Basta colpi di testa, il sistema sanitario va affrontato con
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Basta colpi di testa, il sistema sanitario va affrontato con
TACCUINO Basta colpi di testa, il sistema sanitario va affrontato con professionalità e nel rispetto della democrazia La poca trasparenza, l’ambiguità procedurale e l’arroganza di certe autorità purtroppo non sono una sorpresa, soprattutto per il Ticino, così dopo la scellerata decisione di Pascal Couchepin di introdurre la revisione dell’Elenco delle analisi di laboratorio e di promuovere misure alquanto discutibili, santésuisse rincara la dose e in una lettera indirizzata alle società mediche cantonali (all’OMCT è giunta in francese) e agli ospedali, informa che in base all’Art.55 LAMal non intende riconoscere adeguamenti tariffali nel 2010. In termini pratici questo significa interrompere le trattative (che per i medici significherebbe altrimenti percorrere la strada della negoziazione al ribasso) e non rispettare gli accordi tariffali. La risposta del Presidente della FMH non si è fatta attendere così Jacques de Haller ha parlato di “casus belli” annunciando reazioni dure a questa decisione, deplorando la decisione del Consiglio di amministrazione di santésuisse e ribadendo che in questa vertenza santésuisse si attesta dei diritti e delle competenze che non le spettano. L’Art. 55 LAMal, dedicato alla fissazione delle tariffe da parte delle autorità, conferisce la competenza di questa decisione al Governo cantonale rispettivamente al Consiglio federale (se il sistema tariffale ha una valenza nazionale). Per gli stessi motivi anche la KKA (Conferenza delle società mediche cantonali) è intervenuta prontamente coinvolgendo le società cantonali anticipando che, in seguito ad una discussione in plenum, prenderà posizione formalmente contro le ragioni di questa comunicazione. Dal canto suo anche H+, la società mantello degli ospedali, ribadisce che a SAS mancano le basi legali per tali decisioni e invita SAS a fornire maggiori informazioni in merito al significato di questa lettera che potrebbe trattarsi di un’annunciata rottura di ogni trattativa tariffale. Ritornando alle misure di accompagnamento contro la revisione dell’Elenco analisi di laboratorio in vigore dal prossimo 1° luglio 2009, durante la riunione del 12 febbraio il Comitato Direttivo – su delega dell’assemblea dell’Ordine – ha appoggiato lo sciopero amministrativo proposto dalla Società Svizzera dei Medici Generalisti (SSMG/SGAM) affiancandosi alla decisione della Società medica della Svizzera Romanda (SMSR). L’OMCT, considerato l’allarme pandemico, ha escluso in totum il boicottaggio delle segnalazioni Sentinella, mentre nella Svizzera romanda è stato deciso di boicottare anche il monitoraggio delle epidemie escludendo giustamente dallo sciopero della penna l’influenza suina che continuerà invece ad essere notificata alle autorità preposte. Durante l’assemblea dell’Ordine tenutasi lo scorso 22 aprile 2009 la Dirigenza dell’Ordine ha raccolto anche altre suggestioni e proposte da parte dei medici presenti, tra queste il perseguire con convinzione l’obiettivo di organizzare una manifestazione nazionale in Piazza federale (con mandato assembleare conferito specificamente al Vicepresidente FMH, Dr. Ignazio Cassis), il promuovere lo sciopero di una settimana ed i provvedimenti che potrebbero interessare il personale. La misura, oggetto di particolare attenzione da parte del corpo medico, è stata la proposta di disdire l’accordo tariffale (LeiKoV), quale misura di protesta significativa contro l’attuale politica sanitaria. Queste proposte suggerite dall’assemblea sono attualmente oggetto di discussione a livello nazionale e necessiteranno di un’approfondita discussione al nostro interno, in quanto la loro attuazione potrà causare un impatto importante nella gestione dello studio e dell’intervento medico-sanitario sul territorio (in caso di sciopero di una settimana e/o disdetta della LeiKoV) e potrà comportare un considerevole impatto sociale (perdite di posti di lavoro e drastica riduzione dei posti di apprendistato). Le 74 MAGGIO 2009 prossime tappe necessiteranno di una discussione approfondita in termini di misure applicabili, modalità e tempi; una discussione che verrà affrontata in occasione di un’assemblea straordinaria dell’Ordine che potrebbe aver luogo prima della pausa estiva, a dipendenza dell’esito della discussione a livello di organi nazionali. Per quanto riguarda l’evoluzione della discussione oltre Gottardo, non posso che ribadire come la tavola rotonda indetta da Pascal Couchepin il 21 aprile scorso, alla quale hanno partecipato medici, ospedali, cantoni e casse malati, sia servita unicamente da pretesto per promuovere un pacchetto di misure servito ai presenti su un amaro piatto di argento: da un lato il contributo straordinario di 200 milioni che il Consiglio federale potrebbe destinare alla sanità e dall’altro lato l’intenzione del Consigliere federale di arrogarsi il diritto di abbassare le tariffe del Tarmed, misura alla quale si aggiunge la tassa di 30 Fr. per ogni consultazione medica – l’ennesima misure di risparmio a scapito del cittadino-paziente. Quest’ultima tassa, applicata insieme al prospettato aumento dei premi assicurativi, farà cresce parecchio il numero degli assicurati morosi nel nostro Cantone (sempre sulle spalle dei medici!)… e oltretutto sappiamo bene che il nostro è un Cantone in cui le riserve delle casse malati sono fortemente al di sopra del minimo legale e un aumento dei premi oltre una minima percentuale (ca.1.1%) sarebbe un’offesa alla cittadinanza ticinese. Come riferitomi dal Presidente della FMH Jacques de Haller, in occasione della tavola rotonda (che non è sinonimo di discussione), il ministro della sanità piuttosto di affrontare la discussione ascoltando i partner istituzionali ha ricordato il preannunciato forte aumento dei premi assicurativi per il prossimo anno rendendo note le sue intenzioni senza prendere in considerazione in alcun modo le posizioni, le considerazioni e le preoccupazioni espresse dai presenti. Non sorprende l’errata verbalizzazione di quanto sostenuto dal Presidente de Haller sulla TRIBUNA MEDICA TICINESE 181 TACCUINO dispensazione dei farmaci, un’occasione che la FMH non si è fatta scappare per chiedere prontamente la rettifica del protocollo dimostrando così la malafede e l’incapacità al dialogo di Couchepin (o meglio la mancata volontà all’ascolto e alla comprensione), ma anche ricordare come i medici abbiano contribuito – già fin troppo – al contenimento della spesa. Sembrerebbe quindi che ogni tentativo di dialogo promosso da Couchepin serva al Consigliere federale unicamente per giustificare il proprio operato e comprovare il coinvolgimento degli attori del sistema sanitario, nonostante in realtà si tratti esclusivamente di “consultazioni” alibi in cui vengono fornite informazioni unilaterali… che in seguito a procedure alibi, ahimé, vengono tradotte in decisioni imposte – che piacciono assai poco a chi crede veramente nelle decisioni democratiche. Siamo ormai abituati al provocatorio spauracchio impostoci dalle casse malati, pur sapendo che il preannunciato aumento dei premi assicurativi (intorno al 10%) servirà ad esempio a coprire gli 800 milioni persi in borsa e che tale aumento non spiega in alcun modo l’aumento dei costi del nostro Cantone. Tutt’altra cosa è invece dover prendere ripetutamente atto del carente modo di affrontare i temi di politica sanitaria da parte dell’UFSP e il suo condottiero. Con misure urgenti, metodi assolutamente indisponenti e procedure di decisione sempre più schizofreniche il Ministro della sanità sta sparando le sue – speriamo ultime – cartucce, facendosene un baffo di quanto queste misure compromettano il funzionamento del nostro sistema sanitario e ancor più il diritto di ogni cittadino di accedere a cure medico-sanitarie di qualità. Eppure proprio oggi – con grande indignazione – emergono dei pasticci politici e procedurali causati dalla “gestione Couchepin” dell’UFSP; mi riferisco in particolare alla vicenda poco chiara inerente al progetto PEK, il progetto che doveva valutare l’efficacia scientifica, l’economicità e l’appropriatezza delle medicine complementari escluse nel 2005 dalla LAMal (interessante la trasmissione Falò del 30.4.2009 “Una leggenda da sei milioni di franchi” in cui 182 TRIBUNA MEDICA TICINESE cito “emergono carenze procedurali inammissibili dal costo di 6 milioni”). Ma anche senza andare indietro nel tempo gli esempi si sprecano: l’UFSP è stato in grado di condurre con i piedi anche la gestione del livello d’allarme dell’influenza suina. E chissà cosa ci aspetta ancora, se il mondo della politica non interverrà nel dovuto modo per imporre a Couchepin il rispetto dei principi democratici a noi tanto cari. Si impone pertanto un’agire e una ferma strategia di intervento nazionale, a partire da una manifestazione in Piazza Federale per la quale il Presidente Jacques de Haller sembrerebbe più possibilista. Insomma la lotta continua e le sfide che ci attendono sono importanti, ardue, ma chissà che tanta presunzione non rischi di andare a nostro favore – il troppo storpia! La situazione attuale non è frutto della crescita dei costi della sanità (del 34%, cosi come in altri paesi europei e indipendentemente dal tipo di sistema sanitario), ma è frutto della dissennata politica dell’ Ufficio federale di sanità pubblica che ancora oggi sul suo sito invita per esempio i cittadini svizzeri a risparmiare premi assicurativi optando per cassa malati meno care e alzando le franchigie. Questo ha causato una riduzione importante delle entrate di oltre il 10% dovuti agli introiti dei premi delle casse malati, mancanza di denaro che va ad aggiungersi alle perdite milionarie delle stesse in borsa che nel 2008 hanno registrato un ammanco di circa 800 milioni di franchi (parliamo delle perdite dichiarate, ma il sospetto che siano molto di più non è dissipato, visto la scarsa trasparenza dei loro bilanci). E come diceva Giulio Andreotti “A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca“. Così ora le casse malati “battono cassa” al Consigliere federale che ha cagionato il danno, che a sua volta lo risolve scaricando il problema sui pazienti e sui professionisti della salute. In conclusione, il Ministro della sanità si era presentato come colui che avrebbe risolto il problema del finanziamento del nostro sistema sanitario e che avrebbe impedito un aumento dei premi dell’assicurazione malattia, mentre oggi dobbiamo prendere atto del suo fallimento. Couchepin per mancanza di capacità o 74 MAGGIO 2009 per sudditanza psicologica verso le Cassa malati, non è riuscito ad andare oltre la politica dei cerotti facendo una fine poco gloriosa e gettando nel caos il nostro sistema sanitario – il migliore al mondo, il più efficace, il più efficiente e il più equo. L’augurio che facciamo al suo successore (e speriamo non tardi ad arrivare!) è che abbia la statura dello statista e che affronti il vero problema del nostro sistema sanitario, oggi finanziato per tre quarti dal cittadino-paziente e da un quarto dallo Stato. L’aumento del finanziamento diretto da parte della Confederazione potrebbe ridurre il carico finanziario a beneficio della maggior parte dei cittadini, delle famiglie svizzere e ticinesi; un carico oggi diventato insostenibile. Un