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La migliore cuoca del mondo

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La migliore cuoca del mondo
La Tua Rivista in Italiano
Oggitalia
®
Anno XXXI - N. 1 - Settembre /Ottobre 2013 - Imprimé à Taxe Réduite
LA RIVISTA CONTINUA IN RETE (vedi pag. 3)
Nadia Santini
La migliore
cuoca del mondo
1
C2
www.elimagazines.com
Sommario
Festival internazionale del Circo, il Britsh Museum e la Mostra sulla vita quotidiana a
Pompei ed Ercolano, la Biennale di Venezia: un autunno tra arte, storia e cinema
Eventi
3
Inchiesta
4
Nadia Santini migliore chef dell’anno
6
Salone del Gusto. Torino 2013
Spettacolo
Curiosità
8
Premio Veuve Clicquot “Best Female Chef” 2013
Da www. luxgallery.it
da www.salonedelgusto.it
Roberto Bolle. Con la Scala nel cuore
di Leonetta Bentivoglio da www.repubblica.it”
Il primo ballerino Etoile della Scala racconta il suo
rapporto con il teatro che egli considera casa e radici.
10 Topolino&filosofia, Grammatica da twitter, Librerie magnetiche…
Un divertente ed istruttivo excursus tra alcuni dei mille modi degli italiani di reinterpretare con
fantasia e creatività la cultura.
Itinerari
11
Scicli tutto l’anno,
con Montalbano
Di Flaminia Giurato da www.lastampa.it
Passeggiata in una delle più belle
località del mondo, entrata a buon
diritto nella lista dei patrimoni
dell’umanità dell’Unesco.
Poster
12
Arte & Design
14
Luigi Ghirri. Pensare per immagini
16
Sara Simeoni, tanti auguri e un grazie.
Ci ha insegnato lo sport femminile
Sport
Il Barocco in Sicilia
di Renzo de Simone da www.beniculturali.it
300 scatti in mostra al Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo - di Roma
di Pierangelo Molinaro da www.gazzetta.it
Sara Simeoni e la “gioia di gareggiare”
Tradizioni
Scrittori italiani
18
20
Firenze e la festa della Rificolona
Alessandro D’Avenia.
Bianca come il latte, rossa come il sangue
di Giovanni Ferrari da www.tempi.it
In un romanzo, le domande, le inquietudini e le speranze degli adolescenti
raccontati da un giovane professore di italiano che nell’insegnamento e nella
scrittura ha trovato il senso della propria vita.
Giochi e attività
22
Grandi attori italiani
24
Una pagina di attività divertenti e stimolanti sugli articoli di “Oggitalia”
Tutti i volti di Vittorio De Sica
in mostra all’Ara Pacis
Inizia con Vittorio de Sica il viaggio nel
cinema italiano attraverso le storie e la vita di
alcuni dei più grandi attori italiani
2
Eventi
15° Festival Internazionale del Circo
Latina 17 - 21 ottobre 2013
Cari lettori
eccoci qui, di ritorno dall’estate, pronti
ad iniziare un nuovo anno in vostra
compagnia. Come sempre continueremo a
conoscere l’Italia attraverso le sue antiche
tradizioni,come la Rificolona di Firenze, o
attraverso personaggi ed artisti di fama
internazionale come Roberto Bolle, etoile
della Scala di Milano, e Sara Simeoni, la
“Regina” dell’atletica. Ed ancora il cinema,
con la rubrica dedicata ai più famosi
attori del cinema italiano, iniziando da
Vittorio De Sica, l’arte e la letteratura.
Continua, infatti, il viaggio alla scoperta
dei giovani scrittori italiani con l’intervista
ad Alessandro D’Avenia, professore di liceo
di Lingua e letteratura italiana, autore di
Bianca come il latte, rossa come il sangue,
un delicato libro sull’adolescenza, divenuto
in breve tempo un best-seller. Buona lettura
Cristina
Settembre • Ottobre 2013
Direttore responsabile
Lamberto Pigini
Redazione
Paola Accattoli
Grazia Ancillani
Cristina Ciarrocca
Responsabile editoriale
Daniele Garbuglia
Per la vostra corrispondenza:
“Oggitalia”
ELI P.O. box 6 - 62019
Recanati (MC) Italia
www.elimagazines.com
Audio
Per tutti gli abbonati, l’abbonamento alle riviste
include la possibilità di scaricare gratuitamente, in
formato MP3, l’audio di tutte le riviste dall’area risorse
del sito www.elimagazines.com, inserendo il codice di
accesso presente in ogni numero della rivista.
Note per l’insegnante
Per l’ insegnante, l’abbonamento alle riviste include la
possibilità di scaricare gratuitamente, oltre al materiale
audio in MP3, le Note per l’insegnante di tutte le
riviste disponibili in formato PDF. L’insegnante deve
prima registrarsi nell’area risorse insegnanti del sito
www.elimagazines.com.
Codice di accesso: 4005 2000 0011
Il 15° Festival Internazionale del Circo si svolge ogni anno a Latina, presso Borgo
Pieve, la terza settimana di ottobre. Il Festival è organizzato sotto forma di
competizione : gli artisti in gara, scelti tra
numerosissimi candidati dei diversi paesi del
mondo, vengono divisi in due gruppi e si
esibiscono una volta al giorno di fronte ad una
“Giuria Tecnica Internazionale” composta dai
titolari o dai responsabili delle più importanti
agenzie di spettacolo e accademie di Circo del
mondo.
Nato nel 1999 dall’idea di Giulio Montico, famoso
artista circense, il Festival ha raggiunto negli anni
una valenza di portata internazionale, non solo
per il mondo del Circo, ma anche per il mondo
delle arti e della cultura in genere. A tal punto
che da alcuni anni esso gode del patrocinio del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del
Parlamento Europeo
www.beniculturali.it
Vita quotidiana a
Pompei ed Ercolano
nella mostra dell’anno
al British Museum
Londra, 28 Marzo - 29 Settembre 2013
Parla italiano la mostra più attesa ed importante
del 2013 al British Museum di Londra. Si intitola
Life and Death in Pompeii and Herculaneum,
“Vita e morte a Pompei ed Ercolano” e riunisce
una selezione senza precedenti di opere d’arte
e oggetti di vita quotidiana rinvenuti nell’area archeologica vesuviana. È la prima
volta che il British Museum dedica un’esposizione temporanea all’area vesuviana.
Si tratta del più grande evento sul tema che si tiene a Londra da quarant’anni a
questa parte: raccoglie 250 reperti, in gran parte frutto di scoperte recenti, mai
usciti dal nostro Paese o addirittura mai esposti in precedenza, come i rilievi in
marmo finemente decorati, i pannelli in avorio intagliato in legno ed una culla
con ancora la capacità di dondolare. Per chi volesse visitare la mostra:
www.britishmuseum.org
70. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica
Biennale di Venezia 2013
28 agosto - 7 settembre
La 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, organizzata dalla Biennale
di Venezia, si terrà al Lido di Venezia dal 28 agosto al 7 settembre 2013, diretta da
Alberto Barbera.
La Mostra vuole favorire la conoscenza e la diffusione del cinema internazionale in
tutte le sue forme di arte, di spettacolo e di industria, in uno spirito di libertà e di
dialogo. La Mostra organizza retrospettive e omaggi a personalità di rilievo, come
contributo a una migliore conoscenza della storia del cinema.
20 sono i film in gara in prima mondiale, accompagnati dalla consueta rassegna
fuori concorso delle opere più significative dell’anno per un massimo di 12 titoli.
Il respiro internazionale della mostra è dato anche dalla sezione “Orizzonti”,
dedicata alle nuove tendenze estetiche ed espressive del cinema mondiale, con
particolare attenzione agli autori emergenti, alla creatività ed alla innovazione.
www.labiennale.org
3
Inchiesta
Nadia Santini premiata a Londra
come migliore cuoca del mondo
La ristoratrice
mantovana ha ricevuto
a Londra il prestigioso
riconoscimento. Alla
Gazzetta di Mantova
racconta la sua carriera
tra i fornelli fino a
diventare la numero uno.
Un’autodidatta che ha
fatto del ristorante “Dal
Pescatore” di Canneto
sull’Oglio un punto di
riferimento mondiale della
gastronomia.
[
Tratto da LA
]
MANTOVA. A Londra Nadia Santini,
mantovana, è stata premiata
come migliore cuoca del mondo. Un
riconoscimento che va a tutto quanto
ruota attorno a lei, dalla famiglia al
territorio, ma che premia soprattutto una
donna che, al di là di quanto sa esprimere
ai fornelli, sa trasmettere il suo amore per
il lavoro e una profonda interiorità.
Signora Santini, cosa va a ricompensare
questo premio? La persona, la famiglia, il
ristorante, il territorio?
