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La voce del popolo – parte 1
mondo domenica, 5 ottobre 2014 il mandato per la 145a spedizione missionaria Come don Bosco sparsi nel mondo Era l’11 novembre 1875 quando da Torino don Bosco inviò i primi salesiani missionari in Patagonia. E così è stato ogni anno fino ad oggi: domenica 28 settembre, nel Bicentenario della nascita di don Bosco, ancora una volta da Valdocco il decimo successore di don Bosco, don Angel Fernandez Artime ha consegnato il mandato a 12 salesiani, 15 Figlie di Maria Ausiliatrice e 6 volontari laici. Si tratta della 145ª spedizione missionaria della famiglia salesiana: i primi sacerdoti «spediti» da don Bosco erano tutti italiani; oggi cambiano le destinazioni e le nazionalità dei missionari ma lo spirito con cui partono è lo stesso come hanno sottolineato il Rettor Maggiore e la madre generale delle Fma, suor Yvonne Reungoat, al teatro Valdocco. La consegna del crocifisso ai missionari da parte di don Artime è avvenuta durante la concelebrazione eucaristica nell’ambito dell’Harambée (in swahili «raduno festoso») la due giorni che ha radunato tra il Colle Don Bosco e Valdocco oltre 400 giovani: alcuni di loro hanno trascorso qualche settimana estiva nelle missioni salesiane. Tra i partenti, solo tra i sei volontari laici ci sono giovani italiani mentre i salesiani e le Fma provengono tutti da ispettorie straniere, un tempo terre di missione che oggi restituiscono il dono ricevuto: ci sono salesiani vietnamiti che andranno in Africa, un indiano che parte per l’Ungheria e un congolese che si prepara a partire per la Francia. «Rispetto alla prima spedizione, le destinazioni di oggi sono cambiate: anche l’Europa – che un tempo inviava i missionari – oggi è divenuta terra di missione in uno scambio di ricchezze continuo come in una grande famiglia» – ha detto don Guido Errico, coordinatore nazionale dell’animazione missionaria in Italia e delegato nazionale per il Vis ( Volontariato internazionale per lo sviluppo) presentando i missionari partenti davanti ad un grande mappamondo. «Oggi come ai tempi di don Bosco – ha sottolineato il Rettor Maggiore – il Papa ci spinge ad andare nelle Periferie del mondo. Valdocco, Mornese, dove sono nate le Fma erano luoghi periferici e da lì sono partiti i nostri santi. Questo è lo spirito con cui andiamo nel mondo a portare la gioia di Cristo e con cui ci apprestiamo a celebrare il bicentenario: non possiamo stare tranquilli se non ci chiediamo continuamente cosa stiamo facendo per andare incontro agli ultimi, coloro che non hanno il pane ma anche chi ha perso il senso della vita». Marina LOMUNNO Giornata Missionaria: il 18 la festa e la veglia In occasione della Giornata missionaria Mondiale del 19 ottobre sul tema «Periferie cuore della missione» l’Ufficio Missionario diocesano propone due iniziative il 18 ottobre. La prima è un incontro in piazza Carlo Alberto dove dalle 15 alle 19 si terrà «Piazza la Missione». Si tratta di un pomeriggio di animazione alla mondialità che vedrà coinvolto l’Ufficio Missionario Diocesano, ma anche la Pastorale Migranti, i Missionari della Consolata e varie realtà che in diocesi si occupano di cooperazione, sviluppo e missione. Sempre il 18 alle 20.45 in duomo con l’Arcivescovo la Veglia missionaria con la liturgia della Parola, testimonianze missionarie e la consegna del mandato. Domenica 19 in tutte le parrocchie infine la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale. 7 L’esperienza dei padri Godfrey e Benjamin, parroci alla speranza e a s. gioacchino Da Nigeria e Tanzania l’Italia è terra di missione Segue dalla 1a pagina dove nei quartieri di Barriera di Milano e Porta Palazzo le parrocchie Maria Speranza Nostra e San Gioacchino sono da un anno affidate a due parroci africani missionari: padre Godfrey Msumange, parroco di Maria Speranza Nostra, dei missionari della Consolata, nato ad Iringa in Tanzania, e padre Benjamin Okon, nigeriano, parroco di San Gioacchino e superiore provinciale per l’Italia della congregazione dei Missionari di San Paolo. «Periferie, cuore della missione», il messaggio di papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale viene in particolare testimoniato dalla missione che le due comunità parrocchiali portano avanti in prima linea nelle periferie esistenziali dei due quartieri torinesi. «Nelle vie della parrocchia – racconta padre Godfrey – si parlano tutte le lingue e in tutte le lingue i nostri parrocchiani chiedono aiuto, per la precarietà umana e il disorientamento in cui vivono. La nostra prima grande sfida è dunque quella di asciugare le lacrime di tante mamme nella disperazione. In