
BOSNIA UN PAESE CHE NON FUNZIONA, LABIRINTO SENZA USCITA?
Occasione 2008
ABBONAMENTO CUMULATIVO CON VALORI
È un mensile di economia sociale e finanza etica
promosso da Banca Etica.
Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro. Per fruire dell’offerta
• versamento su c/c postale n. 28027324
intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica,
via Copernico 1, 20125 Milano
• bonifico bancario: c/c n. 108836
intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica
presso Banca Popolare Etica - Abi 05018 - Cab 12100 - Cin A
Indicare la causale “Valori + Italia Caritas”
e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91
L E G G I L A S O L I DA R I E T À , S C E G L I I TA L I A CA R I TA S
Per ricevere il nuovo Italia Caritas per un anno
occorre versare un contributo alle spese
di realizzazione, che ammonti ad almeno
15 euro. A partire dalla data di ricevimento
del contributo (causale ITALIA CARITAS)
sarà inviata un’annualità del mensile.
Per contribuire
• Versamento su c/c postale n. 347013
• Bonifico una tantum o permanente a:
- Banca Intesa Sanpaolo
piazzale Gregorio VII, Roma
Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707
- UniCredit Banca
piazzale dell'Industria 46, Roma
Iban: IT02 Y032 2303 2000 0000 5369 992
- Allianz Bank
via San Claudio 82, Roma
Iban: IT26 F035 8903 2003 0157 0306 097
- Banca Popolare Etica,
via N. Tommaseo 7, Padova
Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113
• Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06.66.17.70.01
(orario d’ufficio)
Cartasì anche on-line, sui siti
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)
www.cartasi.it (Solidarietà)
Per informazioni
Caritas Italiana, via Aurelia 796, 00165 Roma
tel 06.66.17.70.01 - fax 06.66.17.76.02
e-mail [email protected]
nazionale
grave emarginazione
Quasi un decennio, in Italia,
senza indagare né combattere
un fenomeno in crescita.
Ora qualcosa si muove:
governo, Istat, Fio.psd
e Caritas varano una ricerca
inedita. E il parlamento
deve approvare il primo
nucleo di un Fondo
anti-povertà
QUANTI SONO?
In Italia, negli ultimi anni,
il fenomeno senza dimora
è stato sottovalutato
al punto, che si è persino
omesso di indagare
le sue reali dimensioni
di Paolo Brivio
Briciole, di buon auspicio
uante sono le persone senza dimora? Quali sono i loro profili biografici, sociali, culturali? Come “utilizzano” il territorio? Quanti e quali sono i servizi che forniscono risposte ai loro bisogni? Ma, soprattutto, cosa fa la politica nazionale per conoscere questa galassia di storie
e sofferenze sommerse, e soprattutto per accorciare le distanze nei confronti del popolo dei “senza casa” e dei poveri estremi, potenziando gli interventi di aiuto,
recupero e risocializzazione loro rivolti?
Sollevare questi interrogativi negli ultimi anni, in Italia,
è equivalso a incassare, in replica, una serie di frustranti
“Non si sa”, “Non si dispone di dati certi”, “Non esistono
impegni concreti”. La capacità di indagine statistica e la volontà di azione politica hanno trascurato, per quasi un decennio, un’area sociale che, per quanto appartata, si è andata ingrossando e facendo più complessa.
Ora, però, mentre le amministrazioni locali gestiscono
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I TA L I A C A R I TA S
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ROMANO SICILIANI
DI FREDDO
NON SI DEVE MORIRE,
CHI PENSA AI SENZA DIMORA?
tata da diversi indicatori e da alcune rilevazioni locali, secondo cui l’area della povertà estrema e della homelessness ha conosciuto un forte incremento.
Il momento non potrebbe essere più opportuno, insomma, per promuovere una ricerca organica sull’argomento. Senza dati credibili e articolati, infatti, è impossibile imbastire politiche mirate ed efficaci, in grado di ridurre
l’area della povertà estrema, onorando gli impegni che, sul
fronte della lotta per l’inclusione sociale, derivano da recenti norme nazionali (in primis la legge 328/2000 sui servizi sociali e il Piano nazionale 2006-2008 per l’inclusione
sociale varato dal governo), ma anche dall’esigente quadro
normativo europeo.
Conoscere per innovare la capacità di risposta: lo spirito della nuova ricerca si può sintetizzare così. E che di innovazione ci sia bisogno, anche in questo ambito, lo dimostra il fatto che l’Istituto nazionale di statistica ritenga
necessaria la collaborazione degli enti del non profit, per
far presa su un fenomeno per definizione mobile e sfuggente, “disperso” negli angoli più reconditi della società italiana. In una prima fase, la ricerca censirà i servizi, pubblici e privati, formali e informali, che agiscono nel nostro
paese. In seguito, dovrà “inventarsi”, attraverso esperimenti e test in aree territoriali circoscritte, una metodologia di
rilevazione quantitativa delle persone senza dimora e di
indagine qualitativa dei loro profili, delle loro nicchie di insediamento nel territorio, delle prassi e delle “culture” che
ne caratterizzano la quotidianità.
FEBBRAIO 2008
modelli di intervento più o meno validi, comunque sempre costretti a fare i conti con bilanci risicati, approcci “stagionali” e tendenze securitarie, a livello governativo e parlamentare sembra scoccare qualche scintilla di risveglio riguardo a un fenomeno che interessa sì una componente
marginale della comunità nazionale, ma si configura
d’altro canto come “emergenza umanitaria permanente”.
E dice qualcosa sulla qualità della vita e della convivenza
che il modello sociale attuale, con la sua discutibile ripartizione delle risorse e delle attenzioni, rischia di apparecchiare a molti, anche nel nostro paese.
Rilevazione da “inventare”
Un primo segnale di attenzione è costituito dalla “Ricerca nazionale sul mondo della grave emarginazione adulta in Italia”, che si svilupperà tra il 2008 e il 2010, sulla base di una convenzione siglata, tra Natale e Capodanno
scorsi, da ministero della solidarietà sociale, Istat, Fio.psd
(Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora) e Caritas Italiana. L’ambizioso progetto (finanziato da governo e Caritas) mira anzitutto a colmare
una lacuna che si andava facendo pesante: gli ultimi dati
ufficiali sui senza dimora risalgono, in Italia, al 2000,
quando la Fondazione Zancan di Padova, su incarico della Commissione di indagine sulla povertà allora in carica
presso la presidenza del consiglio dei ministri, stimò il loro numero in circa 17 mila. Oggi Caritas ritiene quella cifra superata: il fenomeno non riguarda più, infatti, solo le
aree metropolitane, ma anche i piccoli centri; interessa
maggiormente i maschi e i maggiorenni, ma si va diffondendo anche tra i minori. Su un campione di 264 centri
di ascolto Caritas in Italia, nel semestre aprile-settembre
2006 i senza dimora costituivano il 13,9% dell’utenza, e
tra essi gli stranieri rappresentavano circa il 70%, mentre
nell’indagine nazionale della Fondazione Zancan erano il
58,9%: elementi che confermano l’impressione, accredi-
Tra i decisori politici che potranno fruire degli esiti dell’inedita esplorazione ci saranno governo e parlamento. Da
almeno sette anni essi non prevedono nuovi stanziamenti
o misure per la lotta alla povertà estrema e alla homelessness. Negli ultimi mesi del 2007, tuttavia, l’esecutivo ha
stanziato, in un disegno di legge collegato alla Finanziaria
2008, 10 milioni di euro per costituire un Fondo nazionale
contro le povertà estreme. “Sono pochi, qualcuno potrebbe dire briciole. Ma, rispetto alla totale disattenzione in cui
sino a oggi si versava, vogliamo credere che sia un concreto primo passo, di buon auspicio verso migliori politiche
future”, afferma Fio.psd, in un comunicato stampa di inizio
gennaio, diffuso dopo la morte, avvenuta a Roma, di due
clochard, nel quale si ribadisce che le emergenze non sono
causate dai rigori dell’inverno, ma dalla “cronica mancanza di politiche giuste di accoglienza sociale e solidarietà”.
Il disegno di legge, sebbene collegato alla Finanziaria, approvata prima di Natale, a inizio 2008 non era però
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nazionale
grave emarginazione
ancora stato approvato, e neppure calendarizzato dal
parlamento. Fio.psd ha così rivolto un appello alle camere, affinché approvassero al più presto il collegato alla Finanziaria, valutando anche l’opportunità di integrare lo stanziamento previsto con risorse aggiuntive, “come sarebbe doveroso per un paese che voglia dirsi civile”. Caritas Italiana ha rilanciato l’appello, sostenendo la
necessità di “tutelare i diritti delle persone a prescindere
dalla loro condizione e promuovere un’attenzione antropologica in grado di ribadire l’essenza della persona,
con i suoi limiti e con una dignità non collegata alle
competenze o alle prestazioni di cui è capace. Non è un
libro dei sogni, ma un modo di garantire i diritti costituzionali anche per chi è ai margini”.
COME RAGGIUNGERLI?
Una ronda notturna
porge una bevanda calda
a una donna
senza dimora
nella stazione di Napoli.
La nuova ricerca
sugli homeless
si avvarrà
dell’esperienza
dei volontari
per incontrare
le persone ai margini
C’è un legame globale, che unisce chi vive in povertà in ogni parte del mondo.
I senza casa devono tornare a costituire un paradigma per l’azione politica
di Paolo Pezzana presidente nazionale Fio.psd
ivere in condizioni di povertà estrema a Roma
a Londra o a New York, oppure a Nuova Delhi,
Belo Horizonte o Buenos Aires, può essere
considerata la stessa cosa? La risposta, secondo il buon senso, appare scontata: la miseria è
miseria, a prescindere dalla geografia! Se però si entra nel
campo delle analisi sociali e politiche, le risposte cominciano a diversificarsi anche notevolmente. Tra povertà
strutturali, povertà indotte, povertà di opportunità ed accesso, povertà di istruzione e di libertà, può apparire che
nulla o quasi accomuni un homeless occidentale a un senza tetto indiano o africano.
Dal punto di vista dei servizi che si occupano di emarginazione sociale, questa contraddizione non è irrilevante. Essa rivela un nervo scoperto dell’attività solidaristica,
o comunque socio-assistenziale, ossia il suo rapporto
con il tema della giustizia sociale, in una prospettiva ormai globale. Difficile occuparsi di poveri e povertà nel ricco mondo occidentale; e come pensare di farlo, occupandosi simultaneamente anche della povertà globale?
Non accade a tutti di pensare così. Ma accade sempre
più spesso. Eppure molti operatori e “addetti ai lavori” sono
portati (anche inconsapevolmente) ad agire nei propri servizi, proponendo alle persone gravemente emarginate processi di inclusione in un tipo di “normalità” consumistica
che, se raggiunta, avrebbe l’esito certo di contribuire a perpetrare lo stato di estrema povertà di altre persone in altre
parti del mondo, in una sorta di perverso gioco a somma
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zero, in cui al guadagno di uno deve per forza corrispondere una perdita per un altro.
Il primo Forum mondiale di pastorale per le persone
senza dimora, organizzato a fine novembre in Vaticano, ha
costituito una significativa occasione di confronto sulla
realtà della grave emarginazione nel mondo. Esso è stato
soprattutto un’eccellente occasione per assumere coscienza di questa sorta di legame globale, che congiunge chi vive
in povertà in ogni parte del mondo, chiamando in causa responsabilità altrettanto globali, ma con evidenti aspetti di
esercizio locale e quotidiano, che riguardano tutti.
ROMANO SICILIANI
Per rinunciare alla giustizia
basta escludere una sola esistenza
delle persone in stato di grave emarginazione, che può testimoniare a una società “glocale” un possibile nuovo modo di guardare alle relazioni umane e sociali e alla sostenibilità del loro sviluppo.
In definitiva, la persona senza dimora, ovunque essa si
trovi e per qualunque motivazione, può e forse deve costituire un “paradigma” per l’azione politica nella società: o si
afferma positivamente la responsabilità di tutti e di ciascuno verso di essa, o si rinuncia definitivamente all’inclusione
sociale come obiettivo di giustizia politica per una società.
Basta accettare di escludere una sola vita dalla possibilità di
raggiungere una propria pienezza, magari in seguito a una
valutazione utilitaristica in termini di costi e benefici, per
aprire la porta a una deriva culturale che può portare, e forse già sta portando, pericolosamente lontano.
Il Forum mondiale vaticano aveva obiettivi pastorali, e
in tali obiettivi tale prospettiva è stata profondamente assunta. Per il mondo dei servizi alle persone senza dimora in
Italia, ma non solo, si tratta di fare altrettanto, cercando di
recuperare quella non rinunciabile funzione di animazione
sociale che dovrebbe contraddistinguerlo e che può essere
considerata, secondo una declinazione laica, una “pastorale dei valori e della giustizia”, senza i quali una società non
solo non può dirsi cristiana, ma neppure civile.
Aprire le porte alla deriva
Una persona senza dimora, per come si è convenuto di definirla al Forum, è una persona con analoghi tratti di sofferenza e fragilità, ovunque essa si trovi: cambiano le condizioni ambientali, gli strumenti di contrasto alla povertà,
l’ampiezza politica e culturale delle questioni da affrontare,
ma non la persona in quanto tale e il suo disagio, né cambia lo “scandalo della povertà”, silenzioso grido globale che
rimane troppo spesso trascurato.
Tutto ciò può apparire scontato, ma non lo è. E rivela
due aspetti poco considerati e dibattuti persino negli ambienti dei servizi rivolti agli homeless: il trattamento sociale
del sofferente, come misura politica e morale del grado di
civiltà di una società (elemento richiamato anche da papa
Benedetto XVI nella recente enciclica Spe Salvi, al numero
38); il potenziale “profetico” insito nel modo di occuparsi
La Chiesa a servizio della vita,
bussola è la dignità della persona
di Raffaele Gnocchi responsabile Area grave emarginazione adulta - Caritas Ambrosiana
enza dimora, clochard, sans abrì, homeless, barboni… Sono alcuni degli appellativi comunemente
utilizzati per identificare la composita realtà delle
persone senza tetto. Un fenomeno diffuso sia nelle grandi capitali occidentali, sia nelle zone rurali
del sud del mondo. Una realtà assai differenziata, ma caratterizzata a livello statistico con numeri importanti. Si
calcola che nel mondo ci siano almeno un miliardo di per-
S
sone che vivono in strada e nella sola Europa tre milioni
siano impossibilitate ad avere un alloggio adeguato. Se si
pensa poi alla realtà dei paesi più poveri, il fenomeno indica una costante esposizione al pericolo di vita: ogni giorno
muoiono circa 50 mila persone a causa di condizioni igieniche inidonee, accesso a fonti d’acqua inquinata, disponibilità di alloggi inadeguati. Il fenomeno dovrebbe interpellare le coscienze di tutti, anche perché appare non già
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nazionale
nazionale
database
esclusione
politiche
sociale
sociali
grave emarginazione
ROMANO SICILIANI
residuale, bensì strutturale, collegato direttamente ai pronon può fermarsi di fronte a stereotipi o credenze. Fra tutcessi di sviluppo economico e sociale, in virtù dei quali c’è
te, la più insostenibile appare oggi quella secondo cui il visempre qualcuno che rimane “indietro”.
vere in condizione marginali, di povertà assoluta, a rischio
In una pubblicazione curata da Caritas Italiana (Così
quotidiano di sopravvivenza, sia configurabile come scelvicini così lontani. Persone senza dimora: processi di escluta. Eppure questo modo di pensare legittima proposte e
sione, percorsi di prossimità, Edb, Bologna 2004) il fenopolitiche imperniate sul concetto dell’emergenza, e quasi
meno delle persone senza dimora era affrontato per conmai sostiene azioni di promozione umana. In questa protribuire alla comprensione dei processi di impoverimento,
spettiva, si finiscono per privilegiare azioni assistenziali, rima anche alle possibili strategie di uscita dalla grave emarspetto alla costruzione di reti di socialità e prossimità.
ginazione. Il tutto ponendo al centro la persona, la sua uniL’assise vaticana ha ribadito che l’intervento a favore
cità, la sua dignità. A distanza di quattro anni, il tema apdei più poveri è strutturalmente presente nell’agire della
pare ancora urgente. Tanto da essere stato al centro di un
Chiesa universale. Occuparsi dei più poveri significa inincontro internazionale (“In Cristo e con la Chiesa a servinanzitutto dedicare loro il tempo, perché possa emergere
zio dei senza fissa dimora”), promosso dal Pontificio Conil volto nascosto dalla sofferenza e sia recuperata la dignità
siglio della pastorale per migranti e itineranti, svoltosi a
dimenticata, affinché le persone diventino soggetto di diRoma a fine novembre e presieduto dal cardinal Renato
ritto. “I poveri saranno sempre con voi”, afferma Gesù; ma
Raffaele Martino. Il Forum ha seguito cronologicamente la
la ricerca della giustizia deve cominciare dal riconoscipubblicazione del documento Orientamenti per la Pastomento della qualità di persona che è propria di ciascuno.
rale della strada, avvenuta nel giuTra le consapevolezze che degno 2007, e due ulteriori convegni,
vono restare ferme, vi è dunque il
relativi alla pastorale per la liberafatto che la persona senza dimora,
zione delle donne di strada e per i
nonostante sia spesso definita a
ragazzi di strada.
partire dalla propria condizione,
Il Forum sulle persone senza
mantiene in sé una singolarità e
dimora ha radunato 45 rappreuna unicità irripetibili. Inoltre, in
sentanti di 28 paesi e delle più imuna società che rilegge i rapporti
portanti organizzazioni caritative
sociali come funzionali all’ottenimondiali; essi si sono confrontati,
mento di un interesse economico,
presentando le proprie attività nel
la Chiesa deve impegnarsi a risettore, le considerazioni che dericonsegnare alla società il valore
COME AIUTARLI?
vano dalla loro esperienza e le Homeless in una mensa dei poveri a Roma
della gratuità della relazione e il
possibili prospettive, sia in ambito
suo senso più profondo.
pastorale sia in quello sociale. La Chiesa ha deciso, in altre
Alcune note in termini esortativi, che compaiono nel
parole, di fermarsi e ascoltare le indicazioni e le valutaziotesto finale del Forum, evidenziano che occorre perseverani provenienti da luoghi, culture ed esperienze diversi.
re nell’umiltà del servizio, nella certezza che operare nella
L’elemento capace di integrare i linguaggi è apparso il ricomplessità significa evitare la frammentazione. Sul fronconoscimento del fatto che al centro di ogni possibile aziote della programmazione degli interventi, una pastorale
ne caritativa, pastorale e sociale debba esserci la persona.
specifica per le persone senza dimora non può dimenticare l’opportunità di coordinamenti, intraecclesiali ed exDedicare loro il tempo
traecclesiali, non per sollevare le autorità civili dalle rispetLa preoccupazione non deve apparire scontata. Se è già fative responsabilità, ma per sollecitarle a farsene carico.
ticoso ribadire il concetto di persona, quindi il suo valore
In conclusione, appare chiaro e definito il ruolo della
nella società occidentale, la quale spesso commisura la diChiesa, quale soggetto chiamato a promuovere e animare
gnità del soggetto alle sue capacità produttive e di consul’opera fornita dalle numerose persone attive nel campo
mo, a maggior ragione appare difficile poter affermare i didella grave emarginazione adulta. Un catalogo di interritti di chi non ha neppure garantito quello – basilare – alventi quotidiani, nei quali il senso di prossimità e vicinanla vita, attraverso il possesso di cibo, acqua, vestiti e riparo.
za e il riconoscimento del volto del povero sono alla base
E il servizio alla vita, da quella nascente a quella morente,
di un’esperienza di vera e profonda carità.
