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educare all`aperto - Comune di Ferrara
Documentazioni & Dintorni 6
EDUCARE ALL’APERTO
Sabato 16 maggio 2015
Centro Sociale Via del Melo, Ferrara
Donatella Mauro
Presenta i relatori della mattina.
Alberto Rabitti, è ingegnere, si occupa di educazione all’aperto, con una sua filosofia di pensiero, ma anche
con il suo corpo, che mette in gioco in laboratori, con lo scopo di mettere tutti in contatto con la natura.
Beatrice Vitali, coordinatrice del nido “Il Cavallino a dondolo” e della scuola dell’infanzia “Al cinema” della
Fondazione “Gualandi” di Bologna, che hanno adottato questa filosofia dell’educazione all’aperto della quale ci
porterà le esperienze.
Ilaria Bosi, coordinatrice pedagogica del comune di Argenta che da tanti anni lavora e fa ricerca su questo
tema.
Stefan Von Prondzinski, che collabora da molti anni con i nostri servizi educativi, sul tema dell’integrazione dei
bambini in difficoltà e sul tema del gioco. Stefan ha il compito di concludere i lavori della mattina con uno
sguardo più ampio sul gioco.
Si ringraziano le collaboratrici del centro di documentazione Raccontinfanzia che si sono adoperate per
l’organizzazione di questo mese di eventi e i coordinatori pedagogici di Ferrara e provincia, in particolar modo
al gruppo di progettazione di Documentazione e Dintorni.
Una breve presentazione.
Perchè parliamo tanto di educazione all’aperto?
Perchè parliamo di un bambino a rischio, di un bambino che rischia di perdere delle opportunità, a rischio di
inattività, di bambini che sempre di più vivono esperienze all’interno delle loro case, delle palestre, delle
biblioteche, che sono luoghi importanti ma che non danno la possibilità di sperimentare il proprio corpo, la
propria testa, le proprie emozioni in maniera autonoma e in un ambiente naturale.
Sette buoni motivi.
- L’importanza dell’azione. Nei bambini molto piccoli l’azione è fonte di apprendimento. I bambini
apprendono attraverso il movimento, se non hanno la possibilità di sperimentarsi con il proprio corpo,
rischiano di incontrare difficoltà nella relazione con gli altri, con il proprio corpo, con lo spazio. Gli
psichiatri sostengono che una scarsa attività motoria all’aperto nell’infanzia può portare ad ansia e
panico nell’età adulta. L’azione porta alla conoscenza, all’approccio con gli ambienti naturali; i
materiali che troviamo in natura sono importanti strumenti per sperimentare. (foto di una scuola
siberiana in cui i bambini escono in inverno e fanno la doccia con l’acqua gelata
I pediatri sempre
di più affermano che i bambini che stanno molto all’aperto si ammalano di meno, in quanto batteri e
virus prolificano di più al chiuso).
- Sperimentare con il corpo. Se i bambini non vengono messi in condizione di saltare, di provare, di
rischiare, perdono occasioni di sperimentare esperienze importantissime per la crescita fisica e
psicologica.
- Le emozioni. Quelle che i bambini provano all’aperto sono fondamentali. Quando un bambino esce in
giardino, la prima cosa che fa è scavare o correre, esplorare, nascondersi. L’emozione della scoperta
e l’emozione del gioco. Ci sono più possibilità di gioco all’aperto e tante possibilità di prendersi cura di
piante e animali.
- La paura. E’ nostra di adulti che vediamo i luoghi chiusi come più sicuri; bambini e ragazzi raramente
stanno all’aperto, molti restano in casa, davanti al pc con cui comunicano, oppure sono in palestra,
piscina, a scuola di musica tutti luoghi “guidati dagli adulti”, nei quali è difficile sperimentare l’attività
libera. Questa paura va affrontata se vogliamo che i nostri bambini diventino sicuri di loro stessi e
delle loro capacità, perchè possano fare delle piccole cose per il proprio ambiente e per gli altri.
- Nella fascia 0/6 si costruisce l’autostima dei bambini, la capacità di dire posso affrontare
1
un’esperienza nuova.
- Imparare a prendersi cura. Le esperienze naturali, mettono in condizione i bambini di prendersi cura
dell’ambiente, della natura, del mondo. E’ facendo che i bambini possono appassionarsi alla cura.
