Ragionamento condizionale con costituenti negativi e con livelli
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Ragionamento condizionale con costituenti negativi e con livelli
Ragionamento condizionale con costituenti negativi e con livelli differenziati di probabilità degli enunciati Olimpia Matarazzo, Ivana Baldassarre, Carlo Irollo Dipartimento di Psicologia - Seconda Università di Napoli Via Vivaldi 43 – 81100 Caserta - ITALIA [email protected] Sommario Questo studio esamina l’effetto del livello di probabilità degli enunciati e della presenza di costituenti negativi sul ragionamento condizionale. Ai partecipanti (n = 40) sono stati presentati dodici condizionali di cui sono stati sistematicamente variati il livello di probabilità (Alto, Medio e Basso) e la forma verbale dei costituenti (da completamente positiva a completamente negativa) ed è stato chiesto di scegliere la conclusione più appropriata per le quattro inferenze (Modus Ponens, Modus Tollens, Negazione dell’antecedente, Affermazione del conseguente) derivanti da ognuno degli enunciati. I risultati hanno mostrato che il livello di probabilità degli enunciati condizionali incide, almeno parzialmente, sulla frequenza con cui si traggono inferenze. Per quel che concerne l’influenza della negazione, invece, nessuno degli effetti che sono stati evidenziati in letteratura (bias della conclusione negativa, bias delle premesse affermative, effetto della premessa minore negativa, preferenza per conclusioni altamente probabili) è stato riscontrato in modo sistematico nel nostro studio. Sono discusse le ripercussioni teoriche di questi risultati e viene formulate un’ipotesi interpretativa. Abstract This paper tested the effect of the probability degree of conditional sentences and of negated constituents on conditional reasoning. The participants (n = 40) were presented with twelve conditionals, whose degree of probability (High, Medium and Low) and verbal form of constituents (from fully positive to fully negative) had been systematically varied. They were asked to choose the most appropriate conclusion to the four inferences (Modus Ponens, Modus Tollens, Denial of the antecedent, Affirmation of the consequent) deriving from each conditional. Results showed that the degree of probability of conditionals affects, at least partially, the frequency with which inferences are drawn. Regard to the influence of negation, none of the effects reported in the literature (negative conclusion bias, affirmative premise bias, negative categorical premise bias, high-probability conclusion effect) has been clearly found in our study. Theoretical implications of these findings are discussed and interpretative hypothesis is formulated. Introduzione Il significato e l’uso degli enunciati condizionali (se p, allora q) sono al centro di un numero considerevole di studi sia in ambito logico-filosofico che psicologico (cfr. Edgington, 2003; Evans, 2002; Evans et al., 2005). In ambito logico, la loro interpretazione in termini di implicazione materiale (p q) - ossia come enunciati falsi solo quando p è vero e q è falso, e veri negli altri tre casi derivanti dalla combinazione della verità/falsità dell’antecedente e del conseguente - è conforme alla logica verofunzionale ma è criticata dalle logiche non vero-funzionali sulla base dei paradossi a cui dà luogo l’accettazione della verità dell’enunciato quando l’antecedente è falso (P1: dato non-p, ne consegue che “se p, allora q”), o in virtù della semplice verità del conseguente (P2: dato q, ne consegue che “se p, allora q”). Ad esempio, un enunciato come “se Tizio è a Parigi, allora Tizio è nella capitale dell’Olanda”, concepito in termini di implicazione materiale, è vero se Tizio non è a Parigi, in virtù di P1, e se Tizio è all’Aja, in virtù di P2. Tra le concezioni non vero-funzionali dei condizionali, quella supposizionale, avanzata per primo da Ramsey (1931), trasforma la natura stessa di questi enunciati da deduttiva a probabilistica. L’enunciato p q è interpretato come P (q|p), ossia come la probabilità condizionata di q dato p. Questo significa che il giudizio sul valore di verità dell’enunciato p q avviene valutando dapprima la probabilità di p e giudicando poi, su tale base, quanto è probabile che q si