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LA PRESSIONE DEL CRIMINE
CHE STROZZA IL COMMERCIO
di Walter Nanni
cilia e Puglia. Ciò farebbe pensare a
una possibile connessione con la criminalità organizzata. Ogni giorno, più
di 360 negozi sono visitati da malviventi grandi e piccoli, con un danno
medio stimato in circa 7 mila euro per
ogni esercizio. Una proiezione consente di stimare in oltre 1,6 miliardi il
valore delle merci e del denaro sottratti agli imprenditori ogni anno.
Ma la presenza massiccia delle
della ristorazione, dell’edilizia. Però
mafie sulle attività imprenditoriali
diminuiscono le denunce: nel 2006 i
non si limitata alla fase predatoria:
Una mano nera
denunciati per estorsione sono stati
essa si estende ed espande su tutte
sugli esercizi italiani.
6.696, rispetto ai 6.801 del 2005. Sele relazioni economiche e sul terriTaglieggiamenti, usura,
condo una proiezione, nel 2007 le
torio. L’agromafia, per esempio, ha
rapine: aumentano
denunce per estorsione si collocheun fatturato di oltre 7,5 miliardi di
i reati predatori ai loro
ranno su un livello pari al 2004.
euro l’anno: la presenza mafiosa
danni. Nel contempo
Altro fenomeno gravissimo è
nelle filiere giunge a condizionare
diminuiscono
l’usura. Sono oltre 150 mila i commeranche il prezzo al dettaglio dei prole denunce.
cianti italiani coinvolti in rapporti
dotti. Invece a Napoli, secondo uno
Ma c’è dell’altro: il pane,
usurari: molti si indebitano con più
studio dell’assessorato all’agricoltuper la camorra, viene
strozzini, al punto che le singole posira della provincia, la produzione
solo dopo la droga…
zioni debitorie possono essere stimagiornaliera di pane è assicurata da
te in oltre 450 mila; almeno 50 mila soalmeno 2.500 panifici illegali, in
no messe in atto da associazioni per delinquere di tipo odore di camorra (soltanto il pane venduto di domenimafioso. Gli interessi sono stabilizzati oltre il 10% mensile: ca, sulle bancarelle, vale 25 milioni di euro l’anno); seconnel complesso, il tributo pagato dai commercianti ogni do l’assessorato, il giro d’affari sarebbe pari a 500 milioni
anno si aggira attorno ai 12 miliardi di euro. Questi dati so- di euro l’anno, dato che colloca il mercato del pane abuno peraltro stime per difetto. Nel contempo, il numero sivo al secondo posto dopo la droga, nella classifica dei
delle denunce appare risibile: dal 1996, anno di emana- proventi della criminalità organizzata.
zione della legge in materia, e tranne qualche segnale in
Infine, secondo l’Istituto per il commercio estero, la
controtendenza, si è assistito a un calo inarrestabile (-11% contraffazione costa all’Italia 7 miliardi di euro l’anno.
tra 2005 e 2006, se riferita al 2004 la caduta è stata pari a Estesa a quasi tutti i settori manifatturieri, interessa ri-40%). Fa riflettere il calo delle denunce nel Lazio e a Roma, cambi aeronautici e automobilistici, apparecchi eletcon appena 19 reati scoperti nel 2006.
trici, medicinali, giocattoli. Nel 2006 la Guardia di Finanza ha effettuato oltre 15 mila interventi anticontrafNon di solo pizzo
fazione, con il sequestro di circa 89 milioni di articoli
Nel triennio 2004-2007 ci sono state 47.656 rapine a eserci- contraffatti (il 28% in più rispetto ai 68,7 milioni di pezzi commerciali, con maggiore frequenza in Campania, Si- zi sequestrati nel 2005).
aglieggiamenti, estorsioni, minacce e violenze. Il commercio, in
Italia, è soggetto alla fortissima pressione della criminalità. Lo
conferma il Rapporto 2007 della Confesercenti, che muove anzitutto dall’analisi del fenomeno delle estorsioni. In Italia risultano
essere 160 mila gli esercizi taglieggiati, ovvero più del 20%. Il fenomeno
è radicato soprattutto a sud: in Sicilia è colpito l’80% dei negozi di Catania e Palermo, pagano il pizzo il 70% delle imprese di Reggio Calabria, il 50% di quelle di Napoli, del nord barese e del foggiano, con
punte che toccano la quasi totalità delle attività commerciali,
T
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nazionale
viaggio al sud
ATTI DI IMPEGNO
ROMANO SICILIANI
Il volume “È cosa nostra.
Una pastorale ecclesiale
per l’educazione delle
coscienze in contesti
di ‘ndrangheta” (Editoriale
Progetto 2000, Cosenza,
2007, pagine 240, euro 15)
contiene gli atti del convegno
delle Caritas diocesane
svoltosi a Falerna (Cz)
nel gennaio 2007: testimonia
il rinnovato impegno
della Chiesa calabrese
contro la cultura mafiosa
Prima un convegno.
Ora un libro, che si affianca
al documento dei vescovi.
Le Caritas diocesane analizzano
la situazione di un territorio
“prigioniero” della ’ndrangheta.
Ma che ha in sé potenzialità
di conversione e rinascita
SEMI DI SPERANZA
Giovani al lavoro
nei campi (sottratti
alla ‘ndrangheta)
che la cooperativa
Valle del Marro
coltiva a melanzane
nella Piana
di Gioia Tauro
CALABRIA, TERRA PERSA?
«NO, È COSA NOSTRA»
di Paolo Brivio
on tacere. Denunciare, certo. Togliere gli alibi che derivano da un certo clima culturale.
E magari da un malinteso ricorso ai simboli e ai riti della fede religiosa. Ma anche incoraggiare le forze migliori della regione.
Esortare all’impegno della conversione e
dello sviluppo. Perché la Calabria non è cosa delle cosche. La Calabria – recita provocatorio il titolo
di un convegno ora tramutatosi in libro – “È cosa nostra”.
Ad affermare con forza l’appartenenza della regione meridionale alle sue forze più sane, creative e coraggiose, sono state nel gennaio 2007 le Caritas dioce-
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sane calabresi. I contenuti del convegno della loro Delegazione regionale, svoltosi a Falerna, sono ora raccolti in un testo che intende mettere in rete un importante sforzo di conoscenza, osservazione e discernimento, che si avvale del contributo di pastori, teologi,
studiosi delle mafie, magistrati. Il documento è stato al
centro di una conferenza ospitata a Roma, a metà dicembre, da Caritas Italiana, nell’eloquente intento di
amplificare su scala nazionale il messaggio di una
chiesa locale che dice basta all’assoggettamento di un
territorio alla cultura e alla pratica mafiose, e prova a
indicare piste concrete di riscatto.
«La ‘ndrangheta è un cancro esiziale per la Calabria
– ha ricordato don Ennio Stamile, delegato regionale
Caritas, tra i curatori degli atti del convegno, aprendo la
conferenza –. La struttura non verticistica, il carattere
familiare, l’estrema pervasività consentono alle ‘ndrine
di esercitare una signoria territoriale, che ne fa una sorta di antistato nello stato». La proiezione affaristica di
questo cancro ha ormai confini planetari, ma continua
a soffocare ogni dinamica territoriale, «tanto che si rischia di trovarsi coinvolti e collusi anche solo chiedendo una casa. Il nostro impegno, di Caritas e di chiesa, è
tagliare questa trama pervasiva».
Eppure si parte da uno scenario che rischia di apparire disperante. «Il primo latitante, in Calabria, è lo Stato», ha lamentato il vescovo monsignor Domenico Tarcisio Cortese, incaricato della Conferenza episcopale
calabra per il servizio della carità. «Non parlo dell’azione di magistratura e forze dell’ordine – ha chiarito il presule –, ma dell’organizzazione dello stato e del funzionamento delle istituzioni locali. Ci offende pensare che
piccole cosche, che rappresentano il 5-6% della popolazione, riescano a dominare il territorio in questo modo.
Lo stato deve farsi carico della Calabria: finora non lo ha
fatto, come se essa fosse un corpo malato. Dobbiamo
svuotare dalla mentalità mafiosa le giovani generazioni». Ma non «moltiplicando gli organismi antimafia»,
bensì garantendo le condizioni fondamentali (e previste dalla Costituzione italiana) per lo sviluppo, «a cominciare dal lavoro, dalle infrastrutture, da servizi pubblici funzionanti».
Proprio i vescovi delle chiese di Calabria hanno dedicato a fine ottobre un importante documento al tema
della lotta alla ‘ndrangheta e dello sviluppo della regione, impartendogli un titolo drammatico, per far comprendere che la riscossa deve muovere da un profondo
cambiamento, anzitutto interiore. “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”, gridano i vescovi
con l’evangelista Luca. «E in effetti la salvezza – ha fatto
eco al documento, raccolto negli atti del convegno Caritas, monsignor Ignazio Schinella, presidente della Fondazione Facite, che coordina molte esperienze di promozione sociale ed economica – non viene anzitutto
dalla formazione e dall’educazione, pur necessarie, ma
dalla conversione dal peccato». Il problema è che questo peccato si è fatto, per così dire, struttura burocratica.
«Da sempre la mafia è un triangolo. Il lato della criminalità comunica con quelli dell’imprenditoria e della
politica. Ma oggi la ‘ndrangheta infiltra i propri figli anche nell’amministrazione, persino negli apparati di sicurezza. Anche le realtà istituzionali vanno convertite,
dinanzi al male devono reagire col bene».
Guardarsi dentro, togliere il velo
Convertirsi. Per farlo, si deve cominciare dal «guardarsi
dentro, perché la caratteristica delle mafie è nella volontà di infiltrare e macchiare qualsiasi organismo, condizionandolo dall’interno». Marco Minniti, viceministro dell’interno, ha stabilito con queste parole la condizione di base di un percorso di lotta «che deve cancellare l’approccio emergenziale, per sostanziarsi di un impegno quotidiano e permanente, e deve avere come
obiettivo la sconfitta della ‘ndrangheta», non la sua riconduzione all’alveo di una sua presunta fisiologia di
presenza nel territorio.
«Lo stato – ha ammesso il viceministro – non può
delegare l’azione di prevenzione e repressione, né la politica può illudersi di governare l’abbraccio faustiano
con la mafia, che vota e fa votare», e prima o poi presenta il conto. Ma cruciale è anche una «crescita civile»,
per la quale ogni soggetto «deve fare la sua parte». E il
fatto che la chiesa calabrese dica parole chiare su «un
certo rapporto con la religione» che contraddistingue
«lo strano animale della ‘ndrangheta, capace di far convivere una forte arcaicità e un’altrettanto forte modernità, e di proiettarsi sui mercati internazionali proprio
perché ha radici solidissime nel territorio», è un contributo straordinario alla lotta per la legalità e lo sviluppo
della regione, «perché toglie un velo» di giustificazione
alle motivazioni e alle azioni delle ‘ndrine.
Nessuno può più permettersi, insomma, di sottovalutare la ‘ndrangheta, ha concluso Angela Napoli, presidente della Commissione parlamentare antimafia,
com’è accaduto in passato. «Il legislatore ha grosse reI TA L I A C A R I TA S
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consigli comunali infiltrati, ma il mio timore è che la revisione del quadro legislativo si riveli parziale, e permangano buchi neri e contraddizioni». Timore non del
tutto confortante. Ma la battaglia per una Calabria libera e giusta può contare su risorse che superano, per fortuna, le titubanze della politica.
La politica rimane indietro,
ma c’è chi cerca vie di sviluppo
Fanalino di coda, anche in Europa. Terra di una cultura arretrata. Serbatoio
di emigrazione. Ma si scorgono sintomi di un futuro di eccellenza e speranza
di Giacomo Panizza
ella “gente di Calabria” quale opinione di sviluppo
locale è diffusa? Quale mutamento essa si aspetta,
trovandosi in una quotidianità cruda, di fronte a
dati che continuamente le confermano che abita
nella regione più povera d’Italia? La Calabria risulta fanalino di coda, in Italia, negli indici di sviluppo umano,
economico e sociale, a causa di disoccupazione, insuccessi
scolastici, criticità del saldo migratorio, scarsa qualità della
vita, carenza e inefficacia dei servizi alle persone. L’80% della popolazione calabrese, inoltre, si trova costretta a convivere nel territorio con gruppi criminali mafiosi e a sottostare al predominio della ’ndrangheta, attualmente ritenuta la
mafia più pericolosa, a livello locale e globale.
Nell’Unione europea, la Calabria è la residua regione
italiana rimasta nell’Obiettivo uno, ovvero giudicata sotto
le condizioni minime per potersi auto-sviluppare: è bisognosa di accrescere le proprie capacità di futuro, ma va accompagnata nel cambiamento, in particolare nella gestione ordinaria dei fondi dell’Unione, perché non persista
nella condizione di regione a dipendenza assistita.
In un simile quadro, si comprende la debolezza oggettiva dei calabresi che intendono scommettere sullo sviluppo locale, e il motivo per cui non diminuisce il numero di coloro che programmano di emigrare, piuttosto che
avventurarsi a rischiare investimenti o a fare impresa in
loco. Il sogno viene spesso infranto già in partenza.
La Calabria, dall’istituzione del Regno d’Italia a oggi, si è
imbattuta in ostacoli che le hanno impedito di praticare
uno sviluppo endogeno, che partisse dalle sue città, dalle
sue campagne, dai circa 700 chilometri di litorale e dai mari che la circondano. Anche dove esistevano condizioni fa-
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vorevoli, invece di evolversi si sono indebolite, e le cause del
peggioramento vanno addebitate soprattutto a una politica locale e nazionale miopi, per certi versi scellerate, oltre
che all’azione devastante della criminalità organizzata.
Fascino di miti e riti
I calabresi residenti nella regione sono due milioni. Ma ci
sono centinaia di migliaia di emigrati in tutto il mondo, parecchi noti per i ruoli di responsabilità pubblica che ricoprono e per la loro abilità nel muovere economie positive
e nel promuovere sviluppo locale. Ma altrove. Sarà possibile trasferire questa sfida anche nella propria terra? Quali risorse deve mettere in campo la società civile calabrese?
La società civile, non senza la chiesa calabrese – poiché
associazionismo di base, volontariato di servizio e cooperazione sociale sono realtà concrete, inizialmente promosse nel territorio regionale proprio dalla chiesa –, esprime
organizzazioni di eccellenza, all’altezza di contrastare
l’inequivocabile trend di impoverimento diffuso, che comporta anche l’inibizione di molte capacità lavorative e imprenditoriali locali. Questa società civile si manifesta però
come risorsa puntiforme, minoritaria, collocata all’interno
di una cultura intimidita, rassegnata alle logiche della
’ndrangheta. La quale ingaggia giovani anche esterni ai
clan criminali e li attira approfittando della loro fame di pane, consumi e appartenenza simbolica e protettiva. Per
rendersene meglio conto, basterebbe considerare il fascino esercitato su giovani e adolescenti da miti e riti mafiosi
apparsi nella recente fiction televisiva sul “Capo dei capi”.
La cultura generale popolare, pertanto, appare arretrata rispetto a quella dei vari gruppi, diffusi a macchia di leo-
FRANCESCO CARLONI
sponsabilità: le leggi antimafia sono nate storicamente
in momenti emergenziali, ma proprio per questo si rivelano inadeguate a colpire la capacità riorganizzativa
che le mafie esprimono di continuo. In Commissione
stiamo lavorando bene per la revisione dei testi sulla
confisca dei patrimoni mafiosi e lo scioglimento dei
PROVE DI CAMBIAMENTO
A sinistra, la conferenza stampa svoltasi a Roma
sull’impegno Caritas contro la ‘ndrangheta;
sopra, manifestazione dei ragazzi di Locri
pardo, che esprimono le loro idee e la loro lotta attraverso
organizzazioni di base ed esperienze assai dinamiche e coraggiose, dalle associazioni antiracket (come quelle della
piana di Gioia Tauro e Lamezia Terme) alle reazioni giovanili della Locride e di Catanzaro, dalle esperienze di educazione alla legalità di Reggio Calabria e della Sibaritide all’uso sociale e produttivo (sempre più esteso) dei beni confiscati. Società civile e chiesa si trovano più volte insieme nel
ruolo di promotrici di proteste contro mafie, corruzioni e
ingiustizie. Ma si ritrovano anche a riflettere e a progettare
per poter far scaturire decisioni politiche più favorevoli alla democrazia e capaci di coinvolgere la base popolare,
economie più sociali, una società più accogliente. Esistono
multiformi realtà sociali organizzate, in contatto con enti e
soggetti di ispirazione cristiana, che promuovono insieme
manifestazioni critiche verso coloro che il cambiamento
non lo vogliono, e non da oggi.
“Disattenzioni” non casuali
Si capisce che stiamo parlando, a questo proposito, dei
partiti politici. Accanto ad alcune lodevoli prese di posizione, come il sostegno al terzo settore che utilizza strutture
confiscate alla mafia, o la copertura finanziaria di certe
manifestazioni studentesche, o la promozione pubblicitaria sui mass media di una regione ricca di gioventù, ci sono elementi criticabili, perché denotano l’assenza della
politica. In particolare, essa risulta evanescente laddove
occorre regolare l’economia e le responsabilità; laddove si
devono controllare i processi gestionali ed evolutivi; laddove occorre passare dall’annuncio del cambiamento alla
pratica del cambiamento. Essa risulta molto “indietro” ri-
spetto alla polis della società civile organizzata.
Svariati gli esempi possibili. La Calabria non ha ancora
attuato, per esempio, la legge 328 (che risale al 2000) di
riforma dell’assistenza sociale; pur avendola recepita tre
anni dopo, la tiene bloccata non varando il piano regionale degli interventi sociali né il regolamento dei servizi. La
Calabria non ha nemmeno messo a punto la legge sulla
cooperazione sociale, né ha recepito quella sulle associazioni di promozione sociale, e ha un’inadeguata legge sul
volontariato. Non ha recepito la legge nazionale sull’handicap, pur in presenza della raccolta di migliaia di firme.
Sul versante della legalità, basti dire che esistono depositati quattro disegni di legge sulle associazioni antiracket,
criticati dalle stesse associazioni perché superflui; un quinto disegno li riassume inefficacemente e le associazioni
antiracket ne propongono una correzione sostanziale. Ebbene: anch’esso è fermo da mesi, mentre chi si muove e
cambia sono giunte, commissioni e incarichi dei politici.
La gente semplice interpreta queste “disattenzioni” come
risultato del fatto che in Consiglio regionale ci sono, dato
certo, ventidue onorevoli indagati dalla magistratura per
reati che vanno dall’associazione mafiosa al voto di scambio alla distorta applicazione della legge 488 (sulla concessione dei finanziamenti a fondo perduto e a credito agevolato), e altro ancora.
In ogni caso, sebbene la politica appaia silenziosa sui
temi dello sviluppo locale vero, nella società civile esistono
soggetti che cercano, anche se con fatica, di disegnare il futuro di una Calabria diversa. È una minoranza alla quale la
popolazione accorda fiducia morale; che è consapevole
che ripartire col piede giusto si può. E si deve.
