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RANDONE, EDUARDO, STOPPA : TRE MESSINSCENA DE IL

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RANDONE, EDUARDO, STOPPA : TRE MESSINSCENA DE IL
di Paolo Diodato
1
INTRODUZIONE
Il 1916 rappresenta una tappa significativa dell' "itinerario" di
Pirandello al teatro1. Fin dalla giovinezza (già diciannovenne)
oscillò tra la chiara volontà2 di entrare con i propri lavori nei
rapporti produttivi e professionali di questo mondo e la
progressiva rassegnazione che lo accompagnò negli ultimi
tentativi di far rappresentare i suoi numerosi e in gran parte
sconosciuti drammi giovanili.3 Questi tentativi si protrassero fino
ai trenta anni compiuti, inducendolo a dire in una lettera ai
familiari del 26 luglio 1897: <<Non mi resta che fabbricarmi un
teatrino di marionette per mettervi in scena da me tanto L'Epilogo
quanto Una Signora>>4.
1
SANDRO D’AMICO, Itinerario di Pirandello al teatro, in <<Il Veltro>> 1-2, febbraio –
aprile 1968, pp. 81-95; ALFREDO BARBINA, << Fortuna>> del Pirandello “siciliano“,
in <<Cultura e Scuola>> n. 51, luglio–settembre, ROMA 1974, pp. 20-31.
2
S. D’AMICO, Itinerario…cit., << Opere in cui l’autore credette a lungo, se le andò
proponendo e riproponendo a distanza anche di anni alle nostre compagnie primarie… >>,
p.85.
3
S. D’AMICO, Itinerario… cit.p?; LUIGI PIRANDELLO, Maschere nude, vol.I, a cura di
S. D’Amico, premessa di G. Macchia, Mondadori, MILANO, 1986, pp. LII – LV; ID.
Pensaci,Giacomino! – ‘A birritta cu’i ciancianeddi – Il berretto a sonagli, a cura di G.
Giudice, introduzione di N. Borsellino, MILANO, 1993, pp.XLVI – XLVIII.
4
LUIGI PIRANDELLO, Epistolario familiare giovanile ( 1886-1898 ), a cura di E.
Providenti, << Quaderni della Nuova Antologia >>, XXVI, FIRENZE 1986; L.
PIRANDELLO, Maschere…, cit., p.XXXVIII.
2
Va sottolineato che Pirandello scrisse tra i venti e i trent’anni
almeno nove drammi e che tra i trenta e i quarantacinque anni
non ne scrisse neppure uno5.
Ma c’e ancora un'altra tappa che va evidenziata nell'itinerario di
Pirandello al teatro e che è testimoniata dalla collaborazione con
Nino Martoglio6 a cui si deve la rinascita del teatro siciliano.
Personaggio eclettico, dagli svariati interessi culturali, Martoglio
fu pubblicista, poeta dialettale, regista cinematografico e
scenografo, fertile commediografo, organizzatore di convegni, di
poeti dialettali, fu soprattutto un appassionato direttore di
compagnie teatrali, scopritore di attori di talento e a lui si deve la
rinascita, o meglio la nascita del teatro siciliano7.
Sebbene si possa parlare di teatro dialettale siciliano sin dalla
seconda metà del ‘700 con le vastasate e la rappresentazione de
5
S. D’AMICO, Itinerario… cit., p. 86
GIACOMO ARMO,’Martoglio e la storia del teatro siciliano,NAPOLI 1931;
FRANCESCO DE FELICE, Storia del teatro siciliano, CATANIA 1956; G. CALENDOLI,
La tradizione <<sociale>> degli attori siciliani , <<Sipario>> ( MILANO), luglio 1960;
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Pirandello Martoglio, CATANIA 1985; SARAH e
ENZO ZAPPULLA , Sicilia: Dialetto e Teatro Materiali per una storia del teatro
dialettale siiliano AGRIGENTO 1982 p. 3; ALFREDO BARBINA (a cura di), Teatro
verista siciliano,Cappelli, BOLOGNA 1970, pp. 5-26.
7
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Pirandello …cit., p. 8.
6
3
I Mafiusi di la vicaria di Gaspare Mosca e Giuseppe Rizzotto
nel 18638 la situazione del teatro siciliano, al tempo di Martoglio,
era quella di un teatro a cui mancava un repertorio, circolavano
soli pochi canovacci drammatico-passionali e mancava un cast
valido ed organico di interpreti9.
Martoglio si impegna alla realizzazione del progetto di una
compagnia teatrale con un repertorio che superi i “drammoni
patetico–sentimentali”, le “farse” e i semplici canovacci,
puntando alla collaborazione con gli scrittori isolani di maggior
prestigio10.
In una intervista rilasciata nel 1906 Martoglio afferma : “Io
voglio rispecchiare, con la dovizia che ho di lavori paesani dei
più illustri scrittori nostri, tutte le facce del brillante poliedro che
è l’anima popolare della nostra gente, e nelle diverse classi, e in
tutte le gradazioni sociali, soffermandomi d’avvantaggio su tutto
quanto vi è in Sicilia di più caratteristico, colorito e mite
8
SARAH e ENZO ZAPPULLA, Sicilia …, cit., p. 5;
IDEM p. 5
10
SARAH E ENZO ZAPPULLA, Musco immagini di un attore, CATANIA 1987, pp. 4445;
9
4
insieme. Con ciò non è detto che non avrò anch’io dei drammi
passionali e violenti, ma essi non saranno il fulcro del mio
repertorio. Questo sarà, invece, rappresentato da lavori pieni di
freschezza e di poesia, pur essendo vivi ed interessanti[…]. Ho
molti lavori che vado raccogliendo da tre anni a questa parte, pel
mio scopo, ne ho di scrittori illustri e darò certe primizie che
solleveranno a rumore il campo letterario e teatrale”11. Intanto
già tre anni prima di questa intervista (1903) era nata la
“Compagnia Drammatica Dialettale Siciliana” i cui componenti
erano, tra gli altri, Giovanni Grasso, Angelo Musco, Marinella
Bragaglia e Totò Majorana12. Gli stessi che nel 1902 erano stati
oggetto di una critica positiva da parte di Stanis Manca13 in
occasione di alcune recite di beneficenza al teatro Argentina, in
cui per la prima volta il teatro siciliano si impone all’attenzione
nazionale14.
11
SARAH e ENZO ZAPPULLA, Sicilia…cit., pp. 5-6
La terza <<Compagnia Drammatica Dialettale Siciliana>> diretta da Nino Martoglio è
costituita dai primi attori Tommaso Marcellini e Totò Majorana e dalle prime attrici
Margherita Anselmi e Carmelina Tria, tra gli altri figura anche Angelo Musco che in
seguito assumerà un ruolo centrale. In cartellone figurano autori e titoli importanti come per
es. Giovanni Verga (Cavalleria rusticana, Caccia al lupo, Dal tuo al mio), Luigi Pirandello
(U’ flautu e Giustizia di cui non si ha altra notizia). Il debutto ha luogo il 30 dicembre
1907 al << Teatro Storchi >> di Modena con Dal tuo al mio di Giovanni Verga. La
12
5
E’ in seguito a queste iniziative culturali e teatrali che Pirandello
decide di collaborare con Martoglio, accogliendo le sue
sollecitazioni a comporre opere per la Compagnia Siciliana di
teatro15.
Nel 1910 Pirandello dà a Martoglio due atti unici, La morsa e
Lumìe di Sicilia16; quest’ultimo verrà ripreso da Musco nel luglio
del 1915 e sarà la sua prima interpretazione pirandelliana16.
Compagnia si scioglierà nel marzo del 1908. Cfr . SARAH e ENZO ZAPPULLA,
Musco…, cit., pp. 47-48; ID. Pirandello…, cit., p. 17 nota 1.
13
Ecco un frammento dell’articolo in cui Stanis Manca esprime il suo giudizio apparso in
<<La Tribuna>>, ROMA, 1902 : <<Chi sono? Da dove sono venuti? Come si sono rivelati
artisti tanto vigorosi e originali?… Tutti coloro - e purtroppo non erano molti! – che
capitarono ieri sera all’Argentina, senza alcuna preparazione, quasi inconsciamente, man
mano si svolgeva la rappresentazione di questi singolarissimi attori, si sentirono vinti dallo
sbalordimento, dalla commozione, e infine da un entusiasmo nuovo ed eccitante. La
compagnia siciliana ha eseguito Cavalleria Rusticana e un dramma d’ambiente, La
zolfara>>.Cfr. A: BARBINA a cura di, Teatro …cit., pp.8-9.
14
Parte della lettera in cui Martoglio parla con Stanis Manca della storia e del
rinnovamento del teatro siciliano è apparsa in SARAH ZAPPULLA MUSCARA’ ENZO
ZAPPULLA, Giovanni Grasso il più grande attore tragico del mondo, ediz. La Cantinella
1995, pp. 39- 42; ID. Musco…, cit., pp. 44-45; ID. Sicilia ..., cit., p.8 ;
15
La lettera è il primo documento che ci testimonia del rapporto di collaborazione
Pirandello - Martoglio : << Caro Martoglio, valga la presente quale impegno di consegnarti
dentro il settembre p.v. la mia commedia in dialetto siciliano ‘ U flautu e dentro il
dicembre seguente l’altra, dal titolo Giustizia; e valga altresì d’autorizzazione alla
Compagnia Drammatica Siciliana Martoglio-Marcellino (sic), da te condotta e diretta, di
rapresentarle entrambe, dal dì della consegna a tutto il carnevale del 1912,
corrispondendomi per la prima ( ‘ U flautu ) il 5% fisso e per la seconda ( Giustizia) il 12,
il 10 e l’8 % sull’incasso lordo. In pari tempo m’impegno di non consegnare ad altri prima
di te, nella rappresentanza della Compagnia, qualsiasi mio futuro lavoro in dialetto
siciliano, facilitando quanto più mi sarà dato la tua patriottica iniziativa d’arte con
condizioni che saranno stabilite caso per caso. Con tutta stima Luigi Pirandello >>, cfr.
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’ , Pirandello…, cit., p. 17;
16
Le due opere hanno tempi molto diversi di composizione La Morsa fu scritta nel 1892
sotto il nome di L’ Epilogo pur essendo stata rappresentata la prima volta a Roma il 9
dicembre 1910; l’ altra Lumìe di Sicilia fu scritta probabilmente nel 1910, data nella quale
6
A spingere Musco verso Pirandello, con la mediazione di Nino
Martoglio (che fu lo scopritore dell’attore catanese), fu la
necessità di arricchire il proprio repertorio con lavori di autori
siciliani significativi evitando testi stranieri spesso tradotti alla
meglio18. Ma tale incontro non fu dettato solo da motivi di
repertorio. Infatti, la personalità artistica di Musco non era
riducibile ad un modello di attore dialettale comico specializzato
in determinate caratterizzazioni farsesche, dato che “la sua
attività, i suoi contatti culturali e infine il suo stile interpretativo
raggiunsero una dimensione nazionale e sovranazionale che lo
sollecitarono ad aprirsi ad un teatro più complesso19. E lo stesso
Pirandello, del resto, scrisse le sue opere dialettali più mature
fu anche per la prima volta rappresentata. Cfr.: LUIGI PIRANDELLO, Maschere…,p. LIV
e p. LVI;
17
SARAH e ENZO ZAPPULLA , Musco .. , cit., pp. 52- 53; ID. Pirandello …, cit., p. 125;
LEONARDO SCIASCIA , Pirandello e la Sicilia,Adelphi, MILANO 1996, pp. 91- 98;
18
S.e E. ZAPPULLA, Musco …, cit., p. 53;
19
Per una bibliografia più dettagliata relativa a Musco rimando al capitolo successivo
intitolato Musco e gli interpreti dialettali di Pirandello.. Ora cito più in generale: I.
VITALIANO-MORABITO, Angelo Musco nella vita e nell’ arte, Alpes, MILANO 1928;
ANGELO MUSCO, Cerca che trovi, Cappelli, BOLOGNA 1930; NINO ZUCCARELLO,
Musco visto dal suo primo attore giovane, CATANIA 1951; ID., Musco e Martoglio,
CATANIA 1953; ID. Nella compagnia di Angelo Musco, <<Giornale di Sicilia>>
PALERMO 22-2-1957; SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Ricordo del grande attore a
quarant’anni dalla morte. Musco: estro e esuberanza del <<signore della risata>>, <<Il
Tempo>> ROMA 1977; ID. Angelo Musco: La vita come una lunga lotta, <<La Sicilia>>
1977; SARAH MUSCARA’ e ENZO ZAPPULLA (a cura di), Angelo Musco. Il gesto. La
mimica. L’arte, ediz. Novecento, PALERMO 1987;
7
pensando ad un attore come Musco di cui aveva
intuito
potenzialità attoriali adatte ai suoi personaggi.
Nell’ incontro Musco-Pirandello va sottolineato un passaggio da
parte di entrambi.
L’attore catanese, divenuto ormai capocomico
si diversifica
dalle gestioni delle compagnie teatrali precedenti sia aprendosi a
prospettive
nazionali
sia
accentuando
un
rapporto
“imprenditoriale“ con gli autori che gli permetta di crearsi un
repertorio adatto a sé e ai suoi compagni.
Pirandello da parte sua da autore entra sempre più in un ruolo
registico imprenditoriale che prima non aveva.20
Quindi
la svolta vera e propria del teatro pirandelliano va
individuata nel 1916, data nella quale si realizza la produzione
dialettale più significativa.
Di quest’anno sono Pensaci Giacuminu, ‘ A Birritta cu’i
ciancianeddi, Liolà e ‘A giarra, tutti interpretati dallo stesso
20
P. GOBETTI, Pirandello e il buffone Angelo Musco, <<Energie nuove>>, TORINO, I
1918 poi in <<Le Riviste di Piero Gobetti>>, MILANO 1961, pp. 90- 91; ANGELO
MUSCO, Primi incontri con Pirandello, <<Popolo di Sicilia>>, CATANIA, 3-2-37,
questo articolo è stato poi ripreso dal <<Secolo nostro>>. G: PATANE’, Pirandello,
Musco e i pupi di Sicilia, <<Dramma>>, TORINO 1-9-1952;
8
Musco21.
Si può dire che
Pirandello dal 1916 in poi è
definitamente inserito nei rapporti produttivi del teatro, delle
compagnie e dei primi attori. In altre parole Pirandello si è,
ormai, incontrato con la scena vera e propria22.
Una delle opere in cui è particolarmente evidente l’incontro di
Pirandello con il mondo e gli uomini di teatro è il Berretto a
sonagli. Opera complessa e significativa nel panorama teatrale
pirandelliano permette una lettura che è possibile fare a più
livelli. La sua stessa travagliata genesi sia compositiva che
scenica ne fanno un lavoro
particolarmente indicativo del
rapporto multiforme e spesso contraddittorio di Pirandello con il
teatro. Il Berretto a sonagli si configura come un importante
laboratorio linguistico e scenico. Le sue stesse varianti23
testimoniano una serie di operazioni che Pirandello svolse a più
riprese avendo come obiettivo una resa sulla scena di maggior
sintesi ed efficacia. Ne è prova l’alleggerimento della struttura
21
Per la cronologia di queste opere cfr. LUIGI PIRANDELLO, Maschere…, cit., pp.LVILVII; ID., Pensaci…, cit., p. IL;
22
A. BARBINA, << Fortuna >>…, cit., p. 21;
23
Sulle varianti cfr., GIUSEPPE GULINO, Il teatro dialettale di Pirandello: << ‘ A
birritta cu’ i ciancianeddi >> in << Pirandello dialettale >> a cura di SARAH ZAPPULLA
9
linguistica del testo ancora troppo letterario e l’attenzione che
mostra verso gli aspetti più concreti del fare teatro come i
costumi, la scenografia e lo stile recitativo24. La Birritta cu’ i
ciancianeddi si caratterizza pertanto per un accurato ed insistente
lavoro di correzione e di rielaborazione che ne fanno una delle
più riuscite esperienze del teatro siciliano25.
MUSCARA’, Palumbo, PALERMO 1983, pp. 160-173; MARIA RUSIGNUOLO, Le
varianti di <<‘ A birritta cu’ i ciancianeddi >> di Luigi Pirandello, in Idem pp. 174 - 189;
LUIGI PIRANDELLO, Maschere…, cit., pp. 1028- 1058; SARAH ZAPPULLA
MUSCARA’, Odissea di maschere.<<‘ A birritta cu’ i ciancianeddi>> di Luigi Pirandello
,Maimone, CATANIA 1988; LUIGI SQUARZINA, Questa sera Pirandello,Marsilio,
VENEZIA 1990, pp. 37-42. Tra i più importanti studi linguistici pirandelliani ricordiamo
ANTONINO PAGLIARO, Teoria e prassi linguistica di Luigi Pirandello, in <<Bollettino
del Centro di studi filologici e linguistici siciliani>>, X (1969), pp. 249-293; P.
MAZZAMUTO, L’arrovello dell’arcolaio. Studi su Pirandello agrigentino e dialettale,
S.F. Flaccovio, Editore, PALERMO 1974.
24
Su questi aspetti Pirandello si sofferma in alcune lettere a Nino Martoglio cfr.,SARAH
ZAPPULLA MUSCARA’ Pirandello …, cit., pp. 65-66, lettera del 24-1-17; pp. 76-79,
lettera dell’ 8-2-17; p. 81 la lettera è del 10-2 17; pp. 83-85, lettera del 12-2-17;
25
Sono molti i conoscitori di Pirandello che hanno giudicato il Berretto a sonagli come una
dele opere più riuscite. Cito tra gli altri MARIA RUSIGNUOLO, Le varianti di <<‘ A
birritta…>> cit., pp.186-187;
10
I Capitolo
MUSCO E GLI INTERPRETI DIALETTALI DE
IL BERRETTO A SONAGLI
11
Angelo Musco interprete de
Il berretto a sonagli
La decisione di dedicare un capitolo a Musco e agli attori
dialettali siciliani, in rapporto a Pirandello,
nasce dalla
consapevolezza che le opere dialettali pirandelliane maturano
come lavori in cui l’interprete gioca un ruolo significativo. Del
resto, è nella cultura stessa degli attori dialettali e primi interpreti
pirandelliani, rivendicare un proprio spazio elaborativo teatrale
e scenico che incide fortemente sull’opera stessa1. Musco, in una
lettera così condensava i suoi canoni interpretativi : <<quando mi
portano un lavoro, mi portano una stoffa. Sono io che ci faccio
un abito per me. Tornasse dall’altro mondo a portarmi uno
scampolo la buon’anima di Giovanni Verga, io lo ritaglio, lo
cucio, ci faccio il bavero, le tasche e le maniche, me lo infilo, e ci
metto il fiore all’occhiello: ecco !>>2
1
G. RESTA , La stagione eroica del teatro siciliano , in ENZO ZAPPULLA( a cura di ),
Angelo Musco e il teatro del suo tempo, Maimone, CATANIA 1989, p. 14;
2
S. D’AMICO, Tramonto del grande attore , I, Edizione, Mondadori, MILANO 1929, II
edizione, la casa Usher, FIRENZE, 1985, p. 112; SARAH ZAPPULLA MUSCARA’,
Odissea…, cit., p. 164;
12
Ma, oltre al fatto che Musco è stato uno dei primi interpreti
pirandelliani, vi è anche un’altra e più profonda motivazione che
lo distingue dagli altri attori siciliani. Egli, infatti, concentrò in
sé dei caratteri che sono riscontrabili solo nei grandi attori, i quali
sono in grado di costruire un modello di recitazione libero da
localismi e stereotipi.3
Ma quali furono i modelli recitativi assorbiti da Angelo Musco, o
meglio che cosa gli forniva la tradizione teatrale siciliana
precedente?
Angelo Musco nasce a Catania in un quartiere popolare il 18
dicembre 1871. Sono anni in cui la città etnea si presenta come
un importante centro culturale,4 in cui Musco si sperimenta nello
stesso tempo come manovratore di marionette,
canzonettista, dicitore, macchinista, buffo, amoroso, generico e
3
SARAH MUSCARA’ e ENZO ZAPPULLA, ( a cura di), Angelo Musco …, cit., pp. 225
ss.; cfr. nota 20 del capitolo introduttivo.
4
Catania si presenta come una città in pieno fermento culturale. Sono gli anni in cui si
diffonde la musica di Bellini e Pacini. Dal punto di vista letterario sono emergenti Verga,
Capuana e De Roberto. Cfr. SARAH e ENZO ZAPPULLA, Musco…, cit.,p.40;GIUSEPPE
GIARRIZZO, Catania al tempo di Musco, in ENZO ZAPPULLA ( a cura di ), Angelo
Musco …, cit., pp. 23 ss.
13
ballerino5.
Le due linee portanti della sua formazione attoriale furono il
teatro di varietà da una parte, e il teatro naturalista siciliano che
nello stile di Giovanni Grasso trovava il suo interprete
emblematico.
Musco riallacciandosi in maniera non del tutto consapevole alla
grande tradizione comica della commedia dell’arte, coglie dal
varietà la possibilità di crearsi un carattere e un tipo personali,
cioè un embrione drammaturgico d’attore “come prassi fattiva di
fare teatro” capace di unire realtà e astrazione, individualità e
spersonalizzazione6.
E’ proprio la sua esperienza di attore di varietà a consentirgli di
avvicinarsi ad un teatro italiano ed europeo più complesso, come
fu per esempio quello di Pirandello.
La sua cultura di siciliano o la tradizione naturalista che in
Sicilia tendeva ad enfatizzare l’aspetto farsesco e patetico non
5
SARAH MUSCARA’ e ENZO ZAPPULLA, ( a cura di ), Angelo Musco …, cit.; ID.
Musco… , cit., p. 41;
6
ENZO ZAPPULLA ( a cura di) Angelo Musco …, cit., p. 31; S. e E: ZAPPULLA, Angelo
Musco. Il gesto…, cit.;
14
sarebbero state sufficienti a promuovere un tale incontro.
Fu invece la complessità della strumentazione attoriale fornitagli
dal varietà a permettergli di interpretare il teatro e la multiforme
realtà dei personaggi pirandelliani e in particolare il protagonista
del Berretto a sonagli.7
Il loro rapporto, tuttavia, non fu senza contrasti. Riguardo
all’allestimento del Berretto, Pirandello, benché
avesse
dichiarato di accogliere tagli e modifiche, gradualmente,
assunse un ruolo di tipo registico8, indicando, nel dettaglio,
aspetti precisi della messa in scena e apportando nuovi tocchi alla
caratterizzazione del protagonista: <<Mi raccomando poi per la
truccatura di Musco. Parrucca con zazzera e fiaccagote
(corciolani) basette usu mulinciani… Gesti, andatura, modo di
parlare pazzeschi>> D’altra parte, Musco suggeriva tagli e
modifiche al testo giudicato troppo “prolisso” e incompatibile
7
SILVANA MONTI, Angelo Musco e il teatro del suo tempo, in ENZO ZAPPULLA ( a
cura di ), Angelo Musco…, cit., pp. 27-36;
8
Su Pirandello regista cfr : ALESSANDRO D’AMICO e ALESSANDRO TINTERRI,
Pirandello capocomico. La compagnia del Teatro d’ Arte di Roma 1925-1928, Sellerio,
PALERMO 1987; RENATO TOMASINO, Il lavoro con l’attore nelle regie di Pirandello,
in <<Pirandello e il teatro>>, AA.VV., Mursia, AGRIGENTO, 1-4 dicembre 1992, pp.
131-155;
15
con la sua arte recitativa che richiedeva uno spazio personale di
invenzione scenica.
Martoglio stesso informava Pirandello di difficoltà insuperabili
nel dialogo, costringendoli a interrompere le prove10.
Nella risposta di Pirandello a Martoglio riguardante la
smontatura11 di Musco e di tutta la compagnia è evidente la sua
fatica di far comprendere all’attore la sua particolare concezione
del fare teatro : <<Se manca in essa [la commedia]
quello
SPIRITO ANIMATORE che deve sostener la parte e le parti,
sicuro che non vi resta altro che una sovrabbondanza di parole e
parole e parole! Le parole bisogna animarle perché vivano; ed è
l’anima che è mancata al Musco e agli altri. Mancando l’anima si
son trovati in bocca l’imbroglio di discorsi lunghi, incisi, da
portare alla fine senza saper come!>>.
