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Ragionamento condizionale con costituenti negativi e con livelli

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Ragionamento condizionale con costituenti negativi e con livelli
Ragionamento condizionale con costituenti negativi e con livelli differenziati di
probabilità degli enunciati
Olimpia Matarazzo, Ivana Baldassarre, Carlo Irollo
Dipartimento di Psicologia - Seconda Università di Napoli
Via Vivaldi 43 – 81100 Caserta - ITALIA
[email protected]
Sommario
Questo studio esamina l’effetto del livello di probabilità degli
enunciati e della presenza di costituenti negativi sul
ragionamento condizionale. Ai partecipanti (n = 40) sono stati
presentati dodici condizionali di cui sono stati sistematicamente
variati il livello di probabilità (Alto, Medio e Basso) e la forma
verbale dei costituenti (da completamente positiva a
completamente negativa) ed è stato chiesto di scegliere la
conclusione più appropriata per le quattro inferenze (Modus
Ponens, Modus Tollens, Negazione dell’antecedente,
Affermazione del conseguente) derivanti da ognuno degli
enunciati. I risultati hanno mostrato che il livello di probabilità
degli enunciati condizionali incide, almeno parzialmente, sulla
frequenza con cui si traggono inferenze. Per quel che concerne
l’influenza della negazione, invece, nessuno degli effetti che
sono stati evidenziati in letteratura (bias della conclusione
negativa, bias delle premesse affermative, effetto della
premessa minore negativa, preferenza per conclusioni altamente
probabili) è stato riscontrato in modo sistematico nel nostro
studio. Sono discusse le ripercussioni teoriche di questi risultati
e viene formulate un’ipotesi interpretativa.
Abstract
This paper tested the effect of the probability degree of
conditional sentences and of negated constituents on conditional
reasoning. The participants (n = 40) were presented with twelve
conditionals, whose degree of probability (High, Medium and
Low) and verbal form of constituents (from fully positive to
fully negative) had been systematically varied. They were asked
to choose the most appropriate conclusion to the four inferences
(Modus Ponens, Modus Tollens, Denial of the antecedent,
Affirmation of the consequent) deriving from each conditional.
Results showed that the degree of probability of conditionals
affects, at least partially, the frequency with which inferences
are drawn. Regard to the influence of negation, none of the
effects reported in the literature (negative conclusion bias,
affirmative premise bias, negative categorical premise bias,
high-probability conclusion effect) has been clearly found in
our study. Theoretical implications of these findings are
discussed and interpretative hypothesis is formulated.
Introduzione
Il significato e l’uso degli enunciati condizionali (se p,
allora q) sono al centro di un numero considerevole di
studi sia in ambito logico-filosofico che psicologico (cfr.
Edgington, 2003; Evans, 2002; Evans et al., 2005). In
ambito logico, la loro interpretazione in termini di
implicazione materiale (p
q) - ossia come enunciati
falsi solo quando p è vero e q è falso, e veri negli altri tre
casi derivanti dalla combinazione della verità/falsità
dell’antecedente e del conseguente - è conforme alla
logica verofunzionale ma è criticata dalle logiche non
vero-funzionali sulla base dei paradossi a cui dà luogo
l’accettazione della verità dell’enunciato quando
l’antecedente è falso (P1: dato non-p, ne consegue che
“se p, allora q”), o in virtù della semplice verità del
conseguente (P2: dato q, ne consegue che “se p, allora
q”). Ad esempio, un enunciato come “se Tizio è a Parigi,
allora Tizio è nella capitale dell’Olanda”, concepito in
termini di implicazione materiale, è vero se Tizio non è a
Parigi, in virtù di P1, e se Tizio è all’Aja, in virtù di P2.
Tra le concezioni non vero-funzionali dei condizionali,
quella supposizionale, avanzata per primo da Ramsey
(1931), trasforma la natura stessa di questi enunciati da
deduttiva a probabilistica. L’enunciato p
q
è
interpretato come P (q|p), ossia come la probabilità
condizionata di q dato p. Questo significa che il giudizio
sul valore di verità dell’enunciato p
q avviene
valutando dapprima la probabilità di p e giudicando poi,
su tale base, quanto è probabile che q si dia come
conseguenza di p o in connessione con p, ossia valutando
il grado di fiducia che q avvenga, dato p. La certezza
dell’argomentazione deduttiva viene qui rovesciata
nell’incertezza propria del ragionamento probabilistico.