- Sinergie. Per fare tutto ciò c’è bisogno di sinergie. Significa lavorare insieme, pedagogisti, insegnanti,
genitori, pediatri, coordinatori della sicurezza, servizio sanitario. Significa fare ragionamenti tenendo
conto delle esigenze dei bambini e della loro sicurezza, le due cose non sono in contraddizione vanno
ragionate.
- Cominciare dalle piccole cose. Partire da esperienze semplici che non hanno la pretesa di
rivoluzionare il nostro modo di pensare l’ educazione dei bambini, ma che li mettano in condizione di
essere protagonisti del loro percorso di crescita.. Questo comporta lavoro prima su di noi educatori e
un cambiamento di mentalità per poi affrontare queste piccole sfide che vogliamo proporre ai bambini.
L’esperienza all’aperto non deve essere un’esperienza sporadica, ma deve far parte del nostro progetto
pedagogico e quindi essere un’esperienza della quotidianità.
Alberto Rabitti.
Si presenta. Abita nell’Appennino di Reggio Emilia, ha fatto studi tecnici, poi ha proseguito con un lavoro più
manuale, è praticamente un artigiano. È legato al mondo dell’educazione perchè si voleva riavvicinare
all’infanzia del mondo. Ha iniziato a lavorare come atelierista in un nido.
Quando parla di infanzia del mondo parla di tutto ciò che vive in modo semplice e non regolato.
Lavorando nei nidi della bassa reggiana, vedeva sempre gli stessi scenari, fangosi, contornati da pioppi ed ha
iniziato ad osservare cosa succedeva di solito ed era sempre un “stai lontano, non ti avvicinare troppo, non ti
sporcare, se urli ritorniamo dentro”. Ha provato a lavorare su se stesso per vedere se c’erano già risposte
dentro le pozze d’acqua.
Ha deciso di stare sui processi, bisogna avere piacere e fiducia di stare vicino alle cose che sono fuori, e starci
con attenzione.
È convinto del lato sociale, l’educazione non può da sola, avvicinare la fiducia nel mondo esterno. Senza
l’appoggio da parte delle famiglie, non avrebbe potuto stare fuori con i bambini tutto l’anno.. Ma gli spazi in cui
poteva lavorare nei servizi educativi erano tutti uguali e tutto ciò che stava appena fuori dalla recinzione di
quegli spazi era diverso l’uno dall’altro. Proprio come I bambini.
Tutto il mondo al di fuori non poteva essere toccato e non poteva entrare a scuola per motivi di sicurezza.
E’ stato più volte all’estero per capire. In Germania in campi di lavoro, che riportare qui sarebbe stato
improponibile. Ma era testardo nel pensare che bastava soltanto spostare il baricentro dell’educazione. E
iniziò a lavorare sugli spazi esterni, convinto che l’ambiente sia educatore di per sè in quanto è vivo.
Tornava in Italia, sperimentava e tornava all’estero. Piano piano, nelle scuola della Fondazione “Gualandi”, ha
sperimentato come costruire piccoli spazi e piccole esperienze. Finalmente dopo 6 anni ha potuto fare il primo
giardino completo vicino a casa, a Modena, collaborando con studio tecnico, nonni… è nato questo nido a
Campogalliano. Ha cercato di portare fuori quelli che sono principi dell’architettura interna.
Foto del nido.
Educatrici che hanno capito di avere una competenza tecnica, di poter scegliere.
Altre foto di scuola dell’infanzia.
Foto di Rimini, giardino del nido aziendale per i dipendenti dell’USL. Grosso progetto con la cooperative. Dopo
2 anni lo chiamano perchè c’è un grande problema: un buco scavato dai bambini.
Tante chiamate per i buchi. È come se lo chiamassero e dicessero “I bambini portano i libri a scuola, vieni che
glieli togliamo!” .
Scuola dell’infanzia della bassa Modenese, educatrici che hanno lavorato un anno intero sugli spazi esterni
per permettere ai bambini di avere quotidianamente questi luoghi. 4 educatrici senza compresenza, scuola
privata, parrocchiale.
Presenta quattro piccole documentazioni, non perché dobbiamo insegnare agli altri, ma imparare a convivere
con gli altri in una ricerca continua che dobbiamo imparare a fare.
