Comments
Transcript
Romano Luperini - L`intellettuale in esilio
! Documenti Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura ! ! ! saggio di Romano Luperini tratto da R. Luperini, Tramonto e resistenza della critica, Quodlibet 2013, pp. 39-46. ! ! ! ! ! ! ! ! L’intellettuale in esilio Pagina 2 di 8 Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura Nel frammento 18 di Minima moralia Adorno parla di tramonto della casa e di fine della intimità nelle abitazioni delle metropoli moderne. «Di fronte a tu<o ciò», l’a<eggiamento migliore è «di riserva e di sospensione»: anzi «Fa parte della morale – aggiunge Adorno – non sentirsi mai a casa propria». Infa<i non è più possibile pensare di tutelare la propria interiorità in un mondo che la soffoca quotidianamente: «Non si dà vera vita nella falsa», è la perentoria conclusione dell’aforisma. L’esilio, insomma, è dunque una condizione di disada<amento che si risolve in una presa di distanza critica. Said, che rifle<e su Adorno, sul tema dell’esilio e sulla condizione degli intelle<uali in due saggi,Reflexions on Exile del 1984 e Representations of the Intellectuel, 1994, osserva che si può parlare di esilio reale, per quegli scri<ori che l’hanno conosciuto effe<ivamente nel corso della loro vicenda biografica (Said fa i nomi di Thomas Mann, Spitzer, Auerbach e, appunto, Adorno) e di esilio metaforico e talora anche metafisico, per quelli che sperimentano una situazione di estraneità pur restando sul territorio della proprio patria senza limiti o costrizioni apparenti. Comunque, sia reale o metaforica, la condizione di esclusione può indurre lo scri<ore a rifugiarsi nella scri<ura come sua unica patria. Nel frammento 51, sempre in Minima moralia, Adorno osserva che essa può spingere gli autori a cercare abitazione» nella scri<ura, vale a dire a tentare di autorealizzarsi unicamente a<raverso l’esperienza le<eraria o saggistica; ma, aggiunge, si tra<a di un’illusione: non può esserci risca<o in una scri<ura resecata via da qualsiasi possibilità di «calda atmosfera» e di vita comunitaria, cosicché – è la conclusione -‐‑ «alla fine allo scri<ore non è concesso di abitare nemmeno nello scrivere». Le considerazioni di Adorno rifle<ono su una condizione molto diffusa nella cultura e nell’arte del modernismo. Anche per un teorico della le<eratura come Bachtin, che scrive negli stesi anni, pensare il mondo come se si fosse esclusi da esso può offrire una prospe<iva straordinariamente vantaggiosa dal punto di vista artistico e conoscitivo. Il punto di vista dell’estraneità è ricco di risorse: infa<i chi osserva dall’esterno la vita moderna senza cogliere il senso del suo meccanismo, ne sospende i significati correnti. L’artificio dell’incomprensione è insomma una specola critica formidabile, perché – dice Bachtin -‐‑«me<e le cose in stato d’allegoria»: colte nella loro immediatezza le cose non significano più e bisogna cercarne un senso nascosto che sfugge. Diventando allegorico, il mondo diventa problematico. E qui, ovviamente, la riflessione di Bachtin viene a incontrarsi con quella di un altro maestro del primo Novecento, Benjamin. Adorno e Said: entrambi hanno conosciuto dire<amente, sulla loro pelle, la condizione dell’esilio, fuorusciti tu<’e due negli Stati Uniti, fuggiasco uno dalla Germania di Hitler, l’altro, un palestinese nato in Egi<o, dal mondo arabo minacciato da Israele. Uno è di fa<o il teorico del modernismo primonovecentesco; mentre l’altro, vissuto nel cuore del secondo Novecento, lo è degli anni del postmoderno. Said, studiando una condizione degli intelle<uali molto simile a quella a<uale, può dunque aiutarci a comprendere meglio il nostro presente. E infa<i egli sviluppa sopra<u<o due