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Politiche macroeconomiche in mercato aperto

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Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Capitolo 10
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Quanto analizzato nel capitolo precedente in merito ai processi di aggiustamento
della bilancia dei pagamenti ha affrontato solo una parte delle problematiche relative ai
legami intercorrenti tra rapporti economici con l’estero e sistema economico interno. In
questo capitolo vengono presi in esame altri aspetti di questa relazione, ed in particolare
gli effetti che l’apertura alle relazioni economiche con altri paesi produce sul reddito
nazionale di equilibrio, il collegamento tra equilibrio interno ed esterno, la
modificazione nell’impiego e nell’efficacia degli strumenti di politica economica che
abbiamo già analizzato nel contesto di sistemi economici chiusi alle relazioni esterne.
Nel primo paragrafo consideriamo solo gli scambi di beni e servizi e integriamo
il corrispondente modello di economia chiusa, il modello reddito-spesa, con le funzioni
relative al commercio internazionale, facendo riferimento alla sola bilancia delle partite
correnti. Successivamente, l’analisi viene estesa all’insieme delle transazioni con
l’estero, commerciali e finanziarie, integrando il corrispondente modello di economia
chiusa, il modello IS-LM, con le funzioni relative ai flussi commerciali e finanziari
internazionali.
In entrambi i modelli, il focus è sulle possibilità e limiti della politica economica
in economia aperta. In effetti, nei sistemi economici aperti alle relazioni economiche
con altri paesi, il quadro della politica economica si modifica: da una parte si
aggiungono alcuni strumenti di policy, quali la scelta del regime di cambio e la gestione
del tasso di cambio, e dall’altra ulteriori obiettivi, relativi ad esempio al saldo della
bilancia dei pagamenti. Inoltre, in un’economia aperta, la tradizionale conduzione della
politica economica subisce delle modificazioni nei vincoli che incontra nella sua
realizzazione e negli effetti che esercita sul sistema economico.
1.
Determinazione del reddito e moltiplicatore di mercato aperto
Abbiamo già studiato come l’evoluzione degli scambi commerciali con l’estero
faccia variare il saldo delle partite correnti; ci occupiamo ora dell’influenza del
commercio internazionale sul reddito nazionale, degli effetti che produce sull’efficacia
della politica fiscale e del sorgere di un possibile conflitto tra obiettivo interno (il livello
della domanda aggregata e del reddito) e obiettivo esterno (l’equilibrio delle partite
correnti). A tal fine, dobbiamo integrare il modello keynesiano reddito-spesa con la
funzione delle esportazioni, che rappresentano la domanda nei confronti della
produzione nazionale da parte dell’estero, e con la funzione delle importazioni, che
rappresentano la domanda nazionale nei confronti della produzione estera. Nella nostra
analisi ci limitiamo al caso del “piccolo paese” che si ha quando il sistema economico
1
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
che consideriamo è piccolo, nel senso che può acquistare o vendere qualunque quantità
sul mercato internazionale al prezzo mondiale senza incontrare alcun vincolo e senza
che variazioni nelle proprie importazioni abbiano effetti di rilievo sul reddito dei propri
partner commerciali. In caso contrario, dovremmo considerare le ripercussioni
internazionali del comportamento della nostra economia.
Estendiamo il modello reddito-spesa di economia chiusa del Capitolo 2 alle
relazioni commerciali internazionali. Le componenti aggiuntive della domanda
aggregata in economia aperta sono la funzione delle esportazioni e quella delle
importazioni. Rinviamo all’Appendice 10.1 la derivazione della condizione di equilibrio
sul mercato dei beni e dei servizi in economia aperta – equazione [A.2] – che riportiamo
per comodità:
Y = C + I + G + X − eZ
[1.1]
Le funzioni del consumo, dell’investimento, della spesa pubblica sono state già
illustrate nel Capitolo 2 – equazioni da [1.2] a [1.6] – e non subiscono variazioni in
economia aperta. Le esportazioni dipendono positivamente dal reddito estero, reddito
che è un dato esogeno, e negativamente dal tasso di cambio reale. Poiché il modello è a
prezzi fissi,1 il tasso di cambio reale coincide con il tasso di cambio nominale che è un
dato esogeno in regime di tassi di cambio fissi, anche se si può modificare a seguito di
una decisione di politica economica. Sulla base di queste assunzioni, la funzione delle
esportazioni dipende da un insieme di variabili esogene (si veda l’Appendice 10.1) che
indichiamo con il termine X 0 :
[1.2]
X = X0
A loro volta, le importazioni dipendono positivamente dal reddito nazionale e dal tasso
di cambio nominale (reale), ovviamente esogeno. La funzione delle importazioni può
quindi essere espressa come:
[1.3]
con 0 < z < 1
Z = Z ′ + zY
dove Z ′ rappresenta le importazioni esogene (rispetto al reddito) e z è la propensione
marginale all’importazione.
Seguendo la stessa procedura del Capitolo 2, risolviamo il modello per
sostituzione. Sostituiamo nell’equazione dell’equilibrio [1.1] la funzione del consumo,
C = C0 − cT0 + c Y , le componenti autonome della domanda aggregata,
I 0 + G0 − cT0 + X 0 − eZ ′ ,
nonché
la
funzione
delle
importazioni,
ottenendo
Y = C0 − cT0 + cY + I 0 + G0 + X 0 − eZ ′ − e z Y . Data l’ipotesi di tasso di cambio fisso,
possiamo porre Z 0 = eZ ′ e z = e z ; riaggregando i termini, si ricava la seguente
espressione per il livello di reddito di equilibrio
1
Y=
(C0 − cT0 + I 0 + G0 + X 0 − Z 0 )
[1.4]
1− c + z
1
dove la frazione
rappresenta il moltiplicatore di mercato aperto. Indicando
1− c + z
l’insieme delle componenti autonome della domanda aggregata in mercato aperto con
AA = (C0 − cT0 + I 0 + G0 + X 0 − Z 0 ) , l’equazione [1.4] diventa
1
Poniamo per semplificare pari ad 1 sia l’indice dei prezzi interni che l’indice dei prezzi esteri.
2
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
1
AA
1−c + z
Rispetto all’equazione dell’equilibrio del reddito in mercato chiuso, l’apertura agli
scambi internazionali risulta in una modificazione sia delle componenti autonome della
domanda aggregata, cui si aggiungono le esportazioni, sia del moltiplicatore
keynesiano. Il valore di quest’ultimo, a parità di condizioni, è inferiore a quello di
1
1
<
mercato chiuso,
. Al di là dell’ovvia conclusione matematica, la
1− c + z 1− c
spiegazione economica è la seguente: quando l’economia è aperta, gli impulsi espansivi
sul consumo provenienti dalle variazioni delle componenti autonome della domanda
aggregata sono frenati, oltre che dal risparmio delle famiglie (una parte del maggior
reddito disponibile viene risparmiata), anche dalle importazioni (una parte del maggior
reddito disponibile viene spesa all’estero e non va ad accrescere la domanda interna.
[1.5]
Y=
Esempio numerico
Assumiamo che la propensione al consumo sia pari a c=0,80 e che la propensione
all’importazione sia pari a z=0,10.
1
= 5 , mentre il moltiplicatore di
Il moltiplicatore di mercato chiuso sarà:
1 − 0,8
mercato aperto sarà:
1
= 3,33 .
1 − 0,8 + 0,1
Riquadro 10.1
Il grado di apertura agli scambi internazionali
Una misura del grado di apertura di un paese agli scambi internazionali di beni e servizi,
tenendo conto della dimensione dell’economia nazionale, è data dal rapporto tra la
somma delle esportazioni e delle importazioni di beni e servizi e quello della
produzione complessiva del paese,; in termini reali, abbiamo: ( X + eZ ) / PIL . Il grado di
apertura agli scambi internazionali varia in maniera significativa da un paese all'altro,
come emerge dalla Tabella seguente che presenta l’evoluzione di questo indicatore per
alcuni paesi nel decennio 2003-2012. Gli Stati Uniti – data la loro dimensione e la
diversificazione della loro struttura produttiva – sono un paese abbastanza
autosufficiente, con un grado di apertura pari al 30% del PIL; lo stesso dicasi per il
Giappone, per il quale conta soprattutto la diversificazione della produzione. I paesi
europei, le cui economie sono significativamente più piccole, hanno in generale un
grado di apertura maggiore: Francia e Italia hanno un grado di apertura intorno al 57%
del PIL, mentre la Germania presenta un grado di apertura molto maggiore, con valori
nettamente in crescita nel periodo considerato, legati soprattutto alla dinamica delle sue
esportazioni.
Grado di apertura internazionale per alcuni paesi, anni 2003-2012 (rapporti in
percentuale sui valori a prezzi 2005)
3
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Fonte: Istat, Commercio estero e attività internazionali delle imprese, Roma, 2013.
Il moltiplicatore di mercato aperto misura l’effetto sul reddito delle variazioni
degli investimenti autonomi, delle variazioni della spesa pubblica e delle variazioni
delle esportazioni; come è evidente dall’equazione [1.8], l’effetto sul reddito di una pari
variazione di questi tre aggregati è identico. Gli effetti sono diversi invece per quanto
riguarda il saldo delle partite correnti. Il ragionamento economico è il seguente: un
aumento della spesa pubblica (o degli investimenti autonomi) induce un aumento di
reddito pari al moltiplicatore applicato all’aumento stesso. A sua volta, l’aumento di
reddito fa aumentare le importazioni e – a parità di esportazioni – peggiora il saldo delle
partite correnti. Al contrario, un aumento delle esportazioni – pur producendo lo stesso
effetto di aumento di reddito e di aumento indotto delle importazioni – fa migliorare il
saldo delle partite correnti; infatti l’incremento delle importazioni è inferiore a quello
delle esportazioni. Per analizzare questo punto, ricordiamo che il saldo delle partite
correnti in termini reali2 è dato da
[1.6]
PC = X − eZ = X 0 − Z 0 − zY
Se le esportazioni e le importazioni esogene non variano, l’aumento di reddito causato
dall’aumento della spesa pubblica fa variare solo le importazioni dipendenti dal reddito.
La conseguente variazione del saldo delle partite correnti è data da ∆PC = − z ∆Y .
1
∆G , si ha
1− c + z
z
[1.7]
∆PC = −
∆G < 0
1− c + z
Nel caso invece in cui aumentino le esportazioni, pur verificandosi lo stesso effetto
espansivo sul reddito, la variazione del saldo delle partite correnti è data da
1
∆PC = ∆X − z ∆Y . Poiché sappiamo che ∆Y =
∆X , si ottiene
1− c + z
z
1− c


[1.8]
∆PC =  1 −
⋅ ∆X > 0 .
