Ceramica da fuoco dal saggio IX, di Francesco Ghizzani
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Ceramica da fuoco dal saggio IX, di Francesco Ghizzani
CERAMICA DA FUOCO DAL SAGGIO IX1 Le olle I frammenti riconducibili a questa forma rappresentano una quantità assai consistente nel complesso del materiale messo in luce (224 frammenti, di cui 151 orli e 73 fondi); essi appartengono a manufatti di varia natura e dalle caratteristiche tecniche estremamente varie, attribuibili sia a produzioni locali che di importazione. In linea generale, si può osservare una netta preponderanza di impasti grezzi o poco raffinati, lavorati a mano o a tornio lento e associati a morfologie assai semplici. Naturalmente non mancano oggetti dalle caratteristiche più raffinate, realizzati con tecniche senza dubbio più evolute, ma risultano in quantità minori. Tutti i frammenti denunciano il loro utilizzo a contatto o in prossimità del fuoco nelle diffuse tracce di annerimento, che spesso hanno alterato il colore originario delle superfici esterne e del nucleo del corpo ceramico. In presenza di un materiale estremamente eterogeneo, è stato assai difficile isolare gruppi dalle caratteristiche omogenee e costanti (cui fosse possibile attribuire i connotati di produzione), a meno di non riferirsi a tratti molti generici che rischiavano, però, di essere privi di significato. Un serio tentativo di proposta tipologica, infatti, può scaturire soltanto dall’analisi chimico-fisica degli impasti, l’unica a permettere raggruppamenti sulla base di caratteristiche petrologiche comuni. Non disponendo (al momento) di un simile strumento e giacché gli esemplari studiati rimandano a morfologie estremamente semplici, diffuse in tutta l’area centro-italica e già ben documentate a Populonia (il contesto più sicuro è quello della necropoli delle Grotte), è parso preferibile in questa sede limitarsi a presentare una scelta dei gruppi meglio attestati. Dal punto di vista della classificazione, i problemi maggiori posti dallo studio delle olle sono in gran parte connessi al fatto che si tratta di oggetti riconducibili ad un panorama produttivo vasto e articolato, all’interno del quale si riconoscono con gran difficoltà produzioni standardizzate e circoscritte entro 1 Il presente studio, dedicato alle olle e ai coperchi in ceramica da fuoco rinvenuti nel saggio IX durante la campagna di scavo 2001, si collega e completa un precedente intervento nel quale si era scelto di concentrare l’attenzione sui tegami di probabile importazione e al quale si rimanda per le premesse, il metodo di studio adottato ed i suoi limiti (GHIZZANI MARCÍA 2004, pp. 147-149). 77 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale precisi limiti cronologici; bisogna poi tener presente anche l’esistenza, persino in età romana, di fenomeni di forte stabilità morfologica, associati al permanere di tecniche di modellazione che risalgono alla tradizione protostorica (a mano o con tornio lento, in impasti scarsamente raffinati) che evidentemente complicano ulteriormente lo studio. Va da sé che, almeno in questa fase ancora preliminare dello studio, è parso del tutto impossibile indicare precise evoluzioni morfologiche associate ad una sicura cronologia. GRUPPO 1. OLLE CON ORLO ESTROFLESSO E COLLO INDISTINTO (Fig. 1) I manufatti riuniti entro questo gruppo presentano caratteristiche piuttosto omogenee, riassumibili in una certa ‘arretratezza’ nella tecnica produttiva, cui si accompagnano tratti morfologici piuttosto semplificati. Si tratta di olle con orlo non ingrossato né sagomato, estroflesso, dal profilo continuo, in cui la spalla, spesso sfuggente, si collega in curva continua al corpo globulare o ovoide. Gli impasti sono generalmente grezzi o molto grezzi e la modellazione è assai sommaria, effettuata completamente a mano oppure al tornio lento, con ritocchi manuali. Le superfici recano frequenti tracce di lisciatura a stecca e si presentano a macchie di colori scuri, dal grigio al nero, probabile indizio di cottura non uniforme, a basse temperature ed in atmosfera riducente. Alcuni esemplari sono forniti di una decorazione a piccole bugne applicate (SHEPHERD 1992, pp. 163-165). Fig. 1 – Olle con orlo estroflesso e collo indistinto. 