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Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze
Corso di Scienze Applicate ai Beni Culturali AA 2013-2014
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Docente Dr. Peana Massimiliano
Scripta … manent?
Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze1
d. Paolo Secchi; 30047261; [email protected]
RIASSUNTO
Gli inizi dell’epoca storica coincidono, sostanzialmente, con l’uso della scrittura: il
solo mezzo che sembrava all’uomo poter sottrarre la propria cultura alla
transitorietà. Questa ‘scommessa’ con il tempo non sempre è stata vinta: i supporti
sui quali Egiziani e Cinesi per primi hanno scritto (papiro, seta, ecc.) facilmente
andavano incontro al logorio, per una serie di fattori fisici, quali la stessa luce o l’aria.
Ma uno dei peggiori ‘nemici’ della memoria scritta si è rivelata essere, alla lunga, la
sostanza utilizzata come mezzo per scrivere: l’inchiostro. Le numerose ricette
sperimentate erano basate su ingredienti che per complesse dinamiche chimiche
danneggiavano irreparabilmente il supporto su cui venivano vergati i testi: elementi
acidi, come il tannino contenuto nelle galle, oppure facili all’ossidazione, come il
vetriolo. Perciò, chimici e restauratori sono impegnati nell’elaborazione di metodiche
che possano rallentare il deleterio avanzamento del degrado di irriproducibili
monumenta ac litteræ.
INTRODUZIONE
uasi a dispetto del celebre motto latino che vuole gli scritti durevoli, contro la volatilità
delle parole, l’esperienza e, perciò, l’approfondimento scientifico dimostrano in maniera
inequivocabile come essi siano esposti a patologie che li rendono effimeri quanto il
flatus vocis.
Gli archivi ed il loro contenuto patiscono, invero, l’effetto di vari agenti. In linea generale,
potremmo classificarli in ‘esterni’ ed ‘interni’, fermo restando che gli uni e gli altri hanno
conseguenze, vistose o meno, apprezzabili chimicamente ma, in ogni caso, deleterie. Tra i primi
sono da annoverare la luce, l’umidità, i recipienti, ecc. Tra i secondi, afferente ai costituenti il
materiale archivistico (assieme alla legatura di unità minime, al supporto scrittorio, ecc.):
2
l’inchiostro .
L’obiettivo che l’indagine intende perseguire è, senza pretese di completezza o di novità, la
definizione dei fenomeni chimici in atto in scritti antichi e, per questa, la considerazione delle
metodiche attuate in ordine alla tutela del patrimonio di memoria là contenuto. Prenderà le
mosse da una rapida panoramica storica sull’impiego degli inchiostri metallo-gallici, proseguirà
con alcuni brevi riferimenti alle loro composizione, preparazione, chimica ed agli effetti
dell’impiego di tali sostanze sulla carta, per chiudere con una succinta disamina delle principali
soluzioni adottate nel passato e nel presente per affrontare i problemi individuati.
Q
1 Panoramica storica sull’impiego degli inchiostri metallo-gallici
Abbiamo notizia dei più antichi preparati per scrivere presso Egiziani e Cinesi, risalenti a
quattro - cinquemila anni fa. Sul papiro, i primi adoperavano il nerofumo (ottenuto per la
combustione di materiale organico) come base ad un inchiostro scuro ed il cinabro come base ad
uno rosso-bruno, diluiti con acqua e frammisti ad un legante di origine vegetale. Sulla seta, ma
1
Chi scrive ha spesso a che fare, per professione, con documenti scritti antichi ma altrettanto spesso li trova in condizioni
non ottimali: da ciò l’interesse per l’argomento. Mancando, tuttavia, di competenze specifiche nell’ampia disciplina
archivistica ha, qui, dovuto attenersi a riduzioni, per quanto concerne l’organizzazione della materia e diversi contenuti, in
particolare a G. CERES, Trattamenti su carte contenenti inchiostri metallo-gallici: cenni storici e studio di fattibilità di un
nuovo trattamento, http://www.webalice.it/, le cui fonti ha, comunque, verificato direttamente. Eventuali imprecisioni
sono del compilatore attuale.
2
Per una rassegna esaustiva in merito ad igiene - medicina archivistica e, più in dettaglio, su agenti fisici e biologici
implicati nel deperimento del materiale archivistico, cf A. M. STICKLER (a cura di), Brevi appunti di archivistica civile ed
ecclesiastica, 110 - 121.
