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Il WiMu sala per sala
Piano Terzo.
I tempi del vino
La nascita di un grande vino è il frutto dell’incessante lavorio della natura, in un processo lungo
e per certi versi misterioso. È, in fin dei conti, la creazione di un piccolo universo, la genesi di un
essere vivente.
E se sono molti gli elementi che vi concorrono – il calore del sole e l’influsso della luna, le qualità
del terreno e la fatica dell’uomo – è il tempo a scandire il ciclo vegetativo della vite e portare i
grappoli a maturazione, a ritmare i gesti della vendemmia e della pigiatura, a cadenzare il percorso
del mosto dai tini alle bottiglie.
Ed è soprattutto una questione di tempo il riposo del mosto nelle botti: è attesa paziente
affinché i processi di fermentazione permettano al vino di sprigionare tutto il suo carattere.
1. Il bar delle divinità
Ad amare il vino, primi fra tutti, furono dei e dee. Non è un caso, allora, che il nostro viaggio
cominci al loro cospetto. È una sorta di «rito» propiziatorio, processione profana da percorrere
prima di immergersi nel solenne racconto della nascita del vino.
2. Nella notte dei tempi
Il ticchettio di metronomi alati e il brusio della creazione, oscuri suoni comparsi oltre dieci
miliardi di anni fa. È il respiro del tempo, è l’inizio di tutto. E anche per il vino è una questione di
tempo: l’attesa della maturazione dei grappoli, la stagione della vendemmia, il paziente riposo
nell’oscurità delle cantine. Perché è nel buio più profondo che tutto comincia, solo rare luci a
indicare il cammino: come quella che, nel 1985, l’astronomo Edward Bowell individuò come
l’asteroide 6590, ribattezzato «Barolo».
3. La luna in sintonia con noi
La luce della luna è delicata, pallido riflesso del sole. Ma il suo incessante movimento scandisce
il passare del tempo, solleva e rilascia benefiche maree, stabilisce una periodicità pulsante e
regolare: detta tempi precisi e antichissimi, segnala il momento più propizio per seminare e
raccogliere.
4. Il sole intensamente
Intensa e abbagliante, la luce del sole è forza creatrice nata dall’oscurità più profonda. Dai più
segreti anfratti del tempo e del buio germina la vita: come i grappoli d’uva assorbono la luce per
custodirla segretamente e sprigionare questa energia con il processo di fermentazione, così il vino
riposerà a lungo nell’oscurità delle botti prima di offrirsi, in tutto il suo splendore, ai degustatori di
tutto il mondo.
5. La nostra casa nell’universo
Dalle profondità dell’universo, avvicinandosi a poco a poco, ecco che si scorge la Terra. È la nostra
casa, così grande e al tempo stesso così piccola, delicata e malleabile, tanto che i suoi ospiti hanno
saputo trasformarla, in alcuni casi creando nuovi spettacoli della natura. Come qui, nelle Langhe,
dove la fatica dell’uomo ha disegnato trame di vigneti a perdita d’occhio.
6. La geometria della vita
Dall’infinitamente grande al microscopico, tutto il vivente è composto dalla stessa materia,
congiunta in miliardi di possibili combinazioni: i semi, l’uva, la vigna, il vino stesso sono costituiti
dell’identica materia che vive dentro di noi, complessi intrecci di filamenti di Dna.
7. Le radici della vita
Il cuore del vino pulsa nelle profondità del terreno, le radici della vite «rubano» elementi preziosi
dalla terra per regalare profumi e sapori al vino che verrà. In maniera diversa: se un terreno ricco
di carbonato di calcio, con tonalità che vanno dal bianco-grigiastro al bluastro, annuncia un vino
robusto, un terreno argilloso e dal colore giallo-rossastro regala un vino più semplice, mentre è
dal terreno calcareo che il Barolo sprigionerà i suoi profumi più intensi. È questione di sfumature,
di tonalità diverse. Le stesse che rivivono nella diverse gradazioni del rosso che osserviamo in un
calice.
8. Il carosello delle stagioni
L’alternarsi delle stagioni, su queste colline, è un gioco di colori incessante e coinvolgente. E a ogni
periodo dell’anno corrisponde un’attività tra i filari, proprio come nel ciclo di miniature delle Très
riches heures del Duca di Berry (1411-1416), scelte per accompagnare il movimento del carosello
che noi stessi possiamo azionare sedendoci e spingendo sui pedali.
9. Dire, fare, lavorare
Terra e sole, luce e oscurità, il lento scorrere del tempo: tutti elementi necessari per la nascita
del vino. Ma è il lavoro dell’uomo a rendere «grande» un vino. Fatica e passione segnano in
profondità le mani dei vignaioli: il risultato è armonia, come una musica invisibile che sgorghi dalle
dita di un pianista…
Piano Secondo.
Il vino nella storia e nelle arti
Nella storia della civiltà occidentale il vino non è una bevanda qualsiasi: è al centro della sua
tradizione, mito e metafora della vita. E così lo vediamo emergere da ogni epoca, lasciare la sua
impronta in ogni luogo.