Ho pensato a cosa possa legare tre case
come Dal Pescatore, Pic e Arzak. Credo di
vedere riconosciuta la logica della famiglia,
l’energia propulsiva* di un progetto che
si estende nello spazio, valorizzando un
territorio ricco di cultura, e anche nel
tempo, perché frutto del passaggio tra
generazioni. Con le donne a fare l’anello
di congiunzione. Il premio? Chi è sotto i
riflettori ha il compito di diffondere un
approccio sereno con la cucina, trasmettere
con essa felicità, cultura, modernità di un
popolo.
Come mai nell’ambito del concorso Best
50 restaurants si è sentito il bisogno di
assegnare il premio alla migliore donna?
Segnala un certo maschilismo tra i
fornelli?
La classifica dei Best 50 non è competitiva,
è frutto della combinazione dei gusti di
4
centinaia di giurati, che magari premiano
proposte innovative, giocose, a volte
stupefacenti. Giochi pirotecnici in cucina.
Forse per le donne non è così, il ristorante
è un modo di tenere vivo il territorio,
con il rapporto diretto coi fornitori, i loro
prodotti. Mi sbaglierò, ma vedo nella
cucina un convivio* ideale per offrire e
trasmettere l’anima gioiosa e viva della
terra, del proprio Paese. Sento che tutti
siamo frutto di un eterno procedere,
riceviamo da chi è venuto prima di noi
un insieme di conoscenze e sapori, usi e
costumi, riti e tradizioni che rendono unico
un territorio. Io sono orgogliosa della
nostra terra. Non a caso, a Mantova la
cucina è stata spesso in mano alle donne:
il Cavallino Bianco a Suzzara, i Martini e
Caffini a Mantova, gli Ancillotti a Revere...
Lei è un’autodidatta: significa la
formazione non sempre è fondamentale?
Vedo molti giovani con entusiasmo e
coraggio, che credono che la professione
della cucina sia il loro futuro, e la scelgono
già a 15 anni. Ma credo sia impossibile
avere una piena formazione a quell’età:
la scelta, secondo me, dovrebbe avvenire
dopo le scuole superiori. Meglio prima
accumulare le opportune basi culturali.
Ci sono scuole in Europa che offrono una
preparazione molto elevata, come quella
di Paul Bocuse o quella di Losanna: per
fare il cuoco non serve solo un cappello
bianco, ma anche la conoscenza scientifica
di ciò che si fa. Anche se, spesso, è la
stessa tradizione che ci insegna come
due ingredienti possano sposarsi* e altri
non andare d’accordo. Perché si mettono
sempre insieme prezzemolo e aglio? Il
prezzemolo attenua gli effetti sgradevoli
dell’aglio. Ma è una conoscenza che si
dà per acquisita, un’arte inconscia che si
impara da chi c’è stato prima di noi.
Non c’è nulla da inventare, quindi?
La vita di oggi richiede un’alimentazione
diversa rispetto al passato, serve meno
energia, c’è una maggiore concessione
all’estetica. Ma nella rielaborazione dei
piatti, nel farli diventare più leggeri, più
belli e con un rigoroso controllo della
cottura, bisogna stare attenti a non
distruggere l’identità di un popolo. Perché
alcuni piatti ci rappresentano.
Quale piatto rappresenta meglio
Mantova?
Ricordo, 35 anni fa, una coppia
statunitense che amava girare per l’Italia
alla ricerca di bellezze alternative a quelle
delle tradizionali città d’arte. Ci dissero
che bastava chiudere gli occhi davanti a
un piatto di tortelli di zucca per capire
comunque che si era a Mantova. I tortelli
piacciono al mondo intero. Forse chi
viaggia va alla ricerca di autenticità, di
sapori unici e non ripetibili. Prendiamo il
pesce gatto: in Francia non lo mangiano
nemmeno più, è uscito dall’uso comune;
qui, lo apprezzano.
Lei, comunque, ha avuto dei maestri?
I primi? I miei genitori: a casa mia si
mangiavano i prodotti del nostro orto.
Allora ho imparato il plusvalore dei
sapori e della conoscenza dei prodotti
e delle stagioni. Qui a Runate mi hanno
dato molto Teresa, e Bruna, la nonna e la
mamma di Antonio. Spesso è dall’incontro
tra le persone che le attività si evolvono.
Qui un tempo si cucinava solo il pesce
che si pescava. Col matrimonio di Bruna è
arrivata anche la cultura della pasta, dei
salumi e degli animali da cortile. E dire
che non veniva da molto lontano: erano
solamente due chilometri...
Nadia Santini,
migliore chef dell’anno
Ed è nato così il successo della trattoria?
Arrivavano i pittori dei Navigli, tutte
le domeniche, con Gianni Brera, Renzo
Cortina, Giovanni da Busnago... Erano
sempre una ventina, c’erano i carrelli di
bolliti e arrosti. Poi, con Antonio e con me,
il passaggio al ristorante attuale. Con una
cultura ben precisa, che si può riassumere
in quello che mi disse nonna Teresa il
giorno che misi piede qui: “Il lavoro è il
nostro pane: per averlo oggi, abbiamo
lavorato bene ieri, per averlo domani
bisogna lavorare bene oggi”.
Che rapporto c’è in cucina tra tradizione e
innovazione?
Le innovazioni possono essere bellissime,
per poi sedimentare e diventare
tradizione. Il Carpaccio è stato inventato
da Giuseppe Cipriani, ma dopo 20 anni è
entrato a pieno titolo nella tradizione.
Cosa si deve fare per accontantare un
cliente? E cosa, invece, non è opportuno?
Mio marito Antonio è molto bravo
nell’interpretare i desideri di chi sta a
tavola: il colloquio è fondamentale per
capire cosa si cerca.
Cosa significa fare ristorazione di alto
livello in un momento di crisi economica?
Se il territorio si spegne, rischia di farlo
anche la ristorazione. Dobbiamo cercare
di agire, interpretare il nostro lavoro
come opportunità, giocare il nostro jolly,
rappresentato da stile, anima e cuore del
nostro Paese. Difendiamone i prodotti,
diamo ossigeno a chi li produce con grande
valore e facciamo ripartire l’agricoltura e il
turismo. Teniamoci vicini i nostri bambini e
insegniamo loro le piccole e grandi storie
della nostra terra e dei nostri piatti.
La cuoca italiana ha vinto
il prestigioso Premio
Veuve Clicquot “Best
Female Chef” 2013,
assegnato ogni anno
alla migliore cuoca del
mondo.
[
Tratto da
]
È Nadia Santini a prendere il posto di Elena
Arzak come miglior chef donna del mondo.
A vincere il premio Veuve Clicquot “Best
Female Chef” 2013 è stata infatti, la Chef
italiana che da 29 anni gestisce, con il
marito Antonio, il ristorante Dal Pescatore
a Runate – Canneto sull’Oglio (tre stelle
Michelin dal 1996).
Nello scorso aprile sono stati premiati a
Londra i World’s 50 Best Restaurants e,
proprio in quella occasione, Nadia Santini
ha ritirato il suo prestigioso e meritatissimo
riconoscimento.
Stilata dal britannico “Restaurant
Magazine”, che ha commentato: “Al
Glossario
convivio: qui, incontro
enogastronomia: arte della cucina e dei vini
incarna: qui, rappresenta perfettamente
propulsiva: che manda avanti le cose
sposarsi: qui, andare d’accordo, unirsi
timone di quella dinastia culinaria che è la
famiglia Santini, l’expertise gastronomico
di Nadia Santini ha spinto il ristorante ai
valori più alti”, e sponsorizzata da San
Pellegrino, alla base della prestigiosa
classifica internazionale la ricerca di Chef
capaci di interpretare i valori caratteristici di
Madame Clicquot: innovazione, creatività e
determinazione.
“Nadia Santini incarna esattamente
queste qualità nella gastronomia di oggi
– ha spiegato Aymeric Sancerre, direttore
comunicazione internazionale del premio
Veuve Clicquot – e sono onorato che
il nostro nome e la nostra ricca storia
vengano associati a una personalità così
meravigliosa”.
Un premio importante per tutta
l’enogastronomia* made in Italy e di
grande soddisfazione per la Chef che
ha commentato così: “Sono molto
felice e onorata per questo importante
riconoscimento. Lo sono per me, per tutto
il Dal Pescatore, per la mia famiglia che
lavora con me, Antonio mio marito, i miei
straordinari figli Giovanni, che dirige la
cucina con me (Chef de l’Avenir 2012 per
l’Academie Internationale de la Gastronomie
ndr), ed Alberto, che dirige la sala e si occupa
dei vini, per la mamma di Antonio, che mi
ha trasmesso molti segreti e per Valentina,
moglie di Giovanni, attiva nel ristorante”.
Insomma, Nadia Santini incarna un successo
fatto di rispetto per la tradizione e di
eccellenza ma anche di amore e condivisione,
totalmente italiano.