 ⋅ ∆X =
1− c + z
 1− c + z 
Poiché sappiamo che ∆Y =
1.1 – Il conflitto tra obiettivi di politica economica
L’equazione [1.7] mette in evidenza come può sorgere un possibile conflitto tra
l’obiettivo ‘interno’ (definito come un certo livello di reddito) e l’obiettivo ‘esterno’
2
Deflazionata in base al livello dei prezzi domestici.
4
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
(definito come il saldo nullo delle partite correnti).3 Vi è infatti un solo livello di reddito
compatibile con l’equilibrio delle partite correnti. Riprendiamo l’equazione [1.6] che
definisce il saldo delle partite correnti e poniamo il suo saldo pari a zero:
[1.9]
PC = X 0 − Z 0 − zY = 0
Risolvendo la [1.9] per Y si ottiene il livello di reddito che assicura l’equilibrio delle
partite correnti, e che indichiamo con YPC
1
(X 0 − Z0 )
z
Il livello di reddito di equilibrio sul mercato dei beni è dato dall’equazione [1.5]:
1
Y=
AA . Solo se il reddito determinato dall’uguaglianza tra domanda aggregata
1−c + z
e produzione coincide con il reddito YPC , la bilancia delle partite correnti è in equilibrio;
[1.10]
YPC =
per Y > YPC le partite correnti sono in disavanzo (un reddito maggiore di YPC comporta
che, a parità di esportazioni esogene, le importazioni sono più elevate), mentre per
Y < YPC le partite correnti sono in avanzo.
Dal Capitolo 2 sappiamo che il responsabile di politica economica può effettuare
una politica fiscale espansiva per ottenere l’incremento di reddito desiderato; tuttavia, in
un sistema economico aperto agli scambi internazionali, l’aumento del reddito fa
peggiorare il saldo delle partite correnti – equazione [1.7]. In termini dei modelli di
politica economica (Capitolo 5), il responsabile di politica economica non è in grado di
raggiungere entrambi gli obiettivi, avendo a disposizione solo lo strumento della
politica fiscale, nel nostro caso il livello di spesa pubblica. I due obiettivi non solo non
sono raggiungibili contemporaneamente; tra di loro esiste un trade off, nel senso che se
si ottiene un aumento del reddito, esso avviene a scapito del saldo delle partite correnti.
La questione può essere analizzata graficamente. Nella parte (a) della figura 1 è
rappresentata la retta della domanda aggregata; essa si ottiene sommando tutte le
componenti della domanda aggregata, DA = C0 + cY + I 0 + G0 − cT0 + X 0 − Z 0 − zY .
Riorganizzando i termini, abbiamo:
[1.11]
DA = AA + (c − z )Y
L’intercetta della retta della domanda aggregata dipende dalla somma algebrica delle
componenti autonome, mentre la sua pendenza dipende dalla somma algebrica delle
propensioni al consumo ed all’importazione. Dall’intersezione della DA con la bisettrice
a 45° si ricava il reddito di equilibrio sul mercato dei beni . Nella parte (b) della figura 1
è rappresentato il saldo delle partite correnti
[1.12]
PC = ( X 0 − Z 0 ) − zY
che è una retta decrescente all’aumentare del reddito in base alla propensione
all’importazione.
Nella figura 1 abbiamo rappresentato una situazione in cui il reddito di
equilibrio sul mercato dei beni, Y E , corrisponde al reddito che assicura l’equilibrio
3
Il disavanzo delle partite correnti può non essere un problema per il policy maker solo qualora il sistema
economico presenti adeguati afflussi di capitali dall’estero (che assicurino l’equilibrio complessivo della
bilancia dei pagamenti) o abbia una dotazione adeguata di riserve di valuta estera.
5
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
delle partite correnti, YPC (rispettivamente, punto E nella figura 1(a) e punto B nella
figura 1(b). Se il responsabile di politica economica vuole raggiungere un livello di
reddito nazionale maggiore, Y , avendo a disposizione un solo strumento, la spesa
pubblica, egli deve accettare che il saldo delle partite correnti venga determinato di
conseguenza. Nel nostro esempio, partendo da una situazione iniziale di pareggio delle
partite correnti, il responsabile di politica economica deve accettare che il saldo delle
partite correnti vada in disavanzo. Graficamente, a seguito dell’aumento della spesa
pubblica, la retta della domanda aggregata trasla verso l’alto a seguito dell’aumento
della spesa pubblica, da G0 a G1 . Al nuovo maggiore reddito di equilibrio sul mercato
dei beni, Y > YPC , corrisponde un deficit delle partite correnti. Se le autorità di politica
economica vogliono realizzare il maggior reddito Y devono quindi scontare un passivo
delle partite correnti.
DA
DA = Y
E1
DA1
(a)
DA
E
AA’
AA
YE
Y
Y
PC
(X0 –Z0)
0
(b)
YPC
Y
Y
PC
Figura 1 – Effetti della politica fiscale espansiva sull’equilibrio ‘interno’ ed ‘esterno’
Sappiamo però che in regime di tassi di cambio fissi il passivo nei conti con
l’estero comporta una perdita di riserve da parte della Banca Centrale (a parità del saldo
del conto finanziario): questa situazione non può permanere nel tempo e, prima o poi, il
policy maker dovrà rinunciare all’obiettivo ‘interno’. In alternativa, deve utilizzare un
altro strumento di politica economica che abbia influenza sul saldo delle partite correnti,
6
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
come ad esempio il tasso di cambio,4 dal quale dipendono le esportazioni e le
importazioni: attraverso un’adeguata svalutazione del tasso di cambio – che aumenta la
competitività della produzione nazionale – si può controbilanciare l’effetto negativo
dell’aumento di reddito sulle partite correnti, sempre che siano verificate le condizioni
analizzate nel capitolo precedente (paragrafo 3.2).
Nella figura 2 è rappresentata la situazione che si determina a seguito sia di un
aumento della spesa pubblica, sia di una svalutazione del tasso di cambio; quest’ultima
si riflette in uno spostamento verso l’alto dell’intercetta della retta PC, con una
diminuzione della sua pendenza,5 fino a garantire il saldo nullo in corrispondenza del
reddito Y . Si ricordi infatti che nei termini X0 e Z0 è inclusa, rispettivamente, la
componente delle esportazioni e delle importazioni che dipende dal tasso di cambio. A
seguito della svalutazione, le esportazioni aumentano e le importazioni diminuiscono e,
se vale la ‘condizione delle elasticità critiche’, aumenta la componente delle partite
correnti che non dipende dal reddito.
DA
DA = Y
E1
DA1
(a)
DA
E
AA’
AA
YE
Y
PC
Y
(X0 –Z0)1
(X0 –Z0)
(b)
B
0
YPC
C
Y
PC1
Y
PC
Figura 2 – Effetti della politica fiscale espansiva e della svalutazione
In realtà, analogamente a quanto illustrato nel Capitolo 5 con riferimento al
modello IS-LM, il livello della spesa pubblica e l’entità della svalutazione del tasso di
4
Altri strumenti possono essere politiche a favore dell’innovazione, che promuovano la competitività
della produzione nazionale, oppure politiche che promuovano la sostituzione di importazioni con
produzione nazionale..-ò
5
Si ricordi che abbiamo posto z = e z .
7
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
cambio (necessari a raggiungere il livello di reddito obiettivo ed il pareggio delle partite
correnti, Y = YPC e PC = 0 ) devono essere definiti contemporaneamente in quanto
entrambi gli strumenti hanno efficacia nei confronti dei due obiettivi. Da una parte,
infatti, l’aumento di reddito indotto dall’incremento di spesa pubblica ha un effetto
negativo sulle partite correnti, rendendo necessaria una svalutazione del tasso di
cambio, e dall’altra la svalutazione ha un effetto positivo sul reddito, facendo aumentare
una componente della domanda aggregata nei confronti del prodotto interno (le
esportazioni) e riducendo la domanda nei confronti della produzione estera (le
importazioni). Nella definizione del livello adeguato che i due strumenti devono
assumere, occorre pertanto considerare congiuntamente questi effetti.
Tuttavia, come già messo in evidenza nel capitolo precedente, la svalutazione è
uno strumento che presenta delle controindicazioni che non emergono nell’ambito del
modello reddito-spesa, nel quale si assume per i prezzi siano fissi. Essa infatti può avere
l’effetto di far aumentare i prezzi della produzione nazionale, giacché aumenta i prezzi
in valuta nazionale dei beni e servizi importati, col risultato di far aumentare i costi per
le imprese degli input importati, con il rischio di mettere in moto una spirale
svalutazione-inflazione-svalutazione.
La situazione opposta a quella analizzata, la situazione cioè nella quale il reddito
di equilibrio delle partite correnti risulti maggiore del reddito obiettivo, Y < YPC , non
pone eccessivi problemi, pur in presenza di una divergenza tra i due redditi. Mentre la
perdita delle riserve da parte della Banca centrale incontra un ovvio limite, il loro
accumulo in teoria non incontra un limite,6 purché la Banca Centrale mantenga il
controllo sull’offerta di moneta attraverso opportuni interventi di ‘sterilizzazione’.7
Come si è visto nel Capitolo 6, la Banca Centrale può compensare la creazione di base
monetaria attraverso il ‘canale estero’ con una distruzione di base monetaria attraverso
gli altri canali o con operazioni di mercato aperto. Qualora il responsabile di politica
economica non possa far aumentare ulteriormente il reddito di equilibrio del mercato dei
beni (ad esempio, perché già al livello di piena occupazione, o perché il vincolo di
bilancio pubblico non consente ulteriori incrementi delle spesa pubblica) o non ritenga
opportuno un eccessivo intervento di sterilizzazione, può ovviamente ricorrere alla
rivalutazione del tasso di cambio.
2.
- L’equilibrio della bilancia dei pagamenti
6
Un limite al realizzarsi di un continuo avanzo delle partite correnti e al conseguente accumulo delle
riserve può essere posto dalla svalutazione degli altri paesi, o dalla pressione affinché il paese in avanzo
rivaluti la propria moneta: a fronte di un paese in avanzo persistente, infatti, vi sono paesi con disavanzi.
7
Ricordiamo che un saldo positivo delle partite correnti (della bilancia dei pagamenti), cui corrisponde un
aumento delle riserve ufficiali della Banca Centrale, determina un aumento della base monetaria. Infatti,
l’aumento delle riserve valutarie implica che la Banca Centrale immette un ammontare corrispondente di
valuta domestica, in quanto essa acquista la valuta estera presentata al cambio dagli operatori. Al
contrario, un saldo negativo della bilancia dei pagamenti, cui corrisponde una riduzione delle riserve,
determina una contrazione della base monetaria: la riduzione delle riserve valutarie implica che la banca
centrale fornisce valuta estera agli operatori, ottenendo in cambio valuta nazionale, che esce così dalla
circolazione.
