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Metodo Carminati: pestato il finanziere che osava indagare

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Metodo Carminati: pestato il finanziere che osava indagare
New York Times, Le Monde e Die Welt: non c’è angolo della politica italiana
che non sia inquinato dalla mafia. Finalmente torniamo in prima pagina
Sabato 13 dicembre 2014 – Anno 6 – n° 343
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
ESPLODE LA SINISTRA
Sciopero, la solita guerra dei dati: per Cgil e Uil è riuscito al 60%, Confindustria
minimizza. Renzi dice “vi rispetto”, ma va avanti sulla sua strada . Nel Pd, però,
lo scontro sembra insanabile. E perfino D’Alema si becca del ‘venduto’ nella sua Bari
Cannavò e Zanca » pag. 2 - 3
“PAGLIACCIO, VATTENE”
y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!?!=!%
D’Alema contestato ieri a Bari Ansa
IL SINDACATO
“POLETTI DIMETTITI”
IL VESCOVO BREGANTINI
Landini: “Noi uniamo
il Paese, i politici no”
GUERRA INTERNA
“Napolitano sbaglia,
eversivi sono i corrotti”
» pag. 2
Uno degli slogan dello sciopero generale Ansa
Conti e cene, i “pizzini”
tra i Matteo boys e la ditta
Amurri » pag. 5
Caporale » pag. 4
» MAFIA CAPITALE » Le botte, le minacce, gli affari
Metodo Carminati:
pestato il finanziere
che osava indagare
Il militare aveva fatto accertamenti fiscali su una società vicina alla coop di Buzzi.
“Ti sgozzo”, “ti mando la carta d’identità al cimitero”: così “parla” la banda. Le pagelle
del “Cecato”: “Bravi gli albanesi, male i Casamonica” Massari, Pacelli e Vecchi » pag. 6 - 7 - 8
Udi Bruno Tinti
Udi Gian Carlo Caselli
ALLA POLITICA SERVE
IL MALAFFARE,
PER NON SCOMPARIRE
CI VORREBBE
LO STESSO SPIRITO
DI MANI PULITE
» pag. 18
MITI INFRANTI
CONFINI DELLA REALTÀ
TRAPPOLE DI NATALE
» MICHEL DU CILLE
Il fotoreporter
da Pulitzer muore
fotografando Ebola
Il tramonto del Che:
suo figlio vende i tour
della motocicletta
Vitaliano » pag. 12
Il veto garantista
contro la fiction
sulla clinica
del Dottor Morte
Disegni e Valdambrini » pag. 13
» pag. 18
Pagani » pag. 14
Impacchettare
i regali? Ci vuole
il corso (bufala)
di formazione
Ingrosso » pag. 11
LA CATTIVERIA
L’ex nuotatrice Manadou
arrestata per furto
a Eurodisney. Ha proprio
toccato il mezzofondo
» www.forum.spinoza.it
Presunti indecenti
di Marco Travaglio
maggio, nel suo forum con Il Fatto, Matteo
A
Renzi rispose sui quattro inquisiti del Pd
promossi sottosegretari e su quelli candidati al
Parlamento europeo: “Per me, finché non sei
condannato, sei innocente. Io sono su posizioni
diametralmente opposte a voi. Non cambierò
mai idea su una persona in base a un avviso di
garanzia. Difendo la presunzione di non colpevolezza, in questo sono più fedele alla Costituzione di voi. Poi, se uno è condannato, se ne va”.
Ora, dinanzi allo scandalo Mafia Capitale, che
aggiunge mafiosi, terroristi neri, cravattari, spacciatori, professionisti della violenza alla formazione-tipo del malaffare, il premier sembra vacillare. È troppo presuntuoso per ammetterlo,
ma basta sentirlo parlare: “Fuori i ladri dalla politica” è una frase che, alla luce della presunzione
di non colpevolezza come la intende lui, pare un
tantino azzardata. Andrebbe pronunciata fra
una decina d’anni (se basteranno), dopo la Cassazione: ora siamo appena agli avvisi di garanzia
e alle misure cautelari, neppure ancora confermate dal Riesame. Eppure Renzi legge le carte
con le intercettazioni e dice “ladri”. Come qualunque cittadino dotato di media intelligenza.
Poi però si ricorda delle sue interviste e dei suoi
inquisiti (a cui si sono aggiunti il neogovernatore
Bonaccini e diversi neoconsiglieri emiliani e calabresi) e mette una toppa peggiore del buco:
“Subito i processi”. Pura propaganda, con un’indagine così complessa ancora in corso e con un
sistema farraginoso come il nostro. Ma anche
una resa incondizionata al potere giudiziario di
un presunto primatista della politica: come se
non bastasse quel che emerge dalle intercettazioni per farsi un’idea di certi politici e decidere
di conseguenza (politicamente, non giudiziariamente).
Non c’è niente da fare: pare proprio che nemmeno un premier giovane e sveglio come lui riesca a divincolarsi dalle fumisterie e dalle tartuferie della vecchia politica, che da sempre usa la
presunzione d’innocenza come l’ultimo rifugio
delle canaglie: un gargarismo utilissimo per buttare la palla in tribuna e sfuggire fino alle calende
greche alle proprie responsabilità dinanzi alle indecenze emerse da questa o quell’indagine. Se un
politico o un pubblico amministratore è indagato perché filmato o intercettato o immortalato
da una contabile bancaria a incassare mazzette,
non dev’essere dimissionato perché è indagato,
ma per i fatti gravi che lo rendono un potenziale,
probabile corrotto. Magari quei fatti, al terzo grado di giudizio, non basteranno per condannarlo.
Oppure la mannaia della prescrizione calerà prima. Ma è giusto che la soglia probatoria richiesta
per mandarlo in galera sia molto più alta di quella
necessaria per lasciarlo a casa. Altrimenti, siccome Carminati, Buzzi e pure la mamma di Loris
sono solo indagati dunque innocenti, perché non
portiamo al governo o in Parlamento anche loro,
poi quando arriva la Cassazione ne riparliamo?
Viceversa: se, per assurdo, 10 o 20 anni fa un
leader di sinistra avesse fatto quel che abbiamo
fatto noi, cioè avesse letto le carte, guardato i fatti
e poi chiamato “delinquenti” Berlusconi, Previti
e Dell’Utri senz’aspettare la Cassazione (oggi son
buoni tutti), si sarebbe beccato anche lui decine
di querele e cause civili, e da allora sarebbe imputato a vita per diffamazione: ma avrebbe migliorato la propria reputazione e nessuno si sarebbe mai sognato di chiederne le dimissioni. Un
politico vero, per dare un giudizio e prendere una
decisione (subito, non dopo la Cassazione), non
guarda i registri degli indagati e i dispositivi delle
sentenze: legge gli atti, valuta i fatti e poi decide se
i protagonisti sono degni di restare al loro posto o
meno. Se poi proprio non capisce, chieda una
consulenza ad Antonio Mancini, il pentito della
Magliana intervistato dal Fatto e da Announo. L’altroieri Mancini ricordava che Carminati era imputato a Perugia con Andreotti per il delitto Pecorelli. Sandro Ruotolo obiettava: “Ma poi la
Cassazione li ha assolti”. E Mancini: “Sapesse
quante volte hanno assolto me!”. Un genio.
2
PEZZI DI SINISTRA
SABATO 13 DICEMBRE 2014
LI francesi:
a stampa estera
“Gauche
contre gauche”
ITALIA, sinistra contro sinistra” è il
titolo di apertura dello storico quotidiano della sinistra francese Libération che ha dedicato la copertina allo
sciopero generale indetto in Italia da
Cgil e Uil contro il Jobs Act e la legge
di stabilità all’esame del governo.
Un’altra frase della copertina spiega
che Matteo Renzi rappresenta per i
sindacati “una sinistra più liberale che
sociale. Le sigle sindacali sono colpevoli ai suoi occhi di bloccare il paese e la sua operazione di rottamazione del vecchio sistema italiano”. Le
Figaro, rende omaggio alle riforme del
Premier e al Jobs Act titolando: “Le-
il Fatto Quotidiano
zione d'italiano”. Secondo il quotidiano il governo “rivoluzionerà il mercato
del lavoro”. Lo sciopero generale in
Italia conquista anche la prima pagina
di Le Monde. “Divorzio all'italiana tra
Renzi e i sindacati” è il titolo, che ricorda come “La Renzimania” sia stata
“di breve durata”.
D’ALEMA, FISCHI E INSULTI
BARI LO CACCIA DALLA PIAZZA
“VENDUTO”, “LURIDO”, “PAGLIACCIO”: I 350 METRI PIÙ LUNGHI DEL LÍDER MÁXIMO
di Paola
Zanca
M
assimo, cammina”. Il consiglio non richiesto si sente a
malapena, in mezzo alla bolgia in cui sta sfilando Massimo D’Alema. Siamo a Bari,
Regione Puglia, la stessa di
Gallipoli, storico feudo del
consenso dalemiano. Eppure alla fine dell’anno 2014
qui, per D’Alema, dei feudi e
dei consensi non è rimasta
nemmeno l’ombra. C'è
un’unica mano, avambraccio vestito di felpa blu, che si
allunga per stringere quella
di colui che fu tra gli uomini
più in vista della sinistra italiana. Poi, in due minuti e
mezzo di camminata a passo
lento, sono solo fischi e insulti. Si vedono alcune sparute bandiere azzurre della
Uil. Ma intorno è tutto rosso. Sventolano le bandiere
della Fiom e della Cgil. E lui
può solo mordicchiare il dito medio, sistemare l'occhiale, arricciare il baffetto per
sfogare il nervosismo dei 350
metri più imbarazzanti della
sua vita. “Basta rubare”, “Vai
via”, “Pezzi di merda”. Usano il plurale, sono fischi rivolti all'intera categoria.
“Venduto”, “Siete dei porci”.
Lo scortano un paio di persone, strette ai suoi fianchi
nel tentativo, vano, di proteggerlo dall'ignominia. Ma
non c’è bisogno di avvicinarsi per buttarlo a terra. Dietro
Il segretario Fiom
ci sono altre persone che si
muovono con lui. “Massimo, cammina”, gli suggeriscono. “Fermati!”, urla invece uno dei contestatori. “Bastardi”, si sente ancora. Poi,
arrivati all’altezza di piazza
Massari, uno degli uomini
che lo accompagna è costretto ad abbassare la testa. Hanno lanciato qualcosa, invisibile a occhio nudo, pare sia
terriccio. “Ci avete lasciato
nella merda”, “Vergognatevi”, “Lurido”. I suoi hanno
accelerato il passo. D'Alema
invece rallenta, gira la testa
indietro, e di nuovo l'uomo
che sta alle sue spalle, lo
spinge dolcemente come a
dirgli ancora: “Massimo,
cammina”. Non gli resta che
rifugiarsi nel telefonino. Armeggia sulla tastiera mentre
ancora urlano: “Siete quelli
che hanno affondato l'Italia”. “Pagliaccio”, “Noi ci
dobbiamo fare un culo così
per arrivare a fine mese”, “Ci
hai condannato a morte, bastardo”.
ALLE 16.22, Alternativa co-
munista batte un comunicato: “Siamo stati noi”. Magari,
direbbe D'Alema. Perché il
dato più sconcertante di quei
due minuti e mezzo di passeggiata barese è proprio la
folla di lavoratori, circondata
dalle pettorine del servizio
d'ordine del sindacato, che si
rivolta contro uno che, fino a
qualche tempo fa, sarebbe
stato fermato quantomeno
SCORTATO
Massimo
D’Alema ha sfilato per le strade
di Bari. Durissima contestazione dei lavoratori. Al lato la protesta contro Bettino Craxi nel
1993 Ansa
BANDIERE ROSSE
I cori dei lavoratori
Il Pd Paolucci:
“Disturbatori”
L’ex braccio destro
Velardi: “Chi semina
vento...”
per farsi un selfie. In quei trecentocinquanta metri tra la
piazza dove si stava tenendo
il comizio per lo sciopero generale e l'hotel dove era diretto D'Alema, si consuma
l'ultimo atto della sua carriera politica. Prima prova a parare il colpo: “Veramente ero
andato a trovare il sindaco di
Bari e, uscendo dal comune,
mi sono infilato in mezzo
all’Ugl ma non mi ero reso
conto precisamente”. Poi è
costretto a raddrizzare il tiro:
“I lavoratori sono in piazza
per chiedere un maggiore
impegno per il lavoro, per lo
sviluppo, e questo mi pare
comprensibile – dice – C'è
un problema drammatico di
una crisi economica e sociale
che si trascina ormai da molti anni. Molte persone non
vedono una prospettiva e
quindi è chiaro che questo
scatena una rabbia verso la
politica in generale, i partiti e
verso tutti”.
Anche verso lui, che pure si è
autorottamato, non è più
parlamentare e al governo
Renzi non ha mai lesinato
critiche, tant’è che ieri, oltre
a lui, nelle piazze della protesta si sono visti altri dissidenti Pd come Pippo Civati
e Stefano Fassina . Ancora ieri, D’Alema, ribadiva le sue
perplessità sui rapporti tra il
premier e il mondo del la-
voro: “L’asprezza dello scontro, l’insulto, il disprezzo del
sindacato a cui abbiamo assistito in queste settimane
non ci sono mai stati e secondo me sono un errore”.
Massimo Paolucci, vicepresidente degli europarlamentari Pd, sostiene che quella
che ha contestato D'Alema è
una “sparuta pattuglia di noti estremisti”, “gli stessi che
da anni contestano i sindacati organizzatori dello sciopero generale”. Eppure le
bandiere rosse sono lì, mescolate alle urla. Claudio Velardi, per una vita braccio destro di D’Alema, su Twitter
dà la sua personalissima interpretazione della giornata
barese: “Chi semina vento...”. Se ci fosse ancora
quell’uomo, lì dietro, direbbe “Massimo, cammina”.
Maurizio Landini
“La politica chi rappresenta? Noi uniamo il Paese”
di Salvatore
Cannavò
n grande successo, le nostre piazze uniscono il Paese mentre finora il governo le
U
ha divise. Non è un caso se la gente non si sente
rappresentata”. Maurizio Landini parla al ritorno dal corteo di Genova che è andato molto
bene. Ha la voce roca, viziata dal comizio e
dalle mille discussioni avute con i lavoratori.
Ma accetta volentieri di commentare la giornata.
Com’è stato questo sciopero?
Un successo straordinario perché non solo si
sono riempite tutte le piazze, ma c'è stata un'adesione alle iniziative e allo sciopero che ha
riguardato non solo gli iscritti alla Cgil e alla
Uil. Le piazze hanno confermato che la maggioranza di chi lavora, dei precari, anche degli
studenti, non condivide le scelte del governo. E
chiede ai sindacati di proseguire, di andare
avanti.
Renzi dice che lui proseguirà dritto per la sua
strada.
Il presidente del Consiglio è intelligente e veloce, e allora dovrebbe valutare come rispondere a questo sciopero e aprire un confronto e
una trattativa vera con i sindacati. Togliendo
dal tavolo elementi negativi come la modifica
dell'articolo 18.
Ci sono segnali in tal senso?
No, io non ne ho. Ma viviamo una fase di crisi
della rappresentanza e della politica in cui la
gente non va più a votare, come dimostra
l’Emilia Romagna. C’è in giro un livello di corruzione che coinvolge tutti i soggetti e se non ci
fosse la magistratura la politica non avrebbe da
sola gli anticorpi. In questo contesto un governo intelligente dovrebbe rendersi conto del
fatto che ci sia gente che rinuncia allo stipendio e va in piazza. Se invece si sceglie la
Confindustria, che non è detto che rappresenti gli imprenditori, Renzi va a sbattere.
senza un euro, figli che non trovano lavoro o
sono precari a vita.
Che nei confronti nella politica ci siano una
sfiducia e una lontananza è il problema di questo momento.
L’antidoto siete voi?
Le piazze di oggi hanno offerto la possibilità di riunificare il paese. Ricostruire una fiducia richiede confronto e dialogo. E i sindacati non
C’è un’urgenza politica nel ricostruire una nuova rappresentanza?
Prima di questo sono convinto che ci sia bisogno di ricostruire un’etica dell’agire pubblico. L’onestà e l’etica devono tornare a essere
valori comuni. Ognuno nel suo campo deve
fare la sua parte.
Quello che fa Renzi non basta?
Renzi rappresenta il governo e come tale deve
fare delle leggi. Io osservo che il falso in bilancio non è ancora un reato,
che l'autoriciclaggio ha ancora
dei limiti, che i beni confiscati
alla malavita organizzata non
PESSIMO
bastano. Su questo c'è bisogno
di una forza che non è stata
ESEMPIO
ancora usata.
Poletti dice di voler dialogare sui decreti
attuativi del Jobs Act.
Ma non è sufficiente. Discutere i decreti è
utile ma bisogna cambiare le decisioni che
sono state prese. La domanda che arriva dalle manifestazioni di oggi è di andare avanti.
Sono piazze arrabbiate che non ne possono
più che chiedono un cambiamento.
La contestazione contro Massimo D’Alema è parte di questo?
Il problema è che la gente
non si sente rappresentata. Ci sono situazioni
drammatiche. Ci sono
disoccupazioni infinite, casse integrazioni
sono finiti, abbiamo dimostrato che non è così.
caxcas zcxxzcxczc
Precari, disoccupati,
gente che soffre. Il
falso in bilancio non è
reato, l’autoriciclaggio
è incompleto. Ora
il governo ci deve
ascoltare
Pensa che in relazione alle polemiche sul caso Mafia Capitale Poletti dovrebbe dimettersi?
Non mi permetto mai di arrivare a queste valutazioni,
ognuno deve rispondere alla
sua coscienza. Occorre rompere da un lato una rete culturale
di clientele e affarismo e dall’altra parte occorre che il governo
faccia degli atti concreti.
PEZZI DI SINISTRA
il Fatto Quotidiano
G
li slogan
dei manifestanti:
“Mostro di Firenze”
È STATO IL PREMIER Renzi l’obiettivo numero uno degli slogan che ieri
hanno accompagnato cortei e manifestazioni in tutta Italia: a Milano è
il “Mostro di Firenze”, a Torino il “Terminator” del lavoro e a Roma è un
“Pinocchio” gonfiabile. I palloncini di
Renzi - Pinocchio hanno fatto da cor-
nice al corteo, “scortato” da trattori e
betoniere lungo il percorso nel cuore
della Capitale. “Renzi, occhio al 18”,
uno dei messaggi lanciati dai manifestanti che hanno colorato la piazza.
A Genova, dove era presente il leader
della Fiom Maurizio Landini, è stato
installato un “Riformatic” di cartone,
SABATO 13 DICEMBRE 2014
3
un “generatore automatico di riforme renziane”. Nel capoluogo piemontese, dove ha sfilato la leader
della Cgil Susanna Camusso, oltre ai
pupazzi di Renzi-Terminator sono
spuntati striscioni e slogan contro il
Jobs Act e il governo al grido di: “Renzi, non avrai il mio scalpo”.
Lavoro, 54 piazze chiedono
a Renzi di “cambiare verso”
CGIL E UIL PARLANO DI ADESIONE AL 60%, PER CONFINDUSTRIA SI È FERMATO SOLO IL 10%
IL PREMIER: “MASSIMO RISPETTO MA NON MI FACCIO IMPRESSIONARE”. POLETTI APRE AL DIALOGO
A
l di là dei dati, dei
numeri e delle
piazze, lo sciopero
generale di Cgil e
Uil per chi lo ha promosso è
stato un successo. I due sindacati lo hanno sancito con
una nota congiunta in cui
comunicano
“un’adesione
media allo sciopero generale
superiore al 60%, con una partecipazione nelle 54 piazze di
oltre 1,5 milioni di persone”.
“Sono molto soddisfatta ma è
un risultato che ci carica di
una grandissima responsabilità” il commento a caldo fatto
da Susanna Camusso con i
propri dirigenti. Soddisfazione che più tardi condividerà
con l’altro leader che ha scommesso su questa giornata, il segretario della Uil, Carmelo
Barbagallo. Posizione che non
sposta di una virgola l’atteggiamento di Matteo Renzi intervenuto al termine del Consiglio dei ministri: “Massimo
rispetto per chi sciopera ma
non mi faccio impressionare
dalle piazze. C’è un paese da
cambiare”.
fatto
a mano
LE PIAZZE, PERÒ, sono state
molte, cinquantaquattro. Con
molta gente - anche se meno
del 1,5 milioni dichiarato - in
particolare a Torino, Brescia,
Padova, Napoli, Milano dove
si è ricordata anche la strage di
piazza Fontana. Alcuni scontri
con la polizia si sono verificati
a Torino, Milano, Roma e Bolgona, spesso a opera delle rappresentanze di centri sociali e
Fatto lo sciopero cosa farà ora il sindacato?
La riuscita dello sciopero parla a tutto il paese.
Noi non ci fermeremo. Occorre riconquistare
un confronto vero. Se il governo rifiuta dobbiamo pensare ad altre iniziative e il problema
riguarda le imprese, la Confindustria. Non
possiamo accettare che dentro le aziende passi
un peggioramento dei diritti. Se seguiranno
questa linea avranno dei problemi con i sindacati dentro le aziende. E poi percorreremo
tutte le azioni possibili sul piano giuridico in
Italia e in Europa.
Che pensa del piano del governo sull'Ilva?
Che non c'è più tempo, abbiamo aspettato
troppo e si sono persi troppi soldi. Nel giro
della prossima settimana servono decisioni.
Noi pensiamo che occorra un intervento pubblico diretto senza svendere l’azienda a gruppi
privati. Un intervento pubblico non esclude,
nel tempo, l’ingresso di altri soggetti.
Alessandro Guerra potrebbe dirigere un’azienda in mano pubblica?
Non lo conosco, non si è occupato di acciaierie,
ma se c'è un intervento pubblico servono manager di qualità per una ipotesi di rilancio industriale.
Il prossimo 18 dicembre lei farà una iniziativa
comune con Susanna Camusso e Stefano Rodotà. Che significa?
Che lanceremo una raccolta di firme per mettere in discussione il pareggio di bilancio in
Costituzione. Un modo per parlare di Europa,
contrastare l’austerità, allargare le alleanze dei
lavoratori.
Niente costituzione di nuovi partiti, quindi?
No, l'ambizione è molto più grande.
Nei trasporti, i sindacati denunciano il 50% di adesione.
L’Alitalia ha cancellato 250 voli sia a Fiumicino che in Lombardia ma altre centinaia sono
stati annullati dalle altre compagnie. A Roma le tre linee della metropolitana sono rimaste
chiuse mentre a Torino circa
l’80% dei bus non si è mosso.
ALLO STESSO TEMPO non ci
Susanna Camusso, segretario generale Cgil, al corteo di Torino Ansa
dei movimenti sociali. Gli stessi che a Roma hanno tappezzato il ministero del Lavoro
con le foto di Giuliano Poletti e
Salvatore Buzzi con sopra
scritto “Poletti dimettiti”. Negli scontri ci sono stati alcuni
feriti e la Cgil si è subito affrettata a prendere le distanze
da qualsiasi episodio di violenza.
I dati dello sciopero sono sempre complicati da valutare e
quindi non resta che riferirsi a
quelli autodenunciati dalle sigle sindacali. Dai dati forniti
dalla Cgil risulta una media di
adesione del 70,2% nel settore
industriale. Si va dal 100% di
adesione a Settimo Torinese in
fabbriche come Michelin e Pirelli, al 60% della Luxottica.
Alla Marcegaglia l’adesione è
stata di oltre l’80% mentre al
Nuovo Pignone di Firenze -
spesso preso a modello da
Renzi - su 2.990 addetti l’adesione è stata del 78,8%. Alta
l’adesione alla Ast di Terni dove, nonostante i 35 giorni di
sciopero continuativo si è fermato il 70% dei 2400 addetti,
mentre alla Perugina di Perugia si è sfiorato il 100%. All'Ilva
di Taranto su 11.800 si è fermato circa il 60% di lavoratori.
CHE SUCCEDERÀ
Camusso si dice
molto “soddisfatta”
e minaccia gli industriali
di portare il conflitto in
fabbrica. La Uil a Matteo:
“Ci stupisca e ci incontri”
IL COLLE
Un’altra strigliata di Napolitano:
“Rispettatevi, fate male all’Italia”
ono le ultime settimane da Presidente della ReS
pubblica. Ed evidentemente Giorgio Napolitano
ha deciso di non lasciarle passare invano. Missione:
rimettere a posto Matteo Renzi, il “giovane” - così
l’ha chiamato l’altro giorno all’Accademia dei Lincei
- che si è fatto un po’ prendere la mano da quando
siede a palazzo Chigi. “Basta esasperazioni, rispettatevi e pensate al bene del Paese”: così, ieri, il Capo
dello Stato è tornato sullo scontro tra governo e
sindacati, culminato ieri nello sciopero generale di
Cgil e Uil.
