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Un contesto estremo richiede necessariamente un progetto

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Un contesto estremo richiede necessariamente un progetto
SOS Abitare. Each month the project of an architect or an architecture practice
is passed on for comment, accompanied by a letter from its authors, to a pair of
well-established architects chosen by “Abitare” as major actors on the contemporary
architecture scene. Their comments, criticisms and suggestions make this “Abitare”
feature an open forum for well-informed debate on major issues of interest
to architecture professionals everywhere.
scriveteci a
write to
[email protected]
João Luís Carrilho da Graça
Luca Brenta e / and Lorenzo Argento
(Portogallo, 1952). Ha studiato architettura
all’ESBAL di Lisbona, città dove lavora. Insegna
all’Universidade Autónoma di Lisbona (dal 2001)
e all’Università di Évora (dal 2005). Tra i lavori
più recenti: l’ampliamento della Scuola Tedesca
(2003-2007) e la Scuola di Musica (1998-2008),
a Lisbona; il Teatro di Poitiers (2000-2008).
Luca Brenta (Italia, 1954) ha studiato al
Politecnico di Milano. Progetta barche per i più
importanti cantieri, in tutto il mondo. Lorenzo
Argento (Italia, 1963) ha studiato Yacht & Boat
Design (Southampton College of Higher Education).
È associato con Brenta dal 1990, anno in cui hanno
realizzato il primo WallyGator per Sangermani.
(Portugal, 1952). Studied architecture at ESBAL
in Lisbon, the city where he works. He teaches at
the Universidade Autónoma in Lisbon (since 2001)
and at the University of Évora (since 2005).
His most recent works include: the extension of
the German School (2003-2007) and the Music
School (1998-2008), in Lisbon; and the Theatre
in Poitiers (2000-2008).
Luca Brenta (Italy, 1954) studied at Polytechnic
of Milan. He has designed racing and cruising
yachts for important boatbuilders all over the
world. Lorenzo Argento (Italy, 1963) studied
Yacht & Boat Design at Southampton College of
Higher Education. He has been an associate with
Brenta since 1990, the year in which they created
the first WallyGator for the Cantieri Sangermani.
www.jlcg.pt
www.lucabrenta.com
foto di / photo by Giovanna Silva
Le risposte di / The answers by:
SOS Abitare. Ogni mese, il progetto di un architetto o di uno studio di architettura
viene sottoposto, accompagnato dalla lettera dei suoi autori, al parere di una coppia
di esperti progettisti, scelti dalla redazione di “Abitare” tra i protagonisti
dell’architettura contemporanea. I loro commenti, le critiche, le loro stroncature
o apprezzamenti, trasformano le pagine di “Abitare” in un atelier a scena aperta;
in un pezzo di alta scuola applicato alla professione dell’architettura.
La lettera dei progettisti / The architects’ letter
Un contesto estremo
richiede necessariamente
un progetto estremo?
Does an extreme context
necessarily call
for an extreme design?
a cura di / edited by Anna Foppiano + Matteo Poli
foto di / photos by Giovanna Silva
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Progetto sperimentale ad alta quota / Experimental high-altitude project
Lo stato di fatto / Found situation
Jacopo Muzio e / and Guido Boroli *
Caro SOS Abitare,
stiamo progettando la ristrutturazione
di un rifugio sulla parete Est del Monte Rosa,
inaugurato nel 1886 e dedicato all’alpinista
Damiano Marinelli.
Il nostro intervento è una sequenza di parti
composte: un impianto “a elica” di matrice
lecorbusieriana – riferibile al Cabanon, con un
vuoto centrale e i diversi spazi attorno – è stato
interpretato in una variante “wrightiana”,
con un camino al centro della pianta. Questa
tipologia ricorda anche le Stuben delle tradizionali
baite Walser tipiche di Zermatt e di Macugnaga.
Il progetto, che si sviluppa in soli 28 mq,
vuole essere occasione di sperimentazione.
Diversi i temi: dare “rifugio”, anche in situazioni
limite, a 8/10 persone; eliminare umidità e acqua
che trasudano dalla roccia; mitigare la forte
escursione termica in un luogo privo di risorse
naturali combustibili; ottimizzare la funzionalità;
aumentare la sensazione di spazio interno
salvaguardando il manufatto esistente, che
nel tempo ha subìto solo sommari interventi
di adeguamento; trovare soluzioni costruttive
compatibili con il luogo, con il trasporto e
il montaggio dei materiali; prevedere una semplice
manutenzione del rifugio, non custodito; mettere
in sicurezza gli spazi esterni esposti a vento,
slavine e frane.
Tutti temi su cui sarebbe prezioso un consiglio.
Dear SOS Abitare,
we are planning to renovate a mountain refuge
built on the East face of the Monte Rosa in 1886
and named after the mountaineer Damiano Marinelli.
Our design is a sequence of composite parts:
a Lecorbusierian “spiral” system – based
on the Cabanon, with a central void and various spaces
around it – is interpreted in a “Wrightian” way,
with a heat source at the centre of the plan.
This typology is also reminiscent of the Stuben
in the traditional Walser chalets typical of Zermatt
and Macugnaga.
The project, which deals with a space measuring just 28
sqm, is intended as an opportunity for experimentation.
It has a number of different aims: to provide “refuge”,
even in extreme conditions, for 8-10 people;
to eliminate the damp and water that seeps through
the rock; to reduce the extremes of temperature
in a place with no natural fuel supply of its own;
to optimise functionality; to increase the sense
of indoor space while preserving the existing building,
to which only minor modifications have been made
over the years; to find building solutions compatible
with the location, and with the transport and assembly
of materials; to ensure that the refuge remains low
maintenance and does not need to be manned;
and to take steps to protect the outdoor areas exposed
to wind, avalanches and landslips.
Advice on all these points would be more
than welcome.