8
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
L’analisi condotta finora ha fatto riferimento all’equilibrio sul mercato dei beni e
per questo motivo abbiamo considerato solo il saldo delle partite correnti. Tale analisi è
però incompleta, in quanto non considera l’influenza del tasso di interesse
sull’equilibrio reale e sul saldo dei conti con l’estero. L’introduzione del tasso di
interesse interno come variabile esplicativa dell’equilibrio richiede che l’analisi sia
estesa anche alle condizioni di equilibrio sul mercato della moneta (come abbiamo visto
con il modello IS-LM per un’economia chiusa) e che venga considerato il saldo
complessivo della bilancia dei pagamenti, comprensivo dei movimenti di capitale.
Ricaviamo innanzitutto l’equazione della bilancia dei pagamenti. Essa riflette i
due conti che compongono questo documento contabile. Ricordiamo dal capitolo
precedente che la bilancia dei pagamenti è definita come:
BP = PC + MK
[2.1]
[2.2]
L’equazione del saldo delle partite correnti è già stata definita:
PC = ( X 0 − Z 0 ) − zY
Ricordiamo che tra le variabili esogene dalle quali dipende il saldo delle partite correnti
vi è il reddito estero (se Y
f
aumenta, aumentano le esportazioni X 0 e migliora il saldo
delle partite correnti) ed il tasso di cambio (una svalutazione migliora il saldo delle
partite correnti, ∆ ( X 0 − Z 0 ) > 0 , purché la condizione Marshall-Lerner sia soddisfatta).
Per definire l’equazione del saldo dei movimenti di capitale bisogna considerare
le ragioni per le quali i capitali si muovono da un paese all’altro. Sia gli investimenti in
beni capitali, sia gli investimenti in titoli (cioè rispettivamente gli investimenti diretti
esteri e gli investimenti di portafoglio) dipendono positivamente dal rendimento atteso
da parte dell’investitore, il tasso di profitto nel primo caso e il tasso di interesse nel
secondo. Per semplificare l’analisi, assumiamo che tutti i movimenti di capitale siano
costituiti da investimenti di portafoglio e che tutte le attività finanziarie di ogni paese
rendano lo stesso tasso di interesse.8 Per quanto detto sopra, i movimenti di capitale
sono espressi come funzione del differenziale tra tasso di interesse interno i e tasso di
interesse estero i f , corretto per tener conto delle aspettative di variazione del tasso di
cambio (si veda l’Appendice 10.2 per l’analisi della condizione della parità dei tassi di
interesse):
MK = ϕ i − i f + e~ e
[2.3]
con ϕ > 0
(
)
dove i è il tasso di interesse nazionale, i f è il tasso di interesse estero e ~
e e è il tasso
percentuale atteso di variazione del tasso di cambio. L’idea è che se la differenza tra i
due tassi – espressi nella stessa valuta – è positiva, anche il saldo dei movimenti di
capitale è positivo, poiché affluiscono capitali nel paese considerato più di quanti non ne
fuoriescono. A parità di ogni altra condizione, quanto più elevato è il tasso di interesse
interno rispetto a quello estero, tanto più attraenti risulteranno le attività finanziarie
interne e, pertanto, tanto maggiore è l’afflusso di capitale; avviene il contrario se la
differenza tra i due tassi è negativa.
8
Ciò corrisponde a considerare un unico tipo di titolo emesso all’interno del paese o all’estero.
9
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Esempio numerico
Assumiamo che il tasso di cambio dollaro/euro sia pari a e$/€=1,00. Oggi con
100,00€ si può acquistare un titolo europeo di durata annuale che rende il 5%,
cioè a scadenza si incassano 105,00€. Sempre oggi con 100,00€ si possono
ottenere 100,00$ con i quali acquistare un titolo statunitense di durata annuale che
rende il 5%, ottenendo a scadenza 105,00$. Non vi sono quindi costi di
transazione.
Se l’investitore europeo si aspetta che tra un anno il tasso di cambio dollaro/euro
resti inalterato, e~ e = 0 , egli è indifferente tra l’acquisto del titolo europeo e
l’acquisto del titolo statunitense: infatti, nel secondo caso, con 100,00€ oggi
ottiene tra un anno 105,00$ che converte in euro, ottenendo 105,00€. In euro i due
titoli hanno lo stesso rendimento. Vale quindi la seguente condizione di
indifferenza:
i =if −~
ee
dove i è il tasso di interesse nazionale, i f è il tasso di interesse estero e ~
e e è il
tasso percentuale atteso di variazione del tasso di cambio.
Assumiamo invece che l’investitore si aspetti che tra un anno l’euro si sarà
deprezzato (svalutato) del 3%: egli si aspetta cioè che tra un anno il tasso di
cambio dollaro/euro sarà e$/€=0,97. Impiegando oggi 100,00€ nell’acquisto di un
titolo statunitense del valore di 100,00$ e ricavando tra un anno 105,00$, egli si
105,00$
attende di ottenere 108,25€ (
). Impiegando invece la stessa somma
0,97
nell’acquisto di un titolo europeo, egli otterrà tra un anno 105,00€. Preferirà
ovviamente l’acquisto del titolo statunitense, generando un deflusso di capitali
dall’area euro. La maggiore domanda di titoli statunitensi ne farà salire il prezzo,
riducendone il rendimento, fino a quando gli investitori torneranno ad essere
indifferenti tra i due titoli. Ciò avviene quando il tasso di interesse del titolo
europeo risulta maggiore del tasso di interesse del titolo statunitense di una misura
pari a compensare il deprezzamento atteso. Il rendimento del titolo statunitense
101,85$
= 105,00 € ; in alternativa, il
deve scendere all’1,85%, in modo che
0,97
rendimento del titolo europeo deve aumentare all’8,25%, in modo che sia
rispettata la condizione di indifferenza: 0,05+0,03≈0,08.
In sostanza, dato uno stesso tasso di interesse sul valore nominale dei titoli pari al
5%, in presenza di un deprezzamento (svalutazione) atteso del 3%, l’investitore
sarà indifferente tra i due titoli, europeo e statunitense, solo se il tasso di interesse
europeo è pari all’8%, il che corrisponde proprio alla condizione di indifferenza
riportata sopra.
Inserendo nell’equazione del saldo globale della bilancia dei pagamenti
l’equazione del saldo delle partite correnti, la [2.2], e l’equazione del saldo dei
movimenti di capitale, la [2.3], e imponendo la condizione di pareggio della bilancia dei
pagamenti, si ottiene
BP = ( X − Z ) − zY + ϕ i − i f + e~ e = 0
[2.4]
0
0
(
)
10
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Assumendo per semplicità che non vi siano aspettative di variazione del tasso di
cambio, ~
e e = 0 , la [2.4] diventa
[2.5]
BP = ( X 0 − Z 0 ) − zY + ϕ (i − i f ) = 0
che è un’equazione nelle due incognite Y e i. Se la esplicitiamo rispetto al tasso di
interesse otteniamo l’equazione di una retta, chiamata BP, che definisce tutte le
combinazioni di reddito e tasso di interesse interno per le quali si ha equilibrio della
bilancia dei pagamenti:
1
z
i = i f − ( X 0 − Z0 ) + Y
[2.6]
ϕ
ϕ
La relazione tra tasso di interesse e reddito rappresentata dalla BP è positiva. La
spiegazione economica di tale relazione positiva tra reddito e tasso di interesse interno è
che, quando il reddito aumenta, aumentano le importazioni in base al parametro z,
cosicché il saldo delle partite correnti peggiora; per mantenere l’equilibrio della bilancia
dei pagamenti, tale peggioramento deve essere compensato da un miglioramento del
saldo dei movimenti di capitale, che avviene solo se il tasso di interesse interno aumenta
rispetto a quello estero.
L’equazione [2.6] mostra chiaramente che il tasso di interesse che assicura il
saldo nullo della bilancia dei pagamenti è pari a quello estero quando la bilancia delle
partite correnti è in pareggio9: allora, affinché il saldo complessivo della bilancia dei
pagamenti sia nullo, anche il saldo dei movimenti di capitale deve essere nullo. In
questo caso particolare, in cui entrambi i conti che compongono la bilancia dei
pagamenti sono in equilibrio, si dice che vi è equilibrio ‘pieno’ della bilancia dei
pagamenti. Come già evidenziato, in generale l’equilibrio della bilancia dei pagamenti
può essere assicurato da una qualunque combinazione dei saldi delle partite correnti e
dei movimenti di capitale.
Rappresentiamo graficamente la retta BP: si tratta di una retta crescente, con


1
z
intercetta pari a i f − ( X 0 − Z 0 ) e pendenza pari a
. Osserviamo che la pendenza
ϕ
ϕ


dipende inversamente dal parametro ϕ che rappresenta la sensibilità dei movimenti di
capitale ai differenziali nei rendimenti delle attività finanziarie tra i diversi paesi. Un
valore basso del parametro ϕ vuol dire che, per un dato differenziale nei tassi di
interesse, i capitali si muovono in misura limitata tra i diversi paesi: si dice in questo
caso che ci troviamo di fronte ad una bassa mobilità internazionale dei capitali. Con
bassa mobilità internazionale dei capitali, la retta BP è abbastanza rigida. Questo è il
caso rappresentato nella figura 3 (a).
Viceversa, un valore alto del parametro ϕ vuol dire che, per un dato
differenziale nei tassi di interesse, i capitali si muovono in misura consistente tra i
diversi paesi: si dice in questo caso che ci troviamo di fronte ad un’elevata mobilità
internazionale dei capitali. Con elevata mobilità internazionale dei capitali, la retta BP è
abbastanza piatta. Questo è il caso rappresentato nella figura 3 (b).
9
Infatti deve essere pari a zero la somma algebrica degli ultimi due termini a destra dell’equazione [2.6],
termini che definiscono il saldo delle partite correnti.
11
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
In entrambi i grafici, quando il tasso di interesse interno è pari al tasso di
interesse estero, i = i f , la retta BP deve passare per il punto A al quale corrisponde il
livello di reddito che porta in equilibrio le partite correnti, YPC : il punto A rappresenta
la situazione di equilibrio ‘pieno’ della bilancia dei pagamenti. Tutti i punti diversi da A
ma lungo la retta rappresentano comunque combinazioni di tasso di interesse e di
reddito alle quali la bilancia dei pagamenti è in equilibrio, anche se non si tratta di un
equilibrio ‘pieno’. Combinazioni di tasso di interesse e di reddito che si trovano al di
sopra della BP (ad esempio, il punto B) indicano situazioni di avanzo della bilancia dei
pagamenti: per un dato livello di reddito, un tasso di interesse maggiore rispetto a quello
che assicura l’equilibrio implica un saldo dei movimenti di capitale maggiore di quanto
necessario per il pareggio della bilancia dei pagamenti. Con analogo ragionamento, si
conclude che combinazioni di tasso di interesse e di reddito che si trovano al di sotto
della BP (ad esempio, il punto C) indicano situazioni di disavanzo della bilancia dei
pagamenti.
i
i
BP
B
B
.
if
BP
.