10
La lettera di Martoglio è perduta, ma se ne desume il contenuto dalla risposta di
Pirandello. Cfr: LUIGI PIRANDELLO, Maschere…, cit., p. 624;
11
Idem p. 625: <<… temo che tanto tu, quanto Musco e tutta la compagnia, siate in un
momento di smontatura colossale. Sono evidentissimi nella lettera i segni della tua morbosa
impressoinabilità. Il più smontato di tutti, in questo momento, dev’essere il Musco, o
perché si sente male , o perché stanco, o perché messo su , o perché troppo impressionato
dagli umori del pubblico, o per altre ragioni che non so, è venuto l’altro jeri alle prove
d’insieme, ha comunicato a te e agli altri la sua smontatura.>>.
16
Ciò che a Pirandello interessava comunicare era un concezione
del dialogo teatrale <<non fatto mai di parole, ma di mosse
d’anima>>12
.
Musco da parte sua scriveva a Martoglio : <<Io non ho mai
detto che ’A Birritta cu’ e cianciani abbia delle scene o dei
discorsi che non vanno, anzi io per primo ho detto : che è un
capolavoro, come sono opere d’arte tutte quelle di Pirandello ,
ma ‘A birritta purtroppo bisogna tagliare, e per me, è un gran
dispiacere perchè sono tutte belle parole ed è interessante;
insomma tutta roba buona ma la commedia dev’essere scaricata e
deve essere scaricata dallo stesso autore perchè a me fa pena
tagliare>>.13
E’ evidente che la concezione dell’attore da parte di Pirandello
non coincideva completamente con l’interpretazione e l’idea di
attore di Angelo Musco. Martoglio si trovò, dunque, a dover
mediare tra due personalità complesse e molte diverse tra loro
12
L a lettera è quella dell’ 11-3-1917. Cfr., S. ZAPPULLA MUSCARA’ (a cura di),
Pirandello …, cit., pp. 84 – 85; LUIGI PIRANDELLO, Maschere…, cit., pp. 619–632;
13
cfr., nota precedente .
17
. Il maestro siciliano, ebbe nei confronti del teatro il dubbio di
fondo di non riuscire ad esprimere l’intera pienezza delle sue
creazioni, coinvolgendo in questo atteggiamento di riflessione
critica,
anche la figura dell’attore, chiamato in prima persona ad
materializzare
personaggio.
l’ispirazione originaria e più genuina del
Per
Pirandello,
comunque,
l’identificazione
completa attore-personaggio risulterà impossibile. Questa sua
problematicità verso il teatro in genere, si acuiva nei confronti di
quello dialettale .
Quest’ultimo, infatti, gli pareva troppo legato ad un contesto
culturale e linguistico, che impediva un livello di comprensione e
di comunicazione più ampio.
Tuttavia,
Pirandello
giustificava
il
ricorso
al
dialetto,
riconoscendogli, addirittura, dignità artistica quando la natura dei
sentimenti dei personaggi è : <<talmente radicata nella propria
terra, di cui egli si fa voce, che gli parrebbe disadatto o
18
incoerente un altro mezzo di comunicazione che non fosse
l’espressione dialettale>>14.
La tensione tra attore e personaggio è molto ben espressa nella
poetica presente nell’opera Sei personaggi in cerca di autore, in
cui è evidente l’incomprensione e l’inadeguatezza degli Attori
ad esprimere il desiderio di vita dei Personaggi. E’ proprio in
questo sforzo di comunicazione profonda tra creazione artistica
ed interpretazione attorica che Pirandello propone l’Autore, cioè
se stesso, come l’intermediario, come colui che si relaziona
anche alle realtà concrete della scena con gli stessi processi
mentali dello scrittore.
Cosicchè la presenza sulla scena
dell’autore Pirandello si giustifica nell’intima esigenza di
rendere la rappresentazione
teatrale il più intimamente
rispondente ai personaggi, così come la sua intuizione creativa li
aveva connotati. Ciò fu particolarmente
evidente nel suo
concreto modo di lavorare con gli attori durante il successivo
14
LUIGI PIRANDELLO, Teatro siciliano?, in <<Rivista popolare di politica, lettere e
scienze sociali>>, 31 gennaio 1909, anche in ID., Saggi, poesie, scritti vari, a cura di
Manlio Lo Vecchio Musti, Mondadori, MILANO, 1973, pp. 1205-1208. Circa il teatro
dialettale siciliano mi limito a rinviare a SANDRO D’AMICO, Itinerario di…, op. cit.;
19
periodo del Teatro d’Arte.15
E comunque, sin dal rapporto con Angelo Musco, la sua
peculiare esigenza di autore si fece presente nei frequenti
interventi, sia per lettera che alle prove, sul modo di intendere il
personaggio di Ciampa. L’attore siciliano sentiva la commedia
non del tutto adatta a sé. Soprattutto le lunghe battute filosoficobuffonesche che pronuncia Ciampa nel primo atto e che sono alla
base di questo personaggio creavano un certa perplessità in
Musco. Ciampa era un personaggio che portava in teatro il
mondo tematico pirandelliano e a Musco era difficile adattarsi,
nonostante i parziali successi. Doveva ogni volta confrontarsi con
un “senso della misura” e con uno sforzo di scavo interiore,
richiesti dalla compresenza nel personaggio di diversi stati
PIETRO MAZZAMUTO L’arrovello …, cit.; SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, (a cura
di), Pirandello dialettale , op. cit.
15
Per quanto riguarda l’esperienza di Pirandello nel Teatro d’Arte rimando al capitolo su
Paolo Stoppa. Per quel che corcerne il suo metodo di lavoro cfr., A.TINTERRI, Pirandello
regista del suo teatro: 1925-1928, in <<Quaderni di teatro>>, novembre,1986; anche C.
MELDOLESI, Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate dal teatro italiano, Bulzoni,
ROMA, 1993, p. 152:<<Si guardi a come [Pirandello] provava: il primo giorno leggeva il
testo agli attori con vertiginosa irruenza. Assumeva allora-a detta di Niccodemi- un
atteggiamento visionario, quasi fosse posseduto dai suoi fantasmi, fino a dare in
escandescenze; poi, nei dieci giorni delle prove, si comportava come se avesse di fronte dei
personaggi in via di materializzazione, non degli attori; e si irritava se uno di loro non
sapeva già la parte a memoria; e faceva con questo e quello dei colloqui personali, se la
identificazione col personaggio non era ancora credibile>>.
20
d’animo, che richiedevano uno studio preliminare, prassi
quest’ultima, certamente, non alla base del modo di “costruirsi la
parte” di Musco16.
Poi c’era da tener presente il rapporto con il pubblico che si
aspettava da Musco rappresentazioni di un certo tipo.
A Martoglio e a Musco, il personaggio di Ciampa sembrava
artificioso. Le preferenze dell’attore catanese andavano verso
personaggi stereotipati, verso immagini convenzionali dei
caratteri
teatrali siciliani adatti alla recitazione farsesca e
satirica17.
Ciampa invece
si sottraeva a tali stereotipi per la non
convenzionalità del suo atteggiamento verso il matrimonio e le
donne, per la scelta di non ricorrere alla violenza, soprattutto per
il suo filosofeggiare sugli uomini e i comportamenti18. A
Pirandello, da parte sua, Il Berretto a sonagli appariva come
16
Pirandello definisce la sua “ un’arte riflessiva “ cfr. A. D’AMICO, Maschere …, cit., p.
629; LUIGI PIRANDELLO, Pensaci Giacomino…, cit., pp. LXXII-LXXIII.
17
18
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Pirandello…, cit., p. 84;
LUIGI PIRANDELLO , Pensaci Giacomino…, cit., p. LXXII;
21
opera
riuscita
non
solo
poeticamente
ma
anche
drammaturgicamente : << possibile che io con il mio senso del
teatro, con il mio senso di misura, mi sia ingannato, smarrito,
perduto nello scrivere una commedia, non costruita
affannosamete e non faticosamente, ma venuta di getto in meno
di sette giorni: nata e non fatta>>.19
Si può dire con Alessandro D’Amico che <<le incertezze e i
continui rinvii a proposito della Birritta rivelano ancora una volta
il dilemma tra Musco interprete e Musco farsante
e i
condizionamenti provenienti dal pubblico e dai proprietari di
teatro>>20.
Le incertezze e i rinvii furono il preludio
della
rottura fra Musco e Pirandello, anche se, alla fine, la Birritta
andò in scena, il 27 giugno del 1917.
Pirandello, riguardo al buon esito dell’opera puntava molto
sull’interpretazione di Musco e soprattutto per il finale del
secondo atto gli raccomandava, tramite Martoglio <<una
19
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Pirandello …, cit., p.83.
L. PIRANDELLO, Maschere…, cit., p. 626; SARAH ZAPPULLA MUSCARA’,
Pirandello …, cit., p. 83;
20
22
comicità indiavolata, come la situazione gliene offre il destro. Se
questo finale, che è veramente di voltata e del tutto imprevisto,
ha il suo pieno effetto,
potrà darsi che, contro ogni nostra
previsione, il lavoro attacchi. Tutto sta che Musco trovi subito la
linea grottesca del tipo che è veramente caratteristico, e, nel suo
fondo, arcipieno di tragica umanità >>21.
Le preoccupazioni di Pirandello sull’effettivo successo dell’opera
si rivelarono ben presto esatte dal momento che Il Berretto a
sonagli non ebbe all’inizio una risonanza quale l’opera meritava
e le recensioni, spesso anonime sottolinearono soprattutto la
bravura di Musco generalmente presentato come il salvatore della
serata.
Anche se Pirandello, scrivendo al figlio prigioniero in guerra,
dice: <<L’altra sera, intanto, Musco
ha dato con clamoroso
successo qua al Nazionale un’altra mia commedia Il berretto a
sonagli e darà tra poco anche La giara in un atto, tratta dalla
21
L. PIRANDELLO , Maschere…, cit., p. 624;
23
novella omonima>>22. Il giudizio quasi unanime della critica, in
seguito alla prima del Berretto a sonagli fu dunque
l’apprezzamento dell’interpretazione di Musco, anche se non
mancarono perplessità sulla struttura di fondo dell’opera.
Mario Corsi in un articolo della Tribuna del 29 giugno 1917
scrive: <<…Il pubblico a più riprese ne rimase sbalestrato, non
riuscendo sempre a collegare i fatti con le idee ed a seguire
l’autore nel laberinto delle sue astrazioni filosofiche: ma poi la
vivace sottile arguzia di certi ragionamenti, e soprattutto la
irresistibile comicità e forza drammatica di Angelo Musco
finivano per riprenderlo…>>23.
Eugenio Checchi da parte sua affermava
che <<[…]il
ragionamento,…incespica alquanto; ma è svolto con tanta arguta
sottigliezza, con immagini così piacevolmente paradossali e
condite di tanto umorismo, di quell’umorismo in cui Luigi
22
La lettera è quella del 29 giugno 1917 in LUIGI PIRANDELLO, Lettere al figlio
Stefano, in <<SIPARIO>> n. 80, dic. 1952, p. 32 ; cfr anche L: PIRANDELLO,
Maschere…, cit., pp. 626- 627;
23
S. ZAPPULLA MUSCARA’ , Odissea…, cit., p. 464; MARIO CORSI, Le novità al
Nazionale . <<Il berretto a sonagli>> di Luigi Pirandello, << La Tribuna>>, ROMA, 29
giugno 1917;
24
Pirandello è maestro, che il pubblico casca nella rete... Di quelli
applausi una parte andava di diritto ad Angelo Musco che seppe
fondere insieme, con bella efficacia, il comico ed il drammatico
del complesso e un pò ingarbugliato carattere del protagonista.
Ebbe anche lui un successo grandissimo.>>24
Il Vice del “Messaggero” confermava il successo di Musco che
<<…l’ha interpretata [la figura di Don Nociu] con efficacia
grandissima. Assai ben truccato l’attore impareggiabile ha
trovato e reso felicemente spunti gustosissimi di comicità al
prim’atto; e con versatilità impressionante ha colorito l’angoscia
estrema del marito tradito al second’atto.>>25
Da questi giudizi risulta chiaro che la fortuna dell’opera sin
dall’inizio fu legata al suo primo e importante interprete Angelo
Musco che la conservò nel suo repertorio fino alla morte.27
24
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Odissea…, cit., 465; Tom ( EUGENIO CHECCHI),
<< Il berretto a sonagli >> di Luigi Pirandello al Nazionale, <<Il Giornale d’ Italia>>,
ROMA, 29 giugno 1917;
25
Idem p. 465 –466; VICE, Le novità al Nazionale. << Il berretto a sonagli >> di Luigi
Pirandello, << Il Messaggero >>, ROMA, 29 giugno 1917;
27
SARAH e ENZO ZAPPULLA , Angelo Musco …, cit., Appendice : dal calendario sugli
spettacoli di Musco risultano 47 messe in scena del Berretto a sonagli, l’ultima delle quali
risale al 26 marzo 1930, Cagliari, Teatro Margherita.
25
Concludendo, si possono esaminare alcuni interessanti giudizi
sull’arte recitativa di Musco, <<che appare con tutte le
diseguaglianze e le
impulsività
di un uomo ricco di vita
interiore che in ogni interpretazione erompe selvaggiamente in
manifestazioni di una plasticità sorprendente.>>28 La sua arte sta
proprio nell’avere innestato <<sul vecchio tronco della mimica
grottesca un ramo della mimica tragica>>29, sicchè <<con la
stessa ebbra cecità con la quale si abbandonava all’estro comico
poteva affondare nell’angoscia e disperazione>>30, o per dirla
con Silvio D’Amico <<…quando, umorista vero, attraverso le
note della farsa, egli attinge la tragedia, il pubblico grosso può
ben continuare a ridere: l’intelligenza trema.>>31 .
28
IDEM, P. 225; A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, Einaudi, TORINO, 1950.
E. ROMAGNOLI, La gloria di Musco, <<Il Tempo>>, ROMA, 29 nov. 1924.
30
E: CONTINI, L’arte di Musco, <<Il Messaggero>>, ROMA, 9 ott. 1937.
31
SARAH e ENZO ZAPPULLA, Angelo Musco…, cit., pp. 225; SILVIO D’AMICO,
Tramonto…, cit., pp. 111 – 115.
29
26
Gli altri interpreti de
Il berretto a sonagli
Se il rapporto Musco-Pirandello fu travagliato ma non
improduttivo, meno felice fu quello con un altro interprete del
teatro siciliano: Giovanni Grasso, più di Musco legato al filone
dialettale popolare. Le sue
caratterizzazioni pittoresche
riflettevano gli aspetti più accesi e truculenti della vita siciliana.
Il suo stile ed il suo repertorio si inserivano in una stagione del
teatro dialettale isolano
che affondava le sue radici nella
tradizione dei drammi patetico-sentimentali, sulla presenza di
canovacci a cui mancava una approfondita ed organica rifinitura
scenica e drammatica32. Sarà Martoglio a cercare di inserire
Grasso all’interno di un programma culturale di riordino del
teatro siciliano alla cui notorietà in ambito nazionale e
sovranazionale poco si accordava una certa qual “arte primitiva”
di Grasso. Martoglio infatti parlando di Grasso affermava: <<Il
suo specchio è la natura. Ecco spiegato il fenomeno.
32
ALFREDO BARBINA, Teatro verista siciliano, BOLOGNA 1970, p. 11;
27
Egli studia, analizza e assimila meravigliosamente: ha una grande
potenza d’intuito e uno spirito d’imitazione straordinario>>,
riconoscendo il suo grande talento ma al tempo stesso intuendo
la necessità di un cammino verso una più organica e disciplinata
formazione attoriale33. Fatto sta che l’incontro di Grasso con
l’opera di Pirandello si verifica nel 1919 proprio come interprete
del Berretto a sonagli34.
Ma se l’incontro Musco-Pirandello,
come abbiamo già detto, non fu improduttivo, sebbene non privo
di contraddizioni, quello dell’autore agrigentino con Grasso fu
senz’altro episodico. Il pathos ed una certa arte primitiva e poco
controllata allontanavano l’attore dall’arte “riflessiva“ di
Pirandello. Alla richiesta di Grasso di sfoltire nel Berretto a
sonagli, le scene in cui non compariva il protagonista, Pirandello
rispondeva negativamente. <<Le osservazioni di Grasso>>
-
scrisse Pirandello a Martoglio- <<se possono avere qualche
valore, riguardo al suo temperamento artistico a cui si confanno
33
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’ ENZO ZAPPULLA, Giovanni Grasso il più grande
attore tragico del mondo, CATANIA 1995, p. 42.
28
più gli atti che le parole, mi pare che non ne abbiano nessuno
riguardo al lavoro stesso, come opera d’arte. Non mi pare affatto
che ci siano lungaggini. L’azione
e i discorsi degli altri
personaggi son tutti necessari, come quelli del protagonista>>. E
più in là nella lettera definisce la propria <<un’arte riflessiva >>,
poco interpretabile
dal
<<temperamento>> di Grasso
considerato <<troppo primitivo e bestiale>>35. Il forte legame di
Grasso con un repertorio precostituito fatto spesso di drammi
tratti direttamente dalla cronaca locale, oppure di opere storiche
della drammaturgia siciliana ormai datate come I Mafiusi di la
Vicaria di Palermo, di Gaspare Mosca e Giuseppe Rizzotto e La
zolfara di Giuseppe Giusti Sinopoli,
gli rendevano difficile
l’adesione ad un teatro più controllato e complesso quale era
quello che gli proponeva Pirandello36.
La rappresentazione del Berretto a sonagli di Giovanni Grasso
34
La prima del Berretto a sonagli di Giovanni Grasso ebbe luogo a Napoli il 4 aprile 1919 e
a Roma il 27 novembre 1919; cfr, LUIGI PIRANDELLO , Maschere…, cit., p. 630, vedere
nota 1.
35
Idem p. 629; la lettera a Martoglio è del 4 feb. 1917 in SARAH ZAPPULLA,
Pirandello…, cit., p. 73;
36
S. e E. ZAPPULLA, Giovanni Grasso …, cit., p. 33; A. BARBINA, (a cura di),
Teatro….,cit., pp. 5-26.
29
andò in scena a Napoli il 4 aprile 1919 e a Roma il 27 novembre
di quello stesso anno. L’ultima ripresa, all’Eliseo di Roma risale
al 1930.
A quest’ultima rappresentazione si riferiva Silvio D’Amico
considerandola <<una sua rauca ma, nella scena finale, orgiastica
rappresentazione del Berretto a sonagli>>37. Le precedenti
rappresentazioni ottennero un notevole successo, tra i giudizi
critici più interessanti ricordiamo quello di Saverio Procida che
così affermava: <<Il Grasso fu iersera attore portentoso, d’una
immediatezza di trasmissione che lo rende partecipe del gran
successo, poiché di quel tipo [don Nociu], per due ore, visse e
fece vivere il pubblico >>38.
Sulla scia di Grasso senior si può collocare il cugino minore
Giovanni Grasso junior che si innestò sulla stessa tradizione
interpretativa del primo dalla cui imitazione non si
seppe del tutto sottrarre, pur mostrando un proprio talento
37
SILVIO D’AMICO, Cronache del teatro, II, BARI 1964, p. 107; L. PIRANDELLO,
Maschere …,cit., pp. 629 – 630;
38
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Odissea…, cit., p. 476; SAVERIO PROCIDA,
Teatri e Concerti: << Il berretto a sonagli>> di Luigi Pirandello al Sannazaro, <<Il
Mezzogiorno>>, NAPOLI, 29 marzo 1919;
30
naturale improntato a passionalità e sensilità artistica39.
Anche lui fu
Pirandello,
interprete del Berretto a sonagli di Luigi
riscuotendo favorevoli giudizi come dimostrano
queste recensioni: <<…il Grasso junior ha un temperamento
diverso da quello del Grasso senior; “vigoroso” ma
non
“impetuoso” negli eccessi di quel “calore siciliano” ch’egli,
invece, sa utilizzare in una recitazione molto moderna di una
naturalezza semplice e spontanea. Studia il suo personaggio con
amore, lo sa penetrare con sottile acume psicologico e sa
comporre il tipo con evidenza impeccabile. Ed appunto nelle
commedie di carattere, come in genere Berretto a sonagli, la sua
interpretazione può meglio eccellere.>>40
Un altro interprete significativo della schiera dei “siciliani” fu
Tommaso Marcellini anch’egli partecipe della generazione degli
attori che fondarono, con Martoglio, il teatro siciliano: fu primo
attore nella terza <<Compagnia Drammatica Dialettale
39
GIOVANNI GRASSO IUNJOR in <<Enciclopedia dello spettacolo>>, ROMA 1960,
pp. 1643 – 1646.
40
SARAH ZAPPULLA MUSCARA’, Odissea…, cit., p. 487; SAVERIO PROCIDA,
Grasso al Mercadante, <<Il Mezzogiorno>>, NAPOLI, 1 luglio 1923.
31
Siciliana>> del 190741. La sua interpretazione del Berretto a
sonagli si caratterizzò per un suo stile personale che lo distinsero
dalla <<caratteristica impetuosità del Grasso senior e dalla
magnifica buffoneria di Musco>>,
riuscendo ad imprimere
nella figura del protagonista, come sottolinea Silvio d’Amico,
<<un’arte abbastanza personale, fatta di delicatezze e di
sfumature rassegnate, piuttosto che di strazio urlante come quella
di Giovanni Grasso, o di grottesco come usa Musco.42>>
Concludendo si può affermare che la stagione dialettale siciliana
del Berretto a sonagli fu attraversata dai maggiori interpreti di
quella tradizione teatrale, rinnovata e orientata verso orizzonti
nazionali da Nino Martoglio. Questa
esperienza incise
profondamente nella fortuna e nella storia della Birritta che, dal
1918 al 1925 attraverso tre riedizioni successive, era intanto
giunta alla sua attuale e per certi aspetti definitiva versione in
lingua.
41
42
SARAH e ENZO ZAPPULLA , Musco…, cit., p. 45;
SILVIO D’AMICO, La vita del teatro, I, ROMA 1994 p. 531;
32
II capitolo
SALVO RANDONE INTERPRETE DE
IL BERRETTO A SONAGLI DI PIRANDELLO
33
La carriera artistica di Salvo Randone
Salvo Randone in sessant’anni di carriera interpretò il Berretto a
sonagli di Pirandello una sola volta, e nemmeno in teatro, ma
negli studi televisivi della Rai1. Il suo incontro, dunque, con
questa opera nacque in un contesto particolare e sebbene
episodico, per quel che può significare questo termine per un
attore come Randone che fu interprete pirandelliano per
eccellenza, fu un incontro importante. L’originalità, quindi, del
contesto nel quale nacque l’incontro di Randone con il Berretto a
sonagli, ne determinò alcune caratteristiche. Del resto la
mancanza del pubblico, che non influì direttamente sulla messa
in scena, mentre, viceversa la presenza delle telecamere, l’uso
delle luci, i primi piani, diedero a questa interpretazione del
Berretto a sonagli una peculiarità evidente. Inoltre l’assenza di
una rappresentazione esclusivamente teatrale e la mancanza di
repliche ne hanno condizionato la risonanza di critica e di
1
L’interpretazione di Randone, nel ruolo di Ciampa, del Berretto a sonagli di Pirandello, si
verificò negli studi della RAI di Roma il 25 settembre del 1970, per la regia di Edmo
34
pubblico, determinando il vuoto pressoché totale di recensioni e
di documenti. Ma nonostante ciò, l’interpretazione del Berretto a
sonagli di Randone si configura come un documento interessante
della vitalità artistica di quest’opera, considerando che tutta la
“consapevolezza pirandelliana” dell’attore siciliano confluì in
questa interpretazione, tanto che per parlare di essa è necessario
parlare di Randone interprete pirandelliano tout court. Non fu,
dunque, per caso che Randone scelse di recitare nel Berretto a
sonagli. Quest’opera si prestava ad esprimere un suo peculiare
mondo interiore, che in lui diventava metodo di vita e di lavoro.
Salvo Randone, infatti, apparteneva chiaramente alla categoria di
attori che avevano fatto del teatro non il luogo della
rappresentazione, ma un luogo di autenticità in cui arte e vita
erano chiamate ad arricchirsi e a sostanziarsi a vicenda.
