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«Imporre l`idea che la differenza sessuale non esiste distrugge la
settimanale diretto da luigi amicone
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
Matrimoni gay
Non basta
l’amore
«Imporre l’idea che la differenza
sessuale non esiste distrugge
la società e rovina i bambini».
Un grande psichiatra contro
la sentenza della Cassazione
anno 18 | numero 12 | 28 marzo 2012 |  2,00
EDITORIALI
CHI DIFENDE GLI INNOCENTI?
I “diritti umani” estesi al capriccio gay
hanno un costo. E lo pagano i bambini
O
la pensi come loro o sei “omofobo”. Da Washington a Roma c’è un solo capitolo in cui
è impedita ogni opinione controcorrente, ogni pronunciamento democratico, ogni
espressione di dissenso: l’agenda gay. In cima ai grattacieli del potere qualcuno ha
deciso che, in nome di “diritti umani” estesi a capriccio, dobbiamo tutti obbedire a un
pensiero unico. Non puoi più dire che in natura esistono uomini e donne. Non puoi più
dire che ogni bambino ha diritto ad avere un padre e una madre. Non puoi più dire che
un figlio non è un mero oggetto del desiderio. Puoi dire soltanto ciò che volontà di potenza e di propaganda pensano in materia di produzione e mercificazione di “nuova umanità”. Perciò sei dannato tra l’ultradestra se in Costituzione metti la difesa della vita “fin dal
concepimento” (vedi Ungheria) e non metti i “diritti riproduttivi” (vedi aborto). Perciò devi chiamare “matrimonio” le unioni dello stesso sesso. Perciò, devi riconoscere la biodiversità al mondo minerale, vegetale, animale, ma la devi negare agli esseri umani. Sono casi
di tutti i giorni, martellati, uguali, diffusi dalle agenzie del dominio. È il caso della recente sentenza della Cassazione italiana, sono i casi delle direttive Onu e Ue, che fanno obbligo alle legislazioni di adeguarsi al dogma dell’indifferenziazione sessuale. Chi paga il conto di questa menzogna che è ormai regime di polizia? Sono i bambini. Bambini a cui viene
imposto di venire al mondo secondo tecniche
procreative disumane. Bambini a cui vengo- Bambini a cui viene imposto di venire
no imposti due mamme o due papà, quando al mondo con tecniche procreative
non addirittura la cosiddetta “comune” o “fa- disumane. Bambini a cui vengono
miglia aperta”. Bambini per i quali l’insemi- imposti due mamme o due papà,
natore diventa il terzo genitore di una coppia
lesbica o la gestante che affitta il proprio ute- se non la “famiglia aperta”. Bambini
ro diventa la “zia” nella coppia omosessuale. per cui l’inseminatore magari diventa
il terzo genitore di una coppia lesbica
Chi difende “i diritti umani” degli innocenti?
FAMIGLIE, LE VERE DISCRIMINATE
Parificare i conviventi ai coniugi?
Giusto, soffrano un po’ anche loro
Q
Occhio al disavanzo.
Troppa spesa pubblica
e poca sussidiarietà
portano il welfare agli
errori degli anni ’70
E
si arriverà comunque a un accordo sul lavoro: così
impongono (in questo caso opportunamente) i nostri vari commissari
(tedeschi, americani, uomini della finanza). Alcuni risultati importanti saranno
di certo acquisiti: un uso intelligente
dell’apprendistato, ammortizzatori
opportuni per gli ultracinquantenni e –
si spera – qualche intervento sull’articolo 18 che ne diminuisca il carattere
scoraggia-investimenti (per decidere su
una causa di lavoro si superano anche i
dieci anni) e di prevalenza centralistica
(magistratura più innanzitutto Cgil)
sulle relazioni di lavoro. Assieme a questi utili provvedimenti si intravedono
anche scelte meno felici: alzare troppo
la contribuzione sul lavoro “precario”
in tempi di crisi può provocare cadute
dell’occupazione invece che chance per
i giovani. Aumentare la spesa pubblica
per ammortizzatori pur giusti teoricamente pare inopportuno con un governo così tassaiolo, stringere la morsa
centralistica sul sistema sussidiario che
si stava delineando tra enti bilaterali,
gestione comune delle varie casse e accordi aziendali, appare indirizzo ispirato
a un giacobinismo arrogante già causa
di tanti guai per l’Italia. Negli anni Settanta, affrontando una dura emergenza
con governi di solidarietà nazionale e
favorendo diritti sacrosanti (alla salute
e a una serena vecchiaia innanzitutto)
in modo astratto e stataliE
stico, abbiamo preparato
il disavanzo di oggi.
Bisognerebbe che i
commissari risanatori
in carica non ripercorressero la stessa via.
Lodovico Festa
ntro marzo
ls a
| 28 marzo 2012 |
3
ro
|
Forne
ual è il paradosso della sentenza con cui la Cassazione ha stabilito il diritto per le coppie
di fatto e gay «a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia
coniugata»? Lo ha descritto Costanza Miriano in una lettera pubblicata dal Foglio il
17 marzo. «Sono contenta che alle coppie omosessuali vengano dati gli stessi diritti delle famiglie, perché così ne avranno di meno. Auspico adesso una sentenza della Cassazione che
conceda alle famiglie almeno gli stessi diritti delle coppie di conviventi, omosessuali e non.
