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dalla Vanitas all`Effimero

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dalla Vanitas all`Effimero
dalla Vanitas all’Effimero
dalla Vanitas all’Effimero
di Sergio Inglese
storia dell’arte
prof. Angela La Ciura
Introduzione: Vanitas letteraria
Ahimè, povero Yorick!
Io lo conobbi, Orazio; un tipo d’un’arguzia inesauribile e d’una rara vivacità di fantasia. Mille volte mi portò a cavalluccio sulle spalle. E ora, che orrenda immagine offre al mio ricordo! Mi stringe lo stomaco e la gola. Qui erano quelle labbra che mi han baciato non so quante volte. Dove sono, ora, le tue beffe? Le
tue capriole? Le tue canzoni? Le tue scariche d’allegria che sollevavano tra le mense una mareggiata di risate? Nessuno più c’è, oggi, a farsi spasso di questo
ghigno? E così smascellato, sei? Va’ adesso in camera di madama e dille che può pur mettersi un palmo di belletto sulle guance, a questo dovrà sempre ridursi:
e che ne rida, se può, Orazio, per favore, dimmi una cosa …
Amleto, V atto; William Shakespeare
Dire quando l’uomo ha cominciato a cercare di esorcizzare le paure è probabilmente un’impresa impossibile. Ciononostante con una certa regolarità ci sono
sempre stati riferimenti costanti in tutte le arti non solo all’ignoto ma anche alla natura effimera della vita.
Il termine che meglio rappresenta questa logica è una parola latina: Vanitas.
Spesso è stata tradotta erroneamente col termine vanità ma questo è un errore storico proprio come l’uso di un teschio nel primo monologo dell’Amleto.
Infatti con vanitas si intende più precisamente l’evanescenza, la caducità delle cose e della vita; è un modo per dire che tutto anche se bellissimo e fiorente è
destinato ad appassire e spegnersi; nulla è eterno e i grandi pensatori della storia da Platone a Goya ce lo hanno ricordato con quelle che sono state le loro arti.
Il brano in apertura infatti è lo storico dialogo/monologo di Amleto con il teschio del suo caro vecchio amico Yorick, un giullare sagace e intelligente che però lo
scrittore non esita a mostrare come cadavere se non meno. Yorick è stato, nel dramma, un personaggio decisamente interessante a sentir parlare il protagonista
e proprio per questo la figura ideale per trasmettere il messaggio che meglio descrive la vanitas nella sua essenza: “Va’ adesso in camera di madama e dille che
può pur mettersi un palmo di belletto sulle guance, a questo dovrà sempre ridursi: e che ne rida, se può … ”
5
L’uso del teschio come simbolo della vanitas è probabilmente uno stereotipo, in arte infatti sono innumerevoli gli elementi che spesso vengono proposti; candele
spente, frutta marcia e insetti sono solo alcuni esempi.
Ciononostante in letteratura abbiamo degli esempi anche molto recenti e decisamente surreali. La fantascienza infatti da questo punto di vista pone degli esempi
meravigliosi, mi limiterò ora a citarne tre con la speranza però di incuriosire l’osservatore.
Isaac Asimov grande esponente della fantascienza del ‘900 tra i suoi racconti di robot e di demoni alieni ha ipotizzato un universo in “il ciclo delle fondazioni”
in cui l’uomo, ormai padrone della galassia, può grazie a calcoli matematici prevedere gli eventi futuri. Questa grande scoperta però porta ad una effimera considerazione del fondatore di questa scuola di pensiero, tutto nasce vive e muore, dal più piccolo degli uomini fino al più grande impero.
Fredrick Brown invece in “la sentinella” ci fa vivere le sensazioni di un soldato spaziale mandato a combattere una guerra non sua con la consapevolezza che il
nemico sia una creatura orribile che mira solo alla distruzione del protagonista, come cambia la prospettiva quando descrive in coda al racconto descrive l’alieno
morto così umano “con solo due gambe e due braccia, quella pelle di un bianco nauseante e senza squame.”