A
if
C
A
C
.
YPC
.
Y
(b) bassa mobilità capitali
YPC
Y
(b) elevata mobilità capitali
Figura 3 – La curva BP con diversi gradi di mobilità dei capitali
La posizione sul piano della BP dipende dalle variabili esogene che definiscono


1
l’intercetta della retta sull’asse delle ordinate: i f − ( X 0 − Z0 ) . Essa quindi dipende:
ϕ


-
-
-
dal tasso di interesse internazionale i f ; quando questo aumenta, la retta BP si
sposta a sinistra. Infatti, per preservare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, ad
un maggior tasso di interesse estero deve essere associato, a parità di reddito
nazionale, un maggior tasso di interesse interno;
dal reddito estero, che influenza le esportazioni; quando aumenta il reddito estero,
la retta BP si sposta a destra. In effetti, poiché aumentano le esportazioni, a parità di
tasso di interesse interno, l’equilibrio della bilancia dei pagamenti è mantenuto con
un livello maggiore di importazioni e, di conseguenza, con un livello maggiore di
reddito interno;
dal tasso di cambio nominale (e reale, dati i prezzi fissi); quando il cambio si
deprezza (o viene svalutato), la retta BP si sposta a destra, sempre che sia rispettata
12
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
la condizione di Marshall-Lerner. In questo caso, la diminuzione di e migliora il
saldo delle partite correnti, a parità di reddito, e l’equilibrio della bilancia dei
pagamenti è mantenuto con un peggioramento dei movimenti di capitale, associato
ad un minor tasso di interesse.
2.1 – Il grado di mobilità internazionale dei capitali
Abbiamo visto che la reattività dei flussi di capitale alla differenza tra tasso di
interesse interno ed estero concorre a determinare la pendenza della retta BP: maggiore
è tale reattività, più piatta è la retta BP. E’ giusto chiedersi da quali fattori dipende la
reattività dei flussi di capitale ai differenziali dei tassi di interesse. Tra i principali fattori
vi è la presenza di costi di transazione maggiori per i titoli esteri rispetto ai titoli
nazionali (ad esempio, commissioni degli intermediari più elevate): più elevati sono
questi costi, minore è la reattività dei flussi di capitale al differenziale dei tassi di
interesse. Un altro fattore è l’eventuale esistenza di vincoli amministrativi sulle
operazioni in valuta estera, che aumentano il loro costo o ne limitano l’entità: le autorità
di politica economica possono adottare diverse forme di controllo sui movimenti di
capitale, in generale per limitare gli effetti negativi dei movimenti speculativi di capitale
che possono mettere in crisi un regime di cambi fissi o destabilizzare i mercati finanziari
a livello internazionale. Ancora, i titoli emessi in un dato paese possono essere ritenuti
dagli investitori più affidabili dei titoli emessi in un altro: si tratta del cosiddetto rischio
paese, che riguarda in generale tutti i titoli di un certo paese, cui si può aggiungere
anche il rischio di default legato all’aspettativa di insolvenza del singolo debitore, sia
questi un’impresa privata oppure uno Stato sovrano. Infine, gli investitori internazionali
tengono conto anche dei divari internazionali nella tassazione delle rendite finanziarie.
Nel secondo dopoguerra, i movimenti internazionali dei capitali sono stati
progressivamente liberalizzati. Tuttavia, il susseguirsi di una serie di crisi valutarie e
finanziarie ha indotto molti economisti a riproporre l’idea del premio Nobel James
Tobin di introdurre una tassa, chiamata appunto ‘Tobin tax’, per tassare con un’aliquota
molto bassa i movimenti speculativi di capitale a breve termine, limitandone così la
mobilità a livello globale.
Riquadro 10.2
La Tobin tax
La ‘Tobin tax’ prende il nome dall’economista James Tobin (premio Nobel per
l’economia nel 1981) che propose nel 1972 di applicare una tassa a tutte le transazioni
sui mercati valutari per stabilizzare i mercati, penalizzando i movimenti speculativi a
breve termine. L'aliquota proposta sarebbe molto bassa, tra lo 0,05% e l’1%.
In un'intervista rilasciata a ‘Der Spiegel’ nel settembre 2001, Tobin ha affermato: “... La
tassa sulle transazioni in valuta estera venne concepita per ammortizzare le fluttuazioni
dei tassi di cambio. L'idea è molto semplice: ad ogni scambio di valuta in un'altra, una
piccola tassa verrebbe applicata - diciamo lo 0,5% del volume della transazione.
13
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Questo dissuade gli speculatori poiché tanti investitori investono i loro soldi su una
base a brevissimo termine. Se questi soldi vengono improvvisamente ritirati, le nazioni
devono aumentare drasticamente i tassi di interesse per far sì che le loro valute restino
attraenti. Ma alti tassi d'interesse sono spesso disastrosi per una economia nazionale,
come hanno dimostrato le crisi degli anni novanta in Messico, sud-est asiatico e Russia.
La mia tassa restituirebbe qualche margine di manovra alle banche emittenti delle
piccole nazioni e sarebbe una misura di opposizione ai dettami dei mercati finanziari.”
Poiché un paese che introducesse da solo tale tassa incontrerebbe serie difficoltà, legate
alla probabile fuga degli investitori e degli speculatori verso mercati in cui la tassa non
si applica, si sostiene che sarebbe meglio gestirla mediante un’istituzione internazionale,
in modo da poter applicare la tassa a tutti i mercati finanziari nei quali queste
transazioni hanno luogo.
L’idea della ‘Tobin tax’ è stata oggetto di molte discussioni in Europa, discussioni che
si sono rafforzate con la crisi finanziaria che ha drammaticamente messo in evidenza i
pericoli di mercati finanziari non regolamentati, interessati da flussi altamente
speculativi potenziati dall’elevato numero di nuovi strumenti finanziari (i cosiddetti
‘derivati’) difficilmente controllabili. Ad aprile del 2011 mille economisti di 53 paesi
hanno pubblicano un appello rivolto al G-20 a favore dell'introduzione della ‘Tobin tax’.
Nel febbraio 2013, su sollecitazione di 11 Stati membri dell’Unione Monetaria Europea
tra i quali Francia, Germania e Italia, la Commissione europea ha proposto di introdurre
un’imposta sulle transazioni finanziarie che i singoli Stati possono applicare su base
volontaria, ma in modo coordinato. Si tratta della prima proposta di applicazione della
‘Tobin tax’ su scala regionale, anche se non è estesa obbligatoriamente a tutta l’Unione
europea, per l’opposizione di diversi governi.
In Italia, per tassare operazioni aventi finalità meramente speculative, la Legge di
Stabilità 2013 ha introdotto un’imposta dello 0,02% sulle negoziazioni ad alta frequenza
concluse sul mercato finanziario.
1.
Il grado di mobilità internazionale dei capitali può variare tra due estremi:
assenza di movimenti di capitale, quando i costi di transazione o i controlli
amministrativi sono estremamente elevati o quando esistono espliciti divieti alla
mobilità dei capitali che impediscono flussi di capitale tra il paese considerato e gli
altri paesi:10 in questo caso il coefficiente ϕ è pari a zero e la pendenza della BP è
infinita. La retta BP diventa dunque una retta verticale, come in figura 4(a).
Qualunque valore abbiano il tasso di interesse interno o estero, essi non influenzano
l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, poiché la bilancia dei pagamenti coincide
con la bilancia delle partite correnti e quindi il suo saldo dipende solo dal livello del
reddito (equazione [1.5]). Per Y < YPC (punto B), le partite correnti sono in avanzo,
mentre per Y > YPC (punto C), le partite correnti presentano un disavanzo (lo
studente dovrebbe essere in grado di spiegare perché);
10
Ad esempio, in Italia dalla metà degli anni ’70 ai primi anni ’90 vi è stata una forte regolamentazione al
movimento internazionale dei capitali finanziari.
14
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
2.
Capitolo 10
perfetta mobilità dei capitali, quando i titoli interni ed i titoli esteri sono perfetti
sostituti agli occhi degli investitori e la velocità con la quale i mercati finanziari
livellano i rendimenti è molto elevata. Affinché ciò avvenga, occorre che i mercati
finanziari siano perfettamente concorrenziali, senza alcun ostacolo all’acquisto o
alla vendita di titoli, che non vi siano costi di transazione, per cui ogni investitore
può in ogni istante modificare la composizione del proprio portafoglio titoli senza
costi, che non vi siano differenti valutazioni sul rischio paese. Se valgono queste
condizioni, molto stringenti, gli investitori guardano soltanto al rendimento dei
titoli: a parità di rendimento, essi sono indifferenti tra il detenere titoli nazionali
oppure titoli esteri. Ed in effetti, se i titoli nazionali ed i titoli esteri sono perfetti
sostituti, essi hanno necessariamente lo stesso rendimento.11 In caso contrario, gli
investitori sposterebbero immediatamente e senza costi il proprio capitale verso i
titoli che rendono di più, facendone salire il prezzo e ridurre il tasso di interesse,
fino ad annullare il differenziale di rendimento. In caso di perfetta mobilità dei
capitali il parametro ϕ tende all’infinito e la pendenza della BP è nulla: la retta BP
diventa dunque una retta orizzontale in corrispondenza di un tasso di interesse
interno pari a quello estero, come in figura 4(b). Il pareggio della bilancia dei
pagamenti si ha per i = i f , quale che sia il livello del reddito, cioè quale che sia il
saldo delle partite correnti. Infatti, in caso di un differenziale positivo (negativo) tra
il tasso di interesse interno e quello estero, l’afflusso (il deflusso) di capitali
finanziari è così grande da portare inevitabilmente la bilancia dei pagamenti in
surplus (deficit), quale che sia il saldo delle partite correnti. Nella figura 4(b), per
i > i f vi è un avanzo della bilancia dei pagamenti (punto B), mentre per i < i f la
bilancia dei pagamenti è in disavanzo (punto C).
i
i
BP
B
B
.
BP
.
C
.
i
f
C
.
YPC
Y
(a) assenza di mobilità dei capitali
Y
(b) perfetta mobilità dei capitali
Figura 4 – La curva BP: casi di assenza e di perfetta mobilità dei capitali
La mobilità internazionale dei capitali può essere intermedia tra questi due
estremi: si parla in questo caso di imperfetta mobilità dei capitali. A causa della non
perfetta sostituibilità tra titoli interni ed esteri e dei costi di transazione, si può avere
11
Come già evidenziato, trascuriamo il ruolo delle aspettative di variazione del tasso di cambio.