* Jacopo Muzio (Italia, 1975), architetto, si è laureato
al Politecnico di Milano, dove ha aperto il proprio studio
nel 2003. Ha collaborato con Umberto Riva e Vittorio Gregotti.
Guido Boroli (Italia, 1974), architetto, si è laureato
al Politecnico di Torino. Dopo un master al Politecnico di Milano,
in questa città ha aperto il proprio studio nel 2004.
* Jacopo Muzio (Italy, 1975), architect, graduated from the
Polytechnic of Milan, the city where he opened his own studio
in 2003. He has worked with Umberto Riva and Vittorio Gregotti.
Guido Boroli (Italy, 1974), architect, graduated from the
Polytechnic of Turin. After having completed a master’s degree
at the Polytechnic of Milan, he opened a studio in that city in 2004.
Tipologia / Typology
Rifugio alpinistico di montagna / Alpine mountain refuge
Luogo / Place
Parete Est del Monte Rosa / East face of the Monte Rosa,
Macugnaga (Verbania), Italia / Italy
Altitudine / Altitude
3100 m
Superficie / Surface area
28 mq / sqm
Committente / Client
CAI Milano
Budget
50.000 euro
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B
Il progetto*
The project
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
This mountain refuge is designed
like a ship to live in amidst the rocks
of Monte Rosa. The new entrance
volume, raised off the ground, is an
access space/ventilated storage area.
Inside, the central core consists
of a tubular stove complete
with circular coat hangers.
Around it is a long seat-storage
compartment which, if necessary,
can be turned into a bed for 4 people
by lowering the telescopic table.
A bow-window has been created
on the east side, with a “chart” table.
A “tube-and-canvas” system creates
another 4-6 beds above.
A very visible outer cladding and
a new “blockhouse” micro-bathroom
in prefabricated concrete are
also planned, and the outer
walkways are to be made safe
by adding life-lines.
3
4
3
2
A
A
5
1
6
8
B
Il rifugio è pensato come un vascello
da abitare tra le rocce del Monte Rosa.
Il nuovo volume d’ingresso, rialzato da
terra, è un disimpegno/deposito aerato.
All’interno, il nucleo centrale è una
stufa a tubo sospesa, dotata di
appendiabiti circolare. Attorno, è
prevista una lunga seduta con gavone
di contenimento che, all’occorrenza,
abbassando il tavolo telescopico,
può diventare letto per 4 persone.
Nella parete est è stato inserito
un bow-window, con un tavolo da
“carteggio”. Un soppalco composto
in “tubi e tela’” definisce altri 4/6
posti letto. Si prevedono anche un
rivestimento a “cappotto”, che aumenti
la visibilità del rifugio dall’esterno,
un nuovo micro-bagno “casamatta”
in cemento prefabbricato e la messa
in sicurezza dei percorsi esterni
con battagliole.
7
9
Il Rifugio Marinelli in una mappa tecnica delle Alpi Pennine / Rifugio Marinelli on a technical map of the Pennine Alps
Ingresso – deposito aerato /
Entrance – ventilated storage space
Stufa / Stove
Seduta con gavone (eventuali posti-letto) /
Seating unit with storage space (possible berths)
Tavolo telescopico / Telescopic table
Micro-cucina / Micro-kitchen
Loggia con tavolo da carteggio /
Loggia with charts table
Posti-letto con sistema “tubo e tela” /
Berths with “tube-and-canvas” system
Micro-bagno / Micro-bathroom
Battagliola / Life-lines
Pianta / Plan
7
6
7
7
6
2
4
1
Prospetto est, verso valle / East elevation, towards the valley
3
Sezione longitudinale AA / AA longitudinal section
8
3
1
4
3
Sezione trasversale BB / BB cross section
Viste del modello. All’interno
è già presente la struttura mobile
“tubo e tela” per i posti-letto
superiori ipotizzata durante
una delle conversazioni di “SOS”
(vedi pp. 52-55).
Rendering dello spazio interno.
L’idea dell’”appendiabiti-aureola”
intorno al tubo della stufa nasce
da un pensiero di Giovanni Michelucci:
“Nessun luogo è povero e di poco
conto se è abitato da un angelo”.
Views of the model. The interior
already includes the mobile “tubeand-canvas” structure for the upper
berths, proposed during one of the
“SOS” conversations (see pp. 52-55).
Rendering of the interior space.
The idea of a “halo-coat stand”
around the stove pipe is based
on a thought by Giovanni Michelucci:
“No location is poor and insignificant
if it is inhabited by an angel”.
* In queste pagine Jacopo Muzio
e Guido Boroli descrivono
brevemente il loro progetto.
* In these pages Jacopo Muzio
and Guido Boroli give a short
description of their project.
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La risposta di
The answer by
João Luís
Carrilho da Graça
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All’interno dell’inverno
Vetrata sul vuoto
Vi dico subito quello che mi convince, e poi magari
parliamo degli aspetti che invece mi sembrano più deboli.
Innanzitutto il contesto offre un tema molto interessante,
di “radicalità spinta”: essere ad alta quota avendo
a disposizione un’area di dimensioni ridottissime,
protetta e polivalente. È molto importante che il progetto
mantenga questo spirito di spazio minimo, e con esso
tutta la complessità del suo utilizzo.
Nelle aspettative dell’alpinista immagino che non ci sia
niente di meglio che entrare nel rifugio e trovare subito
il fuoco e questa splendida vista verso l’esterno.
Sono gli aspetti più importanti. Dopo, davvero, tutto
il resto può essere organizzato come l’interno di una barca,
di un aereo o di un treno, in modo molto compatto
e funzionale. In questo senso è giusto pensare a un grande
spazio per sedersi vicino al fuoco per chi arriva stanco
e finalmente si libera dei vestiti e di tutta l’attrezzatura.