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nazionale
nazionale
dall’altro mondo
IL MODELLO ADRIATICO,
L’ITALIA CHE SA INTEGRARE
di Luca Di Sciullo
integrazione degli immigrati è diventato un tema molto attuale in Europa, continente ormai fortemente caratterizzato dalla diversità. Sono circa 28 milioni gli immigrati in Europa ad aver conservato la cittadinanza di origine e quasi altrettanti hanno assunto la cittadinanza di uno degli stati membri. Di conseguenza, uno ogni dieci residenti nel vecchio continente ha un’estrazione culturale “altra”.
È quindi importante conoscere, attraverso una serie di elementi
“misurabili”, se gli immigrati si inseriscono positivamente nel nuovo
L’
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FEBBRAIO 2008
QUOTE A PORTATA DI CLICK:
DEGLI IRREGOLARI COSA SARÀ?
di Oliviero Forti
mento superficiale può concludere
che non vengano messe in atto
azioni e politiche per l’integrazione
degli immigrati. Più sensato è invece considerare le problematiche
condizioni strutturali di partenza,
quindi l’esistenza di un quadro generale di potenzialità ridotte.
Partecipazione attiva
Le province che esibiscono un mascontesto. Sulla base del quinto Rapsimo potenziale d’integrazione sono
porto Cnel-Caritas sugli Indici di in25: oltre Trento e Bolzano, vi sono inDal Trentino (nuovo
tegrazione degli immigrati in Italia,
cluse ben sette lombarde, cinque
primatista) all’ Abruzzo:
che ha utilizzato dati aggiornati al 31
emiliano-romagnole, tre del Friuli
il rapporto Cnel-Caritas
dicembre 2004, si delinea, quanto al
Venezia Giulia e tre piemontesi. Le
conferma che si afferma
nostro paese, un quadro territoriale
uniche presenze non settentrionali
una via all’accoglienza
piuttosto differenziato. Sono cosono Prato (terza), la cui immigrae all’inserimento
stantemente le regioni settentrionazione a nettissima componente cidegli immigrati, a partire
li, in particolare nord-orientali, a ofnese presenta caratteristiche del tutdai piccoli contesti.
frire in Italia le condizioni più favoto particolari, e le marchigiane AnDove relazioni
cona e Macerata (15ª e 19ª). Per il rerevoli per l’integrazione socio-lavoistituzionali e umane
rativa degli immigrati. Nell’ultima
sto, se si esclude Bologna (28ª), che
sono meno anonime
rilevazione il Trentino Alto Adige ha
si posiziona in fascia alta, gli altri
scavalcato il Veneto in cima alla gragrandi capoluoghi di regione si conduatoria. Ciò accade tanto a livello regionale quanto a li- centrano per lo più a metà graduatoria. Tra il 50° e il 63°
vello provinciale (Trento è prima nella classifica delle posto se ne trovano ben sei: Torino (50ª), Perugia (51ª),
province per il più alto potenziale d’integrazione degli Roma (54ª), Firenze (55ª), Pescara (57ª) e Genova (63ª).
immigrati, Bolzano è al 16° posto). Ma la distanza di
In generale sembra possibile affermare che nei picpunteggio del Trentino Alto Adige da Veneto e Lombar- coli contesti, dove il rapporto con strutture, servizi e istidia (entrambe seconde) è talmente insignificante (2 tuzioni è più immediato e le relazioni umane sono mepunti) che si potrebbe parlare di un trittico di regioni so- no “anonime” rispetto ai grandi agglomerati urbani o
stanzialmente allineate. Altre regioni ad alto potenziale metropolitani, si svolgono in maniera più proficua i ded’integrazione sono Emilia Romagna, Marche e Friuli licati processi di integrazione sociale, quelli che portano
Venezia Giulia. Sembra così affermarsi un “modello a essere e a sentirsi parte integrante del tessuto in cui si
adriatico” di integrazione, che dal Friuli Venezia Giulia vive e che implicano non solo la possibilità di accesso
arriva perlomeno fino all’alto Abruzzo.
reale e paritario ai servizi, ma anche la partecipazione
Circa le aree meridionali-insulari, collocate nella fa- attiva alla vita del luogo e l’instaurazione di relazioni
scia bassa (anche se, per alcuni specifici indicatori, si umane significative nel territorio, basate sull’accettatrovano a un livello più soddisfacente), solo un ragiona- zione e il riconoscimento reciproco.
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immigrazione
U
n anno foriero di avvenimenti significativi, che hanno mantenuto sempre alta
l’attenzione su un tema, l’immigrazione, che ancora divide le coscienze degli italiani. Il
2007 ha fatto registrare tristi fatti di cronaca, che hanno coinvolto cittadini stranieri e
hanno portato il governo ad adottare misure d’urgenza sul fronte della sicurezza. Ma ha
“battezzato” anche una nuova procedura per regolare la cosiddetta “corsa alle quote”, ovvero la presentazione di domande da parte dei datori di lavoro che intendono assumere
un cittadino straniero residente all’estero. E ha introdotto nuovi elementi anche sul fronte legislativo,
della riforma del testo unico: per il 2008 il governo ha annunciato di voler richiedere al parlamento
una “corsia preferenziale” per l’esame della nuova legge sull’immigrazione (Amato-Ferrero).
Tornando alle quote, per procedere a quella che molti hanno definito una pseudo-regolarizzazione (in quanto le domande hanno riguardato soprattutto cittadini stranieri che già risiedevano irregolarmente in Italia), si è dovuta in realtà attendere la fine di ottobre. Solo in quella data è stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto flussi varato dal governo, che ha autorizzato l’ingresso
in Italia di 170 mila lavoratori extracomunitari
non stagionali e 80 mila stagionali. La novità Nuova procedura informatizzata per
non è stata certamente il ritardo con cui si è
l’ingresso di lavoratori extracomunitari:
proceduto alla determinazione delle quote
(dovuto, a detta del governo, alla necessità di eliminato lo sconcio delle code. Ma
tempi lunghi per lo smaltimento della moltitu- le domande sono quattro volte più dei posti.
dine di pratiche accumulatesi in occasione delle regolarizzazioni e dei decreti flussi preceden- L’irregolarità è un dato strutturale:
ti), bensì il fatto che, per la prima volta, la pre- serve una legge che ne prenda atto
sentazione delle domande è stata informatizzata. Ai datori di lavoro è stata lasciata la scelta di affron- goria di aspiranti lavoratori. Secondo i dati disponibili a
tare la procedura al proprio computer, grazie a un colle- inizio gennaio, semidefinitivi (si potrà fare richiesta di lagamento internet, o di rivolgersi alle associazioni di cate- voratori extracomunitari fino a fine maggio), in occasiogoria o ai patronati. In ogni caso l’iniziativa ha eliminato ne del primo “click day”, il 15 dicembre, sono state oltre
lo sconcio delle file alle poste, triste memoria del recen- 400 mila le domande presentate, a fronte di 47mila intissimo passato, pur avendo mantenuto in piedi gressi in palio, riguardanti i lavoratori provenienti da pael’improbabile sistema degli ingressi per motivi di lavoro si che hanno stipulato accordi con l’Italia. I paesi più
introdotto dalla legge Bossi-Fini, che solo la nuova legge coinvolti sono stati Marocco (circa 100 mila domande),
sull’immigrazione potrà definitivamente superare. Il mi- Bangladesh (oltre 50 mila), Albania (28 mila), Pakistan
nistero dell’interno ha peraltro assicurato che la proce- (poco più di 27 mila), Sri Lanka e Filippine (entrambi con
dura informatizzata verrà estesa, nei prossimi mesi, an- circa 21 mila domande), Moldavia (poco più di 20 mila).
che alle domande per ricongiungimento familiare.
Per la maggior parte di queste nazionalità, la tipologia di
domanda prevalente ha riguardato l’assunzione per laCentomila marocchini
voro domestico; ciò si è rivelato vero anche per nazionaLa presentazione delle domande poteva avvenire in tre lità tradizionalmente dedite ad altre attività. È il caso del
differenti date, ognuna dedicata a una particolare cate- Marocco: le domande per lavoro domestico hanno pesaI TA L I A C A R I TA S
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nazionale
nazionale
contrappunto
immigrazione
IN FILA, MA ON LINE
Immigrati fuori
da un ufficio postale
aspettano di presentare
la propria domanda
di regolarizzazione.
Con i “click day”
di dicembre le code
si sono trasferite
in internet
IL POTERE SI ASCOLTA,
IL GIORNALISTA SI CONFORMA
di Domenico Rosati
ncora sulle televisioni in Italia. Stavolta non sugli aspetti strutturali (concentrazioni, conflitto d’interessi, monopolio, leggi personalizzate o in gestazione perpetua). Piuttosto, su una questione più
delicata, se si vuole più intima: il ruolo di chi opera nel ciclo delle immagini, dei palinsesti delle notizie video. Lo spunto viene dalle “rivelazioni”
sui contatti intercorsi (e intercettati) tra dirigenti e operatori delle due
aziende del duopolio italiano (Rai e Mediaset) per concordare tempi e
modi di redazione e messa in onda di servizi giornalistici. Il tutto, al fine
di favorire un determinato personaggio politico (o di non nuocergli) e
appesantito dal fatto che alcuni attori coinvolti appartenevano,
A
to per il 56% sul totale di quelle presentate. Egitto, Tunisia
e Albania sono invece i paesi per i quali è stata percentualmente superiore la richiesta di lavoratori per attività
subordinate diverse dal lavoro domestico.
Il secondo “click day”, il 18 dicembre, è stato riservato
alla categoria di colf e badanti provenienti da paesi diversi da quelli che hanno stipulato accordi con l’Italia. In
quell’occasione sono state registrate più di 143mila domande per 65mila ingressi autorizzati; è emerso un particolare coinvolgimento della Lombardia, regione che ha
espresso circa il 30% del totale delle domande per colf e
badanti. I cittadini stranieri maggiormente richiesti provengono da Ucraina, Cina, India e Perù.
Infine, Il terzo “click day”, fissato per il 21 dicembre, ha
riguardato tutti gli altri lavoratori e le conversioni dei permessi di soggiorno: circa 107 mila le domande ricevute, al
cospetto di 56 mila posti disponibili.
Non conviene a nessuno
Alla fine della maratona di sostegni e adesioni in tre tappe, il Viminale ha dunque ricevuto circa 655 mila domande, a fronte dei 170 mila ingressi autorizzati dal decreto flussi. Si tratta di un rapporto di ben 4 a 1. La questione, adesso, è capire come comportarsi con quei tre
quarti di lavoratori stranieri che non vinceranno la lotteria delle quote e che tuttavia già si trovano in Italia irregolarmente. Se poi a essi aggiungiamo coloro che, pur sog20
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giornando e lavorando irregolarmente nel nostro paese, non hanno
potuto o non hanno voluto avvalersi del sistema dei flussi, sorge spontanea una domanda: non è il caso
di affrontare seriamente la proposta di una regolarizzazione, alla
quale far seguire una riforma della
politica migratoria italiana che tenga conto dell’irregolarità come fattore strutturale del sistema, e non come fattore straordinario?
Le risposte dovranno tener conto di questa dinamica
dei flussi migratori, altrimenti ogni intervento e ogni riforma risulteranno non solo insufficienti, ma pure inadeguati. La presenza di irregolari nel paese non conviene a nessuno: non all’immigrato, perché è costretto a un’esistenza
fatta di precarietà; non all’Italia, che deve sopportare costi
elevati, soprattutto quando sono connessi alle procedure
di allontanamento dal territorio nazionale. Lo stesso ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, all’indomani
della chiusura della presentazione delle domande ha dichiarato che «dopo il 21 dicembre bisognerà fare una riflessione su quale strada intraprendere per dare una risposta ai tanti che restano fuori dai decreti flussi. Nel 2006
abbiamo scelto di fare un secondo decreto flussi, ma con
l’attuale legge, la Bossi-Fini, si è visto che le procedure farraginose creano lungaggini. Non è più possibile proseguire così. La risposta più snella è la nuova legge».
C’è da augurarselo, anche per evitare, in futuro, un’ipocrisia e un dibattito trascinatisi anche troppo a lungo,
e che hanno impedito di affrontare con maggior vigore e
incisività la sfida più importante, nel settore delle politiche dell’immigrazione: quella che, una volta disciplinati
gli ingressi, deve organizzare e rendere efficaci le opportunità e i percorsi di integrazione.
trarsi: esso chiama in causa direttamente gli operatori dell’informazione, che amano qualificarsi come “cani da guardia della democrazia”.
Uniformarsi prima
A me è accaduto di incontrarne uno
che si vantava di non aver mai ricevuto direttive e rimproveri dal suo
referente politico; ciò perché – spiegava compiaciuto – «sono capace di
intuire il pensiero del capo e di
in origine, all’azienda privata ed erano
uniformarmi a esso prima che venpoi stati dislocati in quella pubblica
ga espresso pubblicamente».
Le rivelazioni sulla
con compiti di riguardo.
È il fenomeno del “conformismo
“concertazione” tra Rai
L’opinione media è stata sensibipreventivo”.
Non esiste solo nel
e Mediaset invitano a
lizzata sul caso e ne sono emerse
giornalismo.
Riguarda
politica, immeditare sulle abitudini
prese,
mondo
religioso
e associatidue posizioni: il rifiuto della meravidiffuse tra gli operatori
vo.
Appanna
il
sentimento
di libertà
glia («certe cose sono sempre accadell’informazione.
e
alimenta
per
mille
rivoli
il grande
dute»); la denuncia della concertaIn Italia, oltre
mare
della
tranquillità
che
è
rapprezione premeditata, se non del comall’eccezione del “canale
sentato
da
un
costume
di
adeguaplotto politico-mediatico. Ma già in
unico”, scontiamo
mento acritico. Malanno sempre
un’epoca in cui non esistevano né
anche un deficit
radio né televisione, un analista acgrave, che nella tv ottiene uno
di “fattore umano”
creditato come Carlo Marx sentenstraordinario effetto deformante.
ziava che “attraverso la stampa il
Il mondo delle immagini è per sua
potere ascolta se stesso”. Non è detto che per ottenere lo natura esposto alla manipolazione culturale e tecnologica.
scopo sia sempre necessario stabilire un rapporto tra Si pensi all’importanza del “montaggio” nel film. Anteporchi emette le direttive e chi le esegue. Accadeva ai tem- re un’immagine a un’altra muta il senso della sequenza.
pi del fascismo, con il Minculpop (Ministero della cul- Presentare un personaggio “in favore di camera”, ben illutura popolare), che ogni giorno trasmetteva ai giornali minato e purificato dai difetti fisici, o confezionare il “panile disposizioni del regime: dare o non dare una notizia, no” delle notizie in modo che l’ultima parola tocchi all’invalorizzarla o minimizzarla, stabilendo pure l’ampiezza terlocutore preferito: mille sono le opzioni praticabili, per
dei titoli; e per facilitare il compito degli addetti inviava rendere l’insieme funzionale a una finalità specifica.
le “veline”, che non erano ragazze svestite, ma tracce di
Nei casi recentemente venuti alla luce, accanto alargomenti da svolgere per indottrinare le masse.
l’eccezione italiana, che porta alla logica del “canale
Oggi tutto è cambiato e non si ricorre più a tecniche unico” per influsso della non risolta sovrapposizione di
tanto invasive. Il potere, beninteso, continua ad ascoltare poteri, c’è dunque anche un deficit di “fattore umano”.
se stesso, ma lo fa con mediazioni più sofisticate o, se si Giornalisti vittime delle circostanze, e/o parti attive?
vuole, personalizzate. Ed è questo il punto su cui concen- Conviene meditare.
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panoramacaritas
PILLOLE MIGRANTI
Italia “bocciata”
per l’asilo, convenzione
contro la tratta
RAPPORTO ENAR: L’ITALIA DISCRIMINA I ROM. Critiche all’Italia
per i campi nomadi, considerati ghetti veri e propri, arrivano
dall’Enar (Rete europea contro il razzismo), che in un rapporto
diffuso a fine 2007 denuncia l’aumento di organizzazioni e partiti
estremisti nella Ue. Oltre 600 organizzazioni non governative (ong),
riunite nell’Enar (Rete europea contro il razzismo), hanno
denunciato un aumento notevole di organizzazioni e partiti
estremisti nei paesi aderenti, nonostante “l’effetto positivo”
della direttiva sull’eguaglianza razziale nell’Unione.
ASILO, ITALIA E SEI PAESI INADEMPIENTI RISPETTO
ALLE NORME UE. L’Italia e altri sei paesi europei non applicano
le norme europee sui centri di accoglienza, previste nella direttiva
2003 sul diritto di asilo. È quanto emerge dal rapporto
della Commissione europea sull’applicazione delle regole Ue.
Complessivamente, “la direttiva è stata trasposta in modo
soddisfacente nella maggior parte degli stati membri”
e, contrariamente al diffuso timore che l’armonizzazione delle
norme sul diritto d’asilo avrebbe abbassato gli standard, “solo tre
stati membri hanno abbassato in settori particolari le condizioni
di ricezione, mentre altri dodici li hanno migliorati”. Secondo
la Commissione, “le informazioni ai richiedenti asilo sui diritti
e i doveri sono generalmente fornite, tuttavia la consegna in tempo
della documentazione e la predisposizione di centri di accoglienza
capaci rimangono una sfida per molti stati”. A non applicare
le norme sui Cpt, oltre all’Italia, sono Gran Bretagna, Belgio,
Olanda, Polonia, Lussemburgo e Cipro.
IN VIGORE CONVENZIONE SULLA LOTTA ALLA TRATTA.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro
la tratta di esseri umani entra in vigore il 1° febbraio 2008,
in seguito alla ratifica da parte di Cipro, decimo stato
a siglarla. Terry Davis, segretario generale del Consiglio,
ha ribadito che «la Convenzione usa intenzionalmente la mano
forte nei confronti dei trafficanti e fa la differenza per le vittime,
che beneficeranno di un grande aiuto a tutela dei loro diritti
fondamentali». Aperta a tutti i paesi europei (non solo Ue)
e anche a paesi non europei, la convenzione prevede misure
di assistenza obbligatoria e un periodo di recupero di almeno
trenta giorni per le vittime; la possibilità di rilasciare permesso
di soggiorno alle vittime non solo in ragione della loro cooperazione
con le forze dell’ordine, ma anche per motivi umanitari;
la possibilità di punire penalmente i “clienti”; una clausola
che prevede la possibilità di non punire le vittime di tratta.
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FEBBRAIO 2008
CARITAS
32° Convegno
ad Assisi
a fine giugno
Sono stati definiti data
e luogo di svolgimento
del 32° Convegno nazionale
delle Caritas diocesane.
Il tradizionale appuntamento,
che raduna i rappresentanti
dei 220 organismi attivi
nelle diocesi di tutta Italia,
si svolgerà dal 23 al 26 giugno
a Santa Maria degli Angeli
(Assisi). I lavori si svolgeranno
principalmente nel Teatro
Lyrick della località umbra.
Titolo, programma e ospiti
del Convegno verranno definiti
nelle prossime settimane;
l’assise sarà comunque
dedicata a portare
a compimento le riflessioni
maturate, durante l’anno
pastorale Caritas,
sul tema “Animare al senso
di carità attraverso le opere:
conoscere, curare,
tessere in rete”.
