Un contesto estremo richiede necessariamente un progetto
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Un contesto estremo richiede necessariamente un progetto
SOS Abitare. Each month the project of an architect or an architecture practice is passed on for comment, accompanied by a letter from its authors, to a pair of well-established architects chosen by “Abitare” as major actors on the contemporary architecture scene. Their comments, criticisms and suggestions make this “Abitare” feature an open forum for well-informed debate on major issues of interest to architecture professionals everywhere. scriveteci a write to [email protected] João Luís Carrilho da Graça Luca Brenta e / and Lorenzo Argento (Portogallo, 1952). Ha studiato architettura all’ESBAL di Lisbona, città dove lavora. Insegna all’Universidade Autónoma di Lisbona (dal 2001) e all’Università di Évora (dal 2005). Tra i lavori più recenti: l’ampliamento della Scuola Tedesca (2003-2007) e la Scuola di Musica (1998-2008), a Lisbona; il Teatro di Poitiers (2000-2008). Luca Brenta (Italia, 1954) ha studiato al Politecnico di Milano. Progetta barche per i più importanti cantieri, in tutto il mondo. Lorenzo Argento (Italia, 1963) ha studiato Yacht & Boat Design (Southampton College of Higher Education). È associato con Brenta dal 1990, anno in cui hanno realizzato il primo WallyGator per Sangermani. (Portugal, 1952). Studied architecture at ESBAL in Lisbon, the city where he works. He teaches at the Universidade Autónoma in Lisbon (since 2001) and at the University of Évora (since 2005). His most recent works include: the extension of the German School (2003-2007) and the Music School (1998-2008), in Lisbon; and the Theatre in Poitiers (2000-2008). Luca Brenta (Italy, 1954) studied at Polytechnic of Milan. He has designed racing and cruising yachts for important boatbuilders all over the world. Lorenzo Argento (Italy, 1963) studied Yacht & Boat Design at Southampton College of Higher Education. He has been an associate with Brenta since 1990, the year in which they created the first WallyGator for the Cantieri Sangermani. www.jlcg.pt www.lucabrenta.com foto di / photo by Giovanna Silva Le risposte di / The answers by: SOS Abitare. Ogni mese, il progetto di un architetto o di uno studio di architettura viene sottoposto, accompagnato dalla lettera dei suoi autori, al parere di una coppia di esperti progettisti, scelti dalla redazione di “Abitare” tra i protagonisti dell’architettura contemporanea. I loro commenti, le critiche, le loro stroncature o apprezzamenti, trasformano le pagine di “Abitare” in un atelier a scena aperta; in un pezzo di alta scuola applicato alla professione dell’architettura. La lettera dei progettisti / The architects’ letter Un contesto estremo richiede necessariamente un progetto estremo? Does an extreme context necessarily call for an extreme design? a cura di / edited by Anna Foppiano + Matteo Poli foto di / photos by Giovanna Silva 44 492 Progetto sperimentale ad alta quota / Experimental high-altitude project Lo stato di fatto / Found situation Jacopo Muzio e / and Guido Boroli * Caro SOS Abitare, stiamo progettando la ristrutturazione di un rifugio sulla parete Est del Monte Rosa, inaugurato nel 1886 e dedicato all’alpinista Damiano Marinelli. Il nostro intervento è una sequenza di parti composte: un impianto “a elica” di matrice lecorbusieriana – riferibile al Cabanon, con un vuoto centrale e i diversi spazi attorno – è stato interpretato in una variante “wrightiana”, con un camino al centro della pianta. Questa tipologia ricorda anche le Stuben delle tradizionali baite Walser tipiche di Zermatt e di Macugnaga. Il progetto, che si sviluppa in soli 28 mq, vuole essere occasione di sperimentazione. Diversi i temi: dare “rifugio”, anche in situazioni limite, a 8/10 persone; eliminare umidità e acqua che trasudano dalla roccia; mitigare la forte escursione termica in un luogo privo di risorse naturali combustibili; ottimizzare la funzionalità; aumentare la sensazione di spazio interno salvaguardando il manufatto esistente, che nel tempo ha subìto solo sommari interventi di adeguamento; trovare soluzioni costruttive compatibili con il luogo, con il trasporto e il montaggio dei materiali; prevedere una semplice manutenzione del rifugio, non custodito; mettere in sicurezza gli spazi esterni esposti a vento, slavine e frane. Tutti temi su cui sarebbe prezioso un consiglio. Dear SOS Abitare, we are planning to renovate a mountain refuge built on the East face of the Monte Rosa in 1886 and named after the mountaineer Damiano Marinelli. Our design is a sequence of composite parts: a Lecorbusierian “spiral” system – based on the Cabanon, with a central void and various spaces around it – is interpreted in a “Wrightian” way, with a heat source at the centre of the plan. This typology is also reminiscent of the Stuben in the traditional Walser chalets typical of Zermatt and Macugnaga. The project, which deals with a space measuring just 28 sqm, is intended as an opportunity for experimentation. It has a number of different aims: to provide “refuge”, even in extreme conditions, for 8-10 people; to eliminate the damp and water that seeps through the rock; to reduce the extremes of temperature in a place with no natural fuel supply of its own; to optimise functionality; to increase the sense of indoor space while preserving the existing building, to which only minor modifications have been made over the years; to find building solutions compatible with the location, and with the transport and assembly of materials; to ensure that the refuge remains low maintenance and does not need to be manned; and to take steps to protect the outdoor areas exposed to wind, avalanches and landslips. Advice on all these points would be more than welcome. * Jacopo Muzio (Italia, 1975), architetto, si è laureato al Politecnico di Milano, dove ha aperto il proprio studio nel 2003. Ha collaborato con