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Verso il Convegno di Firenze sulla via dell`annunciare

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Verso il Convegno di Firenze sulla via dell`annunciare
| 25 OTTOBRE 2015
VITA ECCLESIALE
17
Verso il Convegno di Firenze
sulla via dell’annunciare
Il contributo del presidente dell’Ac e di Paola Bignardi
I
n vista del 5° Convegno ecclesiale nazionale, che si
terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre, Verona Fedele, seguendo l’invito della Conferenza episcopale italiana a favorire il dibattito sui temi centrali del Convegno, presenta
uno ad uno i cinque verbi indicati nella Traccia per la preparazione del Convegno: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare.
Le scorse settimane ci siamo
soffermati sui verbi educare e
trasfigurare. In questo numero
per riflettere sulla parola annunciare abbiamo raccolto la
testimonianza del presidente
dell’Azione Cattolica di Verona e dell’ex presidente nazionale dell’Ac Paola Bignardi.
Annunciare, far sapere
qualcosa a qualcuno, comunicare. Sono più di duemila
anni che, come cristiani, obbedendo al mandato missionario di Gesù “Andate in
tutto il mondo e predicate il
Vangelo ad ogni creatura”
(Mc 16,15), siamo chiamati
a percorrere le strade dell’umanità per annunciare
con le parole e con le opere
l’amore di Dio.
Annunciare non è una
scelta. Se davvero la gioia
della buona notizia ci ha toccati nel profondo non possiamo tenerla per noi. Ma
per annunciare bisogna uscire: “Fedele al modello del
Maestro, è vitale che oggi la
Chiesa esca ad annunciare il
Vangelo a tutti, in tutti i luo-
ghi, in tutte le occasioni,
senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia
del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno” (Evangelii Gaudium,
23).
È chiaro anche che per annunciare bene bisogna prepararsi bene: papa Francesco invita tutti i cristiani a
percorrere un “cammino di
conversione pastorale e missionaria”, e i vescovi, nella
traccia per il Convegno di
Firenze, parlano di “discernimento comunitario”. Si
tratta pertanto di attivare un
processo che coinvolga laici
e preti, giovani, famiglie e
aggregazioni ecclesiali per
abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto
sempre così”.
Occorre essere audaci e
creativi, sollecitando le nostre comunità ad attuare con
urgenza questa conversione
pastorale: consuetudini, stili, orari, linguaggio devono
essere rimodulati in modo
tale che l’annuncio del Vangelo sia adeguato alle esigenze degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Per riflettere su questa via,
ho intervistato Paola Bignardi, ex presidente nazionale
dell’Azione Cattolica, che in
questi giorni è stata a Verona per un partecipato convegno sul ruolo del laicato e
sui cambiamenti della Chiesa italiana dal Concilio Vaticano II a papa Francesco.
– Le nostre realtà ecclesiali sono animate dal desiderio di condividere il “tesoro” della Parola buona
che hanno ricevuto? Di promuovere in ogni persona
l’incontro con Gesù?
«Può sentire la responsabilità di annunciare il Vangelo chi ne ha sperimentato la
forza, la bellezza, la gioia. La
missione di annunciare ha
bisogno di due amori: quello
per la Parola di Dio, di cui si
è compreso il valore e la forza, e l’amore per i propri fratelli, con i quali si desidera
condividere il tesoro di cui si
è scoperto il valore. Solo chi
si lascia trasformare ogni
giorno dalla Parola a poco a
poco sente maturare dentro
di sé il bisogno di rendere i
propri fratelli partecipi del
dono ricevuto e sperimentato».
– Le nostre comunità sanno “mostrare” nei gesti, nelle parole, nei riti, nelle istituzioni, la dedizione amorevole del Signore verso tutti
gli uomini?