In ultimo vorrei parlare di Massimo Mongai, nostro connazionale, che pochi anni fa scrivendo un premio urania, “Memorie di un cuoco d’astronave” , descrive
la vita di un uomo esperto di cucina che, nonostante sulla terra abbia l’affetto di due donne bisessuali bellissime che non gli fanno mancare “proprio nulla” grazie proprio alla sua cucina, decide di mollare tutto per inseguire il suo sogno di essere un vero cuoco e cucinare per gli alieni ricchi che si possono permettere
il cibo vero; da tempo ormai l’umanità vive sull’orlo del collasso a causa della sovrappopolazione e tutta la produzione alimentare è incentrata sulle alghe e la
soia. Come definire questa storia come l’allegoria del carpe diem, la consapevolezza del fatto che anche le cose bellissime passano mentre bisogna vivere la vita
a pieno godendo di ogni momento.
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Vanitas classica
Parlare di natura morta comunque non è semplice, è un argomento ricco di simboli spesso legati tra loro e la vanitas non fa eccezione, mi piace comunque pensare
in un’ottica puramente cartesiana di poter fare delle distinzioni all’interno dell’argomento ora trattato. Si potrebbe infatti parlare di vari stili di vanitas legati al
loro metodo di rappresentazione. La prima di queste categorie potrebbe essere appunto chiamata Vanitas Classica in quanto legata al suo simbolo per eccellenza,
il teschio.
Di contro, quando parliamo di Vanitas spesso si fa una certa confusione con il così detto Memento Mori, i due concetti infatti sebbene trattino all’origine qualche
cosa di simile hanno due valenze totalmente diverse.
Il Memento Mori, o ricordati che devi morire, è un monito molto forte che intima l’osservatore ad un comportamento retto e onesto di carattere prettamente
occidentale. Quando se ne parla spesso ci si ambienta in ambito medievale e quasi sempre con valenze religiose.
La vanitas invece è quasi una visione più razionale della faccenda, è un modo per dire se vogliamo usare una frase ironica: beh si morirai tu come tutte le altre
cose belle di cui ti circondi quindi sii morigerato.
Questa visione forse meno tetra della vita ma ugualmente pessimistica non si scosta comunque dal simbolo del teschio umano che meglio di qualunque altra
cosa mette in soggezione.
La differenza tra questi due concetti è palese dall’esame del dittico di Hans Memling (tav. 1) contrapposto all’autoritratto del pittore David Bailly (tav. 2).
Nel primo la scritta latina morieris (morirai) non lascia scampo a dubbi, se poi vogliamo prendere anche in considerazione il simbolo del calice con la serpe che
sta sull’altro lato del dittico, allora possiamo benissimo identificare l’insieme come un classico memento mori.
Il secondo invece è un autoritratto a tutto tondo, non vi è presente solo il viso dell’artista ma la vita stessa che culmina con una riflessione sulla fugacità della
vita, rappresentata non solo dal classico resto umano poggiato tra oggetti vari, ma anche dal ritratto di se stesso da anziano che il protagonista regge in mano.
In questo secondo esempio la vanitas prende il suo posto nella scena non come minaccia ma come monito, e come parte della vita stessa. In vero in questa seconda opera i riferimenti alla vanitas sono molteplici ma fanno parte di una simbologia che affronterò nei paragrafi successivi.
In ogni modo la figura del teschio umano si ripete più e più volte nell’arte sia di genere che religiosa spesso in contesti quasi paradossali, non serve andare lontano
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soprattutto per accorgersene, basta entrare in una qualsiasi chiesa con un minimo di storia per trovare stucchi e gessi in cui putti tengono in mano libri, teschi e
quant’altro. Parallelamente mi piace notare la “vanitas” del francese Simon Renard de Saint-André (tav. 3) dove tra bolle di sapone, di cui parleremo dopo, flauti
e spartiti troviamo un teschio coronato d’alloro simbolo della fama postuma e non attuale.