Considerando che il caldo va verso l’alto, forse sarebbe
meglio collocare la stufa un po’ più in basso rispetto
a dove avete pensato, anche per scaldare meglio i piedi.
Anche il volume di entrata e tutta la zona d’ingresso
mi sembra che funzionino, così come la circolazione e
l’organizzazione interna. Ho invece l’impressione che questo
sistema di posti letto “a barella” crei un po’ di confusione,
anche visiva. Mi domando tra l’altro quanto possa essere
confortevole una sistemazione di questo genere.
Dal mio punto di vista l’ipotesi più interessante,
dettata in maniera evidente dalla situazione, è quella
di realizzare tutto l’interno in legno, un materiale
che trasmette una forte sensazione di calore,
immediatamente opposta alla condizione climatica
e fisica dell’esterno. Anche d’estate, con temperature miti,
il legno resta un materiale molto piacevole. Se questo fosse
un mio progetto, se ci stessi lavorando in prima persona,
mi divertirei a disegnare tutto in maniera molto accurata,
studiando ogni elemento nei minimi dettagli come
se stessi progettando l’interno di un’imbarcazione.
Per creare invece un piccolo ambiente alpino,
protetto e di legno, depositato tra tutte queste pietre,
all’interno dell’inverno.
Proviamo a entrare nel dettaglio. Come dicevo, condivido
pienamente la decisione di fare questo buco nella parete
di pietra, inserendo a forza una grande finestra nel grosso
spessore del muro. Ma è veramente fattibile un’apertura
di queste dimensioni, e in che modo è meglio realizzarla?
Per uno spazio così, sospeso tra interno ed esterno,
è essenziale la presenza della grande vetrata a picco sullo
strapiombo. Credo che valga la pena di ridurre al minimo
lo spessore della lastra, trovandone un tipo molto
resistente, e con ottime qualità di isolamento termico.
Avrete quindi bisogno di un materiale pregiato e, temo,
molto caro. Mi sembra invece che il serramento interno
della loggia, così come l’avete disegnato, una volta aperto
possa diventare un elemento d’intralcio nella vita
compressa del rifugio. Sarebbe meglio inventare un sistema
scorrevole, ed è senz’altro il caso di prevederlo a incasso
per non pregiudicare l’uso delle pareti: in uno spazio così
piccolo ogni centimetro è fondamentale e sui muri
si devono poter appendere giacche e zaini. Mi domando
anche se non sarebbe opportuno avere un sistema esterno
di protezione del vetro della loggia da montare d’inverno,
quando il rifugio è disabitato.
In the deep midwinter
Let me start by telling you the things I like most about this,
and then I can maybe talk about what seem to me to be its weaker
aspects. To begin with, the context offers a very interesting theme,
that of taking things to the “radical extreme”: being at such a high
altitude, with very little room in what is basically a multi-purpose
shelter. It’s very important that the design retains this spirit
of minimal space, and all the complexities of use that entails.
I think if you’re a mountaineer, it must be nice to walk into a hut
and find a fire right there in front of you and also to be able to enjoy
a splendid view like this outside. These are the most important
aspects. Apart from that, all the rest can be organised like it would
be on board a ship, a train or a plane, in a very compact, functional
way. So it’s right to create a large space where the tired people
arriving can at last get out of their clothes and climbing gear
and sit by the fire. Given that heat rises, it might be an idea to
position the stove slightly lower than where you have put it, which
would also make it easier to warm your feet by. I think the entrance
volume works well, as do the circulation and the overall internal
layout. But I’m not so happy with these stretcher-style beds, which
create a bit of confusion, and I mean visual confusion, too. I’m also
wondering how comfortable they can possibly be to sleep in.
Nello schizzo di João Luís Carrilho
da Graça sono ipotizzati la “camerata
promiscua”, con una pedana unica su
cui dormire allineati (con la testa verso
valle); e, per la loggia, un serramento
interno scorrevole e la creazione
di visuali prospettiche.
The sketch by João Luís Carrilho da
Graça proposes a “communal sleeping
area”, with a single platform on which
to sleep aligned in the same direction
(heads towards the valley); and, for the
loggia, a sliding internal frame and the
creation of perspective views.
Legno e fuoco
Immaginiamo quindi di avere questa scatola e di entrare
al suo interno. Tutto è molto caldo e accogliente. Tutto è
legno: pareti, soffitto e pavimento. Credo che sia bellissimo.
Apriamo la loggia facendo scorrere le ante. E qui, al centro
dello spazio, c’è una grande pietra, una pietra fantastica,
e poi c’è l’acciaio della stufa. La posizione del fuoco deve
essere ben pensata, è una presenza forte e sicura, dà una
definizione radicale del centro. Dal punto di vista pratico
bisogna anche immaginare in che modo tutte le persone
(cinque, dieci, venti?) che sono arrivate qui per caso
si possano riunire intorno a questo fuoco, un tema
che mi interessa molto. Mi domando poi se, all’interno
della loggia, non si possa creare un sistema prospettico,
o qualcosa del genere, che permetta la vista verso l’esterno
da diverse angolazioni.
Ma torniamo alla questione dei posti letto, che è piuttosto
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The most interesting idea as I see it (and something that is clearly
dictated by the context) is the way you’ve done the whole of the
interior in wood, a material that conveys a great feeling of warmth,
quite the reverse of the climatic and physical conditions outside.
Even in summer, when the weather’s milder, wood is still a very
pleasant material to be surrounded by. If this were a design project
of mine, if I were working on it first hand, I’d have great fun
designing everything very carefully, right down to the last detail,
as if I were designing the interior of a boat. But I’d actually be
creating a little Alpine space, a place of protection lined in wood
lodged in the rocks, in the deep midwinter.