Contrariamente a quanto dicono i giornali schierati quasi compatti, infatti, è estremamente svantaggioso per un uomo e una donna sposarsi, non parliamo di fare figli, non parliamo poi di farne qualcuno in più. I conviventi ricevono assegni familiari molto più alti degli
sposati, perché non sommano i loro redditi, anche se i figli sono riconosciuti da entrambi.
È solo quando si sposano che glieli tolgono, perché marito e moglie invece cumulano i redditi, tanto che è in sensibile aumento il numero delle coppie che si separano per finta, per
godere dei significativi vantaggi fiscali. I figli delle mamme sole – anche se lo sono solo sulla carta – hanno più punti nelle graduatorie per gli asili pubblici. Quando mio marito è venuto a soccorrermi all’ospedale dopo un incidente, e non perché partorissi uno dei figli,
pur essendo io in condizioni critiche, nessuno gli ha chiesto nessun certificato di matrimonio, né ho mai conosciuto qualcuno in carne e ossa
«Le coppie di fatto ricevono
– a parte quelli reclutati per esprimere indignazioassegni familiari più alti
ne sui giornali – a cui sia successo davvero. Tutti i
degli sposi. Solo se si sposano conviventi che conosco hanno mutui e case cointestate: è il reddito, non certo lo stato civile che integlieli tolgono, perché allora
ressa alla banca». È troppo chiedere a giudici e amcumulano i redditi, tanto che
ministratori di registri di coppie di fatto e gay
cresce il numero dei coniugi
di arrossire davanti a una così grande ingiuche si separano per finta»
stizia che essi insistono a perpetuare?
FOGLIETTO
SOMMARIO
IL SOGGETTO CHE CI SFUGGE
LA SETTIMANA
Martedì 13 marzo
22 bambini belgi
sono deceduti
in un incidente
stradale avenuto
a Sierre,
nel cantone
Vallese (Svizzera)
Foglietto
Lodovico Festa...................................3
12
Non sono d’accordo
Oscar Giannino.............................. 17
anno 18 | numero 12 | 28 marzo 2012 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
Boris Godunov
Renato Farina................................. 23
Le nuove lettere di
Berlicche..................................................... 39
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
MatrIMoNI gay
Non basta
l’amore
Com’è dura
la speranza
«Imporre l’idea che la differenza
sessuale non esiste distrugge
la società e rovina i bambini».
Un grande psichiatra contro
la sentenza della Cassazione
Presa d’aria
Paolo Togni........................................... 52
Mamma Oca
Annalena Valenti..................... 53
La nascita è qualcosa di incredibile e concreto.
L’essere, una clamorosa sconfitta del nulla.
Così, davanti al groviglio di lamiere di Sierre,
siamo costretti a considerare tutte le cose
dal punto di vista di chi le chiama alla vita.
È questa la vittoria che ci portiamo addosso
|
«L’idea che la differenza
sessuale non esiste distrugge
la società e rovina i bambini».
Lo psichiatra Italo Carta
contro la Cassazione
Annalisa Teggi..............................................................................................................................................................................................................................6
highlights
Solo su Tempi.it
inediti Ognigiornosutempi.it
I contenuti che trovate in
queste pagine sono sintesi
degli articoli, le analisi,
i commenti realizzati
per il nostro sito.
IL QUOTIDIANO ONLINE
la settimana
lUigiAMiCOne
nellAtAnAdellUPO
ilformigonianocontrotutti
Tempi.it ha seguito in diretta twitter la presentazione
di Formigoni, biografia
non autorizzata con Luigi
Amicone e Marco Pannella.
DI TEMPI
lAteleFOnAtACOnMOggi
laserieAsecondol’exdgJuve
Ogni lunedì il campionato di
serie A commentato con
Luciano Moggi: «Finché
Moratti fa presidente, allenatore e direttore sportivo
per l’Inter non c’è futuro».
BenZinA,ACCiseMAledette
sonoletasseabloccareilprezzo
Il prezzo della benzina continua a
salire. Perché? Tempi.it lo ha chiesto
a Franco Ferrari Aggradi, presidente
di Assopetroli. Non è solo
colpa di materie prime,
speculazione e crisi del
settore della raffinazione. Sono le accise
a pesare per il 60 per
cento sul prezzo: «Una
loro riduzione è difficile.
Il governo non ha risorse e si
parla di un aumento dell’Iva. Se con
la recessione l’importo è così alto, il
futuro riserverà brutte sorprese».
ilBlOg
diROdOlFOCAsAdei
ilmondoègrigio,
ilmondoèblu
Per l’inviato di Tempi
Rodolfo Casadei «solo un
padre africano può liberare
il mondo da Joseph Kony».
MOvielAnd
vistipervoidatempi
COPPiegAY,lOPsiChiAtRACARtACOntROlACAssAZiOne
così le violenta. Io voglio fare una famiglia con una persona del
mio stesso sesso, non solo chiedo di non essere discriminato ma
pretendo di generare, con tecniche violente e artificiali, e poi pure di allevare, un innocente in un contesto che non gli farà sicuramente bene. Se si salta il fondamento del diritto che è nella legge naturale, e nella ragione umana che la riconosce, la giustizia
muore. Non possiamo neppure più parlare di diritti universali.
