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La diaspora dei dipinti - Fondazione Cassa di Risparmio di Fano

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La diaspora dei dipinti - Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO
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Guido Ugolini
La diaspora dei dipinti
“Chi toglie a raffrontare i nostri Cronisti e le
molte memorie che avemmo destro di rovistare,
indubbiamente apparisce che non per anco era
corso il secondo anno dalla morte di Sant’Agostino, che già alcuni individui della sua Religiosa famiglia erasi stanziata non molto lungi dalla
Città nostra, così che può dirsi senza tema di
errare esser questo il secondo monastico istituto
che fra noi convenisse. Eremiti fin da primordii
trascelsero a prima dimora un elevato colle a tre
miglia dalla Città denominato Brèttino di amenissima e salubre postura. Una memoria incisa in
pietra tuttora infissa in luogo appartato di questo
Convento fa fede come nel 435 sotto il Pontificato di Sisto III era quel cenobio in buona fame,
dacchè si legge
ANNO DOMINI CCCCXXXV
SUB SIXTO TERTIO FLORUIT CONVENTUS
FRATRUM
DE BRICTINO”.
Apprendiamo così da Stefano Tomani Amiani1
quanto antico sia il primo insediamento degli
agostiniani eremitani nelle immediate vicinanze
di Fano.
Sempre dallo storico fanese siamo poi informati
che nel 1163 risultano presenti, trasferiti non si
sa da quando, anche in località Santo Stefano in
Padule, “laddove oggidì sorge la Chiesuola detta
dei Giustiziati”,2 e cioè nella zona del cimitero.
Nel 1265, ottenuta l’antica chiesa di Santa Lucia,
si stabilirono, nonostante le forti rimostranze dei
vicinissimi Padri Domenicani, entro le mura cittadine.3 È da questo momento che la chiesa comincia ad arricchirsi di opere d’arte. Un apporto
ininterrotto nei secoli, mirato a dotare le pareti,
le cappelle a lato dell’altar maggiore – supporti
per erigende torri campanarie? – e le volte di affreschi e di stucchi. Nel corso del secolo XVI la
chiesa subisce una inversione nell’orientamento:4
il vecchio cappellone presbiterale viene convertito nell’attuale ingresso e sopra vi si pone l’organo, mentre il vecchio ingresso è trasformato in
nuovo presbiterio, con conseguente inversione
d’orientamento anche delle cappelle: quelle di
destra diventano di sinistra e viceversa. Gli altari
sono impreziositi da marmi, balaustrate, elaborati dossali lignei e da dipinti dalle dimensioni
spesso notevoli. Una fotografia dell’interno della
chiesa così risistemata, eseguita prima del 1944,
anno in cui i bombardamenti degli alleati5 centrarono l’edificio devastandolo, ce la mostra ricolma di opere e di arredi, gremita oltre misura
di decorazioni e arredi d’ogni sorta.
Tra le prime testimonianze artistiche sono da annoverare i quattrocenteschi affreschi che ancora
oggi vediamo nelle cappelle a destra e a sinistra
dell’ingresso. Sono le cappelle che in origine,
quando la chiesa era orientata in senso inverso
all’attuale, affiancavano la zona del presbiterio e
potevano, con ogni probabilità, essere state concepite come basamenti per due erigende torri
campanarie, progetto poi realizzato solo parzialmente – sappiamo infatti che solo la cappella di
sinistra era, in tempi più vicini a noi, sovrastata da
un piccolo campanile, abbattuto nel 1922. Nella cappella di destra è conservato un importante
ciclo di affreschi raffiguranti le Storie di Santa
Lucia. La cappella, oggi a destra dell’ingresso, si
trovava in origine, come s’è appena detto, a sinistra dell’altare principale, in posizione consona al
ruolo di titolarità rivestito dalla santa celebrata
nei dpinti di cui si adorna, alla quale possiamo
presumere fosse senz’altro dedicato anche l’altar maggiore, quello della cappella centrale. Ad
evidenza si può dire che anche gli affreschi della
cappella di destra, oggi a sinistra dell’ingresso,
entrano nella chiesa in contemporanea con le
Storie di Santa Lucia; il loro stato di conservazione è però talmente deteriorato a causa di lavori
eseguiti sulle pareti della cappella – la collocazione dell’organo sopra l’ingresso ha provocato, nel
vano affrescato, apertura di porte, posizionamento di scale e tutta una serie d’interventi tali da
consentire il raggiungimento dell’organo sia dalla
chiesa che dall’annesso monastero, con enorme
danno per i dipinti – che la lettura ne è alquanto
A fronte
Sebastiano Ceccarini,
Martirio di Santa Lucia,
Fano, Pinacoteca
San Domenico (deposito
temporaneo), già nella
cappella centrale
del presbiterio della chiesa
di Sant’Agostino
123
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO
compromessa. Questi affreschi non consentono
oggi di essere analizzati con sufficiente serenità
sia nella loro valenza iconografica che formale, e
debbono essere considerati alla stregua di opere
disperse e irrecuperabili. Dopo il 1563 i monaci
agostiniani edificarono ai lati dell’ingresso (l’ingresso originario, ora cappella presbiterale centrale della chiesa orientata all’incontrario), due
cappelle, quella dell’Angelo Custode a destra e
quella dell’agostiniano San Tommaso da Villanova a sinistra.