2. Grandi riquadri tagliati nello spessore del muro /
Large frames cut into the wall thickness: Istituto Politecnico,
Scuola di Musica / Polytechnic Institute, School of Music,
Lisbona / Lisboa, Portogallo / Portugal, 1998-2008.
3. Visuali sul paesaggio / Views towards the natural
environment: Chiesa di Sant’Antonio / St. Antonio Church,
Portalegre, Portogallo / Portugal, 1993-2008.
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492
Un’ultima questione. I rifugi d’alta quota hanno sempre
questi colori bianco e rosso? Da un lato mi dispiace
che non si veda la pietra, perché a noi romantici
la pietra piace sempre e la vorremmo trovare dappertutto.
Anche qui, dove certamente ce ne è già tanta.
Ma, dall’altro, trovo bellissima questa striatura
un po’ irregolare, che sembra il mantello di una tigre.
La contrapposizione netta di colori mi ricorda anche
quegli edifici a scacchiera che ci sono negli aeroporti.
Proprio qui a Milano, a Malpensa, c’è n’è uno che guardo
sempre, bello perché ha una forma un po’ strana
e per come sono accostati i colori. Come, appunto,
è bello lo stile naturale delle righe bianche e rosse
di questo rifugio. Partendo dall’idea di un pattern
che copra tutto, si potrebbe immaginare che il rivestimento
fosse come un vestito esterno, un segnale nitido
e visibile tra le pietre, anche da lontano. La pittura mi
sembra un po’ debole, così come non utilizzerei il legno,
troppo facilmente deteriorabile. Penserei a un materiale
più resistente. Io ho sempre avuto voglia di provare
a utilizzare il corian anche negli esterni, e proprio adesso
sono riuscito a farlo nel disegno di un piccolo prospetto.
È un materiale bellissimo, perché è artificiale ma piacevole
al tatto. Forse sostituendo il corian alla “pelle di tigre”
si potrebbe trasformare questo vecchio rifugio
di montagna in un piccolo, evidente, oggetto artificiale
incastonato nella pietra.
Wood and fire
So let’s say we have this box and we walk inside. It’s all very warm
and cosy. Everything’s made of wood: the walls, ceiling and floor.
I think it’s really beautiful. We slide back the internal frame to open
up the loggia. And here in the centre of the space, there’s a huge
stone, a fantastic stone, and then there’s the steel of the stove. The
position of the fire has to be planned carefully, it’s a powerful, secure
presence and it gives a radical definition to the centre. From a
practical point of view, you also have to envisage how all the people
(five, ten, twenty?) who have arrived here can gather round this fire,
a theme I find very interesting. I also wonder if you couldn’t create
a perspective system or something like that inside the loggia so that
you can create views towards the outside from different angles.
But let’s go back to the question of the beds, which is an important
one. First off, I would suggest replacing your “stretcher”
structure with a single wooden surface. I recently visited
A tiger’s coat
One final point. Are all high-altitude mountain huts painted
red and white like this? On the one hand, I’m sorry that you don’t
see the stone, because we romantics like stone and we like to have it
everywhere. Even here, where there’s certainly plenty of that stuff
already. But on the other hand, I really love this slightly irregular
striped pattern, which looks a bit like a tiger’s coat.
The sharp colour contrast reminds me of those little chequered
buildings you see in airports. There’s one here in Milan,
at Malpensa, which I always notice because it’s a rather strange
shape and has an odd colour combination. So I also like the natural
style of the red and white stripes of this hut. Starting
with the idea of a pattern covering everything, you could imagine
that the cladding was like an outer clothing, a clear and visible
presence among the rocks, even from a distance. The paintwork
seems a bit weak to me, and I wouldn’t use wood either because
it deteriorates too quickly. I’d go for a sturdier material. I’ve always
wanted to use corian outdoors, and I’ve just managed to use it
in the design of the elevation of a small building. Corian is a
beautiful material: it’s artificial but it feels lovely. If you replaced
the “tiger’s coat” with corian you’d probably transform this old
mountain hut into an evident, artificial presence nestling in the rocks.
2
foto di / photo by FG+SG_Fotografia de Arquitectura
1. Edificio visibile nell’oscurità / Building visible in the dark:
Teatro e auditorium / Theatre and auditorium, Poitiers,
Francia / France, 2000-2008.
Pelle di tigre
1
foto di / photos by FG+SG_Fotografia de Arquitectura
Riferimenti / References
progetto. Il mio consiglio è quello di rafforzarli. E di creare
uno spazio totalmente centrato sul fuoco.
Fotografie di João Luís Carrilho
da Graça di un edificio
di servizio a scacchi rossi
dell’aeroporto di Malpensa.
Photographs by João Luís
Carrilho da Graça of a
red-checked service building
at Malpensa airport.
Ronald Brooks Kitaj,
“Dismantling the Red Tent”,
1963-1964.
Fotogramma dal film
“La tenda rossa” di Mikhail
Kalatozov, 1969.
Still from “The Red Tent”
movie, directed by
Mikhail Kalatozov, 1969.
3
foto di / photo by FG+SG_Fotografia de Arquitectura
importante. D’acchito, come dicevo, proporrei di sostituire
il vostro sistema di “barelle” con un unico piano
di legno. Recentemente ho visitato a Barcellona la casa
costruita da un amico, che per realizzare la sua camera
da letto ha utilizzato un sistema di elementi di legno, credo
finlandese, con cui è possibile ottenere luci molto ampie.
È semplice e veloce da mettere in opera, e il risultato
è veramente bello. Forse si potrebbe utilizzare
qualcosa del genere anche qui, creando appunto
una pedana su cui le persone dormano allineate
una accanto all’altra, con le teste rivolte verso la finestra.
In questo modo si creerebbe uno spazio semi-collettivo,
a cui tutti accederebbero con un’unica scala.