5
Inchiesta
Salone del Gusto 2013 a Torino
Salone del Gusto 2013 a Torino
(25-29 ottobre 2013 )
Inizialmente furono Gran Menu a
Verona e Milano Golosa, 1994, due
eventi che solo i fedeli di Slow Food
rimembrano, che possedeva già
alcuni degli elementi caratterizzanti
di quello che diverrà poi il Salone del
Gusto sperimentale del 1996, in una
minuscola area del Lingotto a Torino.
internazionali a cui si affianca la
terza edizione del Premio Slow Food,
il seme dal quale due anni più tardi,
nascerà Terra Madre, l’incontro
delle comunità del cibo che la prima
edizione raccoglie 5.000 contadini,
artigiani e pescatori da 130 paesi del
mondo.
L’esplosione, avviene due anni
dopo, con la seconda edizione,
l’avvento del Mercato e oltre 130.000
visitatori che ribaltano l’approccio
*elitario alla gastronomia di qualità,
trasformando in piacere e in diritto
un interesse che si pensava fosse
solo di pochi. Il viaggio continua,
andando in parallelo con le novità che
iniziavano ad analizzare il tema della
globalizzazione.
nel 2006, il cappello filosofico
del “buono, pulito e giusto” è il
promotore di una fusione fra le due
anime di Slow Food: produttori e
consumatori.
nel 2000 vengono presentati i
presìdi* italiani, nel 2002 i presìdi
6
I neo-gastronomi percorrono gli stand
del Lingotto, affinando il loro palato
nei Laboratori del Gusto, educandosi a
una produzione sempre più attraente
se sperimentata, compresa e pretesa
nelle sue componenti qualitative,
mentre in contemporanea all’Oval
pescatori toscani e mauritani, pastori
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food
abruzzesi e mongoli, discutono sul
futuro del loro lavoro, scambiandosi
idee, soluzioni, prospettive circa
un cibo prelibato dal punto di vista
gastronomico, sostenibile nell’ impatto
ambientale ed equo dal punto di vista
delle remunerazioni* ma anche della
gratificazione personale.
12 anni (22 se si vuole considerare
come prima tappa l ’anno di
fondazione di Slow Food) per
intraprendere questo viaggio alle
radici del cibo: dalla terra al piatto,
dalla dimensione gourmettistica alla
neo-gastronomia, dai frutti dell’
albero del Salone del Gusto al ventre
di Terra Madre, insieme in un evento
unico
Glossario
Approccio elitario: espressione che sta ad indicare un evento
o una qualsiasi altra realtà che può essere compresa e goduta
solo da poche persone.
Presìdi: qui, gruppi di produttori
Remunerazioni: compenso monetario
7
Spettacolo
Con la Scala nel cuore
Roberto Bolle, primo
ballerino étoile, racconta
il suo rapporto con il
teatro milanese che
considera casa e radice
e anticipa una stagione
ricca di appuntamenti
[
Tratto da
di Leonetta Bentivoglio
]
quel suo corpo alto e forte, modellato
da una strategia di proporzioni
assolutamente ideali. Le immagini
riprodotte, spesso molto patinate, sono
quasi imbarazzanti nella loro levigata
perfezione. Inevitabile, si tende quindi
a supporre, che Roberto sia un divo
narciso e arrogante. Invece è un uomo
generoso e un artista completamente
estraneo ai capricci e alle bizze.
Chiunque, nel lavoro, gli riconosce
umiltà e rispetto degli altri. Danzatore
di tecnica puntuale, ha un talento
Roberto Bolle con la Scala nel cuore
Una delle grandi qualità della
star internazionale di massimo
successo Roberto Bolle è un’indole
imprevedibilmente gentile e delicata.
Tutti sanno quanto è bello, quasi troppo,
con quel suo volto da angiolone* antico e
interpretativo che sembra alimentarsi di
note sempre più profonde e complesse
lungo gli anni.
Roberto Bolle, lei è molto presente nella
prossima stagione di danza della Scala,
suo luogo d’elezione. Cos’è per lei questo
teatro?
La Scala è la mia casa, la mia radice. È
stato l’avvio del viaggio, e oggi è un
approdo fatto di continui ritorni. Le
“mie” compagnie, cioè quelle più rilevanti
nella mia storia artistica, sono tre: oltre
a quella della Scala sono l’inglese Royal
Ballet, dove ho lavorato ed imparato
tanto, e l’American Ballet Theatre, di cui
sono Principal dal 2009. Ma la Scala è la
Scala: è nel mio cuore. E io sono un frutto
dell’Accademia scaligera. Crescervi dentro
ha voluto dire non solo essere plasmato*
come danzatore, ma vivere in una scatola
magica: poter sbirciare dietro le quinte
i ballerini al lavoro, assistere ai balletti
e alle opere più famose dal loggione,
perdersi nei corridoi e nei camerini dove
sono passati artisti straordinari. La prima
volta che ho danzato sul palcoscenico
della Scala avevo quindici anni, in n
saggio della scuola di ballo: fu il mio
battesimo. Seguirono incontri, esperienze,
conferme, emozioni....
Roberto Bolle
8
In febbraio lei ballerà in Notre-Dame de
Paris di Roland Petit, un coreografo che
ha significato molto per lei.
Vero. Lavorare con lui è stato molto
arricchente. Fondamentale, per me, fu Le
Jeune Homme et la Mort, balletto in cui
è fortissimo il rapporto con l’erotismo e
con la morte. Montarlo diretto da Petit
equivalse a una sorta di trampolino
espressivo nel mio percorso, capace di
farmi scoprire veramente degli aspetti
di me stesso, anche in senso erotico e
passionale. Quanto al suo Notre-Dame,
debutterò nel ruolo di Quasimodo, mai
affrontato prima. In questo balletto ho
già danzato la parte di Phoebus, il bello,
mentre ora farò il brutto, ed è questa la
vera sfida: nascondere la bellezza per far
emergere l’interpretazione. La scelta del
personaggio è stata mia, perché voglio
confrontarmi con una grande prova di
attorialità* tirando fuori l’anima.
verità drammaturgica che si sviluppa
via via lungo i due atti: il pathos cresce
continuamente, fino a culminare* nel
finale del secondo atto. Richiede tecnica,
rigore e pulizia accademica, ma anche
esperienza interpretativa. L’ho maturato
molto nel corso del tempo. Albrecht
dev’essere in grado di trasmettere
emozioni reali, e quindi di viverle in scena.
Che significa, per Bolle, interpretare p
er l’ennesima volta il principe di Giselle,
altro titolo che compare nel cartellone
scaligero?
Non smetto mai di scoprire sfumature
nuove in Giselle, che ho danzato per
la prima volta a ventidue anni, nel
1998. Quello di Albrecht, il principe
di Giselle, è il mio preferito tra i ruoli
del repertorio ottocentesco. Ha una
Il terzo titolo che la vede protagonista
è L’histoire de Manon di Kenneth
MacMillan, ottimo esempio di fusione
tra il balletto tradizionale e uno spirito
teatrale innovativo.
L’eroe maschile di Manon, Des Grieux, è
pieno di sfaccettature nel suo progressivo
inabissarsi nella degradazione. Credo
di conoscerlo bene, anche perché l’ho
danzato spesso con il Royal Ballet a
Londra. La storia è colma di sentimenti
vividi* e affrontabili da prospettive
diverse. Conta molto, per Manon, la
partner con cui ballo, che qui sarà
Svetlana Zakharova. Ballerina stupenda,
forse la più bella del panorama odierno
per la perfezione estetica e la purezza
delle linee. Ora m’interessa tanto lavorare
con lei anche su dimensioni “altre”, più
interpretative che tecniche, così come
Manon richiede.
Glossario
angiolone: qui, sostantivo alterato accrescitivo, angelo molto
buono
attorialità: esprimere al meglio le proprie qualità di attore
culminare: finire,completare un percorso o una perfomance in
modo quasi perfetto
plasmato: formato, modellato
vividi: forti, intensi
9
Curiosità
“Piuttosto che”, principe degli strafalcioni.