Le tre anonime guide (A, B, C) di Fano, che per
compilazione si scaglionano negli anni trenta, cinquanta e ottanta del sec. XVIII6 e quella
già citata del Tomani Amiani (cfr. nota 1), edita nel 1981, ma “quasi pronta per la stampa nel
1853”,7 fotografano la situazione della chiesa ovviamente al loro tempo, facendoci conoscere la
dislocazione dei vari dipinti, il soggetto da essi
raffigurato e, in taluni casi, qualche notizia relativa alle vicende che interessarono le varie opere.
Veniamo a conoscere, per esempio, che l’altare
di S. Sebastiano era stato affrescato dal pesarese Giulio Cesare Begni,8 probabilmente attorno
agli anni 1638/40, quando venne chiamato dagli
agostiniani per eseguire gli affreschi delle lunette
del chiostro, e che anche “le pitture del volto del
coro sono del Begni”.9 Di questi affreschi non
resta che qualche pallida traccia, come pure di
tant’altri che un tempo decoravano le pareti e gli
altari e dei quali ricompaiono qua e là sparuti lacerti, sufficienti però a dimostrare come costante sia sempre stato l’impegno di dotare la chiesa
di opere pittoriche. Di tanto impegno, nascosto
sotto gli intonaci o andato perduto sotto la ricca
decorazione a stucco realizzata fra Sei e Settecento dall’“architetto fanese Ludovico Giorgi”10 non
resta nulla, neppure, che io sappia, qualche testimonianza archivistica, né si conosce quanto estese potessero essere le pitture murali in argomento
e che cosa raffigurassero, se modesti ex voto dalle
ben note figure apotropaiche, distribuiti un po’
a caso sulle grandi pareti, o articolati programmi iconografici. Difficile è anche ipotizzare se e
124
quando potranno essere eseguiti saggi esplorativi
intesi ad accertare quanto ancora eventualmente
recuperabile. La stessa situazione si attaglia anche agli altari dei quali pure s’ignora se, prima
della grande fioritura lignea barocca che li dotò
di splendidi dossali e di sontuose cornici per
contenere i tanti dipinti che vedremo a breve, le
immagini votive fossero raffigurate direttamente
sulla parete, come nell’altare di San Sebastiano, o
non anche su supporti diversi (tavole o addirittura polittici). È del resto impensabile che, stanti le
decorazioni ad affresco delle due cappelle affiancanti in origine la vecchia abside, anche questa
non fosse dotata di specifici apparati figurativi,
e magari anche più antichi delle adiacenti Storie
di Santa Lucia, ed è altrettanto impensabile che,
se qualche minuscola traccia di dipinto murale è
riapparsa sotto gli intonaci delle pareti, gli spazi
attinenti agli altari ne fossero privi. Epperò congetture, niente più. Per venire al concreto dobbiamo arrivare al secolo XVII, documentato dalle
opere che ancora si conservano e che ad esso sono
riconducibili, dobbiamo arrivare al secolo XVIII
e alle testimonianze delle tre guide ormai note e a
quanto asserisce il Tomani Amiani, e dobbiamo
arrivare alla prima metà del sec. XX per riconsiderare, sulla scorta di quanto scritto nel gennaio
1934 – XII E. F. – da Piercarlo Borgogelli,11 l’apparato pittorico presente nella chiesa in quei dati
momenti storici e seguirne, semmai a ritroso, gli
eventi.