altro aspetto che va sottolineato è che 80 casse malati sono troppe e vi è pertanto la necessità di ridurne il numero (specialmente quelle create solo per attirare i buoni rischi), considerando soprattutto il fatto che tutte fanno capo ai quattro grandi gruppi di assicuratori. Un altro sforzo andrebbe fatto nel considerare il settore sanitario non come un costo, ma bensì quale importante motore di sviluppo in termini socio-economici: il settore sanitario rappresenta una ricchezza di 60 miliardi di franchi per il nostro Paese che cresce costantemente di circa 3-4% l’anno e che offre circa 480’000 mila posti di lavoro (aumentati del 3-4% nel 2008) quale indotto capace di favorire nuovo benessere e nuovi posti di lavoro, che in tempi di profonda crisi economica-finanziaria non mi pare sia cosa da poco! Cambiare il paradigma è la vera sfida, cosi come ha fatto la Francia e come si accingono a fare gli Stati Uniti, con la speranza per noi che ciò non avvenga troppo tardi ossia quando il sistema sanitario sarà ormai irrimediabilmente compromesso e le ferite inferte impossibili da rimarginare. Basta con l’integralismo economico-sanitario: si faccia interagire la razionalità economica con la razionalità medica, in cui in primo piano vi è il paziente e il suo diritto alle cure medico-sanitarie di qualità. Franco Denti, Presidente OMCT SEZIONE SCIENTIFICA BENEFICI DELL’ATTIVITÀ FISICA CONTROLLATA NELL’INSUFFICIENZA CARDIACA M. Capoferri L’insufficienza cardiaca è una patologia cardiovascolare la cui frequenza è in rapida ascesa mantenendo nel contempo un tasso di mortalità spesso simile se non addirittura superiore a quello di certi tumori. Non solo la prognosi vitale ma anche la qualità di vita sono negativamente influenzate dalla patologia, in particolare quando era abitudine prescrivere agli insufficienti cardiaci il riposo a letto. Questo infatti provocava un progressiva atrofia muscolare oltre alle complicazioni dell’allettamento quali per esempio eventi tromboembolici. Fortunatamente, a partire dai tardi anni ’80 si è lentamente sviluppata la concezione dell’allenamento fisico nei pazienti con una insufficienza cardiaca stabile. Già nel primo studio randomizzato sul tema, si era dimostrato che l’attività fisica permetteva un aumento della capacità funzionale e un miglioramento dell’equilibrio simpatovagale. Da allora sono stati fatti enormi progressi nella comprensione della malattia e delle potenzialità dell’attività fisica in questo ambito. Effetti benefici dell’attività fisica I più evidenti e disturbanti sintomi clinici e fisici dell’insufficienza cardiaca sono senza dubbio l’intolleranza allo sforzo rispettivamente la miopatia della muscolatura periferica. Essi sono riconducibili primariamente non tanto alla ridotta funzione sistolica ventricolare per se, quanto piuttosto alle conseguenze di essa: disfunzione endoteliale e vascolare, infiammazione persistente, diminuita capacità ossidativa e metabolica della muscolatura, riduzione del flusso sanguigno verso i muscoli e in generale rifornimento di O2 ai tessuti attivi. Non bisogna inoltre dimenticare il disequilibrio del sistema nervoso autonomo. In tutti questi ambiti l’attività fisica controllata eseguita nell’ambito di un programma riabilitativo strutturato influenza positivamente questi aspetti “adattativi”, pur non avendo un grande effetto sulla funzione sistolica ventricolare (e più in senso lato sull’emodinamica centrale). Effetti vascolari, metabolici ed antiinfiammatori L’esercizio aerobico (EA) regolare e sistematico aumenta la densità capillare, promuove la sintesi e il rilascio di monossido di azoto (NO), migliora l’angiogenesi, la funzione endoteliale e la vasodilatazione; riduce lo stress ossidativo e la resistenza periferica nei tessuti attivi; aumenta la capacità metabolica e il flusso sanguigno muscoloschelettrico. In risposta all’EA aumenta la densità di mitocondri, la loro attività enzimatica e la capacità ossidativa, fatti che si ripercuotono positivamente sulla forza e sulla resistenza muscolare. Un fenomeno contrario a quello che produce fisiologicamente la sindrome dell’insufficienza cardiaca. Dati recenti indicano inoltre un effetto di riduzione dell’infiammazione derivata dalle piastrine e, più in generale, dell’infiammazione vascolare, elemento patogenetico importante nello sviluppo dei sintomi clinici. Va oltre lo scopo di questo articolo enumerare in dettaglio tutti i fattori (p.es. legante CD 40, IGF-1, etc.) influenzati positivamente dall’EA, impor- 74 MAGGIO 2009 tante è capire che gli effetti sono dimostrabili e quantificabili proprio a livello biochimico. Effetti molecolari A differenza dell’ambito precedente, in questo campo non sono molti gli studi disponibili. Gli studi animali evocano la possibilità di importanti effetti nell’aumento di tutta una serie di molecole muscolari e non che contribuiscono al mantenimento della forza, della vitalità e della funzione cellulare riducendo p.es. la degradazione delle proteine o migliorando la comunicazione intra- ed intercellulare a favore di una migliore utilizzazione delle risorse biochimiche. Effetti sull’equilibrio simpatovagale e sulla risposta cronotropa all’esercizio L’esercizio fisico abbassa il tasso di catecolamine circolanti, aumenta il tono vagale e migliora la sensitività dei baro recettori. Anche la risposta cronotropa allo sforzo risulta ottimizzata con valori più alti durante l’esercizio e valori più bassi durante il recupero. In altre parole si rende più efficace l’emodinamica cardiaca allargando i valori “estremi” a disposizione. Funzione cardiaca È ormai risaputo ed acquisito che l’EA non ha significativo impatto sulla emodinamica centrale a riposo per quanto concerne la frazione di eiezione cardiaca (FE). Del resto si sa che sussiste poca correlazione fra la capacità funzionale misurata al test ergo spirometrico, i valori di FE e altri parametri emodinamici a riposo. Ciononostante l’EA migliora l’emodinamica sotto sforzo, in particolare aumentando il volume eiettato e il output cardiaco al picco dello sforzo. Inoltre un corretto esercizio fisico permette una certa regressione del rimodellamento cardiaco negativo tipico degli insufficienti cardiaci. In questo ambito comunque l’entità della significatività TRIBUNA MEDICA TICINESE 183 SEZIONE SCIENTIFICA di tali cambiamenti diverge nei vari studi condotti fin’ora. Aumento della capacità funzionale e del consumo di ossigeno Attraverso il test cardiopolmonare (l’ergospirometria) si evidenzia un miglioramento dei parametri di consumo di ossigeno (VO2), non solo nei loro valori numerici assoluti o massimi, ma anche nella pendenza del loro decorso. Non aumenta dunque solo il consumo di ossigeno massimo ma anche l’efficienza con cui esso è raggiunto. Si calcola che l’aumento di VO2 picco ammonta a circa il 10-30% dopo adeguate sedute di esercizio fisico aerobico ma anche di resistenza (v. sotto). Non solo il valore di picco aumenta ma aumenta pure il valore di consumo di ossigeno alla soglia anaerobica, fatto questo che permette al paziente di eseguire più a lungo sforzo vieppiù intensi senza soffrire poi degli effetti negativi della acidosi. Da notare il VO2 picco è parametro prognostico riconosciuto e il suo aumento è parametro utilizzato in moltissimi studi a sostegno degli effetti positivi di medicamenti o devices. Effetti sulla funzione respiratoria L’EA diminuisce la ventilazione al minuto ai carichi di lavoro submassimali, riduce la frequenza respiratoria, il volume respiratorio e gli equivalenti respiratori di CO2, indice questi ultimi di migliore ventilazione/perfusione nel piccolo circolo. Tutto questo, associato all’allenamento diretto dei muscoli respiratori, migliora l’efficienza respiratoria e riduce sensibilmente il senso di dispnea del paziente sia a riposo che sotto sforzo. Benefici psicosociali Attraverso la riduzione della dispnea e più in generale del senso di fatica muscolare i pazienti affetti da insufficienza cardiaca aumentano il proprio senso di indipendenza e quindi benessere. Il sensibile miglioramento della qualità 184 TRIBUNA MEDICA TICINESE di vita si associa ad un comportamento meno “da malato” con meno depressione e più gioia di vivere. Quest’ultima rappresenta un importante fattore innescante il circolo virtuoso comprendente la aderenza alle terapie prescritte e alle misure di lifestyle determinanti per la gestione della sindrome dell’insufficienza cardiaca nonché dei fattori di rischio che vi hanno condotto (in particolare nei pazienti coro- – Compenso emodinamico stabile da almeno 3 settimane – Capacità di parlare senza limitazioni dispnoiche, assenza di tachipnea (frequenza respiratoria <30 respiri al minuto) – Frequenza cardiaca a riposo <100 bpm – Senso generale di fatica al massimo di grado moderato Tab. 1: Insufficienza cardiaca: criteri per poter iniziare un esercizio fisico naropatici). Brevi cenni sulla prescrizione dell’attività fisica Le sedute di attività per i pazienti insufficienti cardiaci comprendono molteplici variabili la cui trattazione in dettaglio esula dagli scopi di questo articolo. In linea di principio però, una attività fisica efficace viene prescritta considerando i quattro parametri seguenti: 1 Modo di esercizio Fino a qualche anno fa si eseguivano praticamente solo esercizi cosiddetti di durata, aerobici (tipo la camminata sostenuta sul tappeto mobile o la bicicletta). Negli ultimi tempi si sono vieppiù affermati in termini di efficacia gli esercizi “di forza” quali il movimento contro un peso o una resistenza applicata. Se eseguiti con perizia sotto la guida di personale esperto, tali esercizi non solo non destano 74 MAGGIO 2009 preoccupazioni sul lato della sicurezza (si pensava infatti fossero addirittura pericolosi peggiorando il rimodellamento di un cuore già debilitato) ma producono effetti a livello muscolare che migliorano nettamente la tolleranza del paziente verso sforzi fisici di utilità quotidiana. Il paziente infatti necessita maggiormente di forza nei muscoli per p.es. sollevare una borsa della spesa che non resistenza nelle gambe per correre senza stancarsi durante 30 minuti. 2 Intensità Questa viene determinata attraverso il test cardiopolmonare e calcolata come percentuale rispetto al consumo di ossigeno massimo. Si può anche utilizzare la frequenza cardiaca, anch’essa come percentuale di quella massima o della riserva cardiaca. Per entrambi i parametri la letteratura abbonda di indicazioni non sempre uniformi. I valori numerici vanno quindi sempre correlati con la percezione soggettiva dello sforzo e con quello che appare clinicamente vedendo il paziente (p.es. dispnea, sudorazione, valori pressori, etc.). In alcuni casi, soprattutto per i pazienti più deboli, è utile effettuare un training cosiddetto ad intervallo (brevi fasi di sforzo intenso alternato a più lunghe fasi di recupero). 3 Durata Le sessioni si svolgono nell’arco di 45 minuti/1 ora, tempo che naturalmente comprende, per gli esercizi di durata, una fase di riscaldamento, l’esercizio vero e proprio e una fase di defaticamento attivo. Per le attività fisiche di forza le ripetizioni variano a dipendenza del soggetto, cercando comunque di coinvolgere un arto per volta con frequente cambio del muscolo sollecitato. Attività di forza e durata possono essere intercalate. All’esercizio vero e proprio si affianca sempre una altra ora di attività formativa-educativa, rilassamento, dietetica, etc… SEZIONE SCIENTIFICA 4 Frequenza Le sessioni di attività fisica controllata devono avvenire 3-4 volte la settimana concedendo idealmente un giorno di riposo fra una sessione e l’altra. Effetti clinici Di recente sono stati divulgati i risultati del più grande studio svolto fin’ora nell’ambito della terapia di movimento nei pazienti con insufficienza cardiaca: lo studio HF-ACTION. 