KENYA
Dai vescovi
appello al dialogo,
Caritas in azione
Le violenze scoppiate in Kenya
a fine dicembre, all’indomani
delle elezioni politiche, il cui
esito ha contrapposto (anche
su base etnica) i sostenitori
del presidente Mwai Kibaki
e dello sfidante Raila Odinga,
hanno creato grande
apprensione anche
IMMIGRAZIONE
Legalità:
il caso
della Romania
L’Ufficio nazionale
per i problemi sociali e il lavoro
della Cei organizza, venerdì
8 febbraio, un incontro
sul tema “Immigrati e legalità.
Il controverso caso della
Romania”. L’incontro,
in programma a Roma
a Villa Aurelia, durerà un’intera
giornata e sarà l’occasione
tra le altre cose per presentare
un volume sull’argomento,
che la redazione del Dossier
statistico immigrazione CaritasMigrantes sta preparando.
ARCHIVIUM
Durante la mattinata si parlerà
di flussi migratori dalla
Romania, nel pomeriggio
la discussione sarà incentrata
sulla questione-rom.
In entrambe le sessioni,
porteranno la loro esperienza
rappresentanti di Caritas
Spagna e Caritas Romania.
INFO www.chiesacattolica.it/
lavoro
negli ambienti ecclesiali
del paese. All’inizio dell’anno,
mentre gli scontri
si diffondevano, i vescovi
del paese hanno inviato
ai leader politici coinvolti
un appello alla responsabilità
e a mettere da parte
la violenza, affinché ogni
controversia sia chiarita
con il confronto e il dialogo.
Nel frattempo Caritas Kenya,
mettendo a frutto la sua
presenza capillare nel territorio
nazionale, ha intrapreso
interventi a favore delle vittime
e degli sfollati a causa degli
scontri, concentrando l’azione
Il primo vescovo-presidente
«Dobbiamo animare,
anche nell’emergenza»
“Archivium”. Una rubrica per “rileggere” la storia della carità,
soprattutto di Caritas Italiana (del cui archivio storico il riordino
è in fase d’avvio) e delle Caritas diocesane: figure, opere
e parole che continuano a essere “memoria viva”.
e gli aiuti soprattutto
nelle diocesi di Bungoma
ed Eldoret. «C’è bisogno
urgente di beni di prima
necessità e di sostegno
psicologico», ha dichiarato
sin dai primi giorni Janet
Mangera, direttrice di Caritas
Kenya, con la quale Caritas
Italiana si è mantenuta
in costante contatto nei giorni
dell’emergenza. Caritas Kenya
fa parte di un gruppo di lavoro
interreligioso di agenzie
umanitarie, che coordinano
il loro lavoro a favore
delle vittime dell’emergenza:
Caritas Italiana (che da anni
accompagna alcuni progetti,
nelle baraccopoli di Nairobi
e nella diocesi rurale
di Bungoma, rivolti ai malati
di Aids e per generare
opportunità di lavoro),
sosterrà anche gli interventi
a favore delle vittime
delle violenze post-elezioni.
SERVIZIO CIVILE
S. Massimiliano,
largo ai pensieri
dei giovani
Si svolgerà a Reggio Emilia,
il 12 marzo, ricorrenza di
San Massimiliano di Tebessa,
martire per obiezione
di coscienza, l’incontro
nazionale rivolto ai giovani
in servizio civile. Promosso
I GIOVANI CHE SERVONO
Quest’anno a Reggio Emilia,
l’anno scorso (nella foto,
l’accoglienza) fu a Cassino:
i giovani in servizio civile
il 12 marzo festeggiano
con un’assemblea la memoria
di San Massimiliano
da Caritas Italiana e dalle
altre realtà aderenti al Tavolo
ecclesiale per il servizio civile,
l’incontro avrà come tema
il messaggio del papa
per la Giornata mondiale
della Pace (“Famiglia umana,
comunità di pace”), ma farà
memoria anche della figura
di don Giuseppe Dossetti,
a 60 anni dall’entrata in vigore
della Costituzione Italiana.
La novità dell’incontro 2008
è la proposta ai giovani
di elaborare lavori in forma
libera (audio, video, foto,
testi scritti, rappresentazioni
artistiche, purché dotati
di una versione pubblicabile
in internet), che consentano
di approfondire i temi
del messaggio di Benedetto
XVI e raccontare esperienze,
incontri o riflessioni effettuati
nel corso del servizio.
I contributi vanno inviati entro
il 20 febbraio all’Ufficio servizio
civile di Caritas Italiana:
ne saranno scelti tre, che
saranno presentati durante
l’incontro di Reggio Emilia.
Gli altri saranno resi disponibili
tramite il sito esseciblog.it.
Un protagonista della storia ecclesiale italiana recente.
È uscita la prima biografia di monsignor Giuseppe Motolese
(1910-2005), scritta da Vittorio De Marco (Gugliemo Motolese.
Un vescovo italiano del Novecento, S. Paolo, Cinisello B., 2007).
Il volume dedica alcune pagine (232-241) agli anni in cui
Motolese fu chiamato, nell’aprile 1976, a essere il primo
presidente vescovo di Caritas Italiana. La sua nomina fu
interpretata come segno di stima nei confronti dell’organismo,
che compiva i suoi primi cinque anni di vita, da parte della Cei.
Nel primo intervento nel Consiglio nazionale (24 novembre
1976), monsignor Motolese ricordò l’importante ruolo
di coordinamento della Caritas. E il valore come strumento
per interpretare l’esigenza conciliare di un nuovo dialogo tra
Chiesa e mondo: “Senza la Caritas, la Chiesa in Italia sarebbe
una Chiesa povera, non ancora perfettamente matura e docile
nel vivere il precetto del Signore, nell’essere Sua presenza
storica. Sarebbe cioè una Chiesa non ancora del tutto aperta
al mondo”. Per questa ragione, Motolese sognava per ogni
diocesi e tra parrocchie una “scuola della carità”, strumento
di formazione al senso personale ed ecclesiale del gesto di carità.
L’impegno come presidente di Caritas Italiana si protrasse
fino al 1981. In quei cinque anni il vescovo di Taranto
si innamorò della Caritas, che accompagnò in anni difficili
per la vita politica e sociale italiana, nella scelta del servizio
civile, nella prima indagine sulle opere socio-assistenziali (1979).
Condivise anche numerosi viaggi, dopo i terremoti di Romania
(1977) e Guatemala (1978), un ciclone in India (1979),
nei campi profughi di vietnamiti e cambogiani in Malesia (1979)
e Tailandia (1980). In Italia, il suo impegno fu particolarmente volto
ad affrontare gli effetti del terremoto in Irpinia (novembre 1980).
Monsignor Motolese chiuse il suo mandato con una
preoccupazione bene espressa al Consiglio permanente
della Cei (12-15 ottobre 1981): “Questo spazio così ampio
riservato alle emergenze potrebbe dare della Caritas un’immagine
distorta, quasi fosse un’agenzia di aiuto nelle calamità, (…)
se non si tiene presente che l’animazione va fatta nella realtà
concreta della vita, che è fatta di semplici atti quotidiani
e anche di situazioni straordinarie (…): è comunque necessario
che le Caritas diocesane ricordino sempre la loro prevalente
funzione pedagogica, anche nelle emergenze”. Giancarlo Perego
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FEBBRAIO 2008
23
internazionale
progetti > diritto alla salute
MICROPROGETTI
“La famiglia nella realtà
della malattia”. È il tema
della Chiesa italiana
per la Giornata mondiale
del malato 2008, che
quest’anno coincide
con i 150 anni
dalle apparizioni
della Madonna a Lourdes.
Dal mondo della sanità
emerge una forte
domanda di speranza
e umanizzazione.
La Chiesa risponde
con una presenza
che è vicinanza alle famiglie
e agli ammalati, i quali
nella loro drammatica
condizione sperimentano
troppo spesso la solitudine
e la mancanza di assistenza.
Caritas Italiana, sostenendo
progetti sanitari nel mondo,
cerca di dare risposte concrete,
piccoli semi di speranza
che vanno accresciuti
e valorizzati.
[
Giamaica
> Costo 3.334 euro
> Causale MP 373/07 Vietnam
I TA L I A C A R I TA S
Camerun
GUINEA CONAKRY
FEBBRAIO 2008
In Guinea Conakry vi è la necessità di aumentare
la disponibilità di servizi sanitari per la popolazione
delle zone periferiche e favorire l’accesso alle cure mediche
da parte delle fasce sociali più povere. La chiesa cattolica
locale, in particolare la diocesi di N’Zérékoré, situata
nella zona forestale, è da anni impegnata in progetti sanitari
e ha recentemente completato, anche grazie ai fondi raccolti
dalla Chiesa italiana nel 2000, in occasione della campagna
per la remissione del debito, la costruzione di un centro
sanitario nella cittadina di Guecké. Caritas Italiana
si è resa disponibile ad accompagnare la fase di avvio
del piccolo ospedale, che prevede acquisto delle
CAMERUN
Accoglienza ai bambini dell’Aids
Il problema dell’Aids si manifesta in modo tragico
lungo le strade di Douala. Molti bambini, rimasti
orfani dei genitori, sono abbandonati a se stessi.
I bassi tassi di scolarizzazione e le continue morti
testimoniano la gravità del problema.
Una comunità parrocchiale ha deciso di reagire,
creando luoghi di accoglienza e di ascolto
per i bambini vittime dell’Aids. Il programma
prevede l’acquisto di strumenti utili
al funzionamento del progetto.
> Costo 5.523 euro
> Causale MP 377/07 Camerun
Un centro sanitario
nella zona delle foreste
]
|
Vietnam
Guinea
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VIETNAM
Pulire l’acqua per evitare epidemie
La popolazione di Ba My non dispone di acqua
potabile. Gli abitanti usano abitualmente l’acqua
dei fiumi o dei pozzi, molto sporca e infettata
da sostanze tossiche, escrementi di animali
o pesticidi usati in agricoltura. Durante la stagione
estiva, il sale e l’allume contribuiscono non poco
a peggiorare l’inquinamento delle falde.
Tutto ciò si ripercuote sulla salute degli abitanti
del villaggio, specialmente delle fasce più deboli
(bambini e anziani). Il programma prevede
l’acquisto e l’installazione di uno sterilizzatore
per l’acqua e la costruzione di due cisterne
per far fronte alle continue epidemie.
attrezzature, selezione del personale e avvio vero
e proprio delle attività. Il centro sanitario potrà garantire
la disponibilità di una trentina di letti per i ricoveri,
la presenza di un medico residente e un blocco operatorio
in grado di far fronte alla piccola e media chirurgia,
sia generale, sia ostetrica. Ogni anno potranno essere
effettuati almeno 250 interventi, fornite cure ospedaliere
ad almeno 800 degenti, effettuati circa 250 parti
in sicurezza; inoltre si prevedono diverse migliaia di visite
in ambulatorio.
> Costo 50 mila euro
> Causale Guinea Conakry / Centro sanitario Guecké
GIAMAICA
Medicinali per gli indigenti
Il piccolo centro sanitario di Magotty è a servizio
dei poveri della zona. Le suore infermiere
che lo gestiscono fanno quello che possono,
soprattutto per gli interventi d’urgenza.
Il programma prevede l’acquisto di uno stock
di medicinali di prima necessità, destinati
ai bambini e alle mamme indigenti del villaggio.
> Costo 3.811 euro
> Causale MP 401/07 Giamaica
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internazionale
contrasti americani
IL CONFINE COLABRODO
SULL’ISOLA DIVISA IN DUE
di Paolo Beccegato
foto di Ana Becares
IL PRESENTE NEL FANGO
Una delle strade principali verso il centro di Haiti.
Il pessimo stato della logistica è uno dei fattori
frenanti dello sviluppo del paese caraibico
assare la frontiera di Malpasse è come saltare di colpo da un cielo paradisiaco a un girone infernale. L’isola
Quisqueya (Hispaniola all’epoca delle colonie, ma agli haitiani non piace chiamarla così: qui fece il suo primo sbarco Cristoforo Colombo) è spezzata in due. Non c’è un muro a separare la Repubblica Dominicana
da Haiti, neppure canali o fossati, ma è come se ci fossero tutti. Presidiata non solo dalla polizia nazionale,
ma spesso dall’esercito dominicano, sorvegliata talvolta anche dai novemila caschi blu Onu (la missione Minustah) e dalle stesse forze di polizia di Haiti, la frontiera che separa i due paesi è un colabrodo. Ogni sforzo
è inutile. Giorno e notte decine, centinaia di haitiani – nessuno sa quanti con precisione – fuggono: da povertà e violenze, da crisi cicliche, da mancanza di sicurezza, da armi e omicidi quotidiani (140 morti ammazzati solo tra
gennaio e marzo 2007, più della metà nel quartiere Martissant della capitale haitiana Port-au-Prince). È un flusso continuo,
crescente, non regolamentato, che va ad alimentare la massa di immigrati irregolari haitiani sparsi ormai in tutta la Repubblica Dominicana, non solo nella capitale Santo Domingo. Forse non si passa dal cielo più alto del paradiso dantesco,
e neppure si finisce nel girone più profondo, ma il viaggio tra i due paesi che si dividono il territorio della stessa isola caraibica – dal sud-est turistico e ridente, dai dintorni di La Romana e San Pedro de Macorìs, via via lungo la piacevole costa del
sud, passando per Bani, Barahona, verso ovest, poi salendo su ancora verso l’incantevole lago Enriquillo, fino allo stridente impatto con il confine haitiano, nell’interno brullo e incolto dell’isola, con uomini che scavano in cave di pietra anche a
mani nude, tra odori maleodoranti, baracche fatiscenti, strade sconnesse, acquitrini e vaste aree ancora inondate dall’uragano Noël –, questo viaggio fa certamente capire che qualcosa non va. Perché un baratro tanto abissale?
P
Semischiavi nelle batayes
Quisqueya, la Hispaniola
di Cristoforo Colombo,
“ospita” due stati,
Repubblica Dominicana
e Haiti. Il primo si sviluppa
a ritmi asiatici, il secondo
rimane il più povero
delle Americhe.
Così i flussi migratori
si fanno imponenti...
La Repubblica Dominicana viaggia con tassi di crescita
economica notevoli, 8,2% all’anno, secondi (nell’area delle
Americhe) solo a Panama, roba da far invidia alle ruggenti
Tigri asiatiche. Nove milioni di abitanti su una superficie
pari a quella di Lombardia e Piemonte, indicatori socioeconomici rassicuranti, anche se il divario ricchi-poveri
cresce e sacche di disagio non mancano. I quartieri poveri
di Santo Domingo, soprattutto quelli lungo il fiume e a ridosso del mare, ne sono un esempio. Ma il gruppo sociale
più povero è proprio quello degli immigranti haitiani.
È certamente la questione delle questioni. Gli haitiani
sono più di un milione e mezzo, forse due, nessuno vuole
dirlo con precisione, perché parlarne implicherebbe prendere poi decisioni politiche concrete, sicuramente assai
complesse. Lavorano nei settori più sgradevoli: edilizia,
agricoltura, le donne spesso come collaboratrici domestiche. Molti minori, purtroppo, finiscono nei giri del commercio del sesso infantile. I diritti dei migranti haitiani sono
lesi a tutti i livelli: sono talvolta malnutriti, non ricevono cure mediche adeguate, non partecipano alla vita politica, sociale e culturale del paese, il loro reddito è normalmente inferiore del 60% rispetto alla media nazionale. Eppure partecipano al progresso del paese: stanno scavando la prima
metropolitana di Santo Domingo, si scorgono sulle impalcature o a picconare edifici da ristrutturare. Nella maggior
parte dei casi, però, lavorano nelle piantagioni di canna di
zucchero, le cosiddette batayes, in condizioni definite dalla
Confederazione sindacale internazionale di semischiavitù,
dove guadagnano 1,5 dollari al giorno e in qualche caso
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internazionale
contrasti americani
non vengono pagati affatto.
Così l’Onu ha inviato, a fine ottobre 2007, due ispettori
nella Repubblica Dominicana, un relatore speciale sul razzismo, Doudou Diené, e una relatrice sui diritti delle minoranze, Gay McDougall, proprio per analizzare il trattamento riservato agli haitiani immigrati nel paese. Il verdetto? Il
rapporto è appena stato consegnato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: razzismo sì, xenofobia no. “È assolutamente indispensabile che la Repubblica Dominicana riconosca l’esistenza del razzismo e adotti politiche per combatterlo”, hanno concluso lapidariamente i due ispettori.
L’ambasciatore haitiano a Santo Domingo si è affrettato a
precisare che “i rapporti tra i due paesi sono ottimi e gli haitiani sono trattati con ospitalità e accoglienza dagli amici
dominicani”. Anche il ministro degli esteri di Santo Domingo aveva bollato tutte le accuse al suo paese come “irresponsabili e frutto di una campagna diffamatoria”, già prima dell’arrivo degli ispettori. E il consigliere capo della missione dominicana all’Onu, Francisco Alvarez, ha ribadito
che i relatori del Palazzo di Vetro saranno sempre i benvenuti nel suo paese, ma ha qualificato il loro rapporto come
pregiudizievole: “In un paese dove l’80% della popolazione
è di ascendenza nera, non è possibile parlare di razzismo.
Neghiamo categoricamente che nella Repubblica Dominicana esista il razzismo o discriminazioni razziali”.
Raimundo senza pensione
Non va meglio con la logistica, i trasporti e la viabilità. Raggiungere il centro del paese, non lontano dalla frontiera dominicana, è un’avventura. Sconsigliata a chi soffre il mal
d’auto o ha premura. Finire fuori strada o bloccati nel fango, anche a bordo di jeep quattro per quattro, pullman o camion, non è un fatto sporadico. Si attraversano fiumi e frane: se piove il giorno prima, non conviene avviarsi. E così
l’economia, le produzioni e il commercio restano bloccati,
insieme ai mezzi di trasporto. E lo sviluppo non decolla. È
vero che dalla parte di Port-au-Prince hanno cominciato a
sistemarle, le strade, ma ai ritmi a cui si lavora ci vorranno
anni, sempre ammesso che la pace regga e il paese non ripiombi in una delle crisi politico-militari che ha scandito la
sua storia. E il nord, lungo la costa che porta da Port-de-Paix
a Cap Haitien, è ancora più arretrato, mentre il sud-ovest,
da Jeremie a Les Cayes, viene regolarmente colpito da catastrofi naturali (l’uragano Noël è stata solo l’ultima).
Così è inevitabile che Williams, padre haitiano e madre
dominicana, a 24 anni faccia il taxista a Santo Domingo e
non a Puerto Plata, parte est di Quisqueya, dove è nato. Come i suoi tre fratelli, insieme alla moglie e ai tre figli, è riconoscente e molto affezionato al padre Raimundo, ormai in
pensione. Almeno sulla carta: il vecchio infatti non percepisce nulla e vive solo grazie all’aiuto dei suoi ragazzi. Raimundo ha lavorato per vent’anni nella Repubblica Dominicana, dopo una fuga rocambolesca da Haiti, sempre senza
contratti regolari. Prima nelle piantagioni di canna da zucchero, poi – date le competenze e l’affidabilità – guidando at-
trezzi pesanti, trattori e ruspe. Più responsabilità e più stima,
ma la stessa carenza di diritti e tutele. Il salario non è mai cresciuto, così i quattro figli non hanno potuto frequentare regolarmente la scuola dominicana e hanno dovuto farsi da
sé. Papà Raimundo e mamma Noris hanno assicurato un
pezzo di pane a tutti, ma spesso in famiglia si stringeva la
cinghia. «Però non c’era scelta – commenta Williams –. Ad
Haiti avremmo fatto la fame, forse rischiato la vita…».