Umberto Riva e Vittorio Gregotti. Guido Boroli (Italia, 1974), architetto, si è laureato al Politecnico di Torino. Dopo un master al Politecnico di Milano, in questa città ha aperto il proprio studio nel 2004. * Jacopo Muzio (Italy, 1975), architect, graduated from the Polytechnic of Milan, the city where he opened his own studio in 2003. He has worked with Umberto Riva and Vittorio Gregotti. Guido Boroli (Italy, 1974), architect, graduated from the Polytechnic of Turin. After having completed a master’s degree at the Polytechnic of Milan, he opened a studio in that city in 2004. Tipologia / Typology Rifugio alpinistico di montagna / Alpine mountain refuge Luogo / Place Parete Est del Monte Rosa / East face of the Monte Rosa, Macugnaga (Verbania), Italia / Italy Altitudine / Altitude 3100 m Superficie / Surface area 28 mq / sqm Committente / Client CAI Milano Budget 50.000 euro 492 45 B Il progetto* The project 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. This mountain refuge is designed like a ship to live in amidst the rocks of Monte Rosa. The new entrance volume, raised off the ground, is an access space/ventilated storage area. Inside, the central core consists of a tubular stove complete with circular coat hangers. Around it is a long seat-storage compartment which, if necessary, can be turned into a bed for 4 people by lowering the telescopic table. A bow-window has been created on the east side, with a “chart” table. A “tube-and-canvas” system creates another 4-6 beds above. A very visible outer cladding and a new “blockhouse” micro-bathroom in prefabricated concrete are also planned, and the outer walkways are to be made safe by adding life-lines. 3 4 3 2 A A 5 1 6 8 B Il rifugio è pensato come un vascello da abitare tra le rocce del Monte Rosa. Il nuovo volume d’ingresso, rialzato da terra, è un disimpegno/deposito aerato. All’interno, il nucleo centrale è una stufa a tubo sospesa, dotata di appendiabiti circolare. Attorno, è prevista una lunga seduta con gavone di contenimento che, all’occorrenza, abbassando il tavolo telescopico, può diventare letto per 4 persone. Nella parete est è stato inserito un bow-window, con un tavolo da “carteggio”. Un soppalco composto in “tubi e tela’” definisce altri 4/6 posti letto. Si prevedono anche un rivestimento a “cappotto”, che aumenti la visibilità del rifugio dall’esterno, un nuovo micro-bagno “casamatta” in cemento prefabbricato e la messa in sicurezza dei percorsi esterni con battagliole. 7 9 Il Rifugio Marinelli in una mappa tecnica delle Alpi Pennine / Rifugio Marinelli on a technical map of the Pennine Alps Ingresso – deposito aerato / Entrance – ventilated storage space Stufa / Stove Seduta con gavone (eventuali posti-letto) / Seating unit with storage space (possible berths) Tavolo telescopico / Telescopic table Micro-cucina / Micro-kitchen Loggia con tavolo da carteggio / Loggia with charts table Posti-letto con sistema “tubo e tela” / Berths with “tube-and-canvas” system Micro-bagno / Micro-bathroom Battagliola / Life-lines Pianta / Plan 7 6 7 7 6 2 4 1 Prospetto est, verso valle / East elevation, towards the valley 3 Sezione longitudinale AA / AA longitudinal section 8 3 1 4 3 Sezione trasversale BB / BB cross section Viste del modello. All’interno è già presente la struttura mobile “tubo e tela” per i posti-letto superiori ipotizzata durante una delle conversazioni di “SOS” (vedi pp. 52-55). Rendering dello spazio interno. L’idea dell’”appendiabiti-aureola” intorno al tubo della stufa nasce da un pensiero di Giovanni Michelucci: “Nessun luogo è povero e di poco conto se è abitato da un angelo”. Views of the model. The interior already includes the mobile “tubeand-canvas” structure for the upper berths, proposed during one of the “SOS” conversations (see pp. 52-55). Rendering of the interior space. The idea of a “halo-coat stand” around the stove pipe is based on a thought by Giovanni Michelucci: “No location is poor and insignificant if it is inhabited by an angel”. * In queste pagine Jacopo Muzio e Guido Boroli descrivono brevemente il loro progetto. * In these pages Jacopo Muzio and Guido Boroli give a short description of their project. 46 492 492 47 La risposta di The answer by João Luís Carrilho da Graça 48 492 All’interno dell’inverno Vetrata sul vuoto Vi dico subito quello che mi convince, e poi magari parliamo degli aspetti che invece mi sembrano più deboli. Innanzitutto il contesto offre un tema molto interessante, di “radicalità spinta”: essere ad alta quota avendo a disposizione un’area di dimensioni ridottissime, protetta e polivalente. È molto importante che il progetto mantenga questo spirito di spazio minimo, e con esso tutta la complessità del suo utilizzo. Nelle aspettative dell’alpinista immagino che non ci sia niente di meglio che entrare nel rifugio e trovare subito il fuoco e questa splendida vista verso l’esterno. Sono gli aspetti più importanti. Dopo, davvero, tutto il resto può essere organizzato come l’interno di una barca, di un aereo o di un treno, in modo molto compatto e funzionale. In questo senso è giusto pensare a un grande spazio per sedersi vicino al fuoco per chi arriva stanco e finalmente si libera dei vestiti e di tutta l’attrezzatura. Considerando che il caldo va verso l’alto, forse sarebbe meglio collocare la stufa un po’ più in basso rispetto a dove avete pensato, anche per scaldare meglio i piedi. Anche il volume di entrata e tutta la zona d’ingresso mi sembra che funzionino, così come la circolazione e l’organizzazione interna. Ho invece l’impressione che questo sistema di posti letto “a barella” crei un po’ di confusione, anche visiva. Mi domando tra l’altro quanto possa essere confortevole una sistemazione di questo genere. Dal mio punto di vista l’ipotesi più interessante, dettata in maniera evidente dalla situazione, è quella di realizzare tutto l’interno in legno, un materiale che trasmette una forte sensazione di calore, immediatamente opposta