2331 pazienti con grave riduzione della funzione sistolica (FE media 25%), tutti già trattati con la farmacoterapia classica, suddivisi in 2 gruppi: terapia standard vs. terapia standard più esercizio fisico controllato, dosato e supervisionato. Sebbene a livello prettamente statistico nei punti di arrivo predefiniti (morte di ogni causa e ospedalizzazione per ogni causa) non emerge una differenza significativa, il beneficio appare evidente in una analisi secondaria (comunque prespecificata) inerente i fattori clinici predittori di morte o ospedalizzazione. Infatti vi è stata una riduzione significativa della morte cardiovascolare e ospedalizzazione dovuta alle complicazioni dell’insufficienza cardiaca. Da notare che l’entità della significatività statistica si è rivelata simile a quella ottenuta in molti trial con Sartani e ACE inibitori! Dal punto di vista della sicurezza, una attività fisica controllata ha potuto essere condotta senza alcuna complicazione. anche della qualità di vita del paziente, indicatore quest’ultimo di crescente importanza in un sistema sanitario e sociale che non può (economicamente ma anche eticamente) permettersi di limitarsi solo a prolungare la vita dei pazienti con gravi patologie croniche. Figura 1: L’attività fisisca rappresenta solo una delle strategie terapeutiche contemplate in un programma di riabilitazione: molto importante è pure la formazione del paziente con conferenze specialistiche e la gestione dello stress con esperti nel campo del training autogeno e delle tecniche di rilassamento. Dr.med. M. Capoferri Specialista FMH Cardiologia, FMH Medicina Interna Vice Presidente SAKR (gruppo di lavoro svizzero della riabilitazione cardiovascolare) Capo Servizio Cardiologia, Cardiocentro Ticino Cardiologo aggiunto, Ospedale Beata Vergine Mendrisio Studio: Via Motta 12, 6830 Chiasso Conclusione La terapia moderna dell’insufficienza cardiaca non deve trascurare uno o più cicli di “riabilitazione” intesa come un programma strutturato di movimento, educazione e accompagnamento del paziente in senso globale (e non solo concentrandosi sulla frazione di eiezione sistolica del suo cuore!). Un tale percorso, quando eseguito da personale specializzato, diviene elemento fondamentale nel miglioramento non solo clinico oggettivo ma 74 MAGGIO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 185 SEZIONE SCIENTIFICA DIFILLOBOTRIOSI (BOTRIOCEFALOSI) Attualità di una zoonosi in risorgenza B. Wicht, R. Peduzzi 1. Introduzione La difillobotriosi (o botriocefalosi) è una parassitosi dovuta a cestodi del genere Diphyllobothrium (Cestoda: Diphyllobothriidea3), comunemente chiamati botriocefali o tenie del pescatore. Delle 15 specie che possono infestare l’uomo, D. latum è quella più diffusa alle nostre latitudini. Il suo ciclo biologico è illustrato nella figura 1. La difillobotriosi è tradizionalmente diffusa nelle regioni dove il consumo di pesce crudo fa parte della cultura, come Scandinavia e Paesi Baltici. Tuttavia, negli ultimi anni è stata osservata una risorgenza della malattia in aree dove la si credeva scomparsa. Lo spunto di questo contributo è la ricerca effettuata presso l’Istituto cantonale di microbiologia nel quadro di una tesi di dottorato su D. latum nella regione sub-alpina, recentemente difesa all’Università di Ginevra18. Tra i risultati ottenuti abbiamo ritenuto interessante mettere in risalto quelli inerenti il punto di vista medico ed epidemiologico. 2. Diagnosi clinica A livello clinico le infezioni sono perlopiù asintomatiche. Spesso i pazien- Fig. 1: Ciclo biologico di D. latum. In acqua dolce le uova del parassita (1) maturano e si schiudono dopo 8-12 giorni, liberando una larva chiamata coracidio (2). Il coracidio viene successivamente ingerito dallo zooplancton (copepodi appartenenti ai generi Cyclops e Eudiaptomus), trasformandosi in larva procercoide (3). Alcuni pesci d’acqua dolce (pesce persico, bottatrice, luccio, salmerino) possono infettarsi tramite ingestione di copepodi contaminati (4); la larva procercoide migra nel loro apparato digerente fino al tessuto muscolare, trasformandosi in larva plerocercoide. Copepodi e pesci sono detti ospiti intermedi. Gli ospiti definitivi sono i mammiferi ittiofagi e in particolare gli esseri umani, che contraggono la difillobotriosi consumando pesce crudo o mal cotto (5). Nell’intestino dell’ospite definitivo (ileo o, più raramente, digiuno) il parassita raggiunge lo stadio adulto, in grado di produrre fino a 1 milione di uova al giorno. Le uova immature vengono rilasciate nelle feci e arrivano nei bacini d’acqua dolce passando attraverso gli impianti di depurazione, che non pervengono a ridurre efficacemente la carica parassitaria: è stato calcolato che il 5-10% delle uova raggiungono indenni i nostri laghi. ti si accorgono della presenza del parassita a causa dell’espulsione intermittente di proglottidi nelle feci (sotto forma di «nastri» biancastri, di lunghezza variabile da pochi centimetri ad alcuni metri), fatto che costituisce il motivo più frequente delle consultazioni. Possono tuttavia insorgere sintomi aspecifici a carico del tu- 74 MAGGIO 2009 bo digerente, come stitichezza alternata a diarrea, sensazione di gonfiore, nausea e vomito, dolori addominali, mancanza di appetito o acuto senso di fame, dimagrimento, o ancora disturbi nervosi di varia natura (mal di testa, insonnia, depressione). Quando il parassita è localizzato nel digiuno, può provocare una spolia- TRIBUNA MEDICA TICINESE 187 SEZIONE SCIENTIFICA zione di vitamina B12 (fattore di crescita per il parassita), responsabile nell’uomo della comparsa di una forma di anemia perniciosa o megaloblastica. Questo quadro morboso si riscontra oggi raramente in Europa. Ad esempio nella nostra casistica che comprende 48 pazienti la forma anemica è stata documentata una sola volta. Considerati il carattere spesso silente dell’infezione e la variabilità della sintomatologia nei soggetti affetti, la difillobotriosi viene diagnosticata su base morfologica e molecolare. Occorre comunque valutare il quadro anamnestico del paziente e del suo “entourage”, soprattutto in caso di consumo di pesce crudo o di residenza in un’area endemica. 3. Diagnosi morfologica Le diagnosi di routine si basano generalmente su analisi coprologiche che prevedono il trattamento delle feci mediante tecniche difasiche (tipo formolo-etere), onde concentrare le uova nel sedimento. L’identificazione viene svolta osservando il sedimento al microscopio (ingrandimenti 100× e 400×). Le uova possiedono un opercolo caratteristico e sono di taglia variabile tra 40-60 × 50-85 µm (Figura 2a). I segmenti (proglottidi) dell’adulto sono più larghi che lunghi (Figura 2b). Ogni segmento possiede un poro genitale situato centralmente. L’utero è a forma di rosetta. La testa (scolice, Figura 2c) è costituita da due profonde ventose (botridi) mediante le quali il parassita si fissa alla parete intestinale, ma difficilmente viene ritrovata nei campioni coprologici. Tali caratteri permettono di distinguere il genere Diphyllobothrium dal genere Taenia. 4. Diagnosi molecolare Durante il secolo scorso, l’identificazione morfologica ha portato a considerare D. latum la specie classica- 188 TRIBUNA MEDICA TICINESE Fig. 2: a) Uovo di Diphyllobothrium, dall’opercolo caratteristico ben visibile all’estremità superiore. b) La larghezza dei segmenti di Diphyllobothrium è superiore all’altezza (10-12 x 1-4 mm) a differenza di quelli di Taenia solium, la tenia del maiale (6 × 12 mm) o di T. saginata, la tenia del bue (2 × 6 mm). c Fig. 2: c) Scolice di larva plerocercoide di D. latum al microscopio elettronico a scansione. mente responsabile delle infezioni umane alle nostre latitudini. Tuttavia, il recente impiego della genetica nelle analisi parassitologiche ha evidenziato come la distinzione tassonomica tra le diverse specie di Diphyllobothrium sia affidabile su base morfologica unicamente se effettuata da parassitologi molto esperti, in quanto i vari stadi di sviluppo si assomigliano notevolmente tra loro. L’identificazione specifica da parte del personale routinario dei laboratori analitici richiede oggi l’applicazione di tecniche molecolari. È bene tener presente che i campioni clinici (o almeno una loro porzione) andrebbero 74 MAGGIO 2009 conservati in etanolo puro, poiché le soluzioni contenenti formaldeide (ad es. SAF) a lungo termine danneggiano in modo irreparabile il DNA e ne rendono difficoltosa l’amplificazione. È comunque possibile effettuare con successo PCR e sequenza da campioni rimasti in formaldeide per breve tempo, lavandoli 2-3 volte con PBS (tampone fosfato salino). La successiva analisi molecolare prevede l’estrazione di DNA direttamente dai sedimenti contenenti le uova o da pochi mg di tessuto dell’elminta adulto, l’amplificazione di regioni d’interesse tassonomico (in particolare i geni mitocondriali cox1 e cob), e la loro se- SEZIONE SCIENTIFICA quenza che verrà inserita in una banca-dati per essere identificata. Tali procedure sono dettagliatamente descritte in letteratura.16, 17, 19 5. Trattamento della difillobotriosi umana Praziquantel (commercializzato con il nome di Biltricide®; 15 mg/kg in presa unica) e niclosamide (Trédemine® o Yomesan®; 2 g in presa unica a digiuno) sono i principi attivi efficaci contro i parassiti del genere Diphyllobothrium e non provocano effetti collaterali importanti. L’anemia megaloblastica è curata mediante somministrazione di vitamina B12. Una volta eliminato il parassita, sia l’anemia megaloblastica che gli altri sintomi si risolvono spontaneamente. 