La diaspora dei dipinti - Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
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La diaspora dei dipinti - Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO 122 Guido Ugolini La diaspora dei dipinti “Chi toglie a raffrontare i nostri Cronisti e le molte memorie che avemmo destro di rovistare, indubbiamente apparisce che non per anco era corso il secondo anno dalla morte di Sant’Agostino, che già alcuni individui della sua Religiosa famiglia erasi stanziata non molto lungi dalla Città nostra, così che può dirsi senza tema di errare esser questo il secondo monastico istituto che fra noi convenisse. Eremiti fin da primordii trascelsero a prima dimora un elevato colle a tre miglia dalla Città denominato Brèttino di amenissima e salubre postura. Una memoria incisa in pietra tuttora infissa in luogo appartato di questo Convento fa fede come nel 435 sotto il Pontificato di Sisto III era quel cenobio in buona fame, dacchè si legge ANNO DOMINI CCCCXXXV SUB SIXTO TERTIO FLORUIT CONVENTUS FRATRUM DE BRICTINO”. Apprendiamo così da Stefano Tomani Amiani1 quanto antico sia il primo insediamento degli agostiniani eremitani nelle immediate vicinanze di Fano. Sempre dallo storico fanese siamo poi informati che nel 1163 risultano presenti, trasferiti non si sa da quando, anche in località Santo Stefano in Padule, “laddove oggidì sorge la Chiesuola detta dei Giustiziati”,2 e cioè nella zona del cimitero. Nel 1265, ottenuta l’antica chiesa di Santa Lucia, si stabilirono, nonostante le forti rimostranze dei vicinissimi Padri Domenicani, entro le mura cittadine.3 È da questo momento che la chiesa comincia ad arricchirsi di opere d’arte. Un apporto ininterrotto nei secoli, mirato a dotare le pareti, le cappelle a lato dell’altar maggiore – supporti per erigende torri campanarie? – e le volte di affreschi e di stucchi. Nel corso del secolo XVI la chiesa subisce una inversione nell’orientamento:4 il vecchio cappellone presbiterale viene convertito nell’attuale ingresso e sopra vi si pone l’organo, mentre il vecchio ingresso è trasformato in nuovo presbiterio, con conseguente inversione d’orientamento anche delle cappelle: quelle di destra diventano di sinistra e viceversa. Gli altari sono impreziositi da marmi, balaustrate, elaborati dossali lignei e da dipinti dalle dimensioni spesso notevoli. Una fotografia dell’interno della chiesa così risistemata, eseguita prima del 1944, anno in cui i bombardamenti degli alleati5 centrarono l’edificio devastandolo, ce la mostra ricolma di opere e di arredi, gremita oltre misura di decorazioni e arredi d’ogni sorta. Tra le prime testimonianze artistiche sono da annoverare i quattrocenteschi affreschi che ancora oggi vediamo nelle cappelle a destra e a sinistra dell’ingresso. Sono le cappelle che in origine, quando la chiesa era orientata in senso inverso all’attuale, affiancavano la zona del presbiterio e potevano, con ogni probabilità, essere state concepite come basamenti per due erigende torri campanarie, progetto poi realizzato solo parzialmente – sappiamo infatti che solo la cappella di sinistra era, in tempi più vicini a noi, sovrastata da un piccolo campanile, abbattuto nel 1922. Nella cappella di destra è conservato un importante ciclo di affreschi raffiguranti le Storie di Santa Lucia. La cappella, oggi a destra dell’ingresso, si trovava in origine, come s’è appena detto, a sinistra dell’altare principale, in posizione consona al ruolo di titolarità rivestito dalla santa celebrata nei dpinti di cui si adorna, alla quale possiamo presumere fosse senz’altro dedicato anche l’altar maggiore, quello della cappella centrale. Ad evidenza si può dire che anche