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Scripta … manent? Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze
anche sulla carta, i secondi utilizzavano ugualmente un carbone vegetale polverizzato mescolato
a resina ed acqua.
Indicazioni di ricette troviamo, però, in epoca più recente. Marco Vitruvio Pollione, nel suo De
Architectura, trattato scritto intorno al 15 a. C., parla di un composto fluido ottenuto con
3
nerofumo, colla di pesce, gomma arabica ed acqua . Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia,
scritta verso il 70 d. C., descrive un procedimento per cui si usa una combinazione di tannino e
4
sali di ferro .
All’inchiostro metallo-gallico, tuttavia, si farà cenno molto più tardi. Marziano Capella, nel suo
De nuptiis Philologiae et Mercurii, scritto nel V sec., fa cenno ad un composto di galla e gomma
5
arabica . Da quel momento in poi, compaiono in Occidente innumerevoli varianti di ricette per la
preparazione di inchiostri che adottano come base la soluzione di acido gallo-tannico e vetriolo e
la specificazione ‘ferro-gallico’ divenne comune per l’utilizzo invalso, o quasi esclusivo, dei sali di
ferro.
L’industria dell’inchiostro può avere avuto inizio quando il governo francese ne ammise
l’esigenza, nel 1625, stipulando un contratto per una grande quantità di inchiostro ‘ferro-gallico’
con Guyot, il quale, per questo motivo, può essere identificato come il padre di tale industria.
Con l’inizio del XVIII sec., il fenomeno si estese rapidamente a Berlino, Londra, Vienna, Parigi,
Dublino. Nella prima metà del XIX sec., l’industria ha iniziato a diffondersi anche negli Stati Uniti
6
d’America mentre in Italia troviamo una ricetta per un inchiostro nero-azzurro di fabbricazione
7
industriale nel 1910 .
2 Componenti principali gli inchiostri metallo-gallici
Numerosissimi documenti antichi rivelano, con ampio margine di sicurezza, l’essere stati
vergati con inchiostri metallo-gallici, la cui acidità, combinata all’ossidazione della cellulosa,
produce corrosione, perforazione e disgregazione del supporto.
Ingredienti principali dell’inchiostro metallo-gallico erano tannino, vetriolo, solvente e legante
ed il procedimento di preparazione prevedeva, in linea generale, la fermentazione e/o la
bollitura.
2.1 I tannini
I tannini (dei polifenoli: molecole contenenti anelli benzenici almeno uno dei quali con due o
più gruppi ossidrilici) si distinguono in idrolizzabili e condensati. I primi, a loro volta, in
gallotanninici (che danno, per idrolisi, glucosio e acido gallico) ed ellagitanninici (che danno
glucosio e acido ellagico) (Fig. 1). Fra i gallotanninici l’acido tannico (molecola di glucosio con
cinque gruppi di acido gallico) era il più usato nella confezione di inchiostri, ottenuto da svariate
materie vegetali, in particolare da noci di galla: escrescenze generate dai vegetali in seguito alla
puntura da parte di Cinipidi (imenotteri della famiglia Cynipidæ) per l’iniezione delle uova (Fig. 2).
Figura 1. Acido Gallico e Acido Ellagico
Figura 2. Noce di galla in una quercia
3
Cf M. VITRUVIO POLLIONE, De Architectura, VII, 10.
Cf C. PLINIO SECONDO, Naturalis Historia, XXXIV, 32.
5
Cf M. CAPELLA, De nuptiis Philologiae et Mercurii, III, 225.
6
Cf D. N. CARVALHO, Forty Centuries of Ink, 130ss.
7
Cf I. GHERSI, Ricettario industriale, 458s.
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d. Paolo Secchi
3
2.2 Il vetriolo
Il vetriolo (nome con cui nelle ricette antiche si indica il solfato ferroso, FeSO4, il composto più
importante del ferro bivalente, oppure il solfato remeico, CuSO4) poteva essere ottenuto, oltre
che per estrazione da miniera allo stato naturale, per evaporazione dell’acqua da terre ferrose o
ricche di rame.
Differenti sono le denominazioni con cui questa sostanza viene indicata. In genere, sono
distinte due tipologie di vetriolo: quello verde e quello azzurro, ottenuti, rispettivamente, dal
solfato ferroso e rameico. Forse con riferimento a diverse provenienza, condizioni e modalità di
produzione, veniva chiamato atramentum, chalcantum, copperas, vitriolum e acqua ramata.