6. La difillobotriosi in Svizzera 6.1 Prevalenza nell’uomo Nella maggior parte degli Stati europei, la difillobotriosi è una malattia non sottoposta a dichiarazione obbligatoria. La Svizzera non fa eccezione, e il numero di casi umani conosciuti nel nostro Paese è attualmente basato su inchieste epidemiologiche condotte presso laboratori di analisi mediche e altri enti coinvolti, nell’ambito di progetti di ricerca universitari. Negli anni dal 1980 al 2002, l’incidenza dei casi umani in gran parte dell’Europa è diminuita; tuttavia, come precedentemente accennato, la malattia registra una risorgenza in alcune regioni, in particolare attorno ai grandi laghi insubrici e nella regione lemanica.4, 12, 13, 14 Una recente inchiesta ha evidenziato come tale tendenza sia in costante aumento.18 Tra il 2002 e il 2007, oltre 250 casi di difillobotriosi sono stati riportati nei cantoni di Berna (1 caso), Basilea (1), San Gallo (2), Vallese (3), Vaud (7), Ticino (11) e Ginevra (230 casi dal 2001). Secondo le anamnesi di una cinquantina di pazienti rintracciati nel corso dello studio, le infezioni sono generalmente causate da D. latum; tuttavia, grazie all’uso di tecniche molecolari, sono stati descritti 3 casi dovuti a D. nihonkaiense, ricondotti a salmoni del Pacifico appartenenti al genere Onchorhyncus15, 16 e un caso dovuto a D. dendriticum.17 Si tratta della prima menzione di tali specie alloctone acquisite localmente in Svizzera. L’alta prevalenza osservata nella regione del Lemano – dove, nello stesso periodo, sono stati individuati 44 casi nel dipartimento francese dell’Alta Savoia – sembra essere legata all’aumento del consumo di pesce crudo o mal cotto (ad es. tartare, carpaccio, ceviche, sushi, sashimi). A Ginevra è anche stato registrato il primo episodio a carattere epidemico in Europa occidentale, nel giugno 2006: durante un banchetto nunziale, 8 persone su 26 hanno contratto D. latum dopo aver mangiato pesce persico crudo di provenienza locale.6 Le anamnesi hanno permesso di stabilire l’alto potenziale zoonosico di questo parassita, già dopo l’ingestione di una singola porzione di pesce contaminato. Infatti, una semplice indagine anamnestica sovente permetteva di risalire all’episodio a rischio costituito da un pasto a base di pesce crudo: come per esempio il gruppo di pescatori sportivi che dopo la giornata sul Lago Maggiore consumavano in comune le loro catture cucinate in modo sommario con una cottura insufficiente, oppure familiari che hanno consumato un pasto comune a base di pesce crudo in un ristorante specializzato in questo tipo di menu. Queste indicazioni, dove tutti i componenti dei gruppi si erano rivelati infetti all’analisi coprologica, confermano appunto l’elevato potenziale zoonosico del botriocefalo. Un altro hot spot è stato individuato nell’area comprendente Ticino e Lombardia (Regio Insubrica): oltre ai casi ticinesi, una trentina di infezioni sono state riportate attorno al Lago di Como, in particolare a Lecco. Fig. 3: Larva plerocercoide di D. latum in un filetto di pesce persico. 74 MAGGIO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 189 SEZIONE SCIENTIFICA 6.2 Prevalenza nella fauna ittica Nei laghi svizzeri la specie ittica più frequentemente infestata da D. latum è il pesce persico (Perca fluviatilis): tra il 2005 e il 2008, il parassita era presente nel 14 % degli individui del Lago Maggiore (Figura 3), in aumento rispetto al dato della campagna precedente (7.8% nel 1996).1 Nello stesso periodo, il 30% degli individui del Lago di Como conteneva da una a 3 larve plerocercoidi (16% negli anni ’70).2 In contro-tendenza con l’incremento dei casi umani, la prevalenza di D. latum nel persico del Lemano sembra mantenersi invece abbastanza stabile, con il 5.1% dei filetti parassitati tra il 2006 e il 2008 (7% tra il 2003 e il 2005).7 Questi dati indicano come la probabilità di contrarre la difillobotriosi in seguito al consumo di pesce persico fresco (purché servito crudo o poco cotto), sia locale che d’importazione, sia relativamente elevata, perlomeno nelle regioni considerate. Per contro, non vi sono, a nostra conoscenza, aggiornamenti inerenti i tassi d’infezione di luccio, bottatrice e persico calcolati a metà degli anni ’90 in altri laghi svizzeri e transfrontalieri.1, 5 7. Discussione La recrudescenza della difillobotriosi (D. latum) in Svizzera, in progressione dai primi anni ’90, e la messa in evidenza di specie alloctone acquisite localmente (D. dendriticum e D. nihonkaiense) dovrebbero attirare maggiormente l’attenzione del personale sanitario riguardo alla corretta diagnosi di questa malattia. Sebbene nella maggior parte dei laboratori vengano praticate unicamente analisi basate su caratteri morfologici, l’impiego dei metodi molecolari risulta oggi fondamentale per l’identificazione tassonomica di Diphyllobothrium a livello di specie. Se ne raccomanda l’uso soprattutto nel caso di pazienti rientrati da viaggi all’estero, 190 TRIBUNA MEDICA TICINESE o che abbiano consumato pesce importato crudo o poco cotto, non precedentemente congelato, o ancora laddove si osservassero uova o proglottidi dall’aspetto atipico - le uova di D. nihonkaiense, ad es., sono in media leggermente più piccole di quelle di D. latum16. Il depistaggio di pazienti affetti da specie alloctone non è importante tanto a livello clinico (sintomatologia e trattamento non sono differenti rispetto a D. latum), quanto da un punto di vista epidemiologico. È necessario in particolare sorvegliare la ripartizione di quelle specie che mostrano un elevato potenziale di colonizzazione. D. dendriticum ne è un esempio. Considerate le sue esigenze ecologiche (specie d’acqua dolce diffusa in Nord Europa) e i potenziali ospiti intermedi (copepodi dei generi Cyclops e Eudiaptomus; coregonidi, bottatrice, trota fario e trota iridea), non possiamo escludere l’insediamento di questo parassita nei laghi svizzeri, dove sono teoricamente presenti le condizioni per lo svolgimento del suo ciclo biologico. La risorgenza della difillobotriosi è verosimilmente legata a comportamenti alimentari che portano al consumo di pesce crudo o poco cotto, sia indigeno che d’importazione. L’incremento di casi umani può essere interpretato partendo da una constatazione pratica: sushi, sashimi e tartare di pesce crudo guadagnano popolarità perché sono “diete nutrienti” a base di cibi “sani e leggeri”, senza considerarne il rischio parassitologico.10, 11 L’internazionalizzazione di alcune preparazioni culinarie tradizionali rischia di aumentare ulteriormente l’incidenza di questa zoonosi. L’informazione riveste perciò un ruolo chiave nella prevenzione delle infezioni. La cottura a 55 °C per almeno 10 min o il congelamento a -18°C per almeno 24 ore sono letali per le larve plerocercoidi. Per quanto concerne gli esercenti, l’Ordinanza federale del DFI sull’igiene, art. 42 “Pro- 74 MAGGIO 2009 tezione contro i parassiti”, prevede che il pesce destinato a essere consumato crudo (indigeno o importato) debba essere preventivamente congelato a una temperatura inferiore a 20°C, durante almeno 24 ore (www.admin.ch/ch/i/rs/817_024_1/a4 2.html). Tali norme, se rispettate, hanno il vantaggio di proteggere anche da altre zoonosi trasmesse dal pesce, come l’anisakiasi e l’opistorchiasi.8 SEZIONE SCIENTIFICA Bibliografia 1 2 3 4 5 Bonini, P., S. Montorfani, R. Peduzzi e P. Renon (1998) Situazione della plerocercosi nei laghi insubrici italo-svizzeri. Ob Doc Vet. 4, 65-71. Borroni, L. e E. 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Intern Med. 47, 1359-1362. 16 Wicht, B., F. de Marval e R. Peduzzi (2007) Diphyllobothrium nihonkaiense (Yamane et al., 1986) in Switzerland: first molecular evidence and case reports. Parasitol Int. 56, 195-199. 17 Wicht, B., F. de Marval, B. Gottstein e R. Peduzzi (2008) Imported diphyllobothriasis in Switzerland: molecular evidence of Diphyllobothrium dendriticum (Nitsch, 1824). Parasitol Res. 102, 201-4. 18 Wicht, B. (2009) Ecology, epidemiology and molecular identification of the genus Diphyllobothrium Cobbold, 1858 in the sub-alpine lakes region. Thèse de doctorat No. 4046. Faculté des Sciences, Département de Botanique et de Biologie végétale, Université de Genève. 19 Yéra, H., J. Nicoulaud e J. Dupouy-Camet (2008) Use of nuclear and mitochondrial DNA PCR and sequencing for molecular identification of Diphyllobothrium isolates potentially infective for humans. Parasite. 15, 402-407. Università di Ginevra, Laboratorio di Ecologia Microbica, Ginevra Istituto cantonale di microbiologia, Bellinzona Contatti: [email protected] [email protected] 10 Peduzzi, R. (1990) Résurgence de la botriocephalose (parasitose a Diphyllobothrium latum) dans la région du Lac Majeur. Signalement de 18 cas chez l’homme. Méd Mal Infect. 20, 493-497. 11 Peduzzi, R. (1992) Risorgenza di parassitosi nel contesto regionale lacustre nel Canton Ticino. Boll Soc Tic Sci Nat. 80, 15-20. 12 Peduzzi, R., E. Pagano (1992) Note recenti sui parassiti intestinali. Trib Med Tic. 57, 190-195. 74 MAGGIO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 191 SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico POLIARTRITE PARANEOPLASTICA M. Betello, G. Bianchi, L. Bosia, L. Gabutti I tumori e le sindromi reumatologiche possono essere legati da diversi tipi di relazione causa-effetto. Il rapporto che ne deriva permette di individuare tre grandi gruppi: 1 Il tumore si rende responsabile di una manifestazione muscolo-scheletrica per infiltrazione diretta a tale livello. Ex: Infiltrazione leucemica della sinovia 2 La sindrome reumatologica può precedere di anni il tumore essendo essa stessa un fattore di rischio per lo sviluppo di quest’ultimo. Può essere considerata, in taluni casi, una vera e propria lesione precancerosa come nel caso della dermatomiosite, la cui diagnosi obbliga ad uno screening (ecografia addominale e CA125) ad intervalli regolari (ogni due anni) per la ricerca di un carcinoma ovarico. La patogenesi non è ben chiara e non si capisce se sia collegata alla malattia reumatologica stessa o alla terapia farmacologica. 3 La sindrome reumatologica è espressione di un tumore occulto che si manifesta dopo mesi. La sintomatologia non è direttamente correlata all’estensione o alla localizzazione della neoplasia sottostante e si risolve con la terapia di quest’ultima. Ovvero si tratta di una Sindrome Reumatologica Paraneoplastica (SRP). È risaputo, infatti, che i tumori maligni si possono manifestare con un ampio spettro di manifestazioni paraneoplastiche. Tra queste possibili manifestazioni tumorali ve ne sono una gran varietà di tipo muscolo-scheletrico e connettivale. Nonostante siano rare e con manifestazioni variabili e, quindi, difficili da diagnosticare, la loro importanza risiede nel fatto che normalmente precedono il tumore di mesi e che, se individuate, permettono di fare diagnosi precoce. Di seguito analizzeremo il caso di un paziente presentatosi con una poliartrite indifferenziata di nuova e rapida insorgenza al quale, in seguito, è stato diagnosticato un carcinoma polmonare. La diagnosi di poliartrite paraneoplastica ha permesso di correlare le due entità ed è stata confermata dalla risposta della sintomatologia osteoarticolare alla terapia del tumore. Uomo di 76 anni noto iperteso e dislipidemico senza antecedenti anamnestici di rilievo. Si presenta, a metà novembre 2008, dal medico curante lamentando da circa una settimana l’insorgenza spontanea, sine trauma, di una tumefazione non dolente al ginocchio di destra. Il paziente nega rigidità mattutina, febbre ed altri sintomi sistemici. All’esame clinico il curante rileva unicamente un voluminoso versamento intraarticolare. Gli esami di laboratorio mostrano una lieve sindrome infiammatoria (VES 28 mm/h; PCR 40 mg/l) con iniziale leucocitosi deviata a sinistra. I parametri epatici e renali risultano nella norma. La radiografia dell’articolazione non mostra lesioni, in particolare nessun segno di erosione o condrocalcinosi. Vengono, quindi, intrapresi gli accertamenti per un’artrite monoarticolare. All’anamnesi non emerge nessuna familiarità significativa, il paziente non è affetto da malattia infiammatoria intestinale nè psoriasi e non lamenta dolori a li- 74 MAGGIO 2009 vello del rachide. Nega vaccinazione, sintomi influenzali, gastrointestinali ed urinari nel recente passato. L’esame del liquido articolare non mostra cristalli, presenta una glicemia maggiore di quella sierica e 4.2 gr/dl di proteine. Non viene, purtroppo, effettuata la conta leucocitaria, unico parametro che, se maggiore di 15002000 cell/ml, permette di definire il liquido articolare di carattere infiammatorio. Gli esami di laboratorio mostrano FR ed anticorpi anticitrullina negativi. Il dosaggio dell’acido urico risulta all’interno dei range di normalità. Le