1 Scuola dell’infanzia che sta cercando di aprire a Bologna, ha avuto la fortuna di trovare un ampio spazio,
con frutteto, vicino ad un canale, sterpaglie da tutte le parti. Le educatrici hanno lavorato in alcuni fine
2
settimane. Osservazioni dalle finestre dei palazzo intorno. Polizia e USL hanno fatto sopralluoghi.
Crede che alla base dell’esperienza ci sia una forte esperienza personale, le educatrici si sono riconosciute
nel servizio, non hanno avuto paura di buttarsi in ciò che non conoscevano.
2
Piccola scuola parrocchiale che aveva in dotazione anche un garage, lavoro con educatrici e genitori. È
bello vedere i nonni che vengono ad aiutare e le educatrici che si mettono in gioco ed hanno recuperato un
piccolo spazio. I genitori chiamati a lavorare non servono solo per condividere esperienze, è per fare un pezzo
di strada insieme. Stare insieme, nei processi.
3
Quartiere residenziale popolare di Piacenza, mattina nebbiosa, quando i genitori e gli educatori vedono
arrivare il camion con grandi tronchi alcuni ridono, alcuni sono preoccupati, alcuni sono perplessi. Bellissima
giornata di lavoro. Quando inizi a fare, ti liberi e vedi che ti diverti.
4 Altro servizio a Piacenza, un grande cementificio smantellato, ci si mette al lavoro per piantumare.
5
Nido “Spaventapasseri” a Reggio Emilia, risistemare l’orto, scuola dell’infanzia più scuola elementare. I
piccolissimi provano ad usare gli strumenti. Osservazione di un bambino che prova a piantare i chiodi.
Queste solo alcune le esperienze di comunità che ha vissuto in questi anni.
Raccolta di foto per prendere fiducia per cambiare da dentro i servizi.
Altro percorso: giardino, contesto classico, ripensa ad una frase di Malaguzzi quando dice che dobbiamo
smettere di vedere il mondo a fiumi, a montagne e a colline, tutto separato ma il mondo ha senso quando lo
vediamo come una rete, per comprendere che una piccolo cosa fa scatenare grandi cose. I nostri giardini
sono sempre nati al contrario, per punti.
Altro punto importante: studiare l’ambiente in cui si deve lavorare, osservarlo.
Far osservare ai bambini. Lavorare in piccoli gruppi.
Beatrice Vitali.
Lavora per la fondazione “Gualandi” di Bologna; è una fondazione privata, che eredita la missione educativa
dell’istituto “Gualandi” per sordomuti e sordomute. Attivo a Bologna fino dal 1850. Nello stabile in centro
storico, fin dal 1850, venivano accolti i bambini sordi. Non solo provenienti da Bologna, ma da tutto il nord e
centro Italia. Era un convitto, nato dal pensiero di Don Giuseppe Gualandi, con l’intento di fornire ai bambini
sordi strumenti per comprendere, e comunicare.
Oltre alla scuola, all’interno dell’istituto c’erano molti laboratori per preparare i ragazzi ai lavori manuali.
L’istituto ha sempre avuto grande fama innovativa per l’epoca.
Il nido si chiama “Il cavallino a dondolo” in quanto nei locali che lo ospitano c’era una falegnameria e durante
lo sgombero è stato ritrovato un cavallino a dondolo bellissimo.
La scuola dell’infanzia si chiama “Al cinema” perchè all’interno dell’istituto, nel 1912, fu creato uno dei
primissimi cinema di Bologna. Il linguaggio cinematografico e’ importantissimo per I ragazzi sordi. Questo
cinema, nato per i ragazzi sordi, è diventato da subito patrimonio pubblico.
Nel 1977, con la legge sull’integrazione dei ragazzi disabili nelle realtà scolastiche, anche i bambini sordi
furono accolti nelle scuole pubbliche con tutti gli altri bambini.
La Fondazione è rimasta con bellissimi locali, enormi, vuoti. Hanno quindi deciso di costruire un nido. Convinti
però che potessero accogliere anche bambini sordi o con altre difficoltà per farli crescere insieme agli altri.
Volevano lavorare nel campo educativo, lavorare precocemente in educazione.