Il giorno prima aveva dovuto affrontare la grana
della precettazione dei ferrovieri, visto che la leader
Cgil Susanna Camusso si era appellata a lui contro la
forzatura del ministro Maurizio Lupi:
la frattura si è ricucita (e anche i ferroviari hanno potuto
scioperare) ma ieri le
piazze piene di lavoratori hanno di nuovo riacceso lo scontro: “È segno senza
dubbio di una notevole tensione tra sindacati e governo”, ha
Giorgio Napolitano Ansa
detto Napolitano a
proposito dello sciopero generale convocato ieri da
Cgil e Uil. È solo una delle “cieche spirali di contrapposizione faziosa” che, secondo il Colle bloccano
riforme e innovazioni per il Paese: “Mi auguro - ha
aggiunto ieri Napolitano - che si discutano sia le
decisioni già prese, come quella della legge di riforma
del mercato del lavoro, sia quelle da prendere soprattutto per il rilancio dell’economia e dell’occupazione”.
MA I MODI di oggi non piacciono al Quirinale. Bi-
sogna trovare “la via di un discussione pacata”: “Naturalmente poi il governo ha le sue prerogative, le ha
anche il Parlamento ed ha il suo ruolo da svolgere il
sindacato”. Ed è proprio il sindacato che ha prontamente risposto alle parole del Presidente: “Al monito di Napolitano al dialogo noi rispondiamo che
siamo pronti”, ha detto il segretario generale della
Uil, Carmelo Barbagallo. Poi ha aggiunto: “Non siamo stati noi ad aver chiuso le porte al sindacato”.
LA MEDIAZIONE
Due giorni fa il presidente della Repubblica era
già dovuto intervenire sulla precettazione dei
ferrovieri voluta dal ministro Lupi e poi revocata
sono dati per il settore pubblico e la scuola. Le Fs sostengono
che i treni ad alta velocità hanno marciato al 96% e che per
quanto riguarda i regionali lo
sciopero si è fermato al 17%.
Per quanto riguarda le imprese, ufficiosamente la Confindustria attesta la partecipazione complessiva al 10% mentre
l’Unione industriali di Torino
parla di adesione al 17,2 e quella di Novara la colloca al
13,5%.
Il sindacato, in ogni caso, registra un successo che in parte
è riconosciuto dallo stesso presidente del Consiglio quando
parla di “rispetto”. Il ministro
Poletti, ad esempio, ha subito
dichiarato che quando si tratterà di definire i decreti attuativi del Jobs Act con i sindacati
si “dialogherà”. In Cgil apprezzano ma fanno anche sapere
che la piazza “carica di grandi
responsabilità” e che quindi se
confronto si farà non “sarà per
finta”. La sensazione è che i toni siano stati stemperati. Se
qualche mese fa si sbeffeggiava
il giorno di sciopero o l’inconsistenza del sindacato oggi si
parla di posizioni, distanti ma
che si rispettano. Barbagallo si
spinge fino a chiedere a Renzi:
“Ci stupisca e ci convochi”. Ma
la sostanza non sembra cambiata. Il premier non ha intenzione di fare concessioni anche
perché ne ha fatte già alla minoranza Pd. La Cgil assicura
che il sindacato “non si fermerà” e prenderà tutte le misure
utili a modificare le leggi. Difficile che possa accadere anche
se nelle stanze di Corso Italia si
stanno studiando tutte le misure possibili sul piano giuridico per bloccare l’applicazione delle nuove misure sul mercato del lavoro. Buona parte
del conflitto potrebbe spostarsi nelle fabbriche come dimostra l’affondo di Camusso a
Confindustria: “Abbiamo capito, pensate che bisogna tornare indietro nel tempo quando nelle fabbriche c’era uno
che comandava e gli altri ubbidivano e abbassavano la testa. Dimenticatevelo, quel
tempo dell’abbassare la testa
non torna più”. L’obiettivo è
una nuova “contrattazione”.
Gli industriali fanno spallucce
perché la crisi non favorisce il
conflitto. La stagione della
concertazione, in ogni caso, è
un ricordo del passato.
sal.can.
4
L’ESPLOSIONE
SABATO 13 DICEMBRE 2014
O
ggi Civati
presenta “Possibile”
l’altra Leopolda
NON VI STUPIREMO con mosse
spregiudicate, velocissime, roboanti o polemiche, domani a Bologna (oggi). Né parleremo di correnti e correntine.
'Possibile’ è una porta aperta sul
cambiamento. Presenteremo un
“Patto-non-del-Nazareno” con i
cittadini, sui principi fondamentali
della democrazia e della rappresentanza che sola dà un senso alla
politica. Ci occuperemo di riforme,
per ribadire la necessità che gli
elettori scelgano gli eletti e non
siano i politici a farlo, nominando
se stessi (Andrea Pertici).
il Fatto Quotidiano
Così si legge sul sito dell’associazione “Possibile”, che rappresenta
la minoranza del Pd guidata da
Giuseppe Civati, in vista dell’appuntamento “La sinistra? Possibile”, organizzato per domani, alla
Scuderia in piazza Verdi a Bologna
e trasmesso in streaming sul sito
web dell’Associazione Possibile
www.epossibile.org.
Ricomincia con una manifestazione l’opposizione a Renzi dell’ex
grande amico Pippo Civati. Qualche anno fa, erano assieme a Firenze a inveire contro i vecchi del
Partito democratico.
IL COLORE DEI SOLDI: SUI COSTI
DELLA POLITICA MINACCE TRA PD
RENZI USA I VECCHI BILANCI PER FAR PAURA ALLA MINORANZA. MA TACE SULLE CENE
di Antonello
L’
Caporale
idea di Renzi per
contrastare l’opposizione interna, e quindi annegarla nella vergogna, sarebbe quella di rendere pubbliche le spese della segreteria
Bersani e di quella Epifani.
L’idea di Matteo genera, come figlioletti in grembo, due
altre verità. La prima: che i
bilanci pubblicati sono effettivamente carta straccia,
specchio per le allodole, ammesso che le allodole ci caschino. Sono cifre buone a
imbonire. Perché le voci di
cui si compendia il bilancio
del Partito democratico (e di
tutti gli altri partiti) tutelano
la segretezza delle singole
percentuali che i dirigenti attivano per le proprio competenze. Gli euro – si presume
molti oltre il lecito – che sono
andati a questo e a quello. Sul
cattivo odore dei soldi domani Francesco Bonifazi, il tesoriere del nuovo corso renziano, potrebbe attardarsi un
pochino di più, sottolineando
nella relazione che sembra farà all’assemblea nazionale, le
destinazioni d’uso per voci
superiori a centomila euro.
Non arriverà dunque al singolo destinatario ma lo accarezzerà crudelmente, farà trasparire quel di più che potrebbe uscir fuori, se solo si
dovesse decidere di elencare
il numero dei peccati e la
quantità dei peccatori.
LA
SECONDA VERITÀ è
nell’aspetto
spiccatamente
“ritorsivo” che la questione
assume nel confronto politico. Di ritorsione parla più di-
Il giornalista
stintamente degli altri Chiara
Geloni, portavoce di Bersani,
ex dipendente del Pd, infilzata
da un dossier renziano, al
tempo in cui la rottamazione
era il sol dell’avvenire, nel
quale si spargevano, ma in
forma anonima, velenose rivelazioni. Tra le molte proprio quella sul capo della Geloni, incolpata di ricevere 6
mila euro mensili per la direzione della metafisica Youdem, web tv ora in stato vegetativo.
“Pubblichino quel che vogliono, come vogliono, dove vogliono. Io non ho nulla da te-
mere”, dice Antonio Misiani,
l’ex tesoriere che ha firmato i
conti sia della stagione di Epifani che di quella Bersani.
“C’era il finanziamento pubblico integro, molto superiore
a ciò che oggi arriva in cassa,
che investivamo nelle diverse
campagne elettorali. C’erano
poi retribuzioni che andavano a chi era impegnato nel
partito e variavano da un minimo di mille a un massimo di
4 mila euro per le diverse
competenze”. C’era anche
dell’altro a dire la verità: un
sito web che costò un occhio
della testa, una serie allegrisIL DOSSIER DEL 2013
I 6.000 EURO A STUMPO
E GELONI PER YOUDEM
L’anno scorso, Renzi ancora
non era segretario, furono
diffusi degli elenchi di consulenze e stipendi. Chiara Geloni dirigeva la tv, Nico Stumpo
l’organizzazione del partito
IL PADRONE DELLA COOP
BUZZI PIÙ CINQUE,
UN TAVOLO COL PREMIER
Il fondatore e padrone della
Cooperativa “29 Giugno” ha
finanziato (anche in nero) il
Pd, in particolare quello
romano. Ed era presente
alla kermesse di Roma
AUTO-FINANZIAMENTO
UN MILIONE E MEZZO
E POCA TRASPARENZA
Delle due cene organizzate
dal Pd per raccogliere fondi,
prima a Milano e poi a Roma,
si sa l’incasso di 1,5 milioni di
euro. Ma l’elenco degli ospiti
non è stato reso noto
sima di consulenze, un fiotto
di carta moneta verso destinazioni incerte.
MA IL FUOCO con cui Renzi
ha deciso di rispondere all’armata contraria testimonia
non solo del livore che lega i
sentimenti degli uni e degli altri (“Riecco la premiata ditta
Bindi-D’Alema di nuovo in
azione”, diceva ieri Debora
Serracchiani a commento
della bocciatura di parte del
testo di riforma costituzionale), ma anche dell’incendio
che potrebbe presto scoppiare.
-7
M
L
N
IL BUCO NEL 2012
CON BERSANI
TROPPA PRIVACY
La trasparenza
dei conti interni
adoperata come arma.
Ma i cittadini
restano all’oscuro
sui reali finanziamenti
Francesco Bonifazi Ansa
Perché ai soldi si risponde con
i soldi. E alle furbizie con le
furbizie altrui. Se Bonifazi dovesse provare a spegnere le
contestazioni interne elencando le spese stravaganti, i
contestatori avranno di che
controbattere. Potranno, come fanno sapere, illustrare
che il miracolo di un Pd dimagrito ma in salute, senza
che un solo dei 189 dipendenti abbia dovuto subìre il licenziamento, è dovuto solo a una
emigrazione verso lidi istituzionali. Ai 55 già in forze ai
gruppi parlamentari e alle
strutture dell’esecutivo precedente, si sono aggiunti altri 40
(cifra non verificata ndr) lavoratori che il governo Renzi
ha dirottato tra Palazzo Chigi
e altri dicasteri. Una partita di
giro molto tradizionale, a cui
la politica ricorre quando può
per trasferire gli oneri propri
allo Stato. Finanche il ricco
Berlusconi – divenuto premier – trasferì la sua fedele e
privata scorta armata nei registri pubblici...
I soldi, sotto i quali il Pd di
Roma è travolto e svergognato, sono ugualmente fastidiosi
per Renzi perché le sue cene
elettorali hanno avuto finanziatori dal nome ancora sconosciuto. La lista degli invitati
è sotto chiave, ma la partecipazione, rivelata dall’inchiesta romana, a una di queste del gruppo Buzzi, famigerato dispensatore di suffragi e
di offerte votive ai maggiorenti del partito, rende opaco
tutto il cerchio dei commensali. Oltre a Buzzi chi, allora?
E anche la Fondazione fiorentina di Renzi, sostenuta da
una nutrita schiera di donatori, è sotto chiave. E, andando più indietro nel tempo, i
soldi spesi da Renzi al tempo
in cui era sindaco di Firenze
per assumere a chiamata diretta una moltitudine di amici? E quelle altre spese promozionali durante la presidenza della Provincia per Florence Multimedia?
Migliaia, centinaia di migliaia, e poi milioni.
Sarà a colpi di zaffate di euro
la contesa che domani porterà
il Pd all’ultimo round?
Gian Antonio Stella e la Casta
“Antipolitica, la colpa non è di chi denuncia”
di Silvia Truzzi
Il punto è: chi crea l’antipolitica?
Premessa: c’inchiniamo di fronte a Giorgio Naarlando delle degenerazioni della politica politano, che tanti meriti ha avuto come prein antipolitica come “patologia eversiva”, il sidente della Repubblica. Ma messa così non va
capo dello Stato ha spiegato che a quest’azione bene: la censura nei confronti della cattiva poeversiva non si sono sottratti “infiniti canali di litica, nell’economia generale del discorso, secomunicazione, a cominciare
condo me non era abbastanza
forte. Dobbiamo chiederci chi
da giornali tradizionalmente
paludati, opinion makers lanciati
genera l’antipolitica: i forconi
senza scrupoli a cavalcare l’ono la cattiva politica? Io credo
TORTI
da, per impetuosa e fangosa
che le responsabilità siano soche si stesse facendo, e anche,
prattutto della cattiva politica.
E RAGIONI
per demagogia e opportuniAttorno, certo, ci sono – ci soLe responsabilità sono
smo, soggetti politici pur prono sempre stati – i mestatori:
venienti della tradizioni del
penso all’Uomo qualunque di
da imputare a regole
primo cinquantennio della vita
Giannini, al Partito della birepubblicana”. Nessuno si stustecca di Corradi, ai vari moche consentono a un
pirà, dunque, leggendo qui di
vimenti che negli anni si sono
consigliere regionale
seguito un‘intervista a Gian
succeduti. Più recentemente
Antonio Stella, autore insieme
possono essere i 5Stelle o, apdi andare in pensione
al collega del Corriere della Sera
punto, i forconi. Ma chi è reSergio Rizzo, de La casta, bea 41 anni con cinquemila sponsabile? Restando nella
st-seller da un milione di copie
metafora del morbo, la malateuro netti di pensione
tia non è imputabile del me(Rizzoli, 2006).
P
dico che la diagnostica.
Così sembra un po’ guardare il dito e non la luna.
Soprattutto se la questione dell’antipolitica viene sollevata mentre a Roma è stato scoperchiato
l’ennesimo vaso di Pandora.
Massimo D’Alema, nel 2011, è arrivato a dire
che ‘bisognerebbe liberare il lessico dalle parole
anti-democratiche. Ne dico una di parola antidemocratica, capisco che è un po’ forte, ma è la
verità. La parola ‘Casta’ non è stata inventata da
due brillanti colleghi. ‘Casta dei politici’ compare nel dibattito pubblico italiano per la prima
volta in un documento delle Br e ha mantenuto
quell’impronta; ogni qualvolta la si usa, bisognerebbe pagare una royalty agli ideatori, e lo si
fa culturalmente”. Con ciò tracciava un parallelo tra chi sparava alla nuca – assassini – e quelli
che come me, Sergio e tanti colleghi di altri giornali che hanno fatto una campagna contro le
storture della politica in nome della democrazia.
La paternità della parola era veramente delle Br?
Ma no! Il primo è stato don Luigi Sturzo, l’11
agosto 1950, sul giornale 24 ore, parlando
dell’ipotesi di aprire una cassa pensioni a favore
dei deputati. E scrive: “A me sembra aberrante
fare del mandato elettorale qualche cosa che
confini con la carriera impiegatizia, ovvero il
mandarinato, e sbocchi, infine, a uno stato di
quiescenza a carico del pubblico erario”. Poco
più avanti: “Più si consolida la professione e più si
forma lo spirito di corpo, la casta, e più si rende
difficile l’avvicendamento, sul quale è basata
ogni sana democrazia”. Io credo che don Sturzo
avesse ragione: evidentemente già intravedeva i
segnali di alcune deviazioni della cattiva politica
che hanno portato ai guai di oggi. Forse sarebbe
il caso di imputare l’ondata di antipolitica più a
chi ha creato regole in base alle quali Claudia
Lombardo, consigliere regionale della Sardegna, può andare in pensione a 41 anni con oltre
cinquemila euro netti di pensione. Sarà mica
colpa di chi ha raccontato questa storia?
D’Alema non è stato l’unico politico a prendersela con voi.
L’ex tesoriere di Forza Italia, Maurizio Bianconi, ha definito me e Rizzo “il cancro di questo
Paese”. Vorrei precisare che non abbiamo mai
L’ESPLOSIONE
il Fatto Quotidiano
Findagati
ondi illeciti,
Zoggia
e Mognato
NEL PERCORSO che porta alla chiusura delle indagini sulla vicenda Mose con l’unico eccellente a
processo, l’ex sindaco Giorgio Orsoni, il Pd veneziano è nella bufera per il finanziamento illecito
dei partiti che avrebbe ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova retto allora da Giovanni Mazzaurati.
Nel registro degli indagati sono finiti i due parlamentari veneziani Michele Mognato e Davide
SABATO 13 DICEMBRE 2014
5
Zoggia mentre ieri è stato sentito l’ex assessore ai
lavori pubblici della giunta Orsoni ma all’epoca dei
fatti (2010) segretario veneziano del partito,
Alessandro Maggioni (non indagato). Indagando
sul concessionario unico, i pm avrebbero scoperto
contributi illeciti per 450mila euro ricavati da fondi neri ed un altro centinaio di migliaia di euro
fatturati in modo irregolare.
IN PARLAMENTO
Riforme al palo per i troppi emendamenti
e la paura del governo di andare sotto
NEL PANTANO. La riforma istitu-
zionale e l’Italicum sono ufficialmente impantanati al Parlamento. In commissione Affari costituzionali della Camera, dove la riforma del Senato sta procedendo
con difficoltà (diversi emendamenti sono stati ritirati con l’intenzione di votarli direttamente
in aula sperando in un’intesa), ieri
è saltata la seduta poichè la maggioranza correva il serio rischio di
finire sotto su alcune proposte della minoranza del Pd. Tra
gli emendamenti rimandati all’aula anche la proposta di Forza Italia di ridurre il numero delle Regioni, da 20 in 7-12.
Non va meglio a Palazzo Madama dove l’Italicum deve fronteggiare in commissione la muraglia dei 19.000 emendamenti
presentati: difficile immaginarne l’approdo in Aula prima di
Natale. La Lega Nord di Roberto Calderoli ha presentato
10.500 emendamenti alla prima versione dell’Italicum e 5.482
sub-emendamenti agli emendamenti della relatrice Anna Finocchiaro che hanno formalizzato la nuova versione dell’Italicum. In più anche qui la minoranza del Pd propone pochi, ma
ben precisi emendamenti contro i capilista bloccati. Proposte
di modifica che a Renzi non dispiacciono, ma che sono invise
a Forza Italia.
,8MLN
-1
0
IL ROSSO NEL 2013
CON EPIFANI
Giancarlo Bregantini
L’Arcivescovo
“Caro Napolitano,
eversivo è il corrotto”
di Sandra
I
Amurri
eri nel consegnargli il
Premio “San Giorgio”
il Professor di Giandomenico del Centro Studi Molisano lo ha definito “un
alieno in questa società”; “un
pretaccio di strada testimone
scomodo del Vangelo”, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della
Commissione Cei per gli affari
sociali e il lavoro è un vescovo
che chiama le cose con il loro
nome, che si schiera contro le
ingiustizie e le mafie come ha
fatto quando guidava la diocesi di Locri convincendo i
giovani a scendere in piazza
contro la ‘ndrangheta all’indomani dell’omicidio del vicepresidente della Regione,
usato parole come magna magna o forchettoni,
abbiamo semplicemente cercato di fare una battaglia civile per il bene della politica e dei politici. La denuncia è stata resa necessaria dal
marcio che c’era.
C’è ancora, come si vede.
Con grave ritardo, alcune cose sono state fatte.
Teoricamente dalla prossima legislatura non ci
saranno più i vitalizi per i consiglieri regionali, è
stato tolto il finanziamento pubblico ai partiti,
anche in maniera esagerata. Sul versante della
corruzione è tutto come prima.
@silviatruzzi1
Eccellenza, il presidente Napolitano all’Accademia dei Lincei,
ha definito “patologia eversiva” l’antipolitica e non la corruzione che la genera suscitando un coro di reazioni. Condivide?
Napolitano ha fatto bene, di
fronte a un tale triste spettacolo, a evidenziare il rischio
dell’antipolitica che porta a dire: tutto è sporco. Ma credo
che la causa dell’antipolitica
sia la corruzione, l’ambiente
in cui l’antipolitica cresce. Sono disvalori uguali che non
vanno anteposti in termini logici ma in termini cronologici:
l’antipolitica è successiva. Alla
domanda: chi è più eversivo,
un politico corrotto o un antipolitico? Rispondo il politico
corrotto. Per ridare valore alla
politica dobbiamo pretendere
leggi giuste e portare avanti
insieme una battaglia culturale. Don Lorenzo Milani, con il
suo linguaggio fiorentino, diceva: sortirne da soli è avarizia, sortirne insieme è politica.
Fiorentino come il premier.
E i costi della politica?
La cosa fondamentale sarebbe cambiare il modo
di fare i bilanci. Abbiamo sotto gli occhi il caso
di Roma. Il Comune di Roma ha messo on line il
suo bilancio, ormai qualche anno fa: 1800 pagine, assolutamente incomprensibili. Ma questa
non è trasparenza, è una presa in giro. Spiace
dirlo, ma sappiamo tutto della regina Elisabetta
– compreso quante bottiglie di champagne ha in
cantina – e nulla di così dettagliato del bilancio
del Colle.
di Roma, la città devastata dal
patto scellerato e bipartisan
mafia-politica svelato dall’inchiesta Mafia Capitale.
RE GIORGIO Il presi-
dente della Repubblica , lascia l’Accademia dei Lincei.
Mercoledì vi ha
tenuto
un discorso
Ansa
Francesco Fortugno. Così come volle funerali pubblici per
le vittime della strage di Duisburg. Il suo nome è tra quelli
che a febbraio prossimo saranno ordinati Cardinali e Papa Francesco per lui avrebbe
in serbo la guida della Diocesi
Sì, ma don Milani era l’opposto di Renzi. Dobbiamo fare in
modo che questo scandalo
non produca disaffezione alla
politica. Ora si scopre che in
molti sapevano cosa accadeva
a Roma, e come mai allora non
hanno saputo controllare?
Questa esperienza a noi chiede di ritornare alle grandi ragioni dell’etica: il disimpegno
politico è frutto della corruzione che a sua volta è frutto di
un’etica mancante in politica.
Ci chiede di tenere controllati
i luoghi del potere, di illuminarli altrimenti il denaro si appiccica alle mani. La corruzione nasce nel ghetto, nelle stanze oscure, dobbiamo creare
ambienti trasparenti. Antipolitica e corruzione sono favoriti dal clima di indifferenza
altamente tecnologizzato ma
scarsamente solidale: io so ma
non me ne frega niente.
Ieri l’Italia è scesa in piazza
per chiedere pane e dignità,
diritti inviolabili.
Prima di diventare prete ho
fatto l’operaio in fabbrica a
Porto Marghera e a Verona,
CERCASI
STATISTA
Don Milani diceva:
‘Sortirne da soli
è avarizia, sortirne
insieme è politica’. Era
fiorentino come Renzi?
Sono opposti, il premier
rispetti il sindacato
condivido le ragioni drammatiche che attraversano i lavoratori. Questa reazione è un
elemento positivo perché denota una forte presa di coscienza. La piazza è un luogo
di partecipazione, ma non basta gridare il diritto al lavoro,
occorre anche favorire la capacità di crearlo il lavoro. Lo
sciopero, sia chiaro, è un diritto inviolabile ma bisogna
andare oltre. Renzi non deve
bisticciare con i sindacati. È
un errore gravissimo il suo. Il
lavoro si costruisce con due
mani: rivendicazione e progettualità e la progettualità
spetta alla politica. Siamo dentro un triste gioco che il Papa
quando è venuto in Molise ha
chiamato ‘il grigiore del labirinto’. Giriamo a vuoto senza
camminare. La politica oggi è
un girare a vuoto senza camminare, manca la lungimiranza. Lungimirante non è il politico ma lo statista.
E non se intravedono all’orizzonte?
Magari ci sono, chissà! (ride
ndr) Dico solo che la cosa più
preziosa è saper guardare lontano, frutto della mitezza
evangelica di chi sa perdere un
passo oggi per guadagnare la
corsa domani.
Crede che gli onesti che tacciono, che si voltano dall’altra
parte siano meno responsabili
dei corrotti?
Le rispondo con la lettera che
Papa Francesco ha inviato a
noi vescovi citando una frase
di uno scrittore dell’800: ‘Il
non volersi sporcare è il male
peggiore. I migliori preti sono
i preti redenti che insegnano
la misericordia. Non i perfettucoli ma chi ha imparato la
perfezione sbagliando, soffrendo. Il peggior male è l’assuefazione. Non smettiamo
mai di stupirci, di indignarci
invece di discutere di fatti gravissimi, svelati solo grazie alla
magistratura, per tre giorni
per poi passare oltre. E non
dimentichiamo i poveri con la
loro immensa umanità e dignità calpestata di cui parla
solo il Papa’.