78 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale La tecnica di fabbricazione tradizionale e le caratteristiche generali di questi contenitori, già ampiamente attestati a Populonia, potrebbero essere indizi sufficienti a sostenere l’ipotesi di una loro produzione locale, ipotesi, peraltro, non contraddetta dall’analisi petrografica condotta su alcuni campioni (PALLECCHI 1994-1995, pp. 535-537). Prevalentemente sulla scorta dei dati provenienti dalla necropoli ellenistica delle Grotte, nella quale olle simili facevano parte del corredo di alcune tombe (ROMUALDI 1984-1985, p. 54, n. 186; p. 62, n. 206; p. 64, nn. 214, 219, 220; ROMUALDI 1985, pp. 187-211), si riconosce al gruppo una cronologia che oscilla tra IV e II secolo a.C.: in tal caso, tra il materiale esaminato, soltanto 5 frammenti sarebbero in giacitura primaria, poiché pertinenti all’US 4578 (att. 79, periodo IIb, seconda metà del II secolo a.C.); la grande quantità di frammenti che provengono da US riferite al periodo IIIb (datato alla media e tarda età augustea), potrebbero però indicare una produzione più longeva rispetto ai termini indicati. Il gruppo corrisponde al gruppo 1 già individuato a Populonia da A. Baroncelli (1994-1995, pp. 465-479) e ben documentato anche tra il materiale del saggio XVI, scavato nel 1999 (ALBERTI 2002, pp. 162-168 a cui si rimanda anche per l’ampia bibliografia sui confronti dai principali siti centro-italici). GRUPPO 2. OLLE CON ORLO A MANDORLA (Fig. 2) Questo gruppo di olle è rappresentato da un ristretto numero di esemplari (18 frammenti di orlo, 411 gr) dai profili assai simili tra loro e nei quali si può osservare una progressiva tendenza a passare da semplici orli ingrossati e arrotondati, ad orli con leggera inflessione interna destinata all’alloggiamento del coperchio, fino ad orli dal profilo più caratteristico, tipici di una produzione ampiamente attestata a partire dalla seconda metà del II secolo a.C. e per la quale è accertata l’esistenza di officine inserite in ampi fenomeni di commercializzazione, come provano i numerosi esemplari rinvenuti in quasi tutti i siti del Mediterraneo occidentale e nel carico di molti relitti (OLCESE 1996, p. 426); M. Vegas (1973, p. 16) li indica addirittura come il recipiente da cucina più usato nel Mediterraneo Occidentale, in età tardorepubblicana. Gli impasti dei frammenti non sono ben caratterizzabili (almeno ad una analisi macroscopica) e spesso si presentano completamente anneriti. Ciò ha impedito di verificare la presenza di argille di natura vulcanica e sedimentariovulcanica, come sembra emergere in modo costante nei precedenti studi sul materiale di Populonia (ALBERTI 2002, p. 170). Gli esemplari sono realizzati tutti al tornio e si contraddistinguono per la frequente presenza di uno spesso rivestimento argilloso che mostra varie colorazioni, con annerimenti parziali o completi, presumibilmente dovuti all’uso dei recipienti sul fuoco. Un solo frammento pare in giacitura primaria (US 4578, att. 79, periodo IIb, metà II secolo a.C.), mentre gli altri provengono da strati di età moderna. 79 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 2 – Olle con orlo a mandorla. Coerentemente con la loro ampia diffusione, queste olle sono molto ben attestate anche nel materiale dei precedenti scavi sull’acropoli di Populonia, da strati di fine II-metà I secolo a.C. (BARONCELLI 1994-1995, p. 482, fig. 44, tipo 11 e p. 483, fig. 45, tipo 12; ALBERTI 2002, p. 173, tav. XVI, OF III a, 64, OF III b, 65, OF III c, 66), sebbene finora sembrino esclusivamente rappresentate dai tipi con mandorla piuttosto ben pronunciata, dal profilo nettamente distinto dal corpo cilindro-ovoide. I confronti proposti coprono un ampio arco cronologico (dal IV/III al I secolo a.C.) su tutta la penisola, ma è assai probabile che la loro presenza a Populonia non vada fatta risalire a prima della seconda metà del II secolo a.C. (ALBERTI, SIANO 2002, p. 208). Ad Albintimilium sono presenti dal II fino alla fine del I secolo a.C. e tutti gli esemplari appartengono al gruppo minero-petrografico cui appartengono anche i tegami con orlo bifido, i piatti-coperchio ed i caccabi di probabile importazione tirrenica. Tra le numerose attestazioni, ricordiamo Cosa (DYSON 1976, fig. 32, PD 43, 44), Luni, dove olle simili sono attestate fin dalla fondazione