alla condizione climatica e fisica dell’esterno. Anche d’estate, con temperature miti, il legno resta un materiale molto piacevole. Se questo fosse un mio progetto, se ci stessi lavorando in prima persona, mi divertirei a disegnare tutto in maniera molto accurata, studiando ogni elemento nei minimi dettagli come se stessi progettando l’interno di un’imbarcazione. Per creare invece un piccolo ambiente alpino, protetto e di legno, depositato tra tutte queste pietre, all’interno dell’inverno. Proviamo a entrare nel dettaglio. Come dicevo, condivido pienamente la decisione di fare questo buco nella parete di pietra, inserendo a forza una grande finestra nel grosso spessore del muro. Ma è veramente fattibile un’apertura di queste dimensioni, e in che modo è meglio realizzarla? Per uno spazio così, sospeso tra interno ed esterno, è essenziale la presenza della grande vetrata a picco sullo strapiombo. Credo che valga la pena di ridurre al minimo lo spessore della lastra, trovandone un tipo molto resistente, e con ottime qualità di isolamento termico. Avrete quindi bisogno di un materiale pregiato e, temo, molto caro. Mi sembra invece che il serramento interno della loggia, così come l’avete disegnato, una volta aperto possa diventare un elemento d’intralcio nella vita compressa del rifugio. Sarebbe meglio inventare un sistema scorrevole, ed è senz’altro il caso di prevederlo a incasso per non pregiudicare l’uso delle pareti: in uno spazio così piccolo ogni centimetro è fondamentale e sui muri si devono poter appendere giacche e zaini. Mi domando anche se non sarebbe opportuno avere un sistema esterno di protezione del vetro della loggia da montare d’inverno, quando il rifugio è disabitato. In the deep midwinter Let me start by telling you the things I like most about this, and then I can maybe talk about what seem to me to be its weaker aspects. To begin with, the context offers a very interesting theme, that of taking things to the “radical extreme”: being at such a high altitude, with very little room in what is basically a multi-purpose shelter. It’s very important that the design retains this spirit of minimal space, and all the complexities of use that entails. I think if you’re a mountaineer, it must be nice to walk into a hut and find a fire right there in front of you and also to be able to enjoy a splendid view like this outside. These are the most important aspects. Apart from that, all the rest can be organised like it would be on board a ship, a train or a plane, in a very compact, functional way. So it’s right to create a large space where the tired people arriving can at last get out of their clothes and climbing gear and sit by the fire. Given that heat rises, it might be an idea to position the stove slightly lower than where you have put it, which would also make it easier to warm your feet by. I think the entrance volume works well, as do the circulation and the overall internal layout. But I’m not so happy with these stretcher-style beds, which create a bit of confusion, and I mean visual confusion, too. I’m also wondering how comfortable they can possibly be to sleep in. Nello schizzo di João Luís Carrilho da Graça sono ipotizzati la “camerata promiscua”, con una pedana unica su cui dormire allineati (con la testa verso valle); e, per la loggia, un serramento interno scorrevole e la creazione di visuali prospettiche. The sketch by João Luís Carrilho da Graça proposes a “communal sleeping area”, with a single platform on which to sleep aligned in the same direction (heads towards the valley); and, for the loggia, a sliding internal frame and the creation of perspective views. Legno e fuoco Immaginiamo quindi di avere questa scatola e di entrare al suo interno. Tutto è molto caldo e accogliente. Tutto è legno: pareti, soffitto e pavimento. Credo che sia bellissimo. Apriamo la loggia facendo scorrere le ante. E qui, al centro dello spazio, c’è una grande pietra, una pietra fantastica, e poi c’è l’acciaio della stufa. La posizione del fuoco deve essere ben pensata, è una presenza forte e sicura, dà una definizione radicale del centro. Dal punto di vista pratico bisogna anche immaginare in che modo tutte le persone (cinque, dieci, venti?) che sono arrivate qui per caso si possano riunire intorno a questo fuoco, un tema che mi interessa molto. Mi domando poi se, all’interno della loggia, non si possa creare un sistema prospettico, o qualcosa del genere, che permetta la vista verso l’esterno da diverse angolazioni. Ma torniamo alla questione dei posti letto, che è piuttosto 492 49 The most interesting idea as I see it (and something that is clearly dictated by the context) is the way you’ve done the whole of the interior in wood, a material that conveys a great feeling of warmth, quite the reverse of the climatic and physical conditions outside. Even in summer, when the weather’s milder, wood is still a very pleasant material to be surrounded by. If this were a design project of mine, if I were working on it first hand, I’d have great fun designing everything very carefully, right down to the last detail, as if I were designing the interior of a boat. But I’d actually be creating a little Alpine space, a place of protection lined in wood lodged in the rocks, in the deep midwinter. 2. Grandi riquadri tagliati nello spessore del muro / Large frames cut into the wall thickness: Istituto Politecnico, Scuola di Musica / Polytechnic Institute, School of Music, Lisbona / Lisboa, Portogallo / Portugal, 1998-2008. 3. Visuali sul paesaggio / Views towards the natural environment: Chiesa di Sant’Antonio / St. Antonio Church, Portalegre, Portogallo / Portugal, 1993-2008. 