In ambito psicologico, le due più influenti teorie del
ragionamento deduttivo, la teoria della logica mentale
(Braine e O’Brien, 1991) e quella dei modelli mentali
(Johnson-Laird, 1983; Johnson-Laird e Byrne, 2002), si
basano, rispettivamente, su una concezione sintattica e
una concezione semantica delle operazioni mentali
implicate nel ragionamento e formulano ipotesi
contrapposte circa la concezione dei condizionali.
Secondo la prima teoria, il significato di un enunciato
condizionale è dato esclusivamente dalle sue regole di
inferenza: nello specifico, dalla regola di eliminazione
del connettivo “ ” , o Modus Ponens (MP) e da quella
di introduzione del connettivo, o schema della prova
condizionale, entrambe mutuate dal calcolo della
deduzione naturale di Gentzen (1935). Detto altrimenti, il
significato di un enunciato del tipo “se p, allora q” viene
compreso nei termini seguenti, anzi non è altro che: “se si
danno “se p, allora q” e “ p”, deve necessariamente darsi
q”. D’altra parte, se, ogni volta che si suppone p insieme
ad un set di altre premesse, ne consegue q, si può asserire
“se p, allora q”. Poiché la teoria comporta, come regole
sintattiche naturalmente possedute per i condizionali, solo
il MP e lo schema della prova condizionale, essa non
prevede inferenze specifiche nel caso in cui si debba
stabilire il valore di verità di enunciati condizionali a
partire dalla negazione dell’antecedente e ipotizza che la
tavola di verità difettiva sia più adeguata di quella
1
verofunzionale per rendere conto delle condizioni di
verità del condizionale. Inoltre essa riconosce alla
concezione probabilistica del condizionale, propria della
teoria supposizionale, un’analogia con la regola naturale
dello schema della prova condizionale, anche se non
sviluppa ulteriormente tale similitudine e non ne analizza
il rapporto con la regola di eliminazione del condizionale,
o MP.
La teoria dei modelli mentali sostiene invece che il
ragionamento condizionale, così come l’insieme del
ragionamento umano, si basa su operazioni semantiche,
ossia sulla rappresentazione (o modelli mentali) del
significato delle premesse derivante dalla costruzione e
dalla manipolazione mentale di stati del mondo
strutturalmente analoghi a quelli descritti nelle premesse.
Gli stati del mondo compatibili con le premesse
diventano le conclusioni del ragionamento, che vengono
ritenute valide se non sono inficiate dalla costruzione
eventuale di controesempi, ossia di modelli alternativi
delle premesse. Malgrado la polemica antilogicista più
volte sostenuta dai fautori di tale approccio, la
rappresentazione esaustiva dei modelli mentali implicati
dall’enunciato condizionale nella sua forma “basic”
(ossia svincolata da implicazioni pragmatiche) porta alla
sua equiparazione con l’implicazione materiale prevista
dalla logica verofunzionale. La prestazione deduttiva
umana, tuttavia, sarebbe governata dal “principio di
verità”, che privilegia la rappresentazione delle
possibilità vere e lascia a livello implicito la
rappresentazione dei modelli con antecedente falso: ne
consegue che l’equiparazione fra enunciato condizionale
ed implicazione materiale tende a non essere esplicitata
nel ragionamento quotidiano e/o ad essere sostituita da
modelli costruiti ad hoc e derivanti dalla “modulazione
pragmatica” dei condizionali. In base allo stesso principio
di verità, è confutata la concezione probabilistica: la
possibilità che non si verifichi il conseguente, dato
l’antecedente, corrisponde non al livello di probabilità
attribuito al condizionale bensì alla condizione (o
controesempio) che lo falsifica.
L’idea che il ragionamento condizionale abbia una natura
fondamentalmente probabilistica è comunque sostenuta
in psicologia da un numero crescente di autori (cfr. Evans
et al. 2003, 2005; Liu, 2003; Liu et al.,1996; Oaksford e
Chater, 2003; Oaksford et al., 2000), i quali assumono
che i condizionali non abbiano una qualità estensionale
ma supposizionale, ossia che essi non rinviino
obbligatoriamente a un referente cui attribuire un valore
di verità, bensì che consentano di valutare il grado di
fiducia che si accorda al verificarsi di q, supponendo che
si verifichi p. In questo modo i condizionali non
presentano solo due valori di verità, Vero o Falso, ma
variano lungo un continuum di probabilità. Gli studi che
si muovono all’interno di questo paradigma hanno testato
il livello di probabilità soggettiva attribuito agli enunciati
condizionali facendone mutare il valore di probabilità
oggettiva (Evans et al., 2003), o hanno valutato il grado
di probabilità delle quattro inferenze condizionali in
funzione della plausibilità degli enunciati condizionali
(Liu et al.,1996; Oaksford et al., 2000). Nel complesso i
risultati hanno evidenziato che la frequenza delle
inferenze risente del livello di probabilità degli enunciati.