«Il “far vedere” è la forma
più persuasiva di comunicazione; dice tra l’altro che il
messaggio che si comunica è
entrato a far parte della vita
di chi lo annuncia. Non vi è
linguaggio più convincente
di un’umanità matura e calda, che dal Vangelo si è lasciata plasmare per assumere la forma di Cristo: gesti di
accoglienza, di vicinanza, di
solidarietà, di partecipazio-
ne alla vita degli altri comunicano più di ogni parola.
Quando in una comunità vi
è un’umanità matura, allora
anche la liturgia assume un
sapore di autenticità, le parole sono credibili e le istituzioni non sono rigide forme
di organizzazione».
– Vi è in atto una revisione costruttiva delle forme
di annuncio e di catechesi
in riferimento alle diverse
età e condizioni di vita?
«Vi è un grande sforzo, intelligente e molto serio, di
revisione di tutto l’impianto
di catechesi delle diverse età,
con la preoccupazione di
raggiungere anche gli adulti.
Tuttavia questo sforzo è reso
debole dal fatto che non riesce a mettere in discussione
quei linguaggi e quelle forme culturali che fanno percepire il messaggio cristiano
come estraneo alla sensibilità di oggi. Questo è il punto
nevralgico dell’impegno catechistico di oggi: riuscire a
reinterpretare con la sensibilità di oggi il senso e i contenuti dell’essere cristiani. E
poi servirebbe un grande
sforzo innovativo per entrare in relazione con tutti e
non solo con quelli che sono
già in contatto con la comunità cristiana, insieme all’impegno di entrare in dialogo
con gli adolescenti. Ma tutto
questo chiama in causa, ancor prima dell’annuncio, la
capacità della comunità cristiana di rendere le persone
Il logo del Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze
partecipi di un’esperienza viva, generando in loro un
progressivo senso di appartenenza alla comunità».
– Sappiamo esprimere,
con umiltà ma anche con
fermezza, la nostra fede
nello “spazio pubblico”,
senza arroganza, ma anche
senza paure e falsi pudori?
«Prima di interrogarci sulla nostra presenza nello spazio pubblico, oggi dovremmo interrogarci sulla forza
interiore della nostra esperienza di fede e sulla nostra
capacità di viverla e di interpretarla come il vero tesoro
della nostra vita».
– Il nostro annuncio del
Vangelo si traduce in un’attenzione profonda verso i
poveri, gli esclusi, coloro
che abitano le periferie esistenziali?
«Papa Francesco ci sta insegnando che non esiste vera esperienza cristiana senza
un’attenzione viva e privilegiata verso tutti coloro che
sono poveri, fragili di fronte
alla vita, esclusi dai circuiti
di coloro che contano. Forse siamo troppo ricchi per
riuscire a “vedere” i poveri
che abitano accanto a noi e
che popolano di solitudini
le nostre città: anziani, stranieri, famiglie in crisi, giovani disorientati…; è la storia del ricco della parabola,
che aveva Lazzaro alla soglia di casa ma, semplicemente, non lo vedeva. I ricchi sono ciechi. Per essere
attenti ai poveri occorre liberarsi dalla cultura dello
scarto, di cui spesso parla
papa Francesco, diventare
vulnerabili di fronte al dolore degli altri per divenire capaci di compassione. Allora
potremo anche accostarci
ad ogni periferia; come peraltro ci stanno mostrando
alcune comunità cristiane
che hanno avuto il coraggio
di questa conversione».
Claudio Bolcato
Presidente diocesano
Azione Cattolica
Delegato 5° Convegno Ecclesiale
Il Simposio dei laici si interroga
su quale cittadinanza ha oggi il Vangelo
A
nche Verona si sta
preparando al Convegno
della Chiesa italiana che si
svolgerà a Firenze, intitolato “In
Gesù Cristo il nuovo
umanesimo”. Lo fa con una serie
di incontri preparatori per la
delegazione che rappresenterà la
nostra diocesi nell’assise
fiorentina, e lo ha fatto anche
sabato scorso 17 ottobre con il
quinto Simposio dei laici
convocato dal vescovo mons.