Più che recitare, Randone amava vivere sul palcoscenico la
storia dei suoi protagonisti, non con il metodo
Fenoglio. Gli altri interpreti furono: Anita Laurenzi (Beatrice Fiorica), Wanda Capodaglio
(Assunta La Bella), Stefano Satta Flores (Fifì La Bella), Silvio Spaccesi (Il Delegato
Spanò), Elsa Merlini (La Saracena), Italia Marchesini (Fana), Olimpia Carlisi (Nina
Ciampa). Scene di Lucio Lucentini, luci di Guido Caracciolo, costumi di Vera Marzot,
35
dell’immedesimazione, ma con quello dell’approfondimento,
grazie al quale tutto ciò che caratterizzava le inquietitudini e le
crisi dei personaggi emergeva con i tempi ed i modi
della
quotidianità e non con quelli della rappresentazione.
<<Scelto un personaggio, Randone se ne appropriava, gli
infondeva i suoi umori, le dolcezze, gli isterismi, la verità, la
dialettica, certe illuminanti interiorità che insieme, diventavano il
suo modo di essere sulla scena, che favoriscono i toni, le note
diverse, le pause lunghe e, a volte, disperate, immense; le
smorfie, l’ironia, il distacco che arricchiscono il personaggio di
tutte quelle tenerezze o scontrosità, indolenze o scontentezze,
scetticismi o pigrizia, dubbi o sfiducia; di tutte quelle ambiguità
che lo rendevano uomo tra uomini e, per questo, vicino a un
pubblico che, vien giù dal palcoscenico quando Randone vi
presta la sua arte>>2.
Il repertorio di Randone può essere diviso in tre categorie: i
assistente alla regia: Olga Bevacqua, assistente di studio: Piero Bartocci e arredamento di
Alberico Badaloni.
2
ANDREA BISICCHIA, Salvo Randone: l’arte dell’attore, in E. Giliberti (a cura di),
Salvo Randone le parole del silenzio, SIRACUSA 1991, p. 9.
36
classici greci3, i classici europei4,
la drammaturgia
contemporanea straniera5 e quella italiana.6
Il suo, dunque, si presentava come un repertorio in cui poté
esprimere la sua doppia natura di attore: quella classica e quella
moderna, fino alla creazione
di uno stile personale che lo
preservò da facili adesioni ad esperienze artistiche che non lo
coinvolgevano, tanto che Andrea Bisicchia afferma: <<Randone
non si accorge né della riforma apportata dalla regia, né dello
scoppio delle Avanguardie verso la fine degli anni sessanta. Per
lui non esistono termini come: “laboratorio”, “training”; quelli
privilegiati erano ancora: “carisma”, “garanzia”, “mestiere”7>>.
Ciò che emerge dalla recitazione di Randone è uno stile
personale che l’attore siciliano volle salvaguardare anche di
fronte ad esperienze teatrali che, pur vantaggiose dal punto di
vista economico e della sicurezza, gli si presentavano come non
3
L’ Orestiade del 1942 e del 1948, l’Antigone del 50, 53, e 54, l’Elettra del 51, l’ Edipo a
Colono, le Trachinie del 52, l’ Ifigenia in Aulide del 53, il Filottete del 59, Edipo re del 58;
4
Shakespeare, Tirso da Molina, Goethe, Schiller;
5
O’ Neil, Gorkij, Claudel, Anderson, Ibsen, Zola, Beque, Eliot;
6
Rovetta, Giacosa, D’Annunzio, Verga, Pirandello, Rosso di San Secondo, Simoni, Di
Giacomo, fino alle novtà di Ugo Betti, Stefano Landi, Diego Fabbri, Cesare Vico Ludovici,
Curzio Malaparte, Ezio d’Errico, Cesare Giulio Viola, Franco Brusati.
7
ANDREA BISICCHIA, Salvo Randone…, cit., pp. 10-11;
37
del tutto confacenti alla sua persona.
Emblematico fu il suo rapporto con il Piccolo di Milano diretto
da Strehler. A questo proposito Randone dice: <<…Sì perché i
Teatri Stabili che questi signori amministrano, sono tutti
abbondantemente finanziati dallo Stato, e cioè da tutti noi, con le
nostre tasse. Lì, nessuno rischia nulla. Se il teatro resta vuoto,
che importa? C’è lo Stato che paga. Importante per loro è fare
cultura. Si riempiono tutti la bocca, di questa parola così grossa e
arcana: uomini politici, direttori artistici, registi; pure gli attori,
che oggi sono tutti colti, impegnati anche loro a fare cultura e
sempre meno a fare teatro, quello vero, che la gente vorrebbe
vedere.
Lo facciamo noi, il teatro che la gente si ostina ancora a volere
vedere: noi MODESTI ARTIGIANI DEL TEATRO, senza i
soldi dello Stato, rischiando e pagando spesso di persona>>8. Ed
ancora, parlando direttamente di Strehler e del suo rapporto con
il “moderno” modo di concepire la regia, Randone afferma: <<Di
Strehler ho avuto ed ho grande stima. Abbiamo fatto insieme
38
ottime cose, grazie
anche alla sua
intelligenza, sensibilità,
cultura… . Poi è diventato un divo, e tutto è cambiato nei nostri
rapporti.
Quelli che non mi vanno, nello Strehler di oggi, sono i suoi
metodi di lavoro. Tutti marionette nelle sue mani come con
Fellini
nel cinema, statue
senz’anime; e lui, il grande
“mattatore”, che strilla, gigioneggia, modella o cerca di
modellare attori e personaggi come fossero creta. Le prove, per
lui, sono anzitutto una grande esibizione personale… . Per me, la
prima grande virtù di un uomo di spettacolo attore o regista che
sia, è l’umiltà. Il divismo può andar bene per il cinema, non per il
teatro. Ma se un mattatore deve esserci anche in teatro, dico io, è
giusto che sia l’attore, non il regista: è lui che rischia di persona,
nel confronto diretto con il pubblico, sera per sera, non chi sta
dietro le quinte; è lui che dà l’anima, se ce l’ha, se non
gliel’hanno tolta. O vorrebbe togliermi anche l’anima, il grande
regista Strehler?>>9
8
9
G. SAGLIMBENI, Salvo Randone un vita a teatro, MESSINA 1991, p.118.
Idem, p. 120-121.
39
Insomma
Randone
mostra
una
certa
paura
di
essere
“ingabbiato”10. Più che la dipendenza da scuole, l’attore nella sua
arte del dire, immetteva un lavoro capillare di studio lessicale e
linguistico, con la volontà di “umanizzare” tutto, inserendo nella
recitazione l’autenticità della vita. L’arte di Randone e la resa
interpretativa dei personaggi era caratterizzata da uno studio
anche linguistico molto minuzioso. Non esitava a consultare
lessici e dizionari sul significato di un termine o di un concetto e
quando studiava, non giungeva mai direttamente al processo
mnemonico, ma si creava uno spazio proprio per l’analisi del
testo suddividendolo per brani. Sempre riguardo al testo, prima di
esaminarne tutte le possibili accezioni, ne sviscerava la
composizione letterale e quindi fonica. Aggettivi, sostantivi e
verbi erano studiati sin nelle minime sfumature attraverso una
riscrittura cadenzata da pause e dal ritmo del respiro11. <<Chi ha
potuto ascoltare qualche sua lettura casuale, sicuramente ha
10
11
A. BISICCHIA, Salvo Randone:…, cit., p. 11;
ERALDO MISCIA, Trent’anni a teatro con Salvo Randone, ROMA 1957, pp. 210-215.
40
notato che un testo sulle sue labbra assume un altro valore: si
carica di significati e di segreti la prosa più povera. Se poi, chi
ascolta, conosce il testo, questo all’improvviso gli si rivela
completamente nuovo: le parole sono le stesse, ma hanno una
nuova
dimensione
e
soprattutto
una
ben
maggiore
profondità.>>12
Randone e Pirandello
Questo lavoro di approfondimento e di rifinitura si accordava
splendidamente con il teatro di Pirandello che rompeva con le
tradizioni e gli schemi della commedia borghese, scavando
nell’animo umano, “facendo discutere e arrabbiare”.13
Randone parlando di Pirandello diceva: <<[…]Io non mi
considero affatto il depositario del Verbo pirandelliano. E’ un
autore che sento particolarmente, e non soltanto per una
questione di corregionalità>>14.
12
Idem p. 211-212;
GAETANO SAGLIMBENI, Salvo Randone…,cit., p. 63; Sul concetto di borghese cfr.
LEONARDO SCIASCIA, Pirandello e la Sicilia, MILANO 1996, pp. 53-67.
14
Ivi, p. 133.
13
41
Randone aveva avuto il primo approccio con il teatro di
Pirandello nel 1938-39: Vestire gli ignudi, con la compagnia
Tòfano-Maltagliati e L’uomo la bestia e la virtù con quella di
Cominetti. Nel 1947, affrontò il teatro di Pirandello con una
compagnia propria in Sicilia. Due le commedie scelte: Il piacere
dell’onestà15 ed Enrico IV16, entrambe con la regia di Stefano
Landi (figlio di Pirandello)17, opere che l’attore conservò in
repertorio fino alla fine della sua carriera teatrale.
Randone, sin dall’inizio dovette confrontarsi con la già lunga
tradizione interpretativa pirandelliana, di cui i due maestri furono
Ruggeri
e Picasso18. L’attore siciliano, fin da giovanissimo
aveva avuto modo di lavorare con entrambi, dichiarando in
15
Questa opera fu composta tra l’ aprile ed il maggio del 1917 e la prima rappresentazione
ebbe luogo a Torino il 27 novembre 1917 con la compagnia di R. Ruggeri. Cfr. LUIGI
PIRANDELLO, Maschere nude, I, a cura di Alessandro D’Amico, MILANO 1986, p.
LVIII; per ulteriori indicazioni bibliografiche dai quotidiani italiani (1962-1990) cfr. C.
DONATI- A. T. OSSANI, Pirandello nel linguaggio della scena, RAVENNA 1992;
16
L’Enrico IV fu scritto nel settembre-novembre 1921 e la sua prima rappresentazione ebbe
luogo a Milano il 24 febbraio 1922, sempre ad opera di R. Ruggeri; cfr., L.
PIRANDELLO, Maschere…, cit., p. LXII; Salvo Randone, nella sua lunghissima carriera
teatrale ha interpretato l’Enrico IV in cinque differenti allestimenti: nel 1947 con la regia di
Stefano Landi, 1958 con la regia di Orazio Costa, 1964 con la regia di Josè Quaglio, 1974,
regia di Franco Enriquez, 1985, con la regia di Nello Rossatti , cfr.,LIDO GEDDA,
Recitare l’Enrico IV di Pirandello, ROMA-BARI 1993, p. 97.
17
GAETANO SAGLIMBENI, Salvo Randone …,cit., p. 56.
18
Salvo Randone lavorò nella Compagnia di Ruggero Ruggeri , che lo scelse, tra l’altro,
per un ruolo nel Goldoni e le sue sedici commedie, di Paolo Ferrari. L’incontro fu fruttuoso
per molti versi, ma Randone nonostante la grande ammirazione che nutriva per quel
42
seguito di avere individuato nel primo il proprio maestro.
Randone, comunque, mostrò subito di avere un suo particolare
modo di “ leggere e interpretare Pirandello”, che pur rifacendosi
alla tradizione di Ruggeri, venne segnalato dalla critica come
autonomo e originale. L’impostazione generale che l’attore
siracusano diede del personaggio di Enrico IV, si perfezionò
attraverso lo studio e le progressive riprese affinandolo, e
modificando anche alla luce della propria biografia alcuni tratti
per accentuarne altri.
Alcuni pareri critici sottolineano la “sicilianità” del personaggio
dell’attore, cogliendo nella conterraneità tra autore e attore quegli
elementi affini che hanno fatto di Randone il più grande
interprete del finto imperatore, dopo Ruggeri e forse, addirittura
più di quest’ultimo.19A questo proposito dice Massimo Dursi:
<<Anche Salvo Randone è siciliano e forse o certo per questo c
maestro, mostrò segni di autonomia e solo in seguito recuperò gli insegnamenti di Ruggeri.
Con la Compagnia di Picasso interpretò due lavori italiani: Il volo degli avvoltoi, Gli
scorpioni, di A. De Stefani e successivamente interpretò Legione straniera di Paolo Zappa
e Quota di volo di F. Wead. Cfr. E. MISCIA, Trent’anni…, cit., p. 44 e p. 48.
19
CARLO TERRON, <<La Notte>>, 21 maggio 1964: <<Più lo si ascolta e più ci si rende
conto che,oggi, Randone è l’unico in grado non dico di farci dimenticare, ché i prodigi non
si dimenticano, ma di sostituire – nei modi in cui le nuove generazioni possono testimoniare
la propria coscienza, cimentandola con l’opera che, forse, attinse le maggiori attitudini
43
ci pare tanto evidente ora la spontaneità del conflitto
pirandelliano liberato dall’ultimo sospetto di sofisma. Sofferenza
e sete di vivere: è la semplice radice, la comune origine dei
personaggi di questo teatro. Cercano di ingannarsi per sottrarsi a
tale bramosia che giunge agli estremi insostenibili, confinanti con
la morte: la luttuosa voluttà di vita della Sicilia.>>20
Ma soprattutto la caratteristica comune
riscontrabile negli
allestimenti dell’Enrico IV ed in generale in tutti gli allestimenti
pirandelliani dell’attore, è la centralità dell’interprete. Infatti le
testimonianze su questi spettacoli teatrali si focalizzano quasi
sempre sull’interpretazione di Randone21.
dell’arte pirandelliana–la lucida disperazione al color bianco, nitidamente precisata e
sovranamente contemplata dall’alto di una lirica ironia, di Ruggero Ruggeri. Randone se ne
stacca e ne diverge con una visione esistenzialistica della tragedia>>.
20
MASSIMO DURSI, <<Enrico IV>> di Pirandello, in <<Il Resto del Carlino>>, 21
marzo 1964; GIORGIO PROSPERI, Siciliano ed europeo l’<< Enrico IV >> di Randone
in << Il Tempo>>, ROMA 26 aprile 1964: <<Randone è un Enrico IV complesso,
istrionico e raziocinante, siciliano ed europeo. Nella follia ha una chiara componente
espressionistica, una accentuazione da maschera; quando ragiona ha la risentita cavillosità
sicula, di una lucidità straniata e sorprendente, quasi astratta. E codesta distaccata luce di
verità fa quasi più paura della maschera di follia>>. Cfr. anche L. GEDDA, Recitare…, cit,
p. 109; G. SAGLIMBENI, Salvo Randone…, cit., pp. 59-60.
21
B. SCHACHERL, L’ Enrico IV di Randone, in <<Rinascita>>, ROMA, 4 aprile 1964:
<<Non un regista autore, ma forse solo un nuovo grande attore è in grado di dar vita al
tremendo dibattito che sorregge il dramma: a patto che sappia porsi, di fronte ad esso, non
già dal punto di vista del personaggio, ma dell’autore stesso,…Ebbene, secondo me Salvo
Randone sa essere tutto questo, come forse nessuno prima di lui, e quasi che in lui, prima
che l’uomo, avesse preso corpo la creatura pirandelliana…Solo con lui avverti in fondo
quanto il teatro di Pirandello scavalchi la parola. Randone butta via, lucide e frenetiche, ma
in sé inespressive, le battutte del testo, quasi fossero scaglie di vernice sopra un nocciolo
44
L’incontro Randone Pirandello fu a tal punto felice che coinvolse
l’attore anche in una serie di registrazioni televisive tra cui le
preferite, Il piacere dell’onestà, e l’Enrico IV, e poi Tutto per
bene ed il Berretto a sonagli, oltre ad un “memorabile” Re Lear
di
Shakespeare, allestito epressamente per la televisione e
trasmesso in diretta 22.
Il berretto a sonagli televisivo di Salvo Randone
Il Berretto a sonagli fu dunque interpretato da Salvo Randone
per la televisione nel 1970. L’attore siciliano immise nel
personaggio di Ciampa la sua arte recitativa fatta di uno stile
essenziale, dimesso, lucidamente ironico, umano quasi
ben più profondo e diverso; e concentra tutta la sua attenzione, tutta la sua vita, su questo,
sui silenzi dove ronza il tarlo del pensiero esistenziale, sulla solitudine, sull’angoscia di
vivere.>>
22
G. SAGLIMBENI, Salvo Randone…, cit. p. 111
45
quotidiano, svelante dei moti più ambigui e profondi dell’animo
umano. Con il Martino Lori, protagonista di Tutto per bene,
il Ciampa di Randone ha in comune la stessa disperata
condizione dell’umiliato, che però vela un nascosto ribollire
interiore, che si intravede nei dimessi, ma ben scanditi riferimenti
alla sua condizione di scrivano dipendente, nella spietata ma
lucida, grottesca risata che lo salverà alla fine della tragedia.
Ciampa umiliato e consapevole sa che la moglie lo tradisce con
il principale ma sceglie il silenzio. A Ciampa basta che la moglie
del principale accetti di andare in manicomio perché tutti
sappiano che la sua denuncia è stata solo un gesto di follia. Follia
che sin dall’inizio della ripresa si configura come un elemento
chiave della figura di Beatrice che in questa interpretazione
appare particolarmente mossa, franta nei movimenti interiori ed
esteriori. 23
Interessante appare la regia televisiva di quest’opera. Essa si
colloca in una stagione caratterizzata da molti esperimenti di
avanguardia che aprono nuove forme di collaborazione tra
46
televisione e teatro24. In questa versione, possiamo individuare
alcune caratteristiche specifiche, che appaiono con maggiore
evidenza, soprattutto se confrontate con le altre due versioni
televisive del Berretto a sonagli interpretate da Eduardo e
Paolo Stoppa.25
Innanzitutto è esplicito l’uso del mezzo televisivo. Il regista
Edmo Fenoglio ne sottolinea il carattere, iniziando il video dallo
studio di regia, facendosi inquadrare mentre dà varie indicazioni
sulla inquadratura iniziale della prima scena.
Questa regia, inoltre, tende a sottolineare, con un gioco di luci, la
figura di Ciampa, interpretata da Randone, soprattutto nei
monologhi. Emblematico è quello dei pupi e delle tre corde, nel
quale la figura di Randone viene isolata ed evidenziata, con
l’oscuramento della scena circostante ed una illuminazione
localizzata sul viso dell’attore. Appare, inoltre, particolarmente
interessante il movimento della telecamera attorno alla figura di
23
G. SAGLIMBENI, SalvoRandone…,cit., pp. 135-136;
GIANFRANCO BETTETINI, (a cura di), Sipario!, Storia e modelli del teatro televisivo
in Italia, ROMA,1988; ANDREA BALZOLA-FRANCO PRONO, La nuova scena
elettronica, TORINO 1994.
25
Cfr. capitoli successivi;
24
47
Randone nella parte più sofferta del monologo finale.
Inoltre
Fenoglio
attraverso
movimenti
particolari
della
telecamera ed una gamma studiata di inquadrature con più
stacchi, che seguono non solo l’alternarsi del dialogo, ma anche
gli stati emotivi, ha
impresso uno stile personale alla
registrazione. Da sottolineare
che la scenografia di Lucio
Lucentini non esauriva all’interno del suo spazio l’azione degli
attori e le inquadrature delle riprese. Queste ultime, infatti,
inglobavano lo studio televisivo con tutti i suoi accessori,
sottolineando il carattere metatestuale della messa in scena. Ma è
soprattutto l’interpretazione che Randone fa di Ciampa ad
imprimere
all’intero
allestimento
una
determinata
svolta
interpretativa.
Il Ciampa televisivo di Randone si presenta fin dalla suo apparire
sulla scena, come un personaggio caratterizzato da una tensione
inquietante. La domanda di fondo è: Ciampa è cosciente o no
dell’adulterio della moglie? Randone nella sua interpretazione
sembra dare una risposta molto netta: il suo
Ciampa
sa
48
dell’adulterio. Se Eduardo sfuma i sentimenti e lascia spazio
all’incertezza, com’è tipico di molti suoi personaggi, Randone
lascia subito trasparire l’allusività di chi sa, l’inquietudine, il
ribollire interno per
la tragica situazione coniugale. Ma nel
Ciampa di Randone c’è anche una sottile rabbia per la sua
condizione sociale di dipendente, di uomo soggetto ad un
principale di cui deve subire anche la prepotenza dell’adulterio
con la moglie, pertanto, vèna di rabbia sottile, di ironia
consapevole e amara, gesti ed espressioni, tempi e modi della
recitazione. Intorno a questa domanda, nella quale sembrano
unificarsi il dramma personale e quello sociale di Ciampa, si
crea, come sottofondo, una costante allusività dei dialoghi. Anzi,
il tema dell’allusione è così evidentemente sottolineato
da
Randone, da costituire uno degli elementi che più caratterizzano
questo video, rispetto agli altri due, facendo risaltare, anche, in
modo peculiare, la fedeltà al testo pirandelliano. Come se il
siciliano Randone, più di Eduardo e di Stoppa, fosse riuscito ad
esprimere quel mondo del non detto, del non nominato, ma
49
presente ed operante, che è parte integrante del mondo siciliano
e pirandelliano. Tensione inquietante ed allusività, dunque,
entrano
nel
Ciampa
di
Randone
e
ne
caratterizzano
l’interpretazione.
Ingresso di Ciampa
Nella scena IV del I atto, Ciampa-Randone fa il suo ingresso.
Sulla scena trova Beatrice e Fifì. Già nell’entrata dimostra di
conoscere le dinamiche profonde dell’ambiente. Egli
saluta
Beatrice con tono basso e in modo scontato, i suoi movimenti
appaiono calibrati, appesantiti, informali, si muove nella scena
guardando altrove, senza rivolgersi direttamente,
nel saluto
riverente, a Beatrice, come se già avesse intuito ogni cosa, e
dovesse pertanto “esporsi” al falso rito di un dialogo prevedibile.
Ma fin dalla prima battuta che Beatrice rivolge a Ciampa, si
comincia a creare nell’allusività dei riferimenti, una forte
tensione.
Ed è proprio con l’accenno alla moglie di Ciampa, che cambia
l’inquadratura televisiva, passando da un piano generale della
50
scena, con i tre protagonisti, ad una angolazione più ristretta che
riprende Beatrice (Anita Laurenzi), di fronte a Ciampa che si
trova di spalle, in primo piano. A quelle parole Randone-Ciampa
cambia repentinamente l’espressione, testimoniata soprattutto dal
movimento del suo sguardo che, ora finalmente,
si posa
direttamente su Beatrice. A questo punto, l’inquadratura avanza
in primissimo piano verso la nuca di Randone, soffermandosi
con un movimento laterale sul suo profilo. Ed ecco che si rivela
sul suo viso il sospetto, i sottili movimenti degli occhi e della
bocca assecondano ed esprimono
il passaggio dall’iniziale
sorriso formale, all’amara constatazione della situazione. Infatti
alla fine della descrizione che Beatrice fa di “certe donne” vi è la
doppia domanda di Ciampa: <<Permette, signora? Lei ha
nominato anche mia moglie?>>. Randone scandisce la battuta,
con una pausa che sottolinea la piena comprensione dell’accusa
che la moglie del principale gli rivolge allusivamente. Il sospetto
di Ciampa, ormai diventa indagine e si trasforma nelle battute
successive in avvertimento. Ciampa sa, ha capito la strategia di
51
difesa di Beatrice, ed il Randone Ciampa, il siciliano Randone,
carica le sue battute di una rabbia repressa, allusiva, minacciosa,
quasi tempesta interna i cui echi trattenuti, ma non per questo
meno violenti, diventano maschera nel suo volto accigliato.
Siamo ormai nell’atmosfera tesa, inquietante del dialogo delle
tre corde.
Monologo delle tre corde e dei pupi
Questo monologo costituisce un momento centrale dell’intero
allestimento. Esso ci dà il parametro interpretativo di come è
stata organizzata la ripresa televisiva. Il monologo, infatti, inizia
con l’inquadratura in primissimo piano del viso di Randone,
illuminato da un solo faro, mentre l’ambiente circostante è
oscurato.
Dall’inquadratura iniziale, gradualmente, durante il monologo, la
telecamera si allontana, comprendendo anche Fifì e Beatrice, per
poi riavvicinarsi con lo stesso movimento in profondità sul primo
52
piano di Randone.
A questo punto, la sua
recitazione, che è molto complessa,
sembra concentrarsi in molteplici stati d’animo resi con grande
abilità. In questo monologo l’espressività del viso di Randone si
fa più marcata. Soprattutto nella descrizione delle tre corde egli
acquista un sorriso che diventa a tratti ghigno, in cui si rivela
quell’ironia sapiente, tutta pirandelliana, di chi ha macerato a
lungo una riflessione profonda e amaramente realistica sulla vita.