50 492 Un’ultima questione. I rifugi d’alta quota hanno sempre questi colori bianco e rosso? Da un lato mi dispiace che non si veda la pietra, perché a noi romantici la pietra piace sempre e la vorremmo trovare dappertutto. Anche qui, dove certamente ce ne è già tanta. Ma, dall’altro, trovo bellissima questa striatura un po’ irregolare, che sembra il mantello di una tigre. La contrapposizione netta di colori mi ricorda anche quegli edifici a scacchiera che ci sono negli aeroporti. Proprio qui a Milano, a Malpensa, c’è n’è uno che guardo sempre, bello perché ha una forma un po’ strana e per come sono accostati i colori. Come, appunto, è bello lo stile naturale delle righe bianche e rosse di questo rifugio. Partendo dall’idea di un pattern che copra tutto, si potrebbe immaginare che il rivestimento fosse come un vestito esterno, un segnale nitido e visibile tra le pietre, anche da lontano. La pittura mi sembra un po’ debole, così come non utilizzerei il legno, troppo facilmente deteriorabile. Penserei a un materiale più resistente. Io ho sempre avuto voglia di provare a utilizzare il corian anche negli esterni, e proprio adesso sono riuscito a farlo nel disegno di un piccolo prospetto. È un materiale bellissimo, perché è artificiale ma piacevole al tatto. Forse sostituendo il corian alla “pelle di tigre” si potrebbe trasformare questo vecchio rifugio di montagna in un piccolo, evidente, oggetto artificiale incastonato nella pietra. Wood and fire So let’s say we have this box and we walk inside. It’s all very warm and cosy. Everything’s made of wood: the walls, ceiling and floor. I think it’s really beautiful. We slide back the internal frame to open up the loggia. And here in the centre of the space, there’s a huge stone, a fantastic stone, and then there’s the steel of the stove. The position of the fire has to be planned carefully, it’s a powerful, secure presence and it gives a radical definition to the centre. From a practical point of view, you also have to envisage how all the people (five, ten, twenty?) who have arrived here can gather round this fire, a theme I find very interesting. I also wonder if you couldn’t create a perspective system or something like that inside the loggia so that you can create views towards the outside from different angles. But let’s go back to the question of the beds, which is an important one. First off, I would suggest replacing your “stretcher” structure with a single wooden surface. I recently visited A tiger’s coat One final point. Are all high-altitude mountain huts painted red and white like this? On the one hand, I’m sorry that you don’t see the stone, because we romantics like stone and we like to have it everywhere. Even here, where there’s certainly plenty of that stuff already. But on the other hand, I really love this slightly irregular striped pattern, which looks a bit like a tiger’s coat. The sharp colour contrast reminds me of those little chequered buildings you see in airports. There’s one here in Milan, at Malpensa, which I always notice because it’s a rather strange shape and has an odd colour combination. So I also like the natural style of the red and white stripes of this hut. Starting with the idea of a pattern covering everything, you could imagine that the cladding was like an outer clothing, a clear and visible presence among the rocks, even from a distance. The paintwork seems a bit weak to me, and I wouldn’t use wood either because it deteriorates too quickly. I’d go for a sturdier material. I’ve always wanted to use corian outdoors, and I’ve just managed to use it in the design of the elevation of a small building. Corian is a beautiful material: it’s artificial but it feels lovely. If you replaced the “tiger’s coat” with corian you’d probably transform this old mountain hut into an evident, artificial presence nestling in the rocks. 2 foto di / photo by FG+SG_Fotografia de Arquitectura 1. Edificio visibile nell’oscurità / Building visible in the dark: Teatro e auditorium / Theatre and auditorium, Poitiers, Francia / France, 2000-2008. Pelle di tigre 1 foto di / photos by FG+SG_Fotografia de Arquitectura Riferimenti / References progetto. Il mio consiglio è quello di rafforzarli. E di creare uno spazio totalmente centrato sul fuoco. Fotografie di João Luís Carrilho da Graça di un edificio di servizio a scacchi rossi dell’aeroporto di Malpensa. Photographs by João Luís Carrilho da Graça of a red-checked service building at Malpensa airport. Ronald Brooks Kitaj, “Dismantling the Red Tent”, 1963-1964. Fotogramma dal film “La tenda rossa” di Mikhail Kalatozov, 1969. Still from “The Red Tent” movie, directed by Mikhail Kalatozov, 1969. 3 foto di / photo by FG+SG_Fotografia de Arquitectura importante. D’acchito, come dicevo, proporrei di sostituire il vostro sistema di “barelle” con un unico piano di legno. Recentemente ho visitato a Barcellona la casa costruita da un amico, che per realizzare la sua camera da letto ha utilizzato un sistema di elementi di legno, credo finlandese, con cui è possibile ottenere luci molto ampie. È semplice e veloce da mettere in opera, e il risultato è veramente bello. Forse si potrebbe utilizzare qualcosa del genere anche qui, creando appunto una pedana su cui le persone dormano allineate una accanto all’altra, con le teste rivolte verso la finestra. In questo modo si creerebbe uno spazio semi-collettivo, a cui tutti accederebbero con un’unica scala. Non mi dispiace per niente questa provocazione di mettere tutti a dormire insieme. Quelli che arrivano fin qui hanno già, sicuramente, una forte passione condivisa, quella della montagna. Vi dirò di più: organizzando i posti letto in questo modo, questa “camerata promiscua” potrebbe diventare un fattore di attrazione del rifugio. Quindi, in basso il sistema delle panche su cui si può anche dormire, che mi piace molto, e, in alto, questo piano che attraversa tutto. E poi c’è il fuoco, con la stufa che forse potrebbe essere aperta in tutte le direzioni, o almeno da due lati, per rafforzare l’idea di centralità e mettere tutto lo spazio, che è piccolo, in azione. Una centralità che credo dovrebbe essere il più possibile affermata, sottolineata, resa evidente, associando la presenza della stufa a delle “funzioni vitali”, in