15
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
i ≠ i f senza che gli investitori detengano nel loro portafoglio solo i titoli con il
rendimento maggiore. Il portafoglio degli investitori contiene entrambi i titoli, con la
composizione che risente dei differenziali tra i due tassi di interesse: un aumento di i
relativamente a i f modifica la composizione a favore dei titoli interni, e viceversa nel
caso opposto.
3.
Meccanismi di riequilibrio automatico della bilancia dei pagamenti
Passiamo adesso a considerare i problemi connessi alla gestione della politica
macroeconomica in un’economia aperta. Faremo riferimento al modello di MundellFleming12 di impostazione keynesiana, estendendo all’economia aperta il modello ISLM di economia chiusa; oltre all’equilibrio sul mercato dei beni e sul mercato della
moneta, l’equilibrio macroeconomico in caso di economia aperta richiede anche
l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Le ipotesi di partenza sono quelle di prezzi
nazionali ed esteri fissi, caratteristica del modello IS-LM, e quella che il paese sia
‘piccolo’.
La retta IS di mercato aperto si ottiene dalla condizione di equilibrio in mercato
aperto tra produzione e domanda aggregata (equazione [1.1]), tenendo ora conto della
relazione decrescente tra investimenti e tasso di interesse. Riprendiamo quindi
l’equazione [1.5] dell’equilibrio reale, ed assumendo che la funzione degli investimenti
sia I = I 0 − di (equazione [2.6] del Capitolo 2) essa diventa
1
(C0 − cT0 + I 0 − di + G0 + X 0 − Z 0 )
1− c + z
Per semplificare la notazione, nel seguito poniamo C0 = 0 e indichiamo con
[3.1]
Y=
NX 0 = X 0 − Z 0 la differenza tra esportazioni ed importazioni esogene (le esportazioni
nette). Si ottiene così la seguente equazione della IS in mercato aperto:
1
Y=
(I 0 − di + G0 − cT0 + NX 0 )
[3.2]
1− c + z
Appare chiaramente che la posizione della IS è influenzata anche dalle esportazioni e
dalle importazioni, cioè dalla domanda mondiale e dal tasso di cambio.
Al contrario, le condizioni di equilibrio sul mercato monetario non sono
influenzate dall’apertura alle transazioni economiche internazionali, per cui la retta LM
è invariata rispetto al modello in economia chiusa. La condizione di equilibrio tra
offerta di moneta interna e domanda di moneta (equazioni [2.8]-[2.10] del Capitolo 2)
definisce la seguente equazione della LM in mercato aperto
Ms
= kY − hi
Pd
Le equazioni [3.2] e [3.3] congiuntamente determinano reddito e tasso di
interesse che assicurano l’equilibrio contemporaneo sui mercati dei beni e della moneta
[3.3]
12
Così denominato dai due economisti che hanno trattato il tema in due distinti lavori del 1962 (Cfr.
Mundell (1962) e Fleming (1962)).
16
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
nel caso in cui anche la bilancia dei pagamenti sia in equilibrio. Aggiungendo anche
l’equazione BP dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti
BP = ( X − Z ) − zY + ϕ i − i f + ~
ee =0
[3.4]
0
(
0
)
abbiamo un sistema di tre equazioni (la IS, la LM e la BP) che determinano
congiuntamente l’equilibrio interno e l’equilibrio esterno. Rappresentiamo graficamente
tale equilibrio nella figura 5, nell’ipotesi di imperfetta, ma elevata mobilità
internazionale dei capitali.
i
i
*
LM
BP
E*
IS
Y*
Y
Figura 5 – L’equilibrio macroeconomico in mercato aperto
Consideriamo ora una situazione in cui all’equilibrio interno, dato dal punto di
incontro tra la IS e la LM, non è associato l’equilibrio esterno, in quanto tale punto di
incontro non giace sulla retta BP.
i
LM
BP
A
iA
IS
YA
Y
Figura 6 – Equilibrio interno e disavanzo esterno
Nella figura 6 è rappresentata una situazione in cui, al livello di reddito e di
tasso di interesse di equilibrio interno (punto A), la bilancia dei pagamenti risulta in
deficit. In questo caso si mettono in moto dei meccanismi di aggiustamento automatico
17
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
che endogenamente tendono a riportare l’equilibrio nei conti con l’estero; come è stato
già analizzato nel capitolo precedente, tali meccanismi sono diversi a seconda del
regime di cambio adottato dal paese considerato.
In regime di tassi di cambio fissi, il compito di riportare in equilibrio la bilancia
dei pagamenti è affidato alle variazioni dell’offerta di moneta. Infatti, il disavanzo della
bilancia dei pagamenti che si verifica nel punto A obbliga la Banca centrale ad
intervenire sul mercato valutario fornendo valuta estera agli operatori e ottenendo in
cambio valuta nazionale, che esce così dalla circolazione. Rispetto al modello IS-LM di
economia chiusa, quindi, l’offerta di moneta non può più essere considerata un dato
esogeno. Dato il valore del moltiplicatore monetario (si veda il Capitolo 6), l’offerta di
moneta dipende dalla base monetaria. In economia chiusa, la variazione della base
monetaria è legata all’ammontare netto dei crediti concessi dalla Banca centrale agli
istituti di credito ed alle operazioni di mercato aperto condotte dalla Banca centrale;
entrambe queste variazioni sono decise direttamente dalle autorità monetarie: la base
monetaria, e di conseguenza l’offerta di moneta, possono dunque essere considerate un
dato esogeno. In economia aperta, invece, un saldo non nullo della bilancia dei
pagamenti implica una variazione delle riserve ufficiali e quindi della base monetaria.
LM
i
LMA
BP
iB
iA
B
A
IS
YB YA
Y
Figura 7 – Aggiustamento automatico in regime di cambi fissi
Un disavanzo nei conti con l’estero, come è la situazione rappresentata nella
figura 6, si riflette in una variazione dello stesso segno della base monetaria e della
quantità di moneta offerta: al ridursi dell’offerta di moneta, la retta LM si sposta verso
l’alto a sinistra. Questo processo continua finché permane il deficit della bilancia dei
pagamenti. La riduzione dell’offerta di moneta altera l’equilibrio interno in quanto fa
aumentare il tasso di interesse interno, portando ad una contrazione degli investimenti,
della domanda aggregata e del livello di reddito di equilibrio. Rispetto ai conti con
l’estero, l’aumento del tasso di interesse interno fa migliorare il saldo dei movimenti di
capitale, mentre la contrazione del reddito fa migliorare il saldo delle partite correnti: la
bilancia dei pagamenti torna in equilibrio. Nella figura 7, partendo da una situazione
iniziale in cui il sistema economico si trova nel punto A, l’equilibrio macroeconomico in
18
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
regime di cambi fissi viene raggiunto nel punto B, con un minor livello di reddito e un
maggiore tasso di interesse.
In regime di tassi di cambio flessibili, il compito di riportare in equilibrio la
bilancia dei pagamenti è affidato alle variazioni del tasso di cambio. Infatti, il disavanzo
della bilancia dei pagamenti porta ad un deprezzamento della valuta nazionale e, se vale
la condizione Marshall-Lerner, il saldo delle partite correnti migliora. Come abbiamo
visto nel paragrafo 2, il deprezzamento del tasso di cambio nominale fa spostare a
destra la retta BP, in quanto, a parità di reddito, migliora il saldo delle partite correnti, e
l’equilibrio della bilancia dei pagamenti è mantenuto con un peggioramento dei
movimenti di capitale, associato ad un minor tasso di interesse. Ma anche la domanda
aggregata è influenzata dal tasso di cambio: il deprezzamento fa aumentare le
esportazioni nette ( NX 0 = X 0 − Z 0 nell’equazione [3.2]) e fa spostare la retta IS a
destra. Gli spostamenti congiunti della BP e della IS continuano finché permane il
deficit della bilancia dei pagamenti, cioè finché permane il deprezzamento della valuta
nazionale.
Questo meccanismo di aggiustamento è illustrato nella figura 8, dove, partendo
da una situazione iniziale in cui il sistema economico si trova nel punto A, l’equilibrio
macroeconomico in regime di cambi flessibili viene raggiunto nel punto C, con un
maggior livello di reddito e un maggior tasso di interesse.
i
LM
BP
BPC
iC
iA
C
A
ISA
YA YC
ISC
Y
Figura 8 – Aggiustamento automatico in regime di cambi flessibili
4.
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Avendo dimostrato la convergenza del sistema economico verso l’equilibrio
interno ed esterno, ci poniamo la questione se sia possibile modificare la situazione di
equilibrio macroeconomico descritta dalla figura 5 al fine di raggiungere una diversa
situazione di equilibrio, attraverso interventi di politica economica. Analizziamo quindi,
nei due diversi regimi di cambio, se – e attraverso quali politiche – il policy maker,
partendo da una situazione iniziale in cui il sistema economico si trova nel punto E ∗
della figura 5, è in grado di raggiungere un obiettivo di reddito interno maggiore
19
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
(obiettivo interno) preservando l’equilibrio della bilancia dei pagamenti (obiettivo
esterno). L’analisi si basa sull’ipotesi di imperfetta mobilità internazionale dei capitali,
distinguendo una situazione di bassa mobilità ed una di elevata mobilità dei capitali.
4.1 - Politiche macroeconomiche con tassi di cambio fissi
Partiamo da una situazione iniziale di equilibrio macroeconomico in economia
aperta, rappresentato dal punto E ∗ della figura 5, in cui il mercato dei beni e quello
monetario sono in equilibrio e dove anche la bilancia dei pagamenti è in pareggio.
Assumiamo che il policy maker voglia realizzare un nuovo equilibrio macroeconomico
di economia aperta in corrispondenza di un maggior livello di reddito nazionale,
Yˆ > Y ∗ .
Iniziamo con lo studiare l’efficacia della politica monetaria. Nella figura 9(a)
rappresentiamo il caso di una bassa mobilità internazionale dei capitali, nella figura 9(b)
il caso di un’elevata mobilità dei capitali. Partiamo dall’equilibrio iniziale E ∗ e
indichiamo l’obiettivo di reddito con la retta verticale Ŷ .
i
i
BP
LM
i
*
LM
LM1
E*
E*
i
B
LM1
*
B
BP
IS
Y* Ŷ
Y
(a) bassa mobilità capitali
IS
Y*
Ŷ
Y
(b) elevata mobilità capitali
Figura 9 – Effetti della politica monetaria espansiva in cambi fissi
In entrambi i casi, l’espansione monetaria (lo spostamento della LM in LM1)
porta l’equilibrio interno a collocarsi nel punto B, con una riduzione del tasso di
interesse ed un aumento del livello del reddito, come visto nel caso di una politica
monetaria espansiva in economica chiusa. Tuttavia, il punto B è caratterizzato da un
disavanzo della bilancia dei pagamenti, indipendentemente dalle condizioni di mobilità
dei capitali: l’aumento del reddito fa peggiorare il saldo delle partite correnti e la
riduzione del tasso di interesse interno fa peggiorare il saldo dei movimenti di capitale.