dia come conseguenza di p o in connessione con p, ossia valutando il grado di fiducia che q avvenga, dato p. La certezza dell’argomentazione deduttiva viene qui rovesciata nell’incertezza propria del ragionamento probabilistico. In ambito psicologico, le due più influenti teorie del ragionamento deduttivo, la teoria della logica mentale (Braine e O’Brien, 1991) e quella dei modelli mentali (Johnson-Laird, 1983; Johnson-Laird e Byrne, 2002), si basano, rispettivamente, su una concezione sintattica e una concezione semantica delle operazioni mentali implicate nel ragionamento e formulano ipotesi contrapposte circa la concezione dei condizionali. Secondo la prima teoria, il significato di un enunciato condizionale è dato esclusivamente dalle sue regole di inferenza: nello specifico, dalla regola di eliminazione del connettivo “ ” , o Modus Ponens (MP) e da quella di introduzione del connettivo, o schema della prova condizionale, entrambe mutuate dal calcolo della deduzione naturale di Gentzen (1935). Detto altrimenti, il significato di un enunciato del tipo “se p, allora q” viene compreso nei termini seguenti, anzi non è altro che: “se si danno “se p, allora q” e “ p”, deve necessariamente darsi q”. D’altra parte, se, ogni volta che si suppone p insieme ad un set di altre premesse, ne consegue q, si può asserire “se p, allora q”. Poiché la teoria comporta, come regole sintattiche naturalmente possedute per i condizionali, solo il MP e lo schema della prova condizionale, essa non prevede inferenze specifiche nel caso in cui si debba stabilire il valore di verità di enunciati condizionali a partire dalla negazione dell’antecedente e ipotizza che la tavola di verità difettiva sia più adeguata di quella 1 verofunzionale per rendere conto delle condizioni di verità del condizionale. Inoltre essa riconosce alla concezione probabilistica del condizionale, propria della teoria supposizionale, un’analogia con la regola naturale dello schema della prova condizionale, anche se non sviluppa ulteriormente tale similitudine e non ne analizza il rapporto con la regola di eliminazione del condizionale, o MP. La teoria dei modelli mentali sostiene invece che il ragionamento condizionale, così come l’insieme del ragionamento umano, si basa su operazioni semantiche, ossia sulla rappresentazione (o modelli mentali) del significato delle premesse derivante dalla costruzione e dalla manipolazione mentale di stati del mondo strutturalmente analoghi a quelli descritti nelle premesse. Gli stati del mondo compatibili con le premesse diventano le conclusioni del ragionamento, che vengono ritenute valide se non sono inficiate dalla costruzione eventuale di controesempi, ossia di modelli alternativi delle premesse. Malgrado la polemica antilogicista più volte sostenuta dai fautori di tale approccio, la rappresentazione esaustiva dei modelli mentali implicati dall’enunciato condizionale nella sua forma “basic” (ossia svincolata da implicazioni pragmatiche) porta alla sua equiparazione con l’implicazione materiale prevista dalla logica verofunzionale. La prestazione deduttiva umana, tuttavia, sarebbe governata dal “principio di verità”, che privilegia la rappresentazione delle possibilità vere e lascia a livello implicito la rappresentazione dei modelli con antecedente falso: ne consegue che l’equiparazione fra enunciato condizionale ed implicazione materiale tende a non essere esplicitata nel ragionamento quotidiano e/o ad essere sostituita da modelli costruiti ad hoc e derivanti dalla “modulazione pragmatica” dei condizionali. In base allo stesso principio di verità, è confutata la concezione probabilistica: la possibilità che non si verifichi il conseguente, dato l’antecedente, corrisponde non al livello di probabilità attribuito al condizionale bensì alla condizione (o controesempio) che lo falsifica. L’idea che il ragionamento condizionale abbia una natura fondamentalmente probabilistica è comunque sostenuta in psicologia da un numero crescente di autori (cfr. Evans et al. 2003, 2005; Liu, 2003; Liu et al.,1996; Oaksford e Chater, 2003; Oaksford et al., 2000), i quali assumono che i condizionali non abbiano una qualità estensionale ma supposizionale, ossia che essi non rinviino obbligatoriamente a un referente cui attribuire un