modo che ci si avvicini non solo per scaldarsi, ma anche per fare qualcosa di fondamentale, come per esempio preparare da mangiare. Riassumendo: il legno, il fuoco, l’“orgia” (!), tutti elementi, già presenti nel vostro A window overlooking the void So let’s get down to some of those details. As I was saying, I fully agree with the idea of making this hole in the stone wall and putting a large window into the thick space. But how feasible is it to make an opening of this kind, and what is the best way of going about it? For a space like this, mid-way between the indoor and outdoor space, it’s essential to have a large window high up over the sheer drop. I think it would be a good idea to reduce the thickness of the pane to a minimum, and to find a very tough kind of glass, with good heat-insulating properties. So you need a high-quality material, which will be very expensive, I’m afraid. On the other hand I think that, if the window frame on the inside of the loggia would be in the way it is in your design, when opened it would interfere with the already cramped conditions in the hut. It would be better to devise a sliding system, ideally of the built-in kind, so as not to affect the way the walls are used: in such a small space, every centimetre matters enormously, and you need to be able to hang coats and rucksacks on the walls. I’m also wondering if it wouldn’t be a good idea to have a system to protect the glass of the loggia on the outside that you could put up in winter, when the hut is not being used. a house a friend of mine built in Barcelona, and for his bedroom he’d used a system of wooden elements – I think it was Finnish wood – with which you can create very wide spans. It’s quick and easy to assemble, and the result is extremely attractive. Perhaps you could use something similar here, creating a platform on which everyone would sleep next to one another in a row, with their heads towards the window. In this way you would create a semi-collective space, which everyone would get to from a single flight of steps. I really quite like this provocative element of having everyone sleeping together. All those who get here undoubtedly share the same great passion for the mountains. I could say more: by having the beds arranged like this, the “promiscuous dormitory” could become one of the attractions of the hut. So below you’d have a system of benches that you can also sleep on – an idea I really like – and, above, this platform crossing the whole space. And then there’s the fire, with the stove that perhaps should open on all sides, or at least on two, to reinforce the idea of centrality and bring the whole space, which is a small space, alive. A centrality, I think, that should be established as strongly as possible, emphasised, highlighted, associating the presence of the stove with other “vital functions”, so that you go up to it not just to get warm, but also to do other basic things, like preparing food. So to sum up: wood, fire, the “orgy” (!), all elements, by the way, which are already present in your design. My advice is to reinforce these things even more. And to create a space centred entirely on the stove. 492 51 La risposta di The answer by Luca Brenta Lorenzo Argento Struttura Diciamo subito che l’idea di un rivestimento esterno di corian è molto discutibile. Perché mai utilizzare, in alta montagna, in un ambiente incorrotto, un materiale artificiale? Per quale necessità specifica? Il corian è un marmo sintetico inventato dagli americani della DuPont, si può realizzare in tanti colori ed è adattissimo per fare lavandini. Non qui, in un contesto naturale integro, tra pietre e sassi. È vero che noi nelle barche sperimentiamo spesso materiali ipertecnologici, ma il loro impiego è strettamente legato a specifiche necessità prestazionali, e mai a scelte di carattere formale. Sarà anche banale, ma chi arriva fin quassù probabilmente è molto più contento di trovare una costruzione nata e invecchiata nel contesto che non un “corpo estraneo”. Avete pensato al corian per una questione di visibilità? Mettiamo piuttosto davanti al rifugio delle grandi bandiere rosse! Per l’interno è senz’altro adatto il legno – pavimento, pareti, soffitto. Avete ragione a pensare che, considerando le difficoltà di farli arrivare a questa quota, è necessario utilizzare dei pannelli componibili estremamente leggeri. In nautica si adoperano spesso dei compensati marini stratificati, semplici da trasportare e da incollare, che hanno in genere uno spessore di 3 centimetri, con uno strato interno in pvc che fa da coibente. Le sostanze fenoliche utilizzate per incollarli sono resistenti all’acqua e all’umidità, per cui anche se i pannelli si bagnano, o se non sono perfettamente verniciati, non si gonfiano e non marciscono, e possono essere periodicamente grattati e ripitturati. Nello specifico, qui, si potrebbe scegliere il Laripan, che è molto leggero, con ottime capacità strutturali e di termoisolamento. Le nostre barche hanno la struttura esterna in carbonio, con uno spessore che può variare da 25 millimetri (per 40 piedi di lunghezza) fino a 50, 60 e anche 70 millimetri (per scafi più lunghi). Per creare uno spazio abitabile confortevole, isolato, per assorbire le vibrazioni – il cosiddetto “suono” –, all’interno dello scafo vengono incollate delle strisce di gomma da 12 millimetri e su queste sono poi fissati i pannelli di legno, che devono essere rimuovibili. Infatti, contrariamente a quanto accade nel vostro rifugio, noi non abbiamo particolari problemi di isolamento termico, né di umidità e di ventilazione, ma è invece importante che lo scafo sia ispezionabile in ogni punto. Nelle barche è poi fondamentale prevedere a terra un sistema di paglioli, che devono essere facilmente smontabili per l’accesso alla sentina. 