2.3 Il solvente
Il solvente di solito era l’acqua, alla quale veniva spesso aggiunto vino o aceto e sale: i primi in
funzione antisettica, l’ultimo per evitare che il celere raffreddamento del composto dopo la
bollitura portasse alla completa evaporazione dell’alcool (abbassamento crioscopico).
2.4 Il legante
Il legante maggiormente utilizzato era la gomma arabica (Fig. 3): un polisaccaride naturale,
noto anche come ‘gomma di acacia’, solubile in acqua fredda, la cui funzione era quella di
stabilizzare la soluzione acquosa comprendente il precipitato ottenuto con la reazione di tannino
e vetriolo.
Figura 3. Cristalli di gomma arabica
3 Preparazione degli inchiostri metallo-gallici
La preparazione iniziava con l’estrazione dell’acido gallo-tannico dalle noci di galla,
sminuzzate e lasciate macerare per alcuni giorni in acqua o vino. Talvolta, le galle venivano
direttamente bollite, senza macerazione. Generalmente, la cottura durava fintanto che il
composto raggiungeva un volume pari ad un terzo rispetto a quello di partenza. Si aggiungeva,
quindi, il vetriolo, che reagiva con l’acido gallo-tannico, formando un finissimo precipitato nero, il
pirogallato ferrico (Fig. 4).
Figura 4. Il solfato ferroso (FeSO4) in una soluzione di acido gallico forma un complesso di Fe(II)-acido gallico (gallato
ferroso), incolore e solubile in acqua, il quale è rapidamente ossidato dall’ossigeno atmosferico a formare il pirogallato
ferrico, un complesso multinucleare di colore nero-violetto completamente insolubile in acqua
A questo punto veniva aggiunto l’addensante, principalmente gomma arabica, ed infine un
fluidizzante, quale aceto, zucchero, miele, ecc.
Più in generale, i metodi per la preparazione dell’inchiostro parrebbero non più di due:
4
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Scripta … manent? Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze
mediante cottura: prima venivano miscelati tutti gli ingredienti secchi e poi, durante la
cottura, si integrava il composto con quelli liquidi;
tramite fermentazione: una volta mischiati tutti gli ingredienti, il composto veniva lasciato
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fermentare per un tempo di durata variabile .
4 Chimica degli inchiostri metallo-gallici
L’inchiostro metallo-gallico, quale si può osservare nei documenti antichi, non è sempre nero.
Molto spesso, infatti, si presenta con una colorazione marrone o seppia. Il fenomeno della
differente gradazione di colore potrebbe essere messo in relazione con il deterioramento del
supporto scrittorio, ma non necessariamente: talvolta la scrittura sembra intatta, seppure su un
supporto, cartaceo o membranaceo, gravemente danneggiato. Potrebbe spiegarsi anche con
l’età del documento, ma, anche qui, non conseguentemente: talvolta, infatti, nella stessa pagina
si trovano sia le tonalità più scure che quelle più chiare. Non sembra implausibile, piuttosto, ci si
trovi in presenza di maggiori o minori concentrazioni di ioni di Fe(III).
Laddove, infatti, l’inchiostro venga prodotto con un’alta concentrazione di ioni di Fe(III) si
ottiene non il colore nero ma il seppia. Questo perché il ferro trivalente ossida con facilità l’acido
gallico, ossidazione da cui risulta il prodotto marrone. Pertanto, la differenza di tonalità può
ascriversi alla più o meno rapida ossidazione dell’acido gallico al momento stesso della scrittura.
Pare opportuno, a questo punto, integrare con un’annotazione, circostanziata maggiormente,
sul comportamento del ferro.
Il ferro è un elemento di transizione, ossia ha una struttura elettronica
incompleta negli orbitali d in qualsiasi stato di ossidazione. Avendo gli orbitali d
incompleti, gli ioni ferroso e ferrico hanno la tendenza ad assumere la configurazione
più stabile coordinando specie chimiche che gli possono fornire coppie di elettroni.
Questi ioni, perciò, possono comportarsi da acidi di Lewis, accettando coppie di
elettroni, non ancora impegnate nella formazione di legami, da basi di Lewis, ed i
composti che si formano sono detti di coordinazione. I donatori di coppie di elettroni,
detti ligandi, possono essere ioni o molecole in grado di donare uno o più coppie
ciascuno.