gli affreschi della cappella di destra, oggi a sinistra dell’ingresso, entrano nella chiesa in contemporanea con le Storie di Santa Lucia; il loro stato di conservazione è però talmente deteriorato a causa di lavori eseguiti sulle pareti della cappella – la collocazione dell’organo sopra l’ingresso ha provocato, nel vano affrescato, apertura di porte, posizionamento di scale e tutta una serie d’interventi tali da consentire il raggiungimento dell’organo sia dalla chiesa che dall’annesso monastero, con enorme danno per i dipinti – che la lettura ne è alquanto A fronte Sebastiano Ceccarini, Martirio di Santa Lucia, Fano, Pinacoteca San Domenico (deposito temporaneo), già nella cappella centrale del presbiterio della chiesa di Sant’Agostino 123 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO compromessa. Questi affreschi non consentono oggi di essere analizzati con sufficiente serenità sia nella loro valenza iconografica che formale, e debbono essere considerati alla stregua di opere disperse e irrecuperabili. Dopo il 1563 i monaci agostiniani edificarono ai lati dell’ingresso (l’ingresso originario, ora cappella presbiterale centrale della chiesa orientata all’incontrario), due cappelle, quella dell’Angelo Custode a destra e quella dell’agostiniano San Tommaso da Villanova a sinistra. Le tre anonime guide (A, B, C) di Fano, che per compilazione si scaglionano negli anni trenta, cinquanta e ottanta del sec. XVIII6 e quella già citata del Tomani Amiani (cfr. nota 1), edita nel 1981, ma “quasi pronta per la stampa nel 1853”,7 fotografano la situazione della chiesa ovviamente al loro tempo, facendoci conoscere la dislocazione dei vari dipinti, il soggetto da essi raffigurato e, in taluni casi, qualche notizia relativa alle vicende che interessarono le varie opere. Veniamo a conoscere, per esempio, che l’altare di S. Sebastiano era stato affrescato dal pesarese Giulio Cesare Begni,8 probabilmente attorno agli anni 1638/40, quando venne chiamato dagli agostiniani per eseguire gli affreschi delle lunette del chiostro, e che anche “le pitture del volto del coro sono del Begni”.9 Di questi affreschi non resta che qualche pallida traccia, come pure di tant’altri che un tempo decoravano le pareti e gli altari e dei quali ricompaiono qua e là sparuti lacerti, sufficienti però a dimostrare come costante sia sempre stato l’impegno di dotare la chiesa di opere pittoriche. Di tanto impegno, nascosto sotto gli intonaci o andato perduto sotto la ricca decorazione a stucco realizzata fra Sei e Settecento dall’“architetto fanese Ludovico Giorgi”10 non resta nulla, neppure, che io sappia, qualche testimonianza archivistica, né si conosce quanto estese potessero essere le pitture murali in argomento e che cosa raffigurassero, se modesti ex voto dalle ben note figure apotropaiche, distribuiti un po’ a caso sulle grandi pareti, o articolati programmi iconografici. Difficile è anche ipotizzare se e 124 quando potranno essere eseguiti saggi esplorativi intesi ad accertare quanto ancora eventualmente recuperabile. La stessa situazione si attaglia anche agli altari dei quali pure s’ignora se, prima della grande fioritura lignea barocca che li dotò di splendidi dossali e di sontuose cornici per contenere i tanti dipinti che vedremo a breve, le immagini votive fossero raffigurate direttamente sulla parete, come nell’altare di San Sebastiano, o non anche su supporti diversi (tavole o addirittura polittici). È del resto impensabile che, stanti le decorazioni ad affresco delle due cappelle affiancanti in origine la vecchia abside, anche questa non fosse dotata di specifici apparati figurativi, e magari anche più antichi delle adiacenti Storie di Santa Lucia, ed