L’intervento della Banca Centrale sul mercato valutario e la conseguente distruzione di
base monetaria (con riduzione dell’offerta di moneta) riporta la retta LM nella posizione
di partenza. In conclusione, in regime di tassi di cambio fissi, la politica monetaria è
20
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
totalmente inefficace (a meno che, temporaneamente, la Banca Centrale non ‘sterilizzi’
la riduzione dell’offerta di moneta con operazioni di segno opposto).
D’altra parte, che questa conclusione sia inevitabile appare chiaramente
considerando che, in regime di tassi di cambio fissi, il sistema di tre equazioni che
definisce l’equilibrio macroeconomico in economia aperta – equazioni [3.2], [3.3] e
[3.4] – determina, dato il tasso di cambio fisso, le tre incognite: Y, i, M. Nell’equilibrio,
l’offerta di moneta è dunque determinata endogenamente dalla soluzione del modello, e
non è sotto il controllo della Banca Centrale.
Diverso è il caso della politica fiscale. Anche in questo caso partiamo
dall’equilibrio iniziale E ∗ e indichiamo l’obiettivo di reddito con la retta verticale Ŷ .
Nella figura 10(a) rappresentiamo il caso di una bassa mobilità internazionale dei
capitali, nella figura 10(b) il caso di un’elevata mobilità dei capitali. In entrambi i casi,
una politica fiscale espansiva fa spostare a destra le retta IS (da IS a IS1) e determina un
nuovo equilibrio interno, indicato dal punto B. Tuttavia, gli effetti sono diversi con
riferimento al saldo della bilancia dei pagamenti. Nel caso di bassa mobilità
internazionale dei capitali, nel nuovo equilibrio interno si ha un disavanzo della bilancia
dei pagamenti, mentre nel caso di elevata mobilità dei capitali il nuovo equilibrio
interno determina un avanzo della bilancia dei pagamenti.
i
i
BP
LM1
LM
LM
C
B
i
E*
*
i
E*
LM1
BP
B
C
*
IS1
IS1
IS
Y* Ŷ
(a) bassa mobilità capitali
IS
Y
Y*
Ŷ
Y
(b) elevata mobilità capitali
Figura 10 – Effetti della politica fiscale espansiva in cambi fissi
Consideriamo il caso (a) di bassa mobilità internazionale dei capitali. L’aumento
di reddito indotto dalla politica fiscale espansiva fa peggiorare il saldo delle partite
correnti; data la bassa reattività dei capitali al differenziale nei tassi di interesse,
l’aumento del tasso di interesse interno non riesce a indurre un afflusso di capitali in
grado di compensare il peggioramento delle partite correnti. La bilancia dei pagamenti
va quindi in disavanzo e ciò costringe la Banca Centrale ad intervenire sul mercato
valutario, portando ad una contrazione della base monetaria e dell’offerta di moneta. La
retta LM si sposta in alto a sinistra (da LM a LM1) in parte ridimensionando l’effetto
espansivo della politica fiscale: il sistema economico, a seguito della politica fiscale
espansiva si porta temporaneamente nel punto B, ma a seguito del processo di
21
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
aggiustamento automatico dello squilibrio della bilancia dei pagamenti si sposta
successivamente nel punto C, di equilibrio finale del sistema economico. In sostanza, la
politica fiscale espansiva è efficace nel fare aumentare il reddito, ma determina un
disavanzo con l’estero che porta a distruggere base monetaria, analogamente ad una
manovra monetaria restrittiva, e che provoca una successiva parziale contrazione del
reddito. Per raggiungere l’obiettivo di reddito Ŷ , la politica fiscale deve dunque essere
più espansiva di quanto sarebbe sufficiente in un’economia chiusa.
Nel caso (b) di elevata mobilità internazionale dei capitali, l’equilibrio interno
raggiunto dopo l’intervento espansivo di politica fiscale (punto B) è associato ad un
avanzo della bilancia dei pagamenti: infatti, l’aumento di reddito indotto dalla politica
fiscale espansiva fa peggiorare il saldo delle partite correnti, ma il contemporaneo
aumento del tasso di interesse interno, data l’elevata reattività dei capitali al
differenziale nei tassi di interesse, induce un ampio afflusso di capitali che più che
compensa il peggioramento delle partite correnti. Per mantenere il tasso di cambio alla
parità fissata, la Banca Centrale interviene sul mercato valutario, creando base
monetaria: l’offerta di moneta aumenta e la LM si sposta in basso a destra (da LM a
LM1) rafforzando l’effetto espansivo della politica fiscale. Per raggiungere l’obiettivo di
reddito Ŷ , la politica fiscale deve dunque essere meno espansiva di quanto sarebbe
necessario in un’economia chiusa, in quanto associata ad un’espansione endogena
dell’offerta di moneta.
4.2 - Politiche macroeconomiche con tassi di cambio flessibili
Anche per l’analisi dell’efficacia delle politiche economiche in regime di cambi
flessibili partiamo da una situazione iniziale di equilibrio macroeconomico in economia
aperta, rappresentato dal punto E ∗ della figura 5. Di nuovo, assumiamo che il policy
maker voglia realizzare un nuovo equilibrio macroeconomico di economia aperta in
corrispondenza di un maggior livello di reddito nazionale, Yˆ > Y ∗ .
Iniziamo con lo studiare l’efficacia della politica monetaria. Nella figura 11(a)
rappresentiamo il caso di una bassa mobilità internazionale dei capitali, nella figura
11(b) il caso di un’elevata mobilità dei capitali. Partiamo dall’equilibrio iniziale E ∗ e
indichiamo l’obiettivo di reddito con la retta verticale Ŷ .
In entrambi i casi, a seguito alla politica monetaria espansiva, la LM si sposta a
destra (da LM a LM1) e determina un nuovo equilibrio interno, indicato dal punto B, al
quale corrisponde un disavanzo della bilancia dei pagamenti. Infatti, da una parte
l’aumento del reddito peggiora il saldo delle partite correnti, e dall’altra la diminuzione
del tasso di interesse interno peggiora il saldo dei movimenti di capitale. Il passivo dei
conti con l’estero provoca un deprezzamento del tasso di cambio. Se vale la condizione
Marshall-Lerner, ciò ha un effetto positivo sulla domanda di beni di produzione
nazionale e questo comporta uno spostamento verso destra sia della retta IS (da IS a IS1),
sia della retta BP (da BP a BP1).13
13
Si ricordi l’analisi condotta nel precedente paragrafo 2 sulle determinanti della posizione della retta
BP.
22
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Tali spostamenti congiunti proseguono finché permane il deficit della bilancia
dei pagamenti, cioè finché non si raggiunge il punto C di equilibrio finale del sistema
economico. In sostanza, l’effetto espansivo della politica monetaria è rafforzato dal
deprezzamento del tasso di cambio: per raggiungere l’obiettivo di reddito Ŷ , la politica
monetaria deve dunque essere meno espansiva di quanto sarebbe necessario in
un’economia chiusa.
i
BP
BP1
LM
i
LM
LM1
LM1
i
*
E*
C
i
B
IS
Y*
Ŷ
Y
(b) bassa mobilità capitali
IS1
E*
*
BP
C
IS1
B
IS
Y*
Ŷ
Y
(b) elevata mobilità capitali
Figura 11 – Effetti della politica monetaria espansiva in cambi flessibili
Si noti che, rispetto al regime di tassi di cambio fissi, il sistema di tre equazioni
che definisce l’equilibrio macroeconomico in economia aperta – equazioni [3.2], [3.3] e
[3.4] – determina le tre incognite: Y, i, e. In regime di cambi flessibili, l’offerta di
moneta torna ad essere una variabile esogena sotto il controllo della Banca Centrale.
Esaminiamo ora l’efficacia della politica fiscale. Anche in questo caso partiamo
dall’equilibrio iniziale E ∗ e indichiamo l’obiettivo di reddito con la retta verticale Ŷ .
Nella figura 12(a) rappresentiamo il caso di una bassa mobilità internazionale dei
capitali, nella figura 12(b) il caso di un’elevata mobilità dei capitali. In entrambi i casi,
una politica fiscale espansiva fa spostare a destra le retta IS (da IS a IS1) e determina un
nuovo equilibrio interno, indicato dal punto B.
Iniziamo dal caso (a) di bassa mobilità internazionale dei capitali. L’aumento di
reddito fa peggiorare il saldo delle partite correnti; data la bassa reattività dei capitali al
differenziale nei tassi di interesse, l’aumento del tasso di interesse interno non induce un
sufficiente afflusso di capitali da compensare il peggioramento delle partite correnti ed
il saldo della bilancia dei pagamenti presenta un deficit. Il tasso di cambio si deprezza
e, assumendo come al solito che valga la condizione Marshall-Lerner, si produce un
benefico effetto di domanda nei confronti della produzione nazionale: ne segue uno
spostamento verso destra della retta BP (da BP a BP1) e un ulteriore spostamento verso
destra della retta IS (da IS1 a IS2), fino a raggiungere una nuova situazione di equilibrio
macroeconomico IS-LM-BP, rappresentata dal punto C. In sostanza, gli effetti espansivi
della politica fiscale sono rafforzati dal meccanismo automatico di aggiustamento degli
23
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
squilibri della bilancia dei pagamenti in regime di cambi flessibili, cioè il
deprezzamento del tasso di cambio: per raggiungere l’obiettivo di reddito Ŷ , la politica
fiscale deve dunque essere meno espansiva di quanto sarebbe necessario in
un’economia chiusa.
Nel caso (b) di elevata mobilità internazionale dei capitali, l’equilibrio interno
raggiunto dopo l’intervento espansivo di politica fiscale (punto B) è associato ad un
avanzo della bilancia dei pagamenti. Come nel caso dei cambi fissi, l’aumento di
reddito indotto dalla politica fiscale espansiva fa peggiorare il saldo delle partite
correnti, ma il contemporaneo aumento del tasso di interesse interno, data l’elevata
reattività dei capitali al differenziale nei tassi di interesse, induce un ampio afflusso di
capitali che più che compensa il peggioramento delle partite correnti. Il tasso di cambio
si apprezza e, assumendo come al solito che valga la condizione di Marshall-Lerner, si
determina una riduzione della domanda nei confronti della produzione nazionale: ne
segue uno spostamento verso sinistra sia della retta BP (da BP a BP1) che della retta IS
(da IS1 a IS2), fino a raggiungere una nuova situazione di equilibrio macroeconomico IS-
LM-BP, rappresentata dal punto C. Per raggiungere l’obiettivo di reddito Ŷ , la politica
fiscale deve dunque essere più espansiva di quanto sarebbe necessario in un’economia
chiusa, in quanto l’aumento della domanda aggregata da parte del settore pubblico deve
controbilanciare la riduzione della domanda da parte dell’estero causata
dall’apprezzamento del tasso di cambio.