Dopo il 1563, come s’è già detto, la chiesa viene a trovarsi capovolta, con due nuove cappelle
che affiancano il vecchio ingresso ora trasformato nella cappella centrale della nuova area presbiterale. Quale immagine, o quali immagini di
santi sopra l’altare della cappella centrale non è
dato conoscere, ma sappiamo che nel 1775, in
sostituzione di una preesistente grande tela con
varie figure di santi12 perdutasi da tempo, ma già
sicuramente sopra l’altare dell’opposta cappella
ora trasformata in ingresso, vi fu posta un’altrettanto grande tela raffigurante il Martirio di
Santa Lucia,13 opera del fanese Sebastiano Cec-
LA DIASPORA DEI DIPINTI
carini (Fano, 1703-1783). Le altre due cappelle,
quella a cornu evangeli e quella a cornu epistolae, ospitarono, entro l’apparato dei bei dossali
lignei di cui furono dotate, due stupende tele,
l’una, nel 1641, l’Angelo Custode del Guercino e
l’altra, all’incirca nello stesso anno, il San Tommaso da Villanova di Simone Cantarini (Pesaro,
1612 - Verona, 1648). Le tele del Guercino e
del Cantarini, prelevate dalla chiesa prima dei
noti accidenti bellici, non ebbero a soffrire per le
devastazioni dei bombardamenti, ma la tela del
Ceccarini fu ritrovata malconcia sotto le macerie delle cappelle absidali abbattute per somma
sfortuna dal fuoco alleato. Oggi, restaurata grazie
al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, dopo essere stata in deposito nei
locali della Curia Vescovile prima e nella chiesa
parrocchiale di San Giovanni Evangelista di Marotta poi, si trova temporaneamente esposta presso la Pinacoteca “San Domenico”. Ben diversa
sorte è invece toccata alle sei tele che ornavano
le pareti della cappella centrale del presbiterio,
opere di Giovanni Maria Luffoli (Pesaro, 16321690), allievo del Cantarini. Dei dodici dipinti
che, diversi per dimensioni e forse neppur troppo considerevoli per qualità ad eccezione di un
paio, una Santa Famiglia e un San Giuseppe col
Bambino in braccio, ornavano le pareti del presbiterio, inserendosi nell’articolato gioco di stucchi
di cui un residuo di bella evidenza si può ancora
vedere all’esterno, dietro la chiesa, nell’ex parete
absidale di sinistra,14 nulla è rimasto.15 Si trattava
certamente di tele, come suggerito dal Tomani
Amiani che le definisce ‘quadri’ (vedi nota 14) e
come si arguisce dall’osservazione degli appositi
spazi quadrati disegnati dagli stucchi residui, del
tutto idonei ad ospitare dipinti. Come successo
allora per il Martirio di Santa Lucia del Ceccarini, anche qualche tela del Luffoli potrebbe essersi
salvata sotto le macerie. Una certamente sì. Dal
Tomani Amiani sappiamo, quasi per caso, che
uno dei due migliori dipinti della serie luffoliana era un San Giuseppe avente il bambino Gesù
fra le braccia e una tela con questo soggetto era
Giovanni Maria Luffoli,
San Giuseppe col Bambino,
chiesa di San Cristoforo
(deposito temporaneo),
già nella cappella centrale
del presbiterio della chiesa
di Sant’Agostino
fino a qualche anno fa presente nei depositi della
Curia Vescovile. Restaurata, essa è oggi esposta
nella chiesa di San Cristoforo e le sue misure collimano perfettamente con quelle espresse dalle
quadrate cornici disegnate dagli stucchi.