Così si torna alla frontiera: ci passa di tutto, è un groviera lungo 266 chilometri, che collega due mari. Impossibile
controllarla, giorno e notte, 365 giorni all’anno. Però numerose organizzazioni per i diritti umani denunciano che
manca una vera e propria politica migratoria tra i due paesi: le frequenti ondate di rimpatri forzati (3.600, tra settembre e ottobre 2007) di haitiani entrati illegalmente, tramite
reti di trafficanti e spesso su richiesta dei datori di lavoro dominicani, sono lì a dimostrarlo. Anche negli uffici delle dogane “ufficiali”, del resto, tutti sanno che il lunedì e il venerdì
si chiude un occhio. Così si incentiva ogni tipo di traffico: di
uomini, soldi e merci, droghe comprese. La Repubblica Dominicana non è l’unica destinazione della fuga in massa:
quasi un haitiano su tre ha lasciato il paese, mete ambite sono anche Stati Uniti, Guadalupe, Giamaica, persino Cuba.
Dall’inferno, anche se riscaldato dal sole delle Antille, finché
si può, conviene scappare.
Chiesa samaritana e di frontiera
la Caritas in aiuto delle donne
VITTIME DESIGNATE
l paese cresce, ma permangono forti tensioni,
perché non si dà risposta ai problemi dei poveri: disoccupazione, disuguaglianze sociali,
insicurezza. Però non bastano misure repressive, occorrono politiche sociali e sanitarie
più attente ai gravi bisogni della gente – afferma monsignor Pierre André Dumas, vescovo ausiliare di Port-auPrince e presidente di Caritas Haiti –. Lo stato sta rafforzando le istituzioni, ma quelle giudiziarie restano deboli.
Processi infiniti, detenzioni arbitrarie e prolungate, mancanza di certezza della pena. Bisogna invece dare speranza soprattutto ai giovani, incoraggiare la ripresa, cambiare
le regole dello sviluppo, favorire una vera giustizia sociale».
In chiave ecclesiale, monsignor Dumas osserva che «la
Chiesa haitiana deve andare verso la gente, con una pastorale che abbiamo definito “samaritana”: missionaria, di
materna per parto è altissima (solo il 24% delle nascite è seguito da personale sanitario qualificato); la malnutrizione
cronica è assai diffusa tra le donne incinte. E molte mamme per partorire sono costrette a scappare negli ospedali
appena oltre frontiera, anche passando il confine a piedi,
di notte, lungo il fiume Masacre, correndo inevitabili rischi.
Quanto ai bambini, solo il 60% frequenta la scuola, i
maschi per quattro anni e le bambine per la metà del tempo. Ne consegue che la metà della popolazione è completamente analfabeta. E il 20% dei bambini che muoiono
sotto i 5 anni in tutta l’America Latina sono haitiani.
Caritas Italiana sta dunque sostenendo un progetto di
20 mila euro nella diocesi di Hinche, che mira a organizzare gruppi di donne e consentire ad essi l’accesso al credito,
per l’avvio di microattività imprenditoriali. I risultati sono
fenomenali; questa azione verrà rafforzata.
«I
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Dove sta la verità? Difficile a dirsi. Certo è che se l’effetto calamita continua ad attrarre masse di haitiani in Repubblica
Dominicana, una ragione ci sarà. Ed è presto detta: povertà
e violenza. Haiti, prima repubblica nera del mondo, indipendente dall’inizio dell’Ottocento, nonostante gli indiscutibili passi avanti e la relativa stabilità che regna nel paese,
soprattutto da un anno e mezzo, resta un paese poverissimo, il più povero dell’America Latina. Quasi nove milioni di
abitanti, distribuiti su una superficie pari a poco più di
quella della Sicilia (una densità tra le più alte del centro
America), hanno una speranza di vita alla nascita bassissima: 53 anni, contro i 69 della Repubblica Dominicana. Il
53,9% della popolazione vive in povertà assoluta, con meno di un dollaro al giorno (sono solo il 2,5% nella nazione
confinante); il Pil pro capite annuo è di soli 400 dollari. Solo
il 40% dei ragazzi ha accesso ai servizi sanitari di base; la
percentuale di bambini vaccinati contro il morbillo nel primo anno di vita è meno della metà di quello registrato nell’Africa sub-sahariana (fonti Onu). Acqua potabile e corrente elettrica sono un privilegio per pochi.
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prossimità, di animazione, attenta alle piccole comunità,
capace di una rinnovata opzione per i più poveri».
Sull’isola Quisqueya, l’opera della Chiesa si fa sentire.
Le due Caritas nazionali, della Repubblica Dominicana e
di Haiti, oltre ai consolidati impegni nei settori educativo,
sanitario, agricolo, formativo, dello sviluppo integrale, delle emergenze (ultima l’uragano Noël, che ha colpito i due
paesi e il Messico), hanno avviato di recente un interessante progetto, denominato “Fronteras”, per coordinare le
sette diocesi situate lungo i due versanti del lungo confine,
al fine di fornire aiuti, assistenza giuridico-legale e formazione linguistica a migranti e richiedenti asilo, ma anche
per diffondere una mentalità di solidarietà e accoglienza.
Violenza domestica
Caritas Italiana sostiene il lavoro delle due Caritas. Oltre a
Le donne, insieme ai bambini,
sono spesso oggetto di violenze
domestiche ad Haiti. E la mortalità
materna per parto rimane altissima
finanziare microprogetti in varie diocesi dei due paesi (potabilizzazione dell’acqua, sviluppo agricolo, avvio al lavoro
dei giovani, assistenza sanitaria) e a sostenere interventi
umanitari in seguito alle ricorrenti crisi haitiane, negli ultimi anni si è concentrata su progetti per donne e bambini.
La violenza domestica nei loro confronti è un fenomeno che cresce di giorno in giorno, soprattutto ad Haiti, favorito dal contesto di instabilità e insicurezza . La mortalità
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internazionale
balcani inquieti
casa comune
DIRITTI, DOPPIO COLPO
ORA LA CARTA È VINCOLANTE
LA BOSNIA NON FUNZIONA,
LABIRINTO SENZA USCITA?
di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles
ffermare i diritti e poi verificarne il rispetto. È il significato
dell’uno-due assestato dall’Unione europea a metà dicembre, con la proclamazione ufficiale della Carta dei diritti fondamentali (di fatto “allegata” al nuovo Trattato di riforma) e con la
Relazione annuale sui diritti umani 2007.
Anzitutto la Carta, definita dai capi di stato e di governo dell’Ue a
Nizza già nel 2000, che assumerà valore vincolante con l’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona, il 1° gennaio 2009 (salvo ripensamenti
A
di eleggibilità alle elezioni del parlamento europeo, il diritto a una buona
amministrazione, il diritto di accesso
ai documenti e la tutela diplomatica
e consolare. Infine, sesto capitolo, la
“giustizia”, con la presunzione di innocenza, il diritto alla difesa e altri.
Ancora troppe violazioni
La Relazione annuale sui diritti umani per il periodo dal 1º luglio 2006 al
a livello comunitario). La Carta, per
30 giugno 2007, presentata all’Eurola quale Regno Unito e Polonia hanparlamento dalla presidenza di turno
Da gennaio sarà
no ottenuto deroghe di applicaziodel Consiglio Ue, ha invece il compivincolante il testo che
ne, riprende in un unico testo
to di “fornire una panoramica delle
afferma tutti i diritti
l’insieme dei diritti civili, politici,
attività dell’Unione europea” nel setdei cittadini Ue e di chi vi
economici e sociali dei cittadini eutore e verificare l’efficacia delle azioni
risiede: sei capitoli, dalla
ropei e di coloro che vivono nel tercomunitarie presso i paesi terzi. Il tedignità alla giustizia.
ritorio dell’Unione.
sto esamina gli sviluppi – nel vasto
Intanto presentata
Tali diritti sono raggruppati in sei
campo dei diritti – all’interno dell’Ula Relazione sui diritti
nione e focalizza una lunga serie di
grandi capitoli, preceduti da un
umani. In attesa di un
questioni tematiche relative anche a
preambolo che fa riferimento ai valo“tribunale mondiale”…
ri comuni su cui si fonda l’Unione. Il
paesi “vicini di casa” dell’Ue oppure
“titolo primo” è dedicato alla “dipresenti in altri continenti.
gnità” dei cittadini e comprende, fra
Tra le “questioni tematiche”, la regli altri, diritto alla vita, diritto all’integrità della persona, lazione si concentra sulla pena di morte (applicazione,
proibizione della tortura, proibizione del lavoro forzato. Il moratorie, abolizione), sulle violazioni dei diritti dei bamsecondo capitolo è quello delle “libertà”: rispetto della vi- bini e delle donne, sulla tratta degli esseri umani, sui prota privata e della vita familiare, diritto di sposarsi e di co- blemi legati al rispetto dei migranti, delle minoranze, dei
stituire una famiglia, libertà di pensiero, coscienza e reli- disabili. Osservazioni specifiche riguardano poi le (ancora
gione, di espressione e informazione, di riunione e asso- molte) violazioni dei diritti in vari stati, fra cui Turchia,
ciazione, diritto all’istruzione...
Azerbaigian, Moldova, Bielorussia, Territori palestinesi,
L’“uguaglianza” è il titolo terzo della Carta: uguaglian- Israele, Libia. Lunghi i paragrafi incentrati su Russia e Ciza davanti alla legge, non discriminazione, diversità cultu- na. In aumento i riferimenti al mancato rispetto delle lirale, religiosa e linguistica, parità tra donne e uomini, di- bertà religiose.
ritti dei minori e degli anziani, inserimento delle persone
Resta però una questione aperta: una volta denunciacon disabilità. Nel quarto capitolo, sulla “solidarietà”, rien- to il mancato rispetto di tali diritti fondamentali, non esitrano i diritti dei lavoratori, la sicurezza e l’assistenza so- ste ancora un “tribunale mondiale” in grado di farli rispetciale, la protezione della salute. Nel quinto ambito, sulla tare veramente, prevedendo pene e sanzioni in caso con“cittadinanza”, si inscrivono ad esempio il diritto di voto e trario. Un traguardo destinato a rimanere un sogno?
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servizi e foto di Daniele Bombardi
U
no stato fantasma. Un paese che esiste solo sulle cartine geografiche. Un protettora- SPERARE,
to moderno. In questi e in tanti altri modi viene descritta oggi la Bosnia e Erzegovi- UN AZZARDO?
Giovani guardano
na (BiH), paese uscito dodici anni fa dalla più tremenda guerra che l’Europa abbia Sarajevo
da un’altura
conosciuto dal 1945 a oggi.
È arduo sintetizzare l’incredibile complessità di questa terra. La BiH è un paese circostante.
Il futuro del paese
con tre popoli: serbi, croati e bosniaci. Per rispettare la rappresentanza etnica di cia- è un’incognita,
scuno, è stato formato un governo nazionale che ha tre presidenti (uno per etnia), tre primi mi- il 66% di loro
nistri, tre ministri dell’economia, tre della giustizia e così via... Ogni membro delle “trojke” ha il vuole emigrare
all’estero
potere di veto sugli altri, per cui la stragrande maggioranza delle proposte di legge viene bloccata sul nascere: non c’è, quindi, una linea di governo, non ci sono decisioni prese in maniera continuativa. Uno stato fantasma, appunto.
Ma non basta: il paese è diviso in due “entità” ammi- Due popoli, tre presidenti, cinque
nistrative. Nella metà orientale c’è una repubblica (la Republika Srprska) a prevalenza serba, con un suo governo livelli di governo, il “protettorato”
locale, un suo presidente, i suoi ministri. Nella metà oc- europeo. L’assetto istituzionale della
cidentale c’è invece una federazione (la Federazione BiH sembra fatto apposta per frustrare
musulmano-croata) divisa in dieci cantoni, a prevalenza
bosgnacca e croata, con un governo federale e un gover- ogni tentativo di sviluppo. A partire
no per ogni cantone. E poi le municipalità, anello infe- da quelli attuati da ong e società civile
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balcani inquieti
riore della catena di governo, con sindaci e assessori. Totale: quattro milioni scarsi di abitanti, cinque livelli di governo, cento ministri. Il
caos istituzionale. Un paese che esiste solo sulle cartine geografiche, appunto.
E sopra a tutto, come se non bastasse, troneggia un Alto rappresentante dell’Unione europea
(in questo momento lo slovacco Lajcak) che ha
amplissimi poteri: bloccare leggi, proporre decreti, rimuovere politici che lui considera non
adatti. La gente dice della BiH che non si autogoverna, è uno slovacco a fare il bello e il cattivo
tempo. E che questa terra è un protettorato moderno, un protettorato Ue.
Pace, un nome fittizio
L’attuale forma di questo paese è ancora quella
stabilita nel 1995 a Dayton, con gli Accordi che
chiusero la guerra jugoslava. La comunità internazionale (Usa e Ue in testa) li ha fortemente voluti e sottoscritti, e li ha chiamati Accordi di pace.
Ma tutti in BiH sanno quanto sia fittizio questo nome: Dayton ha sì fermato la guerra, bloccando le aggressioni, ma
non ha creato le condizioni per costruire la vera pace.
La BiH è, insomma, un paese che non funziona. A dodici anni dal conflitto, non ha un governo che decida, non
vanta incoraggianti indici di crescita economica, non presenta sintomi di sviluppo sociale, non ha suturato le ferite
emotive e psichiche, né riappacificato gli animi delle persone e le relazioni tra le comunità. Le conseguenze sono
evidenti. Una su tutte: nell’intera area balcanica più o meno tutti i paesi hanno iniziato il loro cammino verso l’Ue.
La Slovenia è già entrata, la Croazia è prossima, Serbia e
Macedonia stanno completando le riforme necessarie.
Perfino il Montenegro, nato nemmeno due anni fa, ha già
intrapreso con velocità il lungo cammino verso
l’adesione. La BiH no: è uno stato senza autentico governo e non è riuscito nemmeno a raggiungere gli standard
minimi richiesti dall’Unione per avviare la pratica.
La complessità del sistema non si traduce solo nel
mancato funzionamento del quadro istituzionale. Il peso
di questo stallo lo portano sulle proprie spalle anche gli ultimi, i soggetti più vulnerabili. Senza crescita economica,
il 40% della popolazione è senza lavoro. In assenza di sviluppo sociale, gli anziani ricevono pensioni da 50 euro al
mese. Privi di futuro, i giovani appena possono scappano
dal paese (secondo recenti sondaggi, il 66% dei ragazzi
della BiH vuole emigrare all’estero). Incerta la riappacifi32
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FEBBRAIO 2008
L’INVERNO DEL LORO DISORIENTAMENTO
Sguardo di un bambino da un’auto, una bambina in una fattoria:
il lentissimo sviluppo sociale della BiH minaccia il loro futuro
cazione, le tensioni interetniche e interreligiose sono all’ordine del giorno. La povertà, o meglio le povertà della
BiH, hanno ancora dimensioni spaventose: secondo recenti stime delle principali agenzie internazionali, oltre il
25% della popolazione vive sotto la soglia di indigenza. Si
tratta di oltre un milione di cittadini, quasi 200 mila dei
quali sono ancora profughi o internal displaced persons:
persone che, a tredici anni dalla fine della guerra, non sono ancora potute rientrare nella propria casa. Due settimane fa un mercato di Sarajevo è stato preso d’assalto
perché la gente non riusciva più a comprarsi nemmeno il
pane e l’olio, lievitati a prezzi insostenibili.
Strategie di disimpegno
Ma c’è qualcosa che rende questo scenario ancora più
preoccupante. La BiH sta infatti mettendo a dura prova
anche il settore dell’iniziativa sociale, le organizzazioni
umanitarie, la cooperazione allo sviluppo. Sta mettendo
alla prova lo stesso lavoro di Caritas.
Uno sviluppo sostenibile ha, infatti, una condizione
essenziale: che le azioni degli enti sociali e delle ong non
si fermino all’assistenzialismo, ma servano anche a migliorare la capacità di governance delle istituzioni pubbliche (a livello locale, regionale e nazionale). Ciò significa,
nel concreto, fare due cose. Anzitutto lavorare sulle istituzioni: non basta, cioè, dare aiuti ai poveri, ma occorre fare
lobbying presso i decisori politici, fare advocacy dei diritti
degli ultimi nei confronti delle istituzioni, spingere affinché esse adottino nuove strategie d’intervento. Tutto questo, ovviamente, presuppone che le istituzioni esistano e
abbiano il potere di intervenire. Proprio ciò che manca in
BiH: non esistono istituzioni funzionanti, non c’è chi abbia il potere di decidere, non ci sono soldi per implementare strategie e cambiamenti; se anche qualcuno vuole
cambiare qualcosa, ci pensano i livelli successivi di gover-
no a bloccare il suo operato. In
questo quadro, le stesse ong internazionali, sconfortate da anni di
risultati limitati, hanno lasciato e
stanno ancora lasciando il paese:
progetti che chiudono e strategie
di uscita dal paese sono sempre
più frequenti. Un circolo vizioso.
Preoccupante.
In secondo luogo, per attuare la
funzione pedagogica bisogna promuovere un lavoro culturale. Perché se lo stato non risponde, società civile e comunità devono
sopperire alle carenze istituzionali.
Per questo è importante stimolare
la partecipazione alla vita civile,
educare alla solidarietà, promuovere un’attenzione speciale verso
certi temi. La popolazione della
BiH, però, in dodici anni ha perso
fiducia e voglia di mettersi in gioco. Lo conferma monsignor
Pero Sudar, vescovo vicario di Sarajevo: «Siamo stati e siamo
continuamente sottoposti a tre prove durissime. La prova
del sangue, quando in guerra eravamo a rischio di essere
uccisi in ogni momento; la prova del pane, perché abbiamo
sofferto la fame; la prova della speranza, perché da 15 anni
viviamo senza attese di futuro. E non so – è l’amara conclusione – quali di queste prove sia la più terribile...».
Enti immobili, fondi mancanti
ma Ivana non smette di sorridere
Centri per disabili a Mostar, progetti agricoli a Ostra Luka. Anche le iniziative
“dal basso” sono penalizzate dalle contraddizioni del quadro istituzionale
i sono due vicende che raccontano bene la Bosnia ed Erzegovina di oggi. Storie di persone e
gruppi che si trovano a lavorare nel “labirinto
senza uscita” che è questo paese. Non hanno
perso la speranza di cambiarlo in meglio. Ma
non sono ancora riusciti a trovare risposte ai bisogni e alle attese di cui sono portatori.
La prima storia arriva dal capoluogo dell’Erzegovina,
Mostar, città divisa per antonomasia: di qui i croati cattolici, di là i bosgnacchi musulmani. Separati da una guerra
C
fratricida, che ha distrutto i legami tra le persone e secoli
di convivenza. La Caritas diocesana lavora per cercare di
rispondere alle numerose povertà (economiche, sociali,
relazionali, umane) presenti in città e nei dintorni. C’è un
settore in cui ha deciso di lavorare con più forza e attenzione: la disabilità. Ultimi tra gli ultimi, in questa terra:
“due volte disabili”, perché ai bisogni personali si aggiungono sovente le discriminazioni sociali. L’ambiente sociale, infatti, spesso preferisce nasconderli, invece di provare
a reinserirli. Nel paese non esistono centri pubblici per la
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balcani inquieti
guerre alla finestra
L’IMPEGNO CARITAS
L’impegno di Caritas Italiana (e di molte Caritas diocesane italiane)
in Bosnia e Erzegovina (BiH) è cominciato nei primi anni Novanta, come risposta
ai bisogni materiali del periodo bellico (1992-1995). Con il tempo, l’approccio
ha cercato di uscire dall’emergenza per dare risposta ai problemi di medio-lungo
periodo. È stata dunque supportata la crescita della Caritas locale, a livello nazionale,
diocesano e parrocchiale; ancora oggi c’è una forte attenzione allo sviluppo delle
strutture parrocchiali mediante il programma regionale “Parish social ministry”.