è altrettanto impensabile che, se qualche minuscola traccia di dipinto murale è riapparsa sotto gli intonaci delle pareti, gli spazi attinenti agli altari ne fossero privi. Epperò congetture, niente più. Per venire al concreto dobbiamo arrivare al secolo XVII, documentato dalle opere che ancora si conservano e che ad esso sono riconducibili, dobbiamo arrivare al secolo XVIII e alle testimonianze delle tre guide ormai note e a quanto asserisce il Tomani Amiani, e dobbiamo arrivare alla prima metà del sec. XX per riconsiderare, sulla scorta di quanto scritto nel gennaio 1934 – XII E. F. – da Piercarlo Borgogelli,11 l’apparato pittorico presente nella chiesa in quei dati momenti storici e seguirne, semmai a ritroso, gli eventi. Dopo il 1563, come s’è già detto, la chiesa viene a trovarsi capovolta, con due nuove cappelle che affiancano il vecchio ingresso ora trasformato nella cappella centrale della nuova area presbiterale. Quale immagine, o quali immagini di santi sopra l’altare della cappella centrale non è dato conoscere, ma sappiamo che nel 1775, in sostituzione di una preesistente grande tela con varie figure di santi12 perdutasi da tempo, ma già sicuramente sopra l’altare dell’opposta cappella ora trasformata in ingresso, vi fu posta un’altrettanto grande tela raffigurante il Martirio di Santa Lucia,13 opera del fanese Sebastiano Cec- LA DIASPORA DEI DIPINTI carini (Fano, 1703-1783). Le altre due cappelle, quella a cornu evangeli e quella a cornu epistolae, ospitarono, entro l’apparato dei bei dossali lignei di cui furono dotate, due stupende tele, l’una, nel 1641, l’Angelo Custode del Guercino e l’altra, all’incirca nello stesso anno, il San Tommaso da Villanova di Simone Cantarini (Pesaro, 1612 - Verona, 1648). Le tele del Guercino e del Cantarini, prelevate dalla chiesa prima dei noti accidenti bellici, non ebbero a soffrire per le devastazioni dei bombardamenti, ma la tela del Ceccarini fu ritrovata malconcia sotto le macerie delle cappelle absidali abbattute per somma sfortuna dal fuoco alleato. Oggi, restaurata grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, dopo essere stata in deposito nei locali della Curia Vescovile prima e nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Evangelista di Marotta poi, si trova temporaneamente esposta presso la Pinacoteca “San Domenico”. Ben diversa sorte è invece toccata alle sei tele che ornavano le pareti della cappella centrale del presbiterio, opere di Giovanni Maria Luffoli (Pesaro, 16321690), allievo del Cantarini. Dei dodici dipinti che, diversi per dimensioni e forse neppur troppo considerevoli per qualità ad eccezione di un paio, una Santa Famiglia e un San Giuseppe col Bambino in braccio, ornavano le pareti del presbiterio, inserendosi nell’articolato gioco di stucchi di cui un residuo di bella evidenza si può ancora vedere all’esterno, dietro la chiesa, nell’ex parete absidale di sinistra,14 nulla è rimasto.15 Si trattava certamente di tele, come suggerito dal Tomani Amiani che le definisce ‘quadri’ (vedi nota 14) e come si arguisce dall’osservazione degli appositi spazi quadrati disegnati dagli stucchi residui, del tutto idonei ad ospitare dipinti. Come successo allora per il Martirio di Santa Lucia del Ceccarini, anche qualche tela del Luffoli potrebbe essersi salvata sotto le macerie. Una certamente sì. Dal Tomani Amiani sappiamo, quasi per caso, che uno dei due migliori dipinti della serie luffoliana era un San Giuseppe avente il bambino Gesù fra le braccia e una tela con questo soggetto era Giovanni Maria Luffoli, San Giuseppe col Bambino, chiesa di San Cristoforo (deposito temporaneo), già nella cappella centrale del presbiterio della chiesa di Sant’Agostino