valore di verità, bensì che consentano di valutare il grado di fiducia che si accorda al verificarsi di q, supponendo che si verifichi p. In questo modo i condizionali non presentano solo due valori di verità, Vero o Falso, ma variano lungo un continuum di probabilità. Gli studi che si muovono all’interno di questo paradigma hanno testato il livello di probabilità soggettiva attribuito agli enunciati condizionali facendone mutare il valore di probabilità oggettiva (Evans et al., 2003), o hanno valutato il grado di probabilità delle quattro inferenze condizionali in funzione della plausibilità degli enunciati condizionali (Liu et al.,1996; Oaksford et al., 2000). Nel complesso i risultati hanno evidenziato che la frequenza delle inferenze risente del livello di probabilità degli enunciati. Ad esempio, Liu et al. (1996), lavorando con condizionali tematici, hanno evidenziato che, per ognuna delle quattro inferenze condizionali, ossia il Modus Ponens (MP), il Modus Tollens (MT), la Negazione dell’Antecedente (NA) e l’Affermazione del Conseguente (AC), le risposte corrette1 aumentavano in funzione della probabilità degli enunciati. Liu e coll. (Liu, 2003; Liu et al., 1996) hanno inoltre individuato due componenti nel ragionamento condizionale: una componente basata sulla conoscenza veicolata dalla premessa maggiore del sillogismo condizionale (es., se p allora q; dato p, quanto è probabile q?) ed una basata solo sulle conoscenze pregresse (es., dato p, quanto è probabile q?) in virtù della quale viene valutata la probabilità della relazione fra due eventi prescindendo dalla formulazione deduttiva del sillogismo condizionale che, nella premessa maggiore, illustra l’implicazione del conseguente da parte dell’antecedente. La componente basata sulla conoscenza sembra essere il fulcro della comprensione in termini probabilistici dei condizionali tematici. Un ambito di studio che si intreccia con la visione probabilistica dei condizionali è quello degli effetti esercitati dalla presenza di costituenti negativi nell’enunciato condizionale. Essi sono stati osservati per primo da Evans (Evans, 1972; Evans et al. 1995, 1999) con l’introduzione del cosiddetto paradigma negativo (generato dalle 4 combinazioni della forma verbale affermativa e negativa con l’antecedente e il conseguente dell’enunciato) e sono stati interpretati alla luce di varie prospettive teoriche. Dal punto di vista descrittivo possono essere ricondotti a tre grandi categorie, che però presentano aspetti in parte sovrapponibili e in parte contraddittori: 1) la preferenza per le conclusioni negative, che, secondo Evans e Handley (1999), si riscontra sul Modus Tollens (MT) e sulla Negazione dell’Antecedente (NA) ed è ascrivibile alla difficoltà di processamento della doppia negazione, mentre secondo altri autori (Schroyens et al., 2001; Schroyens e Shaeken, 2003) si riscontra anche sull’Affermazione del Conseguente (AC) dove pure è attribuibile alla difficoltà della doppia negazione della proposizione inferenziale (ossia quella in relazione a cui si deve trarre una conclusione) che in questo caso è richiesta dalla ricerca di controesempi nel processo di validazione delle conclusioni inizialmente tratte2; 2) la preferenza per le premesse affermative, che, secondo Evans (1993), è un bias derivante dalla teoria dei modelli mentali e che dovrebbe portare a trarre maggiori conclusioni di tipo MT e NA quando le premesse minori di queste inferenze 1 Dal punto di vista logico le inferenze condizionali valide sono il MP (se p allora q; p; ergo: q) e il MT (se p allora q; non-q; ergo: non-p), mentre NA (se p allora q; non-p; ergo: non-q) e AC (se p allora q; q; ergo: p) sono inferenze invalide, o fallacie. La risposta corretta a NA e AC è che nessuna conclusione segue dalle premesse. 2 Schroyens et al., 2001 denominano questa classe di effetti come “inferential negation effects”, ossia effetti dovuti alla presenza di una negazione nella proposizione inferenziale: essi comportano una diminuzione di MT e un aumento di AC quando l’antecedente è negativo e una diminuzione di NA quando il conseguente è negativo. 