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Nozarashi kiko, IT - Villamarina Imagines Agentes
Nozarashi kiko, talismano di Saturno acrilico su tela, 200x70, 2013 Le opere-talismano sono dedicate a un elemento astrologico specifico (un segno zodiacale, un pianeta, un aspetto), con l’obiettivo di valorizzarne le virtù e attenuarne gli aspetti critici, attualizzando in tal modo l’antica prassi dell’astrologia operativa medievale e rinascimentale e alcuni principi dell’ars memoriae: da Cecco d’Ascoli alla magia neoplatonica ficiniana, da Giordano Bruno a Tommaso Campanella. Questo talismano, dedicato a Saturno, è ispirato a un’opera letteraria del maggiore poeta giapponese, Matsuo Munefusa (1644-1694), conosciuto con lo pseudonimo di Bashō. Il Nozarashi kiko (“Appunti di viaggio di un teschio”, 1624) è il primo dei suoi diari di viaggio, brevi opere letterarie che comprendono prosa e poesia e che realizzano un’ideale di vita e insieme di poetica: la vita come viaggio, l’abbandono alla natura per raggiungere un’intimità con le stagioni. L’opera, realizzata nell’ambito del progetto Endimione (Franco Masia e Gavino Ganau), è strutturata come un trittico: le due parti laterali rappresentano due scene ispirate all’opera di Bashō, mentre la parte centrale rappresenta simbolicamente, attraverso gli animali, gli elementi simbolico-allegorici collegati per tradizione a Saturno. La parte “narrativa” costituisce un’interpretazione originale del Nozarashi kiko e rappresentata un aspetto importante dei contenuti del talismano. Col seguente haiku, Bashō interrompe l’incipit in cui annuncia l’immediata partenza per un lungo viaggio: Mentre un teschio abbandonato / ho nella mente / il vento mi penetra nelle membra. Gli studiosi interpretano questi versi come una citazione di un episodio della celebre opera di Zhuangzi (Sōshi, per i giapponesi). Zhuangzi racconta di avere trovato un teschio lungo un sentiero: dopo essersi interrogato sulla sua sorte, lo utilizza come guanciale; apparsogli durante il sonno, il teschio gli rivela alcune verità sulla morte: non vi sono crucci, la felicità è massima; Zhuangzi gli domanda se non preferirebbe tornare a nuova vita: il teschio risponde che sarebbe folle tornare a penare in mezzo agli uomini. Questa ipotesi critica appare tuttavia poco proficua: commentando questi versi e alcuni episodi successivi dell’opera, gli interpreti si limitano a un generico rinvio alla durezza della vita e alla pericolosità dei viaggi al tempo di Bashō. Assai più plausibile è, invece, che il poeta avesse in mente un altro teschio, presente in una lirica di Zhang Heng intitolata per l’appunto “Il teschio”. Anche Zhang Heng incontra un teschio lungo il sentiero, cui domanda della sorte che lo ha condotto alla morte; la differenza col testo di Zhuangzi è che il teschio gli risponde realmente e non in sogno. E’ inoltre opportuno ricordare che il titolo dell’opera di Bashō, Appunti di viaggio di un teschio, denota una piena identificazione col teschio citato nei versi iniziali e dunque ne condivide la prospettiva. Il teschio di Zhang Heng dice molto di più di quello di Zhuangzi: si rivela tormentato in vita e morto senza raggiungere la perfezione; e quando Zhang Heng gli prospetta di ritornare in vita, il teschio prima tace e poi risponde così: “Troppo bella è la morte perché desideri tornare agli affanni della vita” (sin qui coincide con Zhuangzi), ma poi aggiunge: “Il cielo e la terra sono il mio letto e cuscino... seguo la natura, senza passioni, senza desideri. Lavami, non potrei essere più bianco. Sporcami, resterò sempre puro.” Bashō, che considerava la sua vita “un seguire la natura, una dimestichezza con le stagioni”, sembra più vicino alle parole di Zhang Heng: l’aneddoto del teschio rinvia al nucleo stesso della poetica delle stagioni, integrando i temi della natura, della fugacità della vita e della realtà impermanente, temi intrecciati in ogni opera di Bashō. Il poeta, che sarebbe potuto realmente morire nel corso del viaggio, ha parlato come il teschio: vita e morte si confondono quando si ha superato la realtà effimera e ci si abbandona al fluire ciclico delle stagioni. Tornando al talismano, il primo pannello rappresenta Bashō e il compagno di viaggio Chiri che hanno incontrato un teschio abbandonato: il giovane appare piuttosto preoccupato, mentre Bashō esprime una serenità ricca di umanità. Nell’ultimo pannello Bashō è rappresentato mentre dorme accanto al teschio, che rappresenta sia il guanciale citato da Zhuangzi, sia il “guanciale d’erba”, che è un concetto affine della letteratura giapponese e il cui significato è in sintonia con la poetica delle stagioni di Bashō. Accanto al vecchio maestro, Chiri sorride, mostrando di aver compreso. Tra le due estremità rappresentate dai pini, ispirati a un dipinto di Kaiho Yusho, si svolge una scenetta con animali: è un’attualizzazione della favola “La volpe e la cicogna” che consente di valorizzare la natura profonda di Saturno: la volpe, che in un primo momento aveva imbrogliato la cicogna, incapace di prendere il cibo da un piatto piano, subisce ora una dura lezione, poiché la cicogna ha davanti a se un’ampolla che richiede il suo becco lungo (la profondità); questo insegnamento è trasmesso alla gru, in una posizione tradizionalmente associata alla meditazione, altra caratteristica del Saturno evoluto. Il corvo, che sull’albero incarna la rappresentazione più tradizionale di Saturno, associato sempre alla malinconia, nella seconda versione cerca di imitare la gru, improvvisando una buffa danza. La scena si svolge sotto i pini, simbolo di eternità. Questo talismano affronta la costellazione archetipica di vita e morte che caratterizza Saturno, stornando gli aspetti pessimistici, malinconici e mortiferi che contraddistinguono la cultura occidentale e le sue rappresentazioni di Saturno – basti pensare alla Malincolia I di Dürer – indicando nella riconciliazione con la natura e con la ciclicità delle stagioni il superamento di un conflitto che caratterizza la nostra umanità e in modo peculiare la struttura psichica e caratteriale di alcune persone.