Anche nel lavoro di Pieter Boel (tav. 4) troviamo un teschio incoronato d’alloro ma in questo caso, dato che è disposto vicino a simboli regali, è più logico pensare che faccia riferimento alla vanità del potere terreno inteso come qualche cosa di caduco e passeggero.
Da non dimenticare similmente gli svariati esempi di rappresentazione di Maria Maddalena insieme ad un teschio. In questo caso il simbolo vanitatum ha anche
il significato di redenzione, sta ad indicare il percorso della peccatrice che riabbraccia la retta via, da non dimenticare in questo senso “La Maddalena Penitente”
di Georges de la Tour (tav. 5) in cui una Maria pensierosa accarezza un cranio sdentato nella luce bassa ma ugualmente forte di una fiaccola. L’artista marca il
concetto col vestito rosso simbolo della passione ma anche con la luce che simbolo divino illumina il volto della protagonista lasciando il resto nell’ombra.
Un discorso interessante si può fare poi per “autoritratto con la morte che suona il violino” di Bocklin (tav. 6). Questo quadro infatti anche se non rientra nel concetto di natura morta ha comunque una certa valenza nell’ambito vanitas. L’artista infatti si ritrae con in mano i suoi strumenti quindi presumibilmente nell’atto
di creare, mentre alle sue spalle la morte sempre incombente suona un violino.
Che tripudio simbolistico!
Il quadro è pieno di antitesi e significati, proviamo ad esaminarne qualcuno: l’artista è nell’atto di creare ma alle sue spalle ha l’essenza della distruzione; il violino come del resto gli strumenti a corda sono spesso identificati come strumenti ultraterreni e comunque portano spesso al concetto di tatto; non si può in ultimo
non notare il contrasto tra l’occhio vivo dell’artista che guarda lo spettatore contro invece il vuoto quasi cosmico delle orbite della morte; entrambi illuminati
ma l’artista getta ombra con la sua testa sulla mano ossuta che tiene l’archetto, quasi a voler aumentare ancora il contrasto tra il creare e il distruggere. Mi piace
pensare che questo quadro sia un’anti vanitas, un manifesto al lasciare un’impronta nella storia o ancora il desiderio di sopravvivere in eterno. Potremmo anche
paragonarlo al quadro di Dorian Gray, di cui spero gli appassionati di Wilde non me ne vorranno per non averne accennato prima. Un quadro destinato in modo
opposto a lasciare una traccia del passato.
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Vanitas vegetale
Dopo la Classica mi piace pensare ad una Vanitas Vegetale, che prende spunto appunto dal genere di vita omonimo, per identificare il passaggio del tempo e il
rischio di degenerazione.
Forse più frequenti dei teschi sono proprio fiori e frutti coinvolti dal trascorrere del tempo che marciti o appassiti giacciono in malinconiche composizioni. Non
è raro vedere composizioni floreali dove accanto a steli sodi e rigogliosi si vede una corolla cadente quasi sempre di colore rossastro (simbolo della passione).
Il fiore peraltro non solo incarna perfettamente l’appassirsi della bellezza, dato che nel momento in cui viene composto in una composizione ha ormai poche ore
di splendore, ma rispecchia anche il concetto del fato che in un attimo può recidere la vita.
Ma non si può nemmeno dimenticare la mela bacata della “Canestra di Frutta” del Merisi (tav. 7), classico esempio di vanitas in un contesto perfettamente equilibrato. Probabilmente infatti quel dipinto così magistralmente eseguito non significherebbe nulla senza quel buco in primo piano che immediatamente da a tutta
l’opera un significato profondo, lo rende quindi una metafora della vita.