fino a qualche anno fa presente nei depositi della Curia Vescovile. Restaurata, essa è oggi esposta nella chiesa di San Cristoforo e le sue misure collimano perfettamente con quelle espresse dalle quadrate cornici disegnate dagli stucchi. La cappella di sinistra, la ben nota cappella dell’Angelo Custode, ha ospitato, dal 1641 al 1944, il dipinto che ha dato più lustro alla chiesa, la superba tela del Guercino raffigurante l’Angelo Custode ed eseguito nel 1640. Non particolarmente danneggiati dai bombardamenti dell’ultima guerra, cappella e dipinto hanno superato agevolmente le burrascose vicende dell’ultimo conflitto: la cappella, anche se non agibile, è l’unico dei tre vani presbiterali sopravvissuto ai crolli, mentre il dipinto, in buono stato di conservazione, spesso presente in pubblicazioni tra le più varie per argomento e in mostre specificamente dedicate al suo autore o alla pittura secentesca emiliana, ultima quella tenutasi a Fano dal 7 maggio al 1 ottobre 2011,16 e dopo le contrapposte rivendicazioni a motivo della proprietà dell’opera,17 si trova ora in regolare deposito temporaneo presso la Pinacoteca Civica fanese, regolarità di deposito che è ormai tempo venga definita anche per tutte le altre opere di provenienza dai luoghi di culto 125 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO della città e del contado e presenti nella Pinacoteca medesima. La terza cappella dell’area presbiterale, di proprietà della famiglia Corbelli, era dedicata a San Tommaso da Villanova (1486-1555), un colto santo agostiniano spagnolo, vescovo di Valencia, molto attivo nell’apostolato, nell’opera di conversione dei musulmani e nella carità; un agostiniano beatificato nel 1618 e canonizzato nel 1658. Il dipinto che lo raffigurava era, come s’è detto, di Simone Cantarini. La tela entrò nella cappella sicuramente dopo il 1638, perché grazie ad un atto notarile reperito dall’archivista Giuseppina Boiani Tombari conosciamo che in tale data gli agostiniani concedevano “ai fratelli Corbelli Francesco, Giuseppe e Ignazio un altare nella chiesa di Sant’Agostino simplicem absque ornamento in memoria del fratello Girolamo” e veniamo a conoscere che “l’altare avrebbe dovuto essere arredato nel giro di quattro anni dalla stipula”.18 Il dipinto del Cantarini dovrebbe dunque potersi datare nel quadriennio 1638-42 e la concessione dell’altare ‘nudo e crudo’ parrebbe dirci che, sopra di esso, prima del dipinto del Cantarini non vi fosse nessun’altra immagine.19 Dagli inventari il dipinto risulta presente nella chiesa fino al 1808. Dopo tale data ai Corbelli fu concesso di sostituire l’opera con una copia e di vendere l’originale che, acquistato dal gesuita don Giovanni Ray, alla morte di questi divenne proprietà del Collegio di Propaganda Fide, per rientrare poi a Fano ed esser collocato prima nella chiesa di Sant’Ignazio e poi in quella dei Cappuccini, ricomparendo infine nel 1921 tra i dipinti venuti a formare il primo nucleo della costituenda Pinacoteca Civica,20 presso la quale è tutt’oggi in deposito. Quanto alla copia si sa che fino al 1921 era presente nella chiesa, mentre dal 1924 di essa non si sa più nulla e viene data per dispersa.21 Nel soffitto della chiesa il fanese Giambattista Manzi (Fano, 1644 - dopo il 1686) aveva affrescato, sfondando la struttura muraria con ottimo scorcio prospettico, una scenografica Gloria di Sant’Agostino le cui peculiarità stilistiche avevano 126 addirittura fatto ipotizzare il nome del Bibiena. L’opera, nota solo grazie ad un’immagine pubblicata dallo Strafforello,22 è andata completamente distrutta nel bombardamento del ’44 che ha devastato la copertura della chiesa e due delle tre cappelle absidali. I