52 492 Tutto sommato, non sarebbe sbagliato che anche nel rifugio almeno parte del pavimento fosse rimuovibile, per poterlo ventilare nei periodi in cui non è abitato ed eliminare così parte dell’umidità. Mentre per quel che riguarda la copertura, mantenendone l’ossatura si potrebbe intervenire sullo spessore, aumentando la coibentazione e l’effetto di barriera al calore. Certo, questo ridurrebbe ulteriormente l’altezza interna. Loggia, illuminazione e distribuzione interna L’idea della loggia in aggetto, questo tubo quadro che penetra nella muratura, è ottima. Le pareti hanno uno spessore enorme e, con la neve che c’è qui, prevedere delle aperture sulla copertura, o degli oblò, non avrebbe senso. Nelle barche, con i giochi di specchi inclinati dei prismi, a volte riusciamo ad agire anche su intercapedini di 30 centimetri portando la luce sotto coperta, ma qui le pareti hanno uno spessore tale che sarebbe improponibile. Ma perché avete deciso di chiudere la loggia, all’interno? Se è una questione di dispersione del calore, allora ha probabilmente più senso utilizzare un doppio vetro fisso verso l’esterno, lasciando invece lo spazio in continuità con il resto della stanza. Ormai con il vetro si ottengono dei risultati impensabili. Esistono vetri stratificati in cui sono inserite delle pellicole che ne cambiano il colore, o addirittura vetri elettrificati utilizzabili come fossero piccoli termosifoni: si collegano a una presa di corrente e si scaldano. Certo, lastre così sofisticate perdono leggerezza. Ma rientra nelle alchimie del progetto risparmiare, anche in peso, in alcune parti (per esempio, in nautica, la struttura o l’albero) per poi poter utilizzare in altre materiali pesanti (e costosi) che permettono performance tecnologiche incredibili. Comunque la vostra loggia dovrà essere ben calcolata e armata, visto il carico di pietre che deve sopportare. Cercando di non perdere questo senso di lama infilata nella roccia. Noi usiamo spesso i “compositi”, che hanno una resistenza specifica maggiore dell’acciaio, ma un cassettone di un materiale del genere costerebbe da solo più di tutto il resto del lavoro. La distribuzione interna è un problema interessante. Anche qui ci sono analogie con il nostro lavoro: soprattutto nelle barche piccole, e in quelle da corsa, partiamo sempre dal presupposto che quando lo spazio a disposizione è poco deve essere “polivalente”, utilizzabile in modi diversi a seconda delle necessità. Quindi, per esempio, non ci sarà mai un tavolo da pranzo che Structure Let’s start by saying that the idea of an outer cladding in corian is a very dubious one. Why on earth would you want to use an artificial material in this unspoilt, high-altitude environment? For what specific purpose? Corian is a synthetic marble developed by the American firm DuPont, you can produce it in all sorts of colours and it’s excellent for making kitchen sinks. It wasn’t designed to be used among the rocks and stones of a natural context like this. It’s true that we boat designers often try out new hi-tech materials, but their use is dictated solely by specific performance requirements, never by formal choices. It might seem a rather banal thing to say, but those who do make it all the way up here will probably be much happier to find a building that has aged over the years rather than a “foreign body”. Did you think about corian for reasons of visibility? You could always put some big red flags outside the hut! Wood is undoubtedly the best choice for the interior – floor, walls and ceiling. You’re right to take into account the difficulties of getting to this altitude planning to use extremely lightweight, sectional panels. Lightness is a primary concern when you’re designing boats, too. Marine plywood is often used because it’s easy to transport and to glue; it’s usually three-centimetre thick, with an inner layer of PVC for insulation. The phenolic adhesives used to glue everything into place are waterproof and damp-proof, so even if the panels get wet or are not perfectly painted they don’t swell, warp or rot and they can be sanded down and repainted at a later stage. A good choice here would be Laripan, a very lightweight material, with excellent structural and heatinsulating properties. Our boats have an outer structure made of carbon, with a thickness that varies from 25 millimetres (for 40-foot vessels) to 50, 60 and even 70 millimetres (for longer hulls). To create an inhabitable, comfortable, insulated space (to absorb vibrations, so-called “sound”), 12-millimetre strips of rubber are glued to the inside of the hull and the wood panels, which have to be removable, are attached to them. Quite different from the situation in your hut, we don’t have any particular problems with heat insulation, humidity or ventilation but it is important that the hull can be inspected at any point. On boats you also have to line the floor with a system of bottom-boards that are easy to remove so that the bilge can be accessed. And really, it wouldn’t be a bad idea if part of the floor in your hut were removable too, so that the area underneath Nello schizzo di Lorenzo Argento la soluzione per i posti-letto con sistema mobile “tubo e tela” e scala centrale. Sotto, l’ipotesi del “pozzetto” con blocco stufa-cucina. The sketch by Lorenzo Argento shows the mobile “tube-and-canvas” bedding system, and the central steps. Below, concept for the cockpit containing the stove-kitchen unit. 492 53 could be ventilated when the hut is empty to get rid of some of the damp. As far the roof is concerned, you could keep the same framework but make it thicker, increasing the insulation and the heat barrier effect. Left: by eliminating the internal frame closing the loggia and the idea of a mobile “tube-andcanvas” structure, the internal space is given greater unity. Right: the plan of the project, redrawn according to the new idea of a 40-centimetre deep cockpit, with a central unit providing heat and for preparing meals, with the seating-storage units around it. aspetta inerte, per tutto il giorno, che qualcuno si sieda a mangiare, ma al