I composti di coordinazione del Fe (III) hanno solitamente intense colorazioni,
come nel caso del salicilato ferrico, di colore violetto, ecc. Il pirogallato ferrico è
anch’esso un composto di coordinazione, ottaedrico, di colore nero-violetto. Nel
composto, i ligandi di ogni catione ferrico sono due molecole di acido gallico. Il
pirogallato ferrico si forma se l’ambiente non è molto acido, condizione per cui
l’acido gallico cede protoni all’acqua, in una sorta di equilibrio di base. In seguito a
tale cessione, esso presenterà alcuni gruppi ossidrilici (-OH) che possono fungere da
3+
‘chele’ per coordinare più facilmente lo ione Fe , dando origine al pirogallato ferrico
9
al quale si deve il colore, più o meno scuro, dell’inchiostro .
4.1 Effetti dell’impiego di inchiostro metallo-gallico sulla carta
Gli inchiostri metallo-gallici impiegati sui manoscritti provocano sui supporti scrittori azioni di
degrado di molteplice natura. In particolare, due componenti questi inchiostri sono indicati fra le
principali cause del degrado dei supporti cartacei: l’acido solforico ed il solfato ferroso. L’acido
solforico catalizza l’idrolisi della cellulosa, conduce a scissione le catene polimeriche e, di
conseguenza, la minore lunghezza della cellulosa riduce la resistenza della carta, perfino alla
fenditura. L’acidità non è tuttavia la sola causa dell’effetto corrosivo di questi inchiostri. Insieme
all’idrolisi, un altro processo chimico, di tipo ossidativo, opera un’azione sinergica nel degrado
generale.
L’eccessiva presenza di solfato ferroso rispetto alla quantità di tannini comporta un eccesso di
ioni di ferro non complessati che catalizzano le reazioni di degradazione ossidativa della cellulosa
producendo radicali (idrossilici, ad esempio).
8
9
Cf A. STIJNMAN, Historical Iron-gall Ink Recipes. Art Technological Source Research for InkCor, 14ss.
Per una panoramica di carattere generale, cf S. PASSANNANTI - S. PONENTE, Principi di chimica, 366ss.
d. Paolo Secchi
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Poiché entrambi i composti, l’acido solforico ed il solfato ferroso, sono solubili in acqua, in
presenza di umidità relativa sono in grado di migrare e quindi di propagare la corrosione
dell’inchiostro attraverso la carta.
4.1.1 Idrolisi acida della cellulosa
Come in generale tutti i polisaccaridi, la cellulosa è facilmente soggetta ad idrolisi,
particolarmente in ambiente umido-acido, cioè alla scissione del legame glucosidico tra le varie
molecole di monosaccaride, con conseguente formazione di frammenti più piccoli, che si traduce
10
in una minore resistenza della carta, sino al degrado totale delle costituenti singole di glucosio .
4.1.2 Degrado ossidativo della cellulosa
L’ossidazione di una struttura molecolare come quella della cellulosa, che può dipendere da
varie cause, modifica la struttura originaria in forme e caratteristiche diverse. In particolare, la
presenza eccessiva di ioni di Fe(II) agisce come catalizzatore nella reazione ossidativa della
11
cellulosa. Il fenomeno è noto come Reazione di Fenton, dal nome del suo scopritore .
Di seguito, un’integrazione più puntuale sul fenomeno ossidativo in esame.
L’ossidazione della cellulosa è principalmente un meccanismo radicalico e, come
tutte le reazioni a catena, se ne può parlare in termini di reazioni di iniziazione
(durante le quali si formano radicali liberi), di reazioni di propagazione (durante le
quali i radicali liberi vengono trasformati in altri radicali), di reazioni di terminazione
(che coinvolgono la combinazione di due radicali con la formazione di prodotti
stabili).
I radicali liberi, si aggiunge per completezza, possono essere assimilati a ‘prodotti
di scarto’ che si formano naturalmente all’interno delle cellule del corpo quando
l’ossigeno viene utilizzato nei processi metabolici ossidativi per produrre energia. Dal
punto di vista biochimico, si tratta di molecole particolarmente instabili in quanto
possiedono un solo elettrone anziché due. Questo li induce a cercare un equilibrio
appropriandosi dell’elettrone delle altre molecole con le quali vengono a contatto,
che a loro volta divengono instabili e ricercano un elettrone ecc. in un meccanismo di
‘instabilità concatenata’: una serie di reazioni a durata variabile la quale può essere
arrestata o ridotta per la presenza di agenti antiossidanti.