2 sono affermative piuttosto che negative ma il cui riscontro empirico è controverso (Evans et al. 1995, Schroyens et al., 2001; Schroyens e Shaeken, 2003) e che è stato reinterpretato da Evans e Handley (1999) come effetto di soppressione delle inferenze basate su premesse negative implicite; 3) l’effetto della premessa minore negativa (referred-negation effects), che è stato riscontrato solo sulle due fallacie logiche e comporta meno inferenze AC e più inferenze NA, e che Schroyens et al. (2001) collegano alle caratteristiche probabilistiche del processo di ricerca di controesempi, facilitato dalla maggiore ampiezza della frase negativa rispetto a quella affermativa. Oaksford et al. (2000), sulla base della concezione della negazione come identificazione di classi di contrasto – per cui la classe di riferimento dell’elemento negato (ad es. non-A) è in principio più ampia di quello affermato (ad es. A), visto che la prima comprende tutto ciò che è non-A (ossia B, C, D ecc.) mentre la seconda comprende solo A – reinterpretano i bias derivanti dai costituenti negativi come un effetto razionale dovuto alla preferenza per scelte riferite a conclusioni con alta probabilità (ossia quelle espresse in forma negativa) piuttosto che a conclusioni con bassa probabilità (ossia quelle espresse in forma affermativa). Va osservato che la maggior parte degli studi che hanno adottato il paradigma della negazione ha usato materiale astratto, dal momento che lo stesso Evans (2002) ricollega gli effetti da esso prodotti alla componente euristica del ragionamento, evidenziantesi maggiormente in assenza della facilitazione semantica fornita dal materiale tematico. Tuttavia, l’interpretazione unitaria di tali effetti avanzata da Oaksford et al. (2000) li svincola dalla componente euristica per inscriverli nella lettura del ragionamento condizionale come ragionamento probabilistico e quindi predice la preferenza per le conclusioni più probabili con tutti i tipi di materiale. Sebbene gli autori abbiano testato la loro ipotesi con materiale tematico, hanno però utilizzato solo enunciati affermativi, costruiti in modo da variare sistematicamente la probabilità di antecedente e conseguente. A nostra conoscenza mancano studi che abbiano trattato congiuntamente l’effetto del livello di probabilità e dei costituenti negativi degli enunciati condizionali con materiale concreto. Il nostro studio si propone di esaminare questi duplici effetti. Esperimento Il primo obiettivo di questo esperimento è di testare se gli enunciati condizionali sono compresi in modo probabilistico, ossia in funzione del grado in cui l’antecedente è ritenuto essere condizione sufficiente del conseguente (Evans et al. 2003, 2005; Liu et al. 1996; Oaksford et al., 2000), o se sono compresi in modo verofunzionale, secondo quanto implicato dalle teorie della logica mentale e dei modelli mentali. L’inferenza discriminante per mettere a confronto le due previsioni è costituita dal MP che, secondo la logica mentale, è uno schema deduttivo naturalmente posseduto dalla mente umana e quindi dovrebbe essere tratto automaticamente in presenza di un condizionale, a meno che non sia ritenuto falso, e che, secondo la teoria dei modelli mentali, è la conclusione a cui dà luogo la rappresentazione iniziale del condizionale e che invece, secondo la concezione supposizionale, dovrebbe essere tratto solo quando le probabilità che il conseguente derivi dall’antecedente sono reputate molto elevate, mentre, in caso contrario, dovrebbe essere sostituito dal riconoscimento dell’impossibilità di trarre una conclusione certa. Ne consegue che, in presenza di enunciati con livelli differenziati di probabilità, se i soggetti hanno una concezione implicita dei condizionali di tipo supposizionale, la frequenza del MP dovrebbe variare in funzione della probabilità degli enunciati. Se, invece, conformemente a quanto previsto dalla teoria della logica mentale (TLM), l’inferenza MP è uno schema sintattico “naturale” che traduce il significato del condizionale, la sua frequenza dovrebbe restare tendenzialmente stabile, così come dovrebbe restare stabile se la rappresentazione del condizionale comporta un modello iniziale in cui il conseguente coesiste con l’antecedente, secondo quanto sostenuto dalla teoria dei modelli mentali (TMM). La frequenza del MP, tuttavia, non dovrebbe essere influenzata dalla forma verbale in cui sono costruiti gli enunciati