Il vino, insomma, accompagna la storia dell’umanità, fin dai tempi più remoti: dall’Anatolia
alla Mesopotamia, passando per l’Antico Egitto e la Grecia, percorre l’intera epoca dell’Impero
Romano e, attraverso l’era cristiana e il Medioevo, arriva fino all’Ottocento.
E in tutto questo scorrere di secoli, il vino è stato – e continua a essere – un «topos», elemento
d’ispirazione per gli artisti, nella più vasta accezione del termine. Il vino e il suo mondo hanno
influenzato la produzione culturale di ogni epoca storica: le arti figurative, la musica, la letteratura,
il teatro e il cinema vi hanno sempre dedicato un’attenzione particolare.
10. La storia del vino
Raccontare la storia del vino significa ridestare la memoria di vicende affondate nel mito.
Significa ripercorrere l’intera epopea dell’umanità, volgere lo sguardo all’indietro verso epoche
antichissime. E poi, stringendo lo sguardo al Piemonte e alle Langhe, scoprire come la storia di un
piccolo lembo d’Italia e di un popolo intero sia così profondamente segnato dalla produzione del
vino: anche qui, fin dalle epoche più remote.
11. 365 giorni
Un’antica apparecchiatura fotografica puntata attraverso la finestra su una collina di Langa. 365
fotografie, una per ciascun giorno dell’anno, per raccontare un paesaggio mai uguale a se stesso,
sempre pronto a regalare nuove sfumature.
12. L’atelier del pittore
Arcimboldo e Caravaggio, Manet e Cézanne, Matisse e Chagall. Prima ancora gli affreschi egizi
e pompeiani, bassorilievi e miniature: il tema del vino è fonte d’ispirazione per gli artisti di ogni
epoca. Ma il gesto creativo, così fortemente legato all’estro dell’artista, è fondamentale anche
nell’arte culinaria. L’atelier del pittore è un mondo di colori: la tela, ancora vergine, attende i
giusti ingredienti per scatenare emozioni. Allo stesso modo, in una cucina, lo chef sa magicamente
combinare i profumi e i sapori per creare piccole opere d’arte.
13. Artisti in cucina
La cuoca di un’antica cucina di Langa, un giovane chef di ricerca. Ognuno racconta e spiega
all’altro la propria storia e filosofia. Tradizione o modernità? Rigore o innovazione? Sono questioni
antiche, elementi di un dibattito sempre in corso. Anche qui, tra i fornelli di questa cucina, dove si
preparano prelibatezze per ospiti d’eccezione: varcare le soglie di una cucina è come accedere alle
quinte di un teatro, poco prima di un debutto. Concitazione e rumore, tensione ed energia. Poi,
silenzio: si va in scena.
14. La sala della musica
Il vino non fa cantare solo gli ebbri. Nei lieti calici grandi autori di tutti i Paesi hanno trovato
le note più intonate per suggellare momenti di allegria, di amicizia, di poesia, di abbandono e
consolazione dalle fragilità umane.
15. La sala della letteratura
Dai lirici greci ai romanzieri contemporanei, scrittori e poeti di tutte le epoche non hanno saputo
resistere alla suggestione del vino come fonte d’ispirazione. Le loro parole e i loro versi scorrono
sotto i nostri occhi.
16. Lo schermo divino
Una vera sala cinematografica in miniatura, con le appliques déco, le poltrone comode, il buio che
fa atmosfera. Alle pareti celebri affiches. E sullo schermo passano i momenti più belli che il cinema
ha dedicato alla poesia del vino, le scene in cui un calice celebra un amore, una conquista, una
festa, un sogno.
Piano Primo.
Il castello e i Falletti
Il piano nobile del Castello conserva gli arredi originali della famiglia Falletti di Barolo. È una
piccola dedica alle figure del Marchese Carlo Tancredi Falletti e di sua moglie Juliette, al loro
fondamentale ruolo nella «creazione» del vino Barolo.
Ma è anche la necessità di preservare l’atmosfera che respirarono, proprio in queste stanze,
personaggi come Silvio Pellico e Camillo Benso di Cavour, protagonisti dell’epopea risorgimentale
italiana.
In queste sale, così, risuonano ancora i loro passi, riecheggiano i nomi di Carlo Alberto e Vittorio
Emanuele II, si respira l’aria epica dell’unità d’Italia. Perché la nascita del Barolo è un capitolo del
medesimo racconto, popolato dagli stessi protagonisti.
17. Storia del Castello di Barolo (Sala degli stemmi)
Maniero militare, poi residenza nobiliare e infine scuola: la storia del Castello di Barolo segue le
vicende della famiglia Falletti, si adatta ai loro progetti e sogni, e in particolare a quelli di Juliette.