sierologie (Borrelia, Chlamydia, Gonococchi, Campilobacter, Epatiti virali), da indirizzare teoricamente secondo clinica/anamnesi, danno anch’esse esito negativo. Come accertamento complementare, non indispensabile nella valutazione di una monoartrite, viene richiesta una RMN dell’articolazione colpita che mostra un quadro di lesione meniscale con degenerazione cartilaginea. Vista l’impossibilità di porre una diagnosi eziologica definitiva, si decide di iniziare una terapia sintomatica a base di AINS e di osservare il decorso. Dopo due settimane circa, il paziente si ripresenta dal medico curante con un quadro di franca poliartrite coinvolgente le ginocchia, le caviglie, i gomiti ed i polsi in maniera asimmetrica. Viene, quindi, inviato in ospedale per ulteriori accertamenti. Il quadro clinico appare caratterizzato da tumefazioni dolenti al ginocchio destro, gomito sinistro, caviglie e polso sinistro, associate a rigidità mattutina di più di un’ora, febbre fino a 38°C, artro-mialgie diffuse e dispnea. Non altri sintomi locali o sistemici. Gli esami di laboratorio mostrano una più marcata sindrome infiammatoria (PCR 138 mg/l, VES 74 mm/h), senza alterazioni della crasi ematica nè dei test di funzionalità epatica e renale. L’analisi del liquido articolare (ginocchio destro) conferma l’assenza di cristalli e mostra caratteristiche franca- TRIBUNA MEDICA TICINESE 193 SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico Presentazione atipica Età Sintomi Risposta Laboratorio Miopatie infiammatorie > 50 Simil-artrite reumatoide > 60 Insorgenza rapida; Artrite asimmetrica Fattore reumatoide assente Fenomeno di Raynaud > 50 Coinvolgimento asimmetrico delle dita con gangrena Trombocitopenia, ANA, ANCA, Iper-Ig, Microematuria Polimialgia reumatica < 50 Coinvolgimento asimmetrico in un unico sito tipico ANA e anti-Scl70 normalmente negative Insorgenza acuta del fenomeno di Raynoud, Sclerosi progressiva; Sclerodattilia ANA positivi Simil-Sclerodermia > 50 Simil-LES (casi aneddotici) > 40 Anemia, Trombocitopenia, Iper-Ig LES cutaneo subacuto; Sierositi; Fenomeno di Reynoud VES<40 o >100 mm/h, Anemia severa, Proteinuria alla terapia Povera risposta alla terapia classica Sindromi reumatologiche Terapia non disponibile Normale Tumore sottostante Ematologico Solido Linfoma, Leucemia Rene, Ovaio, Polmone, GI, Melanoma Leucemia mieloblastica acuta Polmone, Colon, Mammella, Ovaio, Stomaco, Orofaringe Linfoma, Mieloma multiplo Fegato, Ovaio, Testicolo, Reni, Melanoma Sindromi Mielodisplastiche e mieloproliferative Renale, Prostata, Mammella, Colon, Polmoni, Emangioma cavernoso epatico Linfoma a cellule T, Mieloma osteosclerotico Stomaco, Polmone, Cute, Mammella Leucemia a cellule cappellute, Linfomi Ovaio, Mammella, Testa e collo, Meningioma Tab. 1: Caratteristiche atipiche delle sindromi reumatologiche paraneoplastiche mente infiammatorie (Leucociti 7800 di cui PMN 58%). Allo screening dell’autoimmunità, già eseguito dal medico curante, vengono aggiunti gli ANA, risultati negativi. Vista la storia di dispnea viene realizzata una radiografia del torace che mostra un nodulo polmonare non presente in precedenti esami. Dopo esecuzione di un esame TAC che conferma la presenza di un nodulo polmonare nel lobo inferiore sinistro, si procede alla PAF della lesione. L’istologia conclude per un carcinoma polmonare a grandi cellule mal differenziato. Vista l’atipicità della sindrome reumatologica ed il riscontro della neoplasia, la manifesta- 194 TRIBUNA MEDICA TICINESE zione poliarticolare viene interpretata come sindrome reumatologica paraneoplastica (SRP). Al paziente viene, quindi, prescritta una terapia steroidea con netto beneficio. Successivi accertamenti riguardo la neoplasia (TAC addome e PET-Scan) mostrano un quadro di malattia localizzata che ha permesso l’esecuzione di un intervento di lobectomia a scopo curativo. Dopo l’intervento, il paziente risulta asintomatico per la problematica reumatologica senza necessità di assumere ulteriore terapia. Come si nota dalla lettura del caso clinico la SRP è in primo luogo una dia- 74 MAGGIO 2009 gnosi di esclusione come spesso accade in medicina per le entità rare. Non esiste nessun test diagnostico. In tal senso hanno sempre gran importanza l’anamnesi e la clinica di presentazione. Nel nostro caso, in particolare, l’anamnesi negativa per familiarità, infezioni recenti, malattie infiammatorie intestinali e psoriasi ha permesso di escludere, con buona probabilità, la gran parte delle artriti sieronegative. Alcuni semplici test di laboratorio (FR, Anticorpi anti-citrullina, ANA, sierologie) hanno permesso di scartare con più sicurezza alcune di queste ed altre possibili eziologie (AR, Lupus). L’analisi del liquido articolare, indispensabile SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico in tutti i casi di artrite, non avendo evidenziato microcristalli rende poco probabile un’artrite microcristallina. Oltre all’esclusione delle possibili eziologie non paraneoplastiche, che già dovrebbe far insorgere il sospetto di una possibile neoplasia sottostante, esistono alcune caratteristiche cliniche/laboratoristiche che possono, non devono, essere presenti nelle SRP e che dovrebbero fungere da campanello d’allarme quando individuate. Tali particolarità sono state osservate retrospettivamente analizzando i casi di SRP e possono essere riassunte dall’aggettivo “ATIPICO”, poiché non si trovano normalmente nelle sindromi reumatologiche classiche. In generale tali caratteristiche riguardano: 1 Età d’insorgenza: normalmente non coincide con quella delle sindromi classiche e rispecchia l’età di insorgenza tipica dei tumori associati 2 Risposta alla terapia steroidea che risulta insoddisfacente 3 Clinica con caratteri atipici 4 Alterazioni laboratoristiche che non si osservano normalmente nelle sindromi classiche e che sono piuttosto proprie del tumore sottostante e, quindi, importanti per indirizzare la diagnosi (Ex: Anemia microcitica ferropenica) Tali caratteristiche vengono riassunte più nel dettaglio per ogni sindrome reumatologica paraneoplastica nella Tabella 1. Per quanto riguarda il nostro caso, la poliartrite paraneoplastica insorge normalmente oltre i 50 anni con una clinica asimmetrica ad insorgenza rapida. Nella gran parte dei casi tende a colpire le estremità inferiori, risparmiando le piccole articolazioni delle mani. Dal punto di vista laboratoristico il fattore reumatoide suole essere negativo. Le radiografie, normalmente, non mostrano alterazioni. La risposta alla terapia steroidea è, in generale, insoddisfacente. I tumori che Fig. 1: Ippocratismo digitale si osservano più frequentemente in associazione a tale quadro sono di origine polmonare. Come si può ben notare, il caso del nostro paziente coincide in tutte queste caratteristiche, tranne che per l’iniziale buona risposta agli steroidi. In tal senso appare importante sottolineare come le caratteristiche elencate non siano dei criteri diagnostici, ma solamente delle proprietà frequentemente osservate in tali situazioni, la cui presenza non è necessaria per porre diagnosi di SRP. In realtà l’unico vero parametro che permette di rendere sicura la diagnosi in maniera definitiva è la risposta della sintomatologia alla terapia del tumore responsabile. In tal senso appare pure importante porre l’accento su come la ricomparsa della sintomatologia dovrebbe far pensare ad una possibile recidiva del tumore ancor prima di far supporre un errore diagnostico iniziale. Quest’ultima osservazione, ovvero che la SRP si risolva con la terapia del tumore sottostante, è alla base delle attuali ipotesi patogenetiche. Appare esservi una relazione diretta tra le due 74 MAGGIO 2009 problematiche che verrebbe spiegata secondo due modelli, ovvero: 1 La SRP si sviluppa in seguito a mediatori prodotti dal tumore che scatenano l’infiammazione 2 La SRP è causata da un meccanismo immunologico: una cross-reattività tra Antigeni tumorali e tissutali Un’altra manifestazione reumatologica che può essere di origine paraneoplastica, non elencata nella tabella, ma che vale la pena citare è l’Osteoartropatia ipertrofica, di cui l’ippocratismo digitale (Figura 1) è un ben noto segno clinico. L’importanza di questa patologia risiede nella sua alta correlazione con patologie (non solamente tumorali) soprattutto a livello polmonare. Tale sindrome si manifesta come oligoartrite, clubbing e periostosi della porzione distale delle ossa lunghe che alla radiografia si manifesta come doppio contorno. Colpisce spesso ginocchia, caviglie, gomiti, polsi ed articolazioni metacarpo-falangee/interfalangee prossimali. Normalmente è simmetrica, dolente. Esiste come forma idiopatica primaria (Pachidermoperiostosi) a trasmissione TRIBUNA MEDICA TICINESE 195 SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico genetica, ma solamente negli uomini di colore nei quali si manifesta durante l’adolescenza. Come forma secondaria può essere dovuta ad una vasta serie di patologie non tumorali a livello polmonare (Empiema, Bronchiettasie, Tbc, Pneumoconiosi, Enfisema, Mucoviscidosi); a livello cardiaco (Cardiopatie cianogene congenite, endocardite settica); a livello intestinale (Cirrosi, Amiloidosi, Crohn, RCUH). I tumori cui normalmente si accompagna sono di tipo bronchiale, gastrico, esofageo, renali, pleurico (mesotelioma) ed ematologico (linfoma di Hodgkin). Per concludere possiamo, quindi, dire che l’importanza delle SRP risiede nella possibilità, se individuate, di fare diagnosi precoce di tumori che per il fatto stesso di manifestarsi in tal modo sono da considerare aggressivi. Proprio per tale motivo, confrontarsi con una sindrome reumatologica con aspetti atipici dovrebbe far accendere il sospetto di una neoplasia sottostante da ricercare attivamente. Bisogna, comunque, ricordare come non tutte le SRP mostrino “atipicità”, in taluni casi risultano totalmente indistinguibili dalle forme idiopatiche e, solamente dopo che il tumore si manifesta, possono essere diagnosticate correttamente. Le caratteristiche atipiche delle SRP, d’altro canto, sono frutto di una semplice osservazione di casi clinici, a volte aneddotici, e non sempre riflettono la presenza di una neoplasia sottostante. Manca, quindi, un vero e proprio consenso internazionale sul tema, ma fino al suo raggiungimento, visto il rischio di diagnosi tardiva di malattie potenzialmente letali, appare sensato utilizzare tali criteri come guida per sottoporre il paziente ad indagini più approfondite. Riguardo la neoplasia da ricercare, bisognerà lasciarsi indirizzare, a parte dalle osservazioni di associazione tumore-SRP (vedi tabelle), dalla clinica/laboratorio, l’età ed i fattori di rischio del paziente. 