aspe<i trascurati sia da Adorno che da Bachtin: secondo lui, la condizione di esilio incoraggia una visione del mondo Pagina 3 di 8 Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura contrappuntistica e favorisce uno sguardo capace di cogliere la realtà come prodo<o storico e relativo, nella sua assoluta contingenza. Fra questi due aspe<i Said individua ovviamente una stre<a correlazione: quando chiarisce, per esempio, che l’idea di Occidente presuppone quella di Oriente e si sviluppa, per così dire, sul suo rovescio e che l’Occidente ha avuto bisogno dell’Oriente per darsi un’identità, quest’ultima si rivela subito non come un valore eterno, ma come il risultato di un processo storico che presuppone, in ogni momento, il suo contrario. Per Said, a chi vive in esilio, sospeso fra due mondi e fra due culture il relativismo critico è perciò conquista teorica assai naturale. Nella le<eratura italiana il fondatore moderno di una mitologia dell’esilio è Ugo Foscolo: da un lato infa<i ne sviluppa, sopra<u<o in alcuni sone<i (A Zacinto, In morte del fratello Giovanni), l’aspe<o esistenziale e, per dir così, ontologico, dall’altro, nelle Ultime le>ere di Jacopo Ortis, crea il modello e quasi l’archetipo dell’intelle<uale risorgimentale. La figura romantico-‐‑risorgmentale dell’esule «bello di fama e di sventura» nasce con lui, nella sua capacità di far confluire entrambi questi aspe<i nella figura mitologica di Ulisse e del suo «diverso esiglio». Come mostra una recente antologia di Alessandro Viti («Ascoltate degli esuli il canto», Nerosubianco, Cuneo, 2010), sulla base del modello foscoliano (come scrisse allora Carlo Ca<aneo, Foscolo avrebbe dato all’Italia «una nuova istituzione: l’esilio») si sviluppa negli anni venti, trenta e quaranta dell’O<ocento una grande narrazione colle<iva centrata sul tema dell’esilio dell’intelle<uale patriota. E’ sopra<u<o Berchet che rappresenta questa fase successiva all’esperienza foscoliana: con lui l’esule diventa una figura di primo piano dell’immaginario culturale che sta a fondamento del nostro Risorgimento. Penso a Il romito del Cenisio, a Le fantasie («dove che venga l’Esule/ sempre ha la patria in cor»), a I profughi di Parga. Spesso i titoli stessi sono significativi, anche nella loro monotonia: oltre a Profughi di Parga abbiamo per esempio Il profugo di Arnaldo Fusinato e Il profugo di Francesco Dall’Ongaro, nonché Il fuoruscito di Giovita Scalvini; a L’esilio di Luigi Carrer corrispondono L’esiliato a Parigi di Fusinato, Fuga da Napoli ed esilio a Malta di Gabriele Rosse<i e L’esule e Esilio volontario di Tommaseo Si articola così una sorta di schema mitologico costruito non più sulla figura di Ulisse, bensì, ora, su quella di Dante esule da Firenze e peregrino per l’Italia (e anche qui non manca la radice foscoliana del «ghibellin fuggiasco»). Spesso questo schema si articola sull’immagine dell’eroe in fuga dalla patria per ragioni politiche e sul doppio tema della fanciulla amata che lo a<ende e che diventa un’immagine simbolica dell’Italia e del traditore che rinnega i propri ideali e magari approfi<a dell’assenza del patriota per corteggiarla. Se si aggiungono i motivi della madre piangente rimasta in patria, della prospe<iva del sepolcro in terra straniera e degli appelli a se stesso per non cedere e resistere il repertorio è pressoché completo. Il poeme<o L’esule di Pietro Giannone (1825) è da questo punto di vista esemplare, ma i diversi motivi di questa mitologia colle<iva ritornano in una miriade di prove poetiche di quegli anni. Questa stessa gamma di argomenti e di topoi si trova d’altronde anche in vari romanzi, da Do>or Antonio di Pagina 4 di 8 Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura Giovanni Ruffini a veri e propri capolavori della le<eratura romantico-‐‑risorgimentale come Fede e bellezza di Tommaseo e Le confessioni di un italiano di Nievo. Si può quindi concludere che il tema dell’esilio – e dell’esilio reale provocato dalle cospirazioni dei patrioti e dalla repressione degli stati ha un ruolo sicuramente fondativo nella le<eratura romantico-‐‑risorgimentale fra il 1820 e il 1860. Dopo l’Unità d’Italia le cose cambiano rapidamente. In Verga, già a partire da Eva, la condizione di disagio e di disada<amento non è prodo<a più dalla repressione poliziesca e dall’esilio all’estero, ma, come afferma l’autore nella prefazione di questo romanzo, dal predominio economico e morale delle banche e delle imprese industriali che distrugge gli entusiasmi giovanili (compresi quelli patrio<ici) e inducono al cinismo e alla ricerca dei piaceri. Il tema dello sradicamento continua a essere presente, ma le cause diventano sopra<u<o morali e psicologiche. Quando con Rosso malpelo affiora con forza il tema dell’esclusione, esso si collega certamente al motivo antropologico della “diversità” dei capelli rossi e a quello filosofico e sociale della selezione naturale e della emarginazione del ragazzo orfano in una comunità di minatori. Ma dietro la diversità di Rosso si cela un interesse per il tema e per la situazione della esclusione che accompagna tu<a la produzione di Verga (sino agli ultimi romanzi, solo proge<ati, del ciclo dei Vinti) e che sembra avere ragioni non tanto o non soltanto nello studio ogge<ivo dei fenomeni, quanto nella storia sociale degli artisti nella società moderna (come ben documentato da Starobinski nel suo Ritra>o del’artista da saltimbanco). Ne abbiamo conferma nella conclusione dei Malavoglia, dove il grande tema dell’esilio riaffiora, correlato però al senso di colpa (dunque, di nuovo, a ragioni morali) e alla questione delle radici strappate e perdute. L’esilio di ‘Ntoni, nella pagina finale del romanzo, diventa quello stesso dello scri<ore moderno, espulso dal nido prote<ivo delle origini e costre<o a vivere nel mondo perduto della modernità. Ancora un passo, e un passaggio di generazione, e saremo al rimpianto per un porto sepolto e per un paese innocente nella poesia di Ungare<i. Nella grande le<eratura del modernismo (Ungare<i, Montale, Sbarbaro, Pirandello) la perdita delle origini e la condizione di estraneità diventano tema centrale. Da In memoria e Girovago di Ungare<i, che rappresentano la situazione dello straniero e del senza paese (si ricordino i due incipit memorabili: «Si chiamava/ Moamed Sceab// discendente/ di emiri di nomadi/ suicida/ perché non aveva più/ Patria»; «In nessuna/ parte/ di terra/ mi posso/ accasare»), a La farandola dei fanciulli sul greto di Montale, in cui l’ adulto vive come uno strazio il distacco dalle antiche radici, l’esilio si prospe<a come dimensione metaforica dell’esistenza umana o almeno di quella dei poeti e degli scri<ori. Mentre nella le<eratura romantico-‐‑ risorgimentale la perdita della patria è dovuta a motivi politici e ideali, ora essa è costitutiva della natura umana: ha un fondamento ontologico-‐‑esistenziale. Montale parlerà a questo proposito di «una totale disarmonia con la realtà», di «inada<amento», di «un Pagina 5 di 8 Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura maladjustement psicologico e morale» (vedi Confessioni di scri>ori. Interviste con se stessi). E’ la situazione di chi non si sente mai a casa propria di cui aveva parlato Adorno. Di nuovo si ripropone, come aveva capito Bachtin per il romanzo, la messa del mondo in stato d’allegoria: si legga Taci anima stanca di godere e di soffrire di Sbarbaro: «E gli alberi son alberi, le case/ sono case, le donne/ che passano son donne, e tu<o è quello/ che è, soltanto quel che è./ La vicenda di gioia e di dolore/ non ci tocca. Perduta ha la sua voce/ la sirena del mondo, e il mondo è un grande/ deserto». Pirandello dirà nell’Umorismo che «il meccanismo stride» ogni volta che lo si osservi dall’esterno, senza partecipare al gioco delle convenzioni (delle «forme», dice lui) che lo fondono. E’ il procedimento della sospensione del senso e della funzione della incomprensione evocato da Bachtin ed esemplarmente espresso in questa pagina di Quaderni di Serafino Gubbio operatore: Guardo per la via le donne, come vestono, come camminano, i cappelli che portano in capo; gli uomini, le arie che hanno o che si danno; ne ascolto i discorsi, i propositi; e in certi momenti mi sembra così impossibile credere alla realtà di quanto vedo e sento, che non potendo d’altra parte credere che tu<i facciano per ischerzo, mi domando se veramente tu<o questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre più si còmplica e s’accèlera, non abbia rido<o l’umanità in tale stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tu<o. Sarebbe forse, in fin dei conti, tanto di guadagnato. Non per altro, badiamo: per fare una volta tanto punto e daccapo. La condizione metaforica o ontologica d’esilio, quale era stata descri<a da Adorno, nel primo Novecento sembrava appartenere solo a pochi scri<ori e grandi intelle<uali; ma nel corso del secolo, e in particolare nella seconda metà di esso, è diventata invece un concreto cara<ere fondante dell’intero ceto dei lavoratori della conoscenza. Ha cessato di essere un tema le<erario ed è diventata una condizione materiale di vita, così presente che, come l’aria che respiriamo o come la folla di Parigi in Baudelaire secondo Benjamin, non ha più bisogno nemmeno di essere evocata. Fra anni sessanta e anni novanta del Novecento in Italia la cultura è stata infa<i incorporata nel sistema economico e politico delle comunicazioni di massa. Il sapere-‐‑ potere degli intelle<uali come ceto o categoria sociale, filtrato e selezionato da apparati tecnologici e da enormi complessi produ<ivi e istituzionali, si è liquefa<o e frantumato all’interno di queste stru<ure che tu<’oggi ne decidono o comunque largamente ne condizionano le scelte fondamentali. Inseriti in questi grandi apparati di sapere-‐‑potere, che rispondono a pochi centri di comando integrati, nazionali e multinazionali, gli intelle<uali non hanno alcuna possibilità di controllo su di essi. Si riducono a semplici lavoratori della conoscenza, costre<i a fare i conti con una perenne instabilità, mobilità, flessibilità e dunque a sviluppare una elevata capacità di conversione. La cultura Pagina 6 di 8 Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura umanistica, sminuzzata e rido<a a insieme di informazioni e di saperi, può ora acquisire persino un nuovo (seppur modesto) valore in quanto componente di una formazione di base variamente interdisciplinare e fungibile, capace di ada<arsi a condizioni diverse e di fornire alcuni strumenti interpretativi. La Ict (Information and comunication tecnology) ha bisogno di questo tipo di ingranaggio per funzionare. Ma non si tra<a più di una a<ività di mediazione; a mediare – o meglio a imporre i propri prodo<i -‐‑ ci pensano dire<amente, e in proprio, gli apparati tecnologici. I nuovi lavoratori della conoscenza hanno perduto autorità e autonomia; e non hanno neppure più nulla in comune con la tipologia dell’intelle<uale tradizionale di cui parlava Gramsci. In questa situazione il grande corporativismo degli intelle<uali, garante dell’universalismo dei valori, non è più proponibile. Nella stessa cultura “alta” la figura dell’intelle<uale