primo luogo seguiamo il metodo del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata, che diceva ‘fateli prima uomini, poi parlate di Gesù’». Sono numerose le attività caritative, di solidarietà e fraternità rivolte ai disagi sociali del quartiere. La San Vincenzo parrocchiale e il gruppo Caritas offrono i servizi del punto di ascolto lavoro, la distribuzione alimenti a circa 120 famiglie, l’aiuto economico a chi si viene a trovare senza alcun reddito. «La comunità – evidenzia il parroco – si fa carico e accompagna i propri fratelli in difficoltà per non farli cadere nella disperazione. Il primo annuncio cristiano è quello della testimonianza, di uno stile di vita secondo il Vangelo». Da alcuni padre Benjamin mesi inoltre in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale dei migranti e l’associazione Terra del Fuoco la parrocchia ospita 41 profughi in fuga dalla Siria, e da Paesi africani (Nigeria, Senegal, Ghana, Gàmbia), da zone di persecuzione contro i cristiani e i musulmani. «La solidarietà della comunità si è da subito fatta sentire – sottolinea padre Godfrey – i parrocchiani hanno contribuito con coperte, vestiti, beni di prima necessità». Inoltre si stanno ristrutturando i locali dell’oratorio per poter accogliere tutti i pomeriggi bambini e ragazzi e accompagnarli in un cammino di crescita e formazione. Oltre all’accoglienza di tutti i ragazzi senza alcun pregiudizio secondo il modello di don Bosco dell’oratoriocortile, saranno attivate a breve attività di doposcuola, musica e creatività. La comunità è inoltre impegnata nelle sfide dell’ecumenismo, per aprire un cammino con le altre confessioni cristiane presenti, e del dialogo interreligioso con i fedeli musulmani. «La sfida per la nostra comunità e per tutta la diocesi – sottolinea padre Godfrey – è quella di guardare in primo luogo dentro noi stessi per scovare le periferie dei nostri cuori che hanno bisogno di essere convertiti per un annuncio efficace attraverso la testimonianza». Missione nelle periferie del proprio quartiere anche per la parrocchia San Gioacchino impegnata in prima linea a far fronte ai tanti problemi sociali di un territorio complesso e variegato. Una parrocchia di 14 mila abitanti a maggioranza musulmana. «Puntiamo – dice il parroco don Benjamin – a costruire una comunità in grado di accogliere i propri fratelli mettendo al centro la persona umana con la propria dignità, una comunità che si deve sentire responsabile dei disagi del proprio quartiere». «In questo anno – osserva – i fedeli hanno risposto positivamente a questo appello, la comunità è viva e ogni gruppo pastorale porta avanti il progetto missionario nel proprio territorio». Don Benjamin lo scorso anno ha compiuto la visita alle famiglie della parrocchia: «ho padre Godfrey incontrato – racconta – uomini e donne che hanno bisogno di essere ascoltati, di sentire che c’è una comunità soprattutto umana che li accoglie, molti di essi di tradizione cristiana hanno iniziato a venire a Messa e ad inserirsi nella vita comunitaria». In collegamento con il Sermig ogni settimana la parrocchia offre il servizio di distri- Giuseppini del murialdo – IL VIAGGIO di franceso VISTO CON GLI OCCHI DEI RELIGIOSI CHE DA 20 ANNI OPERANO IN ALBANIA Nelle vie delle due parrocchie si parlano tantissime lingue differenti con le quali i nostri parrocchiani chiedono aiuto, per la precarietà umana e il disorientamento in cui vivono. La nostra prima grande sfida è quella di asciugare le lacrime di tante mamme nella disperazione buzione alimenti, sono poi attivi centri di ascolto e accompagnamento in particolare per il lavoro. L’oratorio accoglie ogni giorno 240 ragazzi in collaborazione con l’Asai e il Sermig, presenti attività di doposcuola e proposte di formazione, orientamento, impegno e volontariato per i giovani del quartiere. Col Papa nel Paese delle Aquile Abbiamo chiesto don Berto Rolfo, giuseppino del Murialdo, già parroco a Nostra Signora della Salute a Torino, di inviarci una riflessione della sua comunità all’indomani della visita di papa Francesco a Tirana lo scorso 21 settembre. I giuseppini sono presenti nel paese della Aquile, a Fier dal 1994 e Durazzo dal 2004, con un centro di formazione professionale, oratorio e centro giovanile e attività sociali per minori e famiglie L’Albania è una nazione che arriva da un lungo inverno. È uno Stato indipendente da poco più di un secolo, quindi è stata calpestata per secoli da scarponi militari di potenze straniere compresa l’Italia che l’ha occupata nel 1939. E le grandi ferite lasciano perenni cicatrici. L’Albania è l’unica nazione che è riuscita a istituzionalizzarsi come «il primo stato ateo del