sei altari laterali erano anch’essi, al momento dei bombardamenti, dotati di dipinti su tela, dipinti venuti a sovrapporsi, dal sec. XVII in poi, alle grandi nicchie affrescate – la stessa cosa era successa nella vicinissima e contemporanea chiesa di San Domenico, i cui altari erano in origine definiti da identiche nicchie. Degli antichi affreschi resta ben poco. Sul terzo altare di destra, quello prossimo alla cappella di San Tommaso da Villanova, sono ancora visibili, dipinte nell’intonaco del nicchione, distribuite lateralmente, figure di santi non più o non ben riconoscibili e databili tra fine Cinquecento e inizi Seicento, distribuite soprattutto ai lati della zona più centrale, dove sono ricomparsi invece, in uno strato d’intonaco sottostante, i resti di una Crocifissione molto più antica, sicuramente trecentesca. In opposizione, nel nicchione sinistro – altare già di San Sebastiano? – vicino alla Cappella dell’Angelo Custode, tardi residui di una decorazione a finto marmo rosso. Il resto è davvero trascurabile. Miglior sorte è stata invece riservata ai dipinti, conservatisi nella quasi totalità e così ricordati, nella loro distribuzione, da Piercarlo Borgogelli nel 1934.23 I tre altari della parete sinistra, quella “a cornu Evangeli”, erano adorni – dice il Borgogelli – delle seguenti opere. Sopra il primo, quello vicino all’ingresso della chiesa, era posta una tela raffigurante Santa Filomena a firma del riminese Clemente Alberi, datata 1834. Sul secondo altare, quello al centro della parete, altare ch’era già stato di Santa Barbara, figurava dal 1740 una tela raffigurante la Sacra Famiglia, “che stava prima a Santa Maria Nuova ed apparteneva alla Confraternita di S. Giuseppe”,24 opera firmata dal pistoiese Giacinto Geminiani e datata 1654. LA DIASPORA DEI DIPINTI Il terzo altare sul lato sinistro, già dedicato a San Sebastiano e affrescato dal Begni (Pesaro, 15791659), probabilmente intorno al 1638/40, con una immagine del ben noto santo, dal 1740, quando gli affreschi furono coperti, mostrava sull’altare la tela di Santa Barbara del pittore Giovanni Loves detto il Fiammingo,25 tela che già ornava il secondo altare, ora occupato invece dalla Sacra Famiglia del Geminiani. Dei tre dipinti soltanto quello raffigurante la Santa Barbara del Loves è andato sicuramente perduto, mentre gli altri due, in buono stato di conservazione, sono rispettivamente visibili l’uno, quello raffigurante Santa Barbara, nella chiesa di San Cristoforo, mentre l’altro, la Sacra Famiglia del Geminiani, è visibile nell’omonima chiesa fanese della Santa Famiglia. In realtà, sopra il terzo altare a cornu evangeli, il Borgogelli vede, meglio sarebbe dire crede di ricordare, “una copia della Madonna della cintura con Sant’Agostino e Santa Monica di Simon Cantarini di Pesaro (1612-1648)”.26 Si tratta sicuramente di un lapsus, perchè, come si può vedere dalla foto che mostra le tre cappelle absidali della chiesa, l’altare con il dipinto della Madonna della cintura non si trovava a cornu evangeli, ma a cornu epistolae, e cioè sopra il terzo altare di destra, quello vicino alla Cappella di San Tommaso da Villanova. Portandoci dunque agli altari di destra avevamo, nell’ordine: - sul primo San Nicola da Tolentino del cav. Giambattista Draghi (Genova, 1657 ca - 1712) opera che, non priva di qualche estesa lacuna di colore, trovasi, restaurata, nel Salone del Trono del Palazzo Vescovile; - nel secondo altare faceva bella mostra di sé un Sant’Agostino, altra pregevole opera firmata dal pistoiese Giacinto Geminiani ed anch’essa conservata nei depositi della Curia Vescovile; lo sporco e i grassi che ricoprivano la tela ne avevano a tal punto offuscato la superficie