Il periodo d’oro fu quello che vide il castello eletto a residenza di campagna dei Marchesi (la loro
residenza ufficiale era Palazzo Barolo, a Torino). Fino al 1864, anno della morte di Juliette Colbert,
in queste stanze si scrissero pagine importanti della storia: quella dell’Unità d’Italia, ma anche
quella del vino Barolo.
18. Storia del vino Barolo (Biblioteca)
Quella del vino Barolo è la storia di passione dei Marchesi Falletti. Ma anche dell’ingegno del
generale Francesco Staglieno e dell'enologo francese Louis Oudart che, tra Verduno, Pollenzo e
Grinzane Cavour, nelle cascine del conte Benso Camillo di Cavour, fecero muovere i primi passi
a quello che, ben presto, sarebbe divenuto «il» vino di Casa Savoia e, di lì a poco, il re dei vini.
19. 325 carrà
Esiste, nella lunga e avvincente storia della nascita del Barolo, un momento cruciale: quello in cui
il Barolo diventa «il vino dei re». Incuriosito dalla fama del nuovo vino, il re Carlo Alberto chiese
alla Marchesa di Barolo di poterlo assaggiare. Fu così che ben 325 carrà (botti) di Barolo - una per
ogni giorno dell’anno, esclusi i quaranta di astinenza della Quaresima - giunsero al Palazzo Reale su
carri trainati da buoi, attraversando il centro di Torino fra lo stupore dei cittadini.
20. Invito al banchetto
Volti di gente del paese. Facce da Barolo. Antiche foto riemerse dai cassetti diventano sagome
a grandezza naturale. Per incanto ritrovano la parola. Ognuno racconta ciò che sa. Aggiunge un
pezzo a quello che si dice. È una voce insistente, in paese rimbalza di bocca in bocca: al castello si
prepara un banchetto da favola, con invitati prestigiosi.
21. Il banchetto dell’armonia (Salone delle quattro stagioni)
Ecco i protagonisti dell’epopea del vino Barolo: allo stesso tavolo lo statista Camillo Benso conte
di Cavour, il generale Francesco Staglieno e l’enologo francese Louis Oudart, Juliette Colbert e
i personaggi della corte di Carlo Alberto a cui la stessa Juliette aveva inviato le famose «carrà»
di vino Barolo. Un convivio d’eccezione, mai andato in scena: è finzione scenica, sentita
dedica. Ma è sincera l’armonia, il piacere dello stare insieme, come in ogni festoso banchetto.
22. Silvio Pellico
Patriota, poeta e scrittore, Silvio Pellico lega parte della sua vita a questi luoghi. Vi giunse dopo
l’esilio e la prigionia allo Spielberg, causata dalla sua partecipazione ai movimenti carbonari
del Risorgimento italiano: un’esperienza raccontata nel celebre Le mie prigioni, fra i best seller
europei dell’Ottocento. È il 1833 quando Pellico accetta l’incarico di amministratore della
biblioteca della famiglia Falletti, seguendo i Marchesi nei loro spostamenti fra Torino e Barolo.
Un rapporto di lavoro destinato a trasformarsi - con la Marchesa in particolare - in amicizia,
condivisione di idee e interessi culturali.
23. La Marchesa
Di nobilissima famiglia francese, la Marchesa di Barolo giunse in Piemonte nel 1814, a ventotto
anni: forte di una vasta istruzione e un’ancora più solida educazione religiosa, dedicò la sua
esistenza ai più deboli, agli emarginati. Ci piace pensare che proprio qui, nella sua residenza di
campagna, avesse cominciato a immaginare una via di scampo per gli emarginati: per le donne che
nelle carceri dell’epoca vivevano in condizioni disumane, per le giovani popolane prive di mezzi,
per i ragazzi delle classi sociali più svantaggiate.
Piano Interrato.
Il Collegio Barolo e il Tempio dell’Enoturista
24. Classe I C Collegio Barolo
Su indicazioni testamentarie di Juliette Colbert il castello divenne la sede del Collegio Barolo, per
l’istruzione di ragazzi cattolici poveri della zona. Le aule non erano molto diverse da quella in cui
vi invitiamo ad accomodarvi. Maestri e lezioni, probabilmente, erano nella realtà molto meno
piacevoli. Qui invece un paziente «maestro virtuale» ci aiuta a ripassare, ci spiega quello che
ancora non sappiamo dei segreti del vino. E... ci interroga!
25. Il Tempio dell’Enoturista
Il viaggio volge al termine. Dopo il vino narrato, cantato, evocato, ecco finalmente il vino
degustato nella pienezza dei cinque sensi. Qui impariamo giocando a riconoscerne i profumi e i
colori. Qui scopriamo la personalità dei grandi cru di Barolo, magari sotto la guida di un esperto
sommelier. Di qui possiamo partire alla scoperta del paesaggio delle colline. Per visitare un filare,
una cantina o un altro castello, per incontrare un produttore e farci raccontare la sua storia. O
anche solo per rifugiarci in un’osteria o ristorante dove ci aspetta una cucina riconosciuta fra le
migliori d’Italia e forse del mondo.
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