Nel 2008 è stato aperto il nido. Per iniziare a costruire il nido si è partiti dal giardino. Il giardino non c’era, era
una corte interna pavimentata. Hanno avuto la fortuna di poterlo pensare e progettare e di lavorare con
Alberto. La loro idea era che un ambiente all’aperto offrisse molte opportunità ai bambini. Più delle parole degli
adulti e degli oggetti che si trovano all’interno delle scuole.
Tutti coloro che entrano nel nido e si affacciano sul giardino restano stupiti. Vivere in ambienti belli aiuta. Ma
secondo loro, le possibilità che l’ambiente naturale offre, non dipendono solo dalla progettazione a tavolino,
ma dallo sguardo e dall’atteggiamento di chi lo vive.
Un ruolo determinante lo gioca l’adulto, trasformando le occasioni in opportunità e sostenendo il gioco dei
bambini. E il giardino fornisce materiali e combinazioni sempre nuove, sostenendo un gioco che
continuamente si evolve. Dipende dalle cose che si lasciano fare, vuol dire dargli valore. Dipende se dietro c’è
lo sguardo di qualcuno che dà valore o meno a quello che vede.
3
Dare fiducia al giardino, ma dare fiducia anche ai bambini, nell’idea che le possibilità si creano.
Centralità fisica del giardino. È un’estensione dell’interno, è alla base del progetto educativo.
Il giardino è comunque all’interno di una scuola. Sostiene l’educazione all’aperto, ma non dobbiamo solo
parlare di educazione all’aperto, il giardino sta dentro alla scuola, sia gli spazi interni che quelli esterni sono
importanti. La riflessione da fare è sul progetto educativo; ci vuole un progetto condiviso sull’uso degli spazi,
riflettere con il gruppo sul cosa sia un ambiente educativo. L’ambiente educativo è ovunque, dentro e fuori. Si
deve pensare, vedere, costruire.
Bisogna dare significato al gioco dei bambini e sostenerlo con forza.
Immagini in grande contrapposizione tra ordine e disordine. L’importante è come si guarda la situazione e il
gioco dei bambini. I bambini hanno diritto di crearsi propri schemi di ordine/disordine.
Video “Nature/Nurture” è un gioco di parole tra natura e nutrimento, è un insieme di immagini di bambini da 0
a 6 anni che giocano al farsi la pappa.
Si è cercato di mettere in relazione il gioco all’esterno e all’interno. Cercando di individuare cosa dall’esterno,
possiamo imparare e di riportarlo all’interno.
Essere capaci di osservare la natura è nutrimento per i nostri apprendimenti, per arricchire la nostra anima.
Il fuori attribuisce separatezza a strumenti quotidiani usati anche all’interno, con le stesse intenzionalità, ma
con gesti e modalità differenti.
Il fuori attribuisce consistenza ai pensieri di gioco dei bambini.
La natura accoglie e custodisce sguardi, gesti e movimenti di chi sceglie di stare e passare momenti fuori.
In natura c’è sempre qualcosa con cui giocare, vento, terra, fango entrano in relazione con la mente e il corpo
dei bambini.
Gesti delicati , differenti modi di usare un cucchiaio, differenti modi di giocare lo stesso gioco, differenti modi di
apprendere.
Nell’essere impreciso lo spazio naturale lascia lo spazio per trovare le proprie modalità per viverlo.
Giocare in natura abbatte gli stereotipi.
La relazione con la natura è piena e completa perchè la natura ci restituisce emozioni, competenze,
apprendimenti ed esperienza, anche se richiede energia, tempo ed è faticosa.
L’intimità e la complicità con la natura favorisce l’educazione alla sfumatura.
Abbiamo bisogno di crescere persone capaci di usare le mani, di inventare nuovi modi di vivere insieme.
La gentilezza è una caratteristica che si ritrova in chi nella propria vita ha sperimentato il contatto con la
natura.
La natura allena l’occhio del bambino e dell’adulto.
Dovremo essere capaci di rispettare sia la natura delle persone che l’ambiente naturale.
Si sottolineano in particolare tre aspetti diversi:
1) Il movimento. Oggetti e bambini che si muovono liberamente da un luogo all’altro. Movimento così
marcato perchè la maggior parte dei frammenti di video fanno riferimento al gioco spontaneo. Una
delle caratteristiche del gioco spontaneo è proprio il movimento libero del corpo e degli oggetti.