della colonia e per tutto il I secolo a.C., (RATTI SQUELLATI 1987, Gr. 35a e 35b) e Gabii (VEGAS, MARTIN 1982, p. 453, fig. 1, 1). GRUPPO 3. OLLE CON ORLO INTERNAMENTE CONCAVO (Fig. 3) All’interno di questo gruppo sono state isolate olle dalle caratteristiche tecniche piuttosto omogenee e con una morfologia contraddistinta dall’orlo ripiegato verso l’interno, in modo da creare una leggera concavità nella quale alloggiare il coperchio. Nel campione di materiali di cui ci siamo occupati, questo gruppo è rappresentato da 5 frammenti di orlo (105 gr), di cui soltanto uno, proveniente dall’US 4570 (att. 87, periodo IIIb) potrebbe essere in 80 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 3 – Olle con orlo internamente concavo. giacitura primaria. La cronologia dello strato, infatti, è piuttosto controversa, avendo restituito materiale che oscilla dal III secolo a.C. fino all’età medievale. Gli altri frammenti rimandano a strati connessi alle moderne attività di livellamento dell’area del saggio IX. Non risultano precedenti nelle altre campagne di scavo che siano perfettamente coincidenti con gli esemplari del saggio IX che qui presentiamo, mentre confronti piuttosto puntuali provengono dall’isola d’Elba, dalla villa romana delle Grotte, in strati collocati tra l’età augustea e la metà del I secolo d.C. (CASABURO 1997, tav. 20, nn. 148-149). Tali frammenti vengono riferiti alla forma 3 di Pompei, che si data ad un periodo compreso tra il I secolo a.C. e il I d.C. (CHIARAMONTE TRERÉ 1984, pp. 163-165), sebbene a Cosa frammenti del tutto identici vengano riferiti ad un periodo leggermente precedente (DYSON 1976, fig. 32, PD 45-49). GRUPPO 4. OLLE CON BORDO SUPERIORMENTE APPIATTITO E BATTENTE INTERNO (Fig. 4) Si tratta di contenitori realizzati prevalentemente in impasti poco o affatto depurati, lavorati al tornio lento o a mano, dall’aspetto grossolano. Queste caratteristiche, che li accomunano a molte olle inserite nel gruppo 1, si accompagnano però ad una forma piuttosto particolare e immediatamente riconoscibile, i cui tratti essenziali sono: collo cilindrico più o meno sviluppato, bordo superiore appiattito o leggermente concavo e solco interno destinato all’incasso del coperchio. I frammenti che paiono essere in giacitura primaria, appartengono ad attività assegnate al periodo IIIb e sono: 1 frammento dall’US 4599 (att. 86, prima metà del I secolo a.C.), 2 frammenti dalle US 4588 e 4600 (att. 81, prima età augustea), 2 frammenti dalle US 4583 e 4597 (att. 82, media-tarda età augustea), 2 frammenti dall’US 4551 (att. 56, secondo quarto del I secolo d.C.). Tutti gli altri frammenti, invece, provengono da strati o scarsamente affidabili (poiché hanno restituito materiale estremamente eterogeneo dal punto di vista della cronologia) oppure di formazione moderna. A giudicare 81 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 4 – Olle con bordo superiormente appiattito e battente interno. dalla stratigrafia messa in luce con lo scavo del saggio IX, dunque, questo gruppo di olle non risulta attestato prima della prima metà del I secolo a.C. ed è costantemente associato agli strati successivi all’abbandono della casa. Ovviamente tale preliminare quadro cronologico andrà confrontato e precisato con i dati delle più recenti campagne, giacché, sebbene all’interno del presente lotto di materiali questo gruppo rivesta un ruolo piuttosto importante (14 frammenti, 340 gr), esso non trova convincenti punti di contatto con il materiale edito dall’acropoli di Populonia. Il solo precedente nel territorio pare essere un esemplare proveniente dallo scavo della villa romana di Poggio del Molino, per il quale viene proposta un’identificazione con olle datate tra I secolo a.C. e I d.C. (FABBRI 1998, p. 296, fig. 37, n. 5). Ampie attestazioni risultano però al di fuori del territorio di Populonia, specie a Luni, in contesti stratigrafici di I secolo a.C. e I d.C. (Luni I, tav. 50, CM 1899/1; tav. 52, CM 2322/2; tav. 53, CM 2379) e a Fiesole (BIANCHI, VITI 1990, p. 227 e tav. 42, n. 3) dove, considerata la quantità di esemplari con medesima morfologia, si ritiene probabile l’esistenza di una produzione locale, già attestata nel corso della seconda metà del II secolo a.C. e caratteristica di tutto il I secolo a.C., fino alla