«Ma non basta l’amore
per fare un matrimonio»
Cosaperdelasocietàsevaincrisil’istituzionedelmatrimonio
basatosullanaturaeterosessualedeiconiugi?
La generatività e l’educazione sana delle persone. Non basta
l’amore per crescere dei bambini, servono due personalità differenti dal punto di vista psichico.
di BenedettaFrigerio
l
a corte di cassazione ha stabilito che le coppie omosessuali devono avere «diritto a un trattamento omogeneo
a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
Ma l’affermazione più rischiosa, non riportata dalla stampa, è
quella che definisce «radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico, della stessa esistenza del
matrimonio». «Questo è l’aspetto più grave di tutta la vicenda»,
spiega a tempi.it Italo Carta, rinomato psichiatra, già ordinario
di psichiatria e direttore della Scuola di specializzazione in Psichiatria all’Università degli studi di Milano. «Ho curato e curo
molti omosessuali e ritengo che, se vogliono mantenersi in questa condizione di coppia, possano ricevere certe tutele. Ma che il
matrimonio naturale sia così minacciato è una violenza distruttiva per la salute mentale della società intera».
MilAnO,FAMigliesenZAAiUti
Pisapia“ritira”174milaeuro
La giunta milanese guidata dal vendoliano Giuliano Pisapia ha bloccato
i fondi regionali stanziati per l’aiuto
psicologico a famiglie in difficoltà.
Sono mesi che la giunta non rivela
quale sia la nuova
destinazione di
174 mila euro che
mancano all’appello. Come saranno
utilizzati quei soldi?
«Non sappiamo
quanto ci vorrà a
decidere», ci hanno
risposto dagli uffici
comunali.
ipromotorideidirittigaysostengonochequestacondizioneè
naturaleecheladifferenzatrasessièunacostruzionesociale.
Nei miei cinquant’anni di lavoro ho seguito tanti omosessuali. La scienza e l’esperienza dicono che non c’è alcun difetto di natura in loro. Non esiste l’omosessualità naturale, non è
iscritta nel Dna. L’omosessualità è un’elaborazione della psiche di modelli affettivi diversi da quelli verso cui
la natura normalmente orienta. Questa tendenza è del
tutto reversibile. Io mi sono scervellato per anni, ho letto molto su come si può correggere questa tendenza, il
problema è che spesso, pur vivendo un disagio, molti di
loro non vogliono correggersi.
nondovrebberoaveredeidiritticomeglieterosessuali?
Cosapuòaccadereselalegge,comeaccadenellasentenzadella
Cassazione,vacontroildirittonaturale?
Succede il caos. Se si tolgono le evidenze che accomunano gli
uomini, a prescindere dal contesto e dalla tradizione da cui provengono, si cade nell’arbitrarietà. Prevale il diritto del più forte,
di chi urla di più. In questo caso, quello dei promotori di tali diritti. Siamo in un momento storico in cui la volontà è così tracotante che prende il sopravvento sulla conoscenza delle cose. Ma
Foto: AP/LaPresse
ilBARçAgiOCACOiRiBelli
l’assurdateoriadellatvsiriana
Secondo la televisione di Stato
siriana i passaggi del campione del
Barcellona Lionel Messi sarebbero
dei messaggi in codice per far cadere il presidente Bashar el-Assad.
L’incredibile tesi è stata sostenuta
durante una trasmissione su Al
Dunya Tv. Nel video (che potete
ritrovare su tempi.it) si mostra la
rete di passaggi che ha portato i
giocatori del Barça a segnare un
gol contro gli avversari del Real
Madrid. Secondo il commentatore
Messi avrebbe passato la palla a
Pedro non per farlo segnare, ma per
avvisare i ribelli che le armi sono
arrivate nella città di Dir al-Zur.
| 28 marzo 2012 |
7
La tragedia. La sconfitta del nulla
Davanti al groviglio di lamiere di Sierre siamo costretti
a considerare le cose dal punto di vista di chi le chiama
alla vita. È questa la vittoria che ci portiamo addosso
12
12
| 28 marzo 2012 |
Bisogna fare dei distinguo: ci sono moltissimi soggetti promiscui e con vite sessuali instabili. Ma ci sono anche alcuni di
loro che vivono in coppia per molto tempo. Non mi darebbe fastidio se il legislatore concedesse loro qualche diritto, come già
di fatto avviene, con la possibilità di succedere nel contratto di
locazione, di ricevere prestazioni assistenziali dai consultori
familiari, di astenersi dal testimoniare in processi che vedono
coinvolto il partner eccetera. Ma non si può andare oltre a concessioni di questo tipo. Pena la salute mentale di terzi.
lAsUPReMACORte
elenOZZediFAttO
il15marzolaCorte
diCassazioneha
sentenziatosulcaso
didueuominiche
sieranosposatiin
Olandaechiedevanola
trascrizionedell’atto
dinozzeinitalia.Pur
respingendoilricorso,
lacortehastabilito
cheiduehanno«dirittoauntrattamento
omogeneoaquello
assicuratodallalegge
allacoppiaconiugata».
d’orainpoiognitribunalepotràconcedere
onegareundiritto
matrimonialeperogni
coppiagaychedecideràdipretenderlo.