Suggestione per gli adulti nel lasciare la libertà di movimento. Sia all’interno che all’esterno. Al nido
non hanno giocattoli, ma solo oggetti veri.
2) Le continue connessioni tra il fare per davvero e il fare per finta: I due aspetti di gioco e quotidianità si
contaminano, non ci sono divisioni, diventa un fare per davvero sempre. Vuol dire lasciare e dare ai
bambini la possibilità di vivere le esperienze concrete e reali per quello che hanno bisogno in quel
momento, non forzarli a fare quello che è nella nostra scuola. Riusciamo a riattribuire grande valore al
gioco spontaneo dei bambini.
In particolare sul ruolo dell’adulto e rapporti numerici .
E’ necessario, creare contesti capaci di accogliere. Il giardino è contaminato, ha più spazi e più possibilità.
Non c’è più giusto e sbagliato, è uno spazio in cui i bambini, se viene lasciato loro il tempo, riescono a
prendersi il proprio spazio.
Altra cosa importante è la creazione dei contesti: creare luoghi nei luoghi, creare molteplici spazi che vuol dire
avere molteplici possibilità, strutturati in modo che favoriscano l’autonomizzazione dei bambini in gruppo, al di
4
là della presenza dell’adulto. Nel momento in cui c’è uno spazio pensato per quei bambini, questo aiuta e
funziona al di là della presenza dell’adulto.
Importante è inoltre abituarsi ad uscire in tutti i momenti della giornata … tutti.
Ilaria Bosi.
Saluto al pubblico e presentazione. E’ una coordinatrice pedagogica, che ha approfondito uno sguardo
filosofico sul tema.
Sottolinea alcuni punti citati dai diversi relatori:
- lo sguardo che dà valore
- dare valore alle esperienze
- stare nei processi
- sostare nei processi
- offrire delle possibilità
- esperire
- convivere
- educazione alle sfumature
- educazione alle geometrie
- osservare
- connettere
- connessioni
Il Tema del “dentro/ fuori” ha sollecitato riflessioni sullo stare nelle esperienze e tornare sui pensieri.
Presentando le due esperienze che seguiranno, si ritiene utile fare due premesse.
La prima, di ordine semantico: è utile essere chiari sui significati delle parole che usiamo.
La seconda, di ordine metodologico: dove non è chiara la filosofia o il metodo che sostiene un’esperienza, il
rischio è che le esperienze perdano di significato.
Sulla semantica:
Si parla di educare all’aperto: che cos’è un progetto?
Che cosa significa progettare? Deriva dal latino e significa “gettare avanti”, essere capaci di guardare avanti,
stando nel presente. Quando si progetta si mettono in campo delle consapevolezze, che sono pratiche che
stimolano la dimensione alta del pensiero. La consapevolezza fa parte del metodo di lavoro e deve essere
costante, a definire I significati delle esperienze che andiamo a proporre ai bambini. La consapevolezza è tale
se è sostenuta dalla formazione. È importante offrire ai bambini uno sguardo utile per poter leggere
l’esperienza. Fare in modo di portare alla luce il significato dell’esperienza.
Segue la presentazione dell’esperienza.
Interviene Irene Saltari educatrice di un Nido d’infanzia del Comune di Argenta che si sofferma su alcuni temi.
- Il rischio. L’educatrice deve proteggere i bambini del mondo non dal mondo. E’ necessario sottolineare
la possibilità della contaminazione, sia con l’esterno che con le persone che accompagnano i bambini
nei servizi.
- I Progetti sono creati sul presupposto della convivenza e del rispetto degli altri. Viene data importanza
al creare comunità. Nel progetto educativo, è stata inserita la Carta dei diritti del bambino.
Lavorando con genitori li si aiuta a comprendere che sia il giardino che l’arte sono un diritto del bambino.
L’importanza di dare possibilità, di sperimentare diversi linguaggi. Percorso delle educatrici sul rispetto dello
spazio e sul rispetto reciproco dei bambini. La frase fondamentale del loro progetto di quest’anno è
considerare l’esperienza personale, di ciascun individuo, con la natura e con le migliori opere dell’uomo, per
l’educazione al gusto, all’armonia e per la bellezza. Immagini dal lavoro fatto. Cercare sempre un
collegamento progettuale tra gli spazi che sono all’esterno e le possibilità che il bambino potrà ricreare
all’interno del suo servizio. Volontà di creare e modificare il giardino. La possibilità di portare spazi interni
all’esterno. Laboratori sull’arte con elementi della natura.