In un libro 300 “tossine grammaticali”
I linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota hanno raccolto in un breviario le
“cose da non dire” e gli “errori da non fare”. Dall’espressione divenuta così comune
negli ultimi anni al congiuntivo soppresso al “facci” di fantozziana memoria
[
]
La lingua parlata ai nostri giorni è piena di “tossine
grammaticali”, modi di dire o espressioni che sono
entrate nel lessico comune, ma che fanno a pugni
con la correttezza e la sensibilità linguistica. E al primo posto di un’ipotetica classifica degli
errori, o “almeno ai piani alti”, assicurano Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, raffinati
linguisti, già autori del fortunato Ciliegie o ciliege, ci sarebbe proprio quel Piuttosto che
divenuto ora titolo del loro ultimo libro (Sperling & Kupfer). Un manuale che, oltre a una
sezione dedicata alla “tossina” più usata dagli italiani, con relativa analisi dell’espressione
simbolo della degenerazione linguistica, comprende un breviario di ben 300 “cose da non
dire ed errori da non fare”. E se è assodato che il famoso congiuntivo, regola prima della
sintassi, compare ormai ben di rado sui giornali, nei blog e nelle chat, e se politici e personaggi
pubblici lo ignorano nelle interviste radiofoniche o televisive, questa volta Della Valle e
Patota concentrano la loro attenzione su un elenco infinito di scivoloni* comunicativi. […]
Raggruppati in ordine alfabetico, gli errori più diffusi, sono seguiti dal modo corretto di dire e
da citazioni di quanto scritto o detto dai personaggi colti in fallo. Perché, avvertono gli autori,
mentre non è lecito né opportuno infierire su chi, per umile estrazione, non ha dimestichezza
con la lingua italiana, è giusto fare * le bucce a chi di comunicazione vive e si serve. […]
Tratto da
Giorello: “Il mio Topolino si rosicchia la metafisica”
Il famoso filosofo della scienza italiano: “Le avventure dell’eroe disneyano sono tipiche
situazioni filosofiche”
Giulio Giorello, filosofo della Scienza, ha scritto un saggio spinto dal fascino esercitato su di lui da un
“genio perturbatore*”, come Giorello stesso l’ha definito e che nulla ha da invidiare a pensatori del
calibro di Russell, Lévy-Strauss e Feyerabend. Questo grande filosofo è niente di meno che Topolino.
Giorello parla di Topolino come di un “romanzo di formazione”: “ Ho imparato a leggere e scrivere su
Topolino”. L’idea è nata dall’incontro con una ricercatrice di filosofia che stava lavorando su di un saggio
proprio sul famoso fumetto. Ne è nato un progetto che ha coinvolto sceneggiatori, disegnatori, studiosi
di fumetto, con lo scopo di spiegare come le situazioni vissute da Topolino siano situazioni squisitamente
filosofiche: libertà di pensiero, libertà di espressione, libertà e responsabilità della scienza, questioni di
genere, rapporto tra sogno e realtà, vita extra- terrestre. A detta dell’autorevole filosofo, Topolino ha
sicuramente letto Strauss, Hume ed anche un po’ di Joyce.
MyShelf, la libreria magnetica
[
]
Un brevetto mondiale, una libertà assoluta
di composizione, una libreria originale
e innovativa. È Magnetika, un nuovo
modi di arredare ideato e brevettato da Ronda Design. Il Made in Italy che vogliamo!
È formata da un pannello in acciaio (volendo può essere rivestito in eco -pelle) a cui si
applicano magneticamente le mensole. Questo pannello regala un imprevedibile gioco
magnetico che, unitamente* alla possibilità di inclinare positivamente o negativamente
la parete di supporto, genera un effetto finale assolutamente unico. La forza di
attrazione è molto forte, anche con diversi libri le mensole non si muovono di un solo
millimetro e bisogna imprimere molta forza per staccarle dalla parete magnetica.
Questo assicura stabilità al progetto e la possibilità di configurare la libreria senza alcun
limite. […]
I ripiani, ad “L” o a “V” possono
essere disposti in qualsiasi posizione e
Glossario
modificarne la collocazione in qualsiasi
momento. Grazie alla libertà compositiva
fare le bucce: modo di dire, essere molto scrupolosi e rigorosi
e l’utilizzo di mensole a differenti
nei confronti di qualcuno
misure è possibile creare composizioni
infierire: essere eccessivamente severi
libere e casuali sempre nuove, dettate
perturbatore: che è responsabile di turbamento
scivoloni: errori
dall’esigenza del momento.
Tratto da www.architetturaedesign.it
unitamente: insieme
10
Itinerari
Scicli, tutto l’anno
con Montalbano
L’attore Luca Zingaretti nel ruolo
del Commissario Montalbano.
Il bellissimo paese di Scicli,
in Sicilia, è stato scelto
come set cinematografico
della fortunatissima
serie tv Il Commissario
Montalbano, tratta
dai romanzi di Andrea
Camilleri, tra barocco e
splendide spiagge.
[
Tratto da
]
A Scicli sulle tracce
di Montalbano
Da molti è definita e ricordata come
una “città-presespe”, incastonata com’è
all’incrocio di tre valloni a pochi chilometri
dal mare, snodandosi nell’impianto
medievale dei suoi quartieri densi di case
rosee baciate dal caldo sole di Sicilia. E’
Scicli, nota per il suo centro storico entrato
a buon diritto nella lista dell’Unesco del
Patrimonio dell’Umanità da tutelare,
insieme ad altri sette comuni della Val di
Noto.
L’impronta* dell’età tardo-barocca è stato
il frutto della ricostruzione settecentesca
susseguita* al disastroso terremoto
del 1693 che rase al suolo l’intera città.
Passeggiare tra Via Francesco Mormino
Penna, con la sua scenografica sfilata di
palazzi nobiliari settecenteschi (Palazzo
Spadaro, Palazzo Bonelli, Palazzo Conti,
Palazzo Veneziano-Sgarlata, Palazzo
Papaleo, Palazzo Carpentieri, Palazzo di
Città) e le architetture ecclesiastiche come
la Chiesa di San Giovanni Evangelista, la
Chiesa di San Michele o la Chiesa di Santa
Teresa, fa comprendere la ragione per la
quale lo scrittore Elio Vittorini descrisse
Scicli come “la più bella città del mondo”.
Anche Palazzo Beneventano, l’edificio
barocco più bello di tutta la Siclia, è stato
dichiarato Patrimonio dell’Umanità, grazie
anche ai suoi caratteristici mascheroni
che rappresentano alcune teste di moro.
Piazza Italia è circondata da meraviglie
architettoniche come Palazzo Massari,
Palazzo Mormina-Penna, Palazzo Iacono,
Palazzo Fava e dalla Chiesa Madre di
Sant’Ignazio. C’è poi la Cava di San
Bartolomeo, un vero canyon naturale
dovuto all’azione del torrente San
Bartolomeo sulla roccia calcarea, che
racchiude la stupenda chiesa omonima e
da dove si arriva all’aggrottato di origine
bizantina di Chiafura.
Ma le sorprese non finiscono qui, perché
le attrazioni sono tante: si prosegue con
la statua marmorea di Pietro di Lorenzo
detto Busacca, circondata dal complesso
monumentale della Chiesa e del Convento
del Carmine, il Convento di San Domenico,
la Chiesa di Santa Maria della Consolazione
e la Chiesa neoclassica di Santa Maria la
Nova, dal 1994 Santuario di Maria SS. della
Pietà; la possente mole dell’antica matrice
di San Matteo; le architetture militari del
Castiddazzu e del Castello dei Tre Cantoni;
il Convento dei Padri Cappuccini all’interno
di Villa Penna, e Santa Maria della Croce.
Già questo sarebbe sufficiente per rimanere
incantanti: ma se poi si aggiungono
anche gli oltre venti chilometri di costa
caratterizzate dalle spiagge di sabbia fine
e dorata lambita da un’acqua cristallina e
le piccole borgate marinare allora il quadro
è davvero completo. Playa Grande confina
con la Riserva WWF; Donnalucata è la più
antica e grande delle borgate ed ospita
il Santuario della Madonna delle Milizzio
e Palazzo Mormino; Cava d’Aliga è una
tranquilla frazione situata in posizione
privilegiata, che d’estate si anima e da
Sampieri si snoda una splendida spiaggia a
mezzaluna che culmina a Punta Pisciotto.
Scicli e il commissario
Montalbano
Dal 1999 Scicli è la principale
location della fiction di Rai 1 Il
Commissario Montalbano. La Vigata*
cinematografica si snoda tra le vie del
centro con assoluta protagonista la Via
Francesco Mormino Penna e il Palazzo
del Municipio ripreso anche nei suoi
interni. Si vedono anche la terrazza
di Piazza Carmine, la Chiesa e la Cava
di San Bartolomeo, Palazzo Iacono,
Piazza Armando Diaz, il complesso
della Madonna del Rosario, Via Duca
degli Abruzzi, il porto di Donnalucata
e il suo lungomare, divenuto il
lungomare di Marinella e la Fornace
Penna a Sampieri.
L’Ospitalità Diffusa ( www.scicliopspitalita
diffusa.it), nuova formula di vacanza
sostenibile che amplia e completa
l’esperienza dell’Albergo diffuso, è la
proposta che Scicli offre ai suoi ospiti.
Un sistema di strutture che accontenta
tutti i gusti per poter soggiornare
nel centro storico, vicino al mare o
in aperta campagna, degustando le
prelibatezze* del posto o ammirando
le bellezze artistiche.
Glossario
impronta: qui, lo stile barocco
prelibatezze: bontà gastronomiche
susseguita: che è venuta dopo
Vigata: paese di fantasia in cui sono ambientate le storie del
Commissario Montalbano
11
Poster
Il Barocco in Sicilia
Scicli, scorcio di una via barocca.