Paola D’Antuono e Simone
Fortunato ci raccontano le
anteprime sul grande schermo. Quel che c’è da vedere
e cosa evitare.
UntheCOnAliCe
ilnuovodiscodiMadonna
valegiustocomesuoneria
Esce Mdna, il nuovo disco
di Madonna. Una delusione.
Un album buono solo per
aggiornare le suonerie dei
cellulari.
FOOtBAllisCOMinghOMe
Unosguardosullapatria
delcalcio
Muamba del Tottenham
si accascia al White Hart
Lane. Dieci secondi che
hanno lasciato senza fiato
la Premier League.
ARteMPi
Andarpermostreemusei
conunsempliceclick
Maria Pia Bruno quotidianamente ci racconta le novità
nel vasto mondo dell’arte.
gli artisti, le loro storie e le
rassegne più interessanti.
leCOnsegUenZe
deisentiMenti
sempreil15marzo
giulianoFerraraha
raccontatoaRadio
londrailcasodiun
tribunaleingleseche
haaffidatounbimbo
allatuteladellesue
duemammemaanche
delsuopapàbiologico,
gayasuavolta.il
videoèsutempi.it.
ePOitUttOilRestO
Corradi,trento,
gianninoelaRosa
Su tempi.it trovate tutte
le nostre firme, oltre che
le nostre rubriche. E con
la “Preghiera del mattino”
sbertucciamo un po’ i nostri
colleghi giornalisti.
|
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| 28 marzo 2012 |
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Matrimonio gay. «Una violenza distruttiva»
«Se si tolgono le evidenze che accomunano qualsiasi
uomo, a prescindere dal contesto e dalla tradizione da
cui proviene, si cade nell’arbitrarietà. E prevale il diritto
del più forte». Così lo psichiatra Italo Carta commenta
su tempi.it la sentenza della Corte di Cassazione........................ 12
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INTERNI
SECONDA PUNTATA
L’ABUSO D’UFFICIO
Alla sbarra dal 17 aprile
Continua la nostra inchiesta
sui fatti che hanno portato al
rinvio a giudizio dell’ex sostituto procuratore di Catanzaro
Luigi De Magistris, oggi
sindaco di Napoli, e del suo
consulente Gioacchino Genchi,
che dal 17 aprile dovranno
difendersi davanti al tribunale
di Roma dall’accusa di abuso
d’ufficio per aver utilizzato
i tabulati telefonici di otto
parlamentari senza chiedere
l’autorizzazione alle Camere.
Tra il 2006 e il 2007, nell’ambito dell’indagine “Why not”,
i due spiarono perfino Prodi e
Mastella, allora rispettivamente premier e guardasigilli, oltre
a Rutelli, Minniti, Gozi, Pisanu,
Gentile, Pittelli.
anno 18 | numero 11 | 21 marzo 2012 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1 ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
L’ex sostituto procuratore
di Catanzaro Luigi De Magistris
e il suo superconsulente Gioacchino Genchi,
a processo dal 17 aprile prossimo per
intercettazioni illegali
Perché De Magistris e Genchi nelle loro mirabolanti
inchieste sui fondi pubblici calabresi tenevano
sotto controllo il capo del servizio segreto militare?
L’interrogatorio del Comitato per la sicurezza
della Repubblica ai due “giustizieri” di Catanzaro
e io rappresento un caso è anche
perché, indubbiamente, c’è
una forte ansia e sete di giustizia. Nel paese e in Calabria. Forse la gente avrà notato la tenacia con cui ho portato fino in fondo il mio lavoro, le mie indagini (…). In tanti hanno detto che chiedevo
il consenso della piazza, attraverso le interviste televisive ma non è così (…). È miopia
politica vederla in questo modo. È malafede nei confronti di chi ha scelto di manifestare, non per me, ma perché evidente-
mente in me vedeva lo Stato». È il passaggio di un’intervista rilasciata da Luigi De
Magistris al giornalista del Fatto quotidiano Antonio Massari, contenuta in un voluminoso libro del 2008, Il caso De Magistris
(Aliberti editore, promozione e distribuzione Rcs), forse l’unica pubblicazione decente tra quelle in circolazione che riguardano l’ex pm. Tra parentesi, un’opera che
andrebbe in parte riscritta considerando la
piega presa dagli eventi: incidere 43 note a
piè di pagina, relative a poco più di 50 soggetti citati, specificando ogni volta che «nel
momento in cui scriviamo per il personaggio in questione non è stato provato alcun
Luigi De Magistris, ex
sostituto procuratore
di Catanzaro, è stato
eurodeputato dell’Idv e
oggi è sindaco di Napoli.
Gioacchino Genchi (foto
in basso), ex vicequestore,
è stato consulente
tecnico delle inchieste più
rumorose di De Magistris,
“Poseidone” e “Why not”.