196 TRIBUNA MEDICA TICINESE Dott. Marco Betello1; Dr.ssa Giorgia Bianchi2; Dott. Lorenzo Bosia3; PD Dott. Luca Gabutti4 1 Medico assistente, reparto di Medicina Interna Ospedale Regionale di Locarno 2 Medico capo clinica, reparto di Medicina Interna Ospedale Regionale di Locarno 3 Medico aggiunto FMH Reumatologia, reparto di Medicina Interna Ospedale Regionale di Locarno 4 Primario, reparto di Medicina Interna Ospedale Regionale di Locarno Bibliografia 1 Racanelli V, Marcella P, Minoia C, Favoino E, Perosa F (2008) Rheumatic disorders as paraneoplastic Syndromes. Autoimmunity Reviews 7: 352-358 2 Mok CC, Kwan YK (2003) Rheumatoid-like polyarthritis as a presenting feature of metastatic carcinoma: A case presentation and review of the literature. Clin Rheumatol 22: 353-354 3 Zupancic M, Annamalai A, Brennerman J, Ranatunga S (2008): Migratory Polyarthritis as a Paraneoplastic Syndrome. J Gen Intern Med 23 (12): 2136-2139 4 Jochanan E, Naschitz E, Rosner I, Rozenbaum M, Zuckerman E (1999): Rheumatic Syndromes: Clues to occult neoplasia. Seminars in Arthritis and Rheumatism 29 (1): 43-55 5 Simon M (2006): Evaluation of the adult with monoarticular pain. UpToDate 6 Pinals R (2007): Evaluation of the adult with polyarticular pain. UpToDate 7 Yazici Y (2008): Malignancy and rheumatic disorders. UpToDate 74 MAGGIO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB Il Journal Club di questo mese è stato curato dal Servizio di Geriatria EOC e dal Reparto di Medicina Intensiva, dell’Ospedale Regionale di Mendrisio ANTIDEPRESSIVI DI ULTIMA GENERAZIONE REALMENTE EFFICACI? INITIAL SEVERITY AND ANTIDEPRESSANT BENEFITS: A META-ANALYSIS OF DATA SUBMITTED TO THE FOOD AND DRUG ADMINISTRATION Irving Kirsch, Brett J. Deacon, Tania B. HuedeMedina, Alan Scoboria, Thomas J. Moore, Blair T. Johnson - Plos Medicine - 02.2008 - vol 5 260-68. Riassunto/Adattamento: Dr. med. Fabiano Meroni, Capoclinica Servizio sottocenerino di Geriatria EOC Introduzione I risultati delle meta-analisi sin qui condotte sull'efficacia della terapia farmacologica antidepressiva, basati sui dati emersi dai molteplici studi sino ad oggi pubblicati, sembrano essere statisticamente significativi. Va comunque sottolineato che questi lavori sono il più delle volte condotti su dati pubblicati dalle varie riviste scientifiche. Sembra esserci una distorsione dei risultati per una selezione delle pubblicazioni nella fase pre-marketing, che esclude gli studi con risultati non favorevoli. Per superare questo bias iniziale gli autori hanno esaminato tutti i dati a disposizione considerando anche risultati mai pubblicati di trials pre-clinici concernenti gli antidepressivi di nuova generazione, in particolare gli inibitori della ricattura della serotonina [SSRI]. Metodologia Si tratta di una meta-analisi, condotta fra GB, USA (Wyoming e Connecticut) e Canada (Ontario), che ha analizzato i risultati di tutti gli studi premarketing sottoposti alla Food and Drug Administration [FDA], tra il 1987 e il 1999. Da sottolineare innanzi tutto che questa meta-analisi tralascia di analizzare i risultati di studi condotti dopo l'approvazione di un farmaco. La FDA aveva a disposizione tutti i trials condotti prima dell'approvazione del farmaco antidepressivo da parte delle industrie farmaceutiche. Questi studi hanno valutato l'efficacia dei 6 antidepressivi di ultima generazione maggiormente utilizzati (fluoxetina, venlafaxina, nefazodone (non commercializzato in Svizzera), paroxetina, sertralina e citalopram). Selezione: sono stati identificati 47 studi (randomizzati, doppio cieco, studio-controllo con placebo) attraverso i dati forniti dalla FDA e attraverso un’attenta ricerca nella letteratura medica (PubMed). Usando un protocollo standardizzato sono stati quindi messi a confronto i dati degli studi presentati alla FDA con i dati emersi dalla ricerca effettuata dagli autori, i quali hanno eseguito una revisione indipendente delle procedure statistiche e un’analisi dei risultati. Caratteristiche: 33 dei 47 trials hanno arruolato pazienti ambulatoriali, 3 studi comprendevano sia pazienti ospedalizzati che non, mentre 3 studi contemplavano l'arruolamento anche di pazienti anziani (> 65 anni). In tutti gli studi, prima della randomizzazione, i pazienti avevano assunto per 2 settimane il placebo e quelli che avevano presentato un miglioramento del tono dell’umore sulla scala di Hamilton per la depressione (HDRS1) > del 20%, non erano stati arruolati. tetto minimo di efficacia clinica richiesta dal N.I.C.E. (National Institute for Health and Clinical Excellence, organismo inglese, indipendente, che supervisiona la promozione della salute e la prevenzione delle malattie). Dei 47 trials analizzati, gli autori hanno escluso complessivamente 12 studi (5 studi poiché non fornivano gli scores di miglioramento nella HRSD, 7 studi per errori statistici sistematici, legati al rischio di sovrastima dell’effetto farmacologico di un antidepressivo per eliminazione di risultati non significativi). Complessivamente gli autori hanno quindi analizzato un totale di 35 trials clinici (5 riguardanti la fluoxetina, 6 la venlafaxina, 8 il nefazodone e 16 la paroxetina) che arruolavano un totale di 5133 pazienti, dei quali 3292 avevano assunto il farmaco antidepressivo e 1841 invece erano stati trattati con placebo, per almeno 6 settimane. Dai risultati complessivi emerge che la media ponderata di miglioramento nella HDRS è di 9.60 punti per i pazienti che hanno assunto il farmaco, mentre è di 7.80 punti per il gruppo placebo. La differenza farmaco-placebo in termini di miglioramento clinico oggettivo è quindi solo 1.80 punti e quindi non statisticamente significativa. Non vi sono differenze significative legate all’utilizzo di un farmaco piuttosto che ad un altro. Un certo beneficio del trattamento farmacologico con SSRI è emerso nelle situazioni di sintomatologia depressiva più grave (per valori della scala superiori a 28 punti). Tale miglioramento tuttavia è legato non tanto all'effetto farmacologico del principio attivo, ma piuttosto alla perdita di efficacia dell’effetto placebo, che sembra esaurirsi con l’aggravarsi della sintomatologia depressiva. Risultati Gli autori hanno posto come criterio di significatività un miglioramento di 3 punti nella HDRS, che rappresenta il Discussione e commento Una prima riflessione di carattere etico si impone. Il più delle volte siamo confrontati con risultati che decanta- 74 MAGGIO 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 197 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB no in maniera convincente l’efficacia di un dato medicamento sulla base dei risultati degli studi pre-marketing. Andando ad analizzare in maniera più approfondita e soprattutto più esaustiva i dati a disposizione, contemplando quindi anche i dati non pubblicati (bias di selezione), questi effetti inesorabilmente scemano significativamente. C’è da chiedersi dunque se sia eticamente corretto la divulgazione, la messa in commercio e l’importante campagna di pubblicità svolta dalle ditte farmaceutiche su di un farmaco il cui reale beneficio appare perlomeno dubbio. È inoltre etico non pubblicare risultati che disattendono il beneficio e l’efficacia di un dato farmaco? In merito a questo articolo, il beneficio del trattamento antidepressivo con SSRI è inequivocabilmente sovrastimato ed è generato da questo bias di selezione. Spesso è poi difficile risalire, come dimostrato da altre metaanalisi (Turner et al2), a che livello è presente questo errore sistematico. Le conclusioni di questa meta-analisi dimostrano in maniera inequivocabile, al di là del rigore metodologico di ogni singolo studio, che rimangono dubbi legittimi sulla reale efficacia degli antidepressivi di nuova generazione nel trattamento della depressione. Da un lato gli SSRI sembrano effettivamente incisivi nelle forme più gravi di depressione, giustificandone il loro utilizzo accanto ad un trattamento non farmacologico di tipo psico-terapico, d’altra parte non si è dimostrata una differenza statisticamente significativa farmaco-placebo nel trattamento delle forme di depressione lievi e moderate. Questa classe di farmaci sembra comunque rivestire una certa importanza nel trattamento di altri disturbi psichici, che non vengono considerati in questo lavoro. L’indicazione ad un trattamento con anti-serotoninergici rimane ancora in prima linea nei disturbi ansiosi e nella prevenzione degli 198 TRIBUNA MEDICA TICINESE attacchi di panico. Più specificatamente in campo geriatrico, con la dovuta cautela e attenzione, gli SSRI trovano un loro spazio come terapia di supporto agli anti-colinesterasici, nei disturbi del comportamento in pazienti affetti da una qualsiasi forma di demenza di origine corticale (neurodegenerativa) e sottocorticale. Riferimenti e bibliografia 1 Scala di Hamilton per la depressione (HRSD): utilizza un punteggio da 0 (nessun sintomo) ad un massimo di 4 (massima espressione di un sintomo) per un totale di 21 disturbi sia somatici (es. insonnia, agitazione, perdita di peso, sintomi gastrointestinali, ecc.) che psichici (ansia, sentimenti di colpa, idee suicidali, ecc). Permette quindi di valutare la gravità della problematica depressiva a seconda del punteggio ottenuto: < 7 assenza di depressione 8 - 17 depressione lieve 18 - 24 depressione moderata > 25 depressione grave 2 Turner E. H., Matthews A. M., Linadartos E., Tell R. A., Rosenthal R., Selective pubblication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy, N Engl J Med 2008; 358: 252-60. Corrispondenza dell’autore: [email protected] 74 MAGGIO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB EARLY TRACHEOTOMY VERSUS PROLONGED ENDOTRACHEAL INTUBATION IN UNSELECTED SEVERELY ILL ICU PATIENTS “Tracheostomia precoce versus intubazione endotracheale prolungata in un collettivo non-selezionato di pazienti critici” Intensive Care Med 2008; 34: 1779-87 Riassunto/Adattamento: A. Pagnamenta, Capo servizio, Reparto di Medicina Intensiva, Ospedale Regionale di Mendrisio 1 Considerazioni preliminari La tracheostomia (TS) rappresenta una procedura attrattiva nel caso di ventilazione meccanica (VM) prolungata perché a differenza dell’intubazione endotracheale (IET) offre i seguenti vantaggi teorici: migliora il comfort e la comunicazione del paziente, diminuisce il fabbisogno di sedativi e facilita lo svezzamento dalla WM1. Malgrado questa procedura venga impiegata oramai da diversi anni le indicazioni specifiche, la tecnica impiegata e il “timing” rimangono ancora controversi. Un recente studio ha mostrato che la TS percutanea precoce è associata a una ridotta mortalità e morbilità, una minor durata della VM e del soggiorno in unità di terapia intensiva (UTI)2. Una seguente meta-analisi per contro ha sconfessato tali risultati3. 2 Quesito clinico In pazienti non selezionati, che necessitano di una VM prolungata la TS precoce in rapporto alla IET diminuisce la mortalità a 28 giorni, la durata della VM e l’incidenza della polmonite acquisita in UTI? 3 Metodologia a Disegno: studio randomizzato (1:1) controllato (non cieco) condotto in 25 UTI in Francia. b Pazienti. 123 pazienti (età media 55 anni, ca. 70% uomini) sottoposti a VM per meno di 4 giorni, ma per i quali si prevede una VM per più di 7 giorni. c Intervento I pazienti sono allocati per la IET prolungata (n = 62), o per la TS precoce (n = 61) eseguita entro il quarto giorno di VM. La tecnica impiegata per la TS (aperta versus percutanea) è a discrezione del medico curante. d Misure di outcome Principale: mortalità a 28 giorni Secondari: incidenza della polmonite acquisita in UTI, numero di giorni liberi dal ventilatore, giorni di soggiorno in UTI, mortalità a 60 giorni, numero di episodi settici, comfort del paziente, complicazioni laringeali e tracheali precoci. 4 Risultati principali Tra i due gruppi non è stata osservata nessuna differenza statisticamente significativa sia per la mortalità a 28 giorni (hazard ratio 1.17, intervallo di confidenza al 95% 0.63 - 2.17) che per la durata della VM, per le complicazioni infettive, e per la durata del soggiorno in UTI. 5 Conclusioni La TS precoce non ha dimostrato nessun beneficio maggiore in rapporto alla IET prolungata in un collettivo non selezionato di pazienti critici. 