BP
BP1
B
LM
E*
i
*
BP1
C
C
B
i
IS
Ŷ
(b) bassa mobilità capitali
BP
*
IS1
E*
IS2
Y*
LM
IS2
IS1
IS
Y*
Y
Ŷ
Y
(b) elevata mobilità capitali
Figura 12 – Effetti della politica fiscale espansiva in cambi flessibili
5.
Inefficacia della politica economica in mercato aperto
Abbiamo esaminato l’efficacia delle politiche nazionali, monetaria e fiscale,
nell’assicurare la realizzazione simultanea dell’obiettivo interno (di reddito) ed esterno
(equilibrio della bilancia dei pagamenti), nei diversi regimi di tasso di cambio e nelle
diverse ipotesi intermedie di mobilità dei capitali.
24
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
Vi sono tuttavia delle situazioni in cui le politiche nazionali non hanno efficacia
nei confronti dell’obiettivo interno, dati i meccanismi automatici che si mettono in moto
qualora i conti con l’estero non siano in pareggio.
i. Abbiamo già analizzato nel paragrafo 3.1 come la politica monetaria risulti
inefficace nell’influenzare il livello di reddito di equilibrio in un regime di cambi
fissi, quale che sia il grado di mobilità internazionale dei capitali. La ragione risiede
nel fatto che la Banca Centrale non riesce a modificare l’offerta di moneta, le cui
variazioni in aumento o in diminuzione sono compensate da variazioni di segno
opposto delle riserve di valuta estera e quindi della base monetaria. In realtà, la
politica monetaria può essere efficace, ma solo temporaneamente, nella misura in
cui la Banca Centrale è in grado di ‘sterilizzare’ la variazione di base monetaria con
misure compensative di segno opposto, in modo da annullare l’effetto sull’offerta di
moneta dell’intervento sul mercato valutario.
ii. La politica fiscale può invece risultare inefficace nel raggiungere
contemporaneamente gli obiettivi interno ed esterno, se un paese adotta un regime
di cambi flessibili e nel caso estremo in cui vi sia perfetta mobilità internazionale
dei capitali. Rappresentiamo questo caso nella figura 13.
i
LM
B
BP
if
E*
IS
Y* Ŷ
IS1
Y
Figura 13 – Politica fiscale in cambi flessibili con perfetta mobilità dei capitali
Partendo dall’equilibrio iniziale E ∗ e dato l’obiettivo interno di reddito indicato
dalla retta verticale Ŷ , una politica fiscale espansiva sposta la retta IS in IS1. Il
conseguente incremento del tasso di interesse nazionale fa affluire elevate quantità
di capitali14, con un eccesso di domanda di valuta nazionale sul mercato valutario.
Il tasso di cambio si apprezza, facendo contrarre le esportazioni ed aumentare le
importazioni: la retta IS si sposta a sinistra, tornando nella posizione iniziale. Il
reddito nazionale non risulta modificato: questo significa che il livello della
domanda aggregata resta invariato. L’unica conseguenza della politica fiscale
espansiva è di far ridurre le esportazioni nette esattamente dello stesso ammontare
dell’aumento di spesa pubblica. In altri termini, il deterioramento del saldo delle
14
Al limite, gli afflussi di capitali sono infiniti anche per un piccolo incremento del tasso di interesse
nazionale, in quanto la reattività dei movimenti di capitali ai differenziali dei tassi di interesse tende ad
infinito.
25
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
partite correnti è esattamente pari all’aumento della spesa pubblica: la politica
fiscale provoca uno spiazzamento completo delle esportazioni nette.
iii. Entrambe le politiche nazionali risultano invece inefficaci nel raggiungere
contemporaneamente gli obiettivi interno ed esterno, se un paese adotta un regime
di cambi fissi e nel caso estremo in cui vi sia assenza di mobilità internazionale dei
capitali, quando cioè le transazioni con l’estero riguardano soltanto lo scambio di
merci e servizi. Abbiamo già visto che in questo caso la retta BP è una retta
verticale (si veda la figura 5(a)): se l’obiettivo del responsabile di politica
economica è un livello di reddito al quale non corrisponde l’equilibrio dei conti con
l’estero Yˆ ≠ Y , le politiche economiche sono inefficaci nel conseguire un dato
(
PC
)
livello di reddito mantenendo l’equilibrio nei conti con l’estero.
Nella figura 14 illustriamo questa situazione, assumendo per semplicità di trovarci
in una situazione iniziale di equilibrio sia interno che esterno (punto E ∗ ).
L’obiettivo di reddito è indicato dalla retta verticale Ŷ . Nella figura 14(a)
consideriamo una politica fiscale espansiva, mentre nella figura 14(b) consideriamo
una politica monetaria espansiva.
i
i
BP
BP
LM1
C
B LM
LM
E*
E*
i*
i*
LM1
B
IS1
IS
IS
YPC
Ŷ
(a) politica fiscale
Y
YPC
Ŷ
Y
(b) politica monetaria
Figura 14 – Assenza di mobilità dei capitali e politiche macroeconomiche in cambi fissi
Se il responsabile di politica economica attua una politica fiscale espansiva,
facendo spostare la IS in IS1, il conseguente aumento di reddito porta in disavanzo
le partite correnti e, perciò, la bilancia dei pagamenti. La Banca Centrale è costretta
ad intervenire sul mercato valutario, offrendo valuta estera in cambio di valuta
nazionale. La base monetaria si contrae e con essa l’offerta di moneta, inducendo
una contrazione del reddito, fino a portare il sistema economico nel punto C, con lo
stesso livello di reddito iniziale ed un più alto tasso di interesse. I due obiettivi,
interno ed esterno, non sono compatibili tra loro: vi è infatti un solo livello di
reddito compatibile on l’equilibrio delle partite correnti.
Anche una politica monetaria espansiva fa aumentare il reddito nazionale e porta in
disavanzo le partite correnti. L’intervento della Banca Centrale sul mercato
26
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
valutario riporta l’offerta di moneta al livello iniziale, e con essa il tasso di interesse
ed il reddito.
5.1 – Problemi legati a squilibri nelle componenti della bilancia dei pagamenti
Abbiamo visto come le politiche nazionali hanno effetti differenziati sul saldo
delle partite correnti e sul saldo dei movimenti di capitale. In regime di cambi fissi, la
politica fiscale fa peggiorare il saldo delle partite correnti; il ritorno all’equilibrio della
bilancia dei pagamenti avviene a seguito dell’aumento del tasso di interesse interno e
dell’incremento degli afflussi netti di capitale. L’obiettivo interno di reddito ed esterno
di equilibrio della bilancia dei pagamenti è conseguito, ma a costo di un disavanzo
continuo delle partite correnti e di un avanzo continuo nei movimenti di capitale.
Questa situazione non può permanere nel tempo, in quanto si determinano una
serie di effetti negativi. Innanzitutto, gli afflussi di capitale comportano dei deflussi in
termini di redditi da interesse che gravano ulteriormente sulle partite correnti (lo
studente ricordi la struttura della Bilancia dei Pagamenti analizzata nel capitolo
precedente), alimentando un circolo vizioso. In secondo luogo, un paese che si trovi in
una situazione di disavanzo continuo delle partite correnti può essere visto, nei mercati
dei capitali, come un paese che ha una reputazione finanziaria debole (continua ad
indebitarsi verso l’estero): l’avanzo dei movimenti di capitale necessario per l’equilibrio
della bilancia dei pagamenti può allora essere assicurato soltanto con tassi d’interesse
interni progressivamente più elevati. Infine, gli afflussi di capitale comportano che la
ricchezza nazionale (titoli e beni capitali) sia sempre più in mano agli investitori esteri,
con caduta dei redditi da capitale e dei consumi interni, richiedendo ulteriori politiche
economiche nazionali espansive per continuare a raggiungere l’obiettivo interno.
Le conseguenze indotte dalla persistenza dei segni degli squilibri delle
componenti della bilancia dei pagamenti, pur in assenza di squilibri di pari entità del
saldo globale della bilancia dei pagamenti, sono state evidenziate nel corso dell’attuale
crisi economica per diversi paesi aderenti all’Unione Monetaria Europea, e saranno
esaminate in un successivo capitolo.
6.
La scelta tra cambi fissi e flessibili
Tra gli economisti non vi è accordo circa la valutazione di quale regime di tasso
di cambio sia preferibile per un’economia aperta, in quanto nessun regime di cambi può
essere considerato preferibile per tutti i paesi o per tutte le situazioni economiche.
Rinviando ai manuali di Economia internazionale per un esame più ampio della
questione, in questa sede vogliamo solo evidenziare i principali vantaggi e svantaggi dei
due regimi ‘estremi’ (cambi fissi e cambi flessibili), tenendo presente che le
argomentazioni a favore di uno di essi rappresentano argomentazioni contro l’altro
regime, e viceversa.
Anche solo sulla base dell’analisi che abbiamo condotto in questo capitolo e nel
precedente, si possono indicare tra i vantaggi dei cambi fissi il sostegno alla crescita del
commercio e degli investimenti internazionali, in quanto il regime di cambi fissi riduce
27
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
il rischio di cambio nelle transazioni internazionali (le eventuali variazioni della parità
non sono molto frequenti nella realtà) e facilita i confronti internazionali della
competitività di beni e servizi.
Inoltre, in un sistema di cambi fissati attraverso accordi bilaterali o multilaterali
tra Banche Centrali, viene limitata la presenza destabilizzante sul mercato valutario
degli speculatori, i cui guadagni attesi sono legati all’eventualità di una variazione della
parità. Infatti, mentre a difesa del tasso di cambio fissato unilateralmente da un singolo
paese solo la Banca Centrale di quel paese interviene a difesa della parità, attingendo
alle proprie riserve di valuta estera, nel caso di cambi fissi definiti da accordi tra più
paesi tutte le Banche Centrali interessate possono (o devono, a seconda dei casi)
intervenire: la quantità di riserve valutarie utilizzabili per la difesa della parità da un
attacco speculativo sono molto maggiori. Va tuttavia rilevato che l’attività speculativa
sul mercato valutario può risultare meno frequente, ma più destabilizzante – quando è
presente – in regime di cambi fissi rispetto al regime di cambi flessibili: nel primo caso,
infatti, è più facile che le aspettative degli speculatori siano orientate tutte in una stessa
direzione (ad esempio, una svalutazione).
