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La Cannabis nello Sport

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La Cannabis nello Sport
Dott. Gustavo Savino, Medico specialista in
Farmacologia Clinica – Centro Regionale
Anti-Doping Emilia Romagna. Servizio di
Medicina dello Sport AUSL di Modena
La Cannabis nello Sport
- Storia di un divieto
Nel 1989 il Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.) decise di inserire i derivati
della cannabis nella lista delle sostanze vietate. Tale operazione per la prima volta istituì il
divieto di assunzione di cannabinoidi per gli atleti nelle competizioni agonistiche
destinando tali molecole alla sezione della lista ufficiale denominata “sostanze vietate in
particolari circostanze, o sottoposte a particolari restrizioni”. Questa sezione conteneva
all’epoca le sostanze vietate in particolari sport e/o soggette a restrizione oltre un
determinato cut-off di rilevamento nelle urine dell’atleta, il paragrafo relativo ai
cannabinoidi, infatti, recitava: “E’ prevista la ricerca dei cannabinoidi. La concentrazione
nelle urine di acido carbossilico 11-nor-delta-9-tetraidrocannabinolo (carbossi-THC), in
misura maggiore di 15 nanogrammi per millilitro, costituisce un'infrazione”.
La dicitura “è prevista la ricerca di cannabinoidi” permetteva però la non
obbligatorietà di determinarne il relativo dosaggio in ogni disciplina sportiva, pertanto la
ricerca di cannabinoidi, per molto tempo, è stata effettuata piuttosto di rado in occasione
dei controlli anti-doping. Nel corso degli anni, la sempre più frequente evidenza di utilizzo
di cannabis da parte di atleti professionisti, dichiarato o rilevato in circostanze ufficiali od
occasionali, ha suscitato numerose discussioni favorendo l’inserimento dei cannabinoidi in
una nuova sezione della lista delle sostanze dopanti. Nel 2005, infatti, la World Anti-doping
Agency (W.A.D.A.), che alla fine degli anni ‘90 ha affiancato il C.I.O. nella produzione e
nell’aggiornamento della regolamentazione internazionale in merito alla lotta al doping, ha
introdotto opportune modifiche alla lista delle sostanze vietate suddividendola in tre
sezioni: quella delle sostanze vietate sia in competizione che fuori competizione, quella
delle sostanze vietate solo in competizione e quella delle sostanze vietate in particolari
sport. Attualmente i cannabinoidi rientrano a pieno titolo nella sezione delle sostanze
vietate in competizione, insieme alla categoria degli stimolanti, dei narcotici e dei
glucocorticosteroidi. La dicitura esplicativa che ammonisce l’atleta in merito all’uso di
derivati della cannabis recita in modo estremamente conciso e categorico: “I cannabinoidi
(es. hashish, marijuana) sono proibiti”.
La regolamentazione si è dunque inasprita nei confronti dell’atleta utilizzatore di
cannabis in quanto non si fa più riferimento né ad un cut-off di rilevamento né all’ipotetica
occasionaliltà del dosaggio in circostanza di controllo anti-doping. I cannabinoidi sono
perciò attualmente proibiti nelle competizioni agonistiche sempre ed in tutte le discipline
sportive.
- Teorie, dati e pareri
La decisione di vietare i cannabinoidi in modo più incisivo e la loro relativa
inclusione nella nuova versione della lista delle sostanze ritenute dopanti per gli atleti ha
continuato negli anni a suscitare spunti di polemica. Fondamentalmente esistono due
correnti di pensiero contrastanti, una sostiene che la positività per cannabinoidi rilevata per
alcuni atleti non debba essere ricondotta ad un uso di cannabis a scopo dopante bensì a
situazioni puramente “ricreazionali” e, poiché la permanenza dei metaboliti del THC nelle
urine del fumatore abituale di cannabis può protrarsi per settimane, non ha senso
sanzionare per doping l’atleta che ne ha fumata, ad esempio, 10 giorni prima della gara;
un’altra teoria sostiene invece che, sebbene una percentuale di atleti utilizzi cannabis a
scopo esclusivamente “ricreazionale” non per questo tale pratica, peraltro vietata dalla
legge in molti Paesi, debba essere considerata con superficialità e permissivismo. Inoltre,
per il principio della tutela della salute dell’atleta e della diffusione della cultura dello sport
pulito, il divieto dell’uso di cannabinoidi deve essere pienamente condiviso e sostenuto
nella società e soprattutto nello sport.
Un dato interessante è citato nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (P.