La cappella di sinistra, la ben nota cappella dell’Angelo Custode, ha ospitato, dal 1641 al 1944, il dipinto che ha dato più lustro alla chiesa, la superba tela del Guercino raffigurante l’Angelo Custode
ed eseguito nel 1640. Non particolarmente danneggiati dai bombardamenti dell’ultima guerra,
cappella e dipinto hanno superato agevolmente
le burrascose vicende dell’ultimo conflitto: la
cappella, anche se non agibile, è l’unico dei tre
vani presbiterali sopravvissuto ai crolli, mentre il
dipinto, in buono stato di conservazione, spesso presente in pubblicazioni tra le più varie per
argomento e in mostre specificamente dedicate
al suo autore o alla pittura secentesca emiliana,
ultima quella tenutasi a Fano dal 7 maggio al 1
ottobre 2011,16 e dopo le contrapposte rivendicazioni a motivo della proprietà dell’opera,17 si
trova ora in regolare deposito temporaneo presso
la Pinacoteca Civica fanese, regolarità di deposito
che è ormai tempo venga definita anche per tutte
le altre opere di provenienza dai luoghi di culto
125
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO
della città e del contado e presenti nella Pinacoteca medesima.
La terza cappella dell’area presbiterale, di proprietà della famiglia Corbelli, era dedicata a San
Tommaso da Villanova (1486-1555), un colto
santo agostiniano spagnolo, vescovo di Valencia,
molto attivo nell’apostolato, nell’opera di conversione dei musulmani e nella carità; un agostiniano beatificato nel 1618 e canonizzato nel 1658.
Il dipinto che lo raffigurava era, come s’è detto,
di Simone Cantarini. La tela entrò nella cappella
sicuramente dopo il 1638, perché grazie ad un
atto notarile reperito dall’archivista Giuseppina
Boiani Tombari conosciamo che in tale data gli
agostiniani concedevano “ai fratelli Corbelli Francesco, Giuseppe e Ignazio un altare nella chiesa
di Sant’Agostino simplicem absque ornamento in
memoria del fratello Girolamo” e veniamo a conoscere che “l’altare avrebbe dovuto essere arredato nel giro di quattro anni dalla stipula”.18 Il
dipinto del Cantarini dovrebbe dunque potersi
datare nel quadriennio 1638-42 e la concessione
dell’altare ‘nudo e crudo’ parrebbe dirci che, sopra
di esso, prima del dipinto del Cantarini non vi
fosse nessun’altra immagine.19 Dagli inventari il
dipinto risulta presente nella chiesa fino al 1808.
Dopo tale data ai Corbelli fu concesso di sostituire l’opera con una copia e di vendere l’originale
che, acquistato dal gesuita don Giovanni Ray, alla
morte di questi divenne proprietà del Collegio di
Propaganda Fide, per rientrare poi a Fano ed esser collocato prima nella chiesa di Sant’Ignazio e
poi in quella dei Cappuccini, ricomparendo infine nel 1921 tra i dipinti venuti a formare il primo nucleo della costituenda Pinacoteca Civica,20
presso la quale è tutt’oggi in deposito. Quanto
alla copia si sa che fino al 1921 era presente nella
chiesa, mentre dal 1924 di essa non si sa più nulla
e viene data per dispersa.21
Nel soffitto della chiesa il fanese Giambattista
Manzi (Fano, 1644 - dopo il 1686) aveva affrescato, sfondando la struttura muraria con ottimo
scorcio prospettico, una scenografica Gloria di
Sant’Agostino le cui peculiarità stilistiche avevano
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addirittura fatto ipotizzare il nome del Bibiena.
L’opera, nota solo grazie ad un’immagine pubblicata dallo Strafforello,22 è andata completamente
distrutta nel bombardamento del ’44 che ha devastato la copertura della chiesa e due delle tre
cappelle absidali.