Ad esempio, Liu et al. (1996), lavorando con
condizionali tematici, hanno evidenziato che, per ognuna
delle quattro inferenze condizionali, ossia il Modus
Ponens (MP), il Modus Tollens (MT), la Negazione
dell’Antecedente (NA) e l’Affermazione del Conseguente
(AC), le risposte corrette1 aumentavano in funzione della
probabilità degli enunciati. Liu e coll. (Liu, 2003; Liu et
al., 1996) hanno inoltre individuato due componenti nel
ragionamento condizionale: una componente basata sulla
conoscenza veicolata dalla premessa maggiore del
sillogismo condizionale (es., se p allora q; dato p, quanto
è probabile q?) ed una basata solo sulle conoscenze
pregresse (es., dato p, quanto è probabile q?) in virtù
della quale viene valutata la probabilità della relazione
fra due eventi prescindendo dalla formulazione deduttiva
del sillogismo condizionale che, nella premessa
maggiore, illustra l’implicazione del conseguente da
parte dell’antecedente. La componente basata sulla
conoscenza sembra essere il fulcro della comprensione in
termini probabilistici dei condizionali tematici.
Un ambito di studio che si intreccia con la visione
probabilistica dei condizionali è quello degli effetti
esercitati dalla presenza di costituenti negativi
nell’enunciato condizionale. Essi sono stati osservati per
primo da Evans (Evans, 1972; Evans et al. 1995, 1999)
con l’introduzione del cosiddetto paradigma negativo
(generato dalle 4 combinazioni della forma verbale
affermativa e negativa con l’antecedente e il conseguente
dell’enunciato) e sono stati interpretati alla luce di varie
prospettive teoriche. Dal punto di vista descrittivo
possono essere ricondotti a tre grandi categorie, che però
presentano aspetti in parte sovrapponibili e in parte
contraddittori: 1) la preferenza per le conclusioni
negative, che, secondo Evans e Handley (1999), si
riscontra sul Modus Tollens (MT) e sulla Negazione
dell’Antecedente (NA) ed è ascrivibile alla difficoltà di
processamento della doppia negazione, mentre secondo
altri autori (Schroyens et al., 2001; Schroyens e Shaeken,
2003) si riscontra anche sull’Affermazione del
Conseguente (AC) dove pure è attribuibile alla difficoltà
della doppia negazione della proposizione inferenziale
(ossia quella in relazione a cui si deve trarre una
conclusione) che in questo caso è richiesta dalla ricerca di
controesempi nel processo di validazione delle
conclusioni inizialmente tratte2; 2) la preferenza per le
premesse affermative, che, secondo Evans (1993), è un
bias derivante dalla teoria dei modelli mentali e che
dovrebbe portare a trarre maggiori conclusioni di tipo
MT e NA quando le premesse minori di queste inferenze
1
Dal punto di vista logico le inferenze condizionali valide sono
il MP (se p allora q; p; ergo: q) e il MT (se p allora q; non-q;
ergo: non-p), mentre NA (se p allora q; non-p; ergo: non-q) e
AC (se p allora q; q; ergo: p) sono inferenze invalide, o fallacie.
La risposta corretta a NA e AC è che nessuna conclusione segue
dalle premesse.
2
Schroyens et al., 2001 denominano questa classe di effetti
come “inferential negation effects”, ossia effetti dovuti alla
presenza di una negazione nella proposizione inferenziale: essi
comportano una diminuzione di MT e un aumento di AC
quando l’antecedente è negativo e una diminuzione di NA
quando il conseguente è negativo.