Zuccaro et. Al. 2006), il dato riguarda i risultati sul totale dei controlli effettuati sul territorio
italiano nelle competizioni ufficiali. I cannabinoidi in questo documento occupano il primo
posto nella statistica della distribuzione delle positività rilevate per classi di sostanze con
un valore del 32,5%, seguiti dagli stimolanti (20%, di cui la metà è attribuita alla cocaina).
Ciò fa riflettere, in quanto tale distribuzione potrebbe considerarsi sovrapponibile alle
statistiche di utilizzo valutate e ipotizzate nella popolazione generale (World Drug Report
2006, office on drugs and crime – United Nations) ovviamente con percentuali differenti
vista la relativa differenza di ampiezza del campione. A questo punto è giusto soffermarsi
su una riflessione: il fatto di appartenere alla categoria degli atleti può costituire un fattore
di particolare predisposizione a favore della scelta della cannabis per la ricerca di un
miglioramento della performance, oppure l’elevata percentuale di positività rilevata altro
non è che la trasposizione di un dato di utilizzo sociale della sostanza che si manifesta
nella categoria degli atleti come accadrebbe nell’analisi dell’uso di sostanze in qualsiasi
altra categoria ?
- Sport e uso di cannabis, rischi ed effetti
Nell’ultimo decennio una importante questione è stata ed è tuttora motivo di
interesse scientifico: sebbene sia noto che lo sport a qualsiasi livello costituisca un
fondamentale strumento di prevenzione e di mantenimento della migliore condizione di
benessere, alcuni ricercatori ritengono che per una percentuale di soggetti, agonisti e non,
lo sport potrebbe rappresentare addirittura un fattore di rischio per l’utilizzo di sostanze
(dopanti e/o stupefacenti). Alcuni Autori, infatti, sostengono che l’inclinazione all’uso di
determinate “droghe” possa slatentizzarsi in soggetti predisposti nel momento in cui essi
cominciano a dedicarsi ad una determinata pratica sportiva. (Gonzalez J et al. 1994;
Kokotailo P. K. Et al. 1996; Spence J. C. & Gauvin, L. 1996; Peretti-Watel P et al. 2003;
Wechsler H. et al 1997) Altri Autori invece sostengono che la pratica sportiva rappresenti
un fattore protettivo in grado di tutelare l’atleta nei confronti dell’uso di sostanze in quanto
la consapevolezza del mantenimento di una condizione di benessere per una corretta
pratica sportiva e, viceversa, della pratica sportiva al fine di tutelare la salute è fortemente
in contrasto con l’utilizzo di sostanze considerato da chi si avvicina allo sport come una
compromissione delle funzioni dell’organismo (Forman E et al. 1995; Naylor A et al. 2001;
Pate R et al. 2000).
A questo punto sarebbe importante cercare di comprendere perché alcuni atleti
(apparentemente, al momento, la maggior parte di coloro che sono risultati positivi in Italia
al controllo anti-doping) possano desiderare di ricorrere all’uso di cannabis per sperare in
una prestazione migliore. Probablilmente perché l’uso di cannabis determina nella maggior
parte dei soggetti un effetto prevalentemente ansiolitico, dunque, poter ridurre l’ansia per
l’imminente impegno agonistico, grazie all’effetto dei cannabinoidi, predisporrebbe l’atleta
ad una migliore condizione psicologica, non atletica, nei confronti della competizione.