Eppure anche se i fiori si prestano meglio a tal proposito, per via forse del significa quasi ancestrale di purezza che noi gli abbiamo dato nel corso dei secoli, è
inevitabile non guardare con una certa apprensione agli ortaggi del ortaggi di Cotan (tav. 8) che giacciono nella composizione in modo a dir poco teatrale, appesi
tragicamente o deposti come assaliti dal caldo, di quel caldo che solo chi vive in area mediterranea può conoscere. I vegetali di Cotan riescono ad esprimere la
vanitas nella loro integrità, non hanno bisogno dei segni del tempo per essere tragici, basta la luce che li tocca e la composizione che li ospita.
Non si può dire lo stesso dei fiori di Bruegel, nel suo caso infatti il simbolismo legato all’elemento è basilare, se non sapessimo cosa significano i garofani o i
gigli i lavori del vecchio dei tessuti sarebbero solo splendide elaborazioni pittoriche prive di un vero valore, ciononostante come non notare nell’opera del 1606
(tav. 9) i due fiorellini recisi accanto al gioiello, segni inconfondibili della decadenza; magistralmente deposti accanto ad un simbolo degli averi terreni.
Discorso analogo si può fare anche in area Italiana per l’opera di Cagnacci “Fiori in una fiasca” (tav. 10). Qui infatti i fiori anche se ancora rigogliosi sono costretti in un collo di bottiglia infranto, vicini in un destino comune ma desiderosi di percorrere diverse strade. La fiasca di contro è molto umile, ricoperta di paglia e
sfilacciata, non c’è nessuna traccia del collo che qualcuno avrà buttato via.
Anche l’area romana non esce incolume da questa ricerca di significato, il melograno la fa da padrone e come simbolo della passione di cristo campeggia in bella
mostra aperto nelle opere di Michelangelo da Campidoglio (tav. 11) accanto comunque a pere un po’ ammaccate e pesce che di sicuro non si possono definire
di prima scelta.
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Vanitas animale
Si potrebbe pensare che, a seguito di quello che ho detto parlando di Vanitas Vegetale, quella Animale tratti il decadimento omonimo ma non è così.
Potrebbe essere così se prendiamo in considerazione la tragicità del “Gallo Morto” di Metsu (tav. 12), così abbandonato in quella posizione scomposta da sembrare quasi un martire. Difficile dire se questa immagine trasmetta tanta forza per via della composizione o per il dettaglio. Ciononostante quando parlo di Vanitas
Animale preferisco riferirmi a tutto quel microcosmo che pittori di ogni area hanno inserito nelle loro nature. Insetti volanti e non, uccellini, roditori ma anche
conigli bianchi e scimmie aggrediscono i cibi deposti su tavole imbandite o tra i banchi dei venditori. Non importa né il numero né la dimensione tutte queste
creature assolvono alla stessa funzione, rappresentano le insidie della vita che tendono a deturpare ciò che è bello. Ognuna poi di queste figure ha il suo significato più specifico a seconda delle culture, gli uccelli quasi sempre rappresentano qualche accadimento naturale e difficilmente gestibile a differenza delle scimmie
che invece incarnano la lussuria. I roditori poi proprio per il loro modo di mangiare rappresentano il lento consumarsi della vita mente gli insetti, soprattutto le
mosche, hanno un significato negativo e alle volte malvagio.
Non è raro vedere quindi scimmiette piluccare frutta totalmente ignorate da eventuali figure umane presenti nella scena o ancora insetti appollaiati su dolciumi
e frutti.
Mi riferisco per esempio sempre alle opere del da Campidoglio (tav. 13) o ancora alla natura morta con dessert di Flegel (tav.14) dove un topolino non ha che da
contendersi dolciumi e frutta secca con un paio di scarafaggi.
Similmente annovererei in questo campo anche tutte quelle scene di sottobosco in cui vige spietata la legge della giungla, come l’opera di Ruysh Rachel (tav. 15)
in cui, non solo una mosca insidia una pesca simbolo di purezza ma addirittura una lucertola bluastra divora avidamente il contenuto di un uovo considerato come
simbolo del cosmo ordinato. La lucertola invece essendo un rettile rappresenta il male demoniaco se non lo si vuole collegare addirittura al serpente biblico.