Attualmente fa
l’avvocato a Palermo.
A sinistra, l’ex direttore
del Sismi Nicolò Pollari
LE CARTE SECRETATE
Copasir, le audizioni agli atti
Tra le carte del processo c’è
anche la documentazione delle
audizioni di De Magistris e
Genchi al Copasir, materiale
finora coperto da segreto di
Stato e perciò espunto dalle
indagini dei pm romani. Nel
2009 la coppia di Catanzaro fu
infatti convocata dal Comitato
parlamentare per la sicurezza
della Repubblica perché, oltre
alle utenze telefoniche del
Quirinale e di altre importanti
istituzioni italiane, aveva
messo sotto controllo anche
quelle di alcuni esponenti dei
servizi segreti apparentemente
non coinvolti nelle indagini.
Compreso Nicolò Pollari,
all’epoca direttore del Sismi.
Il Ros: «Tra il materiale consegnato da Genchi
risulta un’utenza con l’indicazione “Mancini”.
Pertanto acquisisce il tabulato sapendo che è
utilizzato da un appartenente ai servizi»
reato e quindi vale la presunzione di non
colpevolezza», e poi trovarseli tutti fuori
dalle inchieste, lascia sospettare che se non
si è discusso sul sesso degli angeli poco ci è
mancato. Cose che capitano.
In De Magistris, quindi, la gente «vedeva lo Stato». Secondo De Magistris. Secondo
lo Stato, invece, De Magistris e il suo consulente Gioacchino Genchi spiavano illegalmente alcuni parlamentari e una quantità indefinita di persone, tra le quali diversi esponenti dei servizi segreti. Si comincerà a capirci qualcosa a partire dal prossimo 17 aprile, quando a Roma inizierà il
processo in cui i due sono imputati proprio
Foto: AP/LaPresse, Sintesi
Secondo di una serie di articoli
di Peppe Rinaldi
«S
| 28 marzo 2012 |
per questo, ma solo per ciò che riguarda la
posizione dei parlamentari. Ancora non si
sa se e quando si chiarirà, invece, il grosso
del “lavoro” fatto dalla coppia di Catanzaro
su pezzi e apparati dello Stato tra un’ospitata tv, un allarme per la democrazia e un
corteo per la legalità dei vari “Ammazzateci tutti” d’Italia. Perché quello stesso Stato incarnato da De Magistris, ha imposto
ai magistrati di Roma di fermare le indagini sul fronte servizi segreti, piazzandoci
sopra – appunto – il segreto di Stato. Sarà
difficile approfondire, a meno che il segreto non venga rimosso: così funziona, c’è
poco da aggiungere. Non sarà dunque pos-
sibile ottenere certe risposte, almeno di
tipo giudiziario. I fatti, però, restano tali.
Come le domande.
Cosa ne facevano Genchi e De Magistris
dei tabulati di traffico telefonico del generale Nicolò Pollari, capo del servizio segreto militare (Sismi), forse l’agente più assediato dalla magistratura che la storia italiana ricordi? Fosse stato l’unico 007 spiato dai due, magari, la cosa avrebbe anche
potuto assumere il connotato dell’incrocio
casuale e chiudersi lì. Ma come si spiega
l’acquisizione dei tabulati di Marco Mancini, l’agente entrato nella cronaca per il caso
Telecom-Tavaroli, del generale del Sismi
interni
Augusto Pignero (poi deceduto) o del colonnello Massimo Stellato, capo centro Sismi
di Padova, destinatario di una doppia perquisizione, con sequestro di due telefonini
su cui fu opposto il segreto di Stato, indagato dopo che la “pentita” dell’inchiesta
“Why not” Caterina Merante aveva dato a
De Magistris la seguente notizia di reato:
«Lui e Saladino si conoscevano»? Nel traffico telefonico di un altro generale, Paolo
Poletti, è comprensibile che avessero frugato: il pm di Catanzaro indagava su di lui, al
Copasir disse che il vicecapo del Sismi stava «creando una banca dati della Guardia
di Finanza in partnership con una società
della ’ndrangheta» (sic!). Però i tabulati del
generale Sasso o degli agenti Mascaro, Spanò e Ferlito da dove sbucavano?
I giornalisti, all’epoca, ne scrivevano di
ogni: pure che fosse stato acquisito e utilizzato il tabulato del capo della Polizia Gianni
De Gennaro, oggi al vertice
di tutte le agenzie dei servizi segreti italiani. Vero o falso? Al 2 febbraio 2009, giorno dell’audizione al Copasir degli esperti del Ros, che
a Catanzaro fosse stato spiato anche De Gennaro non
era confermato. Neppure lo
si poteva escludere, però: è
accertato che erano stati sviluppati i dati di utenze che
non si sapeva da chi fossero assegnate, ma che erano riconducibili ai servizi.
Infatti alcuni numeri analizzati dal pm e dal consulente erano intestati al
Rud, Raggruppamento Unità Difesa, del relativo ministero di via Pineta Sacchetti 216, Roma; altre due utenze risultavano al civico 8 di
via XX Settembre, sempre
a Roma. In pratica l’indirizzo del Sismi. Disse il Ros
nel 2009 davanti al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica: «Tra
il materiale consegnato da
Genchi quando andammo nella sede della sua società di Palermo, risulta ad esempio un’utenza intestata al Rud di via XX Settembre 8 con l’indicazione tra parentesi
del nome “Mancini”. Pertanto il consulente
acquisisce il tabulato sapendo che è utilizzato da un appartenente al servizio segreto».