2
sono affermative piuttosto che negative ma il cui
riscontro empirico è controverso (Evans et al. 1995,
Schroyens et al., 2001; Schroyens e Shaeken, 2003) e che
è stato reinterpretato da Evans e Handley (1999) come
effetto di soppressione delle inferenze basate su premesse
negative implicite; 3) l’effetto della premessa minore
negativa (referred-negation effects), che è stato
riscontrato solo sulle due fallacie logiche e comporta
meno inferenze AC e più inferenze NA, e che Schroyens
et al. (2001) collegano alle caratteristiche probabilistiche
del processo di ricerca di controesempi, facilitato dalla
maggiore ampiezza della frase negativa rispetto a quella
affermativa.
Oaksford et al. (2000), sulla base della concezione della
negazione come identificazione di classi di contrasto –
per cui la classe di riferimento dell’elemento negato (ad
es. non-A) è in principio più ampia di quello affermato
(ad es. A), visto che la prima comprende tutto ciò che è
non-A (ossia B, C, D ecc.) mentre la seconda comprende
solo A – reinterpretano i bias derivanti dai costituenti
negativi come un effetto razionale dovuto alla preferenza
per scelte riferite a conclusioni con alta probabilità (ossia
quelle espresse in forma negativa) piuttosto che a
conclusioni con bassa probabilità (ossia quelle espresse in
forma affermativa). Va osservato che la maggior parte
degli studi che hanno adottato il paradigma della
negazione ha usato materiale astratto, dal momento che lo
stesso Evans (2002) ricollega gli effetti da esso prodotti
alla
componente
euristica
del
ragionamento,
evidenziantesi maggiormente in assenza della
facilitazione semantica fornita dal materiale tematico.
Tuttavia, l’interpretazione unitaria di tali effetti avanzata
da Oaksford et al. (2000) li svincola dalla componente
euristica per inscriverli nella lettura del ragionamento
condizionale come ragionamento probabilistico e quindi
predice la preferenza per le conclusioni più probabili con
tutti i tipi di materiale. Sebbene gli autori abbiano testato
la loro ipotesi con materiale tematico, hanno però
utilizzato solo enunciati affermativi, costruiti in modo da
variare sistematicamente la probabilità di antecedente e
conseguente.
A nostra conoscenza mancano studi che abbiano trattato
congiuntamente l’effetto del livello di probabilità e dei
costituenti negativi degli enunciati condizionali con
materiale concreto. Il nostro studio si propone di
esaminare questi duplici effetti.
Esperimento
Il primo obiettivo di questo esperimento è di testare se gli
enunciati condizionali sono compresi in modo
probabilistico, ossia in funzione del grado in cui
l’antecedente è ritenuto essere condizione sufficiente del
conseguente (Evans et al. 2003, 2005; Liu et al. 1996;
Oaksford et al., 2000), o se sono compresi in modo
verofunzionale, secondo quanto implicato dalle teorie
della logica mentale e dei modelli mentali. L’inferenza
discriminante per mettere a confronto le due previsioni è
costituita dal MP che, secondo la logica mentale, è uno
schema deduttivo naturalmente posseduto dalla mente
umana e quindi dovrebbe essere tratto automaticamente
in presenza di un condizionale, a meno che non sia
ritenuto falso, e che, secondo la teoria dei modelli
mentali,
è la conclusione a cui dà luogo la
rappresentazione iniziale del condizionale e che invece,
secondo la concezione supposizionale, dovrebbe essere
tratto solo quando le probabilità che il conseguente
derivi dall’antecedente sono reputate molto elevate,
mentre, in caso contrario, dovrebbe essere sostituito dal
riconoscimento dell’impossibilità di trarre una
conclusione certa.
Ne consegue che, in presenza di enunciati con livelli
differenziati di probabilità, se i soggetti hanno una
concezione implicita dei condizionali di tipo
supposizionale, la frequenza del MP dovrebbe variare in
funzione della probabilità degli enunciati. Se, invece,
conformemente a quanto previsto dalla teoria della logica
mentale (TLM), l’inferenza MP è uno schema sintattico
“naturale” che traduce il significato del condizionale, la
sua frequenza dovrebbe restare tendenzialmente stabile,
così come dovrebbe restare stabile se la rappresentazione
del condizionale comporta un modello iniziale in cui il
conseguente coesiste con l’antecedente, secondo quanto
sostenuto dalla teoria dei modelli mentali (TMM). La
frequenza del MP, tuttavia, non dovrebbe essere
influenzata dalla forma verbale in cui sono costruiti gli
enunciati in virtù del suo carattere di inferenza
“semplice”, che richiede un solo passaggio diretto fra
antecedente e conseguente.