6
ROMANZO CRIMINALE
SABATO 13 DICEMBRE 2014
M
arino costituisce
la Città parte civile
M5S: “Vattene via”
ROMA, la Capitale d’Italia, non vuole
l’etichetta di “città mafiosa” e si muove per tutelare la sua immagine: il
Campidoglio sarà parte offesa nel
processo sulla nuova piovra di Massimo Carminati. E mentre Ignazio Marino annuncia l’arrivo a breve della sua
nuova “giunta della legalità” il Movi-
mento 5 Stelle torna all’attacco: “Il
sindaco vada via e subito alle urne”.Il
sindaco di Roma, in qualità di legale
pro tempore di Roma Capitale ha firmato oggi l’atto con cui formalizza alla
Procura la “costituzione dell’amministrazione quale parte offesa”. Una
mossa “in vista della futura costitu-
il Fatto Quotidiano
zione di parte civile dell’amministrazione nel processo penale”, per ottenere il risarcimento dei “danni morali e
materiali”. All’inizio della prossima
settimana potrebbe arrivare in Campidoglio la task-force di ispettori inviata dalla Prefettura come anche il pool
anticorruzione di Raffaele Cantone.
MAFIA CAPITALE, BOTTE AL FINANZIERE
SPRANGATE A CISTERNA (LATINA). IL SOTTUFFICIALE: “INDAGAVO SULLE COOP, ERO STATO MINACCIATO”. LA STORIA
di Valeria Pacelli
N
on sono solo gli imprenditori a subire
le vessazioni della
presunta Mafia Capitale. Nell’inchiesta su “Mondo di Mezzo” è finita anche la
storia del luogotenente della
Guardia di finanza di un paese
dell’Agro Pontino, che in pieno
giorno è stato aggredito da due
albanesi e picchiato ferocemente con un tubo di ferro. Una storia che parte da fuori Roma per
entrare nel cuore della Mafia
Capitale perché, stando al racconto del sottufficiale Gaetano
Reina, l’aggressione “è riconducibile all’attività” da lui svolta.
“Dal 2005 – ha messo a verbale –
ho svolto attività di ispezione
presso alcune cooperative a Cisterna di Latina, riconducibili a
Angelo Fanfarillo”. Ed è questo
nome ad accendere una luce
nella mente dei magistrati romani: le coop riconducibili a
Fanfarillo sono tra quelle che
“hanno riscosso cambiali senza
effettuare alcuna operazione
commerciale con la Uno srl, ma
che si presume abbiamo riconsegnato i soldi in forma anonima a Marco Clemenzi”. Quest’ultimo, al quale è riconducibile la Uno srl, è indagato perché “attraverso società a lui riconducibili, emetteva fatture
relative a operazioni inesistenti
verso cooperative gestite da Salvatore Buzzi”, il braccio “sinistro” di Massimo Carminati.
LA VITTIMA dell’agguato è ap-
punto Reina, vice comandante
della Gdf di Cisterna. L’aggressione avviene il 15 aprile scorso
quando Reina, come ogni mat-
tina, esce di casa e percorre il solito tragitto per andare al lavoro.
“Ho sentito un rumore di passi e
l’ombra di una persona che si
muoveva velocemente alle mie
spalle. Ho notato un uomo alto
circa 185 cm, corporatura snella
e carnagione tipo mulatto che,
brandendo un tubo di ferro,
tentava di colpirmi alla testa”.
LE BOTTE non sono finite per-
ché, prosegue la denuncia, l’uomo “tentava nuovamente di colpirmi, sempre alla testa”. Il luogotenente però riesce a disarmare il suo aggressore che scappa e
sale su una Mercedes. Poi scoprirà che a fare da “palo” all’aggressore – identificato anche questo –
è tale “Arbis Vjaerdha, un albanese, che era stato nel 2009 denunciato da me quale amministratore di due coop riconducibili
a Fanfarillo”. Circostanza questa
sulla quale i pm romani faranno
chiarezza, perché quel Fanfarillo
rappresenta il link tra l’aggressione del finanziere e l’inchiesta sul
‘Mondo di mezzo’, proprio per i
rapporti tra le coop a lui riconducibili e Marco Clemenzi, indagato nell’ambito di Mafia Capitale. Infatti, i pm romani il 5 dicembre scorso interrogano il vice
comandante Reina, il quale spiega che dal 2005 stava effettuando
una serie di verifiche sulle cooperative riconducibili a Fanfarillo e aggiunge: “Meno di un mese
prima dell’aggressione, durante
un’udienza al Tribunale di Latina, Fanfarillo mi avvicinò, con fare arrogante, mi disse che avrebbe fatto decadere tutto quello che
noi avevamo accertato. Ho percepito ciò come una minaccia”.
Inoltre “un prestanome di Fanfarillo mi ha detto che quest’ul-
COINCIDENZE Carminati
nella cella di Priebke
nella settima sezione del reparto “Nuovi
È
Giunti” di Regina Coeli. Massimo Carminati,
numero uno dell’ordinanza su Mafia Capitale che
ha portato in carcere 37 persone, è in una cella di
circa 10 metri quadri, con il bagno annesso. Il letto
con la branda. Sul tavolino, carta e penna. Prima di
lui per quella cella “erano passati Fabrizio Corona”, l’ex re dei paparazzi e “anche l’ex
capitano delle Ss, Erich Priebke”, spiegano all’Adnkronos alcuni agenti del
carcere romano. “I primi giorni ha mostrato atteggiamenti scostanti – raccontano ancora i baschi azzurri – è una
personalità forte, dai modi risoluti.
Uno abituato a comandare”. Ora il
“quarto Re di Roma” è solo, anche
all’ora d’aria. Incassa le limitazioni del suo nuovo
status, “ma non parla”. Il blitz del Ros che gli ha
fatto scattare le manette ai polsi su una strada di
Sacrofano, lo ha catapultato in un’altra realtà, fatta
di muri spessi, regole e sbarre. L’inchiesta del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, lo ha
riportato dentro. E ora ha 56 anni. “Negli ultimi
giorni sembra si sia reso conto che non sta più nel
Mondo di mezzo – dicono ancora gli agenti – in
carcere ci sono regole precise, e ognuno deve rispettarle”. Carminati “mangia poco” e soprattutto
“non parla con nessuno”.
timo aveva intenzione di reclutare due calabresi per farmi del male”. Venti giorni di prognosi per il
sottufficiale.
LE COOP RICONDUCIBILI a
Fanfarillo sono tra quelle che
“hanno riscosso cambiali senza
effettuare alcuna operazione
commerciale con la Uno srl riconducibile a Marco Clemenzi”, che risulta essere in contatto
con Buzzi. I due al telefono parlano di tutto. In una conversazione del 7 agosto 2014 discutono della gara d’appalto per
l’accoglienza agli immigrati.
L’INTRECCIO
Legami e presunte
false fatture
tra le cooperative
di Fanfarillo e Clemenzi,
indagato per i suoi
rapporti con Buzzi
Clemenzi: “Quale gara hai vin-
to?”
Buzzi: “Immigrati”
C: “Fratello ti voglio bene a tua
disposizione”
B: “Ancora devi trovare una
struttura te (...) pure a casa tua ci
possiamo mettere se fai un po di
negri”
C: “Ma quanti ne vuoi Salvatore i
capannoni miei”
B: “Anzi un po’ di negre tutte negre belle invitanti”
C: “Dove stai?”
B: “Ho mia moglie che mi sta a
mena’, ajo! (...)
B: “Ma la Lambo (la lamborghini, ndr)?”
C: “La Lambo tutto apposto, ho
fatto fare l’offerta”.
Ma Buzzi e Clemenzi parlano di
tanti argomenti. L’11 agosto
“Buzzi riferisce al Clementi di
essere con il ‘re dei rifiuti’ Cerroni per discutere di affari illeciti”. Buzzi fa il gradasso: “Indovina con chi sto (...) con Cerroni,
poi ti dico stiamo a tentare di fare delle cose... che ci arrestano a
tutti”. E Buzzi alla fine lo hanno
arrestati davvero, ma per altro.
FIAMME GIALLE Il sottufficiale aggredito è il vicecomandante della Finanza a
Cisterna di Latina Ansa
Il sistema di violenza del “Re”
AUTOIRONIA: “NON MI FREGA UN CAZZO DELLA VITA, MI FACCIO CREMA’ E POI BUTTA’ NEL CESSO”
di Antonio
Massari
niente, ma queste battute che fai... quattro uomini d’oro, chi te le dice queste
me non mi frega un cazzo della cose, perché fai battute che noi siamo i
vita” dice Massimo Carminati ai quattro uomini d’oro...”. E Carminati
suoi amici. Piuttosto, ha un progetto per sottolinea il concetto: “Quattro uomini
l’eternità e l’ha affidato al suo pollice: di piombo... guarda che noi la carta di
“Tanto io mi faccio crema’... e mi faccio identità te la famo manda’ dentro al cibutta’ nel cesso...” continua il “cecato” mitero, quattro uomini di piombo bello
davanti agli amici che ridono “e lascio in mio, stai sempre accorto a quello che
giro soltanto un pollice... voglio lascia’ dici...”. E se c’è qualcosa che gli “uomini
di piombo” non
in giro un pollice così, magari, dopo che sono morammettono sono i
ritardi nei rientro
to... fanno qualche ditata
IL DITO
dei soldi dati a ususu qualche rapina, su qualNe sa qualcosa
che reato, così dicono che
“Di me lascerò in giro ra.
un tale Riccardo,
sono ancora vivo...”.
che chiede soldi al
soltanto un pollice,
FINCHÉ è in vita davvero,
“bancomat”
del
magari poi lasciano
però, Carminati è a capo di
clan, il distributore
Mafia Capitale e la Procura
di Corso Francia, e
qualche ditata
di Roma non ha dubbi sulla
deve pagare le sue
sua forza d’intimidazione.
rate al gestore delle
su qualche rapina,
Da un semplice parcheggio
pompe di benzina,
così sarò ancora vivo” Roberto Lacopo.
al recupero crediti la minaccia della violenza è costante. Mario, il posteggiatore abusivo di piazza Vigna Stelluti, per esempio,
considerato il suo mestiere,
potrebbe rivelare agli sbirri
i suoi spostamenti. E non è
il caso. Peraltro, Mario ha
commesso l’errore di definire, il “cecato” e i suoi
compari, come i “quattro
d’oro”. E così, quando parcheggia l’auto, insieme con
il suo braccio destro Riccardo Brugia, decidono di
fargli un discorsetto: “Mario... guardace ‘na cosa,
l’avevi visto da dove siamo
scesi? Così se te lo chiedono
le guardie glielo dici da dove siamo scesi, glielo dici te
alle guardie... vieni qua,
mettiti seduto, che gli dici
te alle guardie di noi... Massimo Carminati, il giorno dell’arresto. A sinistra, Priebke
A
“Robi, m’hanno massacrato ieri sera. Mi
hanno picchiato in via Cola... avevi detto
che non mi toccavano...”. “Chi io?”, risponde Lacopo, “mica so er Padreterno... Quando uno picchia qualcuno è
perché se vede che ha fatto quarcosa,
sennò uno non lo picchiano...”. “M’hanno rotto le costole...”, continua Riccardo
che, un anno dopo, indebitatosi per 180
mila euro, ha chiesto al “Curto di Montespaccato” di intermediare con il clan di
Carminati. Che non la prende bene.
Questo comportamento, scrive il Ros
dei carabinieri, per Carminati equivale
“alla violazione del riconoscimento del
potere dell’organizzazione”: “lo ammazzo come un cane... ma magari me viene
con qualcuno, glielo dico: entro 48 ore
sei morto... ti saluto! ti saluto... entro 48
ore o ti ammazzo io o c’hai un uomo che
m’ammazza...”.
AL LIDO di Ostia, invece, c’è un ragazzo
che si comporta in modo “scorretto” con
Lorenzo Alibrandi, fratello di Alessandro, uomo dei Nar ucciso nel 1981 durante un conflitto a fuoco. “Ho dovuto
annà a cercà da solo ...”, dice Carminati
a Brugia, “gli ho fatto fa una cagata... a
uno che faceva il malandrino lì sulla
spiaggia là, so annato giù...”. Il ragazzo
prova a spiegargli di non sapere che Alibrandi era protetto dal “cecato” e Carminati. Continua a raccontare di avergli
risposto: “Invece no, lo sapevi, lo sapevi... che il fratello di quello era un compagno mio... il fratello di quello era un
mio compagno che è morto... cane pezzo
di merda”. Sui soldi e sul rispetto dei
patti, il “cecato” non pare far sconti a
nessuno, neanche a Riccardo Mancini,
l’amministratore di Eur Spa, in affari
con Carminati e il patron delle coop rosse Salvatore Buzzi. Quando Mancini si
mostra restio a pagare il dovuto alle cooperative di Bussi e Carminati ecco il
commento del boss: “Mo’ o famo strilla’
come un’aquila sgozzata”.
ROMANZO CRIMINALE
il Fatto Quotidiano
R
iesame, l’ex Nar
e i suoi cortigiani
rimangono in galera
L’IMPIANTO accusatorio della Procura di Roma nell’inchiesta “Mondo
di mezzo” è solido. Ne sono convinti i
giudici del Tribunale del Riesame che
hanno confermato il carcere per l’uomo considerato ideatore e capo
dell’organizzazione Mafia Capitale,
Massimo Carminati. Una vittoria si-
SABATO 13 DICEMBRE 2014
gnificativa per i pm che il giorno prima, nel corso dell’udienza davanti al
tribunale della Libertà avevano ribadito con forza che quello capeggiato
dall’ex Nar è un clan con dinamiche
mafiose. In carcere oltre al “Re” restano anche Riccardo Brugia (in foto),
braccio destro del “capo”, Roberto
7
Lacopo e Fabrizio Franco Testa. Confermato il carcere anche per Emilio
Gammuto a cui la Procura contesta il
reato di corruzione aggravata. I difensori di Carminati hanno annunciato il
ricorso in Cassazione in quella che si
annuncia come una vera battaglia legale senza esclusione di colpi.
TENTACOLI SULL’URBE
di Davide Vecchi
A
nche la criminalità
seleziona i talenti.
E il boss del mondo
di mezzo, Massimo
Carminati, è un attento e profondo conoscitore dei gruppi e
delle “batterie” che operano
nella Capitale. Nel corso di numerosi colloqui intercettati dai
carabinieri del Ros – e allegati
agli atti dell’inchiesta Mafia
Capitale svolta dai pm Michele
Prestipino, Giuseppe Cascini,
Paolo Ielo e Luca Tescaroli –
Carminati analizza e giudica le
varie realtà presenti a Roma,
stilando una sorta di pagella
del boss. Il Guercio, ad esempio, nota gli albanesi e il 15
gennaio 2014 ne parla con Simone Ariola, assessore al commercio del XV Municipio.
“Stanno diventando importanti a Roma, su certe attività
eh”, esordisce Carminati. “Tu
guardi i giornali, ogni giorno o
per un motivo o per l’altro pure oggi sul giornale c’era scritto
che ne hanno arrestati una decina, traffico di stupefacenti...
una cosa come avranno trovato un paio di dosi... una pietra
con un masso di 100 chili di
cocaina”.
INSOMMA questi qui, dice il
boss, mica si sporcano per due
dosi ma muovono 100 chili di
polvere bianca. “Che poi so tosti eh, so tosti”, prosegue Carminati. “Molti sono qua di seconda generazione, che magari
sono figli di Albanesi che hanno lavorato qua e quindi conoscono bene la lingua, conoscono bene il territorio, capito? E
poi rispetto alla malavita romana so’ cattivi, cioè non si inculano nessuno. È una malavita che si confonde bene nel
senso che parlano bene italiano, sono molto più inseriti dei
Le pagelle del capo
Il Cecato promuove
soltanto gli albanesi
“STANNO DIVENTANDO IMPORTANTI, SANNO LA LINGUA,
MICA COME I RUMENI”. BOCCIATI CASAMONICA E CAMORRISTI
rumeni”, riflette Carminati.
Degli uomini di Roberto Santoni di San Lorenzo riconducibili al clan Senese, Carminati
non sembra avere una gran
considerazione. Da boss fortemente interessato a evitare la
violenza, così da non attirare le
attenzioni della magistratura,
annotano gli inquirenti, Carminati dice che “so’ brutta gente”. Il 17 aprile 2013 racconta di
essere dovuto intervenire per
sedare un contrasto: “Sono andato da questi prima che prendano la pistola e sparano”,
spiega a Riccardo Brugia discutendo alla stazione di servizio
Eni di Corso Francia. “Quelli
so’ brutti forte compà”, ripete
riferendosi ai pregiudicati Daniele Carlomosti e Tomislav
Pavlovic. Carminati per risolvere il problema è costretto a
intervenire in prima persona e
impiega numerosi incontri per
raggiungere l’obiettivo “prima
che prendano la pistola”.
Non è un episodio isolato. Il Re
di Roma seleziona con attenzione ogni singola persona che
potrebbe in qualche modo essere coinvolta negli affari. Ad
agosto all’interno del bar Vigna Stelluti, insieme a Fabio
Gaudenzi e Roberto Fuligni,
Carminati deve decidere come
risolvere un problema di un
I VOTI AI “SUDDITI”
Gli uomini del clan
del napoletano Senese
”so’ brutta gente”.
Sul leader dei sinti, dice:
“C’è costato un sacco,
voleva anna’ pure in tv”
amico che ha un lido a Ostia ed
è infastidito da un personaggio
“enorme, con tatuato SPQR sul
braccio”, si lamenta l’amico.
“Guernini?”, chiede Carminati. “C’ha la pistola”, garantisce
Gaudenzi. “Ma è un disgraziato, stamo a parlà di un disgraziato... un cretino... ma non c’è
nessuno in giro”. Carminati
decide che andrà lui e gli altri
due. “L’aspettamo in spiaggia”.
Neanche dei Casamonica, clan
sinti il cui feudo è la Romanina,
Carminati ha una alta considerazione “criminale”. Ma è costretto a tenere buoni i rapporti, impossibile del resto non
averne. Così paga 20 mila euro
al mese a Luciano Casamonica
(non indagato), legato ai boss
Guerino e Giuseppe, e affida
alla famiglia la gestione del
guardianato del campo nomadi di Castel Romano. “Nun se
fanno rispettà” dai nomadi, loro hanno timore “solo della divisa”. E si lamenta in un’altra
telefonata Carminati: “Casamonica c’è costato, c’è costato
un sacco de roba”.
NON È IL SOLO. “M’hanno am-
mazzato co’ ‘sta storia de Luciano Casamonica, i giornali...
oh, ma sai che avevano chiamato Luciano stasera a Sky al
confronto tra Alemanno e Marino. So’ riuscito a convincerlo
a non annacce... ce voleva anna’. Lui ce voleva anna’, dice:
‘No, io non so’ pregiudicato’.
Gli ho detto ‘A Lucia’, ma statte
zitto va’. Vattenaffanculo”.
L’importante è capirsi. E scegliere il “personale” al meglio.
Ma tra “i pezzenti” de San Lorenzo e “st’incapaci che scendono a Ponte Milvio” per Carminati si salvano in pochi.
“Nun ce so più le batterie de ‘na
volta frate’”.
PAPPA E CICCIA Luciano Casamonica e Gianni Alemanno in una
cena del centro Baobab il 28 ottobre 2010. A sinistra, Massimo Carminati
STAMPA Saviano-Chiocci
scontro al vetriolo
u
Roberto Saviano attacca
:
S
“Politica e stampa intreccio perverso”. La storia, ormai nota, è quella dell’articolo
l’Espresso
Il Tempo
sollecitato dal braccio “sinistro” di
Massimo Carminati, il signore della
“coop 29 giugno” Salvatore Buzzi, tramite l’ex sindaco Gianni Alemanno,
al giornale di piazza Colonna. E
dell’incontro tra Carminati e il direttore del Tempo Gian Marco Chiocchi
nello studio dell’avvocato Naso. “Secondo il Ros – sostiene Saviano – non
c’era nessuna millantata intervista da
fare”, come invece ha dichiarato
Chiocci. “Clan, giornali compiacenti, politica: nulla a che fare con l’informazione”, conclude Saviano.
Replica Chiocci: “Il Tempo e i suoi cronisti hanno
esercitato il diritto di cronaca. Lo si capiva leggendo
l’informativa del Ros, lo ha sostenuto pubblicamente il procuratore Pignatone e lo scrive anche
Saviano, pure se non se ne accorge (gli capita spesso: ha copiato tanti articoli, senza accorgersene)”.
“Le Monde”: una grande piovra nera su Roma
VISTI DALL’ESTERO: PER IL GIORNALE FRANCESE SULLA CAPITALE ITALIANA SI È ABBATTUTO “IL FLAGELLO DELLA CORRUZIONE”
di Stefano
Citati
ista da fuori la Roma criminale è
V
il solito impasto di italianità,
che conferma l’immagine di un Paese
immobile nella sua corruzione irredimibile, stantio e incapace di uscire
dai suoi cliché. Il riflesso di un carattere nazionale venato di inefficienza e, collusioni, eppure che si
sorprende di vedere la sua immagine
così turpe. “Perfino per un Paese in
cui la corruzione è data per scontata
nella vita quotidiana, le rivelazioni
hanno sbalordito i cittadini”, scrive
sul New York Times Elisabetta Povoledo, corrispondente del quotidiano
americano, in un’articolo titolato
“L’Italia rantola per l’ampiezza della
rete criminale”. La corrispondente
del quotidiano conservatore tedesco
Die Welt, ha raccontato all’inizio della
settimana con un’ampia inchiesta
della corrispondente Constanze
Reuscher luoghi e personaggi di Roma criminale.
Spesso in Italia si sostiene che la
stampa estera dia un’immagine stereotipata del nostro Paese, soprattutto per quel che riguarda gli scandali,
senza badare che i corrispondenti
delle grati testate internazionali spesso non fanno che reinterpretare e riproporre l’immagine formulata dai
nostri media. Un gioco di specchi dove la differenza sta solo nelle diverse
formule linguistiche e nell’efficacia
delle frasi che sintetizzano gli scandali. A esempio la grande piovra assisa tra le cupole delle chiese e i cui
tentacoli abbrancano la capitale ideata dalla disegnatrice Aline Boureau
1977-2014
La famosa copertina del settimanale
tedesco Der Spiegel
di fine anni Settanta a confronto con
la grande piovra
nera comparsa su
Le Monde ieri
per l’articolo di Le Monde “A Roma il ’70 - ’80. E la percezione del nostro
flagello della corruzione”, ricorda Paese non pare esser cambiata poi di
l’immagine tranchant dello Spiegel molto nei media internazionali. Tracon la scodella di pasta sulla quale era montata l’era Berlusconi - “Unfit to
poggiata una pistola: “Italia paese rule Italy”, secondo la definizione asdelle vacanze” - era il 1977.
surta a tormentone, dell’Economist - è
rimasto l’arma“Roma città in vendita”,
titolava il giornale della
mentario intergauche parigina, ex fepretativo di semIL NEW YORK TIMES pre, il cui magnomeno editoriale ormai sbiadito, Libération
pregio è la
“L’incontrollata e diffusa gior
(che ieri tornava a ocsintesi e la semcuparsi dell’Italia con
plicità delle spiesottrazione di fondi
un netto: “Sinistra congazioni dell’eterstatali ha portato
tro sinistra” a proposito
na situazione italica:
“Virtualdella lotta fratricida Pd
il livello del debito
renziano-sindacati).
mente, non c’è
Nel suo articolo Eric Joangolo dell’Italia
pubblico italiano al più
zef, decano dei corriche sia immune
alto livello d’Europa”
spondenti esteri (come
dall’infiltrazione
del resto il collega Phicriminale”. “La
lippe Ridet di Le Monde,
diffusa e inconaltro quotidiano transalpino in crisi) trollata corruzione, con sottrazione
ricapitola lo scandalo della “ville con- di fondi pubblici rivelata dall’inchietaminée” e mette l’accento sulle con- sta è un’esempio della situazione che
nessioni politiche della banda crimi- ha portato il debito pubblico dell’Itanale. “La mafia non uccide, corrom- lia a uno dei livelli più alti in Europa”,
pe”, spiega il settimanale, sempre parole di Povoledo. Molto più chiare
francese, L’Express. Sintesi che paiono e definitive delle paginate dei giortitoli di B movies italiani degli Anni nali del Belpaese.