12
13
Arte & Design
Oltre 300 scatti in una
grande mostra antologica,
al Museo MAXXI di
Roma, per raccontare un
maestro indiscusso della
fotografia in Italia del
Novecento.
[
Tratto da www.beniculturali.it
]
È la mostra Luigi Ghirri. Pensare per
immagini, al MAXXI dal 24 aprile al 27
ottobre 2013, organizzata dal MAXXI
Architettura diretto da Margherita
Guccione e curata da Francesca Fabiani,
Laura Gasparini e Giuliano Sergio.
Nata dalla collaborazione con il Comune
di Reggio Emilia e la Biblioteca Panizzi,
che custodisce molti dei documenti
originali del suo archivio (fotografie,
menabò*, libri, cataloghi e negativi), la
mostra racconta i diversi profili di questa
complessa e poliedrica figura di artista.
“Il MAXXI è un hub per la cultura,
aperto a ogni forma di linguaggio:
design, fotografia, moda, cinema,
danza”. Dice Giovanna Melandri
Presidente Fondazione MAXXI.
“Con questa mostra, di cui sono
particolarmente soddisfatta, rendiamo
omaggio a uno dei più grandi e
complessi autori italiani celebrato in
tutto il mondo.”
Per questo progetto il MAXXI ha
14
Luigi Ghirri.
Pensare per
immagini
lavorato con la Biblioteca Panizzi e con il
Comune di Reggio Emilia, ha collaborato
con l’Archivio degli Eredi Ghirri e
ottenuto prestigiosi prestiti dallo CSAC
di Parma, l’Istituto Nazionale per la
Grafica di Roma e altri collezionisti
privati. Questa rete culturale è uno dei
punti fermi della missione del museo”.
“Con l’esposizione dedicata a Luigi
Il fotografo Luigi Ghirri
Ghirri il Museo consolida ed esplicita
la propria vocazione a riconoscere
e intercettare le forme più dense e
originali dell’espressione artistica, dalla
metà del secolo scorso al presente
-dice Margherita Guccione, Direttore
MAXXI Architettura- In questo senso
Ghirri è a tutti gli effetti un innovatore,
uno sperimentatore che ha inventato
un modo nuovo di intendere la
fotografia e di guardare il paesaggio
contemporaneo”.
Luigi Ghirri. Pensare per immagini è
un percorso nell’opera del fotografo
emiliano (1943-1992) attraverso i suoi
inconfondibili scatti ma anche menabò
di cataloghi, libri della sua biblioteca
privata, riviste, recensioni, collezioni di
fotografie anonime, cartoline e dischi,
per raccontare la sua collaborazione
con gli artisti concettuali degli anni
Settanta, i suoi riferimenti culturali e
artistici, il suo interesse per la musica
e i suoi rapporti con musicisti come i
CCCP e Lucio Dalla. Un Ghirri non solo
fotografo, ma anche editore, curatore*,
teorico e animatore culturale, in
costante dialogo con architetti, musicisti,
scrittori e artisti.
Icone, Paesaggi, Architetture
La mostra è organizzata in tre
sezioni tematiche – Icone*, Paesaggi,
Architetture - e invita a ripercorrere la
fasi della ricerca artistica di Ghirri: le
icone di quotidiano, i paesaggi come
luoghi di attenzione e di affezione
e le architetture, da quelle anonime
a quelle d’autore. I vintage prints,
conservati presso la Fototeca Panizzi,
il MAXXI, lo CSAC di Parma, l’Istituto
nazionale per la Grafica di Roma,
presso l’Archivio degli Eredi Ghirri e
altri collezionisti privati, costituiscono
il nucleo centrale della mostra. Ad
essi si affianca una ristretta selezione
di new prints (tratte dai negativi
della Fototeca Panizzi) che offre un
ulteriore strumento per lo studio e
la comprensione della sua opera. Il
percorso di mostra sarà accompagnato
da citazioni da testi di Ghirri, scelte per
rivelare la qualità della sua scrittura e
guidare il pubblico a comprendere le
ricerche dell’autore attraverso le sue
stesse parole.
“La scelta di procedere per temi e
non secondo un criterio cronologico
riprende una modalità tipicamente
ghirriana: la fotografia intesa come
oggetto non concluso, come un
gigantesco work in progress in costante
elaborazione” dicono i curatori
Francesca Fabiani, Laura Gasparini e
Giuliano Sergio.
Le pubblicazioni e le mostre che
Ghirri realizzò nel corso della sua
vita contenevano spesso un numero
sterminato di fotografie; il fotografo
organizzò queste immagini per “serie”,
ripensandole spesso, modificando
le sequenze, utilizzando fotografie
nate all’interno di un progetto per
riposizionarle in nuovi contesti, a
distanza di anni. Il percorso tematico
intende dunque far comprendere la
logica del lavoro di Ghirri, mettendo
in evidenza non soltanto la sua
particolare tecnica fotografica ma
anche il modo in cui guardava,
sceglieva, sistemava e ordinava
le fotografie, alla ricerca di un
inedito approccio* critico al pensare
l’immagine, al pensare per immagini.
Luigi Ghirri è una figura fondamentale
per la fotografia del secondo Novecento.
Ha influenzato profondamente la
cultura visiva internazionale soprattutto
grazie alla sua capacità di immaginare
l’esercizio della fotografia come accesso
al mondo e alle sue rappresentazioni.
La sua ricerca si nutre di diversi
apporti che lo conducono ad esplorare
soggetti e direzioni inedite: la
fotografia amatoriale, i montaggi che
miscelano realtà e rappresentazione, il
quotidiano, i paesaggi, le architetture
d’autore e quelle ordinarie. Il mondo,
per Ghirri, è uno spettacolo che il
fotografo ha il compito di decifrare,
interpretare e tradurre. Le sue
fotografie ci ricordano oggi che la sua
importanza supera di gran lunga la sua
fama.
Dopo il MAXXI la mostra sarà ospitata
in altre sedi museali tra cui, nel maggio
2014, presso la prestigiosa sede dei
Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia,
durante il Festival Fotografia Europea.
Glossario
approccio critico: metodo seguito in uno studio, in una ricerca
“Icone”: qui, immagini artistiche, simboli di una realtà
menabò: progetto grafico di prova per la realizzazione finale di
una rivista, di un film etc…
15
Sport
Simeoni, tanti auguri e un grazie:
ci ha insegnato lo sport femminile
In occasione del
suo sessantesimo
compleanno, la “regina”
dell’atletica italiana
racconta la sua carriera
fatta di sfide, impegno e
soprattutto della “gioia di
gareggiare.
[
Tratto da
]
Prima dei voli di Sara, che compie
60 anni, gli uomini davanti alla tv
snobbavano* le donne. Un grande
palmares: due record del mondo, un oro
e due argenti olimpici, un Europeo. “Il
segreto era nella gioia di gareggiare”
La regina vive in una reggia alla fine del
paese, su una collinetta circondata dalle
viti. Una reggia derivata da una vecchia
cascina, un centinaio di metri sopra
quella di papà Giuseppe, ristrutturata
con gusto e rispetto, frutto dei suoi voli
nel cielo. Non si può sbagliare: sul muro
a lato del cancello c’è una targa B&B
Sara 2.01.
Sara Simeoni, la regina, festeggia 60
anni e li porta con la stessa classe con cui
raggiungeva le nuvole. Tutti pensano alla
medaglia d’oro conquistata all’Olimpiade
di Mosca nel 1980. No, la sua vittoria
più importante, nei 12 anni di carriera
al massimo livello (dal ’72 all’84) è stato
dare dignità a tutto lo sport femminile.
Prima di lei non c’era uomo, se non
raramente, che si fermasse davanti al
video per osservare il gesto atletico di
una donna. Sara li ha incuriositi, bloccati,
esaltati, caricati d’ansia, fatti esplodere
di gioia. Perché Sara Simeoni vinceva
quando doveva vincere, si migliorava
nelle occasioni importanti. Il record del
mondo (2.01) superato due volte, un oro
e due argenti olimpici, il titolo europeo.
16
Nelle immagini: Sara Simeoni in
alcuni della sua carriera sportiva.
Sara, qual era il segreto?
Che in gara mi divertivo, mi trovavo in
mezzo alle altre, non c’era la solitudine
di tanti allenamenti. C’era sempre da
imparare. E poi Erminio, Erminio Azzaro,
mio marito, il mio allenatore. Insieme
abbiamo provato, studiato, capito,
sperimentato.
Quando si è accorta del suo talento?
Mai, e neppure pensavo di diventare una
saltatrice in alto. Andai al campo per la
prima volta su invito della professoressa
di educazione fisica della scuola media.
Avevo 13 anni. Chiamarli allenamenti è
troppo, si giocava, si stava in compagnia.
Facevo un po’ di tutto, ma odiavo le
campestri e la faticaccia che si faceva.