Per quel che riguarda le altre inferenze traibili dal
sillogismo condizionale (MT, NA, AC), la TLM e la
TMM ritengono che la loro frequenza sia influenzata
rispettivamente dalle operazioni sintattiche e semantiche
implicate nel ragionamento condizionale, su cui incide a
sua volta la comprensione pragmatica delle premesse, per
cui, secondo il primo approccio, il MT dovrebbe avere
una frequenza maggiore di AC ed NA, mentre, secondo il
secondo, AC dovrebbe essere tratta più spesso di MT e
NA. Gli studi fondati sulla visione probabilistica dei
condizionali hanno riscontrato che MT aumenta e NA e
AC diminuiscono in funzione della probabilità
dell’enunciato (Liu et al., 1996) o che ognuna di queste
inferenze aumenta in funzione della probabilità della
conclusione dell’argomento condizionale. Queste
previsioni riguardano solo i sillogismi con enunciati
affermativi.
Il secondo obiettivo dello studio è di valutare se gli effetti
esercitati dai costituenti negativi degli enunciati sulle
inferenze condizionali, e che almeno in parte sono
riconducibili a fattori di tipo sintattico, come il
processamento della doppia negazione, si riscontrano
anche su condizionali altamente semantici come quelli
usati in questo studio e che sono tali non solo per il loro
contenuto concreto ma anche per il loro differente grado
di probabilità, basato sulla variazione della plausibilità
con cui nella realtà il conseguente implica l’antecedente.
In particolare ci proponiamo di mettere alla prova,
usando il paradigma negativo ed enunciati con contenuto
concreto, l’ipotesi di Oaksford et al. (2000) secondo cui
gli effetti della forma negativa sul ragionamento
condizionale possono essere interpretati come
l’espressione di una preferenza razionale per le
conclusioni più probabili, ossia quelle espresse con
proposizioni negative piuttosto che affermative, in virtù
3
della maggiore estensione delle prime rispetto alle
seconde.
Metodo
Disegno. L’esperimento è stato strutturato secondo un
disegno within 3x4x4 (livello di probabilità dei
condizionali x forme verbali x tipo di inferenza). Il livello
di probabilità degli enunciati condizionali è stato
suddiviso in: alto (PA), medio (PM), basso (PB). Le
forme verbali sono le quattro derivanti dalla
combinazione della forma affermativa o negativa
dell’antecedente e del conseguente: antecedente e
conseguente affermativi (f AA); antecedente affermativo
e conseguente negativo (f AN); antecedente negativo e
conseguente affermativo (f NA); antecedente e
conseguente negativi (f NN). Per ogni enunciato è stato
chiesto di valutare le quattro inferenze condizionali:
Modus Ponens (MP); Modus Tollens (MT); Negazione
dell’antecedente (NA); Affermazione del conseguente
(AC).
Partecipanti. Hanno volontariamente partecipato allo
studio 40 studenti di Psicologia della Seconda Università
di Napoli (età media = 21,8; d. s. = 3,1), senza alcuna
nozione di logica né di psicologia del ragionamento.
Materiali e procedura. La scelta degli enunciati da
utilizzare per l’esperimento è stata effettuata mediante
uno studio preliminare a cui hanno partecipato 80
studenti universitari, non iscritti a Psicologia, in veste di
giudici. Essi sono stati casualmente suddivisi in due
gruppi, ognuno dei quali ha giudicato, su scale a 7 punti,
il livello di probabilità di 20 enunciati condizionali, ossia
quanto si ritenesse probabile che il verificarsi della prima
parte dell’enunciato implicasse il verificarsi della
seconda. In totale sono stati valutati 40 enunciati, 10 per
ogni forma verbale.
Essi avevano tutti contenuto concreto e carattere
descrittivo: la relazione fra antecedente e conseguente era
in alcuni casi di tipo definitorio, in altri di tipo
attributivo, in altri ancora di tipo contingente
(nell’accezione di Cheng e Holyoak, 1985); in nessun
caso era di tipo causale o deontico al fine di evitare la
mobilitazione di schemi pragmatici di ragionamento che
avrebbero potuto interferire con gli effetti delle due
variabili oggetto di studio, ossia il livello di probabilità
degli enunciati e la loro forma verbale.
Gli enunciati scelti per i tre livelli di probabilità hanno
ricevuto una media complessiva di 6.5 per PA, 3.9 per
PM e 1.8 per PB (d. s = .69, .56 e .48, rispettivamente). In
totale sono stati selezionati 12 enunciati, uno per ogni
forma verbale e per ogni livello di probabilità.