fine del I d.C. Esemplari del tutto simili, rinvenuti ad Ostia, vengono datati al I secolo d.C. (Ostia II, p. 100, tav. XXVIII, n. 490). I coperchi Tra le forme proprie della ceramica comune, i coperchi sono senza dubbio quelli che pongono le maggiori difficoltà di studio. Nella serie di caratteristiche proprie di questi oggetti, infatti, vi è una forte stasi morfologica, riscontrabile nell’uso di oggetti che restano invariati nel corso di interi secoli. È ovvio che, in simili condizioni, le possibilità di uno studio mirato ad una loro precisa seriazione cronologica si riducano notevolmente. Inoltre, a parte 82 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale gli impasti sicuramente da fuoco, è frequente imbattersi nell’uso di argille non ben caratterizzate che rendono ancora più difficile associare i coperchi ai relativi contenitori. A ciò si aggiunga che il vasellame da fuoco dall’impasto grossolano non aveva necessariamente bisogno di coperchi dotati delle medesime caratteristiche e che spesso dovevano verificarsi casi di interscambio tra oggetti di produzioni diverse. Nonostante le difficoltà di cui si è detto, in molti frammenti è stato possibile riconoscere (ovviamente soltanto a livello di analisi macroscopica) la ricorrenza di impasti dalle medesime caratteristiche, in costante associazione con gli stessi tratti morfologici. Tale circostanza ha consentito di isolare un gruppo di oggetti per il quale, forse, non è azzardato proporre il termine ‘produzione’ e che trova riscontro in quella comunemente definita ‘piatti-coperchi’. GRUPPO 1: PIATTI-COPERCHI (Fig. 5) Si tratta di manufatti che per la loro versatilità venivano utilizzati sia come ampi contenitori per il cibo (SCATOZZA HÖRICHT 1996, p. 145), sia come elementi di copertura, di solito associati ai grandi tegami di produzione campano-laziale (a vernice rossa interna e privi di rivestimento) e verosimilmente prodotti dalle stesse officine cui viene ricondotta la produzione ‘italica da cucina’ (DI GIOVANNI 1996, p. 65). Analogamente alle altre produzioni italiche, anche per i piatti-coperchi si registra una notevole presenza nel carico di numerosi relitti (OLCESE 1993, pp. 52-56). I frammenti sono tutti realizzati al tornio con impasti del medesimo gruppo 13a-b-c (GHIZZANI MARCÍA 2004, pp. 148-149) mediamente depurati, di probabile natura vulcanica, per i quali sembra verisimile un’origine campano-laziale; la maggior parte di essi risulta cotta in atmosfera ossidante, con conseguenti tonalità arancio-rossastre assunte dal corpo ceramico. Sulle superfici si riscontra regolarmente uno strato di argilla diluita, del tutto simile a quello visibile sulla superficie dei tegami dei gruppi 1-4 (GHIZZANI MARCÍA 2004, pp. 150-153), che però spesso ha assunto toni più scuri all’interno e sull’orlo, forse per effetto dei fumi di cottura (DI GIOVANNI 1996, p. 97). Dal punto di vista della morfologia, si riscontrano minime variazioni (coperchi con orlo indistinto, con orlo leggermente assottigliato, oppure segnalato da una minima discontinuità nel profilo della parete e, infine, coperchi con orlo appena ingrossato e rialzato), purtroppo non ancora associate in modo coerente a contesti produttivi e cronologici distinti. I fondi avevano una conformazione ad anello, di dimensioni variabili, in genere piuttosto bassi. Questi contenitori sono attestati in buona parte dei siti del bacino occidentale del Mediterraneo, a partire dal II secolo a.C. e si diffondono nel I secolo a.C., fino a tutto il II d.C. La cronologia dei numerosi strati che hanno restituito i frammenti del gruppo 1 attesta la loro presenza a Populonia a partire dalla metà-fine del II secolo a.C. (US 4578, att. 79, periodo IIb), durante il I 83 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 5 – Piatti-coperchi. secolo a.C. (US 4612, 4614, att. 86, periodo IIIb) e fino alle fasi di abbandono del sito (US 4588, att. 81, periodo IIIb, prima età augustea; US 4524, 4583, 4593 e 4597, att. 82, periodo IIIb, media e tarda età augustea; US 4551, att. 56, periodo IIIb, secondo quarto del I secolo d.C.) La notevole quantità di esemplari pare del tutto coerente con l’alto numero di tegami di produzione campano-laziale rinvenuti. Si tratta di una conferma a quanto già emerso dallo scavo del saggio XVI del 1999, che ha restituito frammenti prevalentemente in impasti vulcanici semifini (SIANO 2002, pp. 185-186), in stratigrafie di probabile fine II-metà I secolo a.C. (ALBERTI, SIANO 2002, p. 208). L’area campana, naturalmente, ha restituito un nutrito nucleo di attestazioni di questa particolare forma (per citare solo alcuni esempi: ANNECCHINO 84 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Fig. 6 – Coperchi. 