E’ come se, il regista concentrandosi con la telecamera su
Randone creasse una sottounità, in cui l’attore cambia la sua cifra
interpretativa, passando da una dimensione di relazione con gli
altri personaggi e più quotidiana, ad un Randone concentrato su
se stesso, sulla riflessione filosofica, più concettuale e meno
quotidiana.
Il monologo dei pupi sia nel testo che nel video è analizzabile in
due tempi. Nella prima parte, Ciampa descrive ininterrottamente
la teoria dei pupi e questa unità monologante, che verte su
concetti più filosofici, è resa registicamente, con un altrettanto
53
ininterrotto primo piano, dove la luce, questa volta, illumina
obliquamente il viso di Randone, le cui fattezze così
caratteristiche, acquistano, nel chiaroscuro, un rilievo maggiore.
Anche qui la recitazione di Randone appare particolarmente
isolata ed avulsa dalla relazione con gli altri personaggi.
Anzi Randone fissa direttamente la telecamera, astraendo
ulteriormente il monologo. Ed è qui che il regista decide di far
parlare Randone direttamente con il pubblico, quasi a sottolineare
che in questa parte il testo pirandelliano, con la sua dialettica
filosofica, reclama uno spazio proprio, che la regia non gli nega,
ma che anzi tende ad evidenziare.
Quella che emerge è una regia che non è funzionale solo
all’attore ma rispetta anche le suddivisioni interne del testo di
Pirandello e che Pirandello stesso ha, in origine affidati
all’interpretazione dell’attore.
Il regista di volta in volta si
adegua all’attore Randone e all’autore Pirandello. Con particolari
movimenti della telecamera, con stacchi netti da un’inquadratura
all’altra, con un evidente gioco di luci tende a tagliare e a isolare
54
lo spazio, evidenziando sia l’impalcatura razionale del testo
pirandelliano, sia l’interpretazione dell’attore.
La seconda parte del discorso sui pupi è caratterizzata dalla
dimostrazione che Ciampa fornisce a Beatrice sulla sua teoria.
Anche qui la regia opera uno stacco passando, nel momento in
cui Ciampa pronuncia la parola <<esempio>>, dal primo piano
su Randone, ad un’inquadratura angolata e generale sulla scena
con i tre protagonisti. La stessa recitazione di Randone cambia
registro e riacquista toni apparentemente dimessi. Ma nel suo
insieme la scena, nella sua funzione dimostrativa, acquista dei
ritmi più veloci nel dialogo, assumendo, da una parte i toni
dell’arringa, e dall’altra quelli della dimostrazione teorica. Qui
Randone, nel porre le domande a Beatrice, compie un movimento
particolare attorno al divano centrale su cui siede la donna.
L’attore nel compiere questa azione, fino a quando si ferma nei
pressi di Beatrice, assomiglia ad un avvocato che pronuncia la
requisitoria di fronte all’imputato. Ed è proprio nella battuta
finale sul “rispetto” che si deve conservare ad ogni costo di
55
fronte alla società, che Randone, con il supporto della regia,
mima il pupo che viene calpestato con il piede. In tal modo,
l’attore esplicita la coscienza che ha dell’adulterio e delle accuse
di Beatrice quindi, con un tono serio e minaccioso pronuncia
quel <<non so se mi sono spiegato>>, che è quanto di più
allusivo al pericolo, che non solo lui (Ciampa) corre, ma anche
Beatrice. Il dialogo delle tre corde ed il monologo dei pupi,
appaiono dunque caratterizzati da una tensione, che in alcuni
momenti, arriva a dare a questa parte del video, i tratti inquieti di
un thriller psicologico.
Atto II, Scena V: il monologo finale
Il Ciampa di Randone è l’uomo umiliato, non l’umile colpito
dalla vita come il Ciampa di
Eduardo. Il siciliano Randone
sottolinea l’offesa del maschio subita per colpa di una donna che
ha osato non tener conto dell’uomo. In Eduardo il dolore di
Ciampa non è procurato dall’umiliazione del maschio offeso,
quanto dalla sofferenza del tradimento, che diventa dolore, dolore
solidale anche nei confronti della moglie del principale, Beatrice.
56
In Eduardo è l’umano, la persona a subire la lacerazione
interiore, non l’orgoglio maschile. Rabbia, dunque, per l’offesa
subita, ma rabbia tenuta costantemente a freno quella del Ciampa
di Randone. Il tono si mantiene dimesso, forzatamente basso,
quasi cantinelante, ma all’improvviso diventa incalzante, senza
pause, quasi ad indicare una urgenza del dire che è tutt’uno con
l’amarezza del sentire, che non può più nascondere l’evidenza
“del fatto”.
Il momento più rivelante di questa rabbia amara è il lungo
monologo del protagonista. Esso arriva dopo che Ciampa, di
ritorno da Palermo, è venuto a conoscenza dello scandalo
suscitato dall’intervento della polizia in casa sua, nei confronti
della moglie e del principale Fiorica. Nella tensione che permane
tra Beatrice e Ciampa, dopo lo scandalo, vi è ormai un gioco
scoperto che fa a meno dell’illusione. Ciampa Randone richiede
finalmente alla coscienza di Beatrice la piena ammissione dei
suoi sospetti circa la sua complicità con la moglie. A questa
insistente richiesta del protagonista, Beatrice risponde con un
57
tono di sfogo e di sfida: <<è vero, sì>>. Ed è a questo punto che
inizia il monologo.
Dal punto di vista dell’interpretazione, Randone inizia a scandire
le frasi con un tono dal timbro bassissimo, atono, in cui egli
sfrutta la ritmicità interna al monologo, consistente nel
susseguirsi di brevi frasi che descrivono la situazione coniugale
di Ciampa, dando a questo un
movimento in crescendo
cantilenante.
Nel momento in cui Ciampa Randone parla del “supplizio” cui
si è sottomesso (tutto il discorso è impostato ipoteticamente da
Ciampa) la recitazione si fa più sofferta e dolorosa. Il timbro
della voce muta, e segue i passaggi interiori degli stati d’animo,
fino a quando, ed è questa la parte che nella interpretazione di
Randone segna l’avvio della seconda parte del monologo, l’attore
non torna a relazionarsi direttamente a Beatrice. E’ interessante
notare nella mimica facciale di Randone, per tutta questa prima
parte, che egli tiene gli occhi fissi verso un’unica direzione,
quasi a proiettare verso un punto esterno a sé la vergogna
58
interna, mentre, ciò che muta è l’espressione che coinvolge la
parte inferiore del viso che si rivela come maschera dolorosa. La
seconda parte del monologo offre per i suoi contenuti, una più
variegata possibilità di registri espressivi. Ciampa compatisce la
gelosia di Beatrice, descrive come si sarebbe dovuta svolgere la
situazione, fa riferimento a suoi tentativi di convincerla ed infine,
con sarcasmo si descrive soggetto al disprezzo generale. Randone
fa esplodere tutta la rabbia repressa, per l’intera commedia
proprio in quel <<parli, parli>>! Raggiungendo toni tragici anche
nelle movenze contorte del corpo e passando a un registro
grottesco nella descrizione di uomo tradito. Dal punto di vista
registico, Fenoglio inquadra Randone in primo piano per tutta la
prima parte, dando alla telecamera un lento movimento laterale,
per poi sottolineare la drammaticità della seconda parte, con una
maggiore varietà di stacchi, inquadranti comunque sempre la
figura di Randone.
Nell’epilogo dell’atto, è ormai la pazzia il tema di fondo. Il
primo folle è Ciampa. E qui, Randone ha saputo rendere la sua
59
recitazione
adatta ad imprimere un carattere di visionarietà.
Ghigno del viso ed illuminazione fanno del volto di Ciampa–
Randone quello di una maschera grottesca, folle, lucidamente
determinata. Ed è a questa follia che tutti, prima ancora della
stessa Beatrice, sembrano accordarsi, assumendo nell’espressione
del viso, e negli sguardi un che di allucinato che condanna la
donna a scegliere la pazzia come soluzione finale necessaria. Ed
infine la risata visionaria
di Ciampa ci da il parametro
dell’interpretzione di Randone, non il dolore di Eduardo, non la
rivincita di Stoppa, ma la rabbia amaramente lucida e rassegnata
del pirandelliano Randone.
60
III Capitolo
EDUARDO E IL BERRETTO A SONAGLI DI PIRANDELLO
61
Eduardo e Pirandello
<<Caro Edoardo, ritorno adesso da Milano e trovo la lettera del
vostro Argeri e i giornali coi resoconti del vostro trionfo.
Non m’aspettavo meno da Voi. Ciampa era un personaggio che
attendeva da vent’anni il suo vero interprete. Se le mie condizioni
di salute me lo consentissero, vorrei non privarmi della gioja
d’assistere almeno a una rappresentazione>>.1
Ciampa, dunque, per Pirandello ha finalmente trovato il suo vero
interprete.
Eduardo e Pirandello si erano incontrati in un camerino del
teatro Sannazzaro di Napoli nel 1933 durante la fortunata
stagione del Teatro Umoristico.2 Eduardo
incoraggiato dalla
semplicità di quell’uomo illustre che era andato a trovarlo in
camerino gli chiese il permesso di tradurre Liolà in napoletano.
1
La lettera è datata Roma 19 febbraio 1936 e sta in LUIGI PIRANDELLO, Carteggi
inediti con Ojetti- Albertini- Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, a cura di Sarah
Zappulla Muscarà, Quaderni dell’Istituto di Studi Pirandelliani ROMA 1980, p. 365;
2
MAURIZIO GIAMMUSSO,Vita di Eduardo, Mondatori, MILANO 1993 p.111e pp. 80
ss. ; Eduardo ebbe un debito di riconoscenza nei confronti del pensiero ( più che del teatro )
pirandelliano; un riconoscimento reso esplicito dall’uso dell’attributo << umoristico>>, con
cui l’attore volle definire il suo teatro e la compagnia ( <<Compagnia del Teatro
Umoristico I De Filippo>>) creata nel 1931 assieme ai fratelli. Cfr: PAOLA
QUARENGHI, Eduardo e Pirandello , in Eduardo e Napoli Eduardo e L’Europa, a cura
di Franco Carmelo Greco, Edizioni Scientifiche Italiane, NAPOLI 1993, p. 37.
62
Eduardo, infatti, aveva letto i romanzi e le novelle di Pirandello
che doveva averlo influenzato già a partire dalle sue prime
commedie degli anni ‘20, dove, tuttavia, prevalgono ancora i
modelli farseschi della tradizione napoletana. Il tema della
pazzia, per esempio, così centrale nelle opere di Pirandello3,
appare sin dalla seconda commedia di Eduardo del 1922: Uomo e
galantuomo,4 dove emergono però gli accenti comici. Ma già
nella commedia successiva, Ditegli sempre di sì,5 nella pazzia del
protagonista l’elemento della tradizione scarpettiana si unisce in
modo originale con il teatro “borghese” o “grottesco”
pirandelliano. L’incontro di Eduardo e Pirandello nel 1933 fu,
dunque,
un incontro da autore ad attore. Del resto le due
drammaturgie erano completamente diverse. Eduardo era un
autore dialettale, <<mentre Pirandello che pure si era affermato
come drammaturgo proprio con le commedie scritte in dialetto
3
E. GIOANOLA, Pirandello la follia, GENOVA, 1983; P. MILONE, Pirandello: arte e
follia, in <<Rivista di studi pirandelliani>>, n.s., IV 1984, 1, pp. 68-81.
4
Il titolo, originariamente, era Fatto il guaio riparerò del 1922; Eduardo ci racconta un
aneddoto nato da questo titolo, tipicamente farsesco, che coinvolse Vincenzo Scarpetta,
che fu suo copocomico, e sua moglie (cfr. Anonimo, Eduardo in TV con quattro commedie,
<<Il Messaggero>>, Roma,16.07.1975).Il titolo attuale risale al 1933. Cfr. ANNA
BARSOTTI, Eduardo drammaturgo, Bulzoni, ROMA 1995,p. 27.
5
ANNA BARSOTTI, op., cit., p. 33
63
siciliano per Angelo Musco, non era mai stato considerato un
autore dialettale>>6. Eduardo inoltre praticava un teatro di genere
comico, non avvicinabile al teatro d’autore, che era poi, per molti
uomini di cultura del tempo l’unico teatro che avesse dignità
artistica.7 Soprattutto agli inizi, infatti, Eduardo drammaturgo
fece
fatica ad essere considerato, mentre come capocomico
godette di una certa autorevolezza. Eduardo mise in scena di
Pirandello vari lavori, tra cui Il Berretto a sonagli, che per il
successo che ebbe divenne l’unica opera pirandelliana stabile nel
suo repertorio fino alla fine della
cronologico
carriera, ed in ordine
quella che chiuse l’ultimo ciclo di registrazioni
televisive fatte alla Rai da Eduardo alla fine degli anni 70.8
L’idea di tradurre in napoletano Il Berretto a sonagli si verificò
per suggerimento dello stesso autore siciliano.
6
cfr. PAOLA QUARENGHI , Eduardo e …, cit., p.39. Sul rapporto Pirandello-Angelo
Musco cfr. capito I di questa tesi, con relativa bibliografia.
7
P. QUARENGHI, Eduardo e…, cit., p. 39; sulla questione della spaccatura, d’origine
ottocentesca, fra teatro <<dialettale>> e teatro <<in lingua>> cfr.FERDINANDO
TAVIANI, Uomini di scena.Uomini di libro, Il Mulino, BOLOGNA, 1995, pp. 17-18.
8
PAOLA QUARENGHI, Eduardo…, cit., 39ss. Di Pirandello la compagnia De Filippo,
mise in scena L’imbecille, Lumie di Sicilia (con il titolo L’Uva rosa), Liolà, Il Berretto a
sonagli e L’abito nuovo. Sul rapporto di Eduardo con la televisione cfr. P. QUARENGHI,
Lo spettatore col binocolo, ROMA 1995, pp. 76 ss. Anche G. BETTETINI, (a cura di),
Sipario! Storia e modelli del teatro televisivo in Italia, RAI/Vqpc, ROMA 1988; A.
64
L’occasione venne dal lavoro in comune alla trasposizione
teatrale della novella L’abito nuovo, scritta da Pirandello nel
19139 . Questo episodio è raccontato dallo stesso Eduardo in uno
scritto intitolato Io e la nuova commedia di Pirandello in cui
descrisse i quindici giorni del dicembre del 1935 a Roma dove
Pirandello, seduto in un’ampia poltrona del suo studio scriveva
le battute <<che davano il via alle scene principali>>, e lui
stesso che
<<traduceva in vernacolo il suo pensiero>>10. Fu,
dunque, l’autore siciliano ad intravedere per primo in Eduardo
un possibile interprete delle sue opere e il protagonista del
Berretto a sonagli in particolare11.
Il loro incontro si era verificato in un momento felice della
carriera artistica di Eduardo che aveva già assimilato i
BALZOLA-F. PRONO,La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca teatrale in Italia,
Rosenberg & Sellier, TORINO 1994.
9
M. GIAMMUSSO , Vita di …, cit., pp. 118-121; cfr. FRANCA ANGELINI, Eduardo
negli anni trenta: abiti vecchi e nuovi, in Antonella Ottai e Paola Quarenghi (a cura di),
L’arte della commedia, Bulzoni, ROMA 1990, pp. 15 ss.
10
E. DE FILIPPO, Io e la nuova commedia di Pirandello, <<Il Dramma>>, 1 giugno 1936;
cfr. E. DE FILIPPO, Il giuoco delle parti, in AAVV. , Eduardo De Filippo e il Teatro San
Ferdinando, NAPOLI 1954.
11
La Compagnia De Filippo mise in scena varie opere di Pirandello, ricordiamo i due atti
unici L’ imbecille e Lumie di Sicilia (tradotto con il titolo L’uva rosa), poi Liolà, Il berretto
a sonagli e L’abito nuovo.
65
fondamenti della importante
tradizione teatrale napoletana12
12
Il trampolino di lancio di Eduardo era stato il comico delle parodie, dei travestimenti,
della coppia Pulcinella-Sciosciammocca nella versione di Petito, imborghesita da Scarpetta.
Inoltre si cimentò nello sketch del varietà, la scenetta e l’atto unico d’ambiente. La presenza
di tale tradizione è evidente nei copioni di Eduardo esclusi dalle edizioni. Vi troviamo
infatti, le riviste di Mascaria ( Maria Scarpetta), Mangini e Curcio, una trascrizione della
Monaca fauza di Trinchera, una riduzione della Palummella di Petito del 1954, un’altra
riduzione del Pulicenella che va truvanno ‘a fortuna soia pe’ Napule di Altavilla e scenari
della Commedia dell’Arte. Vi era inoltre la tradizione dei drammi e della sceneggiata che si
presentava come un genere misto alternante farsa e dramma, sviluppando la trama di una
canzone in voga, tradizione che comunque non coinvolse direttamente Eduardo attore. Ma
fu il varietà il genere preferito da Eduardo. A partire dalle parodie ottocentesche del teatro
“alto” nacque una drammaturgia antinaturalistica, comica, che si trasformò man mano in
una struttura frammentaria, cioè in numero di cui il perno centrale era l’attore, inteso non
più come personaggio ma come artista che dà prova di sé. Tale origine dialettale, comica
rappresentata dal varietà accompagnò anche l’Eduardo maturo, configurandosi come un
elemento costante del rapporto che egli instaurò tra innovazione e tradizione . E’ possibile
distinguere il suo repertorio in due grandi filoni: i cosiddetti “drammi della vita” da una
parte e le rappresentazioni “ metateatrali” dall’altra. Il varietà e il dialetto gli diedero gli
strumenti per non cadere nella pateticità e nel naturalismo per il primo filone, e per il
secondo lo orientarono verso l’umanizzazione del personaggio. In particolare due sono le
opere in cui è più evidente l’incontro tra tradizione e innovazione: Natale in casa Cupiello,
e Sik-Sik, l’artefice magico, opere in cui Eduardo raggiunge una scrittura comica e tragica
nello stesso tempo.
Per l’esatta cronologia di Natale in casa Cupiello si fa riferimento ad una lettera scritta da
Eduardo ad Anna Barsotti, il 22 febbraio 1983 in ANNA BARSOTTI, Eduardo
drammaturgo, op. cit., p. 511. L’Autore indicava : <<Cara Anna, mi scusi se le scrivo assai
brevemente ma sono assai stretto col tempo e d’altra parte non voglio lasciare la sua gentile
lettera senza risposta. Dunque, Natale in casa Cupiello: è nata nel 1931 in un atto(il
secondo odierno). Nel 1932 o 3, non ricordo con esattezza, dopo aver lasciato
l’avanspettacolo e debuttato al Sannazzaro, vi aggiunsi il primo atto; il terzo atto invece lo
aggiunsi nel 1943>>. D'altra parte Fiorenza di Franco, e gli altri critici autori di monografie
sull’Autore, riportano il 1934 per la stesura del terzo atto, affidandosi alla testimonianza
scritta di Eduardo in un suo “pezzo” del 36: <<Questo mio lavoro è stato la fortuna della
Compagnia, dopo Sik-Sik, s’intende. Ebbe la sua prima rappresentazione al Kursaal di
Napoli: allora non era che un atto unico… .L’anno seguente, al Sannazzaro… scrissi il
primo atto, e diventò di due… .Due anni fa venne alla luce il terzo…>>. Cfr., EDUARDO
DE FILIPPO, <<Primo …secondo>>. Aspetto il segnale, <<Il Dramma>>, n. 240, 1936;
riportato in ISABELLA DE FILIPPO, Eduardo, polemiche, pensieri, pagine inedite,
Bompiani, MILANO 1985, pp.121-130. Sik-Sik fu scritto nel 1929, anno importante nella
biografia artistica di Eduardo. E’ l’anno in cui i tre fratelli De Filippo si riuniscono nella
Compagnia Molinari del Teatro Nuovo ristrutturato per le riviste. Fu proprio in una di
queste riviste, Pulcinella principe in sogno…, che iniziò la vera fortuna dei De Filippo con
un enorme successo di cui la parte del leone spettò al Sik- Sik di Eduardo. Cfr., PEPPINO
DE FILIPPO, Una famiglia difficile, Marotta, NAPOLI 1977, pp. 238-239. Per la verifica
della cronologia di tutto il repertorio eduardiano cfr., FIORENZA DI FRANCO, Eduardo,
Gremese, ROMA 1978; ID. le commedie di Eduardo, Laterza, BARI 1984.
66
innestandosi dunque all’interno di una complessità di rapporti
che affondava le radici in storie artistiche poliedriche. Del resto
Eduardo aveva iniziato tramite la lunga esperienza della
Compagnia del Teatro Umoristico13(anni ‘30), un cammino di
rielaborazione personale di questa stessa tradizione. Da ciò gli
derivò l’attitudine all’ascolto complesso della realtà, l’attenzione
<<ai fatti, alla gente, e soprattutto alle piccole cose della vita
quotidiana>>14. La stessa tradizione napoletana così complessa e
variegata gli aveva dato un patrimonio artistico atto a esprimere
nelle sue opere una sensibilità sociale che lo orientava verso un
mondo
piccolo-borghese,
còlto,
più
che
nelle
singole
individualità, nella sua coralità.15
Proprio questa tradizione poneva Eduardo in un rapporto
particolare rispetto a Pirandello. L’attore napoletano infatti,
grazie alla revisione già avviata degli antichi modelli teatrali
partenopei,
poté
affrontare
la
novità
delle
tematiche
13
STEFANO DE MATTEIS, Lo specchio della vita. Napoli: antropologia della città del
teatro,Il Mulino, BOLOGNA 1991, pp. 205 ss.
14
Ibidem p. 206.
67
pirandelliane. Ciò comportò la trasformazione radicale ma non
traumatica di quello stile comico, o farsesco che poggiava su
modelli drammaturgici tipici del varietà. Ma l’incontro con
Pirandello fu soprattutto l’incontro con i suoi personaggi, che la
sensibilità di attore di Eduardo coglieva nella loro drammatica
dinamicità, orientandoli verso un proprio destino al di là delle
tipizzazioni o delle
maschere. Il personaggio pirandelliano
sempre scisso tra realtà ed estraniazione si trasformava in
Eduardo in personaggio dominato da un umorismo tragico,
diverso dall’umorismo di Pirandello, in quanto caratterizzato da
una sottile, quanto profonda inespressività che però non lo
estraniava dalla vita, dall’aderenza ai fatti e agli eventi ma che lo
rimandava ad essi. E’ proprio grazie alla sua drammaturgia
d’attore che Eduardo si confronta naturalmente con un tipo di
scrittura scenica in cui le situazioni, i fatti, insomma la realtà,
delimitano e contengono il personaggio.16
Mentre i personaggi
15
Ibidem p. 219; sul concetto di coralità alla cui base vi è il rapporto di Eduardo-Napoli
cfr., A: BARSOTTI, Eduardo…, cit., p.168; F. FRASCANI, Eduardo e Napoli, in F.C.
GRECO, Eduardo e…, cit., pp. 77-85.
16
STEFANO DE MATTEIS, Lo specchio della vita. Napoli: antropologia della città del
teatro, BOLOGNA 1991, p. 256.
68
pirandelliani cercano continuamente <<di uscire dai fatti>>,
quelli di Eduardo ci si immergono senza sconti. Per giungere
infine alla stagione della drammaturgia matura, in cui l’attore
napoletano individuerà in ogni sua opera un protagonista che
senza eroismi si isolerà dal grande coro degli altri personaggi
contrapponendosi a questi.17All’accusa di pirandellismo che gli
venne fatta ad un certo punto della sua vita Eduardo rispose
<<Io, questo Pirandellismo attribuitomi dai critici non lo capisco,
se devo dire la verità. Che vuol dire? Che cosa vogliono dire?
Che ho copiato da Pirandello, che mi sono appropriato della sua
tematica? Se è questo che si intende per Pirandellismo, mi pare
che non sia neanche il caso di parlarne, tanto è ovvio che, a
cominciare dalla mia concezione del teatro a finire con i miei
personaggi spesso poveri e affamati, spesso maltrattati dalla vita,
ma sempre convinti che una società più giusta e umana sia
possibile crearla, niente potrebbe essere più lontano dall’idea
teatrale di Pirandello e dai suoi personaggi.>>18
17
18
Ibidem. pp. 258-268.