Ciò non è però sempre vero, l’effetto del delta-9-THC, già ampiamente descritto in
altre sezioni della presente pubblicazione, si manifesta soprattutto a livello del Sistema
Nervoso Centrale (SNC) ma questo effetto, per intensità e caratteristiche, varia in
relazione a molti parametri: via di somministrazione, ambiente e circostanze (setting),
quantità di principio attivo assunta, esperienza, predisposizione e relativa sensibilità del
soggetto agli effetti psicoattivi delle sostanze, condizioni psicologiche ed umore
dell’utilizzatore al momento dell’assunzione (Goodman & Gilman, 2006). Inoltre, da molti
utilizzatori “l’effetto della cannabis” non è descritto come esclusivamente rilassante, bensì
come euforizzante ed esilarante, in grado di fornire una sensazione di maggiore
predisposizione alla socializzazione, ed associato ad un’alterazione dei processi di
apprendimento, dell’attenzione e della capacità di concentrazione. C’è poi da aggiungere
che, parallelamente agli effetti tipici dei cannabinoidi, possono manifestarsi le tutt’altro che
infrequenti reazioni indesiderate quali: ansia, allucinazioni fino alla psicosi ed alla
comparsa di sindromi simil-schizofreniche. In particolare, nel corso della pratica sportiva,
l’effetto dei cannabinoidi si esplica in senso piuttosto negativo ai fini del corretto
espletamento della performance atletica, ciò perché quest’ultima può essere notevolmente
compromessa da un caratteristico corredo sintomatologico: allungamento del tempo di
reazione agli stimoli, ridotta coordinazione motoria, alterazione della soggettiva percezione
dei rapporti spaziali e temporali, notevole aumento della sensazione di fame (Goodman &
Gilman, 2006), comparsa del fenomeno o effetto “trailing” (difficoltà nel seguire un oggetto
in movimento rapido caratterizzata dalla sensazione di vedere una post-immagine ripetuta
dell’oggetto stesso lungo la linea del suo percorso, fenomeno già descritto come effetto
caratteristico tipico dell’uso di allucinogeni
(Asher H, 1971),
e relativa incapacità di
seguire l’azione di gioco soprattutto nei contesti di squadra. Inoltre, l’assunzione di derivati
della cannabis può influenzare la funzione cardiovascolare in relazione alla dose; basse
dosi di cannabinoidi inducono infatti un’aumento della frequenza cardiaca ed un relativo
aumento della pressione arteriosa, ad alte dosi, invece, i cannabinoidi inducono una
marcata riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa (Johnson S,
Domino EF. 1971). L’assunzione di cannabis può peraltro complicare una condizione di
ischemia latente o asintomatica a livello miocardico per effetto diretto dei cannabinoidi sui
relativi specifici recettori presenti anche a livello endoteliale coronarico (Lindsay A.C., et
al., 2005).
Si comprende come, nell’espletamento della prestazione sportiva, un’eventuale
compromissione anche minima della funzione cardiovascolare sotto sforzo possa
determinare spiacevoli conseguenze per l’atleta.
- Conclusioni
E’ dunque probabile che il desiderio del ricorso all’uso di cannabis da parte dell’atleta
possa derivare dalla relativa esperienza di utilizzo in circostanze differenti dallo sport.
Cioè, chi ha già sperimentato l’utilizzo di cannabis a scopo ansiolitico (Buckner J.D. et al,
2006) per sostenere un generico fronteggiamento dello stress relativo a situazioni non
inerenti alla competizione sportiva, è più facile che estenda tale utilizzo anche a scopo
dopante. Chi, invece, fa della cannabis un impiego finalizzato prevalentemente alla ricerca
dell’effetto esilarante/euforizzante è più difficile che ne sperimenti anche l’utilizzo nella
pratica sportiva (Fabrice O.L. et al, 2005).
L’uso di cannabis nello sport è quindi, verosimilmente, praticato prevalentemente dagli
utilizzatori abituali di tale sostanza, con esperienza in tal senso a favore di un particolare
effetto della stessa o da parte di soggetti già fumatori di tabacco predisposti o abituati
anch’essi ad un ricorso occasionale ai cannabinoidi. L’ipotesi che la pratica sportiva possa
facilitare l’utilizzo di cannabinoidi anche per il soggetto non fumatore non sembra trovare
riscontro.
In conclusione, nel considerare comunque come valido ed utile deterrente il mantenimento
dei cannabinoidi nella lista delle sostanze vietate in competizione agli atleti, potrebbe
essere opportuno strutturare opportune strategie di prevenzione ed interventi mirati a
contenere l’ulteriore diffusione della pratica dell’uso di cannabis nello sport informando
correttamente gli utilizzatori di cannabis sulla non innocuità di tale pratica, erroneamente e
comunemente considerata poco o per nulla dannosa, sottolineando soprattutto l’incidenza
dei possibili effetti negativi per la performance cui l’atleta può incorrere nel corso della
pratica sportiva.
Inoltre, sarebbe opportuno indagare sulla veridicità dell’asserzione di chi interpreta
l’elevata positività ai metaboliti della cannabis, rilevata dall’analisi statistica sui dati dei
controlli anti-doping del 2006, come condizione da attribuire ad un uso praticato dagli atleti
per motivi differenti dall’intenzione dopante e, unitamente a tale valutazione, considerare
anche l’eventuale sussistenza di condizioni in cui il soggetto utilizzatore di cannabis a
scopo “ricreazionale” ne abbia sperimentato o ne voglia sperimentare anche l’impiego con
l’intento di favorire un perfezionamento della performance, al fine di comprenderne le
effettive motivazioni.
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