Ad esempio, come enunciato con alto livello di
probabilità e con f NN (antecedente e conseguente
negativi) è stato ritenuto “ Se una figura geometrica non
ha quattro lati allora non è un quadrato”; come enunciato
con medio livello di probabilità e con f AA (antecedente
e conseguente affermativi) è stato selezionato: “Se una
persona indossa una camicia blu, allora mette una
cravatta marrone”; come enunciato con basso libello di
probabilità e con f NA (antecedente negativo e
conseguente affermativo) è stato scelto: “Se una persona
non mangia il pane, allora è vegetariana”.
Nell’esperimento è stato chiesto di considerare ognuno
dei 12 enunciati (ma senza specificare di darlo per vero) e
di esaminare, alla luce dell’enunciato iniziale, ciascuna
delle 4 premesse minori del sillogismo condizionale,
generate dall’affermazione/negazione di antecedente e
conseguente, scegliendo come conclusione una delle
quattro proposte (affermazione o negazione della
proposizione inferenziale, ossia della parte dell’enunciato
non fungente da premessa minore e rispetto alla quale
deve essere tratta la conclusione; “nessuna conclusione è
certa”; “non so”).
Ad esempio, le conclusioni proposte per il sillogismo
condizionale formato dalle premesse: “Se una persona
indossa una camicia blu, allora mette una cravatta
marrone” e “Supponiamo che una persona non indossi
una camicia blu” sono state: 1) mette una cravatta
marrone; 2) non mette una cravatta marrone; 3) nessuna
conclusione è certa; 4) non so.
L’ordine di presentazione degli enunciati, delle quattro
inferenze e delle quattro risposte è stato randomizzato e
bilanciato attraverso i soggetti.
Risultati
I dati relativi alla percentuale di inferenze tratte3 (riportati
in tabella 1) sono stati sottoposti ad un’ANOVA a misure
ripetute 3x4x4 (probabilità x forma verbale x inferenza). I
risultati hanno mostrato 3 effetti principali, dovuti
all’inferenza (F 3, 117 = 98,32; p <.001), alla probabilità (F
2, 78 = 4,86; p <.01) e alla forma verbale (F 3, 117 = 3,61;
p<.05), e 3 effetti di interazione: probabilità x inferenza
(F 6,234 = 34,25; p <.001), forma verbale x inferenza (F
9,351 = 7,57; p <.001), probabilità x forma verbale x
inferenza (F 18,702 = 4,76; p <.001). I test post hoc LSD
hanno rivelato che il MP è l’inferenza più frequente,
seguita dal MT e, infine, da NA e AC. In PA e PM si
traggono più inferenze che in PB; in f NA e f NN si
traggono più inferenze che in f AA e f AN.
Per esplorare le interazioni, sono state condotte, sulle
singole inferenze, quattro ulteriori ANOVA a misure
ripetute 3x4 (probabilità x inferenza), utilizzando il test
LSD per i confronti post hoc. Per il MP, l’analisi ha
evidenziato un solo effetto principale dovuto alla
probabilità (F 2, 78 = 10,94; p <.001): questa inferenza è
tratta più frequentemente in PA e PM che in PB. Nessun
influenza è ascrivibile alla forma verbale. Per il MT sono
stati riscontrati due effetti principali, dovuti
3
Nel presente lavoro sono state conteggiate le conclusioni che
sono state tratte per ognuna delle 4 inferenze condizionali,
indipendentemente dalla loro correttezza dal punto di vista
logico: di conseguenza per le inferenze NA e AC le risposte
conteggiate corrispondono alla commissione delle fallacie e non
alla risposta logicamente corretta, ossia all’impossibilità di
trarre conclusioni dalle premesse.
È opportuno specificare che non sono mai state fornite né la
risposta “non so”, né risposte illogiche, come inferire una
conclusione negativa da premesse affermative (es. se p allora q;
q; ergo: non-p), per cui le conclusioni scelte si sono suddivise
in due categorie: derivazione della inferenza (MP, NA, AC,
MT) oppure “nessuna conclusione è certa”.