pianeta», con 40 anni di dittatura che, con indicibile violenza, ha sradicato la coscienza religiosa usando una tecnica diabolica: distruzione delle idee non atee e comuniste, distruzione degli edifici che possono richiamare la fede religiosa. «Hanno voluto uccidere Dio», ha scritto significativamente Didier Rance, e la conseguenza della persecuzione spietata contro la fede e ogni idea contraria al dittatore ha fatto diventare l’Albania un grande lager. Dopo 24 anni dalla caduta della statua del dittatore a Tirana, a 20 anni dalla storica visita di papa Wojtyla, papa Francesco per il suo primo viaggio apostolico in Europa ha scelto il Paese delle Aquile perché, come ha spiegato annunciando la sua visita, «vorrei rafforzare la fede della Chiesa in Albania, incoraggiare e dimostrare il mio amore per un paese che ha sofferto a lungo le conseguenze di una ideologia del passato». E così è venuto in questa nazione privata di ogni senso religioso e che oggi, progredita economicamente, è ancora alla ricerca di senso. In questi anni sono state ricostruite chiese e moschee ma, soprattutto i giovani, hanno riempito il vuoto ereditato dalla dittatura con il cellulare, la macchina, un benessere apparentemente florido… Ma dentro portano un grande vuoto, la vita è senza senso che spesso viene colmato col suicidio, anche dei minorenni. C’è una felicità che non può essere profonda senza la fede: questo è venuto a dirci papa Francesco e da qui cerchiamo di ripartire all’indomani della sua visita. Molti anziani hanno tirato fuori dai loro bauli la corona del rosario, hanno ripreso le vecchie preghiere nella lingua antica scutarina, perché quella moderna «puzza» ancora del regime spietato. Il papa argentino è venuto a confermarci nella fede e per attestare il suo amore verso un popolo che ha sofferto troppo a lungo, è venuto a confermarci nel coraggio della testimonianza e a ripeterci che solo Gesù Cristo, l’uomo nuovo, ci fa diventare più umani. Il 21 settembre è stata Pasqua per gli albanesi, perché Pietro di oggi, il Vicario di Cristo è venuto anche a rivolgere un omaggio ai martiri della fede, a visitare il suo popolo, a restituire i valori umani che erano stati sepolti. In Albania dal 1941 sono stati uccisi dal regime 170 cattolici di cui 5 vescovi, 60 preti diocesani, 30 francescani, 13 gesuiti, 10 seminaristi e 6 suore, mentre altri 60 consacrati morirono nei campi di prigionia a causa delle torture e degli stenti. «Quanti cristiani non si sono piegati davanti alle minacce, ma hanno proseguito senza tentennamenti sulla strada intrapresa – ha detto papa Francesco ricordando i martiri albanesi – Nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita ed alla libertà religiosa di tutti!». Il Papa è venuto qui per dire al mondo, a quei Paesi dove si muore ancora a causa delle persecuzioni per via della fede, che in Albania il clima di convivenza religiosa è positivo, sereno, armonioso. Sarebbe difficile concepire la nascita dell’Albania moderna senza la cooperazione delle diverse realtà religiose che convivono pacifica- Stefano DI LULLO Logo della stola offerta ai sacerdoti – Insieme con il Signore / verso la speranza che non delude mente, cristiani, ortodossi, musulmani sunniti e musulmani bektashi. Il viaggio del Papa, anche se breve, ha comportato per un piccolo stato come il nostro, grandi sforzi organizzativi da parte delle fedi religiose, organismi sociali, stato, associazioni, diocesi e parrocchie. Ma alla fine tutto è stato preparato con cura: tutto il mondo ha potuto vedere il grande viale intitolato a Madre Teresa di Calcutta – la suora albanese che sotto la dittatura di Enver Hoxha era chiamata «la strega dei Balcani» – con le gigantografie dei martiri per la fede, gremito di gente che ha accolto con commozione il Papa argentino. L’entusiasmo è stato incontenibile e ha pervaso tutti i cuori, perché l’Albania vuole riappropriarsi di quanto da sempre gli è stato negato, il primis il senso religioso: sono numerosi gli albanesi che rientrano in quel 56% degli immigrati in Italia che ha chiesto di ricevere i sacramenti. Dalle nostre comunità di Fier e Valona provengono due giovani immigrati che sono diventati sacerdoti e lavorano in Italia di cui uno cresciuto in una famiglia musulmana. Questo abbiamo chiesto a papa Francesco: di portarci Dio, di incoraggiaci perché la nostra vita quotidiana abbia senso viverla, di risvegliare la nostra fede. E ai giovani che in Albania sono tanti, gli abbiamo chiesto di dire una parola perché escano da sé stessi e guardino la vita come dono di Dio. Ecco, dopo il 21 settembre, vogliamo ripartire da qui. La comunità dei Giuseppini del Murialdo in Albania