Strano modo di indagare
Ora, cosa c’entrava tutto questo con le indagini della procura di Catanzaro su un utilizzo illecito di fondi pubblici in Calabria? Come la giustificarono questa cosa
al Copasir i due (ormai ex) amici? A parte
certe dichiarazioni stampa di quei gior-
|
|
| 28 marzo 2012 |
19
Giustizieri. Quel tale “gen. Pollari”
A che scopo De Magistris e Genchi spiavano il capo del
Sismi? Come usarono i suoi tabulati? Le (non) risposte
della coppia di Catanzaro davanti al Comitato
per la sicurezza della Repubblica. Seconda puntata
Peppe Rinaldi.................................................................................................................................................................................................................18
24
ESTERI
MISSIONE APOSTOLICA
esteri
L’attesa
dell’isola
Il paradosso di una rivoluzione comunista che
ha impoverito il popolo, i riti d’importazione
africana, la Chiesa e le sue opere. Papa
Benedetto XVI si prepara a visitare Cuba,
«un paese non cattolico ma “cattolicizzabile”»
Cuba non C’è libertà religiosa,
semmai una certa forma di
libertà di culto». Nei corridoi
del Vaticano lo dicono un po’ tutti, ma
nessuno vuole essere citato. A pochi giorni dalla seconda vista di un Papa nella terra della rivoluzione castrista, si parla più
o meno sottovoce del senso di questo viaggio. Benedetto XVI sarà a Cuba dal 26 al 28
marzo dopo tre giorni di visita in Messico
per celebrare il bicentenario dell’Indipendenza dell’America Latina. A Cuba il Papa
va a celebrare i 400 anni del ritrovamento
dell’immagine veneratissima della Vergine
della Carità del Cobre, ma anche a sostenere la Chiesa cattolica che vive in un difficile equilibrio.
Bocche cucite quindi tra i vertici vaticani su Cuba. E non certo per paura, piuttosto per difendere i cattolici dell’isola dei
Caraibi che solo da poco hanno smesso di
temere di entrare in una chiesa la domenica senza essere “segnalati” ai controllori del
Comitato di difesa della Rivoluzione. Eppure di diplomatici che sono passati per Cuba,
in Vaticano oggi ce ne sono diversi. Ma tutti sanno che la situazione è talmente delicata che basta un nonnulla per far tornare la
situazione dei cattolici indietro di decenni.
Negli anni sono stati molti gli “emissari” vaticani in visita a Cuba. A cominciare dal cardinale Tarcisio Bertone, nell’ottobre 2005, quando era arcivescovo di Genova. Ospite del vescovo e della diocesi di Santa Clara realizzò un intenso viaggio pastorale in diverse località dell’isola. Il cardinale Joseph Ratzinger era stato appena eletto Papa e così Bertone portò al nuovo Pontefice il primo invito per una visita a Cuba,
formulato con grande rispetto e affetto. Fu
Fidel Castro che in una lunga conversazio| 28 marzo 2012 |
ne con Bertone definì Benedetto XVI «una
buona e grande persona» e «che ha un volto che sembra quello di un angelo». Bertone dichiarò che «a Cuba la Chiesa è considerata con molto rispetto da parte del Governo». Anche il presidente del pontificio consiglio della Giustizia e della pace, il cardinale Renato Raffaele Martino, a Cuba nel febbraio del 2006 per presentare il Compendio
della dottrina sociale della Chiesa, incontra Fidel Castro e torna in Vaticano con un
altro invito per il Papa. Invito naturalmente
confermato al cardinale Bertone che, questa volta come segretario di Stato di Benedetto XVI, ritornò nel paese in occasione del
decimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II tra il 21 e il 26 febbraio del 2008.
Cuba è un’isola. Non è una considerazione da poco in fondo. Perché essere isola significa alla fine essere isolati e un po’
isolazionisti. Questo di certo non aiuta la
democrazia. Negli anni Cinquanta Cuba
era un paese ricco, e la ricchezza era in
mano alla maggioranza della popolazione.
Canna da zucchero e agricoltura come prima risorsa. Anche le mucche erano di una
razza particolare che dava fino a 12 litri di
latte al giorno, le mucFidel Castro
che creole. Ora nessuno muore di fame, ma
in una lunga
c’è ovunque una grande
conversazione
malnutrizione. Il paracon Tarcisio
dosso della rivoluzione
Bertone definì
castrista.