cromatica da rendere invisibile ogni traccia di firma e tanti dettagli, particolari che stanno tutti riemergendo grazie al restauro a cui l’opera è attualmente sottoposta presso il laboratorio di Davide Arbia. Sopra il terzo altare sappiamo già che trovava posto una tela raffigurante la Madonna della cintura (Madonna con Bambino, i santi Agostino e Monica e figura di giovane agostiniano), copia di quella dipinta dal Cantarini per la chiesa di Brettino; non si conosce l’autore di questa copia, ma la stessa si conserva tutt’oggi presso i depositi della Curia Vescovile. Non resta che qualche considerazione finale. S’è detto poc’anzi della Santa Barbara, opera di un fiammingo, forse perduta negli anni trenta dell’Ottocento, quando al suo posto venne collocata una Santa Filomena. Gli autori delle tante volte citate guide ci informano anche della presenza di un altro dipinto oggi irreperibile e così riferiscono: A – “Quello (il dipinto) di Santa Barbara e di Santa Monica sono del Fiamminghi”; B – “Quello di Santa Barbara è del Fiammingo: così pure quello di Santa Monaca”; C – “Il Quadro di Santa Barbera è del Fiamengo”. Gli autori delle prime due guide testimoniano chiaramente la presenza di due opere, Santa Barbara e Santa Monica, mentre il terzo cita solo un’opera, la Santa Barbara. Dobbiamo pensare che verso la fine del Settecento, presumibile epoca in cui viene scritta la guida C, la Santa Monica fosse già perduta o comunque non più presente in Sant’Agostino? Solo l’autore della guida A riferisce che: “L’Annunziata è di Gio: Giacomo [Pandolfi], ma poco si stima”. Anche per quest’opera si può solo ipotizzar ormai che, già prima della metà del secolo XVIII, il dipinto di Giovan Giacomo Pandolfi fosse sparito dalla chiesa. A ben vedere di domande senza risposta certamente ne restano. Più o meno importanti che siano non importa, esse sono lì a dimostrare quanto numerosi siano gli avvenimenti succedutisi nei secoli tra le pareti del tempio agostiniano e quanto impossibile sia stato poterli sempre sottrarre all’usura del tempo o recuperali all’oblio inevitabile della storia. 127 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO Clementi Alberi, Martirio di Santa Filomena, chiesa di San Cristoforo (deposito temporaneo), già sul primo altare a sinistra della chiesa di Sant’Agostino 128 LA DIASPORA DEI DIPINTI Giacinto Geminani, Sacra Famiglia, chiesa della Santa Famiglia (deposito temporaneo), già sul secondo altare a sinistra della chiesa di Sant’Agostino. Si noti, in basso a destra, il particolare dell’agnellino 129 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO Note 1. S. Tomani Amiani, Guida Storico Artistica di Fano, presentazione e annotazioni di F. Battistelli, prima edizione a stampa, Fano 1981, p. 81. 2. Ibidem, p. 82. 3. F. Battistelli, Fano, Urbino 1973, p. 110. Scrive il Battistelli: “Al termine della stretta, pittoresca via Vitruvio che fiancheggia l’abside di S. Domenico e il lato settentrionale dell’annesso convento, sorge un altro degli antichi conventi della Fano medievale. È quello fondato dai Padri Agostiniani, dopo che nel 1265 ottennero la Chiesa di S. Lucia e non senza trovare opposizione tenace nei Padri Domenicani del vicino convento: opposizione messa a tacere da una bolla di Papa Clemente IV che nel 1270 ridusse a 140 le 300 canne di distanza previste fra conventi”. 4. F. Battistelli, in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 211: “L’inversione d’orientamento subita dalla chiesa nel corso del XVI secolo ha portato alla trasformazione della cappella absidale in vano d’ingresso con sovrastante tribuma per l’organo e al tamponamento delle due cappelle minori che la fiancheggiavano. Di queste, mentre quella sulla sinistra dell’attuale ingresso ha subito una radicale manomissione per inserirvi la scala d’ingresso alla scomparsa cella campanaria, l’altra ha mantenuto l’aspetto originario con la caratteristica volta a crociera e le pareti rivestite di antichi affreschi”. 