4
rispettivamente alla forma verbale (F 3, 117 = 3,47; p <.05)
e alla probabilità (F 2, 78 = 44,01; p <.001), e un effetto di
interazione tra forma verbale probabilità (F 6,234 = 5,76; p
<.001). Il MT aumenta in funzione del livello di
probabilità degli enunciati, e in f NA e f NN è meno
frequente che in f AN, mentre la f AA non differisce
dalle altre tre. L’analisi degli effetti semplici, effettuata
per i tre livelli di probabilità degli enunciati (p =.05), ha
mostrato che in PA, la forma NA è quella in cui il MT è
tratto di meno, mentre in PB la forma verbale in cui il
MT è tratto più raramente è f NN; in PM non c’è
differenza fra le forme verbali. Sull’AC incide solo il
livello di probabilità degli enunciati (F 2, 78 = 21,86; p
<.001): tale fallacia è tratta più spesso in PM e PB che in
PA. La NA è influenzata dalla forma verbale (F 3, 117 =
15,02; p <.001) che, a sua volta, interagisce con il livello
di probabilità degli enunciati (F 6,234 = 5,18; p <.001).
Tale inferenza ricorre complessivamente più spesso in f
NA e f NN rispetto a f AA e f AN ma, come ha mostrato
il calcolo degli effetti semplici condotto sui livelli di
probabilità degli enunciati (p =.05), in PA essa è più
elevata in f NA, seguita da f NN e, poi, dalle altre due
forme verbali; in PM è più elevata nella F NN che nelle
altre tre; in PB la f NN è più elevata di f AA e f AN,
mentre la f NA è in posizione intermedia.
Tabella 1: Percentuale di conclusioni tratte per tipo di inferenza, forma verbale e livello di probabilità degli enunciati
Forma verbale x livello di probabilità degli enunciati
Inferenza
MP
NA
AC
MT
PA
.95
.08
.05
.83
Se p allora q
(f AA)
PM
PB
.82
.72
.22
.23
.30
.30
.55
.32
PA
.97
.08
.10
.92
Se p allora non-q
(f AN)
PM
PB
.90
.68
.25
.20
.48
.25
.50
.43
PA
.93
.65
.10
.50
Se non-p allora q
(f NA)
PM
PB
.90
.85
.30
.40
.43
.50
.48
.45
Se non-p allora non-q
(f NN)
PA
PM
PB
.92
.90
.70
.25
.60
.50
.23
.45
.35
.82
.43
.13
MP: Modus Ponens; NA: Negazione dell’Antecedente; AC: Affermazione del Conseguente; MT: Modus Tollens.
PA: Probabilità Alta; PM: Probabilità Media; PB: Probabilità Bassa.
Discussione dei risultati e conclusioni
I risultati mostrano che il livello di probabilità degli
enunciati condizionali incide sulla frequenza con cui si
traggono inferenze, il che implica che l’enunciato “se p
allora q”, in qualunque forma verbale sia presentato,
viene almeno in parte compreso in termini di probabilità
condizionata di q dato p. Considerando il contenuto
concreto dei nostri enunciati, è possibile ipotizzare che la
probabilità condizionata sia stata valutata sulla base delle
conoscenze pregresse che hanno portato a ritenere più o
meno verosimile la relazione proposta tra antecedente e
conseguente, in funzione della disponibilità o meno di
elementi a sostegno della relazione e di condizioni
disabilitanti o controesempi in grado di invalidarla.
Abbiamo
tuttavia
specificato
che
l’enunciato
condizionale è parzialmente compreso in termini
probabilistici perché l’elevata frequenza con cui è stata
tratta l’inferenza MP indica che nei soggetti è altresì
presente una considerevole tendenza a dare per vero tale
enunciato, indipendentemente dalle proprie credenze in
merito alla connessione tra gli eventi, e a trarre il MP a
partire da questo presupposto. Il fatto che il MP relativo
agli enunciati mediamente probabili, in cui sono stati
accostati due eventi in modo sostanzialmente arbitrario
(ad es. “se una persona indossa una camicia blu allora
mette una cravatta marrone”), sia stato tratto in
un’altissima percentuale di casi - pari a quella relativa
agli enunciati altamente probabili, in cui l’antecedente
implicava per definizione il conseguente (es. “se un cane
è un bassotto, allora non è alto”) - costituisce una prova a
sostegno della considerazione da noi avanzata: in
presenza di due eventi legati da un nesso arbitrario, in cui
il conseguente ha un’analoga probabilità di essere
accettato o rifiutato in base all’antecedente (vedi i
risultati dello studio preliminare di selezione), il
connettivo condizionale sembra essere stato compreso in
modo da obbligare a dare per vera tale relazione. È solo
quando il conseguente è stato costruito in modo da
apparire a livello esperienziale scarsamente o per nulla
connesso all’antecedente (vedi i risultati dello studio
preliminare di selezione), che la percentuale del MP
diminuisce sensibilmente. Va comunque rilevato che
questa inferenza è tratta sempre più spesso delle altre tre,
in conformità con le previsioni della TLM e della TMM e
con i risultati degli stessi studi condotti secondo
l’approccio probabilistico (es. Liu et al., 1996; Oaksford
et al., 2000). Per quel che riguarda l’andamento del MT,
che diminuisce in funzione della diminuzione di
probabilità degli enunciati, e dell’AC, che è più elevata in
media e bassa probabilità rispetto alla alta probabilità, i
risultati sono simili a quelli ottenuti da Liu et al. (1996),
mentre se ne differenziano per quel che concerne la NA
che nel loro studio aumentava in media e bassa
probabilità, mentre nel nostro varia in funzione della
probabilità solo in interazione con la forma verbale4.