Comunque anche nelle composizioni più classiche della natura morta come quelle del Bruegel (tav. 16) lì tra i vasi si distingue qualche animaletto a sei zampe
che avanza tra conchiglie e fiori recisi. Creature simbolo di corruzione delle carni difficilmente ricollegabili a significati positivi.
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Vanitas artificiale
In ultimo vorrei parlare di quegli elementi che esprimono il concetto di vanitas ma che non fanno parte dei due regni precedenti. Anche un occhio poco allenato
non può non notare che in moltissime nature morte sono presenti elementi comuni come possono essere candele spente, oggetti da fumo o bicchieri rotti, beh
questi sono solo alcuni dei riferimenti al decadimento che gli artisti hanno escogitato, ma esaminiamoli più nel dettaglio.
La presenza di orologi e clessidre indica proprio il trascorrere del tempo, qualche cosa che proprio perché passa inesorabile non possiamo fermare. La scelta su
tale simbologia non dovrebbe avere poi grande importanza anche se a parer mio il concetto di clessidra è sicuramente più forte a causa dell’immagine iconografica propria della nostra cultura che mi richiama alle sabbie del tempo.
Come non citare in questo caso la “natura morta con libri” di un anonimo spagnolo (tav. 17) in cui alla luce fresca di una finestra appaiono dei libri, una penna,
un calamaio e una clessidra posta sul volume più grande accanto ad un altro aperto e scritto. La clessidra non ha ancora perso uno dei suoi granelli come se il
tempo fosse immobilizzato dall’artista per noi. Sembra quasi che voglia dirci, anche grazie al testo schiuso, siamo ancora in tempo la fine non è vicina ma stiamo
ugualmente in guardia.
Valenza totalmente opposta ha il lavoro di Antonio de Pereda (tav. 18): presenta un orologio e tre crani scomposti e logori disposti su un drappo rosso, la luce è
calda e lascia lo sfondo in ombra. Lo strumento in primo piano sta lì spalancato a mostrarci il tempo che scorre mentre su un piano posteriore il primo dei teschi
mostra tutta la sua decadenza. L’artista oltre a questa composizione così teatrale ha anche posto particolare attenzione sulla texture degli oggetti, le ossa infatti
presentano tutte quelle cavità e rugosità proprie della natura umana. In tal modo le ombre che si creano sono ancora più taglienti.
Ma il trascorrere del tempo non è preso in considerazione solo dagli strumenti di misurazione più classici, parallelamente e forse in modo più evidente l’uso di
mozziconi di candele è stato forse il modo più comune per rappresentare la vanitas.
La candela soprattutto se spenta e mezza consumata rappresenta quindi la fine di una vita, riportando lo spettatore alla considerazione che prima lì qualche cosa
ha bruciato e adesso non c’è più. Ho già parlato dell’autoritratto di Bailly e non intendo riprenderlo ma basti pensare anche al “teschio e candelabro” di Cezanne
(tav. 19) o alle candele di Beckamann (tav. 20) o ancora a libri e candela di Stosskopff (tav. 21) per avere un’idea di come questo elemento abbia attraversato
l’arte.
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Una categoria a parte è quella dei vetri e delle trasparenze, sia in Bailly che in Simon Renard de Saint-André troviamo bolle sapone come simbolo di qualche cosa
di vuoto e delicatissimo che può infrangersi in un attimo ma forse il bicchiere rotto dell’opera di Sebastian Stosskopff ha un carattere più carico di significato.