5. Il Perugini ricorda che il crollo del presbiterio della chiesa di Sant’Agostino, colpito dalle bombe degli aerei alleati impegnati a respingere le milizie tedesche, avvenne, con grande danno per tutto l’edificio chiesastico e per l’annesso monastero, alle ore 14,25 del 17 aprile 1944. (G. Perugini, Fano nella seconda guerra mondiale, Bologna 1949, pp. 105-106). 6. Nel 1995 le tre guide (A, B, C) sono apparse in una intelligente pubblicazione in forma comparata – si veda: Anonimi sec. XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, a cura di F. Battistelli, Quaderno di “Nuovi Studi Fanesi”, Fano 1995 – che, oltre a consentire l’immediato raffronto dei tre testi, si fregia di un ricco apparato di note. 7. F. Battistelli in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 9. 8. È l’ignoto autore della prima delle tre guide (guida A, p. 16) pubblicate dal Battistelli (vedi nota 6) ad informarci che “i freschi dell’altare di San Sebastiano sono del Begni (dal 1740 coperti dall’altare di Santa Barbara e nel luogo dov’era Santa Barbara vi è posto l’altare di San Giuseppe, che era de’ minori osservanti)”. In chiusura del suo elenco poi l’ignoto autore, ribadendo l’anno dell’operazione, fornisce anche il nome dell’autore del dipinto e scrive: “L’architettura della Chiesa è del colonnello Ludovico Giorgi da Fano. (Dal 1740 vi fu trasportato dalla Compagnia di San Giuseppe il quadro di detto Santo che è di mano del Geminiani di Pistoia)”. 9. Ibidem, p. 16. Il “volto del coro” è sicuramente, per l’autore della guida A, il soffitto del cappellone centrale del presbiterio. L’autore della guida B (p.17), parrebbe disinteressarsi alle pitture del soffitto del presbiterio, a meno di non pensare che con le parole “Tutti i Quadri del Coro, e Presbiterio son’opere dello Zufoli da Pesaro […]” egli non intenda riferirsi appunto anche alle pitture del soffitto. L’autore della guida C (p. 17), scrivendo che “Le Pitture del Claustro e quelle del Soffitto sono del Begni”, è sicuramente il più telegrafico, ma anche il più impreciso: di che soffitto si parla? del presbiterio o della navata? Al di là di tutto, 130 LA DIASPORA DEI DIPINTI le differenze di informazione che ci vengono dalle tre guide non sono oggi di qualche rilievo per dirimere questioni già risolte: il “volto del coro” è sicuramente il soffitto del cappellone centrale, quello sovrastante l’altar magiore (di Santa Lucia) e il coro retrostante, e non il soffitto della navata della chiesa, dov’era dipinto S. Agostino in gloria, opera, come si vedrà, del Manzi. 10. F. Battistelli, Fano, cit., p. 110. Interessantissima poi, del Battistelli, la nota n. 77 alla citata Guida Storico Artistica di S. Tomani Amiani (vedi nota 1), dalla quale apprendiamo che l’architetto Giorgi era un militare che rivestiva il grado di colonnello e che i dossali lignei che ornavano gli altari furono venduti, dopo i danni causati alla chiesa dai bombardamenti del 17 aprile 1944, “ad un antiquario di pochi scrupoli”. 11. P. Borgogelli, Il Convento, la Chiesa di S. Agostino e gli affreschi trecenteschi, in “Studia Picena”, volume X, 1934, pp. 203-212. 12. Si ringrazia dell’informazione Giuseppina Boiani Tombari, già archivista della sezione fanese dell’Archivio di Stato. 13. La tela presenta la seguente iscrizione di mano dell’autore: Sebastianus Ceccarini pinxit aetatis suae Anno LXXII A. Jub. 1775. 