Giuseppe Zenti. Erano 85 le
persone invitate, tra cui
autorevoli rappresentanti di enti,
associazioni, categorie e diverse
realtà professionali accanto a
semplici operai e studenti. Il
compito affidato dal Vescovo per
la riflessione è stato l’analisi tra le
diverse antropologie che ispirano
la cultura contemporanea. Il
metodo di lavoro, incentrato
sull’ascolto piuttosto che su
relazioni di esperti, ha fatto
sperimentare la bellezza del dono
di cui ognuno, a partire dalla
propria esperienza, è portatore
verso gli altri. Mons. Zenti ha
introdotto i lavori presentando tre
aree tematiche su cui gli invitati
si sono divisi in gruppi di lavoro:
il post umanesimo, l’umanesimo
integrale, l’umanesimo cristiano.
Temi evidentemente molto alti e
amplissimi, ma alla fine la
domanda era: “Quale cittadinanza
ha oggi il Vangelo?”. Questa bella
notizia che viene dalla fede
cristiana e da duemila anni
affascina uomini e donne di tutto
il mondo, come può fare breccia
nell’attuale complessità
socioculturale? E quale compito
hanno i laici cristiani in questa
operazione così delicata?
Abbiamo chiesto a tre
protagonisti del Simposio una
prima impressione, in attesa del
lavoro di sintesi che verrà
consegnato a Firenze e presentato
dal Vescovo sulle nostre pagine
nei prossimi numeri attraverso la
sua rubrica “Parlandoci da
cristiani”. Giuseppina Vellone,
psicoterapeuta e consulente del
Tribunale minorile di Verona, ha
definito questo incontro «una
preziosità perché permette di
avere voce in una coralità dove
nessuno si sente escluso. Al
momento è un dialogo tra
credenti, ma potrebbe diventare
una vera e propria agorà aperta
anche al mondo non
confessionale. Se infine, dopo il
confronto e lo scambio reciproco,
si arrivasse a qualche ritorno
pratico, daremmo anche un
nuovo respiro alla nostra città».
Umberto Fasol, preside
dell’Istituto scolastico paritario
Alle Stimate ci ha confidato che
di fronte ad un “tema” così
impegnativo la prima impressione
è stata quella dell’inadeguatezza,
ma poi man mano che si sono
susseguiti gli interventi è emerso
un dato interessante: «Gesù è
l’uomo realizzato, il resto è
accademia. L’antropologia
moderna lancia delle sfide
poderose al cristianesimo,
chiudersi nel proprio fortino in
una difesa ad oltranza non ha
molto senso, ma se la strada è
quella di “esserci”, cioè della
presenza propositiva, non va
dimenticato che lo si può fare in
Il Simposio dei laici in Vescovado
molti modi. È un fatto
estremamente positivo che le
variegate voci dei laici possano
esprimersi in piena libertà, ma
queste voci devono formare un
coro polifonico, e ciò vale anche
per i pastori della Chiesa».
Sull’importanza della
comunicazione ha insistito anche
Claudio Bolcato, presidente di
Azione Cattolica: «Non sarebbe
male convocare un prossimo
simposio sul linguaggio senza
perdere di vista la dimensione
popolare che è stata da sempre la
chiave che ha permesso al
messaggio cristiano di aprire tanti
cuori e tante menti. Oggi si
stanno affermando nuovi
umanesimi di matrice non
cristiana per esempio nell’ambito
delle neuroscienze e non è detto
che siano necessariamente in
opposizione al Vangelo. Iniziare
un dialogo con questi mondi è
oltretutto affascinante e potrebbe
aprire infinite nuove strade di
dialogo». In questo abbiamo
l’esempio di papa Francesco che
non disdegna nessuno strumento
comunicativo, nessun
interlocutore, nessun argomento,
ma stabilisce contatti diretti,
sintetici e usa un linguaggio
comprensibile a tutti.
Stefano Origano
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