Gli svantaggi dei cambi fissi, invece, sono legati alla difficoltà di perseguire
sistematicamente un obiettivo interno, ad esempio di reddito, nel rispetto del vincolo
esterno di pareggio della bilancia dei pagamenti. Come analizzato nel paragrafo
precedente, il sistematico disavanzo delle partite correnti, compensato dal ricorrente
avanzo dei movimenti di capitale risulta insostenibile nel lungo periodo. Il regime di
cambi fissi, inoltre, rende endogena la politica monetaria: la Banca Centrale non è in
grado di condurre un’autonoma politica monetaria, perdendo un importante strumento
per sostenere la domanda aggregata e l’occupazione. In aggiunta, essa deve
immobilizzare elevate quantità di valuta estera come riserva per le necessità di
intervento sul mercato dei cambi.
Un regime di cambi fissi, infine, non ha gli stessi effetti per tutti i paesi, in
quanto vi è una sostanziale asimmetria tra paesi nei vincoli e negli aggiustamenti
richiesti a seguito del manifestarsi di squilibri esterni, a seconda che tali squilibri
vedano un disavanzo oppure un avanzo della bilancia dei pagamenti. I paesi in deficit
incontrano seri vincoli e sono obbligati ad operare tempestivamente gli aggiustamenti
necessari, pena l’abbandono del regime di cambi fissi, mentre i paesi in surplus possono
continuare ad accumulare riserve di valuta estera senza che si ponga alcun problema.
Questa asimmetria può creare una disparità di incentivi alla cooperazione internazionale
tra i vari paesi.
Se si allarga l’analisi ad un contesto in cui i prezzi interni ed esteri sono
variabili, emergono ulteriori elementi di valutazione relativa dei due regimi di cambio.
Quando i prezzi interni crescono più di quelli esteri, un tasso di cambio fisso non
consente di compensare la perdita di competitività della produzione nazionale,15
provocando un peggioramento delle partite correnti e della bilancia dei pagamenti.
Questo fattore può però essere visto anche come un vantaggio, qualora spinga le
imprese nazionali a contenere i costi di produzione migliorando la propria efficienza
produttiva. In altri termini, il recupero della competitività deve essere ottenuto
15
Il tasso di cambio reale aumenta (si veda l’equazione [2.4] del Capitolo 9).
28
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
incrementando la produttività dei fattori o potenziando gli elementi di competitività
“non di prezzo”. In un regime di tassi di cambio flessibili, invece, il peggioramento
della bilancia dei pagamenti causa il deprezzamento del tasso di cambio, mantenendo
inalterata la competitività.
Se invece i prezzi esteri presentano una dinamica maggiore rispetto ai prezzi
interni, in un regime di tassi di cambio fissi la competitività delle merci nazionali
migliora, ma si ha anche un trasferimento sui prezzi interni della maggiore inflazione
estera, attraverso l’aumento dei prezzi delle merci e servizi importati (si parla in questo
caso di ‘inflazione importata’). Al contrario, un regime di tassi di cambio flessibili
consente di isolare i prezzi interni dall’evoluzione dei prezzi esteri, attraverso
l’apprezzamento del cambio dovuto alla maggiore competitività della produzione
nazionale, ma ciò implica anche che la competitività interna non migliora.
Circa gli orientamenti delle diverse scuole di pensiero economico in materia, in
linea generale gli economisti di scuola keynesiana mostrano una preferenza per il
regime di tassi di cambio flessibili, in quanto esso consente maggiori gradi di libertà
nella conduzione della politica di sostegno della domanda aggregata. Il regime di tassi
di cambio fissi è preferito invece dagli economisti di formazione monetarista: la loro
fiducia nei meccanismi equilibratori di mercato li porterebbe a sostenere i cambi
flessibili, ma la loro diffidenza verso gli interventi discrezionali di politica economica
tende a prevalere, e la loro preferenza è fondata sul fatto che i cambi fissi limitano
fortemente tale discrezionalità.
Appendice 10.1
Il modello reddito-spesa in mercato aperto
Rispetto al modello reddito-spesa relativo ad un’economia chiusa del Capitolo 2,
teniamo ora conto delle transazioni internazionali in beni e servizi, espresse in valuta
nazionale. I prezzi delle esportazioni sono espressi in valuta nazionale, mentre i prezzi
delle importazioni sono espressi in valuta estera e devono essere convertiti in valuta
nazionale. Il valore delle esportazioni è pari a P d X , mentre il valore delle importazioni
è pari a P f Z . Applicando la parità dei poteri d’acquisto (equazione [2.5] del Capitolo
9) che definisce il tasso di cambio come pari a e=
Pf
, da cui eP d = P f , il valore delle
d
P
importazioni è dato da eZ .
L’equilibrio sul mercato nazionale dei beni in termini nominali è dato da
P d Y = P d (C + I + G + X ) − eP d Z
[A.1]
mentre in termini reali, esso è dato da
Y = C + I + G + X − eZ
[A.2]
o, corrispondentemente
Y + eZ = C + I + G + X
[A.3]
29
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
L’equazione [A.3] indica che i beni importati vanno ad incrementare i beni e
servizi prodotti nel sistema economico, mentre la domanda di esportazioni si aggiunge
alle altre componenti della domanda interna.
Esplicitiamo le esportazioni come dipendenti positivamente dal reddito estero,
f
Y , in quanto la domanda da parte dell’estero dipende dal reddito dei partner
commerciali, e negativamente dal tasso di cambio reale, cioè positivamente dalla
competitività relativa dei prodotti nazionali:
[A.4]
X = X + xY f − β eR
con 0 < x < 1
A loro volta, le importazioni dipendono positivamente dal reddito nazionale, in base alla
propensione marginale all’importazione z , e positivamente dal tasso di cambio reale:
[A.5]
con 0 < z < 1
Z = Z + zY + α eR
Poiché il modello è a prezzi fissi, estendiamo l’ipotesi di costanza anche ai prezzi esteri,
ponendo per semplificare P d = P f = 1 : sulla base di queste assunzioni, il tasso di
cambio reale coincide con il tasso di cambio nominale, eR = e e le equazioni [A.4] e
[A.5] diventano rispettivamente
[A.6]
X = X + xY f − β e
[A.7]
Z = Z + zY + α e
Assumiamo che il reddito reale estero sia un dato esogeno per la ‘piccola’ economia che
stiamo considerando e che l’economia operi in regime di tassi di cambio fissi: il tasso di
cambio nominale è un dato esogeno, anche se si può modificare a seguito di una
decisione di politica economica. Sulla base di queste assunzioni tutti i termini a destra
nell’equazione [A.6] sono esogeni, rendendo esogene le esportazioni; li aggreghiamo
nel termine X 0 :
[A.8]
X = X0
mentre, sulla base della stessa ipotesi sul regime di tasso di cambio, possiamo aggregare
il primo ed il terzo termine a destra dell’equazione [A.7] nel termine esogeno Z ′ ; la
funzione delle importazioni diventa:
[A.9]
Z = Z ′ + zY
Appendice 10.2
La condizione di parità scoperta dei tassi di interesse
Quando si tratta di valutare la convenienza ad acquistare un’attività finanziaria
nazionale oppure estera, oltre al rendimento dell’attività occorre considerare un ulteriore
elemento, e cioè il fatto che il valore capitale ed il rendimento di un’attività finanziaria
estera è espresso in valuta estera: essi devono poi essere convertiti in valuta nazionale.
Al momento della decisione di investimento, tuttavia, l’investitore non sa con certezza
quale sarà il valore del tasso di cambio nel momento futuro in cui avverrà la
conversione: in un regime di tassi di cambio flessibili ciò è vero per definizione, mentre
in un regime di tassi di cambio fissi vi è sempre la possibilità che intervenga una
svalutazione del cambio. L’investitore quindi confronterà non solo il tasso di interesse
30
Politiche macroeconomiche in mercato aperto
Capitolo 10
nazionale con il tasso di interesse estero, ma terrà anche conto della variazione attesa
del tasso di cambio. Egli sarà indifferente tra l’investimento in un titolo nazionale e
l’investimento in un titolo estero se vale la seguente condizione:
i = i f − e~ e
[A.10]
dove i è il tasso di interesse nazionale, i f è il tasso di interesse estero e ~
e e è il tasso
percentuale atteso di variazione del tasso di cambio. Se vi è perfetta mobilità
internazionale dei capitali, l’equazione [A.10] esprime l’arbitraggio dei tassi di
interesse. Come afferma la [A.10], il rendimento del titolo nazionale è pari alla somma
del rendimento del titolo estero e del deprezzamento (o apprezzamento) atteso. Ciò
equivale a dire che il rendimento del titolo nazionale è pari al rendimento del titolo
estero espresso in valuta nazionale: infatti, per esprimere i rendimenti nella stessa valuta
occorre tener conto della variazione attesa del tasso di cambio tra il momento
dell’acquisto del titolo, quando la valuta nazionale viene convertita in valuta estera per
effettuare l’acquisto, ed il momento della vendita del titolo e dell’incasso degli interessi,
con la conversione in valuta nazionale della valuta estera incassata. In sostanza, il tasso
di interesse nazionale viene confrontato con il tasso di interesse estero, tenendo però
conto del rischio di cambio, legato appunto all’aspettativa di un deprezzamento o di una
svalutazione del tasso di cambio.16
Qualora la condizione [A.10] non dovesse essere verificata, si produrranno
movimenti di capitali in entrata se vale la disequazione
[A.11]
i > i f − e~ e
o in uscita se vale la disequazione
i <if −~
ee.
[A.12]
Un differenziale positivo tra i due tassi di interesse, i > i f , non significa quindi
necessariamente che vi sarà un afflusso di capitali nel nostro paese, in quanto occorre
tener conto anche delle aspettative di variazione del tasso di cambio nel periodo
rilevante per la scelta d’investimento. Lo stesso ragionamento si può fare per il caso
opposto, in cui i < i f .
La condizione [A.10] è chiamata condizione di parità scoperta dei tassi di
interesse, in quanto, nel compiere le proprie scelte di investimento, gli investitori che
seguono questa regola accettano di sostenere il rischio del rendimento incerto connesso
all’aspettativa (non alla certezza!) di deprezzamento o di svalutazione del tasso di
cambio. L’alternativa è la stipula di appositi contratti a termine disponibili sui mercati
finanziari al fine di ‘coprirsi’ dal rischio di cambio. L’analisi del comportamento
alternativo dell’investitore è rinviato ai manuali di Economia internazionale.17
16
In realtà, oltre al rischio di cambio, gli investitori internazionali tengono conto anche del rischio di
default legato all’aspettativa di insolvenza del debitore, sia questi un’impresa privata oppure uno Stato
sovrano, e dei divari internazionali nella tassazione delle rendite finanziarie.
17
Ad esempio, De Arcangelis (2012).
31
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