La reazione di Fenton, alla quale si è fatto cenno più sopra, conduce alla
2+
formazione di radicali ossidrilici HO• a partire dal perossido di idrogeno (Fe + H2O2
3+
→ Fe + HO• + OH , in questo caso durante la riduzione dell’ossigeno ad opera degli
2+
ioni di Fe ).
I radicali ossidrilici sono molto reattivi ed estraggono con facilità atomi di
idrogeno dalla cellulosa con formazione di radicali idrossialcalinici R•.
Questi reagiscono a catena con l’ossigeno, convertendosi nelle corrispondenti
strutture carboniliche (ROO•) le quali, unendosi ad una nuova molecola di cellulosa
(R1H), danno luogo all’idroperossido di cellulosa (ROOH). Questo, poi, si unisce ad un
nuovo radicale R1• per cui il processo si propaga (R• + O 2 → ROO• / ROO• + R1H →
ROOH + R1• + ...).
L’ossidazione della cellulosa è identificabile con la rottura del legame glucosidico
in conseguenza della formazione di gruppi carbonilici, formatisi sugli atomi C-2, C-3 e
C-6 dell’anello di anidroglucosio, a partire dall’estrazione dell’idrogeno legato al
carbonio C-2. Tali gruppi, per ulteriore ossidazione, formano gruppi carbossilici.
Dal punto di vista della ‘visibilità’ del fenomeno, c’è da aggiungere che, essendo i
gruppi carbonilici capaci di assorbire selettivamente la radiazione visibile alle
lunghezze d’onda nel campo del blu, sono cromofori e responsabili dell’ingiallimento
della carta. L’aumento progressivo della quantità di gruppi carbossilici, poi, aumenta
l’acidità favorendo la depolimerizzazione della cellulosa, ossia scindendo i legami che
10
11
Cf P. CREMONESI, Composizione, Struttura e Proprietà della Cellulosa e di altri materiali presenti nella carta, 30.
Cf M. COPEDÉ, La carta e il suo degrado, 56ss.
6
Scripta … manent? Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze
tengono uniti i monomeri di glucosio, con la conseguente progressiva riduzione della
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resistenza meccanica della carta .
4.1.3 Migrazione di ioni di ferro
L’acido solforico ed il solfato ferroso, si diceva, sono entrambi composti solubili in acqua ma
mostrano un comportamento migratorio differente. L’acido solforico migra attorno alle regioni
inchiostrate, espandendo l’idrolisi acida della cellulosa. Gli ioni di ferro, provenienti dal solfato
ferroso, invece, permangono nelle zone inchiostrate, poiché l’acidità al di fuori di tali aree
favorisce l’ossidazione degli ioni di Fe(II) verso Fe(III), i quali reagiscono con l’acqua formando
idrossidi ferrici meno solubili. La presenza di ioni di ferro catalizza l’ossidazione radicale della
cellulosa e tale fatto produce la formazione di aloni fluorescenti e marroni attorno all’inchiostro.
5 Il restauro dei manoscritti con inchiostri metallo-gallici
Il restauro è inteso oggi come l’attività che permette di conservare un bene allorché la
prevenzione non sia o non sia stata efficace. In questa prospettiva, tutto sommato recente,
l’azione di chi si occupa di Beni Culturali dovrebbe tendere a prevenire il restauro, piuttosto che
ad intervenire a danno già avvenuto. Il restauro, infatti, si prospetta come extrema ratio ad ogni
tipo di evento traumatico nella vita dell’opera d’arte.
Qualsiasi intervento si dimostra, però, realmente efficace solo se prima sia stato individuato il
motivo che ha procurato il deterioramento. In questo modo la causa può essere eliminata o,
almeno, arrestata.
È necessario, pertanto, eseguire analisi che permettano una verifica approfondita degli scritti
sui quali verranno eseguiti i trattamenti, in particolare la fluorescenza UV.