Rimane forte anche l’attenzione ai temi della promozione del volontariato,
anche grazie all’azione in loco di due caschi bianchi italiani in servizio civile.
Con il progetto sulla pace e la riconciliazione si è cercato di dare un supporto completo
alle associazioni delle vittime di violenza e dei familiari di scomparsi durante la guerra.
Dal 2001 si è investito anche nel reinserimento sociale e lavorativo dei rifugiati,
dei rientrati e delle minoranze, mediante un progetto di sviluppo agricolo rivolto
a questi gruppi emarginati. In collaborazione con la provincia di Bolzano, è stato avviato
un progetto di inserimento lavorativo dei giovani emarginati e disoccupati del paese.
A livello nazionale, Caritas BiH sviluppa autonomamente progetti di lotta
al traffico di esseri umani, assistenza domiciliare agli anziani e promozione di scuole
di pace, interreligiose e di volontariato.
comunità. Ivana non perde né il
sorriso né la dolcezza. Ma c’è molto ancora da lavorare, affinché
non li perda in futuro.
Chi paga l’atomizzatore?
Un altro caso emblematico riguarda la Bosnia centrale. Riguarda un
progetto, promosso da Caritas Italiana e dalla Caritas diocesana di
Banja Luka, che offre sostegno ai
rientrati e alle minoranze etniche
(che non trovano lavoro, né pubblico né privato, perché discriminate), donando materiali per
l’agricoltura e la formazione.
L’obiettivo è creare occupazione
stabile nel settore agricolo, coinvolgendo anche le istituzioni locariabilitazione dei bambini e degli
li, per far sì che ciò diventi una poadulti speciali.
licy delle municipalità, agevolanIvana è una di loro: diciotto ando il rientro di famiglie fuggite e
ni, affetta da sindrome di down,
dando loro sicurezza sociale.
ma anche da un sorriso contagioIl progetto si sviluppa anche in
so e da una dolcezza incredibile.
un piccolo comune al confine tra
Da anni è utente di due dei centri
la Federazione musulmano-croache Caritas Mostar è riuscita a
ta e la Republika Srprska, Ostra
creare nel territorio: un centro
Luka: era il fronte, una decina di
diurno per la riabilitazione di
anni fa. Lì si lavora soprattutto
bambini e ragazzi in età scolare,
sulla produzione della frutta, perun laboratorio di ceramica come NÉ FONDI NÉ LEGGI
Attività in uno dei centri per disabili di Caritas
ché il terreno è fertile e ci sono
terapia lavorativa.
Mostar, poco sostenuto dalle autorità locali
enormi spazi di sviluppo.
Ivana ha fatto fatica ad andare
Qualche mese fa, proprio dalla municipalità di Ostra
a scuola, perché le strutture pubbliche speciali a Mostar
sono carenti. Caritas allora ha deciso di prendersi cura di Luka, è giunta a Caritas una richiesta: occorre acquistare
lei, della sua crescita scolastica e lavorativa. Ma soprattut- un atomizzatore da mettere a disposizione (a un prezzo
to umana: gli operatori assicurano attenzione e compren- minimo) dei produttori di frutta che Caritas supporta.
sione in ogni momento dell’animazione, dell’insegna- Idea ottima: la municipalità propone finalmente un’attività a favore di tutte le famiglie della comunità, facendosi
mento, del lavoro. A lei e ad altre decine di persone.
Ma per Ivana, e per gli altri ragazzi come lei, le istituzio- carico dell’acquisto (il costo dell’apparecchio, 700 euro
ni cosa fanno? Praticamente nulla: un sostegno economi- circa, è proibitivo per qualsiasi singolo coltivatore). Ma ecco simbolico per il laboratorio, nessun altro finanziamen- co il fatto incredibile: quando si valuta come acquistarlo,
to concreto, nessuna riforma legislativa adeguata. I motivi si scopre che il costo dell’atomizzatore è proibitivo anche
sono facilmente intuibili: da un lato la crisi economica, che per la municipalità. Mancano i fondi, anche quelli minilascia poche risorse a disposizione del settore sociale; mi, per lo sviluppo. L’istituzione locale, anche se vuole
d’altro canto le ragioni politiche, concretizzate nella quasi aiutare e ha le idee giuste, non lo può fare, perché manca
immobilità del comune, dove croati e bosgnacchi si bloc- delle capacità economiche.
Dal labirinto ci sarà mai via d’uscita?
cano a vicenda le proposte di sostegno all’una o all’altra
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L’ACCORDO NON DECOLLA
LA PACE INTERESSA DAVVERO?
di Giovanni Sartor
ne di Abyei, Sudan centrale), alla trasparenza nella distribuzione dei proventi della vendita del petrolio, infine
alla transizione democratica. La situazione di Abyei, soprattutto, appare
di difficile soluzione: la regione è ricca di petrolio, l’accordo di pace prevede un’alternanza al potere tra Ncp
e Splm durante il periodo transitorio,
subordinata però alla ridefinizione
dei confini della regione, su cui non
c’è ancora consenso tra le parti.
ribelle che rappresentava le regioni del
Quanto alla transizione democraSud del paese, guidato dal suo leader
Tre anni fa la firma
tica, che a livello nazionale dovrebbe
storico John Garang, deceduto poi nel
che mise fine a 21 anni
garantire le elezioni e poi il referenluglio 2005 in circostanze non ancora
di
guerra civile in Sudan.
dum per l’autodeterminazione del
pienamente chiarite. Ma oggi aleggia
L’intesa ha retto
Sud (previsto per il 2011), il passaggio
nel paese una domanda di fondo, che
militarmente. Ma molti
da superare è ancora quello del cengià molti commentatori proponevano
nodi (petrolio in testa)
simento della popolazione, il cui ininei giorni successivi alla firma di Naizio è stato più volte rinviato (per morobi: le due parti contraenti, condiziorestano da sciogliere.
tivi sia tecnici sia politici) e ora pare
nate da fortissime pressioni esterne
E le condizioni di vita
fissato per il prossimo mese d’aprile.
per arrivare all’accordo, sono veradella popolazione
Alle considerazioni di carattere
mente intenzionate a realizzarlo e a
non migliorano
politico bisogna aggiungerne alcune
garantire la pace in Sudan, anche ridi carattere umanitario. A questo
nunciando agli interessi di parte?
La situazione non consente di dare oggi una risposta proposito, l’impatto dell’accordo di pace sul terreno, tra la
esaustiva: bisogna riconoscere che l’accordo finora ha ret- popolazione, è ancora limitato. Non si vedono le infrato, evitando la ripresa del conflitto, tanto che in molti so- strutture promesse, le condizioni di vita per molti non sostengono che una nuova guerra non convenga a nessuna no migliorate in modo apprezzabile, gran parte degli sfoldelle parti in causa. Tuttavia è doveroso aggiungere che si lati interni e dei rifugiati non hanno ancora fatto ritorno ai
sono avuti momenti di forte tensione, l’ultimo costituito loro villaggi d’origine. Vi sono poi alcune zone del Sud, in
dalla sospensione, decisa dai vertici del Splm, dei suoi mi- Equatoria Occidentale, ma anche in altre aree, dove si ha
nistri dal governo di unità nazionale, situazione risoltasi a notizia di scaramucce e tensioni tra diversi gruppi etnici.
Da non dimenticare, infine, la situazione di conflitto
dicembre dopo due mesi assai delicati.
ancora in corso nella regione occidentale del Darfur: molti osservatori ritengono che in Sudan non si possa ragCensimento, è la volta buona?
I problemi che restano aperti sono relativi al confine tra il giungere una pace duratura se i problemi che affliggono le
Nord e il Sud del paese, al ritiro dei rispettivi eserciti nei diverse aree del paese non saranno affrontati in maniera
due territori di appartenenza, alla situazione delle tre aree coordinata e non sarà ricercata una soluzione complessicosiddette “contese” (in particolare allo status della regio- va, che coinvolga tutte le parti in causa.
tre anni dalla firma, avvenuta a Nairobi, in Kenya, dell’accordo
complessivo di pace che mise fine alla più lunga guerra africana, in Sudan sono ancora molte le questioni ancora aperte, le
tensioni non risolte, le inadempienze rispetto alla tabella di marcia
prevista dall’accordo stesso. L’intesa fu siglata, all’inizio del gennaio
2005, dal governo del Sudan dell’epoca – praticamente il National
Congress Party (Ncp), partito del presidente Omar El Bashir – e dal Sudan People Liberation Movement (Splm), il principale movimento
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internazionale
bangladesh
SIDR E I SUOI FRATELLI
«SIAMO UN PAESE
A RISCHIO»
TRADITI
DALL’ACQUA
di Alberto Chiara foto di Nino Leto
Scene dal
Bangladesh
dopo
il passaggio
del ciclone Sidr.
A sinistra, una
strada erosa
dalla furia
delle acque;
sopra, sfollati
si allontanano
dai propri
villaggi,
un bambino
appoggiato
alla radice
di un albero
divelto
Il Bangladesh, terra di miseria diffusa e brutale. Soprattutto, una tra le dieci nazi oni più esposte agli effetti dei mutamenti
climatici, che aumentano il numero dei cicloni. Appello della chiesa: «Ripensiamo consumi e inquinamento»
ercorri al buio il legno traballante che unisce
il grande battello alla terra ferma e subito inciampi in uomini, donne e bambini che
dormono per terra, avvolti in tessuti scoloriti, un tempo vestiti. Porto di Dacca, capitale
del Bangladesh: un girone infernale, povero
di luci e di speranza. Attraccarvi quando la
notte sta per cedere pigramente il passo all’alba rende
l’idea di cosa sia il paese, meglio di qualunque trattato colto. La miseria che prende alla gola il Bangladesh è incarnata da quanti – tanti, troppi – giacciono nella polvere, non
lontano dai risciò e dalle bancarelle che tra un’ora al massimo si trasformeranno in un mercato vociante e odoroso:
sono persone, non stracci, quelle che calpesti tuo malgrado se non guardi attentamente dove metti i piedi.
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Poi, certo, le statistiche definiscono il problema e aiutano a capire. Rispetto all’Italia, il Bangladesh è grande la
metà (147 mila chilometri quadrati), ma ha una popolazione quasi tre volte più numerosa: 152 milioni di abitanti,
forse di più, molti di più, giacché da queste parti registrarsi all’anagrafe non è la prima preoccupazione della gente.
I dati che angosciano, però, sono altri. L’aspettativa di vita,
alla nascita, non supera i 64 anni; il reddito medio annuo
pro capite è 470 dollari statunitensi; coloro che sanno leggere e scrivere rappresentano il 56% del totale. L’ultima cifra mette i brividi: il 35,6% della popolazione vive sotto la
soglia della povertà estrema e rischia che ogni giorno sia
l’ultimo perché non ha due dollari – talvolta neppure uno
– per sfamarsi e bere (di curarsi non se ne parla, un sistema
di welfare non esiste; visite e medicine si pagano).
Il ciclone Sidr, con la sua triste scia di lutti e danni, non
ha fatto che aggravare il problema della miseria del Bangladesh. Che già di suo era endemica. Diffusa. Brutale. E
ha reso ancora più evidente, se possibile, il problema dei
cambiamenti climatici. Le correnti fredde provenienti
dall’Himalaya si scontrano con l’aria sempre più calda
dell’Oceano Indiano, generando un maggior numero di
cicloni. Una parte rilevante del paese è destinata a finire
sott’acqua se il livello del mare s’innalza anche di poco.
L’arcivescovo di Dacca, monsignor Paulinus Costa, e il vescovo ausiliare della capitale, nonché presidente di Caritas Bangladesh, monsignor Theotonius Gomes, sostengono che la questione ambientale è un’emergenza. «Le stagioni sono cambiate – spiegano –; monsoni e periodo secco si alternano in anticipo e con violenza mai vista. Le po-
polazioni più povere sono le vittime principali. Il paese è
uno dei dieci più a rischio del pianeta, se l’effetto serra
cambia il clima. Questo frena investimenti e sviluppo, accrescendo la miseria. I cattolici non devono sottovalutare
i fenomeni in atto. Anche questa è una loro responsabilità.
Devono ripensare consumi e inquinamento. Altrimenti i
più miseri ne faranno le spese».
Romi, persa nella corrente
Ritornano in mente gli sguardi spenti incrociati a sud, nelle zone devastate da Sidr. Risuonano le parole che hanno
raccontato la tragedia. Come quelle di Khadiza, 30 anni, il
vestito nero che pareva ingessarne il dolore. Parlava con
un filo di voce, gli occhi fissi sul canale che attraversa il villaggio di Nachnapara, così apparentemente innocuo, il
giorno in cui ci siamo incontrati: «All’arrivo del ciclone sono scappata verso il rifugio. Ero con mia figlia Romi, 8 anni. Per essere sicura, l’ho legata a me, come facevo
quand’era bambina». La pioggia battente, la piccola diga
che tratteneva il fiume Andarmanik finita in pezzi alle sue
spalle, il canale di irrigazione diventato di colpo un’alta
muraglia di acqua e di fango... «È stato un attimo: lo scialle con cui Romi era legata a me ci stava strozzando, l’ho allentato per andare più forte, ma la corrente mi ha raggiunta strappandomi Romi e trascinandola via, morta».
A poca distanza da Khadiza, un’altra donna se ne stava come impietrita di fronte a quella che fu la sua casa.
Salma, 19 anni, teneva in braccio Sadia, di 18 mesi. Lei, la
figlioletta e il marito, Alom, erano salvi, ma avevano perso
tutto. Salma indossava lo stesso salwar kamiz che aveva la
notte maledetta, pantaloni gialli e ampio scialle viola-azzurro. «Hanno avvertito del pericolo imminente attorno
alle 21.30 del 14 novembre – ci ha raccontato –. Non tutti
hanno dato credito all’annuncio, giorni prima c’era stato
un allarme tsunami risultato infondato. Pioveva sì, ma solo da qualche ora e non da un paio di giorni, come generalmente accade alla vigilia di un ciclone. Mio marito, io e
la nostra Sadia siamo comunque scappati».
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internazionale
internazionale
contrappunto
bangladesh
L’IMPEGNO CARITAS
Il ciclone Sidr ha lasciato sul campo un lungo elenco di vittime e danni materiali:
Nachnapara il ciclone Sidr ha ucciso la piccola Romi, lì attorno, nella
quasi 2 milioni di famiglie (circa 8,5 milioni di persone) colpite più o meno gravemente, 3.448
municipalità di Tiakhali, ha stronmorti ufficiali, 39.756 feriti, 880 dispersi, 540mila case distrutte e 885.280 danneggiate, senza
cato 48 vite. E in tutto il Bangladecontare i danni inferti a campi, piantagioni, scuole, strade, ponti, attività commerciali. Il tutto in
sh meridionale il bilancio è stato
un paese che, già prima del ciclone, era penultimo tra i paesi asiatici per indice di sviluppo umano.
pesantissimo.
In risposta a questa ennesima emergenza Caritas Bangladesh ha previsto un piano
di interventi di circa 6,5 milioni di euro per gli aiuti d’urgenza e la fase di riabilitazione-ricostruzione
La reazione, per fortuna, è stata
(10.100 case e 57 scuole), più altri 5 milioni circa per la costruzione di 50 rifugi anticiclone.
pronta. «Grazie al personale e ai
Il programma, della durata di due anni, prevede tra le altre cose la distribuzione
mezzi della marina militare ameridi generi di prima necessità (entro gennaio) a 51 mila famiglie e la creazione di 360 mila
cana, di molte organizzazioni non
giornate di lavoro come manovalanza (cash for work) per 4.500 famiglie.
governative e di alcune agenzie
Caritas Italiana ha contribuito con 400 mila euro al finanziamento della prima fase
delle Nazioni Unite, in 72 ore sono
del complesso programma d’intervento. Benché il ritorno alla normalità si profili assai lento, alcuni
stati riallacciati i collegamenti eletrisultati sono già stati raggiunti. Grazie alla mobilitazione dei soccorsi si sono evitate epidemie
trici ed è stato sventato il rischio di
e denutrizione tra gli sfollati; il problema principale, nell’immediato, resta quello di dare un’abitazione
dignitosa e un lavoro alle famiglie sfollate, prima che si creino disagi ancor più pesanti. Per il futuro
epidemie», è il riepilogo di Pius CoCaritas Italiana ha in programma di supportare Caritas Bangladesh nella costruzione di almeno
sta, sottosegretario del ministero
5 rifugi anticlone: obiettivo ambizioso, dal costo di circa 500 mila euro, ma in grado di salvare
della terra. La rete internazionale
la vita a circa 10 mila persone (negli anni Novanta ne furono finanziati da Caritas Italiana ben 66).
Caritas ha fatto e fa molto.
Lungo i circa 150 chilometri che
La famiglia ha provato a rida Barisal portano a sud, fino all’opararsi nel rifugio, ma era già
ceano Indiano, si era (e si è ancora)
tutto pieno. «Non c’era più pocostretti a percorrere vie che – per
sto per noi – ha proseguito Salinterminabili tratti – dell’asfalto
ma –. Siamo dovuti tornare inconservano un vago ricordo. Tutte
dietro, attraversare nuovamenpolvere e buche, le strade dribblate tutta Nachnapara e cercare
no paesaggi differenti (dalla foresta
salvezza in un ambulatorio. Ce
alle risaie) e sovente cedono il pasl’abbiamo fatta per un pelo. La
so a traghetti arrugginiti, che connostra casa non ha retto la furia
sentono di passare da una sponda
del vento, che è diventato irresiall’altra delle decine di fiumi che
stibile per ore, il 15 novembre.
costituiscono il delta. Lungo questo
Era talmente forte da sollevare
itinerario, i responsabili Caritas lodue traghetti e scaraventarli INTERVENTO CAPILLARE
cali hanno raggiunto molti villaggi,
Alcuni bengalesi preparano gli aiuti alimentari,
qua vicino, sulla terraferma».
registrando bisogni e angosce, imdistribuiti da Caritas nella fase dell’emergenza
bastendo le prime trame di aiuto.
L’asfalto, un ricordo
Alle porte di Shakrail, il ciclone ha eroso l’unica via di
Sembrava impossibile tanta violenza. Mentre i sopravvis- collegamento con il resto del mondo. Il villaggio, dunque,
suti rivivevano il loro calvario, il “delta del mondo” – dove era raggiungibile tramite uno strettissimo sentiero, costruicorrono a gettarsi nel Golfo del Bengala fiumi come Gan- to costeggiando il fiume Chanda, oppure – meglio – a borge, Brahmaputra e Meghna, con l’intricato gomitolo dei do di una barca. I taccuini si riempivano d’appunti. Ma per
loro affluenti – si presentava esattamente come annun- svelare definitivamente il suo aspetto quotidiano, strazianciato dai libri: ricco di fascino, frutto di una natura tropi- te, il Bangladesh ha atteso il termine della navigazione notcale prodiga di colori, suoni, magia.
turna che da Barisal riconduce a Dacca. Inciampare – apEppure è successo realmente. Ore d’inferno, l’urlo stroz- pena sbarcati – in tanta umanità dolente, ha reso inutili le
zato del vento lanciato a 250 chilometri all’ora, lo schianto parole. Quella gente avrà un futuro solo se noi sapremo tradegli alberi caduti al suolo, il rumore delle lamiere sbattute durre la commozione in fatti. Nutrienti come il pane. Bequa e là, trasformate in implacabili ghigliottine. E la pioggia nefici come un ambulatorio o un dispensario. Resistenti
improvvisa, torrenziale, che ha gonfiato i corsi d’acqua. Se a come i rifugi anticiclone.