8
ROMANZO CRIMINALE
SABATO 13 DICEMBRE 2014
A
lla “29 Giugno”
anche 800 mila euro
per le piste ciclabili
NELL’ESTATE DEL 2013 la cooperativa guidata da Salvatore Buzzi, braccio “sinistro” di Massimo Carminati,
ottenne un appalto da 800 mila euro
per la manutenzione delle piste ciclabili della città. È quanto emerge da una
informativa del Ros depositata dalla
Procura al Riesame. Per questa opera-
zione un ruolo fondamentale è svolto,
secondo gli inquirenti, da Claudio Turella, funzionario del X Dipartimento
di Roma Capitale (Tutela ambiente e
verde-Protezione Civile) e ritenuto
dagli inquirenti colui che “garantiva al
sodalizio continuità tra le diverse
Giunte capitoline, consentendogli di
esercitare pertanto le proprie influenze, indipendentemente dall’area politica al potere”. Per questo appalto il
funzionario si sarebbe mosso, in base
a quanto ricostruito dal Ros, per far ottenere gli 800 mila euro “al netto
dell’Iva invece che comprensivo di
quest’ultima imposta”. In cambio, Tu-
“Mucche da mungere”
e “un anno di sfollati”
Il frasario di Buzzi
Massari
e Valeria Pacelli
L
o sai il proverbio
della mucca? Se la
mucca non mangia, non può essere
munta”. È questa la filosofia
di Salvatore Buzzi, laureato
in Lettere moderne, patron
della “coop 29 giugno”, braccio “sinistro” di Massimo
Carminati, compagno di carcere di Gianni Alemanno negli anni 80, miracolato dalla
legge Gozzini e graziato dal
presidente Oscar Luigi Scalfaro, dopo anni di detenzione
per un omicidio con 34 coltellate. Rispetto alle teorie del
“Cecato” e alla sua suddivisione del mondo in segmenti
paralleli – il mondo di sopra,
il mondo di sotto, il mondo
di mezzo – il linguaggio di
Buzzi vagheggia di “mucche”, oppure di “monnezza”,
come quando augura il buon
anno ad Angelo Scozzafava,
ex direttore del dipartimento
Promozione dei servizi sociali e della salute del Campidoglio.
ED ECCOLA ancora la filoso-
fia di Buzzi, racchiusa
nell’sms rivelato ieri dal Corriere della Sera: “Speriamo che
il 2013 sia un anno pieno di
monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori, piovoso
così cresce l’erba da tagliare e
magari con qualche bufera di
neve: evviva la cooperazione
sociale”. È questa la considerazione che Buzzi ha dei più
deboli, degli emarginati, dei
minori: per lui sono soldi.
Tanti soldi: “C’hai idea di
quanto ce guadagno sugli immigrati?”, dice in una ormai
famosa intercettazione, “il
traffico di droga rende di meno”. Soldi che divide con Carminati, che di lui si fida: “Io
c’ho ... c’ho ... i soldi suoi, lui
sai cosa m’ha detto quando...
c’aveva paura che
l'arrestavano.. è venuto da me
e dice ‘guarda, qualunque cosa succede, ce l’hai te, li tieni
te e li gestisci te, non li devi dà
a nessuno, a chiunque venisse
qui da te... nemmeno mia
moglie’, non so’ soddisfazioni?”.
Sono amici il “Cecato” e Buzzi, al quale piace vantarsi delle
donne di cui si circonda: “Io
non mi posso lamentare...
c’ho Alessandra ... c’ho Piera
che
ventott’anni... poi ce n’ho altre due, scopo... oh scopo tutti
i giorni... tutti i giorni... ogni
tanto mi ci vuole un incentivo
perché se no non ce la fai...”.
Buzzi il “rosso” e Carminati il
“nero” insieme persino nella
cooperativa 29 giugno dove,
secondo il dirigente Claudio
Bolla, il “Cecato” diventa persino socio.
I SOCI ORA PERÒ sono in
IL MESSAGGIO
Gli auguri
del “compagno”
Salvatore: “Un 2013
pieno di profughi,
immigrati, minori
e un po’ di neve”
carcere. Massimo Carminati,
ritenuto il capo dell’associazione, è a Rebibbia. Buzzi ieri
è stato da Regina Coeli al carcere di massima sicurezza di
Nuoro, Badu ‘e Carros, lontano da quella Roma dove faceva da padrone. Ora rischia
un processo e una condanna
per mafia. L’assassino s’è trasformato nel burocrate della
cooperazione sociale, che
sborsa tra i 5 mila e i 10 mila
euro per finanziare il Pd targato Matteo Renzi, partecipando alla cena di finanziamento del 7 novembre scorso, ma non ha mai dimenticato i suoi modi spicci e le
minacce di violenza che ben
si attagliano al “mondo di
rella “avrebbe avanzato la richiesta di
100 mila euro, successivamente rinegoziata - scrivono i carabinieri - in 30
mila come prezzo per l’atto contrario
ai doveri di ufficio”. In una intercettazione Buzzi, confermando che Turella
era uomo vicino al clan, afferma che
”gli davamo la pagnotta pure a lui...“.
IN SICILIA
Migranti
nel centro di Mineo (Catania), a centro pagina Salvatore Buzzi, responsabile
della coop 29 giugno Ansa
mezzo” che amministra con
Carminati.
Quando l'ex consigliere
d'amministrazione di Atac
Spa, Andrea Carlini, gli crea
dei problemi, perché è uno
che “parla in libertà”, invita il
parlamentare del Pd Umberto Marroni a redarguirlo. E a
quel punto Carlini gli fa notare al telefono: “io non lavoro ne pe' te
ne pe' Marra ... lavoro con
Umberto, non per Umberto...
non sono un suo dipendente... sono le regole della buona
creanza... vaffanculo”. La reazione di Buzzi è istantanea:
“Dimmi dove sei che ti vengo
a raggiunge' e ti spacco il culo
subito, dove sei pezzo di me
...?” “A piazza della Consolazione...”, risponde Carlini.
E Buzzi incalza: “A testa di
cazzo! Dimmi dove sei che ti
spacco il culo subito...”. L’incontro si chiuderà con una
stretta di mano.
TELEFONATE E SMS DELL’UOMO DELLA COOP PIGLIATUTTO:
”MONNEZZA”, “DONNE DA SCOPARE” E TANTI TANTI SOLDI
di Antonio
il Fatto Quotidiano
CLICK
L’ostinata macumba
dei fantaccini d’inchiostro
di Pino Corrias
IL PROBLEMA non è Giuliano Ferrara che ormai spiega l’eucarestia al Papa, scrive fantasiose
cronache su tutto lo scibile e persino irresistibili interviste al
suo capo usando così tanti congiuntivi che al vero Silvio verrebbe il mal di testa solo a pensarli. Il problema è che ormai
tutta la brigata del suo Foglio – penna per penna, adulto per
adulto – gli va dietro a testa bassa, anzi danzando. Ignara di
ogni altra sollecitazione o dubbio o senso del ridicolo.
Siccome ipse dixit, chissà per quale capriccio pensato in una
notte insonne, che la mafia appena illuminata a Roma non è
mafia, ma bassa combriccola romanesca, faccenda di lestofanti dediti al furto d’orologi senza destrezza, alla minaccia
senza lupara, all’usura senza tritolo, ecco che tutti i suoi fantaccini d’inchiostro suonano la stessa musica, anzi la danzano.
Carminati? Un borgataro da due lire. Buzzi? Un ex galeotto
che si arrangia. Gli appalti pubblici incassati? Briciole. Il comune passato fascista? Folclore. L’infezione che si propaga alla
politica? Un raffreddore. C’è così tanta ostinazione nel voler
ridurre l’incendio al lampo di un fiammifero, che sembra una
macumba. Ben altra era la minaccia della Panda rossa.
A Latina intercettare non si può
ANCHE PERCHÉ, come anno-
ta il Ros dei carabinieri, i due
discutono anche di affari immobiliari: “Carlini ha chiesto
a Buzzi di acquistare, in suo
favore, un appartamento di
50 metri quadri”. E ancora: “.
”Le conversazioni rivelavano,
comunque, come dette elargizioni fossero funzionali ad
ottenere illeciti vantaggi in
procedimenti pubblici amministrativi”. E il 14 marzo
viene intercettata una conversazione all'interno degli
uffici di via Pomona, quelli
della cooperativa 29 giugno,
nel corso della quale Buzzi
“riferiva che a breve avrebbe
incontrato Carlini” e commentava: “glie compreremo
‘na casa”. Anzi, per la precisione: "Mi compro pure
lui...”. Tanto la morale è sempre la stessa: “Lo sai il
proverbio della mucca? Se la
mucca non mangia, non può
essere munta”
Il procuratore capo
di Roma Giuseppe
Pignatone Ansa
LA DENUNCIA DEL PROCURATORE DI ROMA IN ANTIMAFIA: “GLI INDAGATI PUNTUALMENTE AVVERTITI”
di Rita
Di Giovacchino
i una cosa soltanto si è lamentato PiD
gnatone, giovedì scorso, di fronte alla
commissione parlamentare Antimafia: le
enormi difficoltà incontrate a Latina nel lavoro sul territorio. Che la quinta provincia
del Lazio non fosse una zona facile, per il
radicamento di ceppi mafiosi che si estendono tra il litorale a sud di Roma e il confine
con la Campania, già si sapeva. Alla camorra
che controlla ristoranti e night e alla ’ndrangheta che estende i suoi tentacoli sul mercato
ortofrutticolo di Fondi vanno aggiunte le
estorsioni ai commercianti e le minacce ai
magistrati. La più eclatante i manifesti a lutto
contro il giudice antimafia Luisa Aielli che
ieri ha incontrato Rosy Bindi in visita al Tribunale di Latina. Ma a ciò va aggiunto che di
recente, proprio quando il cerchio si andava
stringendo su livelli superiori, si sono verificate inquietanti e mirate fughe di notizie
che hanno rischiato di vanificare gli sforzi
della Dda del Lazio.
“In più occasioni i decreti di intercettazione
sono finiti nelle mani sbagliate, esistono
realtà in cui la compenetrazione dei diversi
interessi è tale che la persona intercettata
difficilmente ne resta all’oscuro per più di
trenta o quaranta giorni, in poche parole viene puntualmente avvertita. E le indagini di
mafia, senza intercettazioni, sono impossibili”, ha spiegato l’aggiunto Michele Prestipino dopo la denuncia del procuratore. di
Roma.
Un amaro j’accuse, che per fortuna sembra
non aver influito sui risultati finali, acuito
dal fatto, secondo Prestipino, che “le forze di
polizia che lavorano su Latina sono abituate
a dialogare più frequentemente con la Dda di
Napoli che non con quella di Roma”. Ma il
dato più allarmante resta il fatto che a gestire
le intercettazioni sono state agenzie poco affidabili, come conferma un oscuro episodio
avvenuto nel 2011 quando, del tutto casualmente, i carabinieri si trovarono a perquisire
a Roma un uomo che vestiva un giubbotto
antiproiettile. Lo strano personaggio, che di
lì a poco si sarebbe definito “un agente del
Mossad”, aveva addosso “atti giudiziari con
decreti di intercettazione della Dda di Roma,
appena firmati, trascrizioni di intercettazioni appena iniziate, tanti altri atti e tante altre
cose”, ha denunciato il procuratore aggiunto
Prestipino.
L’UOMO “DEL MOSSAD”
Un sedicente “agente israeliano” nel 2011 fu trovato in possesso
di atti riservati provenienti da un’agenzia del capoluogo pontino
impegnata in attività di ascolto disposte dalla magistratura
L’UOMO CONSEGNÒ anche
una tessera del servizio segreto israeliano, tutta da verificare, ma da accertamenti
successivi è risultato che il
soggetto collaborava con una
società inglese che faceva intercettazioni per conto terzi
ed era collegata
con un’analoga
società di Latina.
“Scopriamo
dunque che c’è
un signore che
gestisce
quasi
tutte le attività di intercettazioni su Latina
che aveva ritenuto lecito e opportuno subappaltare il servizio dell’attività a un personaggio con la tessera del Mossad”, ha aggiunto il magistrato. C’era forse un interesse
da parte di “agenzie” straniere sull’attività di
indagine della procura di Roma?
La commissione antimafia, che ieri con il
presidente Rosy Bindi si è recata a Latina per
acquisire documenti e svolgere audizioni, intende approfondire lo strano episodio. Nonostante le difficoltà in provincia di Latina di
recente ci sono stati arresti e sequestri di beni
nei confronti di appartenenti ai camorristi
del clan Mallardo Ascione.
[email protected]
POTERI E PALAZZI
il Fatto Quotidiano
G
rillo, oggi
a Genova raccoglie
firme contro l’euro
CONTRO L’EURO da casa sua. Oggi pomeriggio
Beppe Grillo sarà a un banchetto di Genova (zona
San Lorenzo) per lanciare la raccolta di firme per il
referendum dei Cinque Stelle contro la moneta unica. “Altro che obiettivo 500 mila sottoscrizioni, saremo ricoperti dalle firme” ha assicurato Grillo ai
suoi secondo l’Adnkronos. Sul suo profilo Facebook,
il fondatore del M5S chiama a raccolta: “Domani è il
#firmaday, primo giorno per firmare sul referendum
euro! Sciarpa, cappotto e documento alla mano: vi
aspettiamo ai banchetti in tutta Italia!”. Per ribadire
il concetto, anche un post sul blog di Grillo, che gioca
sul doppio significato dell’acronimo Bbb-: tre lettere
che evocano l’attrice francese Brigitte Bardot (più
nota come BB), ma anche il rating a cui Standard &
Poor’s ha appena retrocesso l’Italia. “Non è Brigitte
SABATO 13 DICEMBRE 2014
9
Bardot, è spazzatura” urla il titolo, corredato con foto dell’attrice ed esortazione: “Il 13 dicembre firma
contro l’euro”. Nel post, previsioni apocalittiche: “Se
nessuno comprerà più i nostri titoli, 400 miliardi nel
2015, il bilancio dello Stato crollerà e arriverà il default. Arriverà la troika? Forse entro la primavera. Di
certo questo governo non sta più in piedi, basta un
soffio di vento per farlo cadere”.
PIÙ CARCERE PER I CORROTTI,
MA NON PER “MAFIA CAPITALE”
PENE PIÙ DURE, PRESCRIZIONE PIÙ LUNGA E CONFISCHE PIÙ FACILI, MA IL MINISTRO
CI SPIEGA: “QUESTE NORME NON SARANNO APPLICABILI ALL’INCHIESTA ROMANA”
di Marco Palombi
P
ene più severe, prescrizione aumentata,
misure più efficaci
per recuperare il
maltolto. Questi i contenuti aggiuntivi al ddl Orlando sulla criminalità economica - che è
all’esame del Senato da fine novembre - che il governo ha approvato ieri sera in un apposito
Consiglio dei ministri. Si potrebbe dire che forse il governo
poteva pensarci prima, e effettivamente una settimana fa le
stesse norme che il Guardasigil-
li ha fatto passare ieri erano state bloccate dal no di Angelino
Alfano, però adesso c’è di mezzo l’inchiesta su Mafia Capitale
e quindi non si può dare l’idea di
perdere tempo: “In Consiglio
c’è stata piena condivisione”, ha
potuto dire Renzi ieri sera.
MISSIONE COMPIUTA, si dirà,
ma solo a livello mediatico: le
nuove norme infatti, vendute
come reazione a Mafia Capitale,
non saranno comunque applicabili ai reati commessi prima
dell’entrata in vigore. Lo spiega
al Fatto Quotidiano lo stesso
CARTOLINA
Capitalismo, noi complici
dell’omicidio
di Franco Arminio
IL CAPITALISMO sta uccidendo il pianeta.
Il pianeta non può uccidere il capitalismo. Il sole non ha
le unghie, l’erba non ama la lotta. Noi umani che crediamo di
pensare a un altro mondo, abbiamo poco tempo prima della
fine e allora dobbiamo lottare non c’è altro da fare che lottare,
pure l'amore è un episodio della lotta.
Il capitalismo ti fa scrivere, dipingere, fotografare, ti fa fare un
film, ti offre dieci amanti, il capitalismo ti vuole creativo, così
creativo che non t’accorgi che tu sei morto e lui vivo.
Il capitalismo è un omicidio e noi siamo complici. Il mondo non
è più il mondo, ma la scena del crimine. L'unica innocenza è
ritirarsi in un angolo sperduto del mondo e in un angolo sperduto della propria testa.
Il capitalismo ha molti miliardi di seguaci. Noi siamo poche
migliaia in tutto il mondo, noi che non sappiamo chi siamo, noi
che rovistiamo nella lingua per tenere a bada la morte, come
se dovessimo morire solo noi e non pure i miliardi di seguaci
del capitalismo. Il capitalismo fuori dal sistema solare non è
niente, nessuno ne sa niente.
Guardasigilli, Andrea Orlando:
“No, non saranno applicabili ai
reati di ‘Mafia Capitale’ se non
forse per alcuni aspetti patrimoniali”. L’articolo 25 della Costituzione, d’altronde, è assai chiaro: “Nessuno può essere punito
se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del
fatto commesso”. La questione
dei tempi, dunque, è pura propaganda: il governo approva in
Consiglio dei ministri proposte
da inviare in Senato una settimana dopo l’esplosione dell’inchiesta sul “Mondo di mezzo” di
Massimo Carminati e soci.
SOLO UNO SPOT
In Senato c’è da 18 mesi
il ddl Grasso, che
contiene buona parte
delle “novità”annunciate.
Casson: “Se votavamo
quello, facevamo prima”
Queste norme non hanno, però,
alcuna speranza di influire
sull’inchiesta in corso a Roma e
peraltro arrivano - ironia della
sorte - proprio a Palazzo Madama, dove un ddl anti-corruzione giace abbandonato da un anno e mezzo: porta la firma del
presidente del Senato Pietro
Grasso e contiene già molti dei
contenuti approvati ieri a palazzo Chigi. Il senatore Pd Felice
Casson l’ha detto chiaramente:
“Bastava che il governo desse via
libera al disegno di legge fermo
in commissione Giustizia al Se-
nato: faremmo pure più in fretta”. Ma il punto non è fare in
fretta - visti i probabili, lunghissimi dibattiti da azzeccagarbugli
che inizieranno ora alle Camere
- ma dare l’impressione di reagire allo scandalo romano.
Veniamo ai contenuti, che - dal
poco che si è capito ieri sera sono comunque un passo avanti
rispetto a oggi. Si tratta, in sostanza, di aumentare le pene per
la “corruzione propria” (restano
fuori quella giudiziaria e l’induzione illecita): la minima passa
da 4 a sei anni, la massima da 8 a
dieci, il che fa conseguentemente aumentare anche i tempi di
prescrizione. Sul punto, però,
c’è anche un’altro intervento: la
prescrizione verrà bloccata automaticamente per due anni dopo il primo grado e per uno dopo l’appello. Meno chiaro il
meccanismo sul recupero del
“bottino”, anche se il premier ha
sostenuto che si tratta di un modo per rendere più facile la confisca dei beni e che sarà applicabile anche agli eredi.
FORSE È COLPA del viaggio di
due giorni in Turchia da cui è
atterrato giusto ieri pomeriggio,
ma il premier sembra più confuso del solito: vorrebbe dire che
è tutto a posto, eppure non può
rinunciare a attaccare il vecchio
sistema corrotto. La rottamazione è uno sport logorante, si
sa. E infatti prima dice che “la
lotta alla corruzione non si fa
con le norme, è una grande questione educativa e culturale”,
poi però magnifica l’aumento
delle pene “perché ci sono patteggiamenti che consentono di
non andare in carcere e tenersi
pure una parte dei soldi” (il ri-
Ieri Matteo Renzi è rientrato dalla visita ufficiale in Turchia Ansa
LA COSTITUZIONE
“Nessuno può essere
punito se non in forza
di una legge entrata
in vigore prima del fatto”.
Carminati e gli altri
possono stare tranquilli
ferimento è alla fine in gloria
delle inchieste su Expo e Mose,
in cui quasi tutti hanno patteggiato pene basse e restituito cifre
decisamente contenute). In
realtà poi Orlando spiegherà
che con le nuove pene “il patteggiamento non esclude la pena detentiva”, ma non la comporta automaticamente.
Finita? Macché. Il Renzi di ieri
era un pendolo in incessante
movimento tra l’italian pride e il
vigore giustizialista: prima cita
Transparency International e i
suoi pessimi dati sull’inflazione
percepita, poi però dice che “noi
non siamo d’accordo con chi dice che l’Italia è piena di corruzione”. Pure lo slogan gli esce
così così: ripete un paio di volte
una cosa tipo “pagare fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo centesimo” e poi s’incarta sul non
entusiasmante autoritratto “siamo il governo che ha l’ambizione di fare di più contro la corruzione”. E ancora: don Ciotti
dice che l’autoriciclaggio è un
compromesso al ribasso? “Non
è così, ma comunque almeno
noi l’abbiamo messo l’autoriciclaggio. C’è chi fa le cose e chi...”,
poi siccome di don Ciotti non
può dire che chiacchiera e basta
cambia discorso. La chiusura è
“un appello ai magistrati” - in
cui include pure il Guardasigilli
bordeggiando l’incidente costituzionale - “a fare rapidamente i
processi per avere le sentenze il
prima possibile”. Così, per curiosità, per vedere se “Mafia Capitale” può essere smantellata
con le vecchie leggi. Lui, intanto,
ha fatto il suo spot.
Casaleggio chiama, Milano non risponde
IL “GURU” DEL M5S RIAPPARE ALL’INCONTRO ORGANIZZATO DAI 5 STELLE CON LA POLIZIA. TEATRO SEMIVUOTO, COMPLICE LO SCIOPERO
di Gianni Barbacetto
Milano
ianroberto Casaleggio torna a parlare in
G
pubblico, a Milano. Nell’auditorium Giorgio Gaber del grattacielo Pirelli, sede del Consi-
glio regionale, ha introdotto l’incontro tra cittadini e polizia organizzato dal Movimento 5 stelle.
“La polizia non può essere vista come nemico”, ha
detto il cofondatore del movimento, davanti a un
pubblico poco numeroso. Platea dell’auditorium
quasi vuota, per l’orario scelto, a metà pomeriggio, e per la giornata difficile, un 12 dicembre di
sciopero dei mezzi pubblici e di traffico indiavolato in città. “Anche oggi ci sono stati scontri in
piazza tra cittadini arrabbiati e cittadini in divisa”,
ha continuato. Il riferimento era ai tafferugli
scoppiati a Milano e Torino durante i cortei organizzati in occasione dello sciopero generale indetto da Cgil e Uil. “Vorrei che non si verificassero
più fatti come questi. Voglio vedere i poliziotti
come coloro che difendono la sicurezza dei cittadini, che è sempre di meno nelle grandi città, e
non coloro che difendono il potere. Chi va in piaz-
za si trova davanti un uomo in divisa che a volte
guadagna meno di lui”. È il primo incontro di una
serie, a Milano, Roma e Palermo, per far dialogare
cittadini e forze dell’ordine in una fase di tensioni
sociali. Per l’occasione, Casaleggio presenta anche il calendario 2015 dei “Santi laici” pubblicato
dal Movimento 5 Stelle, giunto alla nona edizione:
quest’anno è dedicato ai poliziotti “caduti
nell’esercizio del proprio dovere”.
CASALEGGIO cita Manuela Loi, uno degli agenti
della scorta di Paolo Borsellino uccisa insieme al
magistrato e ai suoi compagni in via d’Amelio. “Ci
sono i poliziotti che hanno dato la vita coscientemente per proteggere qualcuno. E poi ci sono i
servizi segreti deviati: e chissà se deviati sono quelli
buoni o quelli cattivi”. Ricorda due lapidi che si vedono nelle vie di Milano, quella dedicata al commissario Luigi Calabresi e quella per Giorgio Ambrosoli (nome che recupera solo dopo un momento di amnesia). “Queste persone sono state dimenticate e hanno dato la vita. Io stasera le vorrei ricordare e spero che il rapporto tra le forze dell’ordine e i cittadini diventi un rapporto umano. Vi-
vono ogni giorno situazioni di pericolo, come capita sempre più spesso a Milano”, ha proseguito.
“Ambrosoli, ecco, ora mi sono ricordato: Ambrosoli non aveva la scorta, aveva solo un signore della
Guardia di finanza che lo seguiva”. Era il maresciallo Silvio Novembre. “E quando è morto, ai
suoi funerali non c’erano autorità pubbliche, perché nella torta c’erano tutti, proprio come oggi a
Roma, nell’inchiesta Mafia Capitale: nella torta ci
sono tutti”. I poliziotti “non hanno le fotocopiatrici, non hanno la carta, non hanno la benzina per
le macchine. E adesso il governo vuole anche tagliare le caserme dei carabinieri e della polizia”.