Saltavo all’italiana, affrontavo l’asticella
frontalmente, come gli ostacoli in pista,
poi, a 14 anni, sono passata alla forbice.
Mi fece decidere per l’alto il fatto che
feci subito il record per la mia età, a 13
anni, 1.15.
Poi il Fosbury, lo stile di cui è stata la
prima grande interprete
Avrei dovuto imparare lo stile
ventrale per salire, ma non mi
piaceva, soprattutto certi lavori
dell’allenamento mi facevano paura.
E poi la dinamicità del Fosbury mi
incuriosiva. Ho cominciato subito, nel
1968 già con il mio primo allenatore,
Bragagnolo, poi con Erminio. Ma
ho rischiato l’osso del collo prima di
imparare.
Azzaro, la sua stella polare
Gli devo tanto. Ci siamo messi insieme
a Sochi nel ’72, in un raduno federale
in Unione Sovietica. Erminio era a fine
carriera e venne a insegnare a Verona,
ma l’ho costretto io a diventare un
allenatore.
Come?
Erano nati dei problemi con
Bragagnolo, non amava le novità, oltre
che da tecnico faceva anche un po’ il
papà. Dissi ad Erminio che se non mi
avesse allenato avrei smesso.
Ho cominciato a prendere l’atletica
seriamente solo dopo i Giochi di
Monaco ’72. Mi ero classificata sesta,
mi ero migliorata di 5 centimetri ed
ero a tre dal podio. Capii che le atlete
dell’Est non erano irraggiungibili.
Insieme l’avventura a Formia, una scelta
di professionismo* assoluto.
Piano. Ho cominciato a prendere
l’atletica seriamente solo dopo i Giochi
di Monaco ’72. Mi ero classificata sesta,
mi ero migliorata di 5 centimetri ed
ero a tre dal podio. Capii che le atlete
dell’Est non erano irraggiungibili.
Avevo 19 anni, concluso il liceo artistico
mi iscrissi all’Isef a Bologna ed andai
ad allenarmi anche sui campo di
Carabinieri. Unica donna. Ma l’inverno
faceva freddo come a Verona. Così,
concluso l’Isef, decisi insieme alla
federazione di trasferirmi a Formia.
subito come “le nuove Simeoni”. Ho
la sensazione che questi ragazzi non si
divertano più, si comincia troppo presto
con l’allenamento vero.
Clausura?
No se ti piace. C’era Mennea, arrivò
Belardinelli con i suoi tennisti, si creò un
ambiente bello. Si lavorava duramente
ma ci si divertiva pure. Non andavamo in
discoteca, la creavamo dentro...
Tornasse ragazzina scenderebbe ancora
in pedana?
Ora è più difficile, forse dopo un anno
smetterei. Ho la sensazione che si
percorra una strada sbagliata. Ho la
sensazione che questi ragazzi non si
divertano più, si comincia troppo presto
con l’allenamento vero dimenticandosi
che ogni sport è innanzitutto un gioco,
che si deve giocare.
Sessant’anni, qualche rimpianto?
Forse per gli infortuni che mi hanno
stoppato. Con Erminio siamo convinti
che avrei potuto salire ancora oltre i
2.01. L’argento all’Olimpiade di Los
Angeles nel 1984 conquistato superando
i 2 metri con un tendine d’Achille
grosso il doppio mi ha lasciato qualche
rimpianto.
Ho visto in questi anni quante giovani
saltatrici hanno bruciato bollandole
Cosa è per lei oggi l’atletica?
“Sempre una bellissima disciplina e cerco
di spiegarlo anche agli studenti del mio
corso all’Università di Chieti, 540 km dal
cancello di casa. Insegno le discipline
sportive individuali alla facoltà di scienze
motorie, teoria e pratica di tutte le
specialità dell’atletica. Almeno lì posso
dare qualcosa del bagaglio accumulato
in questo 60 anni.
Glossario
professionismo: capacità di lavorare con professionalità ed
impegno
snobbavano: non consideravano con la giusta serietà ed
importanza
17
Tradizioni
Firenze e la festa
della Rificolona
Come da tradizione, il 7
di Settembre le strade di
Firenze si riempiranno
di lanterne colorate per
celebrare la festa della
Rificolona: una delle
feste cittadine più amate
da grandi e piccini, che
riempie le strade di
colore e di allegria, che
ci aiuta a salutare l’inizio
dell’autunno con la giusta
dose di spensieratezza
[
Tratto da www.teladoiofirenze.it
]
Le origini
Questa gioiosa festa risale al tempo
in cui i contadini con le loro donne
scendevano in città dalla Montagna
Pistoiese e dal Casentino per
festeggiare la natività della Madonna
nella Basilica della Santissima
Annunziata.
Durante questo pellegrinaggio, i
contadini erano soliti vendere i loro
prodotti alla fiera-mercato che si
svolgeva l’indomani nella zona di via
dei Servi.
Per assicurarsi una postazione
vantaggiosa alla fiera, essi partivano
dalle loro abitazioni in piena notte,
utilizzando delle lanterne di varia
18
Firenze, alcuni momenti della festa della Rificolona.
Rificolona
Rificolona (o fierucolona) Tipo di
palloncino di carta simile a quelli alla
veneziana, con lumicino nell’interno,
modellato nelle fogge più svariate
e fantasiose che per usanza
popolaresca i giovani di Firenze
portano illuminate, in cima a un lungo
bastone, in giro per la città la sera del
7 settembre, vigilia della festa della
Natività di Maria Vergine, cantando
canzoni più o meno licenziose e vari
ritornelli. La manifestazione è detta
rificolonata .
www.treccani.it /enciclopedie on line
forma appese in cima a bastoni, per
rischiarare* il cammino.
Con queste lanterne di carta o
tela, aperte in cima per consentire
alla candela o al sego dello scodellino
di bruciare, arrivavano a Firenze la
sera prima della fiera, sistemandosi
nella zona di Santissima Annunziata e
sotto i loggiati dell’omonima piazza.
Il nome
L’origine del nome “rificolona”
ha poi a che fare con lo spirito
goliardico e canzonatorio tipico
della fiorentinità*. Le donne della
campagna che arrivavano per la
fiera avevano spesso un aspetto
goffo e trasandato.
Questo era motivo di scherno
da parte dei cittadini di
Firenze, che usavano appellarle
come “fierucolone”: la
desinenza colone o culone, unita
al prefisso “fiera”, divenne così un
modo per riferirsi a queste donne
trasandate e dai floridi *posteriori.
L’espressione, poi evolutasi nel
tempo in “rificolona”, andava così
a indicare una persona giunonica*
e sempliciotta*, dall’apparenza
trasandata e talvolta eccentrica.
La festa della Rificolona,
ormai divenuta immancabile
tradizione, offre ogni anno un
ricco calendario di eventi nei giorni
intorno al 7 di Settembre, data
ufficiale della ricorrenza.
Nonostante i fiorentini abbiano
sempre celebrato il “rito” della
rificolona, che comunque è sempre
rimasto legato alla festa religiosa
della Natività di Maria, verso la
fine del secolo scorso la rificolona
cadde *un po’ di tono.
Dall’aprile del 2003, grazie alla
Compagnia Fiorentina della
Rificolona, nata dalla collaborazione
di associazioni, cittadini, negozianti,
abitanti del centro storico
fiorentino, rappresentanti di alcune
parrocchie, è ripresa alla grande
con la partecipazione ufficiale del
Comune, con Gonfalone e Sindaco,
o suo Assessore, del Presidente del
Quartiere 1 e dell’Arcivescovo di
Firenze.
Glossario
cadde un po’ di tono: modo di dire, non fu più una festa
attesa e celebrata
fiorentinità: modo di essere tipico della città di Firenze e dei
suoi abitanti
floridi posteriori: qui espressione ironica, ad indicare i larghi
fianchi delle donne
giunonica: aggettivo, fisicamente imponente
rischiarare il cammino: illuminare la strada da percorrere
sempliciotta: aggettivo, si dice di una persona poco raffinata
19
Scrittori italiani
Alessandro D’Avenia:
«Per me scrivere e insegnare
vogliono dire vivere»
musica ascoltavo. Lì ho capito che la realtà
non è solo quella che si vede ma, come
direbbe Montale, ogni immagine, ogni
cosa dice “più in là”». Una lotta continua,
vorace, con i libri, «per strapparne segreti,
verità». Inizia così per lui una sfida radicale,
un ininterrotto cercare il segreto delle
cose, che lo porterà a intraprendere la
nuova avventura della scrittura. «Noi a
volte pensiamo di dover parlare con Dio
in una maniera straordinaria, cercando di
inventare chissà che cosa, mentre l’alfabeto
che Dio ci ha prestato per parlare con Lui
sono i talenti che abbiamo», racconta
con il suo accento inconfondibile, metà
accada». Una lotta quotidiana per aiutare
le cose a compiersi. «Coltivare vuol dire che
non tutto è già detto, ma che il Creato ha
delle possibilità, tutte da scoprire». (…)
Così, le testimonianze di molti della storia
(dal cantante del momento all’amico di
sempre, dal poeta di centinaia di anni fa
al professore incontrato durante un’ora di
supplenza) diventano fondamentali per
una crescita personale. Un valore aggiunto
che non possiamo permetterci di perdere.