in virtù del suo carattere di inferenza “semplice”, che richiede un solo passaggio diretto fra antecedente e conseguente. Per quel che riguarda le altre inferenze traibili dal sillogismo condizionale (MT, NA, AC), la TLM e la TMM ritengono che la loro frequenza sia influenzata rispettivamente dalle operazioni sintattiche e semantiche implicate nel ragionamento condizionale, su cui incide a sua volta la comprensione pragmatica delle premesse, per cui, secondo il primo approccio, il MT dovrebbe avere una frequenza maggiore di AC ed NA, mentre, secondo il secondo, AC dovrebbe essere tratta più spesso di MT e NA. Gli studi fondati sulla visione probabilistica dei condizionali hanno riscontrato che MT aumenta e NA e AC diminuiscono in funzione della probabilità dell’enunciato (Liu et al., 1996) o che ognuna di queste inferenze aumenta in funzione della probabilità della conclusione dell’argomento condizionale. Queste previsioni riguardano solo i sillogismi con enunciati affermativi. Il secondo obiettivo dello studio è di valutare se gli effetti esercitati dai costituenti negativi degli enunciati sulle inferenze condizionali, e che almeno in parte sono riconducibili a fattori di tipo sintattico, come il processamento della doppia negazione, si riscontrano anche su condizionali altamente semantici come quelli usati in questo studio e che sono tali non solo per il loro contenuto concreto ma anche per il loro differente grado di probabilità, basato sulla variazione della plausibilità con cui nella realtà il conseguente implica l’antecedente. In particolare ci proponiamo di mettere alla prova, usando il paradigma negativo ed enunciati con contenuto concreto, l’ipotesi di Oaksford et al. (2000) secondo cui gli effetti della forma negativa sul ragionamento condizionale possono essere interpretati come l’espressione di una preferenza razionale per le conclusioni più probabili, ossia quelle espresse con proposizioni negative piuttosto che affermative, in virtù 3 della maggiore estensione delle prime rispetto alle seconde. Metodo Disegno. L’esperimento è stato strutturato secondo un disegno within 3x4x4 (livello di probabilità dei condizionali x forme verbali x tipo di inferenza). Il livello di probabilità degli enunciati condizionali è stato suddiviso in: alto (PA), medio (PM), basso (PB). Le forme verbali sono le quattro derivanti dalla combinazione della forma affermativa o negativa dell’antecedente e del conseguente: antecedente e conseguente affermativi (f AA); antecedente affermativo e conseguente negativo (f AN); antecedente negativo e conseguente affermativo (f NA); antecedente e conseguente negativi (f NN). Per ogni enunciato è stato chiesto di valutare le quattro inferenze condizionali: Modus Ponens (MP); Modus Tollens (MT); Negazione dell’antecedente (NA); Affermazione del conseguente (AC). Partecipanti. Hanno volontariamente partecipato allo studio 40 studenti di Psicologia della Seconda Università di Napoli (età media = 21,8; d. s. = 3,1), senza alcuna nozione di logica né di psicologia del ragionamento. Materiali e procedura. La scelta degli enunciati da utilizzare per l’esperimento è stata effettuata mediante uno studio preliminare a cui hanno partecipato 80 studenti universitari, non iscritti a Psicologia, in veste di giudici. Essi sono stati casualmente suddivisi in due gruppi, ognuno dei quali ha giudicato, su scale a 7 punti, il livello di probabilità di 20 enunciati condizionali, ossia quanto si ritenesse probabile che il verificarsi della prima parte dell’enunciato implicasse il verificarsi della seconda. In totale sono stati valutati 40 enunciati, 10 per ogni forma verbale. Essi avevano tutti contenuto concreto e carattere descrittivo: la relazione fra antecedente e conseguente era in alcuni casi di tipo definitorio, in altri di tipo attributivo, in altri ancora di tipo contingente (nell’accezione di Cheng e Holyoak, 1985); in nessun caso era di tipo causale o deontico al fine di evitare la mobilitazione di schemi pragmatici di ragionamento che avrebbero potuto interferire con gli effetti delle due variabili oggetto di studio, ossia il livello di probabilità degli enunciati e la loro forma verbale. Gli enunciati scelti per i tre livelli di probabilità hanno ricevuto una media complessiva