I sei altari laterali erano anch’essi, al momento dei
bombardamenti, dotati di dipinti su tela, dipinti
venuti a sovrapporsi, dal sec. XVII in poi, alle
grandi nicchie affrescate – la stessa cosa era successa nella vicinissima e contemporanea chiesa di
San Domenico, i cui altari erano in origine definiti da identiche nicchie. Degli antichi affreschi
resta ben poco. Sul terzo altare di destra, quello
prossimo alla cappella di San Tommaso da Villanova, sono ancora visibili, dipinte nell’intonaco
del nicchione, distribuite lateralmente, figure di
santi non più o non ben riconoscibili e databili
tra fine Cinquecento e inizi Seicento, distribuite
soprattutto ai lati della zona più centrale, dove
sono ricomparsi invece, in uno strato d’intonaco
sottostante, i resti di una Crocifissione molto più
antica, sicuramente trecentesca. In opposizione,
nel nicchione sinistro – altare già di San Sebastiano? – vicino alla Cappella dell’Angelo Custode,
tardi residui di una decorazione a finto marmo
rosso. Il resto è davvero trascurabile.
Miglior sorte è stata invece riservata ai dipinti,
conservatisi nella quasi totalità e così ricordati,
nella loro distribuzione, da Piercarlo Borgogelli
nel 1934.23 I tre altari della parete sinistra, quella
“a cornu Evangeli”, erano adorni – dice il Borgogelli – delle seguenti opere.
Sopra il primo, quello vicino all’ingresso della
chiesa, era posta una tela raffigurante Santa Filomena a firma del riminese Clemente Alberi,
datata 1834.
Sul secondo altare, quello al centro della parete,
altare ch’era già stato di Santa Barbara, figurava
dal 1740 una tela raffigurante la Sacra Famiglia,
“che stava prima a Santa Maria Nuova ed apparteneva alla Confraternita di S. Giuseppe”,24
opera firmata dal pistoiese Giacinto Geminiani
e datata 1654.
LA DIASPORA DEI DIPINTI
Il terzo altare sul lato sinistro, già dedicato a San
Sebastiano e affrescato dal Begni (Pesaro, 15791659), probabilmente intorno al 1638/40, con
una immagine del ben noto santo, dal 1740,
quando gli affreschi furono coperti, mostrava
sull’altare la tela di Santa Barbara del pittore
Giovanni Loves detto il Fiammingo,25 tela che
già ornava il secondo altare, ora occupato invece
dalla Sacra Famiglia del Geminiani.
Dei tre dipinti soltanto quello raffigurante la
Santa Barbara del Loves è andato sicuramente perduto, mentre gli altri due, in buono stato
di conservazione, sono rispettivamente visibili
l’uno, quello raffigurante Santa Barbara, nella
chiesa di San Cristoforo, mentre l’altro, la Sacra
Famiglia del Geminiani, è visibile nell’omonima
chiesa fanese della Santa Famiglia.
In realtà, sopra il terzo altare a cornu evangeli,
il Borgogelli vede, meglio sarebbe dire crede di
ricordare, “una copia della Madonna della cintura con Sant’Agostino e Santa Monica di Simon
Cantarini di Pesaro (1612-1648)”.26 Si tratta sicuramente di un lapsus, perchè, come si può vedere dalla foto che mostra le tre cappelle absidali
della chiesa, l’altare con il dipinto della Madonna
della cintura non si trovava a cornu evangeli, ma
a cornu epistolae, e cioè sopra il terzo altare di destra, quello vicino alla Cappella di San Tommaso
da Villanova.
Portandoci dunque agli altari di destra avevamo,
nell’ordine:
- sul primo San Nicola da Tolentino del cav.
Giambattista Draghi (Genova, 1657 ca - 1712)
opera che, non priva di qualche estesa lacuna di
colore, trovasi, restaurata, nel Salone del Trono
del Palazzo Vescovile;
- nel secondo altare faceva bella mostra di sé un
Sant’Agostino, altra pregevole opera firmata dal pistoiese Giacinto Geminiani ed anch’essa conservata nei depositi della Curia Vescovile; lo sporco
e i grassi che ricoprivano la tela ne avevano a tal
punto offuscato la superficie cromatica da rendere invisibile ogni traccia di firma e tanti dettagli,
particolari che stanno tutti riemergendo grazie
al restauro a cui l’opera è attualmente sottoposta
presso il laboratorio di Davide Arbia.