Cfr., ISABELLA Q. DE FILIPPO (a cura di), Eduardo…, cit., p. 172.
69
Il berretto a sonagli
Il vero successo pirandelliano dei De Filippo, comunque fu il
Berretto a sonagli. La messa in scena19 della commedia venne
decisa e realizzata in brevissimo tempo proprio durante la
collaborazione per L’abito nuovo. Questa collaborazione si era
risolta, del resto, per Eduardo, in una vera e propria “lezione di
drammaturgia”20 che gli aveva permesso di affinare una tecnica
rappresentativa tale da esprimere efficacemente il suo mondo
poetico, salvaguardandolo dalla ricerca di effetti comici fini a se
stessi. Egli stesso a proposito affermava: <<Un’idea, in fondo,
non è tanto difficile averla; difficilissimo è invece comunicarla,
19
Sulla messa in scena del Berretto a sonagli di Pirandello da parte di Eduardo, ci
rifacciamo alla ricostruzione fatta da Alessandro D’Amico : la prima del Berretto avvenne
il 13 febbraio 1936 al Teatro dei Fiorentini di Napoli. Interpreti principali furono: Titina De
Filippo (Beatrice), Peppino De Filippo (Spanò), Pietro Carloni (Fifì), Tina Pica (La
Saracena). Questo stesso allestimento fu ripreso nelle stagioni 1936-37 e 1938-39. Nel 1944
la commedia fu riallestita e ripresa nelle stagioni 1945-46, 1946-47, 1948-49, e 1950-51.
Gli interpreti furono gli stessi tranne che Peppino che si era allontanato dalla Compagnia e
fu sostituito nella parte di Spanò da Giovanni Amato e poi nel 1950 da Carlo Giuffrè. Nel
1961 (XXV dalla morte di Pirandello) ci fu una nuova messinscena, con Regina Bianchi
(Beatrice), Ugo D’Alessio (Spanò), Carla Lima (Federico). Nel 1964 (riapertura del Teatro
San Ferdinando a Napoli) con Regina Bianchi (Beatrice), Franco Parenti (Spanò), Lima
(Federico), Tonia Schimtz (La Saracena). Nella stagione 1979-80 con Angelica Ippolito
(Beatrice), Sergio Solli (Spanò), Luca De Filippo (Federico), Concetta Barra (La Saracena).
Cfr.,LUIGI PIRANDELLO, Maschere Nude, (a cura di) A. D’Amico,Mondadori,
MILANO 1986, pp. 631-632
20
CLAUDIO MELDOLESI, Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate dal teatro italiano,
Bulzoni, ROMA 1985, p. 61.
70
darle forma>>21 Ed è proprio con Il Berretto a sonagli che
Eduardo trovò le sue prime soluzioni
al problema tecnico
dell’arte dell’attore e dell’autore, individuando in Pirandello, il
maestro del rinnovamento della drammaturgia di quegli anni.
22
Insomma con il Berretto a sonagli Eduardo si incontra
profondamente con la drammaturgia pirandelliana ricavandone
una riflessione sul teatro, sul suo teatro.
Per questo allestimento Eduardo si era occupato anche
dell’adattamento in napoletano e si affidò soprattutto alla
capacità degli interpreti: lui stesso nella parte di Ciampa, Titina
in quella di Beatrice e Peppino come il commissario Spanò.
Riguardo all’esperienza pirandelliana, Peppino aveva espresso
qualche perplessità sin dalla prima collaborazione che fu Liolà.
In quell’occasione egli affermava : << Io ero giovane allora[…]
E avevo in cima ai miei pensieri una cosa sola: le nostre
commedie. Stimavo e veneravo Pirandello: però ritenevo
21
E. DE FILIPPO, Il teatro è il mio lavoro, Discorso tenuto all’Accademia dei Lincei,
quale vincitore del premio A. Feltrinelli per il teatro 1972 in . F. DI FRANCO, Eduardo da
scugnizzo a senatore, Laterza, BARI 1983, p. 78; anche in MELDOLESI, Fra Totò… cit.
pp. 59-60.
22
S. DE MATTEIS,Lo specchio…, cit.,p. 243
71
sbagliato sacrificare per lui il nostro repertorio. Mio fratello
Eduardo, invece, la pensava diversamente. L’idea del Liolà era
venuta a lui e Pirandello si era trovato subito d’accordo.>>23
Questi dubbi, legati ad una più generale diversità di visioni e
progettualità artistiche, aumenteranno sempre più fino al 1944
anno della loro separazione. Il fastidio che Peppino provava è
espresso in questa testimonianza e riguarda proprio la messa in
scena del Berretto a sonagli: <<Durante il secondo atto del
dramma Ciampa scioglie un monologo che dura una ventina di
minuti e sono argomenti duri, taglienti, dissertazioni che
puntualizzano una situazione teatrale altamente umana e
sconcertante, seria, con un sottofondo di concetti tragici […]. Il
commissario Spanò, per esigenza scenica, è costretto ad essere
presente senza mai poter dire un’ “a” o un’ “e”. Io, dunque, […]
durante quel monologo dovevo stare attento a non disturbare
neanche con un semplice gesto, poiché il pubblico, attratto dalla
mia presenza fisica, avrebbe finito per interessarsi al mio più
23
G. GRIECO,in <<Gente>>, 15 gennaio 1978;
72
impercettibile movimento traendone divertimento. Ciò avrebbe
disturbato la recitazione di Eduardo che egli mandava avanti
nervosamente tra lunghe e brevi pause. Bene, io a non respirare
neanche ci stavo attento; ma quando accadeva che il pubblico,
ostinatamente fisso sulla mia presenza in scena, avvertiva
qualche mio naturale movimento e lo sottolineava provocando in
sala un certo <<mormorio>> di divertimento, mio fratello si
indispettiva, mi guardava male, ostinandosi poi a ritenermi
responsabile di indisciplina scenica, di poco scrupolo artistico e,
soprattutto, di non sentire per lui alcun riguardo. E non aveva
ragione, poiché durante quel lunghissimo monologo io non
sapevo più a quale santo votarmi per fare in modo che gli
spettatori
seguissero
con
comprensione
certi
miei
assecondamenti scenici che erano pur necessari : nulla da fare!
Ogni mio gesto, sia pure impercettibile… veniva intercettato in
sala e commentato con ilarità. Dovetti decidere, infine, di fare la
<<statua>> e con le spalle voltate al pubblico attendere la fine
73
del lungo monologo>>. 24
Pirandello rappresentò un
momento importante della
non
convergenza tra le poetiche dei due fratelli De Filippo. Peppino,
infatti era
proiettato alla rivalutazione di un teatro comico
direttamente colto dalla tradizione e, attraverso l’affinamento
delle risorse attoriali, riproposto su scala nazionale. Vedeva
perciò
la presenza in repertorio delle opere di Pirandello come
elementi estranei al proprio disegno. Eduardo, dal canto suo, non
solo volle inserire
Pirandello nel suo repertorio, ma lo fece
rimanendo fedele alla sua identità di attore e al suo processo
creativo che Giovanni Macchia ha definito quello “dell’attore
che scrive”.25
Eduardo attore
Eduardo non fu semplicemente un attore, ma uomo di teatro,
immerso da sempre nelle atmosfere, nei rapporti,
nella
quotidianità di una famiglia che fu il simbolo della tradizione
24
PEPPINO DE FILIPPO, Una famiglia…, cit., pp. 301-302; sul rapporto tra Eduardo e
Peppino cfr.,M. GIAMMUSSO, Vita di… cit.; F. C. GRECO, Eduardo <<autore del suo
teatro>>, in F. C. GRECO (a cura di) , Eduardo e…cit., pp. 13-22.
25
Cfr. C. MELDOLESI, Fra Totò… ,cit., p. 58.
74
napoletana.26 Fare teatro per Eduardo era dire la vita: <<La mia
vera casa è il palcoscenico, là so esattamente come muovermi,
cosa fare : nella vita sono come uno sfollato>>27. Questo aspetto
totalizzante è riscontrabile, tra l’altro, nella complessità della sua
recitazione in cui si fondono vari ruoli: l’attore, l’autore e il
regista. Nel suo rapporto d’attore con il personaggio che
interpreta, confluivano l’esperienza dell’autore e del regista che
gli permetteva una visione, al tempo stesso, complessa eppure
differenziata del fatto scenico nei vari elementi che lo
compongono. La sua recitazione rifacendosi ad una antica
tradizione che da sempre aveva valorizzato la comunicazione
diretta del gesto e della parola, si caratterizzava per il modo
26
Eduardo, come Titina e Peppino, era figlio naturale di Eduardo Scarpetta il più grande
autore-attore-capocomico napoletano del suo tempo. Nacque a Napoli il 24 maggio 1900 da
Luisa De Filippo e debuttò in teatro a 4 anni come comparsa in una parodia di una operetta,
La Geisha .Fin da piccolissimo Eduardo, con i suoi due fratelli, “respirò” il mondo del
teatro in tutti i suoi aspetti, a cominciare da quello “ludico”. Infatti da bambini amavano
esibirsi sul balconcino di casa che dava sul vicolo davanti ad una famiglia tedesca che
abitava nella casa di fronte e molto spesso si ritrovavano a giocare tra le quinte o lungo i
sottoscala di qualche teatro in attesa di essere utilizzati come comparse negli spettacoli di
Scarpetta. Sulla biografia di Eduardo cfr., FEDERICO FRASCANI, Eduardo, Guida,
NAPOLI 1974; ID.Eduardo segreto Delfino, NAPOLI 1982; G. ANTONUCCI, Eduardo
De Filippo, Le Monnier, FIRENZE 1981; E. GIAMMATTEI, Eduardo de Filippo, La
Nuova Italia, FIRENZE 1982; F. DI FRANCO Eduardo da… cit.; M. GIAMMUSSO,
Vita… cit. .Importanti anche le autobiografie di : PEPPINO DE FILIPPO, Una famiglia…
cit.; EDUARDO SCARPETTA, Cinquant’anni di palcoscenico, Savelli, MILANO 1982;
AUGUSTO CARLONI, Titina De Filippo, Rusconi, MILANO 1984.
27
ISABELLA DE FILIPPO, Eduardo…, cit., p. 148.
75
originale di esprimersi, prolungando con suoni, borbottii, risatelle
beffarde la battuta, caricandola di un’efficacia espressiva che
oltre al suono comunicava l’emozione dell’uomo. La recitazione
di Eduardo dava, quindi, sempre un’impressione complessiva di
naturalezza che egli stesso tuttavia spiegava così: <<la
recitazione naturale è la cosa più difficile e costruita che ci
sia>>28 ed aggiungeva : <<…l’attore deve misurarsi, controllarsi,
costringersi
ininterrottamente.
Mai
commuoversi
o
immedesimarsi […] se il personaggio gli è estraneo, meglio
ancora>>29. Eduardo, inoltre,
aveva un’arte particolare nel
richiamare l’attenzione sul suo volto, senza però mai deformarlo
al punto da far prevalere la maschera30, grazie anche ai continui
ma impercettibili mutamenti di espressione che conferivano alla
sua recitazione una “ineffabilità” comunicativa.
28
ISABELLA DE FILIPPO, Eduardo, …, cit., p. 64.
ibidem p. 148.
30
A questo proposito dice V. Viviani sul giovane Eduardo : << Eduardo De Filippo ha uno
strano fascino... Alto di statura, un po’ dinoccolato, dall’andatura stanca; un volto scarno e
geometrico:pare una maschera cafra, sempre immobile, sempre impenetrabile, che, a volte,
deforma atteggiandola ad un sorriso strano, inquietante, riflesso. Quando parla sul serio, la
sua voce assume un tono opaco, come un cielo nebbioso, a cui dietro, però, a tratti, fa
capolino il sole scialbo dell’ironia. Quando tace è un perfetto oratore, ma bisogna aver
l’orecchio esercitato ai suoi silenzi, che hanno il valore della sospensione d’animo, del
vuoto>>. Cfr., V. VIVIANI, Storia del teatro napoletano, NAPOLI 1969, p. 1901.
29
76
Eduardo in quello che resta il suo ragionamento artistico più
pregnante centrò il problema fin dal titolo: The Intimacy of
Actor and Character.31 Il rapporto di creazione, per lui, passava
attraverso l’intimità dell’attore e del personaggio. Scrisse in
proposito che la profondità a teatro può venire solo dall’intimità,
da ciò il seme della sua originalità.
Eduardo e la televisione
L’occasione di parlare del particolare rapporto che Eduardo ebbe
con il mezzo televisivo è data dal fatto che l’ultimo allestimento
del Berretto a sonagli fu realizzato per la televisione.33 Esso si
colloca nel quarto ed ultimo ciclo televisivo di registrazioni de
<<Il Teatro di Eduardo>>, 1977-81. Oltre al Berretto questo
31
Actors on Acting. The Theories, Techniques, and Practice of the World’s great actors,
told in their Own Words- a cura di T. Cole e H.K. Chinoy-, New York, Crown, pp. 471472;anche in I. DE FILIPPO, Eduardo…cit. pp. 169-172; cfr. anche CLAUDIO
MELDOLESI, Fra Totò e Gadda sei invenzioni sprecate dal teatro italiano, ROMA 1986,
p. 58-59;
33
Cfr., PAOLA QUARENGHI, Lo spettatore col binocolo…, cit., p. 183. La regia del
Berretto a sonagli fu di Eduardo, la scenografia di Raimonda Gaetani, i costumi di
Raimonda Gaetani e Clelia Gonsalez, fotografia e luci di Davide Altschuler, l’aiuto regia di
Claudia Caldera. Gli interpreti furono Angelica Ippolito (Beatrice),Maria Facciolà (La
77
ciclo televisivo comprendeva Natale in casa Cupiello (1931-34),
Il Cilindro (atto unico 1965), Gennareniello (1932), Quei figuri
di tanti anni fa (1929), Le voci di dentro (1948), Il Sindaco del
Rione Sanità (1960), IL contratto (1967), ed infine Il Berretto a
sonagli ultimo ad essere trasmesso il 20 giugno 1981.
Questo allestimento televisivo di Eduardo fu soprattutto l’ultima
testimonianza dell’evoluzione del suo
rapporto con questo
mezzo di comunicazione. Evoluzione che partendo dal lontano
1962, anno del primo ciclo
televisivo, pose
a Eduardo dei
problemi sulla natura della
relazione teatro-televisione. Fin
dall’inizio Eduardo considerava non occasionale il contatto con
questo mezzo, ma lo vedeva inserito all’interno di un progetto
culturale che diventò un vero e proprio progetto drammaturgico
nelle ultime registrazioni, potendo utilizzare anche maggiori
conoscenze sul mezzo stesso. In effetti tra il primo ciclo e
l’ultimo (1962-1977), il cambiamento di stile si configurò grazie
ad una sempre più precisa poetica della teatralizzazione della
Saracena), Hilde Renzi (Nannina), Luca De Filippo (Federico), Eduardo (Ciampa),
Armando Marra (Spanò), Chiara Toschi (Adelina Ciampa) e Giuliana Calandra (Assunta).
78
messa in scena televisiva. Pertanto utilizzò l’immagine televisiva
per sottolineare la finzione teatrale, sia attraverso un uso
sistematico del primo piano, sia attraverso l’uso del colore in
chiave simbolica e antinaturalistica.34A Eduardo interessava la
televisione come mezzo per diffondere il suo teatro. Egli riuscì a
piegare il mezzo televisivo al linguaggio del teatro fino a farne
un documento vivo della sua arte, continuando a far vivere i suoi
personaggi nati per il palcoscenico, dando alle telecamere il
compito di sostituirsi all’occhio dello spettatore. Anche se, in
realtà, Eduardo è ben consapevole che queste registrazioni non
possono conservare l’unicità del rapporto spettatore-attore. Egli
ironicamente sottolinea questa assenza nelle ultime edizioni
ricostruendo una finta platea, alla quale dietro le finte quinte si
vedono gli attori inchinarsi a spettacolo concluso, ad indicare che
il teatro, quello vero non è lì ma altrove.
Tutte queste caratteristiche del peculiare modo con il quale
Eduardo usò il mezzo televisivo sono particolarmente evidenti
34
GIORGIO SIMONELLI, Evoluzione storica del tele teatro, in Gianfranco Bettetini (a
cura di), Sipario!, ROMA 1988, p. 83. Anche cfr., ANDREA BALZOLA, La scena
79
nell’allestimento televisivo del Berretto a sonagli.
Si evidenzia in questa messinscena particolarmente la rarefatta
interpretazione dell’artista napoletano che non poggia più
sull’immediatezza del confronto nel dialogo con gli altri
personaggi o sull’arguzia dei ragionamenti del protagonista. A
Eduardo bastano minimi ed impercettibili movimenti del viso per
mostrare i movimenti dell’anima di Ciampa, spesso nel semplice
ascolto delle battute allusive
di Beatrice, momenti in cui la
telecamera inquadra in primo piano il volto di Eduardo.
Del resto è significativo che l’attore nell’adattamento in
napoletano, con un procedimento drammaturgico autonomo dal
testo pirandelliano, taglia alcune battute interlocutorie nel
monologo delle “tre corde”, nel primo atto, e in quello finale del
secondo atto. Questa operazione di rafforzamento dei momenti di
svelamento dell’intimità di Ciampa, rivela la volontà di Eduardo
di evidenziare, come per molti suoi personaggi, l’isolamento del
protagonista rispetto agli altri. Un isolamento che acuisce anche
l’incomprensione e l’ostilità degli altri personaggi. Aumentata la
mutante, in A. Balzola-F.Prono, La nuova scena elettronica,TORINO 1994;)
80
distanza dai suoi interlocutori il Ciampa di Eduardo diventa un
uomo rassegnato al suo destino, con dei ritmi interiori che
scandiscono un suo percorso trasversale rispetto a quello dei suoi
antagonisti.
Dal Ciampa di Pirandello al Ciampa di Eduardo
(Un itinerario attraverso le recensioni dal 1936 al 1980)
Il Ciampa pirandelliano costituisce uno dei personaggi in cui
maggiormente si realizzò l’intimità con Eduardo, grazie ad una
interpretazione che si andò approfondendo nel tempo, ma sempre
conservando una dolorosa interiorità, una capacità intrinseca di
lettura poetica delle sfumature del dolore, una ironia leggera e
disincantata, una raffinata modulazione dell’espressività.32
Eduardo ha iniziato a rappresentare il Berretto a sonagli di Luigi
Pirandello dal 1936. Scorrendo le recensioni da quella lontana
81
data, alle ultime, risalenti alla fine degli anni settanta, è possibile
recuperare una storia interpretativa di questa opera, originale e
per certi aspetti unica, che ci conduce da un Eduardo interprete
di Pirandello a un Eduardo interprete di se stesso. La prima tappa
di questo percorso è ben evidenziata nelle recensioni che vanno
dal 36 al 3939, periodo che coincide con il primo allestimento
teatrale, i cui i principali interpreti furono, oltre che Eduardo nel
ruolo di Ciampa,
Titina De Filippo nel ruolo di Beatrice,
Peppino De Filippo in quello di Spanò, Pietro Carloni in quello
di Federico e Tina Pica nel ruolo della Saracena40. In questi anni,
Eduardo ha interpretato Il Berretto a sonagli in importanti città,
come Roma, Napoli, Milano, Genova, Bari e Bologna, ottenendo
ovunque l’attenzione della critica. Dalle primissime recensioni
(36-39) emerge un Eduardo ancora inserito in un repertorio
32
Cfr. F. DI FRANCO, Eduardo de Filippo, ROMA 1978, pp. 79-80;
RENATO SIMONI, Il Berretto a sonagli di Pirandello all’Odeon, in <<Corriere della
Sera>>, MILANO, 26-3-36; E. C., Oje Marì… Oje Marì di Dino Falconi Il berretto a
sonagli di Luigi Pirandello, in <<Il Messaggero>>, 15-11-36; E.F., Un capolavoro
pirandelliano e una novità di D. Falconi dai De Filippo al Quirino, in <<Il Popolo>>,
ROMA, 17-11-36; SAVERIO PROCIDA, Interpretazioni pirandelliane dei De Filippo al
Fiorentini,in <<Roma>>,NAPOLI, 27-2-37; Le recite dei De Filippo al teatro Piccinni, in
<<Gazzetta del Mezzogiorno>> BARI, 2-11-38; E.F.P., Il berretto a sonagli con i De
Filippo al Verdi,in <<Il Resto del Carlino>>, BOLOGNA, 22-12-38; E.B., Il Berretto a
sonagli Una creatura senza difesa, in <<Secolo XIX>>, GENOVA, 12-2-39.
39
82
comico che viene avvertito dai critici come suo peculiare.
Bastava infatti citare la Compagnia De Filippo per evocare:
<<una folla di visioni gaie, colorite, sornione, un’onda di
spensieratezza e di buon umore>>41. Ma si comincia a notare
anche un Eduardo capace di modulare la recitazione verso uno
stile più orientato ad esprimere l’umanità del personaggio
Ciampa, in linea con la sensibilità di Pirandello. L’anonimo
cronista della <<Gazzetta del Mezzogiorno>> nel 38, fa notare
che: <<E’ un lavoro, quello pirandelliano, che si distacca
nettamente dal repertorio abituale dei De Filippo, ma che pare
fatto a posta per la interpretazione di Eduardo e di Titina>>42.
Saverio Procida, dal canto suo, sottolinea nel 37, che Eduardo
era riuscito a rendere: <<la figura patetica ed ermetica [di
Ciampa] come l’ha immaginata Luigi Pirandello col dolore senza
suono, con l’umanità senza ornamenti>>43. Non manca neanche
40
ALESSANDRO D’AMICO, Maschere nude…cit., p. 631.
VICE, I De Filippo al Quirino, in <<La Tribuna>>, ROMA, 17-11-36.
39
VICE, I De Filippo al Quirino, in <<Tribuna>>, ROMA, 17-11-36.
42
-, Le recite dei De Filippo al Teatro Piccinni, in <<Gazzetta del Mezzogiorno>>, BARI,
2-11-38.
43
SAVERIO PROCIDA, Interpretazioni pirandelliane dei De Filippo al Fiorentini, in
<<Roma>>, NAPOLI, 27-2-37.
41
83
chi compie un vero e proprio confronto con Angelo Musco,
riconoscendo ad Eduardo l’arte di avere saputo rendere un
Ciampa “umanissimo” rispetto a quello “frenetico” dell’attore
siciliano44. Ma se Eduardo è visto dalla critica ancora come
semplice interprete pirandelliano, già si avverte, d’altro canto,
un’arte che optando per uno stile più pausato e lento, sembra
rivelare uno stile altamente personale che si discosta
dalla
<<scarna rapida e talora vorticosa dialettica pirandelliana>>45.
Insomma, già dalle recensioni degli anni 30, emerge un Eduardo,
che pur vincolato ad un repertorio comico, e tutt’uno con la
Compagnia De Filippo, insieme al fratello Peppino e a Titina,
comincia ad imporre una sua peculiare sensibilità artistica ed
umana. Tanto più cresce l’esperienza di Eduardo, tanto più
sembra crescere e dilatarsi il suo Ciampa, acquisendo caratteri
precisi, fino a diventare una “figura potente” e “umanissima”. A
tal proposito Saverio Procida scrive: <<Quale potente figura
44
E.R., Un capolavoro pirandelliano e una novità di D. Falconi dai De Filippo al Quirino,
in <<Il Popolo>>, ROMA, 17-11-36:<<La figura del marito tradito ne Il Berretto a sonagli
di Pirandello è quella frenetica presentataci, finora in monopolio, da Angelo Musco, o è
questa, umanissima, di Edoardo De Filippo>>.
45
P.L., Il Berretto a sonagli e un atto di D.Falconi, ROMA, 17-11-36.
84
Edoardo De Filippo ha plasmato iersera! Che toni intensi nella
scelta della battuta, dosata con la scrupolosità di un pesatore di
sentimenti! Non un tradimento della comicità sulla ingente mole
dell’ironia. Non una esitazione fra colorito e accento>>43. Il
Ciampa di Eduardo è
reso con uno stile improntato ad una
sapiente “graduazione” del gesto e della battuta: <<[…]lungo i
due atti, Eduardo ha dato anima e corpo, voce e intensità
dolorosa alla tormentata figura del Ciampa, graduandone il
dramma con una misura rara e una intensità stupenda>>44,
caratteristica che lo stesso
Procida sottolinea scrivendo:
<<Edoardo ha iersera toccato la vetta dell’arte sua, per il disegno
del carattere di “Santo Ciampa”, per l’aurea chiarezza dello stile
nella semplicità dei mezzi scenici, per la
graduazione del
tumulto interiore>>.45 Un Eduardo, insomma, che imprime alla
messa
in
scena
una
“concertazione”
che
nella:
<<rappresentazione aveva raggiunta la sua suprema finalità
43
SAVERIO PROCIDA, Interpretazioni pirandelliane dei De Filippo al Fiorentini, in
<<Roma>>, NAPOLI, 27-2-37.