Non mi dispiace per niente questa provocazione di mettere
tutti a dormire insieme. Quelli che arrivano fin qui hanno
già, sicuramente, una forte passione condivisa, quella della
montagna. Vi dirò di più: organizzando i posti letto in questo
modo, questa “camerata promiscua” potrebbe diventare
un fattore di attrazione del rifugio. Quindi, in basso
il sistema delle panche su cui si può anche dormire, che mi
piace molto, e, in alto, questo piano che attraversa tutto.
E poi c’è il fuoco, con la stufa che forse potrebbe essere
aperta in tutte le direzioni, o almeno da due lati,
per rafforzare l’idea di centralità e mettere tutto lo spazio,
che è piccolo, in azione. Una centralità che credo dovrebbe
essere il più possibile affermata, sottolineata, resa evidente,
associando la presenza della stufa a delle “funzioni vitali”,
in modo che ci si avvicini non solo per scaldarsi,
ma anche per fare qualcosa di fondamentale, come
per esempio preparare da mangiare. Riassumendo: il legno,
il fuoco, l’“orgia” (!), tutti elementi, già presenti nel vostro
A window overlooking the void
So let’s get down to some of those details. As I was saying, I fully
agree with the idea of making this hole in the stone wall and putting
a large window into the thick space. But how feasible is it to make
an opening of this kind, and what is the best way of going about it?
For a space like this, mid-way between the indoor and outdoor
space, it’s essential to have a large window high up over the sheer
drop. I think it would be a good idea to reduce the thickness of the
pane to a minimum, and to find a very tough kind of glass, with
good heat-insulating properties. So you need a high-quality
material, which will be very expensive, I’m afraid. On the other hand
I think that, if the window frame on the inside of the loggia would
be in the way it is in your design, when opened it would interfere with
the already cramped conditions in the hut. It would be better to
devise a sliding system, ideally of the built-in kind, so as not to affect
the way the walls are used: in such a small space, every centimetre
matters enormously, and you need to be able to hang coats and
rucksacks on the walls. I’m also wondering if it wouldn’t be a good
idea to have a system to protect the glass of the loggia on the outside
that you could put up in winter, when the hut is not being used.
a house a friend of mine built in Barcelona, and for his bedroom
he’d used a system of wooden elements – I think it was Finnish
wood – with which you can create very wide spans. It’s quick
and easy to assemble, and the result is extremely attractive.
Perhaps you could use something similar here, creating a platform
on which everyone would sleep next to one another in a row,
with their heads towards the window. In this way you would create
a semi-collective space, which everyone would get to from a single
flight of steps. I really quite like this provocative element of having
everyone sleeping together. All those who get here undoubtedly
share the same great passion for the mountains. I could say more:
by having the beds arranged like this, the “promiscuous dormitory”
could become one of the attractions of the hut. So below you’d have
a system of benches that you can also sleep on – an idea I really like
– and, above, this platform crossing the whole space. And then
there’s the fire, with the stove that perhaps should open on all sides,
or at least on two, to reinforce the idea of centrality and bring
the whole space, which is a small space, alive. A centrality, I think,
that should be established as strongly as possible, emphasised,
highlighted, associating the presence of the stove with other
“vital functions”, so that you go up to it not just to get warm,
but also to do other basic things, like preparing food.
So to sum up: wood, fire, the “orgy” (!), all elements, by the way,
which are already present in your design. My advice is to
reinforce these things even more. And to create a space centred
entirely on the stove.
492
51
La risposta di
The answer by
Luca Brenta
Lorenzo Argento
Struttura
Diciamo subito che l’idea di un rivestimento esterno di corian è
molto discutibile. Perché mai utilizzare, in alta montagna, in un
ambiente incorrotto, un materiale artificiale? Per quale necessità
specifica? Il corian è un marmo sintetico inventato dagli americani
della DuPont, si può realizzare in tanti colori ed è adattissimo
per fare lavandini. Non qui, in un contesto naturale integro, tra
pietre e sassi. È vero che noi nelle barche sperimentiamo spesso
materiali ipertecnologici, ma il loro impiego è strettamente
legato a specifiche necessità prestazionali, e mai a scelte di
carattere formale. Sarà anche banale, ma chi arriva fin quassù
probabilmente è molto più contento di trovare una costruzione
nata e invecchiata nel contesto che non un “corpo estraneo”.
Avete pensato al corian per una questione di visibilità? Mettiamo
piuttosto davanti al rifugio delle grandi bandiere rosse!
Per l’interno è senz’altro adatto il legno – pavimento, pareti,
soffitto. Avete ragione a pensare che, considerando le difficoltà
di farli arrivare a questa quota, è necessario utilizzare dei pannelli
componibili estremamente leggeri. In nautica si adoperano
spesso dei compensati marini stratificati, semplici da trasportare
e da incollare, che hanno in genere uno spessore di 3 centimetri,
con uno strato interno in pvc che fa da coibente. Le sostanze
fenoliche utilizzate per incollarli sono resistenti all’acqua e
all’umidità, per cui anche se i pannelli si bagnano, o se non sono
perfettamente verniciati, non si gonfiano e non marciscono,
e possono essere periodicamente grattati e ripitturati. Nello
specifico, qui, si potrebbe scegliere il Laripan, che è molto
leggero, con ottime capacità strutturali e di termoisolamento.
Le nostre barche hanno la struttura esterna in carbonio, con uno
spessore che può variare da 25 millimetri (per 40 piedi di
lunghezza) fino a 50, 60 e anche 70 millimetri (per scafi più
lunghi). Per creare uno spazio abitabile confortevole, isolato, per
assorbire le vibrazioni – il cosiddetto “suono” –, all’interno dello
scafo vengono incollate delle strisce di gomma da 12 millimetri
e su queste sono poi fissati i pannelli di legno, che devono essere
rimuovibili. Infatti, contrariamente a quanto accade nel vostro
rifugio, noi non abbiamo particolari problemi di isolamento
termico, né di umidità e di ventilazione, ma è invece importante
che lo scafo sia ispezionabile in ogni punto. Nelle barche è poi
fondamentale prevedere a terra un sistema di paglioli, che
devono essere facilmente smontabili per l’accesso alla sentina.