Sopra il terzo altare sappiamo già che trovava posto una tela raffigurante la Madonna della cintura
(Madonna con Bambino, i santi Agostino e Monica
e figura di giovane agostiniano), copia di quella dipinta dal Cantarini per la chiesa di Brettino; non
si conosce l’autore di questa copia, ma la stessa
si conserva tutt’oggi presso i depositi della Curia
Vescovile.
Non resta che qualche considerazione finale.
S’è detto poc’anzi della Santa Barbara, opera
di un fiammingo, forse perduta negli anni trenta dell’Ottocento, quando al suo posto venne
collocata una Santa Filomena. Gli autori delle
tante volte citate guide ci informano anche della presenza di un altro dipinto oggi irreperibile e così riferiscono: A – “Quello (il dipinto)
di Santa Barbara e di Santa Monica sono del
Fiamminghi”; B – “Quello di Santa Barbara è
del Fiammingo: così pure quello di Santa Monaca”; C – “Il Quadro di Santa Barbera è del
Fiamengo”. Gli autori delle prime due guide
testimoniano chiaramente la presenza di due
opere, Santa Barbara e Santa Monica, mentre il
terzo cita solo un’opera, la Santa Barbara. Dobbiamo pensare che verso la fine del Settecento,
presumibile epoca in cui viene scritta la guida
C, la Santa Monica fosse già perduta o comunque non più presente in Sant’Agostino? Solo
l’autore della guida A riferisce che: “L’Annunziata è di Gio: Giacomo [Pandolfi], ma poco si
stima”. Anche per quest’opera si può solo ipotizzar ormai che, già prima della metà del secolo
XVIII, il dipinto di Giovan Giacomo Pandolfi
fosse sparito dalla chiesa.
A ben vedere di domande senza risposta certamente ne restano. Più o meno importanti che
siano non importa, esse sono lì a dimostrare
quanto numerosi siano gli avvenimenti succedutisi nei secoli tra le pareti del tempio agostiniano e quanto impossibile sia stato poterli
sempre sottrarre all’usura del tempo o recuperali all’oblio inevitabile della storia.
127
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO
Clementi Alberi, Martirio
di Santa Filomena, chiesa di
San Cristoforo
(deposito temporaneo),
già sul primo altare a
sinistra della chiesa di
Sant’Agostino
128
LA DIASPORA DEI DIPINTI
Giacinto Geminani,
Sacra Famiglia, chiesa della
Santa Famiglia (deposito
temporaneo), già sul
secondo altare a sinistra
della chiesa
di Sant’Agostino.
Si noti, in basso a destra,
il particolare dell’agnellino
129
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO
Note
1. S. Tomani Amiani, Guida Storico Artistica di Fano, presentazione e annotazioni di F. Battistelli, prima edizione a stampa, Fano
1981, p. 81.
2. Ibidem, p. 82.
3. F. Battistelli, Fano, Urbino 1973, p. 110. Scrive il Battistelli:
“Al termine della stretta, pittoresca via Vitruvio che fiancheggia
l’abside di S. Domenico e il lato settentrionale dell’annesso convento, sorge un altro degli antichi conventi della Fano medievale.
È quello fondato dai Padri Agostiniani, dopo che nel 1265 ottennero la Chiesa di S. Lucia e non senza trovare opposizione tenace
nei Padri Domenicani del vicino convento: opposizione messa a
tacere da una bolla di Papa Clemente IV che nel 1270 ridusse a
140 le 300 canne di distanza previste fra conventi”.
4. F. Battistelli, in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 211: “L’inversione d’orientamento subita dalla chiesa nel corso del XVI secolo ha
portato alla trasformazione della cappella absidale in vano d’ingresso con sovrastante tribuma per l’organo e al tamponamento
delle due cappelle minori che la fiancheggiavano. Di queste, mentre quella sulla sinistra dell’attuale ingresso ha subito una radicale
manomissione per inserirvi la scala d’ingresso alla scomparsa cella
campanaria, l’altra ha mantenuto l’aspetto originario con la caratteristica volta a crociera e le pareti rivestite di antichi affreschi”.