Quando li si chiama, “arriva prima la pizza della
polizia”, ha concluso Casaleggio, “ma non è colpa
loro”. La parola è poi passata a Massimo Cerè:
“Faccio da trent’anni il poliziotto a Bologna, nel Reparto Mobile, che poi è la Celere. Ci troRISPETTO PER LE DIVISE
viamo a far da barriera alla giusta
rabbia della gente”.
Il cofondatore: “Gli agenti non possono
Il vicepresidente della Camera
essere visti come un nemico, spesso
Luigi Di Maio spiega che ormai
guadagnano meno di chi va in piazza”
nelle piazze “si confrontano cittadini in divisa e altri cittadini
che hanno ragione a essere arrabbiati e che nessuno ascolta”.
DI MAIO, BUFFETTO PER IL COLLE
Bisogna sostituire il dialogo allo
scontro: “Chi ci definisce antiIl vicepresidente della Camera: “Chi
politica”, ha concluso Di Maio,
ci definisce antipolitica venga a vedere
“venga a vedere che cosa stiamo
cosa stiamo facendo qui”
facendo qui”.
CATTIVI AFFARI
il Fatto Quotidiano
Pla rofit
warning,
Consob multa
la Saipem
LA CONSOB ha comminato una multa
di 80 mila euro a Saipem in merito alla
comunicazione del profit warning lanciato dalla controllata di Eni a gennaio
2013. Lo si apprende nel bollettino diffuso dalla Commissione. L’autorità fa
riferimento "al comunicato stampa diffuso da Saipem il 29 gennaio 2013, con
il quale la società, al termine di una riunione straordinaria del cda, ha reso note al mercato la revisione delle previsioni sui risultati del 2012 e le previsioni
sui ricavi e risultati del 2013 (profit warning)". La violazione di Saipem (che ieri
ha perso il 5,64% in Borsa dopo il congelamento della cessione) riscontrata
SABATO 13 DICEMBRE 2014
11
dalla Consob è stata quella di “non aver
comunicato senza indugio al pubblico
l’informazione privilegiata contenuta
nel comunicato stampa del gennaio
2013 e i rilevanti scostamenti delle stime relative ai dati pre-consuntivi per il
2012, rispetto ai dati in precedenza resi
pubblici”.
LA DOPPIA G TRABALLA, GUCCI
LICENZIA I SUOI MANAGER DI PUNTA
LA GRIFFE DI MODA METTE ALLA PORTA FRIDA GIANNINI E IL COMPAGNO AD
di Camilla Conti
G
Milano
iù dalla passerella
di Gucci. Il miliardario
francese
François-Henri Pinault, patron del gruppo del
lusso Kering che controlla la
griffe della doppia G oltre a
Saint Lorent e Puma, ha licenziato sia il direttore creativo
Frida Giannini sia l’amministratore delegato – nonché
compagno della Giannini – Pa-
trizio Di Marco. Negli uffici
milanesi del marchio Gucci, la
notizia del duplice addio al vertice è arrivata come un fulmine
a ciel sereno mentre Giannini e
Di Marco sarebbero stati informati della decisione di Pinault
da almeno una settimana.
NESSUNA motivazione uffi-
ciale, anzi, il divorzio è stato accompagnato dal ringraziamenti di rito. Ma i boatos che arrivano dal fashion system puntano il dito nella stessa direzio-
RAGUSA Il gip convalida:
la mamma resta in cella
l Gip di Ragusa, Claudio Maggioni, ha conI
validato il fermo di Veronica Panarello, mamma del piccolo Loris. Nell’ordinanza di custodia
cautelare il gip scrive che la vettura della mamma il
29 novembre scorso risulta “essere passata per due
volte dal Mulino vecchio”, zona dove è stato ritrovato il corpo del bambino. “Non si è trovata
dove diceva di essere ed è provato che nello stesso
tempo era altrove”. La Polizia Postale ha acquisito
anche il cellulare di un’amica della donna, a rivelare di aver usufruito di quel telefonino è stata la
stessa mamma di Loris parlando con gli investigatori. Veronica Panarello si trova in stato di fermo
perché accusata di aver ucciso il figlio e di averne
occultato il cadavere a Santa Croce Camerina. “Ne
prendiamo atto e andiamo avanti”. Questo il breve
commento dell’avvocato Francesco Villardita, legale della donna. Nell’interrogatorio di garanzia la
mamma ha continuato a respingere le accuse e a
ripetere la sua versione dei fatti, secondo cui ha
lasciato Loris davanti alla scuola.
ne: la coppia è stata scaricata
perché non funziona più dal
punto di vista degli affari. Ovvero, non fa guadagnare Pinault che quindi ha accompagnato entrambi alla porta. La
Giannini lascerà a fine febbraio
dopo aver presentato la collezione donna autunno/inverno
2015-2016 mentre Di Marco libererà il posto il primo gennaio. Al suo posto andrà Marco
Bizzarri, dallo scorso aprile ceo
della divisione Luxury-Couture & Leather Goods di Kering,
ma la soluzione potrebbe essere
solo temporanea per poi procedere alla scelta di un manager
esterno. Fra i candidati a prendere il timone della creatività ci
sarebbe invece Riccardo Tisci,
oggi in Givenchy.
LA STORICA griffe fiorentina
pesa per il 30% sui ricavi di Kering. Nel terzo trimestre dell'anno l’ammiraglia del gruppo
ha registrato un calo dell'1,6%
(che segue una flessione del
3,2% del primo e del 5,7% del
secondo trimestre), mentre i ricavi di Saint Laurent sono cresciuti del 28% e quelli di Bottega Veneta del 10 per cento.
Anche la Cenerentola di casa,
Puma, è riuscita a strappare un
+2,8% in un panorama altamente competitivo con Nike
che la fa da padrone sul mercato americano con una quota
del 60%.
Certo, il settore del lusso paga
oggi la debolezza dell’economia cinese, che sta ufficialmente rallentando il passo. A questa
si aggiunge la crisi della Russia
e il crollo del rublo, che ha perso il 40% da inizio anno. Ma in
casa Gucci, al netto delle difficoltà congiunturali, si sarebbero sommati alcuni errori nella strategia sia creativa sia manageriale con il
risultato che le
vendite soprat- GLI EX Fritutto della linea da Giannini,
di
abbiglia- stilista della
mento, ma an- casa di moda
che della pellet- Gucci, con Pateria, sono ri- trizio Di Marco,
maste al palo e i Ceo Gucci Ansa
QUESTIONE DI SOLDI
Tutte le aziende del
gruppo sono in crescita,
tranne la casa di moda
fiorentina. Mentre
i concorrenti del lusso
tengono botta
target di crescita non sono stati
raggiunti mentre i principali
concorrenti come Vuitton e
Hermes hanno tenuto botta alla crisi. I maligni sussurrano
inoltre che Di Marco sarebbe
riuscito a strappare da contratto uno stipendio e benefit
straordinari promettendo in
cambio risultati altrettanto
stellari che invece non sono arrivati. Secondo più di un osservatore anche la coincidenza
che Giannini e Di Marco nel
frattempo fossero diventati
una coppia nella vita ha avuto il
suo peso, perché aveva concentrato nelle mani di due persone
l'identità e il potere della principale società del colosso francese del lusso.
IL MANAGER, classe 1962 con
un passato in Prada America,
ha fatto parte di Kering per più
di 13 anni, entrando nel gruppo
nel 2001 in qualità di amministratore delegato di Bottega
Veneta. Dal gennaio 2009 era al
vertice di Gucci, con il compito
di riposizionare il marchio verso l'alto. La Giannini, che a di
Marco ha dato una figlia nel
marzo del 2013, è in Gucci da
più di 12 anni, 6 dei quali passati come responsabile della
creatività della casa fiorentina.
Nel 2006 aveva infatti sostituito
un’altra giovane stilista, Alessandra Facchinetti, anche lei
bruscamente disarcionata da
Pinault.
Ma il vuoto ingombrante da
riempire era quello di Tom
Ford, dominus di Gucci (e della
fashion globale) fino al 2004. A
settembre era stato presentato
a Roma il lungometraggio “The
Director” prodotto dall’ attore
e regista James Franco sulla
storia e sul presente di Gucci,
con protagonista proprio la
Giannini raccontata attraverso
il dietro le quinte di passerelle,
atelier e eventi di gala. Racconto che non deve aver troppo
convinto monsieur Pinault per
il quale, più del glamour, contano gli affari.
BUON NATALE
Cerchi lavoro? Prima paga 165 euro, poi...
di Chiara Ingrosso
ra le lunghe liste di annunT
ci di lavoro online, ne
spunta uno: “Cercasi addetta ai
pacchetti natalizi per nota profumeria, zona Roma Tiburtina.
Inviare curriculum”. L’annuncio è inserito da Synergie, agenzia interinale che offre lavoro in
rete.
LA CANDIDATURA. Una setti-
mana dopo l’invio del curriculum, squilla il telefono: “La contattiamo per un colloquio conoscitivo”, spiega l’agenzia. “Si
tratta di impacchettare regali,
6,50 euro netti all’ora, per 30 ore
suddivise in turni, comprese festività”. L’appuntamento è il
giorno seguente. L’agente entra
nel dettaglio: “È necessario un
corso di formazione che si terrà
a Pescara”. Perché in Abruzzo?
“Ci sarà un’ulteriore selezione e
sarà insegnato come utilizzare
una macchina per l’impacchettamento a caldo. Presenza obbligatoria”. Circa sei ore di viag-
gio, tra andata e ritorno. “Se otterrà il contratto, le spese sono a
suo carico. In caso contrario, si
provvederà al rimborso”. Metodo inusuale. “Capisco, – continua la signorina – ma le condizioni sono imposte dal cliente”, del quale, finora, nessuno
ha svelato l’identità. “Le consiglierei un pullman, costa meno”. Dunque, dai 195 euro che
si offrono, ne saranno sottratti
30 per arrivare a Pescara. La paga si abbassa a 5,50 euro l’ora,
portando un guadagno di 165
euro. Non bisogna essere choosy. Nei giorni seguenti, l’agenzia contatta più volte la candidata per confermare la presenza
al corso, a cui parteciperanno
più di 200 ragazze suddivise in
turni. Ecco, finalmente, il nome
del committente: “Acqua e Sapone”, le profumerie dove
comprare cibo per gatti e Chanel n.5 a prezzi concorrenziali.
Arrivati, decine di ragazze attendono nella hall. C’è l’infermiera che lavora gratis in una
casa di riposo, la studentessa
che, dopo il terremoto, a
L’Aquila non trova più lavoro e
c’è anche la giovane mamma.
Tutte, carta e penna alla mano,
per apprendere il metodo innovativo. Invece, nella sala non c’è
alcun macchinario, a parte un
comune lettore per codici a barre. La lezione è tenuta da una
responsabile nazionale della catena, che parte subito con il
coinvolgimento
emotivo.
LA FORMAZIONE. Stazione Ti-
burtina. Si parte, bisogna essere
in un hotel del centro alle 14.30.
Un concorso Ansa
“Qual è il nostro motto?” Coro:
“Acqua e Sapone, oltre la convenienza!”. E come Sabrina Ferilli nel film Tutta la vita davanti,
interpreta la parte: “Non sono
semplici pacchetti, è un trampolino di lancio!”. E già, “perché, se sposate l’idea aziendale,
un giorno... chissà, diventerete
direttrici di negozio, proprio
come una ragazza che qualche
anno fa era lì, al vostro posto”.
Dal pacchetto natalizio al contratto a tempo indeterminato,
basta crederci. Per più di
un’ora, la responsabile illustra
PIE ILLUSIONI
L’azienda: 6,5 euro l’ora
per impacchettare regali,
ma prima bisogna fare
un corso a Pescara.
Però la promessa
di rimborso resta tale
“le incredibili emozioni da dare
al cliente”, perché “vendiamo
sogni di bellezza, non semplici
cremine”. E Ricordate: “I nostri
pacchetti contengono oro”, avvolto nel sacchetto di polipropilene con il maglione disegnato che “fa tanto calore familiare”. Infine, la pratica: passare il
codice a barre attraverso il lettore, mettere il prodotto nella
busta, chiudere con adesivo,
sorriso, arrivederci e grazie.
“Ma soprattutto grazie a voi per
aver partecipato”. Applauso.
Dov’è la macchina per la chiusura a caldo? Su quali elementi
c’è stata la selezione, se nessuno
è stato esaminato? E perché la
formazione “obbligatoria” non
si è svolta nelle sedi interessate?
Né l’esponente dell’agenzia
Synergie, né la “tutor” di “Acqua e Sapone” rispondono. Ancora tre ore di viaggio e si torna
a casa.
LE FAREMO SAPERE. Dopo più
di una settimana nel silenzio, è
la candidata a chiamare l’agen-
zia. “Ah, mi ricordo di lei. Resti
in attesa”. Musichetta. “La scelta è caduta su un’altra persona,
siamo spiacenti”. Dopo tanto
impegno, un vero peccato. Ma
il rimborso? “Contatti Pescara”. Pescara chi? “Pescara!”. Almeno un numero, per favore...
Musichetta. “Ecco il numero”.
Altra telefonata, perlomeno il
viaggio sarà rimborsato. “A dire
il vero non lo so”, dice la collega
abruzzese, “la richiameremo
quando avremo direttive”. La
candidata attende. Poi richiama, ma niente, non c’è nessuno.
Si ritrova ancora senza lavoro,
ma con 30 euro in meno nel
portafogli.
POST SCRITPUM. Come riporta Il Gazzettino di Padova, Tiziano
Gottardo, proprietario di Acqua e Sapone, è coinvolto nei giri illeciti del “boss della logistica” Willi Zampieri. La Gottardo
Spa avrebbe emesso false fatture evadendo per circa 200 mila
euro. Gottardo è stato denunciato”.
12
ALTRI MONDI
SABATO 13 DICEMBRE 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
UNGHERIA TEST-ANTIDROGA PER POLITICI
Il premier ungherese, Viktor Orban, vuole che
giornalisti e politici siano sottoposti a test antidroga obbligatori. Un membro del suo partito
Fidesz in precedenza aveva proposto test annuali per le persone di età compresa tra 12 e 18
anni, ma il piano non ha avuto seguito. Ansa
LONDRA IL COMPUTER VA IN TILT, CAOS NEI CIELI D’EUROPA
Pomeriggio di caos e disagi per le migliaia di passeggeri che arrivavano o partivano dagli aeroporti di Londra. Un problema informatico, un “glitch” (errore) ha mandato in tilt il centro per il controllo
aereo nel sud dell’Inghilterra. Ripercussoni anche in Europa. LaPresse
“UGLY RAY” IN CELLA
LA RETATA DEI PEDOFILI
NON FINISCE PIÙ
IL 73ENNE “AMICO DI MERENDE” DEL DJ TV STUPRATORE SERIALE
MORTO NEL 2011, ACCUSATO DI VIOLENZE SU MINORENNI
MA L’INCHIESTA NON HA ANCORA TOCCATO I POLITICI
di Caterina
Soffici
H
Londra
anno preso un
altro amico di
merende
di
Jimmy Savile, il
popolare Dj e conduttore di
programmi per ragazzini
della Bbc che solo dopo morto è stato scoperto come il
più grande stupratore seriale
mai vissuto in Gran Bretagna.
Il nuovo pedofilo finito nella
rete si chiama Ray Teret, era
stato un Dj di Radio Caroline,
meglio noto come Ugly Ray.
Lo hanno arrestato a 73 anni
suonati ed è stato condannato a 25 di carcere.
Nessuna attenuante, nessuna clemenza per l’età. Molto
probabilmente finirà i suoi
giorni dietro le sbarre, a meno che non riesca a campare
oltre i 98 anni. Meglio tardi
che mai.
Perché i fatti, ancora una
volta, si riferiscono agli anni
60 e 70. Durante il processo,
“Ugly Ray” è stato descritto
come una “ombra di Savile”.
Era un suo protetto e lo aveva aiutato nei primi anni della sua carriera. Ci sono foto
dei due, giovani e spensierati, a torso nudo che fumano e bevono durante qualche
party. Ci sono foto di Ray
con i Beatles, tutti sorridenti.
Era la Londra rampante della fine anni Sessanta, inizio
Settanta.
Erano gli anni della swinging
city, ma dietro i lustrini, le
celebrità, il pop e la musica –
ormai è chiaro – c’era ben
altro.
Il giro di amici di Savile sembra non finire mai. Ne sono
già stati condannati un paio
di dozzine, tra conduttori,
fiancheggiatori,
manager
che sapevano e hanno coperto, infermieri e altro.
Anche nel caso di Ugly Ray lo
schema era sempre il solito:
forte della propria popolarità, il famoso Dj irretiva ragazzine e le stuprava.
Età preferita sui 12 anni. Le
sceglieva deboli, emotivamente e fisicamente fragili.
Secondo il giudice, “la maggior parte non si rendevano
neppure conto di cosa stesse
succedendo e avevano la
sensazione di non poter fare
niente per evitare che queste
cose accadessero”.
MOLTE DI QUESTE persone,
allora in età scolare, hanno
avuto la vita devastata: sono
andate incontro a problemi
psicologici, hanno avuto episodi di autolesionismo, difficoltà di relazioni, anche
con i propri figli.
Durante la lettura della sentenza, giovedì mattina all’alta Corte di giustizia, erano
nella galleria aperta al pubblico e hanno iniziato a battere le mani e a manifestare
VASO DI PANDORA
Per 50 anni c’è stata
una cupola che
copriva i depravati.
Ma il Dossier Dickens
che contiene i nomi
è scomparso
la propria gioia.
Qualcuno ha urlato: “Mostro”. Alcune, ormai donne
mature, si sono finalmente
sfogate: “Giustizia è stata fatta”.
Ormai è chiaro: per 50 anni
c’è stata un cupola che copriva certi comportamenti
sessualmente deviati di certi
maschi, ricchi, famosi, principalmente bianchi. Su di loro si chiudeva un occhio. Era
un mondo connesso con la
politica. Non a caso lo scandalo Savile ha riaperto vecchie indagini anche sulla pedofilia a Westminster. Politici ed ex ministri che adescavano ragazzini. Una casa
degli orrori dove avvenivano
violenze. Si è parlato anche
di bambini scomparsi e cadaveri ritrovati nelle campagne, con evidenti segni di
violenza. Un mondo di mostri insospettabili, molti dei
quali ancora non scoperti.
Oppure scoperti solo dopo la
Jimmy Savile, Ray Teret e Buckingham Palace Ansa
morte, vedi il caso di Savile.
Negli anni Ottanta molti fatti
finirono nel cosiddetto Dossier Dickens: c’erano nomi e
accuse. Il fascicolo era stato
consegnato al ministero
dell’Interno ed è sparito nel
nulla.
LA SETTIMANA scorsa qual-
che piccolo schizzo di fango
ha raggiunto anche Buckingham Palace. Sir Peter
Hyman, uno dei mostri della
cerchia dei pedofili (defunto
nel 1982), che aveva accesso
al Palazzo reale e frequentava
anche il castello di Balmoral,
avrebbe molestato vari ragazzini, minorenni, che facevano parte dello staff di servizio.
In particolare un ragazzo che
lavorava nelle cucine della
regina e che poi si era dimesso per fare il cameriere presso la residenza di Hayman,
quando il deputato diventò
Alto commassario britannico in Canada.
Tanti piccoli episodi, una sola certezza: i nomi vengono
fuori (quasi sempre) quando
sono morti. Sui vivi ancora
resiste un pesante velo di
omertà.
SONY Commenti
razzisti su Obama
cott Rudin, produttore della Sony Pictures al cenS
tro dell’imbarazzo suscitato dallo scandalo delle
violazioni ai computer dell’azienda, si è scusato per le
considerazioni offensive contenute in alcune e-mail
trapelate dopo le intrusioni. Nei messaggi, scambiati
con la co-presidente di Sony Pictures Amy Pascal e
ottenuti nei giorni scorsi dai siti Gawker e
BuzzFeed, Rudin scherza sul colore della
pelle del presidente Usa Barack Obama e
sui suoi presunti gusti cinematografici, e
definisce Angelina Jolie “una ragazzina
viziata”.
Prima di recarsi a un evento di beneficenza dove avrebbe incontrato Obama,
Amy Pascal interroga l'amico: “Dovrei
chiedergli se gli è piaciuto Django?”. La
Pascal si riferisce al film di Quentin Tarantino Django
Unchained il cui protagonista è uno schiavo di colore.
Poi la catena di email continua con le ipotesi sui film
preferiti dal presidente citando 12 anni schiavo, The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca, Think Like A Man
e Poliziotto in prova, tutti lungometraggi con cast di
attori afroamericani. In un comunicato sul sito web
Deadline, Rudin afferma che le email erano private,
sono state scritte di getto e il loro contenuto intendeva
essere scherzoso. Ha riconosciuto che le sue affermazioni sono state insensibili e non ponderate e ha offerto le proprie scuse.
Il Pulitzer muore d’infarto fotografando Ebola
MICHEL DU CILLE, PREMIATO 3 VOLTE NEGLI USA PER LE SUE FOTO, DECEDUTO A 58 ANNI SUL CAMPO IN LIBERIA, EPICENTRO DELL’EPIDEMIA
di Angela Vitaliano
Reed Army Medical Center.
New York
hissà cosa hanno fotografato i suoi occhi, in
C
quegli ultimi istanti, prima che il suo cuore
spegnesse la luce, prima che si arrendesse a quel
malore improvviso, sopraggiunto lungo un percorso impolverato e disagiato sulla via di ritorno
da un villaggio del distretto di Salala in Liberia.
Chissà quale sarebbero stati gli scatti che lui, Michel du Cille, avrebbe scelto dopo un’altra giornata di lavoro fra i malati di Ebola: un’altra giornata a raccontare la tragedia e il trionfo, la disperazione e la dignità. Sono state necessarie due ore
per arrivare al più vicino ospedale; un’eternità per
una luce che si sta spegnendo. Du Cille, fotografo
del Washington Post, era di “casa” in quelle zone
dove era tornato da pochi giorni.
Cinquantotto anni, aveva vinto 3 volte il premio
Pulitzer per il suo lavoro: nel 1986, quando lavorava per il Miami Herald, nel 1988 con il Post e, di
nuovo con il Post, nel 2008, quando lo aveva condiviso con i Dana Priest e Anne Hull, per un reportage sulle cure ai veterani di guerra al Walter
demia di Ebola in Liberia si è riNell’ultimo periodo, il fotografo
velato estremamente difficile. Il
aveva seguito la tragica diffusiorispetto è spesso l’ultima e sola
ne dell’Ebola, tornando ripetucosa che il mondo può offrire a
tamente in Africa, paese che
una persona morente o morta.
amava e riteneva non “adeguaA volte, tuttavia, la durezza di
tamente coperto” dalla stampa.
una scena cruda, semplicemenNonostante fosse costretto a
te, non può essere addolcita”.
muoversi completamente proPer questo, nel suo ultimo lavotetto, per evitare il contagio, inro, Du Cille aveva usato ancor
dossando anche dei guanti di
più “leggerezza” nel muoversi
gomma, du Cille era riuscito,
fra le vittime di una tragedia decome sempre, a guardare nel
Michel du Cille e le sue foto: Crack vastante: tra cadaveri di persone
profondo di una crisi, raccona Miami (1988) e vittime lasciati per terra, ignorati e
dell’eruzione del vulcano Nevado mantenuti a distanza e i malati,
tandola attraverso le immagini
di persone dolenti, eppure di- Del Ruiz in Colombia (‘86) LaPresse ancora in vita, ma con i volti
gnitose nella loro resistenza. “In
straziati dalla sofferenza e dalla
più di 40 anni come giornalista –
paura. Du Cille era sposato alla
aveva scritto in un saggio pubblicato nel numero collega del Post Nikki Kahn e aveva due figli avuti
di ottobre del News Photographer Magazine – posso da un matrimonio precedente. “Era l’amore della
dire con orgoglio di aver trasmesso la dignità dei mia vita – ha detto la moglie – e mi sono innasoggetti che fotografo, specialmente di quelli che morata di lui per la sua passione per il giornasono malati o sofferenti di fronte alla camera. Il lismo. L’unica consolazione è sapere che è morto
mio più recente incarico, però, di coprire l’epi- facendo esattamente ciò che voleva”.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
UCRAINA DOMANI KERRY-LAVROV A ROMA
Mentre la tregua siglata martedì in Ucraina sembra reggere nonostante sporadici scontri nell’est,
il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il segretario di Stato Usa John Kerry si incontreranno
a Roma (l’Italia è presidente di turno della Ue e la
Mogherini Lady Pesc dell’Unione). LaPresse
CLIMA VERTICE ONU SENZA ACCORDO
Nemmeno l’appello lanciato da Papa Francesco: “il
tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo” è servito a sbloccare le trattativa fra i rappresentanti di 195 paesi riuniti a Lima per definire una
bozza d’accordo sulla lotta al riscaldamento globale, da sottoscrivere l'anno prossimo a Parigi. Ansa
ERNESTO JR, LA “PODEROSA”
E IL “TURISMO GUERRIGLIERO”
SABATO 13 DICEMBRE 2014
13
Test elettorale per l’Abenomics
IL FIGLIO DEL “CHE” SFRUTTA IL MARCHIO PATERNO E ORGANIZZA VIAGGI
IN MOTO NEI LUOGHI DELLA RIVOLUZIONE CUBANA. COSTO: DA 3 A 6 MILA DOLLARI
di Andrea
Valdambrini
D
alla storia al mito e dal mito al business. Non è un novità per la figura
di Ernesto Guevara, detto “Che”,
guerrigliero eternamente giovane
della rivoluzione cubana, venerato come un
eroe nella sua isola e icona mai appannata del
marxismo globale. Quando poi le sue gesta ritornano un affare di famiglia, al mito si aggiunge quel pizzico di realtà capace di renderlo
quasi irresistibile.