In quest’opera accanto ad una cesta di bicchieri e coppe, di palese richiamo caravaggesco troviamo un cristallo molto lavorato e infranto, un pezzo giace anche in primo piano ma della base nessuna traccia. Stessa cosa nel l’opera di Simon Renard de Saint-André. Non è difficile quindi capire come il vetro infranto
rappresenti la delicatezza della vita, identificata come trasparente facilmente frangibile. Mille potrebbero essere gli esempi che la storia dell’arte ci propone ma
invito il lettore ad una particolare riflessione sulla fiasca del Cagnacci di cui si è già parlato. Il Cagnacci avrebbe potuto mettere i fiori delicati in una bella fiasca
nuova o quantomeno sana invece li incastra in un collo spezzato ed anche un po’ impolverato, dando così un senso metafisico a quella che altrimenti sarebbe solo
una bella composizione floreale.
Beh, che il tempo passa ormai gli artisti ce lo hanno detto ma ci ammoniscono anche su quelle che possono essere le gravi tentazioni del nostro animo. Lo fanno
mostrandoci leccornie e dolciumi particolarmente curati aggredite da animali o anche semplicemente lasciati mezzi consumati dopo un pasto. Sempre Bruegel ci
mostra in “il Gusto” (tav. 22) un satiro che tenta una nobildonna con delizie di ogni genere, mentre Claesz Heda (tav. 23) ci porta a guardare ciò che resta di un
pasto dove il protagonista ha lasciato qualche buccia un limone sbucciato e una coppa riversa. Qui infatti non è difficile notare un certo disprezzo da parte della
scena. Tutto è lasciato in modo apparentemente caotico per dare un senso di lussuria e degenerazione. La coppa di vino è vuota mentre quella di acqua è piena
a metà, segno che il desinante ha preferito la lussuria alla purezza.
Ma vorrei discutere sui vizzi. Infatti accanto a questa simbologia prettamente medievale del tempo che scorre si afferma anche la presenza della perdita delle
virtù: gli strumenti da fumo e i giochi prendono anche loro un posto sulla scena nelle opere di Pieter Claesz e di altri. In “natuta morta con boccale di birra,
pipa e carte da gioco” (tav. 24) vengono mostrati insieme tutti i simboli del vizio, al punto che anche il tabacco straripa dal suo contenitore sporcando il piano
dell’opera, le carte invece non solo sono scomposte ma escono dal tavolo sfuggendo all’ordine.
Anche in “L’estate e i cinque sensi” sempre di Stosskopff (tav. 25) troviamo al centro dell’opera l’ammonimento vanitatum con una scacchiera e dei dadi tratti su
essa. Mi piace vedere in quest’opera una visione del futuro da parte dell’artista, forse in un’altra epoca lo avremmo chiamato metafisico o surrealista, ma questa
è un’altra storia.
In ultimo rimangono gli strumenti musicali. Anche il suono per il suo concetto di brevità è simbolo di vanitas ma soprattutto tale carico è portato dagli strumenti
a corda e dai liuti, a causa probabilmente di reminiscenze medievali. Il concetto è in fondo logico la corda tesa di un liuto tieni parecchi chili di tensione e la sua
struttura viene quindi riferita alla vita umana, probabilmente radici ancora più antiche potrebbero riportarci al mito delle parche che recidono il filo della vita
degli uomini.
Ad esempio di tutto ciò ecco come in “Estasi di santa Cecilia” di Raffaello Sanzio (tav. 26) appaiono strumenti musicali infranti ai piedi della santa e tra essi
una viola giace scheggiata e con le corde tutte spezzate e scomposte. Ma anche in cori angelici spesso e volentieri si vedono queste creature divine imbracciare
liuti segno che questo tipo di strumento da sempre è stato visto come qualche cosa di metafisico e ultraterreno.
12
La mia Vanitas
Fin da piccolissimo sono sempre stato affascinato dalle strutture logiche e intorno agli otto anni ho avuto modo grazie ai miei genitori di potere leggere e capire
vari testi letterari. Ma soltanto con la mia entrata in accademia ho potuto dare libero sfogo alla creatività riprendendo anche alcuni di quei testi che ricordo omari
a memoria come fosse filastrocche.