4
Ricordiamo che nello studio di Liu et al. (1996, esper. 1) le
risposte corrette aumentavano in funzione della probabilità
degli enunciati, quindi le fallacie erano tratte di meno con
enunciati molto probabili.
5
Per quel che attiene agli effetti della negazione, nessuno
dei bias che sono stati evidenziati in letteratura è stato da
noi riscontrato in maniera sistematica. Non abbiamo
rilevato in modo uniforme né il bias della conclusione
negativa, ossia la tendenza a trarre più inferenze MT e
NA (Evans et al., 1995), nonché più inferenze AC
(Schroyens et al., 2000), quando la conclusione è
negativa rispetto a quando è affermativa, né quello delle
premesse affermative, ossia la tendenza a trarre più
inferenze quando la premessa minore è affermativa
piuttosto che quando è negativa (Evans, 1993). Né
abbiamo riscontrato l’effetto della premessa minore
negativa (referred-negation effects), comportante meno
inferenze AC e più inferenze NA (Schroyens et al.,
2001), e che ha una natura squisitamente semantica
perché spiegabile in base alla ricerca di controesempi;
anzi, la frequenza delle inferenze NA va in direzione
opposta a quella prevista da tale classe di effetti. Infine,
in riferimento all’ipotesi espressamente testata in questo
esperimento, i nostri risultati non consentono di
corroborare la lettura unitaria che degli effetti delle
componenti negative sul ragionamento condizionale
hanno operato Oaksford et al. (2000), attribuendoli alla
preferenza per le conclusioni altamente probabili (ossia
quelle espresse in forma negativa) rispetto a quelle meno
probabili (espresse in forma negativa).
Nel nostro studio gli effetti dei costituenti negativi si
sono riscontrati solo sulle inferenze che comportano una
premessa minore negativa, ossia MT e NA, mentre MP e
AC non variano rispetto alla forma verbale e questo può
far supporre che si sia creato un effetto di tipo sintattico
fra la forma verbale dell’enunciato e le premesse
categoriali che richiedono una negazione semplice o una
doppia negazione dell’antecedente (NA) o del
conseguente (MT). Tuttavia, l’assenza di una direzione
univoca nella frequenza di tali inferenze impedisce di
individuare un effetto chiaramente delineato, ascrivibile
in toto alla forma verbale. Tra l’altro l’interazione
creatasi tra forma verbale e probabilità degli enunciati
porta piuttosto a ritenere che il materiale concreto
utilizzato nello studio abbia avuto un peso determinante
nella produzione delle inferenze condizionali. Con questo
tipo di materiale, che rinvia alle conoscenze pregresse dei
soggetti, si è creata un’interazione differenziata fra i
costituenti negativi dell’enunciato condizionale, le
premesse minori strutturalmente negative (NA e MT), i
livelli di probabilità del condizionale. A nostro avviso
l’ipotesi più economica per spiegare tali risultati, e che
necessita di ulteriori studi per essere corroborata, è che
gli argomenti condizionali, derivanti dalla combinazione
delle tre componenti summenzionate, siano stati valutati
non tanto in funzione della premessa maggiore quanto in
funzione del nesso percepito fra la premessa minore e la
proposizione inferenziale, ossia in funzione di quella che
Liu et al. (1996) definiscono componente del
ragionamento basata sulla conoscenza, in opposizione
alla componente basata sulla premessa condizionale.
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