6 Commento Prima di iniziare questo studio gli autori avevano calcolato di reclutare complessivamente 470 pazienti per poter dimostrare una riduzione assoluta della mortalità a 28 giorni del 13% (dal 45 al 32%) corrispondente a un NNT (Number Needed to Treat) di ca. 8. Una tale riduzione della mortalità è da considerarsi più che ottimistica, visto che in medicina intensiva raramente si è confrontati con presidi terapeutici così efficaci da richiedere un NNT < 10. Dopo 30 mesi dall’inizio dello studio 74 MAGGIO 2009 solo 123 pazienti erano stati arruolati e lo studio è stato prematuramente interrotto. Le cause del mancato reclutamento sono da ricondurre a: difficoltà nel predirre la necessità di una VM prolungata; riluttanza del personale curante nel seguire il protocollo; difficoltà nel pianificare una TS precoce e rifiuto del consenso. Inoltre la mortalità baseline è molto più bassa di quella attesa. Per tutte queste ragioni lo studio risulta avere un potere insufficiente per rilevare differenze clinicamente rilevanti tra i due gruppi. Un’altra limitazione dello studio è data dal fatto che la maggioranza dei pazienti è stata sottoposta a una TS aperta e non percutanea. Malgrado questo studio non dipani le controversie legate alla TS offre per contro una lezione importante sulla conduzione di trials clinici con procedure invasive in pazienti critici. Studi futuri dovrebbero esser condotti con endpoints primari più ragionevoli: durata della VM; incidenza della polmonite associata al ventilatore; comfort del paziente. Probabilmente per rispondere al quesito del “timing” ottimale di esecuzione della TS si potrebbe far ricorso a studi osservazionali (TS precoce versus tardiva) in grossi collettivi di pazienti. Bibliografia 1 Nieszkowska A, Combes A, Luyt CE, et al. Impact of tracheostomy on sedative administration, sedation level and comfort of mechanically ventilated intensive care units patients. Crit Care Med 2005; 33: 2527-33 2 Rumbak MJ, Newton M, Truncale T, et al. A prospective, randomized study comparing early percutaneous dilatation tracheotomy to prolonged traslaryngeal intubation (delayed tracheotomy) in critically ill medical patients. Crit Care Med 2004; 32: 1689-94 3 Griffith J, Barber VS, Morgan L, Young JD. Systematic review and meta-analysis of studies of the timing of tracheostomy in adult patients undergoing artificial ventilation. BMJ 2005; 330: 1243-47 TRIBUNA MEDICA TICINESE 199 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole PATOLOGIA IN PILLOLE Nr. 38 U. Perriard Storia clinica Un uomo di 51 anni consulta il proprio medico per la comparsa di ginecomastia. L’anamnesi personale non rivela niente di particolare se non un criptorchismo a destra trattato con orchidopessia all’età di 5 anni. All’esame obiettivo, oltre al reperto a livello mammario, il testicolo destro si presenta indurito, lievemente dolente e sospetto per infiltrazione neoplastica. L’esame ecografico evidenzia una massa intratesticolare ipoecogena ed omogenea (Figura 1a). Gli esami di labora- torio (LDH, alfa-fetoproteina e betaHCG) sono nella norma. Gli esami radiologici (CT torace e addome) non mostrano alterazioni sospette di metastasi. Si procede a orchidofunicolectomia destra. Il prodotto operatorio presenta al taglio un tumore ben delimitato del diametro di 1,5 cm di colore marrone con zone emorragiche (Figura 1b). Gli aspetti istologici sono caratterizzati da cellule di aspetto monotono con nuclei rotondi, regolari e citoplasma eosinofilo finemente granulato (Figura 1c). 1c 1a 1b Indica la diagnosi corretta: 74 MAGGIO 2009 a Seminoma b Tumore del sacco vitellino c Tumore testicolare nel contesto di sindrome adrenogenitale d Tumore a cellule di Leydig e Tumore a cellule di Sertoli TRIBUNA MEDICA TICINESE 201 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole Diagnosi Tumore a cellule di Leydig Commento Le neoplasie testicolari possono essere divise in due gruppi principali: tumori delle cellule germinali e tumori dello stroma gonadico e dei cordoni sessuali. Quest’ultimi derivano dalle cellule di Leydig oppure di Sertoli. Le cellule di Leydig portano il nome dell’anatomo tedesco Franz Leydig, che per primo le descrisse nel 1870. Le cellule di Leydig sono presenti in grande numero nel testicolo durante il periodo embrionale per poi subire un’importante involuzione e sparire durante l’infanzia. All’età di circa 10 anni esse riappaiono nell’interstizio testicolare parallelamente alla comparsa della spermatogenesi nei tubuli seminiferi. Le cellule di Leydig producono testosterone se appropriatamente stimolate da ormoni luteinizzanti dell’ipofisi. Esse rivestono un ruolo importante nello sviluppo delle caratteristiche maschili secondarie e nel mantenimento della spermatogenesi. Dopo la pubertà la quantità di cellule di Leydig inizia a diminuire. Fino alla quinta decade di vita il numero fisiologico di cellule di Leydig garantisce valori normali di testosterone per la funzione testicolare. Dopo i 60 anni restano nel parenchima testicolare solo la metà delle cellule di un uomo di 30 anni. Nel testicolo normale le cellule di Leydig formano piccoli gruppi in sede interstiziale (Figura 2). Una localizzazione ectopica extratesticolare non è infrequente in quanto esse possono essere osservate nelle tonache testicolari, nel funicolo spermatico, nelle ghiandole surrenali e, nelle donne, nell’ilo ovarico. In pazienti con criptorchismo o altre malattie si possono osservare cellule di Leydig anche nei tubuli seminiferi. 202 TRIBUNA MEDICA TICINESE I tumori a cellule di Leydig sono rari; rappresentano solo l’1-3% dei tumori testicolari. I meccanismi patogenetici sono ancora poco chiari. Quali possibili cause si considerano l’interruzione dell’asse ipotalamo-pituitotesticolare con stimolazione eccessiva da parte di ormone luteinizzante ma anche alterazioni strutturali dei recettori ormonali sulle cellule di Leydig. Non sono conosciuti fattori di rischio. Alcuni tumori insorgono in pazienti con sindrome di Klinefelter mentre alcuni studi suggeriscono una possibile associazione con una storia di criptorchidismo. Colpiscono più frequentemente uomini tra 30 e 60 anni e ragazzi tra 5 e 10 anni, ma possono insorgere a qualsiasi età. Sono raramente bilaterali e occasionalmente sono stati descritti anche fuori dal parenchima testicolare. Il tumore a cellule di Leydig produce steroidi, in particolare testosterone, androstendione e dehydro-epiandrosterone. Anche estrogeni ed estradiolo possono essere elevati nel siero sia a seguito di produzione diretta da parte delle cellule neoplastiche sia dopo aromatizzazione periferica di testosterone. In bambini la neoplasia viene diagnosticata ancora quando è di piccole dimensioni a causa della comparsa di disturbi ormonali quali pubertà precoce, ginecomastia e eccessiva virilizzazione. Gli adulti sono in genere asintomatici in quanto eccessi di androgeni raramente causano manifestazioni clinicamente visibili. Per contro tumori a cellule di Leydig con produzione di estrogeni possono procurare sintomi in pazienti adulti quali diminuzione della libido, impotenza, infertilità e ginecomastia. In caso di sospetto clinico è indicata ecografia testicolare dal momento che tumori di piccole dimensioni non sono palpabili. L’immagine ecografica è caratterizzata da massa ben circoscritta, ipoecogena e solida a volte con zone cistiche, emorragiche o di necrosi ma non permette nè di distinguere tra tumori di Leydig benigni e maligni nè di escludere tumori a cellule germinali. I marcatori tumorali utilizzati per il monitoraggio di pazienti con neoplasie testicolari Fig. 2: Parenchima testicolare con cellule di Leydig nell’interstizio che appare edematoso. Si riconoscono parti di tre tubuli seminiferi con elementi della spermatogenesi. 74 MAGGIO 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole delle cellule germinali, quali alfa-fetoproteina, beta-HCG, LDH e PLAP, mostrano valori nella norma. Quest’ultimi possono insorgere in caso di eccessiva produzione di ACTH, ad esempio in pazienti con adenoma dell’ipofisi, e rappresentano un’iperplasia di resti interstiziali di tessuto surrenalico nel testicolo. Si tratta di tumori sempre benigni, di solito bilaterali, di colore marrone scuro. Un’ulteriore diagnosi differenziale da considerare è l’iperplasia delle cellule di Leydig. Essa è associata ad atrofia testicolare o può essere concomitante a tumori a cellule germinali negli adulti, è normalmente diffusa ed interstiziale e può formare noduli che crescono in modo nondistruttivo preservando i tubuli seminiferi. La distinzione tra tumore a cellule di Leydig e iperplasia si basa essenzialmente sulle dimensioni (maggiore di 0.5cm per tumori) e sul fatto che i noduli iperplastici sono molteplici e non solitari. All’esame macroscopico i tumori a cellule di Leydig sono di solito ben circoscritti e incapsulati. Misurano 3-5 cm in diametro, presentano colore giallastromarrone chiaro e possono includere zone di ialinizzazione e calcificazione. In 10-15% dei casi si identifica un’estensione tumorale nel tessuto paratesticolare. Istologicamente le cellule di Leydig neoplastiche appaiono poligonali e, raramente, fusiformi con abbondante citoplasma eosinofilo, a volte schiumoso o vacuolato a causa dell’accumulo di lipidi. I nuclei sono ovali, di grandezza variabile con nucleolo centrale prominente. Sono possibili lievi atipie nucleari e rare figure mitotiche. La crescita del tessuto neoplastico è solida, ma può essere pseudoghiandolare, trabecolare, a nidi o raramente microcistica. Una peculiarità di queste neoplasie è la presenza all’esame istologico di pigmento granulare di lipofuscina nel citoplasma delle cellule neoplastiche nonché di cristalli di Reinke, ossia inclusioni rettangolari perlopiù in sede citoplasmatica ma a volte nucleare o nel tessuto interstiziale, riscontrabili in 30-40% dei casi. All’esame immunoistochimico si può evidenziare espressione citoplasmatica di alfa-inibina, una glicoproteina che viene prodotta nei testicoli da cellule di Sertoli e di Leydig e che normalmente ha una funzione di feed-back sull’asse ipotalamopituitario. Ulteriori analisi immunoistochimiche utili nel contesto istopatologico evidenziano calretinina, Melan-A e in alcuni casi proteina S100 come pure marcatori neuroendocrini. Circa 10% dei tumori a cellule di Leydig sono maligni e sviluppano metastasi linfonodali, polmonari, epatiche e/o ossee. Tumori maligni si osservano esclusivamente in adulti e di regola non si manifestano clinicamente con alterazioni endocrine. Segni suggestivi per un alto potenziale di malignità sono il diametro maggiore di 5 cm, marcate atipie citologiche, attività mitotica elevata (3-5 mitosi /10 campi visivi ad alto ingrandimento), margini infiltrativi, necrosi ed invasione vascolare. Nessun singolo criterio istologico può derimere con certezza tra un tumore a comportamento benigno e maligno. Infatti raramente anche tumori con pochi o addirittura senza segni istologici di malignità possono sviluppare metastasi. In diagnosi differenziale bisogna considerare seminomi e altre neoplasie non-seminomatose delle cellule germinali, linfomi, tumori a cellule di Sertoli e tumori testicolari nel contesto di una sindrome