«Noi siamo sin dal grembo delle nostre
madri degli esseri che costruiscono sé stessi
nel tempo: siamo storici. Ci servono le storie
per capire qual è la nostra, la quale però
siciliano e metà milanese. «Per me scrivere
e insegnare vogliono dire vivere, perché
io so fare questo. È dove mi sento a casa,
nel posto giusto all’interno del mondo;
è una maniera di parlare con Dio, quindi
di pregare e vivere, perché la preghiera è
vita».
È chiaro fin da subito che in ballo non
ci sono lezioni scolastiche più o meno
seducenti o metodi di scrittura più o
meno accattivanti: entra in gioco un
concetto più ampio, che coinvolge
ogni sottile sfaccettatura della vita.
Come quello della vocazione. «Si tratta
semplicemente di rinascere ogni giorno»,
racconta il Prof2punto0 (questo il suo
nome su twitter). «Mi viene sempre in
mente la scena originaria della vocazione
dell’uomo, quella di Adamo, posto
nell’Eden per custodirlo e coltivarlo».
Custodire e coltivare sono due verbi che
ama particolarmente, soprattutto nella loro
singolare sequenza: «Custodire significa
amare: tu vedi il seme della rosa e, siccome
sai che diventerà una rosa, fai di tutto
perché si creino le condizioni per cui questo
non possiamo sapere in anticipo. Quindi,
c’è questo equilibrio instabile di desiderio
di sapere come va a finire, accompagnato
dal fatto che non lo possiamo veramente
prevedere». Un rischio continuo. Esiste
però qualcosa che lega migliaia di uomini,
un enorme fil rouge storico: si tratta della
«sete di destino, del desiderio di destinare
la propria esistenza». Ma attenzione: «Il
relativismo culturale in cui siamo immersi
ha un effetto devastante su questo, perché
per esso non esistono storie più valide di
altre. È interessante, invece, vedere che
lo stesso cristianesimo è una storia: è la
storia di Gesù Cristo, non è chissà quale
teoria. È l’unica storia di cui sappiamo che,
nonostante le cadute e le ferite, andrà
bene».
L’autore del libro di
grande successo Bianca
come il latte, rossa come
il sangue si racconta.
Le prime letture, la
vocazione, il rapporto con
Dio e con gli altri. E con il
dolore.
[
Tratto da www.tempi.it
di Giovanni Ferrari
]
Incontriamo Alessandro D’Avenia a due
passi dal Cenacolo leopardiano a Milano,
nella scuola dove insegna già da alcuni
anni. Italiano e latino. Due materie
apparentemente ostiche, considerate
lontane dai “veri problemi”, ostacoli a una
vita più tranquilla e spensierata. Ma c’è
chi, come il professor D’Avenia, non ci sta;
sarebbe un peccato perdere l’occasione di
conoscere Leopardi, Seneca e Omero, tutti
autori che stima e cita con occhi lucidi.
Sono le dieci e quaranta di mattina,
prendiamo un caffè nel bar della scuola.
Corridoi vuoti, aule piene. Immediatamente
ci immedesimiamo in uno dei tanti ragazzi
e chiediamo di farlo anche ad Alessandro.
«Mi ricordo perfettamente i due giorni e
mezzo passati ininterrottamente a leggere
Lo Hobbit di Tolkien, il primo libro che ha
aperto in me la magia della letteratura»,
confida. «Ero in quinta elementare e mi
ricordo in che stanza lo leggevo, e che
20
Bianca come il latte,
rossa come il sangue
Bianca come il latte, rossa come il
sangue è diventata subito un bestseller
internazionale; tradotto e distribuito
in oltre venti paesi. Ma per D’Avenia il
successo non è sinonimo* di quel milione
più affascinante. Per quanto riguarda l’altro
tipo di dolore (quello che non ci scegliamo
noi), «non ci sono uomini che lo abbiano
risolto. C’è solo un fatto, che è quello della
resurrezione di Cristo, dove morte e dolore
non hanno l’ultima parola». Si tratta,
secondo D’Avenia, dell’unica vera possibilità
di integrare il dolore e la morte all’interno di
un fatto dove «a vincere è l’amore». Questa
è una ricerca che «ciascuno fa personalmente
e autonomamente, a cui io mi aggrappo
con tutte le mie forze perché altrimenti non
saprei gestire e affrontare sconfitte e dolori».
Dopo una lunga operazione di produzione
e riprese (condivisa dallo stesso D’Avenia
con molti lettori, attraverso un continuo
aggiornamento sui social network), è ora
nelle sale di tutta Italia il film prodotto da
Lux Vide e Rai Cinema tratto dallo stesso
romanzo.
Lo scrittore e insegnante Alessandro D’Avenia.
di copie vendute. È invece un continuo
amore, dato e ricevuto, soprattutto dopo
la pubblicazione del romanzo. «Tra tutte
le storie di lettori e persone intraviste e
conosciute ne ho una che mi è rimasta
particolarmente impressa. Una ragazza
malata di anoressia mi ha scritto il giorno
in cui è stata dimessa dall’ospedale. Una
dottoressa le aveva lasciato sul comodino
il mio libro che, rimasto chiuso per molti
giorni, le ha fatto inaspettatamente*
compagnia in una notte insonne. Vedere
raccontato il dolore con speranza ha
sbloccato in lei qualcosa, spingendola a
reagire». Nasce così uno scambio di mail
che interroga e accompagna entrambi. Ma
dopo un mese di silenzio, D’Avenia riceve
un messaggio dalla madre della ragazza:
«Mi aveva scritto per dirmi della morte
della figlia. Nel ringraziarmi, ricopiava una
pagina del diario della figlia dedicata al
mio libro e alla corrispondenza con me».
Alla fine di questa pagina, una frase del
romanzo: «Proprio quando ci sentiamo
più poveri, la vita, come una madre, sta
cucendo per noi il vestito più bello». La
conferma che quel libro andava scritto.
Ne è valsa senza dubbio la pena, dice
D’Avenia, anche se tutto ciò comporta una
enorme responsabilità. «Essere responsabili
vuol dire provare a essere all’altezza di
quello che la realtà ti chiede: la realtà
chiama e tu devi rispondere». In uno
dei suoi libri più conosciuti, Diario di un
dolore, C. S. Lewis afferma che «il dolore è
una crepa in mezzo alla parete uniforme
della razionalità umana». È un vuoto, un
qualcosa di difficile da ricostituire, come
emerge dalla storia tra Leo e Beatrice
(protagonisti di Bianca come il latte, rossa
come il sangue), segnata da una ferita a
volte insopportabile e insostenibile. Ma il
dolore «va letto in chiave di compimento.
Io credo ci sia un dolore buono, quotidiano,
– dice D’Avenia – che è il doversi un po’
espropriare* di noi stessi, vincendo il
proprio egoismo, il proprio limite nella
capacità di amare». Così, cambia anche il
modo di entrare in classe, di presentare
un autore. Un modo più faticoso di
affrontare il quotidiano, ma decisamente
Un lavoro che ha affascinato l’autore, che
racconta: «Mi sono goduto lo spettacolo di
gente che apportava a qualcosa di mio la
sua capacità di prendersi cura del proprio
pezzo di giardino dell’Eden». Una storia che,
nata privatamente, si ricrea dal contributo
di molti collaboratori. «La cosa più bella
è stata vedere che una storia che avevo
inventato metteva in moto la vita interiore e
la professionalità di tante altre persone. Non
era più una cosa solo mia, ma si arricchiva
dello stare al mondo degli altri. Ho sofferto
perché molte volte vedevo “il mio territorio”
invaso, ma si trattava semplicemente di
ripensare i personaggi dandogli nuove
sfumature».
Tantissimi dettagli che solitamente non
si notano, nascono invece da un lavoro
certosino di molti, come quello della
scenografa che «ha trasformato una città
intera con questo gioco di colori». Bianco
e rosso. Ma anche la scelta degli attori
non è stata fatta in modo casuale: ognuno
aveva un motivo che l’ha portato in quella
storia. L’attrice francese Gaia Weiss, non
ancora particolarmente nota nel Belpaese,
ha perso la cugina a causa di una feroce
leucemia e, per prepararsi a interpretare
la rossa Beatrice, ha letto e riletto le
sue annotazioni giornaliere, regalatele
dallo zio per l’occasione. Come riconosce
D’Avenia, «quando ci prendiamo cura (ossia
custodiamo e coltiviamo) del nostro pezzo
di giardino, inevitabilmente succede che
quel pezzo diventa casa anche di tanti altri.