5. Il Perugini ricorda che il crollo del presbiterio della chiesa di
Sant’Agostino, colpito dalle bombe degli aerei alleati impegnati a respingere le milizie tedesche, avvenne, con grande danno
per tutto l’edificio chiesastico e per l’annesso monastero, alle ore
14,25 del 17 aprile 1944. (G. Perugini, Fano nella seconda guerra
mondiale, Bologna 1949, pp. 105-106).
6. Nel 1995 le tre guide (A, B, C) sono apparse in una intelligente
pubblicazione in forma comparata – si veda: Anonimi sec. XVIII,
Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, a cura di F. Battistelli, Quaderno di “Nuovi Studi Fanesi”, Fano 1995 – che, oltre a
consentire l’immediato raffronto dei tre testi, si fregia di un ricco
apparato di note.
7. F. Battistelli in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 9.
8. È l’ignoto autore della prima delle tre guide (guida A, p. 16)
pubblicate dal Battistelli (vedi nota 6) ad informarci che “i freschi
dell’altare di San Sebastiano sono del Begni (dal 1740 coperti
dall’altare di Santa Barbara e nel luogo dov’era Santa Barbara vi
è posto l’altare di San Giuseppe, che era de’ minori osservanti)”.
In chiusura del suo elenco poi l’ignoto autore, ribadendo l’anno
dell’operazione, fornisce anche il nome dell’autore del dipinto
e scrive: “L’architettura della Chiesa è del colonnello Ludovico
Giorgi da Fano. (Dal 1740 vi fu trasportato dalla Compagnia di
San Giuseppe il quadro di detto Santo che è di mano del Geminiani di Pistoia)”.
9. Ibidem, p. 16. Il “volto del coro” è sicuramente, per l’autore
della guida A, il soffitto del cappellone centrale del presbiterio.
L’autore della guida B (p.17), parrebbe disinteressarsi alle pitture del soffitto del presbiterio, a meno di non pensare che con
le parole “Tutti i Quadri del Coro, e Presbiterio son’opere dello
Zufoli da Pesaro […]” egli non intenda riferirsi appunto anche
alle pitture del soffitto. L’autore della guida C (p. 17), scrivendo
che “Le Pitture del Claustro e quelle del Soffitto sono del Begni”,
è sicuramente il più telegrafico, ma anche il più impreciso: di che
soffitto si parla? del presbiterio o della navata? Al di là di tutto,
130
LA DIASPORA DEI DIPINTI
le differenze di informazione che ci vengono dalle tre guide non
sono oggi di qualche rilievo per dirimere questioni già risolte: il
“volto del coro” è sicuramente il soffitto del cappellone centrale,
quello sovrastante l’altar magiore (di Santa Lucia) e il coro retrostante, e non il soffitto della navata della chiesa, dov’era dipinto S.
Agostino in gloria, opera, come si vedrà, del Manzi.
10. F. Battistelli, Fano, cit., p. 110. Interessantissima poi, del Battistelli, la nota n. 77 alla citata Guida Storico Artistica di S. Tomani Amiani (vedi nota 1), dalla quale apprendiamo che l’architetto
Giorgi era un militare che rivestiva il grado di colonnello e che i
dossali lignei che ornavano gli altari furono venduti, dopo i danni
causati alla chiesa dai bombardamenti del 17 aprile 1944, “ad un
antiquario di pochi scrupoli”.
11. P. Borgogelli, Il Convento, la Chiesa di S. Agostino e gli affreschi
trecenteschi, in “Studia Picena”, volume X, 1934, pp. 203-212.
12. Si ringrazia dell’informazione Giuseppina Boiani Tombari,
già archivista della sezione fanese dell’Archivio di Stato.
13. La tela presenta la seguente iscrizione di mano dell’autore:
Sebastianus Ceccarini pinxit aetatis suae Anno LXXII A. Jub.
1775.