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VANITÀ DI FINE MANDATO,
OCCASIONE IN MEDIO ORIENTE
di Alberto Bobbio
numerosi leader. A Taba, in Egitto,
nel 2001, si era arrivati vicini alla soluzione dei due stati. Si era discusso
addirittura di un ragionevole scambio di territori. Ma poi i negoziati furono interrotti e vennero accusati
naturalmente i palestinesi. In realtà
Barak e Arafat ebbero paura di arrivare a una soluzione: sarebbe stata la
fine del sionismo e della lotta identitaria palestinese.
Ma già nel 1976 gli Usa avevano
messo il veto su una risoluzione dell’Onu che suggeriva la creazione di
Meglio: non sono pronti i vecchi
L’eterno confronto tra
due stati e riproponeva una risoluzioleader, secondo i quali il pianeta si dine precedente, la famosa 242 del
vide comunque tra chi odia Israele,
israeliani e palestinesi
1967. La storia, da quelle parti, è un
chi lo sostiene, chi lo ama e lo appogè ripartito da Annapolis.
contrappunto di risoluzioni internagia. Il Medio Oriente non possiede
La soluzione possibile
zionali, a cui mai è stato dato seguito.
un’identità collettiva. Bensì diversità
è quella proposta
Eppure l’ultimo vertice ad Annapolis
collettive: religiose, linguistiche, culda tempo: due stati,
torna proprio a riproporre tutto ciò,
turali. E soprattutto una diversità relacon confini garantiti.
segno che altra soluzione non esiste,
tiva alla percezione di sé. I potenti del
Sarà la volta buona?
che l’unica proposta realistica sono
mondo, in prima fila Europa e Stati
Forse, se il comandante
due stati con confini garantiti.
Uniti, invece di fare diventare la diverin capo ha capito…
È d’accordo anche Hamas, che lo
sità una risorsa, l’hanno sempre conha ripetutamente detto alla stampa
siderata occasione di conflitto. Andava bene così e in Medio Oriente si sono compensati tanti americana. E forse sono d’accordo anche l’Iran e i suoi scuguai del mondo. Per decenni gli Stati Uniti hanno fatto di dieri nella regione, anche se non lo ammettono. E la stessa
tutto per concentrare tra il Mediterraneo e il Golfo l’odio posizione è espressa dalla Lega Araba. Cosa faranno gli Stadi milioni di musulmani verso l’occidente. Si è visto, dopo ti Uniti? Continueranno nel loro ruolo di “onesti” mediatori, oppure questa volta, dato che c’è un presidente che cerl’11 settembre, che è stata una politica fallimentare.
ca di passare alla Storia per qualcosa di positivo, cercheranno di cambiare la loro politica?
Ebbero paura
Gli Usa sono il padrone che gli israeliani chiamano alPer trovare una soluzione bisogna tornare alla percezione
di sé, salvaguardando le diversità. Cioè arrivare a una pa- leato, di cui gli altri accettano il ruolo di mediatore.
tria per gli israeliani e una per i palestinesi. Occorre con- L’Europa è presa in mezzo e di solito balbetta. Intanto il
vincere tutti della bontà della questione, anche chi vuole tempo avanza e si rischia che le posizioni più radicali abfar sparire Israele dalla faccia della terra, come l’Iran o co- biano il sopravvento. Invece va colta l’opportunità di un
me Osama e i suoi numerosi nipotini. Ma forse i primi da presidente Usa assai vanitoso e che ha capito, forse, di aver
convincere sono gli israeliani, l’opinione pubblica e i suoi fin qui sbagliato tutto nel ruolo di comandante in capo.
n altro anno. E adesso si riparte da Annapolis. Sette anni fa si ripartì da Taba e prima ancora da altre località, diventate mito
geografico di nulla mai accaduto, di pace promessa e mai attuata. Quando si è andati vicini, qualcosa ha fatto saltare il banco di prova
di un nuovo Medio Oriente: l’assassinio di Rabin, i litigi israeliani, i litigi arabi, la condotta americana. In realtà il banco è sempre stato tenuto insieme dall’indifferenza degli interlocutori rispetto a una qualsiasi
soluzione, perché comporre la larga questione mediorientale sarebbe
una svolta epocale, più ancora della caduta del Muro di Berlino. E forse il mondo non è pronto.
U
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agenda territori
ottoxmille
ROMA
Il resto al bar può essere un aiuto,
inaugurato il “Salotto Alzheimer”
Doppia iniziativa di Caritas Roma. “Per te è solo
il resto. Per una famiglia in difficoltà è tutto”:
con questo slogan, in oltre 500 bar della capitale
è stata lanciata una campagna di solidarietà
(nella foto, la locandina) a favore delle famiglie
disagiate, promossa dalla Caritas diocesana
e da Assobar. Nei locali capitolini si potrà contribuire,
versando il resto in appositi salvadanai: il ricavato
finanzierà un progetto per fornire aiuti alimentari
e vestiario a centinaia di famiglie assistite dalla Caritas
e dalle parrocchie romane. Negli esercizi commerciali è stato distribuito anche
materiale informativo per sostenere le attività Caritas attraverso il volontariato.
È stato invece inaugurato a metà gennaio, nel centro “Sacro Cuore”, il “Salotto
Alzheimer” promosso dall’associazione “Sos Alzheimer” e dalla Caritas
diocesana. È un innovativo punto di aggregazione, in cui i malati e i familiari
potranno usufruire dell’aiuto di esperti e confrontare le reciproche esperienze.
CUNEO
Lotta all’usura,
sguardo al territorio
e mano tesa all’India
Un convegno sull’usura. Per capire
le ricadute locali del fenomeno
e promuovere un’azione di solidarietà
su scala internazionale. L’iniziativa
è della Caritas diocesana di Cuneo
e dell’associazione Libera, che a metà
gennaio hanno organizzato una serata
di informazione e confronto, alla quale
hanno partecipato don Marcello Cozzi,
presidente nazionale delle associazioni
antiusura, Alberto Valmaggia, sindaco
del capoluogo piemontese, Tommaso
Pastore, funzionario della locale questura
e dirigente del pool antiusura cittadino.
L’incontro fa parte di un percorso
incominciato in autunno dal presidio
cuneese di Libera, in collaborazione
con la Caritas, che l’ha sostenuto grazie
alle offerte raccolte in occasione
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FEBBRAIO 2008
dell’Avvento 2007. L’intento dell’incontro
era aprire una discussione con la
cittadinanza, l’amministrazione comunale
e le istituzioni, a fronte dei segnali inquietanti
che giungono dal territorio. Parte delle
offerte ricevute in Avvento saranno infine
destinate alla campagna di Caritas India
“Save farmers, save India”, a favore
dei contadini stretti nella morsa dei debiti.
MILANO
Soldarietà alla lotta
per non deviare
il fiume brasiliano
Caritas Ambrosiana appoggia,
con numerose attività di sensibilizzazione,
la battaglia del vescovo francescano
brasiliano monsignor Luiz Cappio
(nella foto), che a fine novembre
ha intrapreso un nuovo digiuno di preghiera
per impedire la trasposizione del fiume
Saõ Francisco. L’opera, che consiste
nella deviazione delle acque verso i fiumi
del Nord-Este del paese, è stata
riproposta a gennaio 2007 dal governo
brasiliano, che la ritiene decisiva per
vincere la sete negli stati nordestini,
mentre secondo gli oppositori avrà
pesanti effetti ambientali e sociali
nei territori e sulle comunità coinvolti.
In agosto era partita da Belo Horizonte
una carovana nazionale contro
la trasposizione: ne faceva parte
anche monsignor Cappio, portavoce
di un ampio fronte di associazioni,
movimenti e comunità, che propongono
di “rivitalizzare” il fiume Saõ Francisco
e tutelarlo
dall’inquinamento,
invece di deviarlo.
La battaglia
è sostenuta da oltre
duecento sigle,
tra cui la Conferenza
episcopale e la Caritas brasiliane.
Caritas Ambrosiana ha invitato persone,
parrocchie e associazioni a conoscere
il problema e poi a inviare alle autorità
brasiliane una lettera di sostegno
alla protesta di monsignor Cappio
e della società civile brasiliana.
di servizi per offrire aiuto a chi si trova
in queste situazioni di sofferenza
e solitudine. A metà dicembre
ha promosso un incontro pubblico
con il professor Francesco Campione,
uno dei massimi esperti italiani in materia,
docente di psicologia clinica all’Università
di Bologna e coordinatore di un progetto
di aiuto psicosociale alle persone in lutto
della provincia emiliana. Durante
la serata, sono stati presentati i servizi
che la Caritas Vicentina sta attivando
nell’ambito del lutto, inseriti nel Progetto
Dialogo, finalizzato ad aiutare le famiglie
toccate da diversi tipi di sofferenza.
In particolare, è stato aperto uno spazio
di ascolto gestito da volontari, testimoni
in prima persona di percorsi possibili
per una positiva rielaborazione del lutto.
Inoltre sono stati attivati un numero
di telefono, contattabile in orario serale,
e un gruppo on line, per consentire
un ascolto immediato e uno scambio
in rete con chi ha vissuto l’esperienza
di un lutto. Da gennaio, infine,
è cominciato un percorso per costituire
un gruppo di auto-mutuo aiuto, rivolto
a chi rimane dopo il suicidio di un familiare.
INFO www.umavidapelavida.com.br
diritti [email protected]
BOLZANO-BRESSANONE
VICENZA
Raccolta di cellulari,
vantaggio ecologico
e per chi è in difficoltà
Lutti e suicidi,
volontari e strumenti
per non restare soli
Lo strazio, che appare insuperabile,
per la morte di un figlio, un genitore,
la moglie o il marito, un amico;
l’insostenibilità del quotidiano che ti fa
desiderare di morire. Queste sofferenze
segnano l’esistenza di tante persone,
anche perché spesso si rimane soli
di fronte a esse. Così la Caritas diocesana
di Vicenza ha deciso di avviare una serie
La Caritas diocesana di BolzanoBressanone ha raccolto in tutto l’Alto
Adige, dal 3 al 26 gennaio, cellulari
guasti o vecchi, grazie a raccoglitori
di cartone collocati nelle filiali della
catena di supermercati Despar. Per ogni
apparecchio
raccolto,
la Caritas
riceverà 3 euro
da un’azienda
non profit,
di Adalberto Chimera
Coppie “antenne” e un consultorio,
il disagio relazionale trova ascolto
Tutto è cominciato nel 2005, con una
riflessione all’interno dell’équipe della
Caritas diocesana di Gorizia. I centri di
ascolto attivi in diocesi e le case di
accoglienza della Caritas incontravano e
ascoltavano storie di grave
emarginazione sociale. Ma esisteva una
povertà nascosta e invisibile, che
Caritas, associazioni di volontariato e servizi pubblici non riuscivano a
intercettare. Famiglie, che vivevano una vita quotidiana difficile, con
imbarazzo, senza chiedere aiuto a nessuno. Persone che non vivevano
soltanto l’indigenza economica, ma anche la difficoltà di essere padre,
madre, figlio, marito o moglie. Molti problemi che nella cultura contadina
erano intercettati da una solidarietà interfamiliare (“di pianerottolo” e “di
cortile”) si acuiscono nell’attuale società postmoderna.
Famiglie “normali”. E animatrici
Da queste considerazioni nel 2006, grazie a un progetto finanziato dai
fondi otto per mille della chiesa italiana, la Caritas diocesana di Gorizia,
insieme alla Pastorale familiare diocesana, ha dato avvio al progetto
“Antenne”, che mira a formare e animare “coppie antenne” all’interno
delle comunità parrocchiali dell’arcidiocesi. L’obiettivo è fare di alcune
famiglie “normali” altrettanti nuclei capaci di sviluppare una solidarietà
familiare vissuta “nel quotidiano”. Non si punta a costituire famiglie che
svolgano un ruolo da pseudo-psicologi o assistenti sociali, ma che
sostengano e aiutino altre famiglie in difficoltà con gesti semplici:
l’ascolto, l’offerta di un servizio di accudimento dei figli per alcune ore
del giorno, o di persone anziane o malate. Queste famiglie dovrebbero
essere un volano, perché altre coppie seguano le loro orme. Finora una
decina di coppie hanno aderito al progetto e con difficoltà, ma anche con
tenacia stanno tentando di animare le rispettive comunità.
Il disagio che queste “antenne” sono chiamate a intercettare è spesso
di natura relazionale. Per questa ragione il progetto ha anche dato vita a
un consultorio familiare di ispirazione cristiana, con lo scopo di offrire un
servizio di consulenza familiare alle coppie con problemi di crisi, ai
genitori e figli in conflitto tra loro, a persone che non riescono a
relazionarsi con familiari malati, in genere a qualsiasi problema legato ai
rapporti interfamiliari. Nei primi otto mesi di servizio, il consultorio ha
incontrato venti persone. Il cammino è agli inizi, ma già prezioso, nella
sua necessaria discrezione.
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FEBBRAIO 2008
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agenda territori
sto in campagna
di Marco Iazzolino
Come va l’impegno per l’aiuto ai paesi poveri?
L’Italia è terzultima tra le 21 nazioni più avanzate
L’indice
Quanti aiuti sono destinati dai paesi avanzati (tra essi l’Italia) a
quelli poveri? E come sono utilizzati questi aiuti? Questi temi –
che stanno particolarmente a cuore a Cidse e Caritas
Internationalis, promotori della campagna internazionale “Make
aid work”, rilanciata in Italia con il motto “Prima che sia troppo
tardi” da Focsiv e Caritas Italiana – sono centrali in un
rapporto, pubblicato di recente negli Stati Uniti, del Center
for Global Development, giovane e indipendente istituto di
ricerca, che vanta tra i fondatori i premi nobel Amartya Sen
e Joseph Stiglitz. Il rapporto si occupa dell’Indice di impegno
per lo sviluppo (Cdi), che classifica i 21 paesi più ricchi del
mondo in base – appunto – all’impegno nell’attuazione di ricerche a beneficio delle nazioni povere.
La ricerca ha una cadenza quadriennale e valuta l’operato delle nazioni del nord del mondo in sette
importanti aree di intervento: aiuti allo sviluppo, ma anche commercio, investimenti, migrazione, ambiente,
sicurezza e tecnologia. Qual è l’indice Cdi del nostro paese? L’Italia si è classificata al terzultimo posto nel
2007, nella graduatoria capeggiata da Olanda, Danimarca e Svezia, che svettano nettamente sugli altri paesi;
peggio di noi hanno fatto solo Grecia e Giappone. Il punteggio finale è stato di 4,4 (decimi), con una leggera
variazione in positivo rispetto all’analoga rilevazione del 2003.
La nostra posizione
Guardando alla prima delle aree di impegno, quella degli aiuti allo sviluppo, il rapporto non solo rileva l’importo
lordo degli aiuti in percentuale al Pil, ma lo mette in relazione a un paio di indicatori interessanti: esso
penalizza gli aiuti vincolati (oltre il 70% degli aiuti italiani), perché costringono i destinatari a spendere
le risorse ricevute solo per beni e servizi prodotti dal donatore, e premia gli aiuti forniti a paesi poveri
ma relativamente incorrotti. L’Italia, quanto agli, aiuti si classifica 18ª.
Sul versante dell’ambiente, i paesi ricchi adottano una quantità sproporzionata di risorse e i paesi poveri
sono maggiormente vulnerabili a problemi di carattere ecologico. Il Cdi ha valutato soprattutto l’impatto delle
politiche ambientali su clima, pesca sostenibile e biodiversità: il gran numero di importazioni di specie ittiche
a rischio di estinzione e l’aumento di emissioni di gas a effetto serra nel decennio 1995-2005 hanno fatto
classificare l’Italia al 15° posto.
Gli investimenti nei paesi più poveri contribuiscono invece al trasferimento di tecnologie, al miglioramento
della gestione e alla creazione di posti di lavoro. Il Cdi contiene un elenco di politiche a sostegno di
investimenti centrati sulla promozione umana nei paesi del sud del mondo: l’Italia non partecipa alla
cosiddetta “Iniziativa di trasparenza dei settori estrattivi” né all’“Iniziativa Kimberley” sui diamanti insanguinati.
E si classifica 15ª.
Infine, la sicurezza è condizione essenziale per lo sviluppo. La ricerca premia i contributi a operazioni per
il mantenimento della pace sanciti a livello internazionale e gli interventi umanitari che non richiedono l’uso
della forza. Riguardo all’Italia sono stati rilevati scarsi contributi finanziari e di personale agli interventi
umanitari, e viceversa forti esportazioni di armi a governi poveri e antidemocratici: 14° posto in classifica.
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FEBBRAIO 2008
che impiega persone socialmente
svantaggiate e che sottoporrà i cellulari
a test di funzionamento: quelli difettosi,
se possibile, saranno riparati, gli altri avviati
a smaltimento secondo criteri ecologici
corretti. Due ricercatori dell’Università
di Vienna hanno stimato che ogni anno
45 persone su mille gettano il vecchio
cellulare; in Alto Adige, secondo questo
calcolo, ogni anno sarebbero ventimila
i telefonini cestinati. I cellulari riparati
verranno rivenduti in negozi dell’usato
e in altre istituzioni sociali, oppure
in Africa, Asia e America Latina. Con
i proventi della raccolta, la Caritas aiuterà
persone in stato di bisogno in Alto Adige.
TRENTO
Uomini e scarpe uguali:
il poster dei ragazzi
è terzo in Europa
È stato il vicepresidente della
Commissione europea, Franco Frattini,
a premiare a Bruxelles, in dicembre,
i ragazzi del gruppo giovani (nella foto)
della Caritas diocesana di Trento.
Dopo aver vinto la selezione nazionale
nel concorso per la lotta alle discriminazioni
indetto dall’Unione europea (vedi IC
10/2007), il poster realizzato dai giovani
trentini, intitolato “Scarpe diverse
ma sempre
scarpe.
Uomini diversi
ma sempre
uomini”,
si è piazzato
terzo nella finale europea. Il concorso
intendeva promuovere la conoscenza
dei temi legati al principio
di non discriminazione, sancito nell’articolo
21 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Ue. Il gruppo (otto ragazzi fra i 15
e i 18 anni) ha partecipato al concorso
nell’ambito delle attività di volontariato
estivo “Il Vento e la Vela”.
di Giuseppe Pollice
I GIOVANI CHE SERVONO
La bussola del condividere,
la scoperta di ciò che si perde
Tornare a casa, confrontare il nostro sistema di vita
con la realtà che ho conosciuto in Ruanda: ne ho concluso
che noi, qui, ci perdiamo qualcosa. A quattro mesi dal mio
ritorno dall’esperienza da “casco bianco” Caritas nel paese
africano, sto ancora dentro la forbice fra il voler ripartire
e il desiderare di riorganizzare la mia vita qui, in Italia. Ho 27 anni,
vengo da San Giorgio a Cremano (Napoli) e dopo aver conseguito
la laurea in tecnologia alimentare avevo deciso di vivere un anno
di formazione e fare un’esperienza di vita “diversi”. Consigliato dal mio
padre spirituale, ho scelto il servizio civile internazionale volontario.