cara a Bourdieu, quella che interviene nella società grazie all’autorità e al prestigio conferitigli dall’autonomia del proprio campo e dall’indipendenza culturale e morale che essa garantisce, appare sempre più un residuo del passato. I suoi ultimi rappresentati (Pasolini, Fortini, Volponi, Sciascia, Calvino) sono tu<i scomparsi nell’ultimo quarto del secolo scorso. Oggi anche la parte “alta” della cultura non controlla più i processi di sapere-‐‑potere in cui è inserita e che determinano la formazione dell’opinione pubblica. Gli intelle<uali non costituiscono più il cemento ideologico di una comunità. Non hanno autorità e legi<imazione, e non possono dunque più né mediare né gestire culturalmente quei processi. La rappresentazione che ne fa Said è perciò a<uale. Secondo Said, il nuovo intelle<uale inserito in posizione subordinata all’interno dei grandi complessi produ<ivi o istituzionali, o costre<o ai loro confini, insieme interno ed esterno a essi, da un lato corre il rischio di diventare un mero ingranaggio del sistema comunicativo, un elemento facilmente sostituibile e intercambiabile, dall’altro è costre<o a vivere ai margini degli apparati di cui pure fa parte, a configurarsi come un outsider, un dile<ante plurifungibile, un emarginato potenziale e spesso effe<ivo. La condizione di esilio tende sempre di più a marcare la situazione di precarietà e di inappartenenza in cui vivono le nuove generazioni di intelle<uali. Ma proprio per questo essi possono ora «trovare la propria ragione d’essere nel fa<o di rappresentare tu<e le persone e le istanze che solitamente sono dimenticate o censurate» (Said). Se ha perduto ogni mandato sociale e la propria tradizionale centralità, se non può più svolgere la funzione ideologica di mediazione, il nuovo intelle<uale può trovare proprio nelle contraddizioni che sperimenta, nella propria stessa marginalità sociale, una condizione rappresentativa delle altre marginalità presenti sulla scena mondiale. Il passaggio da legislatore a interprete può esaltare insomma il ruolo dei lavoratori della conoscenza come specialisti della liminarità, e cioè del passaggio dei confini, della traduzione, del dialogo, della pluridisciplinarità, della conoscenza critica della differenza. Tradu<ori, insegnanti, magistrati, la massa degli adde<i al mondo della comunicazione, centinaia di migliaia di neodiplomati e neolaureati stanno diventando figure di soglia. Cominciano a sciogliersi da una situazione di sapere-‐‑potere legata Pagina 7 di 8 Webinar 20 febbraio 2014 Insegnare con Prometeo: idee e risorse per una nuova didattica della letteratura esclusivamente alla storia dell’Occidente, al suo “centro” ideale e materiale, ad avvicinarsi alla periferia, a essere periferia. Che un intelle<uale delle periferie come era Saviano dieci anni fa abbia scri<o Gomorra e che questo libro abbia segnato, qualunque sia il suo valore le<erario, una svolta simbolica, non appare insomma casuale. Se in Calvino di Palomar il senso di estraneazione si era a tal punto normalizzato da diventare immemore, se non di un passato diverso, della propria stessa ragione di essere («Da un po’ di tempo [il signor Palomar] s’è accorto che tra lui e il mondo le cose non vanno più come prima; se prima gli pareva che s’aspe<assero qualcosa l’uno dall’altro, lui e il mondo, adesso non ricorda più cosa ci fosse da aspe<arsi, in male o in bene, né perché questa a<esa lo tenesse n una perpetua agitazione ansiosa»), ora le cose sono cambiate: a partire da Saviano il «bene» e il «male» tornano a essere percepiti come tali e la marginalità si organizza nella forma della denuncia. Potrebbe essere l’apertura di una fase nuova. Pagina 8 di 8 Webinar 20 febbraio 2014