5
Stefan Von Prondzinsky.
Bellissima giornata perchè ha incontrato bella gente che ha attenzione per il tema e perchè l’argomento è
bello.
Stefan non aggiungerà, ma ripasserà le cose dette nella giornata.
Riassumerà con una doppia ottica: educare all’aperto e aprire all’educazione.
Proiezione di immagini.
Non si vede il bosco perchè ci sono tanti alberi: quando ci sono tante cose, si perde di vista la struttura
generale. Bisogna avere una doppia ottica. Bisogna osservare insieme le cose.
Blu e rosso e il filo bianco che è il singolo bambino che spesso nei discorsi esce perchè è diverso dagli altri.
Non è sempre facile prendere un progetto fatto da altri e portarlo nella propria realtà.
Dobbiamo fare noi l’intreccio tra la nostra scuola, I materiali e I bambini che abbiamo.
Sui temi della giornata:
- Si è parlato a lungo di educazione all’aperto, non c’è differenza tra educare al chiuso ed educare
all’aperto.
- Abbiamo sentito spesso la parola gioco: gioco libero, che cos’è?
Aprirsi al gioco libero comporta liberarsi da chiusure che noi abbiamo, deve diventare un gioco
divertente, non deve diventare uno stress.
Che cos’è l’educazione? Dalle immagini sembra qualcosa di complesso e pericoloso.
Dal latino “educere”: condurre fuori quello che è dentro : una volta avevamo questa idea di questa educazione.
Qualcuno con qualcosa di prefabbricato vuole mettere nella testa dei bambini l’intelligenza.
Ma noi dobbiamo tirare fuori quello che hanno dentro e a questo punto fargli mettere dentro quello che
incontrano fuori.
La lingua (come nell’immagine) deve uscire entrare in contatto con la neve, così arriva il concetto di freddo,
non con il “cotton fioc” appiccicato sul foglio e dicendo “questo è l’inverno”.
I bambini sono predisposti ad accogliere tutto quello che li circonda. Le esperienze fuori formano il cervello del
bambino. Sopratutto quando queste esperienze lasciano delle emozioni.
Domanda: dentro dove?
Grazie alle neuroscienze riusciamo a capire qualcosa in più sull’educazione.
Abbiamo tutti gli stessi neuroni, quelle che cambiano sono le sinapsi, i collegamenti, che cambiano nei primi 3
anni di vita.
5 milioni di collegamenti che esplodono. Tra I 2 e 4 anni non aumentano, ci vuole apertura totale nei primi anni
di vita. Quando il bambino arriva alle elementari inizia a strutturarle togliendo quelle che non sono state
utilizzate o non sono ritenute utili. Ma se arriva a scuola e non sa risolvere I problemi e a distinguere le
materie, come può avere successo scolastico? I primi anni di vita sono anni d’oro in cui c’è il futuro
dell’umanità.
Lo sviluppo del cervello dipende dal come e dal perchè lo usiamo.
Se vogliamo bambini intelligenti, dobbiamo smettere di potenziarli, non c’è bisogno, bisogna chiedersi come
condurre fuori ciò che hanno dentro. Il bambino ha bisogno di un contesto che solleciti le sue potenzialità.
Questo ce lo dice la neuroscienza, cioè la medicina.
Il contesto stimolante è un nutrimento per tutti sensi. I bambini hanno bisogno di un contesto che stimoli la
curiosità che invita ad essere esplorato. Il contesto sterile e monotono chiude la curiosità. Qualsiasi cosa che
alimenta la curiosità e la voglia di scoperta del bambino va bene.
I bambini hanno bisogno di un contesto che lasci spazio all’immaginazione, che dia la possibilità di sfruttare
tutte le competenze e le abilità che ogni bambino ha.
Bisogna fare i conti anche con I bambini che hanno delle difficoltà.
Lavorando con le disabilità, vediamo che entrando in questo contesto, i bambini fioriscono.