44
E.B., Il Berretto a sonagli. Una creatura senza difese, in <<Secolo XIX>>, GENOVA,
12-2-39.
85
artistica: lo specchio della vita, nel suono della battuta, nel gesto
della parola. Una concertazione, insomma, che i maggiori registi
potrebbero invidiare>>46.
Dato comune alla critica degli anni 4047 è l’attenzione all’arte
recitativa di Eduardo. Questo degli anni 40 si presenta come il
secondo allestimento teatrale, dove è evidente l’assenza di
Peppino che venne sostituito nella parte di Spanò da Giovanni
Amato e poi nel 1950 da Aldo Giuffrè.48In tal modo la
Compagnia si configurò come tutta incentrata sulla personalità di
Eduardo49. Dalle recensioni non si evidenzia più il problema
della fedeltà al suo repertorio comico, neanche più viene
sottolineato il confronto
tra il Ciampa eduardiano e la
<<dialettica pirandelliana>>. Quello che emerge, invece, è uno
sguardo della critica verso un Ciampa sempre più personale e
contestualmente vicino al mondo dell’attore napoletano.
45
SAVERIO PROCIDA, cit.
ibidem
47
TRACAR.,Il Berretto a sonagli al Margherita, in << Il Popolo>>, 16-5-45; G:G:,
Eduardo commemora Pirandello.Il Berretto a sonagli, in << Domani d’Italia>>, NAPOLI,
10-12-46; VINCENZO TALARICO, Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, in
<<L’Espresso>>, ROMA, 21-12-46; FRANCO MONICELLI, Pirandello commemorato
dai De Filippo, in <<Momento Sera>>, ROMA, 22-12-46;
48
ALESSANDRO D’AMICO, Maschere nude…, cit.,p. 631.
46
86
Eduardo è presentato come <<un mirabile direttore d’orchestra di
se stesso, con una padronanza ammirevole>>50, ed ancora nel
<<Domani d’Italia>> il commento è incentrato su Eduardo che
ha fatto <<[…] appello a tutte le sue più intime risorse tecniche
ed artistiche, superando se stesso>>51. Eduardo è ormai presente
nei giudizi della critica come interprete <<dalle tante corde>>52,
capace di apportare un contributo
rappresentazione,
da arricchirla
tanto originale alla
ulteriormente di quelle
numerose sfumature che ci rimandano al suo itinerario sempre
più consapevole di autore e capocomico. Vincenzo Talarico a tal
proposito scrive nel dicembre del
46: <<A questo bizzarro
dramma Eduardo e Titina De Filippo hanno prestato la potenza e
la suggestione della loro arte singolare, aggiungendovi
quell’estro e quella melanconia che sono a loro particolari
creando così, un capolavoro del più penetrante umorismo>>53. Al
punto che viene implicitamente riconosciuta l’assimilazione del
49
La Compagnia infatti si chiamerà Il Teatro di Eduardo .
TRACAR., Il Berretto… cit.
51
G:G., Eduardo …cit.
52
VINCENZO TALARICO, Il berretto… cit.
53
Ibidem
50
87
personaggio di Ciampa al mondo poetico di Eduardo, già così
strutturato ed evidente nei personaggi di sua invenzione54.
Insomma Il berretto a sonagli è ormai considerato nel 49-50, dal
giudizio unanime della critica, un <<cavallo di battaglia>>55 del
repertorio eduardiano, al punto che <<Del pirandelliano Ciampa,
Eduardo ha fatto uno dei personaggi più dolorosi e irresistibili
del suo repertorio>>56.
Gli anni 60 (stagione 61-62 e stagione 64-65) sono caratterizzati
dalla presenza di due allestimenti teatrali. Nel primo appare nel
ruolo di Beatrice, Regina Bianchi e in quello di Spanò, Ugo
D’Alessio, nel secondo appare nel ruolo di Spanò l’ormai
affermato Franco Parenti.57
Gli anni 6058 sono gli anni della commemorazione di Pirandello,
54
Ricordiamo soltanto che nel dicembre del 46, Eduardo ha già scritto e rappresentato
Napoli milionaria! ( la prima si ebbe al Teatro San Carlo di Napoli il 25 marzo del 45),
Questi fantasmi ( rappresentata per la prima volta il 7 gennaio 1946), e Filumena
Marturano la cui prima rappresentazione si ebbe il 7 novembre del 1946.
55
VICE, Il berretto a sonagli di Pirandello all’Eliseo, ROMA, 23 aprile 1949.
56
VINCENZO TALARICO, cit.
57
ALESSANDRO D’AMICO, Maschere…, cit. pp., 631- 632.
58
A.F., Il berretto a sonagli di Pirandello al Nuovo, in <<Sole>>, MILANO, 17-2-62;
DOMENICO MANZELLA, Pirandello napoletano n.2, in <<L’Italia>>, MILANO, 17-262; E.P., Il berretto a sonagli due ati di luigi Pirandello, in <<Corriere della Sera>>,
MILANO, 17-2-62; ROBERTO DE MONTICELLI, Ritorna il tragico Ciampa di
Eduardo,in <<Il Giorno>>, MILANO, 17-2-62; -, Pirandelliana con Eduardo, MILANO,
17-2-62; CARLO TERRON, Eduardo nel Berretto a sonagli. Lirica vertigine di un
88
anni nei quali Eduardo porta il suo Berretto a sonagli oltre che
in Italia anche all’estero59. Paradossalmente l’Eduardo che
commemora Pirandello è ormai un Eduardo che viene posto dalla
critica di fronte al maestro siciliano nel suo pieno e ben distinto
mondo poetico e creativo. In tal modo egli appare in tutta la sua
complessità di uomo di teatro, nel quale, accanto al sempre
riconosciuto valore di attore, vengono coerentemente evidenziati
dalla critica,
i pregi della sua regia e delle sue qualità di
drammaturgo, trasfuse anche nel suo adattamento in napoletano
del Berretto a sonagli. Nell’allestimento del 62 appaiono alcuni
motivi che ritroveremo
anche in altre recensioni successive.
personaggio, in <<Corriere Lombardo>>, MILANO, 17-2-62; L.L., Il berretto a
sonagli,MILANO, 17-2-62; G:T., Eduardo incontra Pirandello, in <<L’Unità>>,
MILANO, 17-2-62; FULVIO PALMIERI, Un Pirandello napoletano, in <<Vita>>,
MILANO, feb.,1964; SERGIO BAJARDI, Maiuscola interpretazione di Eduardo nella
versione del Berretto a sonagli, in <<Gazzetta del Sud>>, MESSINA, 16-5-64; NICOLA
CHIAROMONTE, Eduardo e Pirandello, in <<Il Mondo>>, ROMA, 25-5-26; ALFREDO
ORECCHIO, Più che Eduardo che Pirandello, in <<Paese Sera>>, ROMA, maggio 1964;
A.L., Eduardo ha riaperto il suo teatro a Napoli, in <<La Stampa>>, TORINO, 4-11-64;
DOMENICO FARINA, Novità di Eduardo presentata a Napoli, in <<Giornale di
Sicilia>>, PALERMO, 4-11-64; GIAC., in <<Gazzetta del Mezzogiorno>>, BARI, 29-165; GIORGIO PROSPERI, Eduardo pazzo e savio nel Berretto a sonagli, in <<Il
Tempo>>, ROMA, 13-5-65; -, Per vedere Eduardo de Filippo, in <<Il Giornale del
Mattino>>, FIRENZE, 17-2-65; SANDRO DE FEO, Pirandello senza spine, in
<<L’Espresso>>, ROMA, 30-5-65.
59
Tra l’inverno e la primavera del 62, la Compagnia di Eduardo andò in tournèe a Mosca
dove recitò varie opere( Filumena Marturano, Napoli milionaria! Questi fantasmi, Il
sindaco del rione sanità) tra cui Il berretto a sonagli. Cfr., FERDINANDO TAVIANI,
Uomini di scena. Uomini di libro, BOLOGNA, Il Mulino, 1995. p.18.
89
Innanzitutto il riconoscimento della <<Maestria del capocomico,
che sa trasmettere ai suoi attori i segreti del vivere artisticamente
una parte>>60. A Eduardo è ormai attribuito a pieno titolo il suo
ruolo registico, tanto che Carlo Terron nel <<Corriere
Lombardo>> scrive: << In una regia nella quale la precisione e
la graduazione del concerto sono state poste al servizio della più
rigorosa fedeltà alla parola e ad ogni minima indicazione
dell’autore, Eduardo ha inserito o,
meglio sarebbe dire, ha
insinuato la propria creazione di interprete con un arte ormai così
decantata, limpida e pura da apparire indifesa>>61.
Naturalmente dalle sfumature con cui viene definito il suo ruolo
di regista si nota che Eduardo viene collocato, come spesso gli
accade, al confine fra tradizione e innovazione. La sua regia,
infatti, si configura come organizzata secondo i modi tipici della
tradizione che ha nel capocomico la sua figura emblematica.
Tuttavia, questa stessa regia negli sviluppi e negli effetti che
60
E.P., Il berretto a sonagli due atti di Luigi Pirandello , in <<Corriere della Sera>>,
MILANO, 17-2-62.
61
CARLO TERRON, Eduardo nel Berretto a sonagli. Lirica vertigine di un personaggio,
in <<Corriere Lombardo>>, MILANO, 17-2-62.
90
raggiunge, con
l’essenzialità e l’armonia che comunica, tocca
punte di evidente modernità. L’autorevolezza di artista che
Eduardo consegue in questi anni, è paradossalmente evidenziata
da una critica di De Monticelli, che proprio sottolineando la
distanza di Eduardo
l’autonomia
da Pirandello, in realtà fa risaltare
della complessità artistica dell’attore-autore
napoletano. De Monticelli coglie la diversità da Pirandello in due
elementi: la trasposizione in dialetto che <<vela un poco la lucida
consequenzialità, l’inesorabile progredire [del testo pirandelliano
in lingua]>> e la recitazione <<troppo smorzata, intensa sì, ma
sommessa; e questo è un dramma che grida>>62.
In realtà, appunto,
in questi elementi la maggior parte dei
recensori individua le note originali e positive dell’allestimento.
Fulvio Palmieri, nella messinscena del 64, sintetizza proprio
nell’incontro con Pirandello la: <<[…]definitiva impostazione
della personalità di Eduardo, come attore e come autore>>. Il
titolo stesso del suo articolo -Un Pirandello napoletano62
ROBERTO DE MONTICELLI, Ritorna il tragico Ciampa di Eduardo, in <<Il
Giorno>>, MILANO,17-2-62.
91
evidenzia la natura tutta eduardiana cui è giunto lo spettacolo63.
Basta, infatti, considerare il progressivo spazio che occupa nelle
recensioni l’operazione di adattamento in napoletano compiuta
da Eduardo, per comprendere come questa stessa operazione sia
avvertita dalla critica, perfettamente integrata ed in linea con i
tempi, le pause e i toni della sua interpretazione. In altre parole,
anche in questa opera non direttamente sua, la critica di questo
periodo dimostra di avere compreso e accettato il ruolo
dell’adattatore o del drammaturgo, implicito nella definizione di
Eduardo “attore che scrive”. A tal proposito Sandro De Feo
associa: <<la più gentile e cordiale parlata napoletana>>, che
discioglie: <<i duri nodi del passionale raziocinare dell’eroe
pirandelliano>>, al tempo di Eduardo, <<i suoi “piano”
strazianti, le sue pause dolorose, i suoi silenzi […], la sua amara
saggezza, la sua immensa civiltà e grecità>>. Così: <<il suo
Ciampa è davvero suo, […] con una forza di verità e di
persuasione che deriva più dalla grande verità dell’attore che dai
63
FULVIO PALMIERI, Un Pirandello napoletano, in <<Vita>>, MILANO, feb., 1964.
92
ragionamenti del testo>>.64
Ma dov’è che si conferma il valore drammaturgico della
traduzione in napoletano compiuta da Eduardo sul Berretto a
sonagli? Tale questione è particolarmente approfondita da Nicola
Chiaromonte in un articolo del 65, che individua nel Ciampa di
Eduardo un fedeltà tutta particolare
al testo pirandelliano.
Questo, infatti, per essere reso avrebbe avuto bisogno di uno stile
recitativo più freddo e distanziato,
capace di rendere la
particolare concettosità filosofica della dialettica pirandelliana.
Eduardo, invece,
scegliendo il dialetto napoletano, pur
immettendo una naturalità che svela le ragioni dell’umanità di
Ciampa, non gli toglie quelle dell’intelletto e dei concetti. Ciò
che Nicola Chiaromonte mette in dubbio è
la capacità del
dialetto di esprimere, senza perdere la sua carica naturalistica,
alcune parti fondamentali del testo del Ciampa pirandelliano: il
passaggio da uno stile farsesco, insito nel monologo delle tre
corde, al carattere raziocinante e serio di quello dei pupi, fino al
monologo finale della pazzia, così inesorabilmente freddo e
64
SANDRO DE FEO, Pirandello senza spine, in << L’Espresso>>, ROMA, 30-5-65.
93
grottesco. Eppure Eduardo riesce :<<a graduare mirabilmente il
passaggio dalla prima immagine farsesca, alla seconda, che è
intellettuale, e poi a tenere in sordina il carattere violentemente
raziocinante della tirata, la quale nel testo segna ne più ne meno
che l’esplosione della coscienza di Ciampa, l’annuncio della sua
verità e, di conseguenza, il passaggio dell’azione dal piano
naturalistico a quello intellettuale>>65.
Giungiamo, dunque, alla fine degli anni 7066 (stagione teatrale
79-80), periodo caratterizzato dall’ultimo allestimento teatrale di
Eduardo. Vi appaiono Angelica Ippolito nel ruolo di Beatrice,
Sergio Solli in quello di Spanò, Luca de Filippo in quello di
Federico, e Concetta Barra nel ruolo della Saracena67.
L’arte di Eduardo è divenuta ormai così consapevole e grande,
che quasi non ha più bisogno di segni esterni per esprimersi. Il
65
NICOLA CHIAROMONTE, Eduardo e Pirandello, in <<Mondo>>, ROMA, 25-5-65.
DOMENICO REA, Eduardo e i drammi dell’anima, in <<Il Mattino>>, NAPOLI,14-41979; SERGIO COLOMBA, Un caldo abbraccio per Eduardo, in <<La Nazione>> e <<Il
Resto del Carlino>>, NAPOLI/BOLOGNA, 14-4-79; ROBERTO DE MONTICELLI,
Pirandello è diventato Eduardo, in <<Corriere della Sera>>, MILANO, 25-10-79; RENZO
TIAN, Il gioco delle tre corde, in <<Il Messaggero>>, ROMA, 25-10-79; GUIDO
DAVICO BONINO, Eduardo ritorna sulla scena, in <<La Stampa>>, TORINO,29-10-79;
FABIO DOPLICHER, Il berretto a sonagli, in <<Sipario>>, n. 403, dicembre 1979;
SERGIO COLOMBA, Arriva Eduardo: un trionfo, in <<Il Resto del Carlino>>,
BOLOGNA, 24-1-1980.
66
94
dolore di Ciampa, del pirandelliano Ciampa è reso con i silenzi,
come se Eduardo non recitasse più. Egli <<smozzica parole,
distilla sillabe, nel sussurro di uno sconforto atroce>>68. L’arte di
Eduardo sta nel fatto che <<aggiunge sottraendo>>69. Eduardo è
andato
oltre
Ciampa.
La
sua
<<interpretazione
è
più
autobiografia che rappresentazione>>70 per raggiungere davvero
<<un’arte dell’essenzialità>>71, nella quale <<Pirandello resta
come una partitura, la cui esecuzione diventa differente ogni sera:
e non tanto per i virtuosismi di Eduardo […] quanto perché
questo Ciampa è essenzialmente piuttosto un Eduardo al
quadrato>>72.
Le recensioni, dunque, ci hanno permesso di individuare un
percorso originale di Eduardo interprete del Berretto a sonagli di
Luigi Pirandello.
67
ALESSANDRO D’AMICO, Maschere…, cit., p. 632.
GUIDO DAVICO BONICO, A ottant’anni, ..,cit.
69
RENZO TIAN, Il gioco …cit.
70
FABIO DOPLICHER, Il berretto …,cit.
71
DOMENICO REA, Eduardo …,cit.
72
SERGIO COLOMBA, Arriva Eduardo…,cit.
68
95
Dal lontano 1936, quando Il berretto fu rappresentato da Eduardo
per la prima volta, insieme al fratello Peppino e a Titina, fino
all’ultimo allestimento (79-80), è trascorso circa un quarantennio.
I primi anni sono stati quelli in cui Eduardo
ha cercato di
delineare lo stile e i caratteri di una interpretazione propria, che
però ha dovuto confrontarsi con un repertorio comico legato alla
tradizione e che quindi ha impresso alla sua recitazione un
carattere espressivo particolarmente variegato, capace di
delineare, nella maturazione della coscienza di Ciampa, un vero e
proprio percorso di stati d’animo, varianti dalla mitezza
raziocinante alla tragedia vera e propria.
Ma già dagli anni 40 è emerso un Eduardo attore che ha
approfondito ulteriormente la
rendendo
l’intero
coscienza
allestimento
della sua arte,
incentrato
sulla
sua
interpretazione, caratterizzata da un tipo di recitazione più
sfumata
e
graduale
e
perciò
all’operazione di “riscrittura”
perfettamente
omogenea
e di ambientazione in dialetto
napoletano.
96
Giungiamo così agli anni 60. La sua drammaturgia di attore e di
autore
si presenta orientata più verso le ragioni del cuore e
dello svelamento solidale dell’umano,
che verso quelle più
intellettualistiche e filosofiche di Pirandello, di fronte al quale
Eduardo si pone con la coscienza matura di un autore ormai forte
della sua scrittura e del suo mondo poetico.
Arriviamo così agli anni 70, anni nei quali Eduardo ha raggiunto
l’arte <<dell’impassibilità>>, ovvero
da
un’arte recitativa così
sapientemente
decantata
apparire
quasi
distaccata,
“impassibile”,
nella quale però si concentrano i motivi più
profondi e toccanti del mondo poetico eduardiano, quel suo
guardarsi recitare, quel senso riflesso della vita, che per Eduardo
è il teatro tout court. L’Eduardo dell’ultimo allestimento teatrale
sembra quasi non recitare più, di tanto, infatti, l’uomo è andato
oltre il personaggio. Eduardo ha superato Ciampa e così la sua
recitazione è diventata più autobiografia che rappresentazione.
97
IV Capitolo
PAOLO STOPPA INTERPRETE DE
IL BERRETTO A SONAGLI DI PIRANDELLO
98
Stoppa e Pirandello
<<Pirandello è stato il mio primo autore e il mio primo regista. Il
mio primo autore ed anche l’ultimo visto che proprio al termine
delle repliche de Il Berretto a sonagli che ho interpretato nella
stagione ‘83-’84 mi ha preso quel profondo disamore allo stato
attuale del teatro per cui ho deciso di mettermi, almeno
temporaneamente, a riposo. […]. Ma il ricordo più commovente
di quei giorni del 1925 passati accanto al Maestro fu quando mi
parlò de Il Berretto a sonagli. Mi disse <<Ho appena finito di
riscrivere una commedia in italiano. Odio il sicilianismo continuò- e siccome questa commedia la considero una delle mie
cose più belle l’ho voluta tradurre>>. Poi me la raccontò e
ricordo che mi piacque tantissimo. Dissi: <<Chissà se la potrò
mai fare nella vita?>>, <<Se diventi bravo la farai>>. Mi son
sempre ricordato quella risposta e così per non deluderlo e per
non deludermi ho aspettato quasi cinquant’anni per farla. Ma io a
Ciampa ho pensato tutta la vita>>1.
1
PAOLO STOPPA, Pirandello mio primo regista, in Riccardo Bonacina (a cura di),
Pirandello in quattro atti, in <<Il Sabato>> 7 giugno 1986, pp. 110-111.
99
In effetti Paolo Stoppa concluse la sua carriera artistica proprio
con Il Berretto a sonagli di Pirandello, in un’allestimento per la
regia di Squarzina che ebbe anche una versione televisiva2.
Luigi Squarzina che diresse Stoppa nel Berretto a sonagli, rimase
sbalordito quando, alla prima lettura, vide l’attore presentarsi con
il copione chiuso
e la parte di Ciampa, la “sua” parte,
perfettamente a memoria. Emerge, pertanto, un Ciampa a lungo
pensato e interiorizzato da parte di Paolo Stoppa, anche se dal
suo repertorio si evidenzia che il rapporto con le opere di
Pirandello fu piuttosto scarso. Stoppa iniziò la sua carriera come
comparsa, da allievo, proprio con Pirandello, che non apparve
in veste di autore, ma di regista. Allora Stoppa si era da poco
iscritto alla Scuola di Recitazione “Eleonora Duse” di Santa
Cecilia di Roma3 e fu chiamato a partecipare allo spettacolo
diretto da Luigi Pirandello, Sagra del Signore della nave, dello
2
cfr: intervista a Luigi Squarzina
La scuola di recitazione “Eleonora Duse”, annessa al Conservatorio di Santa Cecilia, in
via dei Greci, venne fondata nel 1894. La direzione toccò per prima all’attrice Virginia
Marini, alla quale succedette (dal 1920 al 1922) un altro attore, Cesare Dondini, seguito da
Franco Liberati, che affidò la cattedra di storia del teatro a Silvio d’Amico. Questi prese
parte alla compilazione del nuovo statuto della scuola, pubblicato sulla “Gazzetta
Ufficiale”, 6 aprile 1926. La svolta definitiva avvenne nel 1934, quando D’Amico
3
100
stesso maestro siciliano
che si iscriveva
stagione del teatro d’Arte di Roma4.
all’interno della
Ma da quella prima
esperienza Paolo Stoppa si incontrò con le opere di Pirandello
soltanto altre tre volte. Due volte nel Così è se vi pare5 e l’ultima
nel Berretto a sonagli6 alla fine della sua carriera.
La carriera e gli incontri artistici di Stoppa
Tutto l’iter artistico di Stoppa ci appare nel suo insieme
caratterizzato da una forte ecletticità, che portò l’artista romano a
trasformò la vecchia scuola nella Regia Accademia di Recitazione che oggi porta il suo
nome.
4
Luigi Pirandello fondò e diresse nel 1925 una compagnia teatrale, denominata Teatro
d’Arte o (Teatro dei XII), che ebbe in Marta Abba un’ideale primattrice. La Compagnia,
che si proponeva come “stabile”, ebbe la sua sede in via SS. Apostoli, nel seicentesco
palazzo Odescalchi , già sede del Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca. Furono in realtà
Stefano Pirandello, che si firmava Stefano Landi, ed Orio Vergani a progettare un teatro del
tutto autonomo dal repertorio cosiddetto commerciale, come anche dal teatro d’avanguardia
di quegli anni che si identificava con il Futurismo. Tra i collaboratori più importanti che
aderirono a questa iniziativa ricordiamo Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli, Guido
Salvini, Giuseppe Prezzolini, Alberto Savinio e Giorgio De Chirico, che tra l’altro disegnò
la scenografia de Il Berretto a sonagli, allestito in questa occasione avendo come
protagonista Camillo Pilotto. Con la Compagnia del Teatro d’Arte Pirandello mise in scena
17 recite del Berretto in tredici città italiane e due sudamericane. La prima fu a Firenze il
24 settembre 1926. Cfr., A. D’AMICO-A.TINTERRI, Pirandello capocomico…cit..
Ricorda Paolo Stoppa che destò molto stupore il fatto che Mussolini avesse concesso a
Pirandello una sovvenzione in denaro, poco tempo dopo averla negata ad Eleonora Duse.