Benedetto XVI
La democrazia sembra una parola lontana
«una buona e
per la gente della grangrande persona»
de isola dei Caraibi. Tere «che ha un volto
ra di sogno per i turisti
che sembra quello
occidentali di oggi, terra di grandi speranze al
di un angelo»
Dall’alto, Fidel Castro con Giovanni Paolo II nel 1998;
Ratzinger in America Latina nel 2007; l’allestimento
del palco per il viaggio di Ratzinger a Cuba
Foto: AP/LaPresse
«A
24
tempo del colonialismo spagnolo, terra senza democrazia praticamente da sempre. E a
Cuba l’unica istituzione che ha una credibilità è la Chiesa cattolica. Perché è vicina alla
gente. Per questo la visita del Papa è importante. L’intento del governo con questo viaggio del Papa è quello di accendere la luce su
Cuba, e quello della Chiesa è simile anche se
con fini di fatto opposti.
A Cuba se pure c’è una qualche apertura economica, manca il rispetto delle dignità della persona. Il regime castrista, la rivoluzione, è sempre presente. A partire dalle tasse sulle auto fino alla sessualità che è
“gestita” da un’agenzia dello Stato, la Cenesex. Per far dimenticare la miseria e la corruzione che ne deriva, il regime cerca di
“drogare” l’anima del popolo con una “educazione” sessuale di libertà assoluta e di precocità. Risultato: l’80 per cento delle don-
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25
40
SOCIETÀ
società
Sopra e sotto, i rendering e
alcune immagini del cantiere
della nuova sede dell’istituto
Aurora Bachelet.
A sinistra, un’aula
della sede attuale.
Nell’altra pagina, in basso,
la responsabile del cantiere
Irene Mariano e il rettore
della scuola Rosario Mazzeo
Le iscrizioni sono troppe e i locali sono stretti.
L’Aurora Bachelet di Cernusco deve decidere:
chiudere o allargarsi. Genitori e prof vogliono
rischiare. La banca della città sostiene la “follia”.
La prima campanella suonerà a settembre
L
a chiamano la scuola del cancello
azzurro. È quello che costeggiano
decine e decine di bambini, ogni mattina appena prima che suoni la campanella della prima ora. Per chi abita a Cernusco
su Naviglio, a nord est di Milano, si tratta
di una scuola strana: metà statale (la Mosè
Bianchi) e metà paritaria. In quei palazzoni grigi convivono infatti due strutture, che
si scambiano palestra, fotocopiatrice e gessi
colorati all’occorrenza. La paritaria si chiama Aurora Bachelet, laica, di ispirazione
cattolica. Nata nel 1981, sotto forma di cooperativa, dalla libera iniziativa di un gruppo di genitori e insegnanti che desideravano per i propri ragazzi un’esperienza educativa fondata sulla solidarietà tra famiglie
e docenti. La prima classe aveva 12 alunni,
ospitati nel sottoscala di una parrocchia.
«All’inizio ci dicevano: “Vuoi farti una scuola? Libero di farla, però te la devi pagare. E
nessuno ti deve aiutare”», racconta uno dei
primi soci. Il tentativo però viene subito
condiviso da altri cittadini, e nascono così
una scuola elementare e una media vere
e proprie. Entrambe hanno sede nei locali
scolastici messi a disposizione dal Comune,
tramite una convenzione apposita.
L’amministrazione mantiene le sue proprietà senza dispendio di energie, tempo
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Cuba. In attesa del Papa
Le aspettative nell’isola della rivoluzione continua................ 24
America. Le primarie dei repubblicani
Mitt “il ragioniere” vs Rick “il visionario”................................................................ 30
Europa. La crisi che sorge a Est
Nuove tensioni tra i governi rimasti senza sovranità
Rodolfo Casadei.................................................................................................................................................................................................... 34
SUSSIDIARIETà VS CRISI
La scuola
di tutti
40
Sport über alles
Fred Perri................................................. 62
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano........................ 63
Diario
Marina Corradi............................66
RUBRICHE
L’Italia che lavora.................... 48
Per Piacere..............................................50
Green Estate......................................... 52
Mobilità 2000.................................. 55
La rosa dei Tempi...................... 56
Lettere al direttore................. 62
Taz&Bao..................................................... 64
QUELLI CHE SPIAVANO LO STATO
Alle costole
di un certo
‘gen. Pollari’
18
Post Apocalypto
Aldo Trento.........................................58
|
e denaro, e i professori hanno delle aule
in cui insegnare. La scuola statale non si è
ritrovata di fronte un concorrente, bensì
un interlocutore con cui condividere progetti e iniziative. In queste poche classi, con
un corridoio a dividerle e un piccolo giardino attorno, c’è una familiarità fuori dal
comune. E mentre i ragazzi giocano, i professori si riuniscono davanti alla macchinetta del caffè. «Il vostro è più buono», scherza
uno, prima di tornare in classe. Per passare
dall’Aurora Bachelet alla Mosè Bianchi basta
fare trenta metri. «Fare rete è fondamentale,
e ci viene spontaneo», racconta Silvia Trasi,
insegnante di letteratura. «Conviene a tutti:
se l’intero sistema funziona, anche la scuola paritaria sta meglio, e non viene percepita come refugium peccatorum».
«Scommettiamo sui ragazzi»
In classe si parla del naufragio della Concordia, come topos letterario. «Spesso prendiamo spunto dall’attualità, dalle domande dei ragazzi. Non vogliamo indottrinarli: il nostro compito è solo quello di tenere
desta la loro naturale curiosità e apertura.