I bambini hanno bisogno di un contesto che offre possibilità di scelta, ovvero di un contesto aperto. Che si
modifica, che cambia temperatura. Dinamicità che ci prepara alla vita futura, in cui ci sono imprevisti. I bambini
devono imparare ad affrontare gli imprevisti.
Hanno bisogno di un contesto che può essere modificato, plastico, privo di idee rigide. Che può essere
modificato in base alle loro idee, anche se a noi sembrano caotiche.
6
I bambini hanno bisogno di un contesto che rafforzi l’autonomia e la fiducia in se stessi.
Di avere la possibilità di incontrare altri bambini, senza bambini non comprendono la relazione tra loro e il
mondo.
Hanno bisogno di un contesto che contiene problemi da risolvere.
Devono poter risolvere i problemi in sicurezza.
Ma, fermiamoci un attimo: dove sta la sicurezza? Come avviene la sicurezza?
Come arriviamo al pericolo?
Ci vuole un contesto adeguato preparato ai bisogni dei bambini, per la loro libertà di azione, i bambini
acquisiscono autonomie, quando sono autonomi, hanno fiducia di loro stessi e sono sicuri. Quando incontrano
un problema, dimostrano attenzione e il problema non è un pericolo, ma è un problema da risolvere.
Per questo ci sono persone che si occupano della sicurezza.
A tal proposito, vi sono due tipi di problemi:
- gestibili: che sono e saranno compito di chi educa
- non gestibili: antisismica, antincendio, non possono essere gestiti da noi (anche se il terremoto ci ha
insegnato tante cose
La scuola nel bosco tedesca ha una normativa molto severa, ma non c’è bisogno di normare la scuola perchè
chi lavora lì dentro è competente. E’ necessario investire sulla formazione del personale piuttosto che su una
normativa per evitare i pericoli.
Se io elimino i pericoli dal contesto scuola, come possono i bambini diventare autonomi e acquisire fiducia e
sicurezza? Come gestiamo noi la fiducia?
Se lasciamo ai bambini materiali pericolosi li sanno gestire in totale sicurezza, non si tratta quindi di omologare
le attrezzature, ma piuttosto di avere adulti che si fidano delle competenze del bambino. Per avere questi
adulti ho bisogno che assicurino al bambino di vivere insieme agli altri, in un contesto in grado di soddisfare i
propri bisogni. Ho bisogno di adulti in grado di percepire i bisogni di ogni bambino. Capaci di vedere i bambini
con gli occhi dei bambini.
Adulti che hanno fiducia nelle competenze di ogni bambino. Adulti che si mettano in gioco.
A Ferrara hanno cercato di condurre fuori quello che era dentro.
Si riferisce al progetto triennale: “Il gioco, io gioco”.
Percorso che ha coinvolto 17 nidi. Momenti teorici, incontri nei servizi 0/3 anni, un percorso di
accompagnamento per due anni, due bellissimi incontri di scambio di esperienze sul gioco libero (“mercatini
delle idee e dei percorsi”).
Cos’è il gioco libero?
Significa libertà di azione, di scelta, esplorare, scoprire, analizzare, fare, rifare e costruire, modificare,
immaginare, fantasticare, e godere, godere, godere. Scoprire se stessi e gli altri godendo. E a quel punto,
quello che vedo, è una persona positiva.
Ha chiesto di vedere i progetti educativi, ha chiesto “quando c’era il gioco libero?”
Nei momenti in fondo all’agenda. Deve essere al primo posto!
Nel contesto libero abbiamo capito che non c’è differenza tra dentro e fuori.
Solo il vuoto ci fa pensare, solo nel vuoto nasce qualcosa di nuovo.
Basta usare il vuoto per creare qualcosa.
Funziona con i bambini quando togliamo chili di plastica, arredi, e quando i genitori donano qualcosa alla
scuola.
Gioco libero significa liberarsi da concetti limitanti.
Ci sono voluti tre anni per liberare qualche testa.
Consiglio: liberarsi da obiettivi troppo altri, fare piccoli passi.
Non fare grandi progetti sull’educare all’aperto: basta aprire le porte!
Altro consiglio: fare giochi di squadra, includendo tutti, adulti e bambini, condividendo responsabilità.
Educare all’aperto è un percorso possibile, così come è possibile l’educazione.
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