momento giusto verrà estratto un piano su cui appoggiarsi. Nelle barche della “Volvo Race” le cucine basculanti e i micro-bagni formano quasi un corpo unico, che è il solo posto comodo della barca. È lì che si sta nei momenti di quiete sottocoperta. Con lo stesso atteggiamento, nel vostro rifugio si potrebbe pensare di creare un blocco unico stufa-cucina-lavello, invece che distribuire le tre funzioni – riscaldarsi, preparare il cibo e poi mangiare – in microspazi differenti. Che tanto, visto che l’ambiente è piccolissimo, interferirebbero fatalmente uno con l’altro. Sarebbe quindi divertente studiare nei dettagli questo corpo stufa-lavoro, utilizzando magari i tubi delle brandine superiori come sistema di appenderia. Quindi: arrivi al rifugio, ti siedi lì, ti scaldi e fai da mangiare. Tanto sei distrutto, sei cotto, non cucinerai un complicatissimo brasato. Si vive intorno alla stufa e alla cucina. Si potrebbe anche creare intorno alla stufa un “pozzetto” ribassato di 30-40 centimetri, in modo da recuperare un po’ di altezza. La panca-gavone, che gira tutto attorno, può anche essere alta meno di 45 centimetri (noi facciamo delle sedute da 40). Quando l’ambiente è basso, è giusto abbassare un po’ tutto. Al “pozzetto” si scenderebbe con due gradoni da 20 centimetri, e anche su quelli ci si potrebbe sedere. Come avete pensato voi, la panca-gavone potrebbe avere dei poggiaschiena, ma forse vale la pena di evitare meccanismi troppo complicati, basta un’asse di legno per non appoggiarsi direttamente al muro freddo. Meglio evitare anche ogni tipo di cuscini. È vero che esistono materiali acrilici molto resistenti, tessuti a cellula chiusa, ma resta sempre il problema della pulizia e della manutenzione, veramente difficile da organizzare in queste condizioni. Sistema “tubo e tela” e battagliola sullo strapiombo Veniamo ora alla questione fondamentale dei posti letto. Ne sono richiesti almeno 8, tra sotto e sopra, che sono moltissimi considerate le dimensioni del locale, e bisogna fare in modo che la loro presenza comprometta il meno possibile l’abitabilità dello spazio, soprattutto durante il giorno. Logico quindi pensare a una struttura mobile e modulare, che ingombri lo spazio solo quando è necessario. Con questa vostra soluzione, però, le due persone sdraiate nelle stessa branda 54 492 tenderebbero a infossarsi verso il centro. Invece è meglio che ognuno abbia un posto singolo, e sarebbe forse più razionale disporre tutti a dormire nell’altro senso, da monte a valle. Ricordatevi anche che per sopravvivere bisogna avere, una volta sdraiati, almeno 60 centimetri di spazio sopra la testa. La cosa migliore potrebbe essere effettivamente un sistema simmetrico a “tubo e tela”, simile a quello delle barelle, con al centro la scala. Per permettere alle persone di sdraiarsi da monte a valle, perché ci sia la lunghezza utile, l’elemento principale di sostegno – che potrebbe essere un tubo di alluminio del 50, spessore 3 mm – dovrebbe spostarsi leggermente verso la finestra, arrivando a intersecare il tubo della stufa. La struttura secondaria sarebbe invece formata da tubi mobili disposti nell’altro senso, con delle selle, da utilizzare a seconda del numero di persone. Il telo resta tesato fra ogni coppia di tubi, in modo che ogni persona possa stare sdraiata, dritta, per i fatti suoi, senza rotolare addosso alla persona di fianco. Quando si dorme in uno spazio piccolo, quello che dà fastidio sono le braccia, che penzolano di lato, e si rischia, voltandosi, di cadere dalla cuccetta. Qui questo problema non c’è. Così come non c’è l’alternanza tra sopravento o sottovento, per cui nelle barche prevediamo dei sistemi di cordini grazie ai quali, da sdraiati, si regola l’inclinazione della branda. In fondo si continua a usare, e andrebbe benissimo anche qui, un sistema concettualmente simile a quello delle brandine di imbarcazioni gloriose come l’“Amerigo Vespucci”. Un’ultima osservazione sulla vostra “battagliola” esterna, a picco sullo strapiombo. In genere nelle barche queste strutture sono realizzate con tubi di acciaio infilati in una base che li tiene in piedi e attraversati da un filare a mezza altezza e da uno in alto. Quindi, in questo caso, bisognerebbe forare la roccia, infilare dei perni e fissare le basi in cui inserire i candelieri, che poi porterebbero una cima, grossa, come parapetto. Quello che dà rigidità al sistema è proprio la cima che fa collaborare allo sforzo tutti i candelieri. Sicuramente in questo caso se almeno uno dei candelieri fosse controventato la struttura sarebbe più sicura. Senz’altro una scelta di buon senso, considerato lo strapiombo su cui si affaccia. 1 Riferimenti / References 1. Polivalenza di uno spazio minimo / Multifunctionality of a minimum space: interno ed esterno di un B38 / interior and exterior of a B38, Adria Sail, 2004. © Luca Brenta Yacht Design A sinistra: con l’eliminazione del serramento interno della loggia e l’ipotesi della struttura mobile “tubo e tela” lo spazio interno ha maggiore unitarietà. A destra: la pianta del progetto ridisegnata e quotata con la nuova ipotesi di un “pozzetto” ribassato di 40 centimetri, con un unico blocco centrale per riscaldarsi e preparare i pasti, e intorno le panche-gavone. Loggia, lighting and interior layout This idea of the protruding loggia, this square tube penetrating the wall, is an excellent one. The walls are incredibly thick and, with the snow you get here, openings in the roof or porthole windows are out of the question. Sometimes on boats by using prismes, which are systems of tilting mirrors, we manage to deal with cavities of 30 centimetres and get the light under the roof, but here the walls are so thick that it would be impossible. But why did you decide to close the loggia off, on the inside, with this frame? If it’s a question of heat loss, then it probably makes more sense to have double glazing on the outside, keeping the space continuous with the rest of the room. You can