L’ultimo figlio del “Che” si reiventa agente di
viaggio, lanciando un tour in moto ispirato al
viaggio che suo padre fece da giovane prima
ancora di diventare rivoluzionario e combattente. L’agenzia si chiama “La Poderosa”, proprio come la Norton 500 di fabbricazione britannica con cui l’argentino Ernesto Guevara,
allora 23enne, e l’ amico d’infanzia Alberto
Granado, percorsero dal gennaio a giugno del
1952 quasi ottomila chilometri. Un’avventura
dal Cile al Venezuela, attraverso quella “maiuscola America” che “mi ha cambiato molto più
di quanto pensassi”, scriverà poi Guevara. E
che grazie all’osservazione della povertà e
dell’ingiustizia lo porterà ad abbracciare per
sempre l’ideale della rivoluzione.
Gli appunti del giovane Che, pubblicati solo nel
1992, saranno poi trasfusi in un film del 2004, I
diari della motocicletta (girato dal brasiliano
Walter Salles e interpretato dal messicano Gael
IL PREMIER GIAPPONESE VOLA NEI SONDAGGI
I sondaggi della vigilia (si vota domani) premiano il
premier Shinzo Abe, che ha deciso di sciogliere le
camere e andare al voto anticipato Ansa
PRIMA VENNE LA BICI Ernesto Guevara March e il padre nel 1950 Ansa/Canadian Press
Garcia Bernal). Anche sull’onda di quel successo cinematografico, Ernesto Guevara junior, 49enne figlio della seconda moglie del
“Che” Aleida March, residente a Cuba e di professione avvocato, ha pensato di vendere un
accattivante pacchetto turistico. Con qualche
sorpresa “capitalista”, a partire dal prezzo: si va
dai 3.000 dollari per 6 giorni, ai 5.800 per 9,
volo per Cuba escluso. Harley Davidson fiammanti – a scelta tra i modelli Touring Street
Glide o Dyna Wide Glide, ci informa il sito web
dell’agenzia Guevara - al posto della vecchia
Poderosa e un percorso tutto cubano certo meno avventuroso dell’originale. Due gli itinerari
proposti, battezzati con il soprannome del giovane Guevara, Fuser 1 e 2. Alla scelta pubblicitaria dei nomi si abbina il percorso “rivoluzionario” ad uso del turista facoltoso, che
comprende tanto i luoghi guevariani de L’Avana che il mausoleo di Santa Clara, circa 250
chilometri a est della capitale.
Curiosamente, alla “Poderosa Tour Guevara”
si ritrova a lavorare con Camillo, amico di vecchia data e figlio del guerrigliero cubano Antonio Sanchez Diaz, ucciso in battaglia nel
1967, pochi mesi prima del “Che”. “Ernesto
Guevara”, si legge sul sito della sua agenzia di
viaggio “ha ereditato dal padre la passione per
le moto”. Per questo “orgoglioso della sua gente, (Guevara) ha a sempre desiderato condividere l’esperienza di godere le bellezze della
propria terra con gli amici e la comunità dei
motociclisti che visitano l’isola”. E conclude
l’auto-promozione: “Ernesto realizzerà i tuoi
sogni sviluppando anche i propri”. E meno male. Basta che non dica di farlo per filantropia.
Inutile chiedersi cosa ne penserebbe papà
“Che”. Lui certamente amava moto, viaggi e
avventura. Ma il business non era il suo mestiere, se è vero che al ministero dell’Economia
di Cuba ci finì quasi per sbaglio.
@andreavaldambri
Le vip-cleptomani, il tic proibito della ricchezza
L’OLIMPIONICA FRANCESE DI NUOTO MANADOU AVREBBE CERCATO DI PORTAR VIA SENZA PAGARE SOUVENIR DI EURODISNEY
di Fausto Nicastro
all’Olimpo glorioso dello
D
sport, all’Olimpo infamante delle star cleptomani. È
questo l’ultimo capitolo della
tormentata vita privata di Laure Manaudou. L’ex nuotatrice
francese si trovava a Euro Disney con la figlia, Manon di 4
anni, e un’amica quando è stata
fermata dalle guardie di un negozio di souvenir. Le telecamere di sorveglianza avrebbero,
infatti, ripreso la sua amica rubare oggetti per un totale di 300
euro mentre la Manaudou non
ha esibito lo scontrino per 200
euro di gadget. A quel punto è
intervenuta la polizia che ha
portato le due donne al commissariato di Meaux dove sono
state trattenute per tutto il pomeriggio per essere poi rila-
sciate senza implicazioni penali dopo che il parco di divertimenti ha rinunciato alla denuncia. La medaglia d’oro dei
400m stile libero alle Olimpiadi
di Atene nel 2004 si è sfogata su
Facebook con un post poi rimosso: “La stampa... sono semplicemente bugiardi. Sono disgustata, non riesco nemmeno
a passare del tempo con mia figlia che si inventano cose su di
me”.
I CASI DI CLEPTOMANIA tra
personaggi famosi, e tutt’altro
che indigenti, non sono rari e
non è la prima volta che a esserne protagonista sia una famosa sportiva. Nonostante fosse ancora una ragazzina, Jennifer Capriati aveva già vinto
un’Olimpiade contro Steffi
Graf quando, nel 1993, venne
RIFLESSO D’ONNIPOTENZA
pizzicata a rubare un anello. Gli
inglesi ancora non dimenticano la bravata di Bobby Moore
capitano della Nazionale dei
Tre Leoni che vinse la Coppa
del Mondo nel 1966. Quattro
anni dopo, prima di un’amichevole in Colombia, rubò un
braccialetto e venne arrestato
ma, come la Manaudou, subito
liberato. Stessa sorte per altri
due nuotatori, gli americani
Laure Manaudou, Lindsay Lohan, Winona Ryder e Sarah Jessica Parker Ansa
Troy Dalbey e Douglas Gjertsen, oro nella staffetta 4x100 e
4x200 stile libero alle Olimpiadi
di Seul nel 1988, che pensarono
bene di festeggiare le vittorie in
un locale notturno cercando di
rubare una statua. Furono arrestati, esclusi dalla squadra
olimpica e costretti a scusarsi
pubblicamente per essere scagionati.
Ma le regine del furto sono le
star di Hollywood. Il caso più
eclatante è quello di Winona
Ryder che nel 2001 venne beccata a rubare abiti firmati per un
totale di quattromila dollari in
un grande magazzino di Beverly Hills e condannata a tre anni
di libertà vigilata e quasi diecimila dollari di multa. Nove anni
dopo è la volta di Sarah Jessica
Parker. Impegnata sul set di Sex
and the City 2, per il quale ha in-
cassato un cachet da 15 milioni
di dollari, secondo il New York
Post avrebbe rubato 24 bicchieri
da cocktail tempestati di Swarovski, per un valore di oltre
quattromila dollari. Nel 2011
tocca a Lindsay Lohan che in
una gioielleria di Venice, in California, sottrae una collana da
2.500 dollari e per questo condannata a 35 giorni di domiciliari e 480 ore di lavori sociali.
14
il Fatto Quotidiano
SABATO 13 DICEMBRE 2014
ADDIO A SERGIO FIORENTINI
DAVA VOCE A GENE HACKMAN
È morto Sergio Fiorentini, attore e doppiatore.
Aveva 80 anni ed era noto al grande pubblico
grazie al ruolo del brigadiere Cacciapuoti
nella fiction Rai “Il maresciallo Rocca”
ANIMA MIA RESTA SENZA CANTANTE
NICK LASCIA I CUGINI DI CAMPAGNA
ATHINA ONASSIS CADE DA CAVALLO
ABBATTUTO L’ANIMALE
“Spettacoli sempre più scadenti”: con questa
motivazione Nick Luciani (il biondo) lascia
i Cugini di campagna in polemica con uno
dei fondatori, Ivano Michetti
SECONDO
Caduta da cavallo per Athina Onassis
durante una gara di salto a Ginevra. L’erede
di casa Onassis è caduta, senza riportare ferite,
mentre il cavallo hanno dovuto abbatterlo
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
La fiction non s’ha da fare
“L’INFILTRATO” DOCUFILM SULLA CLINICA DEGLI ORRORI DI MILANO, SCATENA (A PRESCINDERE) GLI IPER GARANTISTI DOC
C
di Malcom
Pagani
on un cognome in bilico tra i caratteristi di Carlo Verdone e gli incappucciati di Corrado Guzzanti, al
dottor Brega Massone non è venuto
da ridere. Condannato in primo grado per l’omicidio volontario aggravato dalla crudeltà di quattro persone ai tempi in cui prestava servizio
come primario di chirurgia toracica
alla clinica Santa Rita di Milano,
Pierpaolo Brega Massone è furibondo. Stasera, infatti, dopo lunghe battaglie legali, Rai3 manderà in onda
in prima serata una docufiction che
lo riguarda da vicino intitolata L’infiltrato-operazione clinica degli orrori.
POTREBBE diventare un Format e
l’hanno girata in duplex Cristiano
Barbarossa e un autore televisivo,
bravo e sensibile, Giovanni Filippetto, avvalendosi di intercettazioni telefoniche e filmati originali figli di
un’inchiesta iniziata e condotta fin
dal 2007 da due pm milanesi, Grazia
Pradella e Tiziana Siciliano, tesa a far
luce sul sistema che attraverso rimborsi gonfiati o falsi, truffava attraverso medici compiacenti Stato e Regione. Infilandosi nel tunnel, Pradella e Siciliano non hanno trovato luce,
ma altro buio. Morti. Lesioni. Interventi inutili e rischiosi sulla pelle di
pazienti non di rado deceduti in seguito alle operazioni, effettuati al solo scopo di ottenere denaro. Anziani.
Malati terminali sottoposti ai ferri in
“L’Infiltrato condizioni men che precarie. DiaOperazione clinica
gnosi fasulle su inesistenti tumori al
seno stilate su giovani donne man- degli orrori” questa
date al macello come bestie. Un insera su Rai3.
ferno che con semplificazione me- In basso, Pierpaolo
Brega Massone
diatica quanto mai vicina al vero fece
ribattezzare la Santa Rita come “cli(a sinistra),
condannato
nica degli orrori” e che oggi, a un
in primo grado
passo dalla messa in onda de l’Inper omicidio
filtrato, libera il garantismo peloso di
una compagnia di giro sorprendenvolontario Ansa
temente eterogenea.
Giovedì mattina infatti,
con l’appoggio esterno
STASERA SU RAITRE
di Libero, nella sede dei
Radicali italiani si sono
I radicali, Piero Sansonetti,
seduti intorno al tavolo
l’avvocato di Brega
Arturo Diaconale,
Massone, Enzo Vitale,
“Libero”: tutti insieme
il direttore de Il Garantista Piero Sansonetti,
per difendere l’onore
l’omologo de L’Opinione
delle libertà, Arturo
dell’imputato, ovviamente
Diaconale, accumulasenza aver visto il film
tore seriale di cariche (è
anche Presidente del
Parco Nazionale del
Gran Sasso nonché del tribunale
Dreyfus) e un’indignata Rita Bernardini, silente sull’agghiacciante quadro emerso dall’inchiesta e invece
preoccupatissima per il depauperarsi dello Stato di diritto nella povera
Italia del 2014 giunta ormai a latitudini nordcoreane.
Pur non avendo visto un solo secondo del lavoro di Filippetto e Barbarossa, in omaggio al garantismo,
srotolando articoli della Costituzio- pingerà il chirurgo come un mostro
ne, Carte di Treviso e breviari sui assetato di denaro e incurante della
doveri dei giornalisti, Bernardini ha vita dei pazienti”.
emesso la sentenza: “Ormai l’ultima
preoccupazione è di garantire la pre- A BERNARDINI, assecondandone
sunzione di innocenza, nel caso spe- l’impeto accusatorio, si sono accocifico di Brega Massone, con un ac- dati un Sansonetti impegnato a
canimento mediatico che corrobora “esprimere totale solidarietà” a Brela tesi colpevolista recando gravi ga Massone: “Un cittadino che sta
danni anche ai familiari, poiché è subendo comunque un linciaggio” e
chiarissimo che la trasmissione di- a rievocare criticamente i fatti d’Un-
gheria, Jan Palach e la passata militanza dalla parte giusta oggi stinta
nel volemose bene.
È preoccupato Sansonetti, da “Una
cappa di potere e un clima da Ddr
che già non mi piaceva quando ero
iscritto al Pci e che adesso mi ritrovo
in questa Italia che abusa delle intercettazioni e dove trionfa l’ignoranza della Carta costituzionale”.
In realtà L’infiltrato è un lavoro onesto
e molto equilibrato. Non giudica, ma
mostra. Non condanna, ma spiega.
Interpolando ricostruzioni interpretate con diseguale efficacia da attori
come Michela Cescon, Lorenza Indovina, Massimiliano Graziosi,
Massimo Poggio, Massimiliano Virgilii e Andrea Renzi (uno dei protagonisti de L’Uomo in più di Paolo
Sorrentino) e intercettazioni reali,
ricostruisce un clima di connivenza
in cui scrupoli morali e autoassoluzioni in corsa di un microcosmo medico legato a doppio filo con il guadagno concorrono a cancellare l’etica.
BREGA MASSONE, l’imputato di un
processo in cui, sostiene disperato, si
era deciso a prescindere di condannarlo, si è difeso in una recente intervista concessa a Panorama: “I giornali hanno riportato soltanto stralci
tagliati ad arte dalla procura. Mi
hanno attribuito tante falsità. Le percentuali dei miei interventi su casi
rivelatisi poi benigni rientrano nella
media di tutte le casistiche operatorie: dal 10 al 40 per cento”. Altri al
suo posto, non possono più farlo.
L’infiltrato è anche per loro. Per tutti
quelli che al tribunale Dreyfus non
potranno più ricorrere.
SHOW AWARDS
Facce da web, cliccate e adesso pure premiate
di Patrizia Simonetti
Favij, lo youtuber
italiano più famoso
M. Merluzzo, alias
Cotto e Frullato
ideo killed the radio star cantaV
no i Buggles nel 1979, anno in
cui vengono creati gli Emoticon
per le email che si riempiono di
umorali faccine gialle, ma sono ancora i tempi di Arpanet, per Internet come la conosciamo oggi bisogna attendere i primi anni Novanta. Da allora ne sono passati di
pacchetti dati sotto i modem e
adesso potrebbe essere la rete ad
ammazzare, si fa per dire, le stelle
della Tv. Perché ci vuole poco a diventare una web star: non c’è bisogno di pagare un promoter o fare la fila in qualche agenzia di spet-
tacolo, basta solo un’idea, non necessariamente geniale ma che
piaccia, e postarla, o postarsi con
essa, su canali come YouTube e Vimeo o sui social network.
E POI ci si può anche liberare dalla
rete e sbarcare sul piccolo schermo,
come Frank Matano o The Pills ad
esempio, persino ottenere la propria celebrazione e un premio ad
hoc da ritirare, proprio come le star
del cinema e della televisione. A radunarle e metterle l’una contro l'altra il sito webshowawards.it, unico
in Europa, che ha raccolto più di un
milione di voti. E oggi dalle 16.30 al
Motor Show di Bologna in diretta
streaming su YouTube il secondo
appuntamento con il Web Show
Awards presentato da Alessandro
Cattelan fresco fresco di XFactor e
con tanto di ospiti musicali rigorosamente rap, da Moreno a Rocco
Hunt, da Salmo a Baby K. Per concorrere basta anche che ti chiedi
“perché se senti un rumore in casa
devi per forza andare a vedere da
dove proviene questo cazzo di rumore”, giri una scena con una parrucca da fata turchina e confezioni
uno dei tuoi “stupidissimi video”,
perché così li hai chiamati, sull’incoerenza dei film horror, ma solo
se ti chiami Leonardo Decarli ci
guadagni 24 milioni di visualizza-
zioni. Oppure, alla faccia di Cracco
e Bastianich, puoi mettere in un
frullatore ciò che mangeresti e berresti separato, tipo spaghetti allo
scoglio e vino bianco o pizza e chinotto, e poi te lo bevi pure: puoi farlo se ti chiami Maurizio Merluzzo
ma ti conoscono tutti come Cotto e
frullato e finisci tra le rivelazioni
web dell’anno con più di 7 milioni
di click. Quattro le categorie: Youtubers, tra cui lo stesso Matano e i
Francazzisti anonimi, Gamers, con
Favij, Justzoda e Gabbo, Facebook
Stars con Mattia Cesari, Diana Del
Bufalo e anche Video Comici De
Tu Sorella e Revelation 2014 con
The Show e The Frenchmole. Pre-
miati anche Fiorello e Nicola Savino. Nel corso dello show verrà incoronata anche la reginetta dell’autoscatto con il telefonino tra le 12
finaliste di Selfie, la Sfida, trasmesso da La3: 100 ragazze tra i 18 e i 35
anni hanno sostenuto la dura prova di fotografarsi il più possibile
mentre ballavano in costume, in
palio un contratto Tv con la stessa
rete, per questo hanno anche tentato una presentazione. Ha partecipato ma non ce l’ha fatta anche
Susanna Canzian, e sì che nella fotografia va forte visto lo scatto con
Berlusconi che avrebbe apprezzato
la sua “faccia da provino Mediaset”
facendo imbufalire la Pascale.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
SABATO 13 DICEMBRE 2014
15
XFactor rosso Fragola:
19 anni e già un disco d’oro
RECORD DI ASCOLTI PER IL PROGRAMMA (CHE PERÒ È ANCORA VISTO SOLO SUL SATELLITE)
L’ANNO PROSSIMO VIA MORGAN E MIKA, POTREBBE ADDIRITTURA ARRIVARE TIZIANO FERRO
di Domenico
D
Naso
iciannove anni,
siciliano di Catania, faccia pulita, stile musicale a metà strada tra James
Blunt e Paolo Nutini e sorriso da teen idol: è l’identikit
sintetico di Lorenzo Fragola,
fresco vincitore dell’ottava
edizione di XFactor.
Nella finalissima del Forum
di Assago, Fragola ha sbaragliato la concorrenza degli
altri finalisti Madh, Ilaria e
Mario, anche e soprattutto
grazie al voto in massa delle
fragoliners, l’infausto nome
affibbiato alle sue numerose
fan teenager.
È stata l’edizione dei record,
con ascolti in crescita costante per SkyUno e un predominio senza precedenti
sui social network. Per la finale di giovedì sera, la pay tv
di Rupert Murdoch aveva
deciso ancora una volta di
rivolgersi anche a chi non è
abbonato al bouquet satellitare, con diretta anche su
Cielo, il canale free di Sky sul
digitale terrestre.
fatto che la Social Tv è una
realtà consolidata anche in
Italia. Per il boom nazionalpopolare, però, c’è da attendere. I risultati così così ottenuti da Cielo dimostrano
che l’XFactor targato Sky è
ancora un prodotto televisivo quasi di nicchia, destinato
a chi usa i social network con
assiduità e lontano dai gusti
del pubblico tradizionale
delle reti generaliste.
A Sky già pensano alla prossima edizione, con Morgan e
Mika che probabilmente lasceranno il banco dei giudici,
mentre i primi rumors parlano addirittura dell’arrivo
di Tiziano Ferro o di un possibile ritorno (per ammiccare al pubblico nazionalpopo-
SOCIAL BOOM
Quasi 2 milioni
di spettatori
per uno share del 7,91%,
ma soprattutto
360 mila tweet
(più di 4 mila al minuto)
MA SE nel complesso gli
ascolti sono stati più che
buoni (quasi 2 milioni di
spettatori per uno share del
7,91 per cento), scorporando
i dati ci si accorge come Cielo
abbia raccolto solo un misero 2,89 per cento, battuto
persino da una commedia
natalizia trasmessa su La5.
Dalle parti di Sky, però, hanno ottimi motivi per festeggiare: lo show al Forum a
tratti è stato perfetto, merito
soprattutto dei superospiti
italiani Tiziano Ferro, Gianna Nannini, Malika Ayane e
Arisa che hanno duettato
con i finalisti, ma anche di
una macchina produttiva
imponente, ormai rara nella
tv generalista in crisi di
ascolti e di denari.
Il vero vincitore di XFactor,
però, è stato il neogiudice Fedez, che ha sbaragliato la
stanca concorrenza dei colleghi Morgan, Mika e Victoria Cabello portando due
dei suoi talenti ai primi due
posti della classifica finale
(con Madh dietro al già citato Fragola). Chiamato al
banco dei giudici per attrarre
una fetta non trascurabile di
pubblico giovanile, il rapper
milanese ha sorpreso tutti
per efficacia televisiva e strategia di gioco, riuscendo ad
annichilire un Morgan a fine
corsa usando le sue stesse armi.
ALTRO elemento imprescin-
dibile per spiegare il successo
del talent dei talent è l’integrazione sui social network:
nel corso della finale, XFactor
è stato stabilmente tra i trend
mondiali su Twitter, con 360
mila cinguettii (più di 4 mila
al minuto), mentre sono arrivati quasi otto milioni di
voti (+45 per cento rispetto
alla scorsa edizione) attraverso le varie piattaforme disponibili (televoto, sms, app
ufficiale, Twitter).
Numeri decisamente impressionanti, a riprova del
lare) di Mara Maionchi, quest’anno mattatrice di successo dell'ExtraFactor, il talk che
seguiva le puntate.
CHIUSO lo show televisivo,
ora tocca alla musica, con i
finalisti pronti a sfidarsi di
nuovo nelle classifiche di
vendita. Il vincitore Fragola,
che ha conquistato quella
esigua parte di pubblico che
ancora compra dischi, ha già
ottenuto il disco d’oro con il
singolo The reason why. Ma
ora dovrà camminare da solo, senza l’ausilio della macchina da guerra televisiva di
Sky. Più facile a dirsi che a
farsi.
IL VINCITORE
Lorenzo Fragola premiato
da Fedez al termine della finale
di giovedì LaPresse
CINEMA
Roma, alla Festa
pensa il ministro
di Federico Pontiggia
inema Capitale. Alla chiuC
sura del IX Festival di Roma, il 25 ottobre, fioccarono le
omissioni su incassi e presenze
e due sole certezze: il direttore
artistico Marco Müller diceva
conclusa la sua esperienza, il
direttore generale Lamberto
Mancini mollava per andarsene al Touring Club. Nell’ex festa, ex festival e ora “festaval”, i
concorsi si erano moltiplicati, o
meglio erano aumentati i premi, tutti però decretati dal pubblico: la giuria tecnica era stata
abrogata, perché costava troppo. Oggi nessuno ne parlerebbe
più, vivremmo piuttosto l’attesa legittima di conoscere il nuovo direttore generale, nonché
di lì a breve quello artistico, ovvero il braccio e la mente del
decimo Festival. Esaminati i
tanti e annosi problemi (su tutti, quale identità?), sentiti i player del sistema cinema, soppesate – non facciamo gli ingenui
– le opportunità politiche, i soci
avrebbero dovuto individuare
gli uomini, almeno due, che
fossero sperabilmente portatori sani di idee, progetti e (esageriamo) missioni da cui ripartire. In un mondo nemmeno
troppo perfetto, i soldi sarebbero arrivati solo dopo: stolti che
siamo. Prima ancora che l’assemblea dei soci della Fondazione Cinema per Roma si riunisca la prossima settimana, il
dado è stato tratto, per ben due
volte: il ministero dei Beni cul-
turali elargirà alla Fondazione
un milione di euro, tramite
l’Istituto Luce Cinecittà che entra in Cda; il ministero dello
Sviluppo economico investirà
un milione e 250 mila euro l’anno per due anni nella Business
Street, il mercato capitolino.