5.1 Disamina dei trattamenti su manoscritti con inchiostri metallo-gallici
Per la maggior parte, gli interventi di restauro producono cambiamenti irreversibili alla
materia di cui è composto l’oggetto e, per questo motivo, si rende necessaria la comparazione fra
i benefici del trattamento ed i possibili rischi per l’oggetto stesso. I manoscritti antichi per i quali
è stato usato un inchiostro metallo-gallico non si sottraggono a questo ragionamento. Essi
presentano spesso effetti evidenti, di natura corrosiva, dell’impiego di tali composti. Il
restauratore, pertanto, si troverà a dover scegliere fra trattamenti di due fondamentali tipi:
13
acquosi e non-acquosi .
5.1.1 Restauro mediante trattamento acquoso
I trattamenti acquosi presentano consistenti benefici, quali l’eliminazione di vari prodotti
dannosi solubili in acqua ed il riformarsi dei legami tra le fibre per cui la carta si presenta
maggiormente flessibile.
Sono, tuttavia, altrettanto consistenti gli effetti collaterali. I componenti l’inchiostro solubili in
acqua, come gli ioni di Fe(II), si sciolgono durante il trattamento e possono causare un
imbrunimento attorno all’area inchiostrata, oltre che diffondere la corrosione. Solo alcuni di
questi composti possono essere individuati tramite fluorescenza UV e l’acido solforico e gli ioni
metallici non sono rilevabili alla luce visibile. L’acqua, inoltre, non sempre riesce a penetrare nella
carta in maniera uniforme: le aree inchiostrate, infatti, sono idrofobe, mentre la cellulosa è
idrofila. Per questo motivo si possono causare fratture e persino perdita di frammenti. Tuttavia,
l’aggiunta di un alcool nella soluzione acquosa, come etanolo, favorisce la penetrazione
dell’acqua nella carta riducendo parzialmente il rischio di un degrado meccanico. Allo scopo di
evitare le conseguenze negative rilevate il trattamento acquoso in molti casi non è indicato.
5.1.2 Restauro mediante trattamento non-acquoso
I trattamenti non-acquosi hanno l’indubbio vantaggio di non dissolvere i composti solubili in
acqua e, perciò, di non farli migrare all’interno della carta. Riducono, inoltre, al minimo il
rigonfiamento della fibre della cellulosa.
12
Per un’analisi sintetica e chiara dei fenomeni richiamati, cf M. BICCHIERI, Chimica della cellulosa e metodi di studio della
sua degradazione, http://www.artericerca.com/.
13
Cf B. REISSLAND, Ink Corrosion. Aqueous and Non-Aqueous Treatment of Paper Objects - State the Art, 168 - 169.
d. Paolo Secchi
7
I limiti, tuttavia, non mancano. Innanzitutto, non è possibile rimuovere tutti i prodotti di
deterioramento e, in secondo luogo, non si ottiene alcun aumento delle proprietà meccaniche
della carta.
5.1.3 Restauro mediante trattamento di deacidificazione (acquoso e non-acquoso)
Agli interventi di deacidificazione (oltre, naturalmente, la neutralizzazione degli acidi presenti
nella carta) si richiede la formazione di un residuo alcalino che possa far fronte alle reazioni acide
future.
Il sistema che più di ogni altro riesce a neutralizzare gli acidi presenti e ad inserire il deposito
alcalino è l’immersione della carta in una soluzione basica ed acquosa. Il lavaggio così condotto
permette, per un verso, la solubilizzazione degli acidi ed elimina i prodotti di deterioramento
della cellulosa che ne riducono la resistenza, così come l’allargamento delle fibre ad opera
dell’acqua facilita la migrazione del sale alcalino verso l’interno della carta. I sali maggiormente
utilizzati sono il bicarbonato di calcio, l’idrossido di calcio ed il bicarbonato di magnesio. Per altro
verso, come indicato sopra, gli effetti secondari di un trattamento acquoso inducono a preferirne
altri.
I trattamenti di deacidificazione non-acquosi, a tutt’oggi molto praticati, presentano una
problematica non trascurabile: poiché implicano l’utilizzo di un solvente organico,
all’evaporazione di questo consegue fatalmente un’elevazione dei valori di pH, il che accelera il
deterioramento per via dell’idrolisi basica.
