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Dall"`intermezzo" all`"opera buffa"
Dall"'intermezzo" all'"opera buffa" Nella prima metà del Settecento l'opera aveva ormai conquistato il gusto del pubblico di tutta Europa ed era diventata lo spettacolo teatrale più importante. Le opere venivano scritte da grandi musicisti, con la collaborazione di rinomati librettisti-poeti e venivano eseguite da acclamati cantanti. Tutto nell'opera era grande, fastoso, impressionante; persino il soggetto del libretto doveva essere importante: generalmente era una tragedia, una vicenda storica o mitologica, un grande dramma. Le scene erano ricche, sbalordivano lo spettatore con le trovate e gli effetti più straordinari, ed erano azionate da macchine teatrali complicatissime e ingegnose che richiedevano l'assistenza di decine di addetti. Soprattutto per evitare agli spettatori la noia di attese troppo lunghe, era invalso l'uso di inserire tra un atto e l'altro di un melodramma dei brevi intermezzi, recitati, danzati o cantati, quasi sempre brillanti e leggeri. Una sera del 1733 il teatro San Bartolomeo di Napoli metteva in scena un grande dramma del ventitreenne Giovanni Battista Pergolesi, Il prigioniero superbo. Il giovane autore aveva lavorato a lungo a quell'opera e s'attendeva dal pubblico un giusto riconoscimento alle sue fatiche. Secondo le consuetudini del tempo, prima della rappresentazione, scrisse in fretta anche due brevi intermezzi dal titolo La serva padrona, che avrebbero dovuto intrattenere gli spettatori durante i laboriosi cambiamenti di scena tra un atto e l'altro. Occorre ricordare che a quel tempo nei teatri pubblici, durante lo spettacolo, potevano accadere cose che oggi ci apparirebbero davvero strane: siccome le opere erano lunghe, molti portavano a teatro cibi e bevande, e mentre si mangiava, si commentava la rappresentazione, si invitavano gli amici, si facevano pettegolezzi, si organizzava un incontro; poi ci si alzava, si andava a far visita a un gruppo di conoscenti in altra parte del teatro, mentre qualcuno restava nel palco a sonnecchiare. Anche quella sera, durante la rappresentazione de II prigioniero superbo il primo atto era terminato in un clima di distratta partecipazione, ma l'interesse del pubblico sembrò improvvisamente ridestarsi durante l'intermezzo. Nel corso del secondo atto il pubblico, con espliciti commenti, lasciava chiaramente intendere d'essere più interessato a sapere come sarebbe finita la storia de La serva padrona che a quanto accadeva sulla scena. Alla ripresa dell'intermezzo, dopo il secondo atto del dramma, gli spettatori restarono in silenzio ad ascoltare: quel soggetto così semplice, reso vivo da una musica fresca, tanto diversa da quella delle grandi opere di allora, li aveva avviti e divertiti. Il trionfo fu immediato e Pergolesi divenne famoso non per Il prigioniero superbo che gli stava tanto a cuore, ma per quel lavoretto così da poco, scritto in fretta e senza troppa convinzione. Nemmeno lui probabilmente capì allora perché le sue grandi opere cadevano, mentre questa curiosa «operina» dopo pochi mesi era già famosa in tutta Europa, tanto da aprire la strada a un nuovo genere musicale. La serva padrona era destinata a restare un modello per tutti coloro che si sarebbero accostati all'opera buffa, e perfino Mozart e Rossini subirono il fascino di personaggi come Serpina e Uberto. Il successo dell'opera buffa era dovuto sia alla musica, più fresca e godibile di quella dell'opera seria del tempo, sia ai protagonisti, dotati di un fascino più immediato. I grandi eroi della storia o della mitologia, le vicende straordinarie e impossibili cominciavano a stancare. I personaggi dell'opera buffa erano assai più vivi e veri, erano i tipi e le persone che s'incontravano per la strada, che vivevano nella casa di fronte, i comuni mortali della vita di tutti i giorni. La gente si divertiva a quelle storie semplici perché in esse si rispecchiava, ritrovava i difetti di ognuno, vedeva messe in ridicolo persone che ben conosceva. In ogni città dove esisteva un teatro sorsero in breve due opposte fazioni: i fautori della nuova opera buffa, leggera, detta all'italiana, e coloro che continuavano a restare fedeli agli ideali della grande opera seria, detta alla francese. Questa disputa, che divenne presto clamorosa coinvolgendo alcuni tra i più rinomati letterati del tempo, andò sotto il nome di «querelle des buffons», disputa dei buffoni. Venivano infatti chiamati «buffoni», con evidente intento spregiativo, sia gli intermezzi italiani, sia i loro interpreti. Da questa controversia derivarono tuttavia benèfici effetti a tutto il teatro in musica: non solo dal fecondo seme dell'intermezzo nascevano, come s'è detto, l'opera buffa in Italia e l'opéra comique in Francia, ma anche la pomposa tragedia lirica accolse le spinte al rinnovamento e s'avviò a una maggiore purezza e spontaneità poetica.