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492
Tutto sommato, non sarebbe sbagliato che anche nel rifugio
almeno parte del pavimento fosse rimuovibile, per poterlo
ventilare nei periodi in cui non è abitato ed eliminare così parte
dell’umidità. Mentre per quel che riguarda la copertura,
mantenendone l’ossatura si potrebbe intervenire sullo spessore,
aumentando la coibentazione e l’effetto di barriera al calore.
Certo, questo ridurrebbe ulteriormente l’altezza interna.
Loggia, illuminazione e distribuzione interna
L’idea della loggia in aggetto, questo tubo quadro che penetra
nella muratura, è ottima. Le pareti hanno uno spessore enorme
e, con la neve che c’è qui, prevedere delle aperture sulla
copertura, o degli oblò, non avrebbe senso. Nelle barche, con
i giochi di specchi inclinati dei prismi, a volte riusciamo ad agire
anche su intercapedini di 30 centimetri portando la luce sotto
coperta, ma qui le pareti hanno uno spessore tale che sarebbe
improponibile. Ma perché avete deciso di chiudere la loggia,
all’interno? Se è una questione di dispersione del calore, allora ha
probabilmente più senso utilizzare un doppio vetro fisso verso
l’esterno, lasciando invece lo spazio in continuità con il resto
della stanza. Ormai con il vetro si ottengono dei risultati
impensabili. Esistono vetri stratificati in cui sono inserite delle
pellicole che ne cambiano il colore, o addirittura vetri elettrificati
utilizzabili come fossero piccoli termosifoni: si collegano a una
presa di corrente e si scaldano. Certo, lastre così sofisticate
perdono leggerezza. Ma rientra nelle alchimie del progetto
risparmiare, anche in peso, in alcune parti (per esempio, in
nautica, la struttura o l’albero) per poi poter utilizzare in altre
materiali pesanti (e costosi) che permettono performance
tecnologiche incredibili. Comunque la vostra loggia dovrà essere
ben calcolata e armata, visto il carico di pietre che deve sopportare.
Cercando di non perdere questo senso di lama infilata nella roccia.
Noi usiamo spesso i “compositi”, che hanno una resistenza
specifica maggiore dell’acciaio, ma un cassettone di un materiale
del genere costerebbe da solo più di tutto il resto del lavoro.
La distribuzione interna è un problema interessante. Anche qui
ci sono analogie con il nostro lavoro: soprattutto nelle barche
piccole, e in quelle da corsa, partiamo sempre dal presupposto
che quando lo spazio a disposizione è poco deve essere
“polivalente”, utilizzabile in modi diversi a seconda delle necessità.
Quindi, per esempio, non ci sarà mai un tavolo da pranzo che
Structure
Let’s start by saying that the idea of an outer cladding in corian is a very
dubious one. Why on earth would you want to use an artificial material
in this unspoilt, high-altitude environment? For what specific purpose?
Corian is a synthetic marble developed by the American firm DuPont,
you can produce it in all sorts of colours and it’s excellent for making
kitchen sinks. It wasn’t designed to be used among the rocks and stones
of a natural context like this. It’s true that we boat designers often try out
new hi-tech materials, but their use is dictated solely by specific
performance requirements, never by formal choices. It might seem a
rather banal thing to say, but those who do make it all the way up here will
probably be much happier to find a building that has aged over the years
rather than a “foreign body”. Did you think about corian for reasons
of visibility? You could always put some big red flags outside the hut!
Wood is undoubtedly the best choice for the interior – floor, walls and
ceiling. You’re right to take into account the difficulties of getting to this
altitude planning to use extremely lightweight, sectional panels. Lightness
is a primary concern when you’re designing boats, too. Marine plywood
is often used because it’s easy to transport and to glue; it’s usually
three-centimetre thick, with an inner layer of PVC for insulation.
The phenolic adhesives used to glue everything into place are
waterproof and damp-proof, so even if the panels get wet or are not
perfectly painted they don’t swell, warp or rot and they can be sanded
down and repainted at a later stage. A good choice here would be
Laripan, a very lightweight material, with excellent structural and heatinsulating properties. Our boats have an outer structure made
of carbon, with a thickness that varies from 25 millimetres (for
40-foot vessels) to 50, 60 and even 70 millimetres (for longer hulls).
To create an inhabitable, comfortable, insulated space (to absorb
vibrations, so-called “sound”), 12-millimetre strips of rubber
are glued to the inside of the hull and the wood panels, which have to
be removable, are attached to them. Quite different from the situation
in your hut, we don’t have any particular problems with heat
insulation, humidity or ventilation but it is important that the hull
can be inspected at any point. On boats you also have to line the floor
with a system of bottom-boards that are easy to remove so that the
bilge can be accessed. And really, it wouldn’t be a bad idea if part of
the floor in your hut were removable too, so that the area underneath
Nello schizzo di Lorenzo Argento
la soluzione per i posti-letto con
sistema mobile “tubo e tela” e scala
centrale. Sotto, l’ipotesi del
“pozzetto” con blocco stufa-cucina.
The sketch by Lorenzo Argento shows
the mobile “tube-and-canvas” bedding
system, and the central steps. Below,
concept for the cockpit containing
the stove-kitchen unit.
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could be ventilated when the hut is empty to get rid of some of the
damp. As far the roof is concerned, you could keep the same framework
but make it thicker, increasing the insulation and the heat barrier effect.