Nessuno ebbe il coraggio di chiederne ragione al commediografo per non rammentargli
forse l’unica pagina che si era pentito di avere scritto: la lettera di adesione al regime
fascista, non più di un anno prima in piena crisi Matteotti. Cfr., PAOLO STOPPA, Quei
giorni con Pirandello e una comparsa di nome Anna Magnani, in <<Corriere della Sera>>,
ROMA, 7 luglio 1983.
5
la prima volta nel febbraio del 1965 con la Compagnia Morelli-Stoppa Teatro QuirinoRoma regia di M. Ferrero e la seconda il 17 marzo 1972 al Teatro Valle-Roma con la
Compagnia Albani-De Lullo-Falk-Morelli-Stoppa-Valli, per la regia di G. De Lullo.
101
confrontarsi con interpretazioni di diversa natura. Cinema, TV
teatro furono le dimensioni che forgiarono le qualità artistiche di
Stoppa. Anche all’interno del suo itinerario teatrale, che costituì
sempre il suo ambito preferito, egli attraversò varie fasi,
ricoprendo ruoli molto diversi tra loro, ma entro i quali Stoppa
riuscì a crearsi un proprio stile.
Uno degli elementi che sicuramente
lo caratterizzarono
maggiormente, fu un tipo di recitazione in cui riusciva a
contaminare con molta naturalezza, elementi farseschi, comici, e
in generale legati ad un tipo di teatro leggero, con gli aspetti più
drammatici acquisiti dalla assidua frequentazione di un certo
tipo di teatro che potremmo definire grottesco.
Dall’apprendistato artistico del giovane Stoppa notiamo che,
dopo una prima esperienza con una “Compagnia di giro”6, in cui
prevaleva il registro comico, Stoppa incontrò il suo primo grande
6
La rappresentazione del Berretto a sonagli avvenne il 15 febbraio 1984, al Teatro BonciCesena, con M. Crotti, A.M. Bottini, A. Sorrentino, C. Calò, A. Fattorini, R. Livesi, F.
Trentanove, per la regia di Luigi Squarzina.
6
Si intende con questo termine una formazione professionale (generalmente triennale)
itinerante, diretta da un capocomico e da un amministratore impresario. Il repertorio da
presentare nelle varie città, dove si sostava da un minimo di pochi giorni ad un massimo di
due mesi, comprendeva circa quindici lavori. Le prove duravano qualche ora per i primi
102
maestro che fu Antonio Gandusio,7 con il quale collaborò fino al
1932, assorbendo da lui la convinzione che recitare fosse vivere
un’esistenza fatta di sacrificio e abnegazione, in cui l’attore non
può, né deve risparmiarsi. Al punto che D’Amico arriva a dire,
con sottile ironia: <<Gandusio suda: quella di Gandusio non è
una recitazione, è una grande fatica>>8.
Gandusio modellava il repertorio della Compagnia sulla sua
personalità: opere contemporanee, comiche, generalmente con
una certa propensione per gli autori del cosiddetto teatro
grottesco9. Quindi fin dall’inizio, Stoppa si esercitò in ruoli in cui
erano fondamentali doti espressive particolari: per esempio la
capacità di comunicare
nello stesso tempo
sentimenti
contrastanti, oscillanti tra il riso e il tragico. Il grottesco infatti,
non gli impediva di immettere nella sua recitazione un sottofondo
attori, e qualche giorno per gli attori nuovi. Lo spettacolo comprendeva generalmente un
lavoro in più atti ed una farsa finale.
7
Cfr., SILVIO D’AMICO, Tramonto del grande attore, La Casa Usher, FIRENZE, 1979,
p. 70.
8
Ibidem p. 70.
9
Con l’aggettivo “grottesco”si indica un teatro in cui i personaggi, in seguito ad una
scomposizione quasi meccanica delle loro passioni,agiscono appunto come grottesche
marionette in balia di un destino cieco e inconoscibile. Gli autori più importanti di questo
tipo di teatro agli inizi di secolo furono Luigi Chiarelli (La maschera e il volto) e Luigi
103
di angoscia che sembrava appartenergli anche esistenzialmente,
come lui stesso sottolineava: <<L’angoscia fa parte del mio
carattere, in tutta la mia vita ho passato lunghi periodi di
pessimismo, di paure, di angosce>>.10
Accanto all’esperienza con Gandusio, si può individuare quella
con la Compagnia diretta da Egisto Olivieri, specializzata in
spettacoli gialli e con la quale Paolo Stoppa lavorò per alcune
stagioni teatrali, compiendo anche la sua prima tournèe
all’estero: un mese a Tripoli nel gennaio del 193311.
Fu questa degli spettacoli gialli, una esperienza certamente meno
determinante degli anni con Gandusio, ma che senza dubbio
arricchì il bagaglio culturale ed artistico del giovane Stoppa,
grazie alla frequentazione di un genere teatrale totalmente nuovo,
per il quale era stato chiamato ad un tipo di recitazione diversa,
Antonelli (La rosa dei venti, Il barone di Corbò) Rosso di san Secondo ( Marionette che
passione!).
10
Cfr., La maschera del “rustego” Stoppa, Mostra Documentaria curata da Renzo Tian ,
Teatro Eliseo 21 novembre 1988-22 gennaio 1989.
11
Dall’ottobre del 1933 all’agosto del 1934 Paolo Stoppa lavorò con la Compagnia
Spettacoli Gialli . Si ricordano : Dalle cinque alle sei di J. Bradley (14 ottobre 1933), Il
trattato scmparso (30 ottobre 1933), Il terrore di Wallace (21 novembre 1933), L’ombra
dietro la porta di A. De Stefani (27 novembre 1933), La spia di Wallace ( novembre 1933),
La tredicesiama sedia di R. Browning (1934), Anonima fratelli Royott, di G. Giannini (25
gennaio 1934), Roxy-Bar di G. Donadio (agosto 1935). Cfr,. La maschera…, cit.
104
meno esasperata di quella precedente.
Ma il secondo evento fondamentale della carriera artistica di
Stoppa fu quello dell’entrata nella Compagnia di Renzo Ricci
nell’autunno del 1934. Per l’attore romano fu l’occasione di
uscire
dalle parti secondarie, lavorando in una formazione
teatrale importante a livello nazionale, che gli aprì, nel contempo,
l’amicizia che durò tutta la vita con Renzo Ricci. Con questa
Compagnia si accostò ad autori di qualità e ad un metodo di
lavoro professionalmente più maturo, con un maggiore numero di
prove ed una più approfondita analisi del testo.12
Proprio in questo periodo Paolo Stoppa ebbe modo di interpretare
un personaggio importante come quello di Bob Laroche in Tempi
difficili di Eduard Bourdet, un giovane storpio mezzo paralitico.
Proprio questa interpretazione, tuttavia, all’indomani della prima,
ricevette una stroncatura dall’autorevole critico del “Corriere
della Sera”, Renato Simoni,13 in quanto non venne accettata la
12
Tra le interpretazioni più importanti ricordiamo: Tempi difficili, di E. Bourdet (ottobre
1934), Pietre miliari, di Bennet e Knoblock (30 maggio 1935).
13
RENATO SIMONI, Tempi difficili in <<Corriere della Sera>>, MILANO, 4 novembre
1934.
105
resa crudamente realistica del personaggio.
Insomma, i primi dieci anni di carriera e di formazione di Paolo
Stoppa
furono
caratterizzati
da
incontri
eterogenei
ma
ugualmente importanti. Antonio Gandusio e Renzo Ricci ne
erano stati i cardini fondamentali. Ultimo superstite della grande
famiglia dei “brillanti” italiani il primo, attore ancora formato
nella
tradizione
ottocentesca,
ma
attento
e
partecipe
dell’evoluzione della scena, il secondo.
Ma l’intero cammino artistico di Paolo Stoppa ruotò intorno al
Teatro Eliseo di Roma. Egli stesso lo definì come la sua seconda
casa.14 All’Eliseo infatti, Stoppa raccolse i primi successi
personali, lavorando nell’omonima formazione e
realizzando
l’esperienza più importante della sua carriera: la costituzione
della ditta con Rina Morelli e Luchino Visconti15. Questo
14
La stessa abitazione di Stoppa non era lontana dal teatro. Infatti egli viveva in un attico
in via Della Consulta, sopra al teatro, al quale l’appartamento era direttamente collegato da
una scala interna. La testimonianza di Stoppa è contenuta in PATRIZIO GERIUS, Un
teatro val bene una vita, in <<La Repubblica >>, ROMA, 18 settembre 1979. Cfr., anche
MAURIZIO GIAMMUSSO, Eliseo: un teatro e i suoi protagonisti, ROMA, 1990, p. 75.
15
Cfr., LUCHINO VISCONTI, Il mio teatro, BOLOGNA, 1979, pp. 79ss; PAOLO
STOPPA, Il primo a fischiarmi fu lo spettatore Luchino Visconti, in <<Corriere della
Sera>>, 24 luglio 1983. La collaborazione tra Stoppa e Visconti interessò circa un
quindicennio della vita dell’artista romano (1945-1961). Tra le opere più significative
ricordiamo: Antigone di Jean Anouihl (18 0ttobre 1945), Delitto e castigo, di F.
106
incontro si trasformò in collaborazione artistica per la
condivisione di obiettivi programmatici comuni.
Alla base c’era una concezione dello spettacolo teatrale come
fusione tra le varie componenenti, e la resa del testo poetico
attraverso una recitazione tesa e sofferta. Stoppa rivelò insieme al
suo temperamento di attore poliedrico, una predisposizione
all’organizzazione, realizzando sulla scena testi sconosciuti o di
difficile presa sul pubblico, e senza mai cercare un facile
successo. Il rapporto tra Luchino Visconti e Paolo Stoppa fu
significativo anche per quanto riguarda il peculiare legame che
realizzarono tra attore e regista. Nella loro collaborazione essi
esprimevano l’occasione per potenziare e valorizzare le capacità
attoriali, messe al servizio del vero obiettivo comune: lo
spettacolo.
Il merito maggiore di Paolo Stoppa fu quello di avere compreso
Dostojevskij (12 novembre 1946), Zoo di vetro, di T. Williams (12 dicembre 1946),
Euridice di J. Anouihl (28 febbraio 1947), Rosalida, o come vi piace, di W. Shakespeare
(26 novembre 1948), Troilo e Cressidra, di W. Shakespeare (21 giugno 1949), Morte di un
commesso viaggiatore di A. Miller (10 febbraio 1951), La locandiera di C. Goldoni, (2
ottobre 1952), Le tre sorelle di A. Cechov (20 dicembre 1952), Zio Vania di A. Cechov (20
dicembre 1955), L’ impresario delle Smirne di C. Goldoni (1 agosto 1957), Uno sguardo
dal ponte, di A. Miller (18 gennaio 1958), L’Arialda di G. Testori (22 dicembre 1960).
107
come, in una concezione teatrale moderna, ancor più della
personalità dei singoli, avesse valore l’organicità dell’insieme. In
una intervista del 1963 Visconti descrisse i criteri del suo lavoro
da cui si può evincere il lungo e accurato studio fatto con gli
attori. Ogni artista doveva giungere alla prima prova: <<Con la
sua parte nemmeno nell’orecchio, perché io raccomando che essa
non venga studiata a memoria : deve attaccarsi all’attore durante
le lunghe sedute che si fanno, in modo che egli giunga a
conoscerla in modo dolce e persuasivo, conoscendo soprattutto
quello che ci sta dietro>>.16
L’esercizio allo studio aveva portato Paolo Stoppa a calibrare in
modo appropriato e minuzioso la sua recitazione, al fine di
renderla sempre più idonea ad esprimere il personaggio.
Non è un caso, che dopo la precoce esperienza del Teatro
dell’Arte nel 1925, Stoppa incontri Pirandello nella sua piena
maturità artistica nel febbraio del 1965 al Teatro Quirino, con il
Così è( se vi pare). Queste le impressioni dell’attore: <<Avevo
paura; è il più grande poeta del Novecento e non si può farlo
16
LUCHINO VISCONTI, Il mio …, cit. pp. 87 ss.
108
superficialmente. Ho cercato nella commedia uno stile scarno,
rispettando il testo nella lettera oltre che nello spirito>>.17 Nella
sua interpretazione Paolo Stoppa fu giudicato: <<Sanguigno,
ribollente e martoriato dalla morsa di una indiscrezione
mostruosa>>18.
La stessa opera fu ripresa nel marzo del 1972 con la regia di
Giorgio De Lullo. In quell’occasione anche la sua interpretazione
si arricchì <<giocando sui toni bassi e modulati senza peraltro
demitizzare la figura interpretata>>19.
Il berretto a sonagli di Stoppa
L’ultima prova
di Stoppa fu Il Berretto a sonagli. Questa
interpretazione diretta da Luigi Squarzina si basava su di un testo
che, pur avvalendosi della prima versione in lingua, datata 1918,
recuperava alcuni brani derivanti dall’antico copione dialettale (A
birritta cu’i ciancianeddi) scritto per l’attore Angelo Musco.20
Stoppa vi appare con tutta la sua arte recitativa, è il vero
17
ITALO MOSCATI, Il ruggito delle nove, in <<L’Avvenire d’Italia>>, 20 aprile 1965.
RENZO TIAN, Così è (se vi pare) di Pirandello con Rina Morelli e Paolo Stoppa, in
<<Il Messaggero>>, ROMA, 6 febbraio 1965.
19
MARIO GUIDOTTI, Verità da Pirandello, in <<l’Avvenire>>, 18 marzo 1972.
20
vedere il capitolo primo e l’intervista a Squarzina.
18
109
protagonista dell’opera. Nella versione televisiva, le inquadrature
e i personaggi gli ruotano intorno, per evidenziarne la perizia
interpretativa. La sua tecnica espressiva dà conto chiaramente dei
sottotesti inerenti al suo personaggio, ogni gesto è ben calcolato,
la recitazione è appropriata. Emerge la sua bravura di attore
consumato, che si manifesta soprattutto nella comunicazione col
pubblico, al quale sa regalare con sapiente dosaggio, sia gli effetti
comici, sia quelli più grotteschi. Il suo è un Ciampa forte,
tutt’uno con l’attore, è un Ciampa che sfida il dolore, cosciente
della sua forza, lucido, razionale, che sa manipolare. Anche il
tema della pazzia vi appare, più che come soluzione pacifica,
come rivalsa, come arma per colpire non solo Beatrice, ma il
contesto sociale dal quale Ciampa, nella sua condizione di
dipendente, si sente escluso e che vuole sfidare. La stessa
Beatrice, in questa messa in scena si riappropria delle battute
eliminate nella versione dialettale. Ma se da un punto di vista
tematico, del contenuto, viene amplificato il tema della rivalsa
della donna, come lo stesso Squarzina sottolinea, ciò avviene
110
solo quando Ciampa è assente dalla scena. E ciò amplifica l’idea
dello scontro, di un duello ideale con il protagonista maschile. E’
il tono fermo, quasi imperioso di Beatrice a sottolineare tutto
questo, senza però che la donna riesca ad uscire da una logica di
sottomissione alla legge ferrea della pazzia
che Ciampa
le
impone.
Dalla registrazione televisiva si evidenzia, inoltre, la diversità
dell’attore-personaggio Stoppa rispetto agli altri personaggi. A
differenza degli altri interpreti, egli sviluppa un ulteriore livello
di comunicazione con il pubblico, sottolineando una duplicità
interpretativa che gioca, sia a livello del personaggio di Ciampa,
che risulta essere “vincente”, sia come attore che celebra se
stesso. Tutto ciò alimenta l’efficacia espressiva e ben individuata
rispetto al contesto del suo Ciampa. La stessa registrazione
televisiva
di Squarzina asseconda questa dinamicità e
convergenza del personaggio-attore Stoppa, con una regia che
accentra in lunghi e frequenti primi piani la figura dell’attore, che
per esempio fin dalla sua entrata nel secondo atto è ripreso in un
111
ininterrotto primo piano che, lasciando nell’ombra le battute dei
suoi interlocutori, ci mostra tutto il secondo atto come un lungo
monologo di Ciampa.
Rispondendo ad un intervista sulla sua interpretazione del
Berretto a sonagli Stoppa rispondeva: <<Quello fra me e Ciampa
è un discorso che dura da tanti anni. Ci siamo idealmente parlati
per decenni, anche perché me lo sono sempre trovato intorno.
Voleva essere rappresentato, ma io rimandavo l’appuntamento,
continuando tuttavia ad assimilare la sua personalità, a
scandagliare il suo animo a riflettere sui suoi ragionamenti. Oggi
credo di essere pronto: fra me e Ciampa non ci sono più segreti.
Perciò lo porto sulla scena. E sarà un Ciampa dei nostri giorni,
senza quegli atteggiamenti un po’ dialettali e provinciali che pure
hanno lusingato qualche mio collega in passato. […] Abbiamo
reintegrato con il regista Squarzina alcuni brani dell’originale che
Pirandello scrisse per Angelo Musco in vernacolo in A birritta
cu’i ciancianeddi e che poi lo stesso autore tolse durante le prove
per la prima rappresentazione del 1916. Li abbiamo reinseriti
112
perché li abbiamo trovati di grande importanza sia per l’alta
qualità dell’invenzione letteraria e scenica, sia per i significati
che approfondiscono o addirittura introducono nell'opera>>.21
E’ interessante evidenziare che questo spettacolo non ha avuto,
però, solo recensioni entusiastiche ed accentrate su Stoppa. Ugo
Volli, per esempio, sottolinea che, pur prevedendo un grande
successo per questa messa in scena di Squarzina, manca ad essa
<<quella tensione etica, filosofica, psichica, quel dolore, quella
follia, che è il cuore vero della drammaturgia pirandelliana>>.
Volli intravede il lavoro di regia e di concertazione tra gli attori,
basato soprattutto sulla ricerca di stimoli comici, denunciando
comunque
mancanza di volontà di scavo, di interpretazione
demistificante. Di Stoppa tuttavia egli coglie positivamente la
varietà di toni e di stati d’animo del suo Ciampa22.
Roberto De Monticelli, invece,
coglie tutti i lati positivi di
questo allestimento, a partire dal recupero filologico operato sul
21
EMIDIO JATTARELLI, Paolo Stoppa: ecco il mio Ciampa, in <<Il Tempo>>, 4.11.84.
22
UGO VOLLI, Pirandello “classico” ben si addice allo scrivano Stoppa, in <<La
Repubblica>>, 17 febbraio 1984.
113
testo, fino a trovare nel <<grottesco>>, la linea portante su cui
Squarzina ha impostato la messa in scena: <<…muovendo la
commedia sull’onda alterna della comicità e dell’angoscia, senza
indulgere al bozzettismo naturalistico, ma nello stesso tempo, in
quella scena scura, opprimente, di Gianfranco Padovani
non
staccandosi mai dalla concreta rappresentazione di una società.
[…] Di Paolo Stoppa e della sua segreta vocazione pirandelliana
ho detto. Ma devo aggiungere che questo suo Ciampa appare
studiato, anzi sofferto, in ogni mossa, in ogni parola per non dire
in ogni sillaba; è una figura su cui batte fin dall’inizio il riverbero
di una consapevole disperazione che non per questo si nega ai
toni agro-ilari dell’ironia>>. 23
Di Paolo Stoppa interprete del Berretto a sonagli non si può che
sottolineare la grande maestria artistica, frutto di una carriera
poliedrica e ricca di importanti contatti artistici come quelli con
Gandusio, Ricci, Rina Morelli, Visconti. Il suo Ciampa, tra il
grottesco ed il tragico, ha contribuito ad approfondire e a
23
ROBERTO DE MONTICELLI, Stoppa tragico Ciampa, in <<Il Corriere della Sera>>,
15 marzo 1984.
114
restituire un Pirandello più moderno ed europeo.
115
INTERVISTA A LUIGI SQUARZINA SU
IL BERRETTO A SONAGLI DI L. PIRANDELLO
L’intervista al prof. Squarzina è stata realizzata nell’aprile del ’98
nella sua residenza romana. L’intento era quello di rilevare una
delle testimonianze più qualificanti della messinscena del
Berretto a sonagli di Pirandello sia nell’edizione teatrale dell’84,
sia di quella audiovisuale dell’86.
La messinscena del “ Berretto a sonagli “ nella stagione teatrale
1983/1984 da parte di Luigi Squarzina è stato, infatti, uno degli
avvenimenti artistici più significativi di quel periodo. Lo
spettacolo ebbe una grande risonanza di pubblico e di critica, ma
soprattutto ripropose il proficuo e ormai storico rapporto di
Squarzina con le opere di Pirandello1 e il ritorno sulla scena di
1
Cfr. LUIGI SQUARZINA, Da Dioniso a Brecht, BOLOGNA 1988; ID. Questa sera
Pirandello, VENEZIA 1990, pp. 7-8; Luigi Squarzina e il suo teatro, a cura di Laura
Colombo e Federica Mazzocchi, ROMA 1996. Le messinscena pirandelliane di L.
Squarzina sono : Ma non è una cosa seria, 1957, con Olga Villi e Gabriele Ferzetti,
Compagnia del Teatro Eliseo; Ciascuno a suo modo, 1961, con Alberto Lionello, Lydia
Alfonsi, Turi Ferro, Compagnia Stabile di Genova; Non si sa come, 1966, con Alberto
Lionello, Compagnia Stabile di Genova; Questa sera si recita a soggetto, 1971, con Eros
Pagni, Lucilla Morlacchi, Omero Antonutti, Compagnia Stabile di Genova; Il berretto a
sonagli, 1984, con Paolo Stoppa, Miriam Crotti, Alberto Sorrentino, Antonio Fattorini,
Carla Calò, Anna Maria Bottini, Rita Livesi, Fiamma Trentanove, scene: Gianfranco
116
Paolo Stoppa in quella che sarà la sua ultima e tra le più
acclamate interpretazioni2. Inoltre,
per la prima volta, nella
versione in italiano del testo, furono reintegrati importanti tagli
attuati nel 1917 dall’attore Angelo Musco3 nella versione
dialettale e che Pirandello accolse definitivamente anche nelle
successive edizioni in italiano e mai più eliminati.Questa
operazione di recupero dei tagli e di traduzione dal dialetto
Padovani, musiche: Paolo Terni, Compagnia Paolo Stoppa; L’uomo, la bestia e la virtù,
1985, con Ugo Pagliai, Paola Gassman; Tutto per bene, 1988, con Gianrico Tedeschi.
2
Cfr. UGO VOLLI, Pirandello “ classico “ ben si addice allo scrivano Stoppa,
<<LaRepubblica>>, 17.02.1984; PAOLO EMILIO POESIO, La verità ? E’ follia. Stoppa
torna a Pirandello, <<La Nazione>>, 08.03.1984; UGO RONFANI, Stoppa e la corda
pazza di Pirandello, <<Il Giorno>>, 15.03.1984; GUIDO DAVICO BONINO, Al
“vaudeville“ nero di Pirandello è approdato un giovanissimo Stoppa, <<La Stampa>>,
15.03.1984; ROBERTO DE MONTICELLI, Stoppa tragico Ciampa, <<Il Corriere della
Sera>>, 15.03.1984; SANDRO DINI, Stoppa al centro di un grande successo, <<Il
Tempo>>, 15.03.1984; G. A. CIBOTTO, Dimensione tragica. Una straordinaria
interpretazione di Paolo Stoppa, <<Il Gazzettino>>, 01. 11. 1984; UBALDO SODDU,
Pirandello come un orologio, <<Il Messaggero>>, 15.11.1984; GIORGIO PROSPERI, La
“prima“ in italiano del berretto a sonagli, <<Il Tempo>>, 15.11.1984; GIORGIO
POLACCO, Questo nostro mondo è ben più stolido del pietosamente sfortunato Ciampa,
<<Piccolo>>, 10.01.1985; PAOLO LUCCHESINI, Ciampa, la sua lucida follia. Un grande
Stoppa nel “Berretto a sonagli”, <<La Nazione>> 7.2.1985; L.R., Giusto ritorno di Paolo
Stoppa, <<Il Tempo>> 14. 4. 1985;
intervista a Paolo Stoppa, cfr. EMIDIO
JATTARELLI, Paolo Stoppa : ecco il mio Ciampa, << Il Tempo >> 04.11.1984.