do some quite remarkable things with glass nowadays. There is one kind of laminated glass with films sandwiched inside that change colour, and you can also get electrically-wired panes of glass that act as radiators: you simply plug them in and they warm up. Of course these kinds of glass sheets are never lightweight. But this is part of the business of saving, also in terms of weight, on some parts of the design (in shipbuilding that might be the structure or the mast) so that elsewhere you can use heavier (and more costly) materials for certain, particular high-performance features. Anyway, your loggia needs to be carefully calculated and reinforced, given the weight of stones it will have to support. You should also of course try to keep its “sword-in-the-stone” effect. We often use “composites”, which have a higher specific resistance than steel, but a coffer made of that kind of material would alone cost more than the rest of the work put together. The interior layout is an interesting issue. Here again there are analogies with the work we do: on small boats and racing boats in particular, since the space available is limited it has to be “multi-purpose”, so that it can be used in whatever way is required. So there’ll never, for example, be a dining table that stands there motionless all day waiting for someone to come and eat at it, but there will be a surface that pulls out for use at mealtimes. On the “Volvo Race” boats, the tilting kitchens and micro-bathrooms almost form a single unit, which is the only comfortable place on board. That’s where you go for moments of quiet below deck. You could use the same approach for your hut creating a single stove-kitchen-sink unit rather than dividing up the functions of heating, preparing food and eating into their own separate little areas. Because the whole space is so tiny they would end up interfering with each other anyway. So it would be fun to do a detailed study of this stove-sink island, perhaps using the tubes of the overhead bunks as somewhere to hang things. So: you get to the hut, you sit and get warm and then prepare a meal. You’re worn out, you’re exhausted so you’re hardly likely to be cooking a complicated braised steak. And, as we said before, you could dig a cockpit around the stove about 30-40 centimetres deep so as to gain some extra height. The bench running all the way round could be about 45 centimetres high (we make ours 40 cm). When it’s a low room everything has to be lowered slightly. Two 20-cm steps would lead down into the “well” and you could sit on those too. As you yourselves have already envisaged, the bench could have back rests, but it might be a good idea to avoid anything too complicated: a wooden panel would do fine, just so that you’re not leaning directly against the cold wall. And avoid cushions completely. It’s true that you can get some very sturdy acrylic materials, closed-cell fabrics, but you still have the problem of keeping everything clean, which is very difficult to do in these conditions. “Tube-and-canvas” and “life-lines” over the sheer rock face Let’s now move on to the all-important sleeping arrangements. You need at least eight bunks, divided between the upper and lower areas, which is a huge number in such a small space, and you need to organise it so that they don’t make the place impossible to live in, especially during the day. The logical thing would be to have a mobile, modular structure that only takes up space when it’s actually being used. But with this scheme of yours, the two people lying on the same bed would tend to roll into the middle. It’s better if they each have their own bed, and it would perhaps be more rational to have everyone sleeping the other way round, heads uphill, legs downhill. Bear in mind also that you can’t sleep anywhere with a space of less than 60 cm above your head. The best idea would in fact be a mobile “tube-and-canvas” arrangement, a bit like stretchers, with the steps in the middle. For people to be able to lie down from the uphill to the downhill side, and for there to be the right length, the main support element – which might be a 3mm-thick number 50 aluminium tube – would have to move slightly towards the window and intersect with the stove pipe. The secondary structure, meanwhile, would be made up of mobile tubes arranged in the other direction, with saddles, to be used in pairs depending on the number of people. The canvas, or net, would be stretched between each pair of tubes so that each person could lie down and stretch out independently, without rolling over onto the person next to them. When you’re sleeping in a small space, your arms get in the way: they hang down over the sides and you run the risk of falling out of your bunk when you turn over. The problem doesn’t exist here. Nor is there any distinction between a windward and a leeward side, like aboard a ship where you could have a system of cords that would be used to regulate the inclination of the bed by those lying down. That’s how it’s still done on boats, something like the bunks of illustrious vessels like the “Amerigo Vespucci”, and perhaps a conceptually similar system would be fine here. One final word about your outdoor “life-lines”, positioned over the sheer rock face. On board ship these are general made of steel tubing and inserted into a support base, with cross elements running halfway up and along the top. In this case you’d have to drill holes into the rock, put pins in and fix the bases that the poles are to go into, which would then be topped off by a rope. This “parapet” gives the system its rigidity, taking the strain of the poles. In this case if at least one of the poles was braced the structure would certainly be safer. And considering the sheer drop below, the parapet needs to be as sturdy as possible. Pianta di uno spazio minimo / Plan of a minimum space: Le Corbusier, Cabanon, Roquebrune-Cap Martin, Francia / France, 1952.