Left: by eliminating the internal
frame closing the loggia and the
idea of a mobile “tube-andcanvas” structure, the internal
space is given greater unity.
Right: the plan of the project,
redrawn according to the new
idea of a 40-centimetre deep
cockpit, with a central unit
providing heat and for preparing
meals, with the seating-storage
units around it.
aspetta inerte, per tutto il giorno, che qualcuno si sieda a
mangiare, ma al momento giusto verrà estratto un piano su cui
appoggiarsi. Nelle barche della “Volvo Race” le cucine basculanti
e i micro-bagni formano quasi un corpo unico, che è il solo posto
comodo della barca. È lì che si sta nei momenti di quiete
sottocoperta. Con lo stesso atteggiamento, nel vostro rifugio si
potrebbe pensare di creare un blocco unico stufa-cucina-lavello,
invece che distribuire le tre funzioni – riscaldarsi, preparare il
cibo e poi mangiare – in microspazi differenti. Che tanto, visto
che l’ambiente è piccolissimo, interferirebbero fatalmente uno
con l’altro. Sarebbe quindi divertente studiare nei dettagli questo
corpo stufa-lavoro, utilizzando magari i tubi delle brandine
superiori come sistema di appenderia. Quindi: arrivi al rifugio, ti
siedi lì, ti scaldi e fai da mangiare. Tanto sei distrutto, sei cotto,
non cucinerai un complicatissimo brasato. Si vive intorno alla
stufa e alla cucina. Si potrebbe anche creare intorno alla stufa un
“pozzetto” ribassato di 30-40 centimetri, in modo da recuperare
un po’ di altezza. La panca-gavone, che gira tutto attorno, può
anche essere alta meno di 45 centimetri (noi facciamo delle
sedute da 40). Quando l’ambiente è basso, è giusto abbassare un
po’ tutto. Al “pozzetto” si scenderebbe con due gradoni da 20
centimetri, e anche su quelli ci si potrebbe sedere. Come avete
pensato voi, la panca-gavone potrebbe avere dei poggiaschiena,
ma forse vale la pena di evitare meccanismi troppo complicati,
basta un’asse di legno per non appoggiarsi direttamente al muro
freddo. Meglio evitare anche ogni tipo di cuscini. È vero che
esistono materiali acrilici molto resistenti, tessuti a cellula chiusa,
ma resta sempre il problema della pulizia e della manutenzione,
veramente difficile da organizzare in queste condizioni.
Sistema “tubo e tela” e battagliola sullo strapiombo
Veniamo ora alla questione fondamentale dei posti letto.
Ne sono richiesti almeno 8, tra sotto e sopra, che sono
moltissimi considerate le dimensioni del locale, e bisogna fare
in modo che la loro presenza comprometta il meno possibile
l’abitabilità dello spazio, soprattutto durante il giorno.
Logico quindi pensare a una struttura mobile e modulare, che
ingombri lo spazio solo quando è necessario. Con questa vostra
soluzione, però, le due persone sdraiate nelle stessa branda
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tenderebbero a infossarsi verso il centro. Invece è meglio che
ognuno abbia un posto singolo, e sarebbe forse più razionale
disporre tutti a dormire nell’altro senso, da monte a valle.
Ricordatevi anche che per sopravvivere bisogna avere, una
volta sdraiati, almeno 60 centimetri di spazio sopra la testa.
La cosa migliore potrebbe essere effettivamente un sistema
simmetrico a “tubo e tela”, simile a quello delle barelle,
con al centro la scala. Per permettere alle persone di sdraiarsi
da monte a valle, perché ci sia la lunghezza utile, l’elemento
principale di sostegno – che potrebbe essere un tubo
di alluminio del 50, spessore 3 mm – dovrebbe spostarsi
leggermente verso la finestra, arrivando a intersecare il tubo
della stufa. La struttura secondaria sarebbe invece formata
da tubi mobili disposti nell’altro senso, con delle selle, da
utilizzare a seconda del numero di persone. Il telo resta tesato
fra ogni coppia di tubi, in modo che ogni persona possa stare
sdraiata, dritta, per i fatti suoi, senza rotolare addosso alla
persona di fianco. Quando si dorme in uno spazio piccolo,
quello che dà fastidio sono le braccia, che penzolano di lato,
e si rischia, voltandosi, di cadere dalla cuccetta. Qui questo
problema non c’è. Così come non c’è l’alternanza tra
sopravento o sottovento, per cui nelle barche prevediamo
dei sistemi di cordini grazie ai quali, da sdraiati, si regola
l’inclinazione della branda. In fondo si continua a usare,
e andrebbe benissimo anche qui, un sistema concettualmente
simile a quello delle brandine di imbarcazioni gloriose
come l’“Amerigo Vespucci”.
Un’ultima osservazione sulla vostra “battagliola” esterna, a
picco sullo strapiombo. In genere nelle barche queste strutture
sono realizzate con tubi di acciaio infilati in una base che
li tiene in piedi e attraversati da un filare a mezza altezza
e da uno in alto. Quindi, in questo caso, bisognerebbe forare
la roccia, infilare dei perni e fissare le basi in cui inserire
i candelieri, che poi porterebbero una cima, grossa, come
parapetto. Quello che dà rigidità al sistema è proprio la cima
che fa collaborare allo sforzo tutti i candelieri. Sicuramente
in questo caso se almeno uno dei candelieri fosse controventato
la struttura sarebbe più sicura. Senz’altro una scelta di buon
senso, considerato lo strapiombo su cui si affaccia.
1
Riferimenti / References
1. Polivalenza di uno spazio minimo /
Multifunctionality of a minimum space:
interno ed esterno di un B38 / interior
and exterior of a B38, Adria Sail, 2004.
© Luca Brenta Yacht Design
A sinistra: con l’eliminazione del
serramento interno della loggia
e l’ipotesi della struttura mobile
“tubo e tela” lo spazio interno
ha maggiore unitarietà.