Immagina che posto potrebbe essere il
mondo!».
Glossario
certosino: aggettivo, estremamente preciso e laborioso
espropriare: qui, privarsi,portare via da sé
inaspettatamente: sorprendentemente, in modo inatteso
21
Giochi e attività
Salone del Gusto 2013 a Torino
Rileggi l’articolo sul Salone del Gusto 2013
e completa il brano.
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Furono
Possedevano
Diverrà si vuole
fondazione
Intraprendere
pescatori
pastori
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discutono
scambiandosi
soluzioni
neo gastronomi
palato
attraente
avviene
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avvento
approccio elitario
Promotore
consumatori
produttori
1 Inizialmente ............................................ Gran Menu a Verona e Milano
Golosa, 1994, due eventi che ............................................ già alcuni degli
elementi caratterizzanti di quello che ............................................ poi il
Salone del Gusto sperimentale del 1996
2 12 anni (22 se ............................................ considerare come prima tappa l
’anno di ............................................ di Slow Food) per ............................................
questo viaggio alle radici del cibo
3 All’Oval ............................................ toscani e mauritani, .........................................
... abruzzesi e mongoli, ............................................ sul futuro del loro lavoro,
............................................ idee, ............................................ , prospettive
4 I ............................................ percorrono gli stand del Lingotto, affinando il
loro ............................................ nei Laboratori del Gusto, educandosi a una
produzione sempre più ............................................
5 L’esplosione ............................................ due anni dopo, con la seconda
edizione, l’............................................ del Mercato e oltre 130.000 visitatori
che ribaltano l’............................................ alla gastronomia di qualità
6 Nel 2006, il cappello filosofico del “buono, pulito e giusto” è il .................
........................... di una fusione fra le due anime di Slow Food: .......................
..................... e ............................................
Con la Scala nel cuore
Rileggi l’intervista a Roberto Bolle, poi collega le frasi che seguono
1
Non smetto mai di scoprire sfumature nuove in Giselle
2
La storia è colma di sentimenti vividi
3
La Scala è la mia casa, la mia radice. E’ stato l’avvio del viaggio
4
Una delle grandi qualità della star internazionale
di massimo successo Roberto Bolle
5
Danzatore di tecnica puntuale, ha un talento interpretativo
6
La prima volta che ho danzato
sul palcoscenico della Scala avevo quindici anni
a. che sembra alimentarsi di note
sempre più profonde e complesse
lungo gli anni.
b. in un saggio della scuola di ballo:
fu il mio battesimo. Seguirono
incontri, esperienze, conferme,
emozioni
c. che ho danzato per la prima volta a
ventidue anni, nel 1998
d. e oggi è un approdo fatto di
continui ritorni
e. e affrontabili da prospettive diverse
f. è un’indole imprevedibilmente
gentile e delicata
Soluzioni
Salone del Gusto 2013. 1. Furono – Possedevano –
Diverrà ; 2. si vuole - fondazione – Intraprendere;
3. pescatori– pastori – discutono – scambiandosi –
soluzioni; 4. neo gastronomi – palato – attraente;
5. avviene – avvento- approccio elitario; 6. Promotoreconsumatori- produttori.
Con la scala nel cuore. 1. c; 2. e; 3. d; 4. f; 5. a; 6. b.
22
ELI Readers
La scoperta
di leggere in lingua
LETTURE GRADUATE
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in mostra all’Ara Pacis
Una recente mostra al
Museo dell’Ara Pacis di
Roma è stata l’occasione
per ripercorrere la vita
cinematografica di Vittorio
De Sica, il “nostro primo
divo moderno”.
[
Tratto da
]
Cantante, attore di rivista, di prosa e di
cinema, regista e padre. Tutto questa era
Vittorio De Sica (Sora 1901 - Neuilly 1974),
“il nostro primo divo moderno, comparabile
Il castagnaccio è
alle stelle del firmamento cinematografico
un dolce molto
internazionale, a Gary Cooper, Maurice
particolare ma
Chevalier e Hans Albers”, così lo definisce
abbastanza
facile della
da
Gian
Luca Farinelli, direttore
realizzare,
preparato
Fondazione Cineteca di Bologna e curatore
conmostra
la farina
di allestita al Museo
della
Tutti De Sica,
castagna.
Nell’800
dell’Ara Pacis di Roma.
i toscani esportarono
il castagnaccio
nel 400
Oltre
venti manifesti originali,
fotografie
che lo ritraggono
sul set, fuori
resto d’Italia
e nello
dal
set, sul palcoscenico,
a fianco dei figli
stesso
secolo questo
Manuel,
ed arricchito
Emi, alle due mogli
dolceChristian
venne
Giuditta
Rissone e Maria
Mercader,
con uvetta,
pinoli
e a fianco
del
solidale
braccio
destro
Cesare
Zavattini,
rosmarino.
con il quale per trent’anni strinse uno dei
sodalizi*
più felici del cinema italiano. (…)
Ingredienti
• 750 ml di acqua
Tutti
i volti di Vittorio De Sica
• 500 g di farina
E non mancano lettere private, oggetti vari
di castagne
(anche la bicicletta di Ladri di biciclette),
• 100
g di gherigli
di noce
abiti
indossati
sul set, copertine
di riviste,
•
6
cucchiai
di
olio
ritagli di giornali e video proiezioni sparsi
extravergine
di olivae multimediale.
lungo
il percorso espositivo
•
100
g
di
pinoli
Un percorso che procede cronologicamente,
• una manciata
aghi
attraverso
le varie fasidi
della
carriera
di rosmarino
multistrato*
del maestro che deve il lancio
nel
mondo
dello spettacolo
• un
pizzico
di sale alla sua voce.
Ebbene
sì, di
le incisioni
• 80 g
uvetta discografiche gli
aprirono le porte della popolarità, basti
citare Parlami d’amore, Mariù, una canzone
Il neorealismo *
Poi arrivò il De Sica neorealista de I
bambini ci guardano (1943), di Sciuscià
(1946), di Ladri di biciclette (1948) per cui
vinse l’Oscar come miglior film straniero,
di Miracolo a Milano (1950) e Umberto
D. (1952). Fu vedendo Sciuscià che Orson
Welles rivelò: “De Sica è il cineasta che
preferisco. Ah! ‘Sciuscià’ è il miglior film
che abbia mai visto”.
Le foto in bianco e nero non si contano,
inondano le pareti del museo, mentre
proiezioni video di scene tratte dai film
affiancano i poster dai colori vivaci. E
particolarmente colorata è la sezione
dedicata a Sophia Loren e al sodalizio
con il regista/attore che fruttò un buon
successo al botteghino, pensiamo a L’oro
di Napoli (1954), a Ieri oggi e domani
(1963), alla Ciociara (1960) e a Matrimonio
all’Italia (1964).
De Sica fu colui che, più di altri, riuscì
a mostrare la duttilità* della Loren. E
poi c’è il ritorno del De Sica attore in
numerosissimi commedie leggere. Chi si
dimentica il maresciallo Carotenuto in
Pane amore e fantasia? Il suo abito lo
troverete allestito tra i vari oggetti, ci sono
anche una borsa ventiquattrore e due
libretti che certificano il matrimonio di
De Sica con le mogli. Un ricordo speciale
lo merita Il generale Della Rovere (1959)
firmato da Roberto Rossellini.
Glossario
duttilità: versatilità, capacità di interpretare ruoli diversi
multistrato: qui, dalle notevoli capacità artistiche
neorealismo: corrente culturale, letteraria e cinematografica
della seconda metà del 900 italiano
sodalizio: intesa, accordo
Oggitalia n. 7 - 2013 - Poste Italiane S.P.A. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 1, DCB - Ancona
Tutti i volti di Vittorio De Sica
che lo “tormentò” per tutta la vita. Ma fu
anche Mario Mattoli con la sua impresa di
spettacolo Za Bum a portarlo alla ribalta
con il varietà di rivista.
Fu grazie a questi spettacoli che Mario
Camerini conobbe De Sica e lo spogliò
degli abiti teatrali, del frac elegante, per
mettergli le vesti di autista in Gli uomini,
che mascalzoni… (1932). Tra i due nacque
un buon rapporto professionale che li
portò a firmare cinque film negli anni
Trenta e altri tre tra il 1955 e il 1971.
Gli anni Quaranta segnarono l’esordio
dietro la macchina da presa di De Sica,
Teresa Venerdì fu uno dei suoi primi film.
Il neo regista si rivelò anche un talent
scout, scovò volti nuovi come quelli di
Carla Del Poggio e Adriana Benetti che
aveva “un’aria casereccia”, un preludio
al Neorealismo prossimo venturo, si
diceva. Carlo Lizzani definisce questi
lungometraggi “segnali nel buio nel
cinema di quegli anni”.
Tassa Riscossa/Taxe Perçue
Grandi attori italiani
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