di 6.5 per PA, 3.9 per PM e 1.8 per PB (d. s = .69, .56 e .48, rispettivamente). In totale sono stati selezionati 12 enunciati, uno per ogni forma verbale e per ogni livello di probabilità. Ad esempio, come enunciato con alto livello di probabilità e con f NN (antecedente e conseguente negativi) è stato ritenuto “ Se una figura geometrica non ha quattro lati allora non è un quadrato”; come enunciato con medio livello di probabilità e con f AA (antecedente e conseguente affermativi) è stato selezionato: “Se una persona indossa una camicia blu, allora mette una cravatta marrone”; come enunciato con basso libello di probabilità e con f NA (antecedente negativo e conseguente affermativo) è stato scelto: “Se una persona non mangia il pane, allora è vegetariana”. Nell’esperimento è stato chiesto di considerare ognuno dei 12 enunciati (ma senza specificare di darlo per vero) e di esaminare, alla luce dell’enunciato iniziale, ciascuna delle 4 premesse minori del sillogismo condizionale, generate dall’affermazione/negazione di antecedente e conseguente, scegliendo come conclusione una delle quattro proposte (affermazione o negazione della proposizione inferenziale, ossia della parte dell’enunciato non fungente da premessa minore e rispetto alla quale deve essere tratta la conclusione; “nessuna conclusione è certa”; “non so”). Ad esempio, le conclusioni proposte per il sillogismo condizionale formato dalle premesse: “Se una persona indossa una camicia blu, allora mette una cravatta marrone” e “Supponiamo che una persona non indossi una camicia blu” sono state: 1) mette una cravatta marrone; 2) non mette una cravatta marrone; 3) nessuna conclusione è certa; 4) non so. L’ordine di presentazione degli enunciati, delle quattro inferenze e delle quattro risposte è stato randomizzato e bilanciato attraverso i soggetti. Risultati I dati relativi alla percentuale di inferenze tratte3 (riportati in tabella 1) sono stati sottoposti ad un’ANOVA a misure ripetute 3x4x4 (probabilità x forma verbale x inferenza). I risultati hanno mostrato 3 effetti principali, dovuti all’inferenza (F 3, 117 = 98,32; p <.001), alla probabilità (F 2, 78 = 4,86; p <.01) e alla forma verbale (F 3, 117 = 3,61; p<.05), e 3 effetti di interazione: probabilità x inferenza (F 6,234 = 34,25; p <.001), forma verbale x inferenza (F 9,351 = 7,57; p <.001), probabilità x forma verbale x inferenza (F 18,702 = 4,76; p <.001). I test post hoc LSD hanno rivelato che il MP è l’inferenza più frequente, seguita dal MT e, infine, da NA e AC. In PA e PM si traggono più inferenze che in PB; in f NA e f NN si traggono più inferenze che in f AA e f AN. Per esplorare le interazioni, sono state condotte, sulle singole inferenze, quattro ulteriori ANOVA a misure ripetute 3x4 (probabilità x inferenza), utilizzando il test LSD per i confronti post hoc. Per il MP, l’analisi ha evidenziato un solo effetto principale dovuto alla probabilità (F 2, 78 = 10,94; p <.001): questa inferenza è tratta più frequentemente in PA e PM che in PB. Nessun influenza è ascrivibile alla forma verbale. Per il MT sono stati riscontrati due effetti principali, dovuti 3 Nel presente lavoro sono state conteggiate le conclusioni che sono state tratte per ognuna delle 4 inferenze condizionali, indipendentemente dalla loro correttezza dal punto di vista logico: di conseguenza per le inferenze NA e AC le risposte conteggiate corrispondono alla commissione delle fallacie e non alla risposta logicamente corretta, ossia all’impossibilità di trarre conclusioni dalle premesse. È opportuno specificare che non sono mai state fornite né la risposta “non so”, né risposte illogiche, come inferire una conclusione negativa da premesse affermative (es. se p allora q; q; ergo: non-p), per cui le conclusioni scelte si sono suddivise in due categorie: derivazione della inferenza (MP, NA, AC, MT) oppure “nessuna conclusione è certa”. 