1977, p. 110; CHIARAMONTE TRERÉ 1984, tav. 110, n. 4; DI GIOVANNI 1996, p. 97; SCATOZZA HÖRICHT 1996, p. 145, fig. 8), sebbene gli esemplari siano caratterizzati da una morfologia poco documentata tra il materiale di Populonia, ossia con orlo fortemente ingrossato e ripiegato. I confronti più simili rimandano piuttosto al sito di Cosa (DYSON 1976, fig. 16, 16IV 16; fig. 23, V-D 23; fig. 35, PD 95), dove i piatti-coperchio sono attestati a partire dalla metà del II secolo a.C. e si riscontrano in maniera frequente ancora in strati di tardo I secolo d.C., fino al III d.C. (per questi casi così tardi, comunque, si tratta ancora dei tipi con orlo fortemente ingrossato e rialzato). Esemplari molto vicini provengono anche dall’area settentrionale, ad esempio da Luni (Luni II, tav. 137) e Albintimilium (OLCESE 1993, p. 245; EAD. 1996, pp. 430-431, tipi 172, 174, 175). In generale tutti i siti del Mediterraneo occidentale (non solo costieri) mostrano tra il loro materiale testimonianze di questa particolare forma, in strati che dalla fine del II secolo a.C. scendono fino al II e III secolo d.C. È chiaro quindi che, come i tegami a vernice rossa interna, questi prodotti testimoniano una sopravvivenza delle officine italiche, nonostante la forte concorrenza delle importazioni africane. 85 © 2005 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale ALTRI GRUPPI (Fig. 6) Per il resto dei frammenti, la suddivisione si è basata prevalentemente sul dato morfologico relativo al profilo delle pareti, in base al quale è stato possibile distinguere tre ulteriori insiemi: gruppo 2 – coperchi conici e troncoconici, con pareti dal profilo rettilineo gruppo 3 – coperchi con pareti dal profilo concavo-convesso gruppo 4 – coperchi con pareti dal profilo esterno convesso (a calotta). Il materiale presenta caratteristiche estremamente eterogenee: esemplari realizzati totalmente a mano, totalmente al tornio e con entrambe le tecniche. Complessivamente, però, si può registrare una generale adozione del tornio nella modellazione delle pareti (e ciò troverebbe conforto nella scarsa presenza di impasti molto grossolani). L’uso della modellazione a mano si riscontra di frequente, ma risulta circoscritto alla realizzazione di alcuni tipi di prese. È assai frequente la presenza di un sottile strato di argilla diluita, stesa per dare uniformità alla superficie, in molti casi alterata nei colori dalla prolungata esposizione al calore. Un elemento ricorrente, infatti è il parziale o completo annerimento (per effetto dell’uso, o piuttosto per le condizioni di cottura del manufatto) delle superfici. Considerata la natura degli oggetti e il tipo di suddivisione che essa ha imposto, è parso inutile (come invece è stato possibile per il gruppo 1) proporre considerazioni troppo dettagliate di ordine cronologico, giacché oggetti simili si riscontrano in tutta Italia in periodi estremamente lunghi. La loro presenza, tra il materiale del saggio IX, è attestata pressoché in tutti gli strati antichi e (come residui) in quelli di formazione moderna. FRANCESCO GHIZZANI MARCÍA Bibliografia M.E. ALBERTI, 2002, Ceramica da fuoco, in A. ROMUALDI (a cura di), Populonia. Ricerche sull’acropoli, Pontedera, pp. 143-177. M. ANNECCHINO, Suppellettile fittile da cucina a Pompei, in L’instrumentum domesticum di Ercolano e Pompei nella prima età imperiale, «Quaderni di cultura materiale», I, Roma, pp. 105-114. A. BARONCELLI, 1994-1995, Ceramica acroma grezza. Le olle, «Rassegna di Archeologia», 12, pp. 475-484. S. BIANCHI, L. VITI, 1990, Olle, in Archeologia urbana a Fiesole: lo scavo di via Marini – via Portigiani, Firenze, pp. 227-235. S. CASABURO, 1997, Elba romana: la villa delle Grotte, Torino. C. CHIARAMONTE TRERÉ, 1984, Ceramica grezza e depurata, in M. BONGHI JOVINO (a cura di), Ricerche a Pompei. 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