Superate le selezioni, i responsabili di Caritas Italiana mi hanno ritenuto
idoneo per seguire lo sviluppo dei progetti di inserimento scolastico
a Gisenyi, ovest del Ruanda, al confine con il Congo.
Ripenso spesso all’anno trascorso laggiù. E devo partire dall’inizio.
Quando sono arrivato, mi sono sentito un “diverso”. Questa percezione
mi ha portato a impostare il lavoro con le persone che incontravo
basandolo su una bussola che poi mi ha guidato in tutti i momenti
di dubbio: la condivisione. Una scelta che con il passare delle settimane
ha dato i suoi frutti, ed è stata ricambiata con fiducia e amicizia.
Così ho vissuto un’esperienza unica per scoprire me stesso, i miei limiti,
la sfida della differenza.
Nei miei dodici mesi in Ruanda ho seguito, insieme ai componenti
di un’équipe della diocesi locale e ad altri due caschi bianchi, l’inserimento
scolastico dei bambini: duemila nella scuola primaria e trecento
nella secondaria. Abbiamo dedicato particolare attenzione al recupero
di ex ragazzi di strada. Ancora, ho partecipato all’avviamento al lavoro
di alcuni giovani attraverso il microcredito: piccoli prestiti, da investire
(e restituire quando l’attività si consolida) in botteghe di barbiere,
meccanico, parrucchiera, sarta, per aprire un autolavaggio, comprare
la moto e diventare mototassista.
Questa esperienza mi ha formato come persona e come cristiano.
Influenzerà positivamente e per sempre le mie scelte future.
Ma soprattutto mi ha insegnato una cosa sorprendente e incoraggiante
al tempo stesso: si può lodare Dio e ringraziarlo con naturalezza
e immediatezza, come fanno i ruandesi, anche quando
si è tremendamente sofferto, come è accaduto nella loro storia recente.
Così ho capito, scoprendo che è come se il nostro vivere convulso
ci portasse a un rapporto con Dio più contorto e conflittuale,
ciò che noi davvero rischiamo di perdere...
(testimonianza raccolta da Laura Guerra)
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villaggio globale
a tu per tu
INTERNET
Navigare tra i conflitti dimenticati,
non esistono guerre “di serie B”
È nato il 1° gennaio, Giornata mondiale della
pace, il nuovo sito www.conflittidimenticati.it,
promosso insieme da Caritas Italiana
e Pax Christi Italia, che da tempo hanno avviato una collaborazione sul tema.
«Obiettivo del progetto – ricordano nella presentazione del sito monsignor
Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italiana, e monsignor Tommaso
Valentinetti, presidente di Pax Christi Italia – è rafforzare la linea di impegno
verso una migliore informazione per quanti non accettano che ci siano guerre
di “serie A” e guerre di “serie B”, nonché svolgere un ruolo educativo
nel porre le condizioni per una crescita della consapevolezza delle minacce
alla pace e dei segnali di speranza che si accendono nelle situazioni
di conflitto». Su Conflittidimenticati.it, i cui contenuti verranno completati
nei prossimi mesi, è possibile trovare informazioni storiche sulle guerre in corso,
approfondimenti sul tema del conflitto e del diritto internazionale, strumenti
per la formazione e l’animazione pastorale, nonché le testimonianze delle
vittime. Il progetto fa tesoro delle esperienze e delle reti internazionali nei
quali sono attive Caritas Italiana e Pax Christi. Ma soprattutto è in continuità
con le due ricerche (Conflitti dimenticati e Guerre alla finestra) pubblicate
nel 2003 e nel 2005 da Caritas Italiana, in collaborazione con Famiglia Cristiana
e Il Regno, mentre è in preparazione un nuovo rapporto sullo stesso tema.
SUSSIDI
Mi sarete testimoni,
“cubo della preghiera”
al centro dell’opuscolo
Nel tempo di Avvento-Natale la riflessione
è caduta sul tema dell’annuncio
della lieta notizia.
Per Quaresima 2008,
gli uffici Cei
(tra cui Caritas Italiana)
propongono di riflettere
e pregare sulla testimonianza
della carità, conseguenza di un annuncio
interiorizzato e vissuto, tramite un kit
di sussidi caratterizzato dalla parola
evangelica Mi sarete testimoni.
Nell’opuscolo per famiglie ci sono
testimonianze di diversi personaggi,
ma anche di tanta gente “qualunque”;
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FEBBRAIO 2008
in un inserto centrale, le istruzioni
per costruire “Il cubo della preghiera”,
piccolo strumento per pregare tutti i giorni
insieme. Ai ragazzi si indirizza l’album,
che intraprende un viaggio, toccando
tanti popoli e ambienti della terra. Del kit
fanno parte anche poster, salvadanaio
e scheda per l’animazione pastorale.
FILM-DVD
La rivincita di Grace,
viaggio da nord a sud
tra i tormenti del Sudan
Un film-documentario, per raccontare,
attraverso l’esperienza di una bimba,
la drammatica situazione del Sudan.
La rivincita di Grace narra di una dodicenne
che affronta, con il padre, un lunghissimo
viaggio attraverso il paese africano:
dalla capitale Khartum, dove la famiglia
si è rifugiata allo scoppiare della guerra
civile, a Nazareth, nel sud, dove si trovano
le sue origini. È un viaggio duro, metafora
di un percorso
interiore: dalla
condizione di profuga
a nuove attese di vita.
Prodotto dall’ong Vis
(all’interno della campagna “Tutti
a scuola”, per costruire venti scuole
in Sud Sudan) e da Don Bosco network,
il documentario si avvale della regia
di Franco Angeli, già aiuto di Ettore Scola
e Bernardo Bertolucci. Nel dvd
anche una galleria di foto sul Sudan.
Francesca e il lato sconosciuto di Iacchetti
«Sono un buffone ma racconto storie di amore per la vita»
WEB RADIO
Il Wwf è on line,
l’ambiente raccontato
dalla gente comune
È nata Radio Wwf, web radio fatta
di musica e contenuti; la programmazione
(al sito www.radiowwf.it) prevede
un notiziario giornaliero e rubriche
per informare e coinvolgere in modo leggero
ma autorevole, dando voce anche a chi
sull’ambiente non si è mai pronunciato:
cittadini, personaggi
di sport e spettacolo.
Il palinsesto prevede
anche interviste di strada per “testare”
il grado di conoscenza dei cittadini
sui temi ambientali; curiosità e scoperte
sulle specie animali; presentazioni
di libri e mostre; storie dell’ambientalismo
vissute sul campo. Una sezione
è dedicata al “Viaggio nelle oasi” (130)
gestite dal Wwf in Italia. Altri spazi: “Io lo
faccio già”, pillole di “saggezza” affidate
a personaggi come Fulco Pratesi, Mario
Tozzi e Luca Mercalli, e il contatto diretto
con gli ascoltatori-navigatori, invitati
a scrivere o inviare contributi audio.
di Danilo Angelelli
NON SOLO
STRISCIA
Sopra,
un bel sorriso
di Enzo
Iacchetti.
Sotto,
una scena
del “corto”
Pazza di te.
Informazioni:
Vida
Produzioni,
Piacenza,
indirizzo mail:
vidaproduzioni
@yahoo.it
Chi lo avrebbe mai detto. Enzo Iacchetti, tra uno sberleffo e una denuncia di Striscia
la notizia, il programma più visto della nostra televisione, che da vent’anni fa agrodolce
compagnia agli italiani nella fascia dell’access prime time, trova il tempo e il modo
di mostrare il suo lato più sensibile e profondo. Ed eccolo lì, a presentare, in giro
per l’Italia e all’estero, il cortometraggio che ha prodotto e diretto. Un lavoro
importante, dal titolo Pazza di te.
Cosa ha voluto raccontare con questo film di 16 minuti?
Anzitutto ci tengo a dire che non voglio mandare alcun messaggio. Ho voluto solo
narrare una storia di una persona che ama la vita. La storia di Francesca, 35enne,
che resta incinta del suo compagno, Andrea, il quale, però, non vuole prendersi
la responsabilità di essere padre. Francesca, allora, va in una località di montagna
a portare a termine la gravidanza e a vivere una vita semplice, lei che semplice,
a dire il vero, lo è sempre stata, con il suo desiderio di un mondo più buono.
Alla fine del film si vede Francesca con in braccio il figlio. Una scritta
in sovrimpressione ci fa sapere che Pau, questo il nome del bambino, è down.
E che Francesca, pur sapendo che il bambino sarebbe nato con questa sindrome,
non ha avuto nessun dubbio nel portare a termine la gravidanza.
Dove trova Francesca l’entusiamo e la forza?
Nel suo grande amore per la vita, e la consapevolezza che porta in grembo un bimbo
down accentuano questo suo entusiasmo e coraggio. Anzi, grazie a Pau trova un rinnovato senso della vita.
Francesca è una persona che ha incontrato davvero?
Posso dire che un giorno ero all’estero e ho visto una ragazza bionda come Francesca, che se ne andava fiera
in bicicletta con un bambino down nel seggiolino. Intorno a questa donna si muovevano diversi passanti
che giravano lo sguardo altrove, magari per non mettere in imbarazzo una persona così “sfortunata”,
che secondo loro stava soffrendo. Beh, quella donna era l’immagine della felicità.
Lei sta accompagnando il film nelle varie proiezioni. Quali riscontri ha ottenuto?
Anzitutto sono sorpreso dall’entusiasmo e dal fatto che un po’ tutti quelli che l’hanno visto riescano a cogliere
la tenerezza di questa storia. Non mi aspettavo neanche che il film, rifiutato a Venezia, venisse accolto da tanti
Festival stranieri. E poi è bello collegare la proiezione a serate in cui si raccolgono fondi per beneficenza.
Ogni volta con un obiettivo diverso.
Questo cortometraggio sta contribuendo a dare un’immagine diversa di Enzo Iacchetti…
Sì. È tanto che voglio far capire al pubblico che non sono solo quello di Striscia la notizia, che Enzo Iacchetti,
pur facendo il buffone in tv, non è mai stato distaccato da questioni sociali. Voglio che si conosca quest’altro
mio aspetto. Anche se non posso che essere felice di prendere parte a un programma televisivo
come Striscia, che ha un impatto così forte sul pubblico.
E poi è grazie al successo in tv che può permettersi di “rischiare” con prodotti meno commerciali
e meno visibili…
È vero, ma bisogna sentirle, certe cose. Conosco tante persone del mondo dello spettacolo che amano
la vita mondana, le spese folli. Io la sera vado a letto presto, faccio una vita molto tranquilla e i miei soldi
preferisco investirli anche facendo qualcosa per gli altri. Dentro e fuori da un film.
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FEBBRAIO 2008
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incontri di servizio
villaggio globale
SEGNALAZIONI
La democrazia
e i suoi confini,
la trappola Iraq
Nadia Urbinati,
Ai confini della democrazia.
Opportunità e rischi
dell’universalismo democratico
(Donzelli, pagine 137).
Democrazia è insieme il nome
di una forma di governo e di un ideale
politico e morale. La doppia natura dà
alla parola un significato complesso: ne
consegue che alla democrazia si chiede
a volte troppo, a volte troppo poco.
Osservatorio Asia (a cura di),
Cina. La conoscenza é un
fattore di successo (Il Mulino,
pagine 311). Nonostante
l’ingresso nell’Organizzazione
mondiale del commercio e il
suo ruolo internazionale, la Cina è
ancora percepita lontana e differente.
Ne soffrono le relazioni economiche.
L’Italia non trae i vantaggi che potrebbe
dall’emersione del gigante asiatico.
Jean Benjamin Sleiman,
Nella trappola irachena
(Edizioni Paoline, pagine 138).
La testimonianza, l’analisi e la
denuncia di un vescovo che “ha
provato la miseria” di un popolo
intrappolato in un paese ormai provato
fino allo stremo e alla disperazione.
Luciano Piras,
La favola del Re Storpio
(Angelica editore, pagine 92).
Spesso giudichiamo gli altri
solo per le loro “esteriorità”.
Ma chi l’ha detto che dietro
la figura di una persona storpia, non si
nasconda una grandissima personalità?
È il caso di Re Arturo. Adatto ai bambini,
ma anche gli adulti capiranno...
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I TA L I A C A R I TA S
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FEBBRAIO 2008
pagine altre pagine
di Francesco Dragonetti
L’Onu dedica l’anno alla Terra,
ecologia e giustizia a confronto:
ma dove sta andando il pianeta?
L’Onu, nella sessione plenaria del 22 dicembre 2005, ha proclamato
il 2008 “Anno internazionale del pianeta terra” (Aipt). L’iniziativa,
promossa, sostenuta e patrocinata dall’Unesco, si estende in realtà
all’intero triennio 2007-2009. Le scienze della terra negli ultimi decenni
hanno realizzato straordinari progressi, ma l’opinione pubblica planetaria
non ha ancora fatto proprie le relazioni fondamentali che esistono
fra le conquiste della comunità scientifica e il futuro del pianeta.
Per un futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale,
curato da Wolfgang Sachs e Tilman Santarius per conto
del Wuppertal Institut (Feltrinelli, pagine 292), pone
una domanda rilevante sullo stato di salute del pianeta:
è possibile l’incontro tra ecologia e giustizia sociale? Il rapporto
dell’istituto di ricerca risponde positivamente al quesito, a patto però
che la sostenibilità ecologica dello sviluppo economico e la giustizia sociale
si incontrino a livello globale.
State of the World 2007. Rapporto sullo stato del pianeta.
Il nostro futuro urbanizzato (Worldwatch Institute, 2007,
pagine 432), nell’edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna,
punta l’attenzione sui problemi che i sistemi urbani di tutto
il mondo si trovano ad affrontare. Le città si espandono
in modo incontrollato, trasformandosi in megalopoli ingestibili dal punto
di vista sociale e ambientale. Sono anche focolai di inquinamento,
la cui crescente impronta ecologica è ben visibile nelle immagini satellitari,
e sono tra le maggiori responsabili del cambiamento climatico. Ma qual
è il destino della terra? Il nostro pianeta andrà incontro a una morte
naturale lontana miliardi di anni, o essa sarà accelerata da eventi
imprevisti o dall’azione dell’uomo?
A tali domande tenta di rispondere anche il volume Dove
va la Terra?, di Guido Visconti (Boroli, 2006, pagine 206).
Il libro tratta tematiche complesse con un linguaggio
accessibile a tutti. Per provare a capire quale sarà il futuro
del pianeta, analizzandone la storia fin dalla nascita.
Infine Il Pianeta fragile. Immagini di un mondo in pericolo,
autori vari (De Agostini, 2007 pp. 271), grazie a immagini
di straordinario impatto mostra i cambiamenti del nostro
pianeta dovuti ad aggressioni di origine naturale o antropica,
dai terremoti alla deforestazione, dalle tempeste alle conseguenze
del riscaldamento globale. E prova a immaginare come sarà la terra
in futuro, se non la sapremo salvaguardare.
a cura di Elisa Teja “casco bianco” Caritas in Argentina
LA MALINCONIA DI MATILDE
CHE RACCONTA PER CONDIVIDERE
o sguardo di Matilde brilla di una luce che fa a pugni con il velo leggero che appanna
i suoi occhi di nonna. È una luce viva, profonda; eppure è anche carica di fatica
e di troppi pensieri cupi. Mentre mi fissa, Matilde giochicchia con un rosario di plastica
che attorciglia intorno alle dita: ha mani ossute e segnate dagli anni. Questa vecchia
argentina si racconta cercando nel vuoto le immagini e i suoni di un tempo.
Nella penombra della sua baracca, nel barrio Bajo de Lujan, periferia di Mendoza, l’afa
ci avvolge e intanto sul fornello traballante sta per bollire l’acqua per preparare un mate.
Fuori dalla porta di legno marcio c’è una bicicletta vecchia e impolverata; un po’ più lontano
un mucchio di stracci logori stesi al sole, un secchio di acqua putrida e alcuni pezzi di lamiera
arrugginita. La abuela continua a parlarmi e non la interrompono neanche le grida
di un paio di nipoti che giocano davanti a noi; le loro voci si accavallano e fanno
un baccano infernale.
Questa è la nuova vita che mi gira intorno. E pian piano, grazie a doña Matilde,
sto scoprendo che ha davvero senso il mio essere qui.
In questa confusione, immersa nel caldo soffocante, mi è difficile assorbire qualunque
cosa, persino le parole. Mi pare di avvertire invece un silenzio e una calma irreali. Sto forse
cercando di non ascoltare? Le storie e i drammi che questa Matilde mi sta sbattendo in faccia
mi pungono troppo? In fondo neanche mi conosce, perché mi parla così? O magari non devo
preoccuparmi, tanto i suoi racconti mi stanno semplicemente scivolando
addosso e domani non ricorderò più nulla, sarà tutto già passato?
La vecchia doña Matilde è stato uno dei miei primi – e più intensi – incontri
Uno sguardo luminoso,
da
quando,
ormai qualche mese fa, sono arrivata in Argentina. Ci siamo viste
nonostante i pensieri
per
la
prima
volta in un normale pomeriggio ma, nonostante tutte queste mie
cupi. Un rosario
domande
e
perplessità,
ricordo ogni momento di quella giornata. Grazie al cielo.
attorcigliato alle dita.
Grazie
al
cielo
ricordo
anche
le sue lacrime, il suo stringere forte i pugni e i suoi
I nipoti che fanno
timidi
sorrisi.
La
sua
malinconia
amara, la sua realtà quotidiana in una baraccopoli
chiasso nella baracca.
di
periferia,
insieme
a
tanta
altra
gente che va avanti ai limiti della sopravvivenza.
Una vita sradicata:
Una
realtà
violenta
e
penosa;
pur senza quasi mai uscire dal barrio, queste
eppure la nonna
persone
hanno
una
vita
sradicata
da tutto: smarriti, instabili, disordinati.
va avanti, contenta
Un
groviglio
fitto
e
irrisolto
di
complicazioni.
La miseria è nelle loro storie e nei
di rendere qualcuno
loro
ricordi.
Eppure,
nonostante
questa
povertà
lacerante, vanno avanti, anzi
partecipe della sua vita
sono sempre felici di potersi raccontare e di rendere qualcuno partecipe della loro
non facile vita. Forse non arriverò mai a capire bene perché, forse non sarò mai
in grado di fare qualcosa per farli stare meglio. Ma gradualmente capisco che alla fine sono
soprattutto io ad aver bisogno di loro: cerco un confronto, un dialogo continuo. Ho voglia
di condividere un po’ della mia vita insieme a questa gente semplice. Lasciamo perdere
le frasi fatte: ma l’incontro con gli altri, l’aprirsi agli altri è davvero la molla che può generare
un cambiamento, una voglia di crescere e di mettersi in gioco. Ogni giorno mi rendo sempre
più conto che questi “altri” stanno aiutando me, svegliano le mie domande e mi scuotono
dall’indifferenza. Grazie al cielo: io ho paura del non scuotermi, del non sentire più nulla,
dell’incapacità di reagire, del rimanere impassibile e del non farmi più domande.
L
I TA L I A C A R I TA S
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FEBBRAIO 2008
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I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,
stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:
Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritasitaliana.it
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