14. S. Tomani Amiani, op. cit., p. 84: “A Giammaria Luffoli da Pesaro scolaro del Cantarini sono da attribuirsi i dodici quadri di diverse dimensioni che ornano il Coro ed il Presbiterio; due soli peraltro possono meritare una più diligente osservazione, cioè quello ov’è dipinta la S. Famiglia e l’altro che raffigura S. Giuseppe avente il bambino Gesù fra le braccia”. È solo il Tomani Amiani a riferirci che i dipinti del Luffoli erano dodici e di diverse dimensioni, senza però dirci com’erano distribuiti. L’autore della seconda delle tre guide pubblicate dal Battistelli si limita a dire che “tutti i quadri del coro e presbiterio son’opere del Zuffoli (leggi ‘Luffoli’) da Pesaro, scolaro di Simon Cantarini”. Inventari posteriori agli scritti del Tomani Amiani riferiscono che si trattava di soli sei dipinti – l’informazione è di G. Boiani Tombari, che ringrazio vivamente. È molto probabile che i dipinti di maggiore evidenza e importanza fossero davvero sei, tre su ognuna delle due pareti laterali della cappella presbiterale, come parrebbe dedursi anche dagli stucchi esterni residui e ancora visibili in quella che era la parete sinistra del presbiterio, dov’è possibile leggere le dimensioni dei dipinti, mentre altri sei, di dimensioni più piccole e comunque diverse potevano stare sulla parete di fondo, distribuiti attorno o ai lati della grande tela che, ancor prima del Martirio di Santa Lucia del Ceccarini, sovrastava l’altar maggiore; non è probabilmente un caso se il Tomani Amiani parli di “Coro e Presbiterio”, intendendo forse con ‘coro’ la parete di fondo della cappella centrale di Santa Lucia e con ‘presbiterio’ le pareti laterali. 15. Vedi F. Battistelli in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 211, n° 79: “Tutti e dodici i dipinti del Luffoli sono oggi perduti, distrutti dagli eventi bellici […]”. 16. Guercino a Fano, tra presenza e assenza, catalogo della mostra, Fano 2011. 17. Chi ne avesse interesse potrà seguire l’intricata vicenda consultando in L’arte confiscata, a cura di B. Cleri e C. Giardini, Ancona 2011 i contributi di C. Giardini (p. 35 e segg.), Il lupo e l’agnello. Confische, soppressioni, devoluzioni e tutela del patrimonio storico artistico ecclesiastico in Provincia di Pesaro e Urbino al tempo dell’Unità d’Italia (1861-1888) e di M. M. Paolini, La Pinacoteca Civica di Fano e (pp. 118 e 165 e segg.). 18. Si veda La Pinacoteca Civica di Fano, a cura di A. M. Ambro- sini Massari, R. Battistini, R. Morselli, Cinisello Balsamo 1993, la scheda n° 35 redatta da A. M. Ambrosini Massari e inerente il dipinto in argomento. 19. Vien da chiedersi se anche l’altare della Cappella dell’Angelo Custode non sia stato concesso in giuspatronato a Vincenzo Nolfi simplicem absque ornamento. È probabile; non vi è alcuna testimonianza che indichi una precedente presenza di altre immagini. 20. La Pinacoteca Civica di Fano, cit, scheda n° 35. 21. Ibidem. 22. Vedi in S. Tomani Amiani, op. cit., p. 87, tav. XV, Affresco attribuito a Ferdinando Bibiena, Chiesa di Sant’Agostino (da G. Strafforello, La Patria - Geografia dell’Italia, Torino 1898, p. 344). 23. P. Borgogelli, op. cit., pp. 207-08. 24. Ibidem, p. 207. Si veda anche la guida A, in Anonimi sec. XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, a cura di F. Battistelli, Fano 1995, p. 16. 25. Ibidem, p. 207. Per l’identificazione di Giovanni Loves con “il Fiammingo” (Wander Lys di Breda nelle Fiandre del sec. XVII) vedi P. Borgogelli, op. cit., p. 208. 26. P. Borgogelli, op. cit., p. 207. A fronte Giacinto Geminani, Madonna con Bambino, Sant’Agostino e santo, Fano, Curia vescovile (deposito) Anonimo, Madonna della cintura, copia da Simone Cantarini, Fano, Curia vescovile (deposito) 131