In questo ambito vorrei proporre quattro miei lavori, due ad aerografo ed due totalmente digitali.
Per iniziare ecco Yorick (tav. 28), un personaggio in animazione digitale 3d che ispirato al teschio Shaekspiriano. Lui, in una serie di video, parla alla gente del
nostro tempo in modo decisamente altezzoso e accusatorio disprezzando tutta l’entropia che la nostra società sta producendo. Lui rappresenta la vanitas ma non
si limita a farsi guardare lasciando all’osservatore la scelta di soffermarsi a pensare, Yorick sa che la maggior parte della gente non guarda ma vede soltanto e
per questo motivo lo aggredisce imponendogli di ascoltare.
Il secondo invece è un mio autoritratto (tav. 29) ispirato la dipinto di Bocklin di cui già abbiamo parlato. Nel mio caso ho ripreso la costruzione ma ho cambiato
una serie di elementi. Gli strumenti dell’artista sono cambiati trasformandosi dai pennelli alla penna dell’aerografo e la figura della morte è stata sostituita dallo
zio Sam americano.
Ho realizzato questo lavoro con una doppia valenza, lo zio Sam infatti dal mio punto di vista ha la stessa valenza della morte, se non per certi versi peggiore
considerando le stragi che ha incitato con il suo “I Want You for U.S.A. army”. Ecco che l’aerografia da questo punto di vista ha un doppio significato sia quello
della Vanitas interpretato da Bocklin sia di valenza politica e inevitabilmente sociale.
“Cascata di teschi” (tav. 30) invece è un’accozzaglia di teschi umani e non ammassati in modo apparentemente caotico. Il lavoro esiste come aerografie in due
formati uno 50X70 cm ed un altro di 120X220 cm.
Ho scelto di mischiare teschi di varie creature contemporanee e preistoriche con la precisa intenzione di mostrare un insieme coeso e indivisibile delle creature
terrestri. Non c’è quindi differenza tra il cranio di un uomo e quello di un cavallo, entrambi sono stati parte della vita ma adesso sono solo espressione dell’effimero.
13
In ultimo ecco “Stilleben mit Edi” (tav. 31), un lavoro di modellazione 3d stampato su forex 30X30 cm.
La modellazione 3d è uno strumento molto divertente che avrebbe divertito soprattutto i surrealisti, con questo mezzo nulla ci impedisce di provare a mettere un
elefante in bilico su un bicchiere di cristallo e vedere nel giro di pochi secondi se è un’idea valida oppure no.
In questo caso ho modellato vari elementi che ricordano il ‘900, dal protagonista Edi, il piccolo aiutante Disney, seduto come il pensatore su un teschio alla Luna,
ma vediamoli insieme.
Sullo sfondo a sinistra vediamo da un lato “Canto d’amore”, penso che questo dipinto sia caratteristico delle avanguardie e quindi del modo di pensare contemporaneo del ‘900; a destra invece ecco la Luna ultima frontiera dell’umanità nel secolo appena trascorso.
Avanzando verso l’osservatore troviamo una radio antica, non nego che ho pensato a questo elemento vedendo il film “Il grande Dittatore” di Chaplin e più
precisamente quando nel discorso finale afferma: “L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni richiama la fratellanza
universale …”
Immediatamente davanti alla radio ecco i 5 cerchi olimpici scomposti ma incatenati l’uno con l’altro. Le olimpiadi dovrebbero rappresentare la pace o almeno
questo erano nell’antichità mentre nel corso del ‘900 sono state veicolo di competizione o come abbiamo visto di recente organizzate in piena crisi politica.
MacDonald’s divide con i cerchi olimpici il piano mediano dell’opera col suo logo rosso e giallo; porta il consumismo e la globalizzazione “un big mac è uguale
qui come in qualunque altra parte del mondo”: ho sempre pensato che questa affermazione sia inquietante.