adrenogenitale. Il trattamento dei tumori a cellule di Leydig è in prima linea chirurgico, con orchiectomia radicale senza terapia adiuvante. Alcuni centri offrono ora anche un trattamento conservativo con enucleazione tumorale, 74 MAGGIO 2009 soprattutto in pazienti giovani con piccoli tumori. Per casi con potenziale malignità si discute il ruolo curativo della linfadenectomia retroperitoneale e, in ogni caso, è indicato uno stretto follow-up. Metastasi si manifestano spesso nei primi due anni dopo l’intervento chirurgico, ma sono stati documentati casi anche dopo dieci anni. Visto che i tumori non rispondono alla radio- o chemioterapia, la prognosi in pazienti metastatici è sfavorevole, con una sopravivenza media di 2 anni. In conclusione i tumori a cellule di Leydig sono rare neoplasie interstiziali del testicolo con secrezione di steroidi e con comportamento benigno nella maggior parte dei casi. La comprensione del quadro clinico, radiologico e patologico aiuta a stabilire una diagnosi celere e corretta. U. Perriard, Istituto cantonale di patologia, Locarno Bibliografia Al-Agha OM, Axiotis AA. An in-depth look at Leydig cell tumor of the testis. Arch Pathol Lab Med.2007; 131:311-317 (testo dal quale sono state tratte le immagine ecografiche e di macroscopia) Colecchia M et al. Leydig cell tumor and hyperplasia. A review. Anal Quant Cytol Histol 2007;29:139-147 Young R H. Testicular tumors – some new and a few perennial problems. Arch Pathol Lab Med. 2008;132:548-564 TRIBUNA MEDICA TICINESE 203 SEZIONE SCIENTIFICA - L’angolo della statistica LA STATISTICA NEL PROTOCOLLO CLINICO O. Petrini, C. Limoni Secondo le norme di Buona Pratica Clinica (“Good clinical Practice”; GCP), per ogni studio clinico è necessario preparare un protocollo di studio che descriva l’obiettivo, la progettazione, l’organizzazione, la metodologia da usare e le considerazioni statistiche alla base delle analisi da condurre sui dati raccolti. La struttura di un protocollo clinico è riportata nelle linee guida GCP1 e include diversi capitoli, descritti nella linea guida corrispondente, di cui vogliamo qui esaminare solo quelli riguardanti gli aspetti statistici dello studio, e cioè: 1 2 3 4 5 6 7 Obiettivi dello studio Variabili primarie e secondarie Popolazione studiata Dimensione del campione Stratificazione Randomizzazione Considerazioni statistiche Un buon protocollo, con definizioni esatte ed accurate degli obiettivi, delle variabili da misurare, dell’ampiezza del campione da esaminare e della metodologia statistica che sarà applicata per analizzare i risultati dello studio è il primo e indispensabile passo per la produzione di risultati clinici affidabili e misurabili. Uno studio clinico può es- sere randomizzato, non randomizzato, in doppio o singolo cieco. Esso può avere l’obiettivo di dimostrare la superiorità, l’equivalenza o talvolta la non inferiorità di una terapia. È importante capire che la metodologia statistica, così come gli obiettivi dello studio e le variabili da esaminare sono definiti prima dello studio e non possono essere modificati quando sono noti i risultati. Un’eventuale modifica del protocollo deve essere approvata dal Comitato Etico durante lo svolgimento dello studio. 1 Obiettivi dello studio Nel protocollo devono essere specificati l’obiettivo primario (necessario) e gli obiettivi secondari (non essenziali). Affinché uno studio clinico sia considerato un successo l’obiettivo primario deve essere conseguito. Esso determina il “disegno” dello studio. Sia l’obiettivo primario che quello secondario devono essere descritti in modo accurato. Supponiamo di voler studiare l’effetto ipotensivo di un medicamento (il prodotto A) in pazienti moderatamente ipertesi, rispetto a un prodotto B. In tal caso non scriveremo “l’obiettivo è di verificare l’effetto del prodotto A sulla pressione arteriosa dei pazienti”, ma enunceremo in modo più accurato “Lo scopo primario di questo studio è di verificare se il prodotto A diminuisce la pressione arteriosa di pazienti affetti da ipertensione moderata in modo clinicamente e statisticamente superiore al prodotto B”. Questo permette di identificare inequivocabilmente non solo quale sia l’effetto aspettato, ma anche il collettivo di pazienti che potrebbe beneficiare del trattamento. In questo caso si tratta di mostrare la superiorità di una terapia. Normalmente gli obiettivi di uno studio clinico si riferiscono a criteri d’efficacia. La sicurezza di un medicamento si può verificare solo in studi che includono un campione molto ampio. 74 MAGGIO 2009 2 Variabili primarie e secondarie La descrizione di variabili misurabili primarie e secondarie è spesso confusa dagli sperimentatori con gli obiettivi dello studio. L’obiettivo descrive ciò che ci si aspetta come risultato generale (nel nostro caso una riduzione efficace della pressione sanguigna). Le variabili primarie e secondarie, invece, devono essere entità misurabili e chiaramente definite che si prestino ad un’analisi statistica. Nello studio ipotetico descritto sopra, quindi, non parleremo di “riduzione della pressione sanguigna”, ma diremo ad esempio che intendiamo misurare “il cambiamento in pressione arteriosa, espresso in mm Hg, dopo un trattamento con il prodotto A o B per 30 giorni”. Uno studio clinico può includere diverse variabili primarie. Per ragioni statistiche che esamineremo in un altro contributo, è raccomandabile usare una sola variabile primaria, e relegare a variabili secondarie altri parametri clinicamente meno importanti. 3 La popolazione studiata La popolazione studiata deve essere definita in modo accurato, poiché il risultato dello studio sarà considerato valido solo per questa popolazione. 4 Dimensione del campione L’obiettivo di questa sezione è di chiarire quanto debba essere grande il campione per poter raggiungere gli obiettivi dello studio. Si tratta quindi di spiegare scientificamente quanti pazienti si debbano includere in uno studio affinché questo abbia una potenza statistica (vedi glossario) sufficiente a rilevare una differenza di efficacia in rapporto a quello del medicamento di riferimento. In questa sezione lo statistico descriverà in dettaglio le ipotesi (vedi punto 7) che lo portano a definire l’ampiezza del campione, e riporterà pure le formule statistiche usate per determinarla. TRIBUNA MEDICA TICINESE 205 SEZIONE SCIENTIFICA - L’angolo della statistica 5 Stratificazione Se si dovessero avere ragioni sufficienti per dividere una popolazione in gruppi più omogenei, è consigliabile procedere ad una stratificazione del campione. Ad esempio, se si avessero dei dubbi giustificati che il prodotto A possa abbassare la pressione sanguigna negli uomini più che nelle donne, è opportuno dichiararlo esplicitamente in questa sezione, spiegando anche le ragioni scientifiche che portano alla stratificazione. È importante pensare ad eventuali stratificazioni prima di passare alla randomizzazione dei pazienti, in quanto una stratificazione “post hoc” (cioè a studio terminato) non è ammissibile se non in casi molto particolari. 6 Randomizzazione La randomizzazione permette di evitare differenze sistematiche tra gruppi di terapia, dovute unicamente a fattori che non siano le terapie in esame, ad esempio sesso, età, o gravità della malattia. Uno studio clinico scientificamente affidabile si basa quindi spesso, se non sempre, su un’efficace randomizzazione dei pazienti da includere nei gruppi di terapia. Il protocollo deve descrivere brevemente anche come si vuol regolare l’inclusione di pazienti nello studio, spiegare le ragioni che portano a metodi specifici di randomizzazione e descrivere il programma statistico utilizzato a questo scopo. 7 Considerazioni statistiche Questo capitolo descrive le considerazioni scientifiche alla base della scelta del disegno dello studio e dei metodi statistici da usare per le analisi, come pure la analisi pianificate in corso o alla fine dello studio. È in questo capitolo che lo statistico descriverà la metodologia usata per l’analisi dei risultati. Prima di tutto si definiscono le ipotesi statistiche (vedi glossario). Esse sono una traduzione degli obiettivi in termini che permettano un’analisi statistica. Ad esempio, sempre nel caso del no- 206 TRIBUNA MEDICA TICINESE stro prodotto ipotensivo, l’ipotesi statistica potrebbe essere espressa nel modo seguente: “L’obiettivo primario dello studio sarà studiato con un test mirante a negare l’ipotesi nulla che in pazienti moderatamente ipertesi 300 mg del prodotto A non causano un cambio della pressione sanguigna diastolica, misurata in soggetti in posizione supina, che sia statisticamente superiore a quello causato dal prodotto B (che dovrebbe essere un medicamento usato come “gold standard”). In seguito devono pure essere descritti i test statistici da applicare per analizzare ognuna delle variabili, le eventuali trasformazioni dei dati, il livello di significatività, come pure il trattamento dei valori mancanti e i programmi statistici utilizzati. Se la metodologia statistica comprende dei modelli (regressione lineare, regressione logistica, ecc.), devono essere specificate le variabili che li costituiscono come pure le eventuali covariate. Se le variabili primarie sono derivate da misurazioni effettuate (ad esempio, l’area sotto la curva in farmacocinetica), i metodi usati per la derivazione devono essere descritti. Conclusioni La pianificazione di uno studio clinico è un lavoro impegnativo. Le risorse in gioco sono spesso notevoli, ed è quindi fondamentale che ogni dettaglio sia accuratamente studiato per evitare spiacevoli sorprese al momento della conclusione dello studio. Molte volte la statistica diventa la “Cenerentola” della pianificazione; le considerazioni statistiche, però, sono parte integrante della struttura di uno studio clinico e danno un valore aggiunto non indifferente alla sua qualità. Le sezioni descritte in questo lavoro sono essenziali per la stesura del protocollo, e una loro esatta preparazione permette una pianificazione accurata e corretta della parte medico-scientifica dello studio. 74 MAGGIO 2009 Glossario: Ipotesi statistiche: le ipotesi statistiche sono di due tipi, l’ipotesi nulla (da rifiutare) e l’ipotesi alternativa, che viene accettata quando l’ipotesi nulla è rifiutata. Test statistico: permette di calcolare la probabilità che la differenza osservata tra due terapie in uno studio clinico sia dovuta al caso. Potenza del test: La potenza statistica è espressa come percentuale: se uno studio ha una potenza statistica di 80%, ciò significa che è in grado di dimostrare, ad esempio, la superiorità di una terapia con una probabilità di 80% (in altre parole, se è vero che una certa terapia è superiore, lo si vedrà in 80 studi clinici su 100). La potenza statistica è funzione della numerosità dei gruppi di pazienti in esame e della differenza di efficacia tra le terapie studiate. Livello di significatività: si tratta della probabilità di sbagliarsi nel concludere che una terapia è migliore di un’altra quando le due hanno il medesimo effetto. Generalmente questa probabilità è fissata al 5%. Orlando Petrini Istituto cantonale di microbiologia, Bellinzona Costanzo Limoni, Alpha 5-Biometrics, Riva San Vitale Bibliografia 1 European Medicines Agency. 2002. ICH Topic E6 (R1) - Guideline for Good Clinical Practice. Step 5. Note for guidance on Good Clinical Practice. CPMP/ICH/135/95.