4 rispettivamente alla forma verbale (F 3, 117 = 3,47; p <.05) e alla probabilità (F 2, 78 = 44,01; p <.001), e un effetto di interazione tra forma verbale probabilità (F 6,234 = 5,76; p <.001). Il MT aumenta in funzione del livello di probabilità degli enunciati, e in f NA e f NN è meno frequente che in f AN, mentre la f AA non differisce dalle altre tre. L’analisi degli effetti semplici, effettuata per i tre livelli di probabilità degli enunciati (p =.05), ha mostrato che in PA, la forma NA è quella in cui il MT è tratto di meno, mentre in PB la forma verbale in cui il MT è tratto più raramente è f NN; in PM non c’è differenza fra le forme verbali. Sull’AC incide solo il livello di probabilità degli enunciati (F 2, 78 = 21,86; p <.001): tale fallacia è tratta più spesso in PM e PB che in PA. La NA è influenzata dalla forma verbale (F 3, 117 = 15,02; p <.001) che, a sua volta, interagisce con il livello di probabilità degli enunciati (F 6,234 = 5,18; p <.001). Tale inferenza ricorre complessivamente più spesso in f NA e f NN rispetto a f AA e f AN ma, come ha mostrato il calcolo degli effetti semplici condotto sui livelli di probabilità degli enunciati (p =.05), in PA essa è più elevata in f NA, seguita da f NN e, poi, dalle altre due forme verbali; in PM è più elevata nella F NN che nelle altre tre; in PB la f NN è più elevata di f AA e f AN, mentre la f NA è in posizione intermedia. Tabella 1: Percentuale di conclusioni tratte per tipo di inferenza, forma verbale e livello di probabilità degli enunciati Forma verbale x livello di probabilità degli enunciati Inferenza MP NA AC MT PA .95 .08 .05 .83 Se p allora q (f AA) PM PB .82 .72 .22 .23 .30 .30 .55 .32 PA .97 .08 .10 .92 Se p allora non-q (f AN) PM PB .90 .68 .25 .20 .48 .25 .50 .43 PA .93 .65 .10 .50 Se non-p allora q (f NA) PM PB .90 .85 .30 .40 .43 .50 .48 .45 Se non-p allora non-q (f NN) PA PM PB .92 .90 .70 .25 .60 .50 .23 .45 .35 .82 .43 .13 MP: Modus Ponens; NA: Negazione dell’Antecedente; AC: Affermazione del Conseguente; MT: Modus Tollens. PA: Probabilità Alta; PM: Probabilità Media; PB: Probabilità Bassa. Discussione dei risultati e conclusioni I risultati mostrano che il livello di probabilità degli enunciati condizionali incide sulla frequenza con cui si traggono inferenze, il che implica che l’enunciato “se p allora q”, in qualunque forma verbale sia presentato, viene almeno in parte compreso in termini di probabilità condizionata di q dato p. Considerando il contenuto concreto dei nostri enunciati, è possibile ipotizzare che la probabilità condizionata sia stata valutata sulla base delle conoscenze pregresse che hanno portato a ritenere più o meno verosimile la relazione proposta tra antecedente e conseguente, in funzione della disponibilità o meno di elementi a sostegno della relazione e di condizioni disabilitanti o controesempi in grado di invalidarla. Abbiamo tuttavia specificato che l’enunciato condizionale è parzialmente compreso in termini probabilistici perché l’elevata frequenza con cui è stata tratta l’inferenza MP indica che nei soggetti è altresì presente una considerevole tendenza a dare per vero tale enunciato, indipendentemente dalle proprie credenze in merito alla connessione tra gli eventi, e a trarre il MP a partire da questo presupposto. Il fatto che il MP relativo agli enunciati mediamente probabili, in cui sono stati accostati due eventi in modo sostanzialmente arbitrario (ad es. “se una persona indossa una camicia blu allora mette una cravatta marrone”), sia stato tratto in un’altissima percentuale di casi - pari a quella relativa agli enunciati altamente probabili, in cui l’antecedente implicava per definizione il conseguente (es. “se un cane è un bassotto, allora non è alto”) - costituisce una prova a sostegno della considerazione da noi avanzata: in presenza di due eventi legati da un nesso arbitrario, in cui il conseguente ha un’analoga probabilità di essere accettato o rifiutato in base all’antecedente (vedi i risultati dello studio preliminare di selezione), il connettivo condizionale sembra essere stato compreso in modo da obbligare a dare per vera tale relazione. È solo quando il conseguente è stato costruito in modo da apparire a livello esperienziale scarsamente o per nulla connesso all’antecedente (vedi i risultati dello studio preliminare di selezione), che la percentuale del MP diminuisce sensibilmente. Va comunque rilevato che questa inferenza è tratta sempre più spesso delle altre tre, in conformità con le previsioni della TLM e della TMM e con i risultati degli stessi studi condotti secondo l’approccio probabilistico (es. Liu et al., 1996; Oaksford et al., 2000). Per quel che riguarda l’andamento del MT, che diminuisce in funzione della diminuzione di probabilità degli enunciati, e dell’AC, che è più elevata in media e bassa probabilità rispetto alla alta probabilità, i risultati sono simili a quelli ottenuti da Liu et al. (1996), mentre se ne differenziano per quel che concerne la NA che nel loro studio aumentava in media e bassa probabilità, mentre nel nostro varia in funzione della probabilità solo in interazione con la forma verbale4. 