14. S. Tomani Amiani, op. cit., p. 84: “A Giammaria Luffoli da
Pesaro scolaro del Cantarini sono da attribuirsi i dodici quadri
di diverse dimensioni che ornano il Coro ed il Presbiterio; due
soli peraltro possono meritare una più diligente osservazione, cioè
quello ov’è dipinta la S. Famiglia e l’altro che raffigura S. Giuseppe avente il bambino Gesù fra le braccia”. È solo il Tomani
Amiani a riferirci che i dipinti del Luffoli erano dodici e di diverse dimensioni, senza però dirci com’erano distribuiti. L’autore
della seconda delle tre guide pubblicate dal Battistelli si limita a
dire che “tutti i quadri del coro e presbiterio son’opere del Zuffoli
(leggi ‘Luffoli’) da Pesaro, scolaro di Simon Cantarini”. Inventari
posteriori agli scritti del Tomani Amiani riferiscono che si trattava
di soli sei dipinti – l’informazione è di G. Boiani Tombari, che
ringrazio vivamente. È molto probabile che i dipinti di maggiore
evidenza e importanza fossero davvero sei, tre su ognuna delle due
pareti laterali della cappella presbiterale, come parrebbe dedursi
anche dagli stucchi esterni residui e ancora visibili in quella che
era la parete sinistra del presbiterio, dov’è possibile leggere le dimensioni dei dipinti, mentre altri sei, di dimensioni più piccole e
comunque diverse potevano stare sulla parete di fondo, distribuiti
attorno o ai lati della grande tela che, ancor prima del Martirio di
Santa Lucia del Ceccarini, sovrastava l’altar maggiore; non è probabilmente un caso se il Tomani Amiani parli di “Coro e Presbiterio”, intendendo forse con ‘coro’ la parete di fondo della cappella
centrale di Santa Lucia e con ‘presbiterio’ le pareti laterali.
15. Vedi F. Battistelli in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 211, n° 79:
“Tutti e dodici i dipinti del Luffoli sono oggi perduti, distrutti
dagli eventi bellici […]”.
16. Guercino a Fano, tra presenza e assenza, catalogo della mostra,
Fano 2011.
17. Chi ne avesse interesse potrà seguire l’intricata vicenda consultando in L’arte confiscata, a cura di B. Cleri e C. Giardini, Ancona 2011 i contributi di C. Giardini (p. 35 e segg.), Il lupo e
l’agnello. Confische, soppressioni, devoluzioni e tutela del patrimonio
storico artistico ecclesiastico in Provincia di Pesaro e Urbino al tempo
dell’Unità d’Italia (1861-1888) e di M. M. Paolini, La Pinacoteca
Civica di Fano e (pp. 118 e 165 e segg.).
18. Si veda La Pinacoteca Civica di Fano, a cura di A. M. Ambro-
sini Massari, R. Battistini, R. Morselli, Cinisello Balsamo 1993,
la scheda n° 35 redatta da A. M. Ambrosini Massari e inerente il
dipinto in argomento.
19. Vien da chiedersi se anche l’altare della Cappella dell’Angelo
Custode non sia stato concesso in giuspatronato a Vincenzo Nolfi
simplicem absque ornamento. È probabile; non vi è alcuna testimonianza che indichi una precedente presenza di altre immagini.
20. La Pinacoteca Civica di Fano, cit, scheda n° 35.
21. Ibidem.
22. Vedi in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 87, tav. XV, Affresco attribuito a Ferdinando Bibiena, Chiesa di Sant’Agostino (da G. Strafforello, La Patria - Geografia dell’Italia, Torino 1898, p. 344).
23. P. Borgogelli, op. cit., pp. 207-08.
24. Ibidem, p. 207. Si veda anche la guida A, in Anonimi sec.
XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, a cura di F.
Battistelli, Fano 1995, p. 16.
25. Ibidem, p. 207. Per l’identificazione di Giovanni Loves con “il
Fiammingo” (Wander Lys di Breda nelle Fiandre del sec. XVII)
vedi P. Borgogelli, op. cit., p. 208.
26. P. Borgogelli, op. cit., p. 207.
A fronte
Giacinto Geminani,
Madonna con Bambino,
Sant’Agostino e santo,
Fano, Curia vescovile
(deposito)
Anonimo, Madonna della
cintura, copia da Simone
Cantarini, Fano, Curia
vescovile (deposito)
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