5.1.4 Restauro mediante trattamento di sfaldatura della carta
La sfaldatura della carta consiste nella separazione delle due facce di un foglio, anche quando
questo sia danneggiato dall’umidità, dalla muffa o corroso da inchiostri metallo-gallici. In
quest’ultima situazione, tuttavia, il rischio maggiore è rappresentato dalla possibilità che i
manoscritti deteriorati non si scindano in maniera uniforme, provocando danni maggiori.
5.1.5 Restauro mediante disattivazione degli ioni di Fe(II)
È abbastanza recente la messa a punto di una innovativa procedura di intervento su
manoscritti danneggiati per la presenza di inchiostri metallo-gallici. Si tratta di esporre i
manoscritti all’azione di fitati, ossia i sali dell’acido fitico (presente in natura in vari semi), i quali
legano gli ioni metallici formando un chelato, cioè un complesso particolarmente stabile, che
presenta l’effetto - pur non essendolo in senso stretto - di anti-ossidante, ossia di bloccare le
14
reazioni ossidative .
CONCLUSIONI
I fenomeni chimici in atto su manoscritti stesi mediante inchiostri metallo-gallici sono,
abbiamo visto, essenzialmente di tipo corrosivo, in rapporto alla cellulosa del supporto scrittorio.
Più in particolare, all’acido solforico - che riduce la lunghezza del polimero, catalizzandone
l’idrolisi - è imputabile la perforazione della carta mentre al solfato ferroso - che ne catalizza
l’ossidazione - è da attribuire la propagazione dell’effetto corrosivo.
Diverse le metodiche attuate per contenere gli effetti del lento e spesso vistoso progresso di
degrado. Non tutte efficaci alla stessa maniera. Infatti, quelle che prevedono l’utilizzo dell’acqua
hanno di buono che rendono più flessibile il supporto e rimuovono agenti patogeni solubili ma
presentano la ‘disfunzione’ di sciogliere anche le componenti ferrose l’inchiostro, favorendone la
migrazione sul/nel supporto. Quelle, poi, che non prevedono l’uso dell’acqua è vero che non
inducono alla migrazione gli elementi dannosi ma è vero anche che non favoriscono la
penetrazione di utili sostanze alcaline nella carta, per via della sua immutata rigidezza. Fra altre
(quali la deacidificazione o la sfaldatura della carta) sembra garantire risultati incoraggianti
l’adozione di fitati, i quali ‘incastrano’ gli ioni di Fe(II) in un chelato, così da arrestarne lo
spostamento e l’azione di degrado.
14
Cf J. G. NEEVEL, Phytate: a Potential Conservation Agent for the Treatment of Ink Corrosion Caused by Iron-gall Inks, 143160. Per una presentazione analitica della procedura.
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Scripta … manent? Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze
APPENDICE
I Quinquelibri
Non è infrequente parlare con persone che abbiano intrapreso, almeno una volta nella vita,
l’avventura di ricostruire il proprio albero genealogico. Un ambito affascinante, certo, ma irto di
difficoltà. La prima in cui, fatalmente, ci si imbatte è la limitatezza dei dati che è possibile
attingere alle Anagrafi comunali. Si sa: non risalgono a periodi precedenti l’unità d’Italia, con la
costituzione di un assetto amministrativo omogeneo per tutto il territorio nazionale. La soluzione
che, immancabilmente, l’ufficiale dell’Anagrafe suggerisce è di rivolgersi al parroco del paese: le
Parrocchie, infatti, nell’immaginario oramai comune, pare dispongano di banche dati che
possano risalire ad Adamo!
Se è vero che gli Archivi parrocchiali sono più ricchi delle memorie municipali, è vero anche
che i loro limiti non sono pochi né di poca portata. Poniamo, infatti, che un improvvisato
ricercatore del sassarese - armato di pazienza (utile per vincere l’attesa del parroco), di una
‘bussola cronologica’ (necessaria per districarsi nel ginepraio dell’omonimia, frequentissima nel
passato) e di buona vista (indispensabile nell’affrontare la lettura di qualsiasi manoscritto) - si
veda mettere a disposizione il fondo antico dell’Archivio parrocchiale del proprio paese che,
supponiamo ancora, risale al 1500 (fatto non raro). Come procedere? Da quale parte cominciare?
Di quali strumenti dotarsi ancora?