In primo piano ecco tre elementi o strutture, sulla sinistra c’è Edi pensante seduto su un teschio, ho inserito questo elemento per bilanciare il logo sarcastico di
MacDonald’s, Il robottino infatti è un fumetto ma anche l’avatar di uno scienziato e trae ispirazione da Edison. Insieme al De Chirico rappresenta la cultura.
Al centro ecco il vizio rappresentato da un bicchiere di superalcolico con i suoi cubetti di ghiaccio. La nostra società è corrotta e viziata da un benessere effimero
che insieme alle griff tende a massificare l’umanità.
Infine in basso a destra ecco due proiettili Full Metal Jackets, simbolo della scienza bellica, questi proiettili sono stati creati e sperimentati nel Vietnam, la loro
peculiarità è che, essendo rinforzati con un doppio rivestimento, passano attraverso i giubbotti antiproiettili rendendo inutile qualunque protezione personale
nelle guerre.
14
Tavole
1. Hans Memling - Dittico di San Giovanni Battista, fine 1400e Santa Veronica (sportello destro)
15
2. David Baily - Autoritratto con natura morta, 1651
3. Simon Renard de Saint-André - Vanitas, 1650
4. Pieter Boel - Vanitas, 1663
5. Georges de la Tour - La Maddalena penitente,
1642-1644
16
7. Michelangelo Merisi - Canestra di frutta, 1596
6. Arnold Bocklin - Autoritratto con la morte che suona
il violino, 1872
8. Juan Sanchez Cotan - Natura morta con ortaggi e frutta,
1602-1603
17
9. Jan Bruegel il vecchio - Vaso di fiori con gioiello,
1606
11. Michelangelo da Campidoglio - Zucche, melograni e fichi con figura
femminile
12. Gabriel Metzu - Gallo morto
10. Guido Cagnacci - Fiori in una fiasca, 1645
13. Michelangelo da Campidoglio - Zucche, pesci e fichi con
bassorielievo e scimmia
18
14. Georg Flegel - Natura morta con dessert
16. Jan Bruegel il vecchio - Fiori in un vaso
15. Ruysh Rachel - Frutta, fiori e insetti ai margini di un
bosco, 1716
17. anonimo spagnolo - Natura morta con libri, 1650
18. Antonio de Pereda - Allegoria della caducità
19
21. Sebastian Stosskopff - Libri e candela, 1625
19. Paul Cezanne - Teschio e candelabro, 1866
20. Max Beckmann - Natura morta con candela rovesciata, 1930
22. Sebastian Stosskopff - Natura morta con cesto di oggetti di vetro, 1644
20
23. Jan Bruegel il vecchio - Il gusto
24. Willem Claesz Heda - Natura morta, 1613
26. Sebastian Stosskopff - L’estate e i cinque sensi
25. Pieter Claesz - Natuta morta con boccale di
birra, pipa e carte da gioco, 1636
27. Raffaello Sanzio - Estasi di santa Cecilia, 1514-1515
21
28. Yorick, 2009
30. Cascata di teschi, 2006
31. Stilleben mit Edi, 2010
29. Autoritratto con lo zio Sam che suona il
violino, 2006
22
Bibliografia
S. Zuffi, La Natura morta, Milano 1999
A. Veca, Natura morta, Art Dossier, Prato 1990
M. Volpi, Bocklin, Art Dossier, Firenze 2001
J. Burmeister, L’Arcadia di Arnolf Bocklin, Città di Catsello 2001
W. Shakespeare, Amleto, 1598-1602
Indice
Introduzione: Vanitas letteraria
Vanitas classica
Vanitas vegetale
Vanitas animale
Vanitas Artificiale
pag. 5
pag. 7
pag. 9
pag. 10
pag. 11
La mia Vanitas
Tavole
Bibliografia
Indice
23
pag. 13
pag. 15
pag. 23
pag. 23
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