4 Ricordiamo che nello studio di Liu et al. (1996, esper. 1) le risposte corrette aumentavano in funzione della probabilità degli enunciati, quindi le fallacie erano tratte di meno con enunciati molto probabili. 5 Per quel che attiene agli effetti della negazione, nessuno dei bias che sono stati evidenziati in letteratura è stato da noi riscontrato in maniera sistematica. Non abbiamo rilevato in modo uniforme né il bias della conclusione negativa, ossia la tendenza a trarre più inferenze MT e NA (Evans et al., 1995), nonché più inferenze AC (Schroyens et al., 2000), quando la conclusione è negativa rispetto a quando è affermativa, né quello delle premesse affermative, ossia la tendenza a trarre più inferenze quando la premessa minore è affermativa piuttosto che quando è negativa (Evans, 1993). Né abbiamo riscontrato l’effetto della premessa minore negativa (referred-negation effects), comportante meno inferenze AC e più inferenze NA (Schroyens et al., 2001), e che ha una natura squisitamente semantica perché spiegabile in base alla ricerca di controesempi; anzi, la frequenza delle inferenze NA va in direzione opposta a quella prevista da tale classe di effetti. Infine, in riferimento all’ipotesi espressamente testata in questo esperimento, i nostri risultati non consentono di corroborare la lettura unitaria che degli effetti delle componenti negative sul ragionamento condizionale hanno operato Oaksford et al. (2000), attribuendoli alla preferenza per le conclusioni altamente probabili (ossia quelle espresse in forma negativa) rispetto a quelle meno probabili (espresse in forma negativa). Nel nostro studio gli effetti dei costituenti negativi si sono riscontrati solo sulle inferenze che comportano una premessa minore negativa, ossia MT e NA, mentre MP e AC non variano rispetto alla forma verbale e questo può far supporre che si sia creato un effetto di tipo sintattico fra la forma verbale dell’enunciato e le premesse categoriali che richiedono una negazione semplice o una doppia negazione dell’antecedente (NA) o del conseguente (MT). Tuttavia, l’assenza di una direzione univoca nella frequenza di tali inferenze impedisce di individuare un effetto chiaramente delineato, ascrivibile in toto alla forma verbale. Tra l’altro l’interazione creatasi tra forma verbale e probabilità degli enunciati porta piuttosto a ritenere che il materiale concreto utilizzato nello studio abbia avuto un peso determinante nella produzione delle inferenze condizionali. Con questo tipo di materiale, che rinvia alle conoscenze pregresse dei soggetti, si è creata un’interazione differenziata fra i costituenti negativi dell’enunciato condizionale, le premesse minori strutturalmente negative (NA e MT), i livelli di probabilità del condizionale. A nostro avviso l’ipotesi più economica per spiegare tali risultati, e che necessita di ulteriori studi per essere corroborata, è che gli argomenti condizionali, derivanti dalla combinazione delle tre componenti summenzionate, siano stati valutati non tanto in funzione della premessa maggiore quanto in funzione del nesso percepito fra la premessa minore e la proposizione inferenziale, ossia in funzione di quella che Liu et al. (1996) definiscono componente del ragionamento basata sulla conoscenza, in opposizione alla componente basata sulla premessa condizionale. Riferimenti bibliografici Braine, M.D.S., & O’Brien, D.P. (1991). A theory of if: A lexical entry, reasoning program, and pragmatic principles. Psychological Review, 98, 182-203. Cheng, P. W., Holyoak, K.J. (1985). Pragmatic reasoning schemas. Cognitive Psychology, 17, 391-416. Edgington, D. (2003). What if? Questions about conditionals. Mind & Language, 18, 380-401. Evans, J. St. B.T. (1972). Reasoning with negatives. 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