DUE MILIONI e 250 mila euro,
che non solo suppliranno alla
probabile riduzione del finanziamento della Camera di
Commercio, ma rimarranno
nella disponibilità di Roma X,
che inizia a prendere forma per
mano esclusivamente politica:
il triumvirato Franceschini
(ministro), Zingaretti (presidente Regione) e Marino (sindaco) ha decretato l’eliminazione del Concorso, il ritorno alla
Festa (bastasse cambiare il nome…) con vista Mercato e date
fisse nella prima metà di ottobre. Venezia, intesa quale Mostra, è insorta (seppur non ufficialmente) e ne ha ben donde:
siamo seri, il concorso capitolino non è mai stato concorrenziale al Lido, dunque eliminarlo
non aiuta la Biennale Cinema,
che all’opposto subirà un colpo
di grazia al Venice Film Market.
Eppure, il problema non è nemmeno questo: messa al tappeto
da Mafia Capitale, Roma ha
davvero bisogno di un festival
deciso così? Per le modalità, se
non per gli esiti, questa non è
politica culturale: se è cultura
politica lo dirà il tempo. Ammesso che ce ne sia, per rifare
Festa.
A BOLZANO
Schwazer patteggia e “vede” Rio
di Luca
Pisapia
n patteggiamento olimpico quello ottenuto da
U
Alex Schwazer e dal suo legale Gerhard Brandstaetter. Ieri la Procura di Bolzano ha accolto la
loro richiesta: 8 mesi di condanna per chiudere la
vicenda in sede penale, con il riconoscimento della
colpevolezza del marciatore altoatesino non solo
per l’Epo del 2012, ma anche per pratiche dopanti
nei due anni precedenti, quelli al centro dell’inchiesta del pm Giancarlo Bramante. E ora Schwazer
è più vicino alle Olimpiadi di Rio 2016: “Io sono
tornato ad allenarmi e quando sarà il momento sarò
pronto a rientrare”, aveva detto il 20 novembre
dopo l’interrogatorio al Coni, e così sarà.
La strategia difensiva dell’atleta aveva prima pensato a una richiesta per l’affidamento in prova, poi
provato a chiedere il trasferimento del processo da
Bolzano a Roma, ma in entrambi i casi si sarebbe
andati troppo per le lunghe. Ora, con il patteggiamento in sede giudiziaria, e la squalifica sportiva
di 3 anni e 6 mesi del Coni che termina il 30 gennaio
2016, Rio è più vicina. In realtà non è detto che
Schwazer ce la faccia: è ancora sotto inchiesta sia per
la Wada sia per il Tribunale Nazionale Antidoping
del Coni, che proprio in questi giorni ha ricevuto
dalla Procura di Padova le 550 pagine della prima
tranche dell’inchiesta sul “sistema criminale (…) di
cui è ispiratore Michele Ferrari”, e che dal doping si
allarga alla finanza, ai paradisi fiscali, all’evasione e
al riciclaggio. A proposito di Ferrari, sempre ieri è
emerso che nelle carte dell’inchiesta c’è un sms inviato da Marie Luise Brunner, madre di Alex, al
dottore il 31 luglio 2010, quando il marciatore si è
appena ritirato dalla 50Km agli Europei: “Sono
molto preoccupata per Alex. Saluti,
mamma Schwazer”, recita l’sms, che lascia prefigurare come i rapporti tra la
famiglia dell’atleta e il medico ferrarese,
inibito a vita dal Coni oltre dieci anni fa
e nuovamente al centro di una clamorosa inchiesta oggi, fossero molto stretti.
Coni inizi a tremare, alla Iaaf (Federazione mondiale
di atletica leggera) cominciano a dimettersi uno dopo l’altro sulla scia dell’inchiesta della tv tedesca Adr,
che partendo dalla Russia si è allargata al resto del
mondo: in ballo inesistenti controlli antidoping, copertura delle positività e corruzione. Si
sono dimessi il francese Gabriel Dollé,
capo del dipartimento antidoping Iaaf,
e Valentin Balakhnichev, capo federatletica russa e tesoriere Iaaf per i 450
mila euro pagati dalla maratoneta russa
Liliya Shobukhova (di cui 350 mila
rimborsati dalla sua federazione) per
coprire la sua positività e partecipare a
PATTEGGIATO e parcheggiato Schwazer
Londra 2012. Ma soprattutto è assai
con vista su Rio 2016, la Procura di Bolinguaiato il numero uno dell’atletica
zano prosegue intanto
mondiale Lamine Diack.
la sua inchiesta sul siL’altro ieri si è dimesso suo figlio Papa
stema antidoping italiaMassata Diack, consulente marketing Iaaf, per
OTTO MESI
no “ridotto a una totale
avere ricevuto un pagamento da Doha di 5
messinscena”, da cui si
milioni volto con tutta probabilità a favorire
Riconosciute in sede
evince che nessuno dei
l’assegnazione dei Mondiali di Atletica 2017 al
292 atleti azzurri che
Qatar, come poi è stato. E per capire l’attenpenale l’uso di Epo nel
parteciparono
alle
zione al capitolo doping del potentissimo pre2012 e le pratiche dopanti sidente Lamine Diack, ieri Salvatore Morale,
Olimpiadi 2012 a Londra fu sottoposto al ricampione europeo 400 ostacoli nel 1962, ha
nei due anni precedenti.
gido protocollo ordinaraccontato come nel 2001 da dg della Iaaf inviò
to della Wada: ovvero ai
al presidente Diack una lista di 258 atleti che
Così il marciatore spera
controlli a sorpresa. In
non si erano presentati ai controlli: la risposta
nelle Olimpiadi 2016
attesa che qualcuno al
fu il suo licenziamento.
SECONDO TEMPO
SABATO 13 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
IL CONFORMISTA
16
ALTRE VIE
Per la sinistra
un ritorno al futuro
IL LIBRO DI FRANCO CASSANO PROPONE DI NON ASPETTARE IL VENTO
DELLA STORIA E DI COMPIERE UN VERO SFORZO DI INNOVAZIONE
di Salvatore
P
Cannavò
er riprendere un
posto nella storia la
sinistra avrebbe bisogno di meno presunzione.
L’affermazione
sembra paradossale. Viviamo
una fase in cui la sinistra vive
ai margini della politica senza
ruolo né voce. Eppure, Franco
Cassano, autorevole sociologo
che la sinistra italiana l’ha frequentata e la conosce, propone di lasciarsi il passato alle
spalle e di costruire un “ritorno al futuro”.
A spiegare il senso dell’operazione politica-culturale del
piccolo saggio, edito da Laterza, basterebbe il titolo, Senza il
vento della storia. Quel vento
che l’Internazionale socialista
pensava di avere nelle vele e
che oggi si è fermato. Inutile,
quindi, attardarsi ai riti e ai
rapporti sociali dei “trenta
gloriosi”, gli anni che seguono
la Seconda guerra mondiale.
Ed è inutile, scrive Cassano,
pensare ancora di rivolgersi a
una base sociale che in larga
parte non esiste più.
© SENZA IL VENTO
DELLA STORIA
di Elisabetta Ambrosi
Franco Cassano
Laterza,
pagg. 92 © ¤ 12,00
Nichi Vendola e Pippo Civati
LaPresse
IL LIBRO È DENSO, capace di
suscitare notevoli curiosità e
costituisce una lettura utile soprattutto per quei dirigenti,
variamente collocati, che si
scervellano sul senso della sinistra in frequenti convegni
senza venire a capo di nessuna
proposta operativa. Nella ricerca di Cassano, va anche detto, si legge l’ansia di mettersi in
connessione con le novità imposte dalla globalizzazione che
l’autore non vuole considerare
un “gioco a somma zero”. Da
una parte un vincitore, dall’altro un perdente. La proposta è
quella di accettarne le sfide pur
DIFFERENZE
Il pianeta carcere
visto dalle recluse
ribadendo l’indisponibilità a
rientrare nelle compatibilità
del moderno capitalismo. Così
come viene proposta una riconsiderazione dei destini individuali da non ascrivere necessariamente al campo della
“rivoluzione passiva” (Gramsci). Ma queste incursioni nella modernità vanno compiute
da una sinistra che recuperi
una “ricognizione della base
sociale” logorata da anni di
politiche distruttrici e che ha
scelto “altre vie”, in particolare
i nuovi populismi. Una sini-
stra adeguata dovrebbe mettersi alla ricerca dei “nuovi ceti
popolari” e una volta individuati proporre una “convergenza tra convenienze diverse”, un lavoro di egemonia in
funzione di un blocco sociale
ritrovato. Un lavoro che non si
fa nei convegni o nei congressi
di partito, ma nel corpo a corpo con “la realtà liquida”.
Si tratta, quindi, di “costruire il
popolo”, espressione cara al
sociologo Ernesto Laclau e
che, non casualmente, ricorre
anche nelle riflessioni della
LA MEMORIA
Guccini come
te lo aspetti
formazione di sinistra Podemos, la stessa che in Spagna
viene accreditata dai sondaggi
come probabile vincitrice delle
prossime elezioni politiche. La
costruzione del popolo significa “una rete limpida e stabile
di alleanze tra diversi diritti e
diverse aree sociali”. Ponendosi le domande giuste ma sapendo che “di fronte a un
mondo profondamente cambiato si può continuare a dire
la verità solo se si lascia la vecchia risposta e si prova a cercarne una nuova”.
OPERAZIONE DENUNCIA
Le battaglie
per la verità
© RECLUSE
©LE BUFALE
SUSANNA Ronconi e Grazia Zuffa, prendendo
spunto da una ricerca che è stata condotta nei penitenziari femminili toscani nel 2013, hanno compiuto un’analisi critica
scegliendo di allargare lo sguardo sul vissuto delle detenute a cui hanno
dato voce insieme al personale educativo e alle agenti di polizia penitenziaria. Dati, esperienze di vita e riflessioni che offrono al lettore un
orizzonte nuovo senza assecondare facili stereotipi e visioni patologiche sulla detenzione dell’altra metà dell’“universo carcere”, ambiente maschile per antonomasia. Madri, figlie e “compagne interrotte”che
attraverso la loro biografia del dolore hanno permesso alle autrici di far
luce sulle zone d’ombra e le contraddizioni che spesso all’interno degli
istituti penitenziari italiani si traducono in violazione dei diritti umani.
Uno studio che porta avanti l’impegno de “La Società della Ragione”sul
tema della giustizia penale per lo sviluppo di una cultura democratica
laica perchè “non è vero che una volta che si cade si rimane traballanti,
ci si può rialzare e ricominciare più forti di prima”.
C. M.
A VOLTE non basta indignarsi e
lasciar correre. Spesso è necessario lanciarsi a capofitto nei conflitti che la realtà ci
mette dinanzi. Così la battaglia personale, anche
solo d’opinione, di un uomo impegnato, culturalmente e politicamente, diventa battaglia di tutti e
per tutti, per svelare, smascherare e scavare nei fatti che ci vengono proposti superficialmente dai media. Nel suo ultimo libro Carlo Ripa di Meana racconta le campagne per le quali egli stesso si è schierato in prima linea: dalla sua candidatura a sindaco
di Venezia per “dire no” alla costruzione del Mose,
alla critica alla missione Odyssey Dawn in Libia nel
2011, secondo l'autore la peggiore scelta in politica
estera del presidente Napolitano. E poi le battaglie
contro il business dell'eolico e la denuncia della
“sprecopoli” della politica.
Susanna Ronconi e Grazia Zuffa
Ediesse
pagg. 315 © ¤ 16,00
LA RIEDIZIONE
L’anziano medico
e il suo scrittore
© IL PAPPAGALLO DI FLAUBERT
Julian Barnes
Einaudi
pagg. 232 © ¤ 19,00
NELLA NUOVA versione di Susanna Basso, ritorna
a trent’anni di distanza Il pappagallo di Flaubert, il
romanzo mediante il quale si rivelò il talento dell’inglese Julian Barnes.
È la storia di un’ossessione, quella dell’anziano medico Geoffrey Braithwalte per il grande scrittore francese. Infatti nulla, del mondo o della
realtà, riesce a emozionarlo e ad appassionarlo quanto la biografia del
creatore di Madame Bovary. Ma, insieme, la vicenda si impernia attorno a una sublimazione assoluta del dolore, quello provato dall’uomo
per il suicido della moglie, sentimento che resta inespresso, sospeso e
appunto trasposto semmai nella vita esemplare di un eroe letterario,
nella ricerca dei più minimi dettagli quotidiani di un’altrui santità creativa. L’emblema del romanzo (che somiglia a un saggio) è precisamente il pappagallo impagliato che Flaubert teneva sul tavolo da lavoro
durante la composizione del racconto Un cuore semplice.
Enzo Di Mauro
Il
timballo,
la donna
e le troppe
verità
Carlo Ripa di Meana
Maretti Editore
pagg. 300 © ¤ 20,00
© TRA I CASTAGNI
DELL’APPENNINO
Marco Aime
con Francesco Guccini
Utet
pagg. 158 © ¤ 14,00
UN VIAGGIO nella memoria guidati da Francesco Guccini attraverso i ricordi di una vita trascorsa tra poesia e musica: le suggestioni dei
boschi dell'Appennino, la curiosa fauna umana di
Pàvana, storico rifugio del cantautore modenese,
piccola città, bastardo posto. Pifferaio di più generazioni, il maestrone non si sente un intellettuale impegnato, "le mie canzoni sono esistenziali, è il mio punto di vista sul mondo. Impegnato no, racconto quello che sono e la gente
che incontro”. Ironia e umiltà, canzoni di notte e
mulini a vento. Venuto grande a castagne, dall'Isola non trovata a Via Paolo Fabbri 43 sembra
di vederlo andare per strade e osterie, con due
canzoni fatte alla leggera in quella Bologna, vecchia signora dai fianchi un po' molli, dove è iniziata la sua carriera. Eterno Gulliver, a 74 anni
incanta ancora, e attraverso questa conversazione al presente, che riporta il lettore nella magia del passato, anche il testo è musica.
Caterina Minnucci
SONO il pasticcio di maccheroni
che la protagonista dell’ultimo
romanzo di Daria Bignardi,
L’amore che ti meriti (Mondadori), mangia in continuazione nei
giorni in cui si svolge la storia.
Lei si chiama Antonia, è una
scrittrice di gialli, ma questa volta le tocca dipanare i misteri che
circondano la sua famiglia e in
particolare ciò che accadde al
fratello di sua madre Alma,
Maio, tossicodipendente, scomparso a 17 anni. La ricerca porterà Antonia, che continua sempre
a smangiucchiarmi – da sola e in
compagnia –, a conoscere altre
verità, ad esempio quelle che riguardano i suoi nonni; e infatti
tutto il romanzo ruota intorno al
tema della verità: quella che fa
bene dire (“le persone reagiscono bene alla verità: accorcia i
tempi, crea intimità”) e quella
che talvolta è opportuno tacere
(“Certe volte ci vuole più coraggio a dire la verità che a non dirla”). E ruota, pure, intorno alla
sofferenza che ne consegue:
quella che nasce dal restare
all’oscuro dei fatti o, al contrario,
proprio dal conoscerli. Elegante,
un po’ malinconico, sentimentale al punto giusto, a tratti lievemente ironico: il libro racconta
Ferrara e insieme Daria Bignardi,
che lo definisce un “thriller esistenziale” (anche se, per la verità, prima che accada qualcosa
bisogna che siano passati almeno dieci-pause pasticcio. E poi
non è forse vero che ogni romanzo lo è?). Comunque a me –
umile timballo – il libro è piaciuto. Solo una cosa mi chiedo: ma
perché, nonostante campeggino
suggestive figure femminili, alla
fine il mistero lo scopre lui (il
marito), mentre il giovane Maio
cade vittima della droga per colpa di un errore della sorella, che
– novella Eva – gli propone di
provare? Non sarà che nell’inconscio dell’autrice ci sia ancora
qualcosina da scoprire?
LA GIORNALISTA
Viaggio al termine
di un racconto
© TEMPESTA
Lilli Gruber
Rizzoli
pagg. 284 © ¤ 19,00
CHI HA LETTO Eredità, il libro precedente dell’autrice (160 mila copie in 12
edizioni), sa che il libro terminava senza
raccontare appieno la storia di Hella. Un
personaggio chiave. Figlia della protagonista Rosa e prozia di Lilli Gruber, subì
due dittature: la prima drammaticamente imposta, il fascismo, e la seconda colpevolmente sposata, il nazismo. Con
Tempesta, Lilli Gruber termina il racconto iniziato ormai due anni fa. Uscito il 22
ottobre, lo ha definito il suo libro più
personale: “Un attacco all'intolleranza.
Un appello a trovare il coraggio di ammettere che in ogni tragedia collettiva
esiste una responsabilità individuale. È
più intensamente mio di qualsiasi altra
cosa io abbia mai scritto, è un'esplorazione personale del peggiore incubo della nostra memoria collettiva”. Rispetto a
Eredità, che poggiava sui diari originali di
Rosa, Tempesta alterna vicende reali a
fatti e personaggi inventati (ma verosimili). Gli americani usano la formula
“fiction non fiction” per definire il genere,
per la Gruber inedito ma sapientemente
manovrato. Il libro, non privo di suspense
e toni romantici, racconta (bene) una
vicenda relativamente lontana negli anni
ma pericolosamente vicina nei contenuti. Rabbia, ignoranza, intolleranza e l’impulso facile di incolpare anzitutto il debole. Il diverso. Colui che non si può difendere, e dunque il capro espiatorio
perfetto.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
SABATO 13 DICEMBRE 2014
17
LA BAND
Elio e le Storie Tese,
in attività dal 1980 Ansa
RAI UNO
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Le dieci leggi di Dio
te le spiega Benigni
di Patrizia Simonetti
no spot semplice girato nel
U
deserto senese di Accona dove un bambino dai colori scuri cor-
re seguendo incisioni in ebraico
sulla terra spaccata dal sole. Quindi
ci siamo. Prove in corso e a porte
serrate al Palastudio di Cinecittà
per Roberto Benigni che dopo la
Costituzione, la Divina Commedia
e l'Inno di Mameli, lunedì e martedì
torna in prima serata su Rai1 con I
10 Comandamenti: “Mi sto montando, è vero – ammette – il prossimo
anno farò l’esegesi dei sette nani, ho
delle notizie su Brontolo da perdere
la testa”. Un’ora e mezza a serata
senza interruzioni o quasi, solo uno
spot in testa, uno in coda e uno a
dividere l’anteprima dallo show
prodotto da Melampo Cinematografica e diretto da Stefano Vicario,
costo complessivo due milioni per
un ricavo di quattro.
TUTTI in attesa dunque, complice
anche l’atmosfera natalizia, della
doppia lezione di catechismo firmata dal premio Oscar per La vita è
bella. Anche se le tavole della legge
di Mosè non sono argomento del
tutto nuovo per Benigni: “Nostro
Signore le ha fatte un po’ troppo a
favore dei ricchi” diceva in quel di
Fantastico 6 nel 1985, altri tempi. “I
Comandamenti sono le parole più
famose della Bibbia – declama oggi
il toscano – argomento di infinita
bellezza e inconsumabile”. Previsti
per l’anno scorso poi rimandati, de I
10 Comandamenti Benigni voleva fare altrettante serate “perché il racconto dell’Esodo è lo spettacolo per
eccellenza, non c’è storia al mondo
più bella, l’ispirazione di qualsiasi
movimento della libertà”. Ma tra
tanto amore che trasuda da tutti i
pori, ci sarà spazio per quel Dio
vendicativo dei testi ebraici che minaccia di punire i disobbedienti per
generazioni? “Era un popolo impaurito quello là – risponde – come
lo siamo noi adesso perché la libertà
fa paura a tutti, crea responsabilità,
ci volevano leggi semplici e rapide e
c’era un solo esperto per farle”. Lui
invece si è avvalso della collaborazione di più esperti come il cardinale Gianfranco Ravasi, il teologo
Paolo Ricca e il giornalista e poeta
Franco Marcoaldi, perché viste le
diverse interpretazioni esistenti “io
farò la versione originale scritta da
Dio con il suo dito – dichiara – ma
entreremo anche nelle contraddizioni della Bibbia che certe volte è
incomprensibile”. Certo non sarà
difficile trovare tra le 10 leggi collegamenti all’attualità, Mafia Capitale in testa. E poi “l’esodo va di moda – ammicca Benigni – adesso lo fa
pure Ridley Scott a Hollywood, ma
esco prima io fortunatamente”.
Elio e le Storie Tese,
ex giovani mai invecchiati
di Fulvio
Abbate
lio è il Franco Zappa della muE
sica italiana, quanto invece ai
suoi sodali delle Storie Tese si potreb-
be assimilarli invece ai Monty Python,
nel senso della comicità paradossale,
della tendenza comune al travestimento, alla parodia, al bordellone
rock, si spera, palingenetico rispetto
al luogo comune canoro, melodico e
perfino pop e rock da cui ogni cosa
qui discende. Elio e le Storie Tese, da che
erano un luogo musicale giovanile
con affaccio sui postumi del mao-dadaismo e della stagione rocchettara
demenziale, alla fine, batti e ribatti,
forti anche di una pertinenza musicale degna dei maestri, sono perfino
diventati dei gran classici. Valga, su
tutto, il modo in cui il loro brano
giunto al Festival di Sanremo di un
po’ d’anni fa, “La terra dei cachi”, ossia “Italia sì, Italia no, Italia gnamme…”, è diventato un punto irrinunciabile del pentagramma situazionista
e tuttavia d’autore, più che un’autoclave metaforica dello stato delle cose
nazionali. Elio e le Storie Tese, dunque,
meglio di un fondo di Severgnini, perfino di un editoriale di Eugenio Scalfari, forse addirittura del discorso di
fine anno del presidente della Repubblica.
Per questa e altre ragioni ormai prossime alla storicizzazione, non abbiamo potuto fare a meno di seguire lo
speciale al gruppo e al suo duce dedicato, così l’altra sera su Raidue
nell’ambito monografico di Emozioni,
con Federico Russo a narrarne la storia, gli esordi, la traiettoria, ma sì, perfino la leggenda fin dal 1978, con pezzi unici come, metti, Uomini col borsello
o Servi della Gleba, fino a Fossi figo.
IL TEMPO ha lavorato anche sulle
tempie e perfino le sopracciglia faraoniche di Elio, e c’è davvero molto del
racconto di questi ultimi trent’anni
nello scarto tra lui che narra la propria
storia dall’altana del presente con abiti
da Dottor Zivago, e il ragazzo in felpa
degli Anni Ottanta ancora cuccioli,
quando Rocco Tanica già provava ad
arrangiare l’intero corpus musicale
della band milanese, e l’amico-mascotte Mangoni, architetto, segnapun-
Gli ascolti
di giovedì
CHE DIO CI AIUTI 2
Spettatori 4,5 mln Share 16,4%
ZELIG
Spettatori 3,8 mln Share 16%
ti, segnaposto, già compagno di banco
di Elio al liceo, figurava lì ad agitarsi
nella tuta di Super Giovane, questo
per ribadire che dal tempo del “ballo
del Pippero” con contorno di coro
femminile delle voci bulgare c’è stato
modo di veder volare via un pezzo di
leggenda nazionale, e poco male se,
sempre a Elio, si deve anche il crimine
di uno spot munito di pinguino che
negli scorsi mesi è riuscito a crocifiggere milioni di poveri utenti televisivi.
Lo speciale, dicevamo, già, lo speciale-cofanetto-vittoriale dedicato a Elio
e a tutti quegli altri, Faso, Cesareo, il
compianto Feiez, Christian Meyer,
Jantoman, Paola Folli e le altre centomila identità che il gruppo ha scelto
situazionisticamente di donare a se
stesso. La percezione conclusiva della
cosa, e qui i giovanilisti ci resteranno
davvero molto male, è la medesima di
quando ci fanno rivedere Tito Stagno
che annuncia il primo piede sul suolo
lunare. Anche Elio con tutte le sue
storie sono ormai antologia, cofanetto, bauletto, cenotafio, sono come eravamo.
VIRUS
Spettatori 1,3 mln Share 5,8%
ANNOUNO
Spettatori 954 mila Share 4,2%
18
SECONDO TEMPO
SABATO 13 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
BATTIBECCO
LA CUPOLA DI ROMA
Questo sistema
serve alla politica
di Bruno Tinti
M
afia Capitale. Prima c'era stato il
Consorzio Venezia Nuova. E ancora prima Expo 2015. E in mezzo
corruzioni grandi, medie e piccole con cadenza bi o triquotidiana. E ogni volta Renzi&C.
hanno blaterato di misura colma e di riforme necessarie e immediate. Che naturalmente
non si sono fatte. E che, se si fossero fatte, non sarebbero servite
a niente. Perché le riforme che
servirebbero la politica non le
vuole. Perché i reati di corruzione, frode fiscale, falso in bilancio e compagnia continuano a
essere commessi? Perché vi è la
garanzia dell'impunità. E perché questa garanzia? Per via della prescrizione e della pena che
non si sconta.