A destra: la pianta del progetto
ridisegnata e quotata con la
nuova ipotesi di un “pozzetto”
ribassato di 40 centimetri,
con un unico blocco centrale
per riscaldarsi e preparare i
pasti, e intorno le panche-gavone.
Loggia, lighting and interior layout
This idea of the protruding loggia, this square tube penetrating the wall,
is an excellent one. The walls are incredibly thick and, with the snow
you get here, openings in the roof or porthole windows are out of the
question. Sometimes on boats by using prismes, which are systems
of tilting mirrors, we manage to deal with cavities of 30 centimetres and
get the light under the roof, but here the walls are so thick that it would be
impossible. But why did you decide to close the loggia off, on the inside,
with this frame? If it’s a question of heat loss, then it probably makes
more sense to have double glazing on the outside, keeping the space
continuous with the rest of the room. You can do some quite remarkable
things with glass nowadays. There is one kind of laminated glass
with films sandwiched inside that change colour, and you can also get
electrically-wired panes of glass that act as radiators: you simply plug
them in and they warm up. Of course these kinds of glass sheets are never
lightweight. But this is part of the business of saving, also in terms of
weight, on some parts of the design (in shipbuilding that might be the
structure or the mast) so that elsewhere you can use heavier (and more
costly) materials for certain, particular high-performance features.
Anyway, your loggia needs to be carefully calculated and reinforced, given
the weight of stones it will have to support. You should also of course try
to keep its “sword-in-the-stone” effect. We often use “composites”, which
have a higher specific resistance than steel, but a coffer made of that kind
of material would alone cost more than the rest of the work put together.
The interior layout is an interesting issue. Here again there are analogies
with the work we do: on small boats and racing boats in particular, since
the space available is limited it has to be “multi-purpose”, so that it can be
used in whatever way is required. So there’ll never, for example, be
a dining table that stands there motionless all day waiting for someone
to come and eat at it, but there will be a surface that pulls out for use
at mealtimes. On the “Volvo Race” boats, the tilting kitchens and
micro-bathrooms almost form a single unit, which is the only
comfortable place on board. That’s where you go for moments of quiet
below deck. You could use the same approach for your hut creating a
single stove-kitchen-sink unit rather than dividing up the functions
of heating, preparing food and eating into their own separate little areas.
Because the whole space is so tiny they would end up interfering with
each other anyway. So it would be fun to do a detailed study of this
stove-sink island, perhaps using the tubes of the overhead bunks as
somewhere to hang things. So: you get to the hut, you sit and get warm
and then prepare a meal. You’re worn out, you’re exhausted so you’re
hardly likely to be cooking a complicated braised steak. And, as we said
before, you could dig a cockpit around the stove about 30-40 centimetres
deep so as to gain some extra height. The bench running all the way
round could be about 45 centimetres high (we make ours 40 cm).
When it’s a low room everything has to be lowered slightly. Two 20-cm
steps would lead down into the “well” and you could sit on those too.
As you yourselves have already envisaged, the bench could have back
rests, but it might be a good idea to avoid anything too complicated:
a wooden panel would do fine, just so that you’re not leaning directly
against the cold wall. And avoid cushions completely. It’s true that you
can get some very sturdy acrylic materials, closed-cell fabrics,
but you still have the problem of keeping everything clean, which is
very difficult to do in these conditions.
“Tube-and-canvas” and “life-lines” over the sheer rock face
Let’s now move on to the all-important sleeping arrangements. You need
at least eight bunks, divided between the upper and lower areas, which is
a huge number in such a small space, and you need to organise it so that
they don’t make the place impossible to live in, especially during the day.
The logical thing would be to have a mobile, modular structure that only
takes up space when it’s actually being used. But with this scheme of
yours, the two people lying on the same bed would tend to roll into the
middle. It’s better if they each have their own bed, and it would perhaps
be more rational to have everyone sleeping the other way round, heads
uphill, legs downhill. Bear in mind also that you can’t sleep anywhere
with a space of less than 60 cm above your head. The best idea would in
fact be a mobile “tube-and-canvas” arrangement, a bit like stretchers, with
the steps in the middle. For people to be able to lie down from the uphill
to the downhill side, and for there to be the right length, the main support
element – which might be a 3mm-thick number 50 aluminium tube –
would have to move slightly towards the window and intersect with the
stove pipe. The secondary structure, meanwhile, would be made up of
mobile tubes arranged in the other direction, with saddles, to be used in
pairs depending on the number of people. The canvas, or net, would be
stretched between each pair of tubes so that each person could lie down
and stretch out independently, without rolling over onto the person next
to them. When you’re sleeping in a small space, your arms get in the way:
they hang down over the sides and you run the risk of falling out of your
bunk when you turn over. The problem doesn’t exist here. Nor is there
any distinction between a windward and a leeward side, like aboard a ship
where you could have a system of cords that would be used to regulate
the inclination of the bed by those lying down. That’s how it’s still done
on boats, something like the bunks of illustrious vessels like the “Amerigo
Vespucci”, and perhaps a conceptually similar system would be fine here.
One final word about your outdoor “life-lines”, positioned over the sheer
rock face. On board ship these are general made of steel tubing and
inserted into a support base, with cross elements running halfway up and
along the top. In this case you’d have to drill holes into the rock, put pins
in and fix the bases that the poles are to go into, which would then be
topped off by a rope. This “parapet” gives the system its rigidity, taking
the strain of the poles. In this case if at least one of the poles was braced
the structure would certainly be safer. And considering the sheer drop
below, the parapet needs to be as sturdy as possible.
Pianta di uno spazio minimo /
Plan of a minimum space:
Le Corbusier, Cabanon,
Roquebrune-Cap Martin,
Francia / France, 1952.
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