3
Angelo Musco (1871- 1937) fu il primo interprete dialettale del Berretto a sonagli. Di lui
come di altri interpreti tratto più diffusamente in un capitolo a parte della tesi. Per il,
momento, pertanto di Angelo Musco cito solo la bibliografia principale: I. VITALIANO e
G. MORABITO, Angelo Musco nella vita e nell’arte, MILANO 1928; ANGELO
MUSCO, Cerca che trovi…, BOLOGNA 1930; A. MUSCO, Cerca che trovi…, a cura di
D. DANZUSO, CATANIA 1987, pp. 140-1; SARAH E ENZO ZAPPULLA, Musco –
Immagini di un attore, CATANIA 1987; Angelo Musco e il teatro del suo tempo, a cura di
Enzo Zappulla, CATANIA 1990; SILVIO D’AMICO, Tramonto del grande attore,
MILANO 1929, pp. 111-115; A. MUSCO, Primi incontri con Pirandello, << Popolo di
Sicilia >> CATANIA, 3.2.37; G. PATANE’, Pirandello, Musco e i pupi di Sicilia,
<<Dramma>>, TORINO 1952.
117
siciliano4 dei medesimi, è diventata dall’84 punto di riferimento
imprescindibile anche per i successivi allestimenti.
D. Prof. Squarzina come è nata la ricostruzione filologica de Il
berretto a sonagli di Luigi Pirandello ?
R. E’ nata grazie alla collaborazione con Alessandro D’Amico5
che mi ha procurato dall’archivio-Pirandello6 il manoscritto,
probabilmente del suggeritore, e mi ha colpito subito la presenza
di tagli nell’edizione italiana. I tagli erano identificabili con
l’accorciamento della parte del Delegato e sono battute legate
alla risata, piccole ma interessanti, e altre, nella prima scena, che
4
La traduzione dal testo in siciliano delle parti poi tagliate da Angelo Musco, fu effettuata
da Nino Borsellino. Cfr., Le integrazioni dello spettacolo di Squarzina a cura di N.
Borsellino, in <<Rivista di studi pirandelliani>>, a. V, n. s., n. 3 giugno 1985. Ora anche
in, L. SQUARZINA, Questa sera…, cit. pp. 37-42
5
Punto di riferimento fondamentale è Luigi Pirandello.Maschere nude I, a cura di
Alessandro d’Amico, MILANO 1986, pp. 1028-1058; accanto a questo testo può essere
ricordato il lavoro di MARIA RUSIGNUOLO, Le varianti di “ A birritta cu’ i
ciancianeddi ” di Luigi Pirandello in <<Pirandello dialettale>>, PALERMO 1983
giudicato alquanto lacunoso dallo stesso d’Amico op. cit. p. 1028 nota 1; un ulteriore
studio aggiornato sulle varianti pirandelliane è quello di SARAH ZAMPULLA
MUSCARA’, Odissea di maschere. “‘A Birritta cù i ciancianeddi“ di L. Pirandello,
CATANIA 1988.
6
L’archivio pirandelliano è presso l’ISTITUTO DI STUDI PIRANDELLIANI E SUL
TEATRO ITALIANO CONTEMPORANEO diretto da Alfredo Barbina Via Antonio
Bosio 15 Roma .
118
riguardano una certa posizione di rivolta della donna, molto
netta, presente in molte commedie di Pirandello7, e che concerne
la pretesa storica della donna di poter parlare.
7
LUIGI SQUARZINA, Questa sera…, cit. pp. 38-40;
119
Soprattutto urtavano le battute, in cui, una persona soggetta
come era allora una donna in Sicilia poteva esprimersi così,
anche se non è lei (Beatrice)che si esprime ma la
“strana
creatura“ (il personaggio della Saracena) che chiama in casa per
avere dei consigli.8 Però quella “strana creatura” parla di come
ha messo a posto suo marito dopo un tradimento, quindi anche
qui è sempre ribadita la posizione di una moglie. Di una moglie
soggetta che si è ribellata, ed è questo che spinge Beatrice già
convinta ad andare avanti in questo progetto un po’ suicida,
progetto che distruggerà la famiglia. Si vede che lei non ne può
più e allora non bada alle conseguenze. Infatti questi tagli non
riguardano l’imprudenza di Beatrice, piuttosto la possibilità di
aprire un discorso sulla parità tra uomo e donna. In termini
scenici ciò potrebbe essere reso con “se lui mi tradisce io devo
poter reagire”. Il taglio delle battute del Delegato Spanò9, molto
carine, si spiega con l’andamento delle prove, nelle quali Musco
voleva sempre primeggiare.
8
9
L’incontro tra Beatrice e La Saracena avviene nella prima scena del primo atto.
Cfr., LUIGI SQUARZINA, Questa sera…, cit. pp. 40-41;
120
L’altro taglio importantissimo riguarda ancora una volta Beatrice,
ed è di per sé inspiegabile, se non dal punto di vista di un attore
come Musco, che non voleva dare spazio ad altri. Infatti il taglio
riguarda l’importantissima scena dello scorpione10 che per il suo
simbolismo è chiaramente comprensibile anche ai personaggi
minori dato che tutti ne parlano. Però lo scorpione è anche un
ammonimento: non perché lei (Beatrice) veda nel rituale dello
scorpione che si suicida a contatto con il fuoco un ammonimento
a non agire, quanto il tradimento. E poi Beatrice l’ha visto
realmente lo scorpione? Certo urla, quindi è convinta di averlo
visto e la scena manifesta la decisione di lei di andarsene, non a
parole ma a fatti, perché sta preparando le valigie.
Tutti questi tagli sono da riaprire, perché non complicano niente,
anzi arricchiscono. Teatralmente Il berretto a sonagli è
cortissimo e si può rappresentare anche senza intervallo poiché
ha una cesura perfetta con la scena della presentazione della
moglie di Ciampa.11
10
11
Op. cit. pp. 41-42;
Luigi Pirandello…cit. Atto I, scena VI, pp. 665-669;
121
La questione del contributo di questi tagli finisce qui e non
cambia moltissimo. Ma in teoria
non si capisce perché
Pirandello, una volta tradotta in italiano la commedia, non li
abbia ristabiliti e anche Sandro D’Amico che si è occupato della
ricostruzione filologica del testo
non ha potuto darne
spiegazione.
Da notare, inoltre, che questa traduzione è bellissima e, mentre
quella di Liolà in italiano non è felice12, quella del Berretto a
sonagli in italiano è perfetta ed è dunque strano che Pirandello
che ne ha fatto una traduzione così felice, non l’abbia, né subito
né poi, ripristinata nella sua integrità.
D. Le risulta che sia stata mai stampata la versione dialettale ?
R. No, non è stata mai stampata, e certamente non è mai stata
recitata la versione integrale. Sandro D’Amico non ne ha una
spiegazione, forse ( Pirandello ) non voleva perder tempo,
comunque scenicamente il testo funzionava.
12
La composizione dialettale di Liolà risale all’agosto- settembre del 1916, mentre quella
in italiano risale probabilmente al 1927. Su questo cfr. Luigi Pirandello…, cit. p. LVI, p.
LXIV;
122
D. Prima di questo spettacolo lei ha collaborato con Paolo
Stoppa?
R. No, è stata la prima volta.[…]13
Poi Stoppa, che aveva smesso di recitare da qualche anno , tornò
in scena con L’avaro di Moliere per la regia di Patroni Griffi14.
In seguito si fermò ancora, e poi mi chiamò per Il berretto a
sonagli sebbene, per un qualche problema di salute suo o di non
so chi, ci fu un rinvio.
D. Chi ha realizzato la scenografia ?
R. Ricorsi a Gianfranco Padovani, lo scenografo con cui avevo
lavorato per qualche tempo15. Per le musiche avevo bisogno
soltanto di qualche eco di un pianoforte e mi rivolsi a Paolo
Terni.
La soluzione scenografica, a mio parere, faceva parte di un
progetto di sprovincializzazione, anche se in dialetto Pirandello
non
perde nulla, anzi. Però
se viene realizzato in lingua,
bisogna dimostrare che già con questa commedia Pirandello si
13
14
E’ stata saltata una breve parte dell’intervista che non è stato possibile trascrivere.
19 novembre 1981, Palermo, Teatro Biondo.
123
muove nell’ambito del teatro europeo16, con un certo tipo di
concezione del personaggio e dello stesso spazio teatrale, di un
teatro molto più che dialettale. In questo senso eliminai tutti gli
aspetti locali, come per esempio nominare Palermo e quel sentore
di mafia che c’è nella figura del marito di Beatrice che è uno che
comanda molto e
che fa il comodo suo, avendo un suo
entourage. Però non c’è, come non c’è quasi mai, in Pirandello,
un’allusione diretta alla mafia, sebbene compaia tante volte la
sensazione di una società che si difende con il sistema mafioso,
filtrato nella concezione della piccola società, della famiglia e
della realtà locale che si preserva dalla grande società, non
accettando le leggi considerate astratte.17
D. …qui entrano in gioco anche le vicende della vita privata di
Pirandello?
15
LUIGI SQUARZINA, Questa sera …, cit. p. 22;
Alcuni testi di riferimento sul rapporto di Pirandello e la drammaturgia europea: P.
SZONDI, Il dramma impossibile ( Pirandello ), in Id., Teoria del dramma moderno ( 1956
), TORINO, 1966; F. FERGUSSON – R. BRUSTEIN, Pirandello e la drammaturgia del
‘900, in << Letteratura italiana del Novecento. I contemporanei >>, diretta da G. Grana,
vol. III, MILANO, 1979; E. SCRIVANO (a cura di), Pirandello e la drammaturgia tra le
due guerre, AGRIGENTO, 1985.
17
LEONARDO SCIASCIA, Pirandello e la Sicilia, MILANO 1996 ;
16
124
R. Il berretto a sonagli è la prima commedia dove entra in gioco
in prima persona
la pazzia fino ad allora assente. Qui è
considerata positivamente perché permette di dire la verità. Una
verità strana perché la moglie di Pirandello aveva una pazzia che
si esprimeva molto con la gelosia : accusava il marito di andare
con le ballerine considerate allora come prostitute; e allora dire
che (come Pirandello fa dire a Ciampa) una pazza dice la verità e
nessuno le crede è curioso, o può essere considerato come un
gesto di sofferenza suo che deve vivere a contatto con una
persona che cagiona questi problemi. Comunque non bisogna
mai legare troppo la vita privata all’opera .
D. Gli studiosi però, in questo caso, lo fanno !
R. Lo fanno certo, ma non è mai una spiegazione. E’ casomai un
arricchimento, perché
studiando la biografia dell’autore18 si
penetra meglio nella cultura dell’opera. Comunque anche questo
tema della pazzia è un tema più che locale, è un tema di una
18
Cfr. F. V. NARDELLI, L’uomo segreto. Vita e croci di Luigi Pirandello, , 1932, nuova
ed. col titolo Vita segreta di Pirandello, ROMA, 1962, poi col titolo Pirandello l’uomo
segreto,a cura e con pref. di M. abba, MILANO, 1986; G.GIUDICE, Luigi Pirandello,
TORINO, 1963; ENZO LAURETTA, Luigi Pirandello. Storia di un personaggio fuori
chiave, MILANO, 1980; NINO BORSELLINO, Vita di Pirandello, BARI 1983.
125
letteratura, di una psicologia più vasta di quella della bugia. E’ il
tema della verità, che Pirandello coglie nella sua relatività e come
nuova possibilità di risolvere una situazione. Non è razionale
neanche l’altra soluzione, quella cioè che Ciampa debba sparare,
che però è legata ad un costume storico, mentre la pazzia è
astorica e quindi Pirandello accetta la soluzione più profonda non
permettendo che Ciampa faccia del male alla moglie, sebbene lei
gliene abbia fatto, indotta dalla sofferenza. E tutto questo è
sottolineato molto bene da Paolo Stoppa.
D. In questo senso il personaggio di Ciampa non è vendicativo ?
R. No dice “ siamo uguali abbiamo ambedue tanto sofferto che ci
possiamo capire “ e comunque Ciampa è talmente legato alla
moglie che non può rompere il legame con lei uccidendola.
Infatti o li avrebbe ammazzati entrambi o comunque avrebbe
perso la moglie, dalla quale è veramente stregato. Non ha armi
contro questa donna che lo tradisce chiaramente senza problemi,
al solo patto di non dirlo. Dico questo perché secondo me tutte
queste cose sono aldilà del colore locale, ma su questo punto
126
anche Paolo Stoppa era naturalmente d’accordo. D’altra parte
non ci è venuta mai l’idea di ricorrere ad una versione dello
spettacolo in un italiano un po’ americanizzato. Inoltre l’età non
era un problema perché, se è vero che Stoppa dimostrava più di
cinquant’anni, è anche vero che i cinquant’anni di Ciampa nella
sensibilità odierna fanno ridere. Pirandello si porta dietro l’idea
dell’uomo che a cinquant’anni è ormai finito sessualmente,
professionalmente e se la porta fino alla fine anche in Quando si
è qualcuno19.Tutto ciò non è simbolico, ma storico perché
l’allungamento della vita è molto posteriore, a quando è stata
scritta l’opera, cioè prima del’20 e probabilmente cominciava a
corrispondere alla situazione di Pirandello. Cinquantenne,20 non
viveva ancora la passione per Marta Abba,21 inoltre la tragedia
19
E’ una delle ultime opere di Pirandello la cui stesura risale al settembre – ottobre1932 e
la prima edizione al 1933. Su questo cfr. Luigi Pirandello…, cit. pp. LXVIII – LXIX.
20
Pirandello al momento della stesura del Berretto a sonagli, cioè nell’estate del 1916,
aveva 49 anni, essendo nato il 28 giugno 1867.
21
Il primo contatto di Pirandello con Marta Abba avvenne nel febbraio del 1925 durante la
formazione della compagnia del Teatro d’Arte di Roma. Su questo cfr., A. D’AMICO – A.
TINTERRI, Pirandello capocomico. La compagnia del Teatro d’Arte di Roma 1925 –
1928, PALERMO, 1987,pp.18 –19; per una cronologia più dettagliata vedere in : A.
D’AMICO, Luigi Pirandello. Maschere nude II, MILANO 1993.
127
della moglie e il figlio prigioniero in guerra22 fanno di questo
periodo un momento molto, molto duro. Del resto nel fatto che
Ciampa non vuole sparare, c’è anche una ribellione alla
risoluzione dei conflitti mediante la violenza. Lui
era
antibellicista, non voleva la guerra e scrisse quel bellissimo libro
Berecche alla guerra23, poi aveva il figlio prigioniero e durante
quel periodo non fu ancora del tutto in grado di prendere una
decisione riguardante la moglie che poi, questione di mesi, mi
pare, fu messa in manicomio, anche se lui aveva bisogno
dell’avallo del figlio maggiore. Quindi il ricorso alla follia da
parte di Pirandello può essere inteso come qualcosa che può
travalicare sia la sofferenza di Ciampa che quella della moglie,
che anche deve accettare che tutti sanno e tacere comunque.
Situazione normale allora, per una donna in quei paesi, alla quale
però è strano che si ribelli la Saracena che infatti, è come se
22
Cfr. L. PIRANDELLO, Lettere al figlio Stefano durante la grande guerra, in
<<Almanacco letterario Bompian >>, MILANO, 1938, pp. 32 – 45, rist. anast. in L.
SCIASCIA ( a cura ), Omaggio a Pirandello. Almanacco letterario Bompiani, MILANO,
1987.
23
Cfr., L. PIRANDELLO, Berecche e la guerra, MILANO, 1919, in seguito, ID., Novelle
per un anno, FIRENZE, BEMPORAD, poi MILANO, MONDADORI, 1922 – 1937, 15
voll., XIV, Berecche e la guerra, MILANO, 1934. Ulteriori edizioni sono: Novelle per un
128
venisse un po’ da fuori. E’ come se non fosse del tutto legata alle
costrizioni e alla mentalità del posto, è un po’ come Medea. Poi
volevo fare una scena molto semplice.
D. Con il gioco delle due poltrone ?
R. Si ! Una poltrona doveva essere sempre vuota, infatti, soltanto
Ciampa ci si siede alla fine, perché prende il comando e nessuno
lo può fermare e poi ci sono le finestre che hanno soltanto
l’apertura sull’esterno da cui Beatrice può farsi vedere. La scena
era concepita per ruotare su se stessa, in modo che Beatrice
risultasse chiusa in casa mentre urlava dalle finestre.
D. Prof. Squarzina, cosa ha cambiato per la versione televisiva ?
R. Ho lavorato con una buona equipe e non ho cambiato niente
perché fosse fatta la ripresa; è stata realizzata con tre macchine,
quindi non era solo documentaria ma eseguita col montaggio .
Non dissi a Stoppa che lui era sempre in primo piano,
semplicemente dissi agli altri ad un certo punto di tenersi un po’
più lontani, anche se di poco, perché è evidente che qualche
anno, a cura di M. Costanzo, 3 voll. in 6 tomi, MILANO, <<I MERIDIANI>>, 1985, 1987,
1990.
129
“manina” può entrare nell’inquadratura in primo piano; poi ci fu
un lungo montaggio.
D. Quindi la scelta di fare questi ventotto minuti su Stoppa fu per
lei quasi naturale ?
R. Sì, anche perché è una caratteristica tipica della commedia:
Ciampa è terribilmente solo come molti personaggi pirandelliani.
E’ un problema suo e gli altri sono tutti contro, anche quelli che
vorrebbero tenerlo buono. Questa idea non l’ho avuta subito
sebbene in quel momento lì, variare rispetto a questa soluzione,
avrebbe significato o troppi stacchi o un “totale” per contenere
anche gli altri personaggi e questo non era pirandelliano in quel
momento. Allora sono ricorso a questa soluzione che forse è
l’aspetto più interessante.
D. La direzione degli attori, compresi alcuni divertenti lazzi
scenici, è cambiata nella versione televisiva ?
R. No, non è cambiato nulla. D’altra parte Il berretto a sonagli
ha una sua qualità televisiva perché è corto, entra subito nel
problema, è molto diretto e ci sono citazioni molto popolari.
130
D. Non ritiene che è una commedia molto, come dire,
“attorecentrica“ ?
R. …certo lui ha sempre scritto per attori quali Musco, Ruggeri,
la Abba.
D. Durarono molto le prove ?
R. Quarantacinque giorni. Sorprendente fu il primo giorno in cui
Paolo Stoppa si presentò con un bellissimo copione rilegato in
pelle sapendo già a memoria tutte le battute e non sbagliando una
parola pur avendo quella età lì. Vuol dire, o che pensava da molto
tempo a interpretare il Berretto e non si era mai deciso, oppure
veniva da un bel periodo di studi. Notevoli furono anche le facce
sorprese degli altri attori che in seguito impararono prestissimo la
parte.
D. Aveva mai ipotizzato di fare le riprese della commedia senza
pubblico ?
R. No, perché è uno spettacolo caldo, si deve sentire il pubblico,
le risate e poi, per esempio, il lungo applauso che c’è alla fine è
131
molto utile. Comunque l’applauso che arriva ad un certo punto e
che sembra che finisca e che poi ricomincia, ti dà un’altra verità.
132
CONCLUSIONI
Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello ha rispecchiato
e
accompagnato le vicende artistiche di attori importanti e diversi
tra loro. Opera composita, nata e non fatta, come l’ha definita il
suo autore, per la complessità della struttura e la profondità delle
tematiche che affronta, essa si presenta come riassuntiva del
mondo interiore pirandelliano, e dunque adatta ad interpretazioni
molteplici, che sviluppatesi nell’arco di quasi un secolo,
permettono di gettare luce sulla storia teatrale dell’Italia del
Novecento. A partire dal suo primo interprete e destinatario,
Angelo Musco, figura versatile nata nel panorama complesso e
potenzialmente in fieri della Sicilia inizi secolo, è possibile
ricostruire una
vicenda culturale
dominata dalla
figura
lungimirante di Martoglio. La sua, infatti, fu una personalità
capace di riattivare energie attoriali ed artistiche sopite all’interno
di una tradizione che sembrava essersi fermata al naturalismo
patetico e sentimentale. Martoglio seppe intuire la ricchezza del
133
connubio di due personalità diverse,
contrastanti quali
e per certi aspetti
Musco-Pirandello, da cui ebbe origine la
prima interpretazione in dialetto della Birritta cu’i ciancianeddi.
Già da allora, comunque, le potenzialità dell’opera si intravedono
nella possibilità di rivolgersi ad un pubblico non solo siciliano,
ma di aprirsi a dimensioni nazionali. Fu proprio la capacità di
Musco a permettere questo salto, sapendo valorizzare l’opera al
di là del dialetto e del contesto esclusivamente isolano, astraendo
da esso con la sua arte comica. Da questi presupposti si verifica
negli anni Venti la definitiva traduzione in italiano dell’opera. E
così Il berretto a sonagli con le rappresentazioni portate nelle
più grandi città italiane da attori quali Musco, i cugini Grasso e
Tommaso Marcellini,
comincia a diventare opera significativa
del repertorio teatrale nazionale.
La svolta si avrà con Eduardo de Filippo. Per
Pirandello,
Ciampa ha finalmente trovato il suo vero interprete.
Nel
Berretto a sonagli di Eduardo, alla complessità pirandelliana si
aggiunge la profondità della poetica eduardiana, senza per questo
134
eliminare o attenuare l’impronta originale del maestro siciliano.
A Eduardo si deve un adattamento in napoletano dell’opera, che
ha contribuito a rendere ancora più contestualmente vicina
all’artista napoletano la sua “intimità” con Ciampa. Personaggio,
che diventa con l’attore-autore-regista napoletano, figura dolente
e interiormente rassegnata, solidale. E’ con Eduardo che la
tematica della pazzia pirandelliana trova conferma come via
d’uscita non violenta, anzi dichiaratamente “pacifica” rispetto
alle leggi ferree di un mondo dominato da ipocrisie e convenzioni
sociali opprimenti. Il Ciampa di Eduardo sa creare legami di
solidarietà nel dolore anche con Beatrice, la moglie tradita dal
principale dello scrivano. La sua recitazione nella sconcertante
“naturalezza” che la caratterizza, contribuisce ad illuminare il
mondo interiore di una umanità spesso vittima e umiliata.
Altrettanto autentica e potente l’interpretazione del siciliano
Salvo
Randone.
A
lui
si
deve
un
Ciampa
inquieto,
dinamicamente teso, che scruta le contraddizioni profonde della
realtà senza però, da buon siciliano, prospettare soluzioni o vie
135
d’uscita facili. In Randone il tema pirandelliano della pazzia non
è via d’uscita, ma amara accettazione di un destino verso il
quale è possibile solo una ribellione dell’animo che non trova
appigli. Nello stile dimesso, ma efficace e tagliente, Randone
indaga impietosamente la realtà di se stesso, di Beatrice e della
loro comune condizione di sconfitti, senza sconti o soluzioni
rassicuranti.
Stoppa, altro grande interprete del Ciampa pirandelliano, arriva
alla rappresentazione del Berretto a sonagli alla fine di una
carriera artistica poliedrica, in cui l’incontro con questa opera
sembra configurarsi come esito di una intera vita dedicata al
teatro. Il Ciampa di Stoppa non rifugge dal comico e dal
grottesco, con punte di angosciosa drammaticità, in cui non
appare né la dolente consapevolezza eduardiana, né la lucida
ribellione interiore di Salvo Randone. La pazzia del Ciampa di
Stoppa è, invece, sfida, provocazione, quasi rivincita rispetto ad
un contesto che lui sente di dominare. Per questo tutta la messa
in scena sembra ruotare intorno al grande attore romano, che
136
intesse con il pubblico un rapporto privilegiato e complice, dal
quale sono esclusi gli altri attori-personaggi dell’opera, quasi a
suggellare una superiorità vincente del tutto coerente con la sua
personalità di attore. Paolo Stoppa mette al servizio di Pirandello
una maestria costruita in decenni di collaborazione artistica con
i grandi uomini di teatro del Novecento.
137
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154
INDICE
Introduzione……………………………………..…..….pag. 1
Cap. I: Musco e gli interpreti dialettali de Il berretto a
sonagli………………………….…………………………..pag.10
Cap. II : Salvo Randone interprete de Il berretto a
sonagli…………………………………………....….pag. 32
Cap. III: Eduardo e Il berretto a sonagli di
Pirandello…………………………………………….pag.60
Cap. IV: Stoppa e Il berretto a sonagli di
Pirandello……………………………………....……pag.97
.
Intervista a Luigi Squarzina su Il berretto a sonagli di
Luigi Pirandello……………………………..……….pag.116
Conclusioni………………………………..…………pag.133
Bibliografia………………………………………… pag.138
Indice………………………………………………….pag.155
155
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