La prescrizione. Renzi&C. dicono che vogliono aumentarla.
Di quanto? In realtà non importa. Aumentarla è come intervenire su una macchina che ha un
motore progettato male: con un
litro fa 500 metri. Allora si costruisce un serbatoio più grande: sempre 500 metri al litro farà, ma il percorso si allungherà.
I passeggeri trasportati resteranno gli stessi, pochi. La prescrizione deve essere allungata,
si capisce. Ma non è questo il
problema. Il fatto è che il nostro
processo è troppo lungo. In effetti, possibile che 7 anni e mezzo, ma anche 10 o perfino 15
(pensate a Eternit) non bastino
per un processo? No che non
bastano, perché non è un processo. Sono almeno tre, Tribunale, Appello e Cassazione. Ma
in realtà sono cinque perché c'è
l'udienza preliminare e il Tribunale della Libertà. Ma in realtà
sono ancora di più perché al TL
si può ricorrere anche 20 volte
di seguito; e la Cassazione può
rinviare all'Appello o perfino al
Tribunale e far ricominciare
tutto. Come può un processo
come questo essere fatto in tempi brevi? Ovvio che tutto si prescrive (quello che conta, il furto
al supermercato no, tranquilli).
Quindi la vera riforma è modificare il processo. Niente Appello, niente udienza preliminare, notifiche solo agli avvocati e solo via email, niente avvisi,
depositi, termini ripetuti 3/4
volte, un processo in Tribunale
e un ricorso in Cassazione per
motivi di diritto. Così si raddoppiano i magistrati e il personale senza spendere un soldo
e probabilmente la prescrizione
smette di essere un problema.
LA PENA È FINTA. Fino a 4 anni
in prigione non ci si va. Ma ci
pensate? Si spendono una marea di soldi, si passano anni e anni a giocare in aule di giustizia e,
sempre che si arrivi a sentenza
definitiva di condanna, si dice
all'imputato; sei colpevole, ti
toccano 3 anni e 11 mesi. Vai
pure a casa. Se poi la condanna è
di 5 anni, si sconteranno 7 mesi e
mezzo; e se fosse di 6 (praticamente mai si danno pene del genere) si sconterebbe 1 anno e
mezzo. 10 anni di galera sono
poco più di 3. Ma dai!
Ansa
RICETTE
Basterebbero poche
e semplici riforme penali
per arginare il malaffare,
ma così buona parte della
nostra classe dirigente non
saprebbe come campare
In queste condizioni, perché
corruttori e corrotti dovrebbero
smettere di delinquere? L’unico
guaio che gli può toccare, dopo
aver messo al sicuro una barca di
soldi, è farsi pochi mesi di carcerazione preventiva (fino a
quando la politica non la eliminerà, come periodicamente minaccia di fare. Ma si sa, è una
conquista di civiltà).
Quale riforma possono partorire Renzi&C. se non modificano
questa situazione? Che non sarà
modificata. Pensateci. Quale
cittadino di normale buon senso
potrebbe volere un sistema del
genere? Chi (esclusi gli amici di
mafiosi e criminali e di politici
associati, tanti ma pur sempre
una minoranza della popolazione) direbbe al suo politico di collegio elettorale: ti voto, vai e realizza un sistema così? Nessuno,
ovviamente. Allora come ci si è
arrivati? Perché alla politica serve un sistema così. Perché la politica è fondata sul malaffare,
perché i politici campano di reati o di sovvenzioni criminali. E
non possono permettersi un sistema penale che blocchi il sistema che gli dà da vivere, anche
nel senso stretto del termine.
Una prova? C’è un sistema semplicissimo per battere la corruzione. Spezzare il sodalizio necessario tra corrotto e corruttore. Oggi entrambi, se scoperti,
sono punibili, tutti e due in galera. Ma, se si prevedesse che il
primo che denuncia l’altro, anche prima di un’indagine, andrà
esente da pena, il vincolo è reciso. Chi si fiderebbe a farsi corrompere sapendo che, appena
c'è in giro puzza di indagini,
qualcuno può comprarsi l’impunità denunciandolo. E viceversa. Sistema banale, non a caso adottato da sempre negli Usa
e di cui io parlai la prima volta
negli anni 70 a Beniamino Andreatta, un Dc onesto e preparato che fu subito d'accordo.
Naturalmente non se ne fece
niente. Ma, se quello denuncia il
falso? Va in prigione per calunnia. Non è che basti la denuncia
per condannare, ci vanno i riscontri. Se non si trovano, poveretto lui.
Il Colle ha (di nuovo)
passato il limite
di Massimo
Fini
n NON HO MAI avuto alcuna considerazione per Giorgio Napolitano (definito a
suo tempo, da qualcuno,
“coniglio bianco in campo
bianco”) e in questo senso
ho scritto più volte e in particolare in un articolo pubblicato su Giudizio Universale
nel giugno del 2006, quando
fu eletto presidente della Repubblica, poi rieditato in un
libro di Chiarelettere del
2010. Ma questa volta l'anziano presidente, da sempre
cauto, cautissimo, cosa a cui
deve la propria longevità politica, pare aver perso la testa. In un momento in cui
l’Italia è nel pieno del più grave scandalo della sua Storia,
che pur è un sequel di scandali, colpita da un fenomeno
criminale-politico che è più
pericoloso e inquietante della mafia, perché la mafia è
perlomeno un cancro individuato e, almeno teoricamente, circoscrivibile, mentre qui siamo in presenza di
una serie di metastasi incontrollabili che attraversano
l’intero Paese (in questo senso va intesa la contestatissima affermazione di Grillo
“era meglio la mafia”) Napolitano che fa? Non indica come prima emergenza del
Paese la corruzione politico-criminale, ma “l'antipolitica che in Italia è ormai degenerata in una patologia
eversiva”, con un chiaro riferimento al Movimento 5
Stelle, che di tutto può essere accusato tranne che di
corruzione.
È anzi l'unico partito che ha
restituito 42 milioni che pur,
per legge, gli spettavano.
Grillo ha replicato: “Napoli-
tano stia attento, rischia che
lo denunciamo per vilipendio
del Movimento”. Ma non è
questo il punto. Napolitano
ha violato il proprio dovere
costituzionale di imparzialità. Il presidente della Repubblica, che rappresenta tutti i
cittadini, non può prendere
parte contro un movimento
presente in Parlamento e che
oltretutto, allo stato, è il primo partito, il più votato con i
suoi 8 milioni 688 mila 231
voti. Napolitano dovrebbe
essere semmai denunciato
per “alto tradimento”.
Ma perché mai il movimento
di Grillo sarebbe “eversivo”?
Perché ”nel biennio alle nostre spalle hanno fatto la loro
comparsa metodi e atti concreti di intimidazione fisica,
IL “MONITO”
Napolitano sbaglia
bersaglio, l’emergenza
non è la corruzione,
ma l’antipolitica.
E tanti saluti al dovere
di imparzialità
Giorgio Napolitano LaPresse
di minaccia, di rifiuto di ogni
regola e autorità”. Nessuno
meglio di Napolitano può sapere, perché c'era, che quando in Parlamento sedevano i
comunisti le botte e le scazzottature, con il capintesta
Pajetta, erano all'ordine del
giorno (naturalmente Napolitano, che non è mai stato
uomo di passioni, a quelle
zuffe non partecipava, come
quando era ragazzo preferiva stare ai bordi del campo).
Ma l'affermazione più inquietante di Giorgio Napolitano è quando dice che di
questa situazione “eversiva”
portano “pesanti responsabilità anche alcuni mass media e opinionisti senza scrupoli”.
n QUI SIAMO in pieno regime fascista o, peggio, stalinista quando ogni critica
era considerata “un’attività
oggettivamente antipartito”
e quindi meritevole di purga,
come Napolitano che di quegli orrori fu a conoscenza e,
per la sua parte, complice,
non può non sapere.
Napolitano afferma anche
che “serve una scossa civile
che spinga i cittadini a reagire”. Se ci sarà una “scossa
civile” si dirigerà proprio
contro quella politica in cui
Napolitano è incistato da
quando esiste. Questo non è
fare dell’”antipolitica”, ma
volere un’”altra” politica, democraticamente.
Ma se la politica persevererà
nel derubare sistematicamente i cittadini verrà il giorno in cui la gente, grazie anche alle provocazioni di Napolitano, perderà la pazienza. E non sarà una “scossa”.
Sarà rivolta. Né civile, né democratica, né indolore.
CORSI E RICORSI
Mafia Capitale, una storia già vista
Per reagire ci vorrebbe lo spirito del 1992
di Gian
Carlo Caselli
l malaffare che appesta
I
Roma ha sbalordito un po’
tutti per le sue dimensioni. I
primi risultati dell’operazione nota come “Mafia Capitale” non lasciano dubbi. Anche se qualcuno preferisce attardarsi sull’assenza di “punciute” con spine di arancio
amare, per cui non ci sarebbe
vera mafia nonostante una
sostanza di comportamenti
tipicamente riconducibili al
416 bis.
Ma come definire la tendenza
di pezzi consistenti della classe dirigente (politici, amministratori, alti burocrati e
SOLDI NON SANGUE
La criminalità oggi uccide
meno persone, ma uccide
sempre più la speranza.
Il business dell’evasione
fiscale e dell’economia
mafiosa è da vertigine
operatori economici) a forme
di allergia per la legalità con
uso del potere pubblico in
modo privato? Persistenza
sotterranea che riaffiora ciclicamente? Tara del carattere
nazionale? Endemia? Metastasi? Elemento strutturale
del sistema? Guicciardini sosteneva che “le cose passate
fanno luce alle future (…) e le
cose medesime ritornano ma
sotto diversi nomi e colori”.
I “precedenti” della situazione denunciata oggi dalla Procura di Roma sono singolari e
per certe somiglianze stupefacenti. La bella Autobiografia
di una Repubblica di Guido
Crainz ne offre un ricco e
prezioso catalogo. Dagli Anni Ottanta fino ai primi Anni
Novanta “la realtà italiana è
sempre più caratterizzata da
una illegalità diffusa e da
un’incredibile accettazione
di comportamenti a vario titolo illeciti” (Ornaghi-Parsi).
Nel 1980, Italo Calvino scriveva un eloquente Apologo
sull’onestà nel paese dei corrotti,
mentre Massimo Riva denunciava che “mai si era vista
tanta corruzione radicarsi
così dentro e così largamente
nelle strutture dello Stato”.
Fino a invocare che qualcuno
si levasse contro i disonesti
con le parole “in nome di Dio
andatevene! liberateci dalla
vostra presenza” (tolto l’accenno a Dio, sembra quasi
un’invettiva “grillina”…).
NEL 1993, all’esordio del ventennio che ora comprende la
“Mafia Capitale” e ha rafforzato alcuni caratteri negativi
del nostro paese, Antonio
Gambino scriveva che “intere
schiere di uomini politici e
funzionari pubblici hanno
saccheggiato lo Stato, avvicinando la comunità a un baratro che rischia di inghiottirla”.
Con queste citazioni non si
vuole assolutamente dire (sarebbe bestemmia) che così
robusti precedenti possano in
qualche modo assolvere conclusioni ispirate a “filosofie”
perverse, del tipo “così fan
tutti da sempre, non val la pena scaldarsi...”.
Vero è che queste “filosofie”
trovano nutrimento nella
constatazione che nel nostro
Paese chi sbaglia raramente
paga, soprattutto se conta.
Grazie anche (soprattutto nel
recente passato) a condoni
persino tombali, prescrizioni
senza freni e leggi mirate su
interessi personali. Vero è che
una buona parte del popolo
italiano è persino riuscito a
metabolizzare la penale responsabilità di Andreotti e la
condanna di Dell’Utri per
gravi collusioni con il peggior
potere mafioso. Ma ragionando così si consolida quella
rassegnazione dei cittadini
(spesso connivenza) che è
uno dei più potenti fattori di
persistenza all’infinito dei
comportamenti immorali e
illegali che si fustigano con
furore soltanto finché fa effetto l’indignazione dell’ultimo scandalo.
Dobbiamo invece ritrovare
quella coscienza civica collettiva che dopo le stragi di mafia del 1992 ci ha consentito di
fare resistenza e di salvare
l’Italia dal baratro in cui esse
volevano cacciarla, trasformando la democrazia in un
narco-Stato o Stato-mafia.
Coscienza civica tradottasi al-
Massimo Carminati Ansa
lora nella stagione dei lenzuoli e poi nell’azione organizzata da “Libera” e altre associazioni. Coscienza civica che
oggi significa rifiuto di omologazione, di quieto vivere e
conformismo. Soprattutto
coraggio di denuncia e coerenza (predicare moralità
mentre si praticano favoritismi e illegalità equivale a rafforzare il potere mafioso).
La mafia oggi uccide meno
persone, ma uccide sempre
più la speranza (copyright di
Luigi Ciotti). Il business complessivo dell’evasione fiscale,
della corruzione e dell’economia mafiosa è da vertigine.
Queste illegalità, con le collusioni e l’inefficienza, operano come una tenaglia che ci
stritola causando sempre più
impoverimento economico e
sociale. Solo l’impegno e il coraggio di tutti possono tenere
in vita la speranza di salvare
ancora la democrazia.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
SABATO 13 DICEMBRE 2014
19
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Oggi Berlinguer
non sarebbe a suo agio
Paolo Spriano ha raccontato la storia del Pci in otto
volumi, ed è una storia
lunga di sogni, speranze, di
sdraiati sulla linea, battaglie, liti, passioni, meschinità e doppiezze. Oggi,
quella storia non interessa
più a nessuno. La miopia
di chi non capì la rivolta
ungherese del '56 ha pesato e molto, come ha scritto
Antonio Giolitti, poi ha
chiamato rinnegati i socialdemocratici, per poi
rendere omaggio al craxismo, come compimento di
un ciclo, come per liberarsi
di una storia ingombrante,
o forse per una sorta di sottaciuto funerale delle idee.
Dal crollo del Muro di Berlino, poi è stato un aggiornamento continuo; come
dire: siamo come tutti gli
altri, e chi è senza peccato
scagli la pietra. La questione morale; la questione
ideale, è roba vintage, o va
bene per i centri studi, per
le università; il fare politica
necessita di soldi, e l'imborghesimento non è più
una colpa di cui vergognarsi, anzi: tanto vale approfittarne. I tempi cambiano; il nuovo incalza.
Basta vedere come Renzi si
dileggia alla tastiera scrivendo messaggini e parlando in diretta televisiva.
La rivoluzione non ha più
bisogno di un lento e perseverante lavoro. Oggi chi
cambierà l’Italia, e la rivolterà come un calzino, è un
gruppetto di dirigenti e di
belle donne uscite da un
meeting bancario, da una
sfilata, o da una centrifuga
che lava più bianco. Lo
spettinato Berlinguer non
sarebbe a suo agio. Certe
facce sconsolate di vecchi
militanti vien voglia di abbracciarle. Molti di questi
vecchi silenziosi e abbacchiati, oggi sono mortificati e per lo più muti.
Marino Pasini
Gli italiani stanchi
e la soluzione 5Stelle
È vero che i gravi problemi
della corruzione e della
criminalità che danneggiano pesantemente il
Paese non sono da addossare tutti all’attuale gover-
no, ma quello che non capisco è cosa deve succedere ancora affinché il governo e il Parlamento si decidano ad adottare misure
severe contro tali problemi. La pazienza sta rapidamente terminando ed il
suo esaurimento potrebbe
condurre ad una tale sfiducia nelle istituzioni da
creare nuovi problemi di
tenuta del Paese. Il governo e il Parlamento abbiano
il coraggio di varare norme severe per la punizione
dei furbi e dei criminali.
Altro che Italicum, Porcellum, abolizione dell’articolo 18 e altre stupidaggini partorite da menti bacate, lontane anni luce dal
comune sentire dei cittadini. Abbiamo un Presidente della Repubblica
che non è più in grado di
fare da garante di alcun-
interne, possono ancora
fare la differenza. Lo scontento dei cittadini va incanalato, ascoltato e soddisfatto, altrimenti non si
può pretendere che non
sfoci in disobbedienza o
peggio in ribellione, che
andrebbero intese come
volontà dei cittadini di
non riconoscere più come
proprio uno Stato di privilegiati, di affaristi, di ladri.
Sul campanile del duomo
di Conegliano vi è un orologio, al di sotto del quale
vi è una didascalia che dice
“Vulnerant omnes, ultima
necat”. È bene che governo e Parlamento non tirino troppo la corda.
Tutte
le polizie
del mondo
CARO FURIO COLOMBO, di filmato in
filmato, di fotografia in fotografia, tutte
le polizie del mondo mi sembrano
uguali, truppe occupanti di Paesi che
non conoscono. Che ci sia o no democrazia, non sembra fare differenza. Non
capisco.
Ferdinando
L’AFFERMAZIONE è fondata, se si pensa a un montaggio di immagini che includa la manifestazione degli ombrelli a
Hong Kong, sequenze americane di Occupy Wall Street, immagini di “cariche di
alleggerimento” nelle manifestazioni
operaie e studentesche italiane, e i due
episodi di uso delle armi da fuoco a Ferguson (Missouri) e New York. “Avrebbe
potuto essere mio figlio”, ha detto il sindaco di New York, De Blasio, del ragazzino ucciso mentre brandiva un’arma
giocattolo. Lui, infatti, ha due figli afroamericani. Per tentare di spiegare certi
eventi, è necessario ricordare che nelle città americane, la polizia dipende dal sindaco (e a lui o lei spetta di nominare o revocare il capo della polizia), dunque attraverso il controllo di un processo elettorale. Si possono fare varie ipotesi sociologiche per ciascun Paese. Eppure la naturale diffidenza cinese, il forte legame di
cittadinanza americano, le contraddizioni italiane dovute a ragioni storiche, non
producono vere differenze. Si direbbe che
in ciascun caso l’estraneità della polizia è
grande e che il senso di doveroso e quasi
automatico antagonismo dei manifestanti (quasi sempre giovani) non si presta a facili sottomissioni, ed è pronto a
una certa dose di rischio. Se fosse possibile
il montaggio di eventi, luoghi e scontri di-
Paride Antoniazzi
Napolitano dribbla
i veri problemi
Nel discorso pronunciato
all’Accademia dei Lincei
la vignetta
versi (per le più diverse ragioni) nel mondo, si direbbe che tre passaggi sono sempre uguali: coloro che protestano sono
giovani. Il fatto che raramente gli incidenti da scontro cittadini-polizia siano
gravi si deve a una evidente autolimitazione della protesta. Il comportamento
delle polizie mostra sempre un grado abbastanza marcato di estraneità, come se
ciascun reparto in tenuta da sommossa
operasse in un altro Paese. Il fatto che a
volte le autorità centrali o cittadine siano
dalla parte dei dimostranti (il caso del
presidente Obama, il caso del sindaco De
Blasio) non cambia nulla. Le polizie sembrano avere un loro autonomo codice di
comportamento che risponde alla funzione molto più che alla politica. Ma anche
ammettendo questa strana e non spiegata
contraddizione, restano due buchi neri su
cui non ci sono né buone indagini né attendibile sociologia. Perché negli Usa la
polizia spara, come se vigilasse su confini
razziali che (ordine di chi?) non devono
essere valicati? Perché in Europa a un certo punto di eventi di confronto-scontro
contenuti di solito nelle regole di fatto appena indicate, compaiono distruttori fanatici che giocano con la vita degli altri,
aggrediscono in modo militare la polizia e
chi tenta di isolarli, distruggono ciò che si
può distruggere e poi scompaiono quasi
sempre indisturbati e raramente devono
rendere conto di azioni e ragioni di ciò
che hanno fatto? La verità è che spiegare
si può. Ma porterebbe notizie che nessuno
vuole sapere.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
[email protected]
mente alla rettifica di
quanto scritto in quanto
mai nessuna contestazione
di alcuna attività delittuosa
è stata allo stesso contestata
nell’ambito del procedimento di cui all’articolo,
nell'ambito dei processi alla “compagine eversiva di
Ordine Nuovo” e in quelli
relativi al 'sodalizio criminale capitolino della Banda
della Magliana.
Prof. Avv. Luca Marafioti
L’articolo si riferisce espressamente al legame di conoscenza, documentato dal
Ros dei Carabinieri, che
elenca diversi incontri tra
Manlio Denaro e Massimo
Carminati, mentre nessun
riferimento ad affari o rapporti di lavoro è stato menzionato nel pezzo in questione. Riguardo il procedimento Telekom-Sparkle
Fastweb è agevole verificare
che, nell'articolo, è stata riportata la notizia della sua
assoluzione in primo grado.
Non ho mai sostenuto che
abbia subìto procedimenti
penali relativi alla compagine di Ordine Nuovo ma,
come sostiene l'informativa
del Ros, che Denaro “rivestiva al suo interno un ruolo
di assoluta centralità”. Sui
collegamenti con la “banda
della Magliana”, infine, ho
ancora una volta attinto
dall’informativa della polizia giudiziaria che, descrivendo Denaro, sostiene che
“gravitava sia negli ambienti dell’estrema destra
romana sia nel sodalizio
criminale capitolino della
banda della Magliana”. (L.
Di Ces.)
I NOSTRI ERRORI
ché, addirittura la Costituzione è ancora sotto tiro da
parte di soggetti privi di
idonea cultura giuridica,
politica e istituzionale. La
Capitale è terreno di conquista di criminali, mafiosi e reazionari e il presidente del Consiglio non ha
saputo far altro che commissariare il partito democratico romano, come
dare un Aulin contro la
poliposi al colon. Gli unici
che possono fare qualcosa
sono i ragazzi del Movimento 5 Stelle. Se la smettono di perdersi in beghe
mi sembra che il presidente
Napolitano abbia voluto
deliberatamente dribblare
il vero problema che è quello della corruzione generalizzata in tutti i livelli di governo. Naturalmente la
metastasi corruttiva tocca
la maggior parte del popolo
italiano, che ha perso per
strada la sua vocazione cristiana e quella della fratellanza e della solidarietà, sostituendole con i nuovi idoli dell’arricchimento continuo e del successo. La storia
dirà quanto abbia influito il
ventennio berlusconiano
con l’avvento delle televisioni commerciali e della
pubblicità a gogò! Prendersela, pertanto e soprattutto,
come fa Napolitano, con la
“patologia
eversiva”
dell’antipolitica e non invece con la corruzione della
politica, mi sembra confondere l’effetto con la causa.
Luigi Ferlazzo Natoli
DIRITTO DI REPLICA
Si precisa quanto segue in
riferimento
all’articolo
pubblicato in data 10 di-
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Antonio Padellaro
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Redazione
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Editoriale il Fatto S.p.A.
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Presidente: Cinzia Monteverdi
Consiglio di Amministrazione:
Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez,
Antonio Padellaro, Layla Pavone,
Marco Tarò, Marco Travaglio
cembre 2014 dal titolo
“Quei 10 mila voti offerti al
deputato vicino a Scajola”.
Anzitutto, è destituita di
ogni fondamento l’affermazione: Manlio Denaro,
uomo legato al presunto
boss Massimo Carminati.
Il Sig. Denaro, infatti non
ha mai intrattenuto con lo
stesso alcun rapporto di carattere economico e/o lavorativo che possa anche
lontanamente giustificare
simile affermazione. Si
precisa, poi, che il Sig. Denaro è stato assolto con formula piena da ogni reato
contestato nel menzionato
procedimento
Fastweb-Telecom Sparkle, per
altro verso, non è mai stato
coinvolto in procedimenti
penali relativi alla “compagine eversiva di Ordine
Nuovo”. Altrettanto privo
di qualsiasi fondamento e
gravemente lesivo risulta il
collegamento operato con
il “sodalizio criminale capitolino della Banda della
Magliana”, con il quale mai
alcun tipo di rapporto è stato intrattenuto dal mio
cliente. Pertanto, Vi diffido
a provvedere immediata-
Nell’articolo dal titolo “Distruzione & sospetti Sloviansk e le macerie dell’anima ucraina” la frase “…raso al suolo dai colpi sparati
dall’esercito ucraino sparati dai separatisti” è dovuta a
un refuso causato da un taglio dell’articolo. È evidente
che il senso corretto è che
l’ospedale è stato distrutto
dall’esercito ucraino.
Vauro Senesi
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