Innanzitutto, questo nostro ipotetico ricercatore ha già avuto una fortuna straordinaria: se gli
scritti più antichi dell’Archivio rimontano al ‘500 ha tra le mani il materiale che i suoi antichi
Parroci hanno redatto dal Concilio di Trento in avanti, ossia da quando quell’Assise (che, ad onor
di cronaca, fu tenuta per rimettere in sesto la Chiesa a seguito degli sconvolgimenti, dottrinari ed
istituzionali, causati dalla Riforma protestante) impose che in ogni Parrocchia, di qualsiasi
dimensione, si compilassero scrupolosamente 5 Registri, i, cosiddetti, Quinquelibri, secondo il
dettato per cui “in unaquaque paroecia habeatur tabularium seu archivium, in quo libri
paroeciales custodiantur: liber scilicet baptizatorum, matrimoniorum, defunctorum, aliisque
secundum Episcoporum conferentiæ aut Episcopi diocesani præscripta; prospiciat parochus ut
15
iidem libri accurate conscribantur atque diligenter asserventur” .
Essi erano: il Liber Baptizatorum (il registro dei Battesimi, nel quale confluiva un’enorme mole
di dati: dalle generalità del neonato, a quelle dei genitori, dei nonni e persino dei bisnonni, nella
formula abituale “figlio di” oppure “fu”, nel caso di orfani, ecc.), il Liber Confirmationis (in cui si
registrava l’amministrazione della Cresima, con i dati del cresimato e dei padrini), il Liber
Matrimoniorum (ossia la registrazione delle nozze, con relativi dati anagrafici precisi, persino dei
testimoni), il Liber Defunctorum (in cui erano redatti specie di atti di morte, molto circostanziati,
Fig. 5) e lo Status Animarum (una sorta di anagrafe parrocchiale). Nella più felice delle ipotesi
(per lo zelo del parroco pro tempore e non per obbligo) si può trovare anche il Liber Chronicon,
con la registrazione dei fatti notevoli della vita della comunità. C’è da dire che, periodicamente, i
vescovi, erano tenuti a fare la visita pastorale, canonica, dell’intera diocesi loro sottoposta e,
durante la permanenza di alcuni giorni in ogni parrocchia, verificavano con attenzione che tali
registrazioni venissero fatte nel debito modo, annotando sui registri stessi l’avvenuta verifica e lo
stato di conservazione dei testi (Fig. 6).
Ora, bisogna notare che questi Libri, prima del 1800, non venivano allestiti con materiale
prestampato: erano state date direttive di tipo generale, per cui ogni parroco doveva
preoccuparsi di reperire il materiale necessario, di ‘montare’ i tomi (con carte e/o pergamene, a
seconda delle risorse economiche della Parrocchia), di tracciare le righe, procurarsi l’inchiostro,
ecc. Da notare, inoltre, che esisteva e si tramandava una sorta di formulario ‘fisso’ in latino, per la
compilazione dei Registri, solo a partire dal 1700. Prima di quel periodo, ogni sacerdote stilava le
registrazioni secondo le proprie cultura, precisione, lingua. Perciò, al nostro ricercatore capiterà
di trovare registrazioni in latino dal ‘700 sino alla prima metà del ‘900 ed in spagnolo o,
addirittura, sardo per il tempo precedente.
Date tutte le condizioni a cui si è fatto cenno, è di tutta evidenza come il materiale scrittorio
di cui le diverse parrocchie disponevano non fosse della qualità massima. Per quanta cura i
parroci potessero e possano avere nel custodire queste ‘carte della memoria’, i suoi più acerrimi
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Codex Iuris Canonici, 535ss.
d. Paolo Secchi
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nemici si trovano al loro interno e sono gli inchiostri. Miscele dalla più improbabile composizione
minano, infatti, questo materiale in maniera irreparabile.
Fuor di metafora, sarebbe davvero auspicabile fossero in tanti i ricercatori avventizi: ci si
renderebbe conto direttamente di quanto questo logorio non riguardi e mini una dimensione
‘altra’, lontana e, in fondo, non cogente ma le radici più profonde della propria storia, individuale
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e collettiva .
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Questo, in estrema sintesi, il senso della Lettera circolare della PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA, La
funzione pastorale degli archivi ecclesiastici.
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Scripta … manent? Inchiostri antichi metallo-gallici: usi e conseguenze
Figura 5. Pagina del Liber Defunctorum, Putifigari (SS) 1772
d. Paolo Secchi
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Figura 6. Pagina del Liber Defunctorum con annotazione della visita canonica, Putifigari (SS) 1807
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