Le materie non sono altro che punti di vista
sulla realtà. A noi insegnanti spetta solo trasmettere uno sguardo profondo sulle cose».
Se nei primi anni di attività veniva addi-
I NUMERI DEL PROGETTO
La nuova sede dell’istituto
Dopo trent’anni di attività,
l’istituto Aurora Bachelet si
è dotato di una sede propria.
L’importo per la realizzazione
del progetto è di 9 milioni
di euro: un edificio di 8.500
metri quadrati su un’area di
12.000, situata a Cernusco
sul Naviglio (MI). Con la
raccolta fondi si punta a rag-
giungere quota 1,5 milioni.
Attuallmente gli iscritti sono
509. Tutte le domande di
ammissione ricevute potranno essere prese in considerazione grazie alla nuova sede.
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Il caso. La scuola controcorrente
L’Aurora Bachelet di Cernusco, dove famiglie, prof e
una banca scommettono sulla “follia” di restare aperti
Chiara Sirianni.........................................................................................................................................................................................................40
In mostra. Il medico della carità
Padre Giuseppe Ambrosoli raccontato dalla nipote..........44
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 18 – N. 12 dal 22 al 28 marzo 2012
IN COPERTINA sda sda sda
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli,
Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato
speciale), Benedetta Frigerio, Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro
Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni
SEGRETERIA DI REDAZIONE:
Elisabetta Iuliano
DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito
PROGETTO GRAFICO:
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Martedì 13 marzo
22 bambini belgi
sono deceduti
in un incidente
stradale avenuto
a Sierre,
nel cantone
Vallese (Svizzera)
IL SOGGETTO CHE CI SFUGGE
Com’è dura
la speranza
La nascita è qualcosa di incredibile e concreto.
L’essere, una clamorosa sconfitta del nulla.
Così, davanti al groviglio di lamiere di Sierre,
siamo costretti a considerare tutte le cose
dal punto di vista di chi le chiama alla vita.
È questa la vittoria che ci portiamo addosso
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di Annalisa Teggi
U
dalla
gita è un vuoto nel pensiero – perfino oltre il controsenso. Mio figlio,
mentre guardavamo il telegiornale che
ci aggiornava sulla tragedia di Sierre dello scorso 13 marzo, mi ha chiesto: «Mamma, come fa una cosa dura come l’acciaio
a sbriciolarsi?». Come possono le cose più
preziose, certe e sante che abbiamo crollare e sbriciolarsi così di colpo?
Il mio pensiero, quasi per rifugiarsi,
è finito a pensare al giorno in cui nostro
figlio lo abbiamo portato a casa dall’ospedale, quando è nato. Io e mio marito
facemmo l’intero tragitto di strada in auto
in silenzio: un buon venti minuti di strada, che conoscevamo a memoria perché
8
n bambino che non torna a casa
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faceva parte dei vari percorsi della routine
quotidiana. Io non pensavo a niente, perché guardando i campi, le case e più lontano le colline; mi perdevo a fissare quegli
oggetti uno ad uno. E la strada mi sembrava lunghissima e tutte le cose mi sembravano nuove. Ruppi il silenzio solo per dire
a mio marito, che guidava: «Non è più la
stessa strada, vero?». Annuì, dicendomi che
stava pensando la stessa cosa.
Perché, con una coscienza mai avuta prima, d’improvviso sembrava evidente e chiarissimamente giustificabile che
ogni singolo oggetto presente al di fuori
dell’abitacolo – dal segnale stradale storto fin su al sole – era in quel momento lì
per noi. Ma lo stesso sole che a me pareva
amico, quel giorno di cinque anni fa, campeggia terso, luminoso e ancora più brillante in quella meravigliosa cartolina che
è la Svizzera, che fa da sfondo alle immagini che ci vengono mostrate e ci documentano la cronaca fuori da quella galleria. E
lì il sole splende nonostante tutto; e sembra o un invito illogico o una sprezzante
inconsapevolezza. A noi che siamo rimasti
colpiti tantissimo, pur dalle
nostre case così lontane da
Il sole splende nonostante tutto; sembra un
quella galleria, risulta insoinvito illogico o sprezzante inconsapevolezza.
stenibile anche solo immaCome possono le cose più preziose, certe e
ginare che suono ha il pianto del soccorritore che scasante che abbiamo sbriciolarsi così di colpo?
IL SOGGETTO CHE CI SFUGGE PRIMALINEA
LA TRAGEDIA
L’INCIDENTE
Quasi tutti bambini le vittime
Ventotto persone hanno perso
la vita in un incidente stradale
avvenuto martedì 13 marzo verso
le 21.15 a Sierre (Svizzera). Tra le
vittime 22 bambini belgi. Altri 24
sono rimasti feriti, alcuni in modo
grave (tre sono in coma con lesioni
cerebrali e toraciche). L’autobus
trasportava 52 persone di ritorno
da una vacanza sulla neve quando
ha urtato violentemente la parete
sinistra di una galleriaa schiantare
in un cunicolo di sicurezza.
Foto: AP/LaPresse
L’ingresso della galleria dove hanno perso
la vita i 22 bambini belgi. A destra, in alto,
i primi soccorsi dopo l’incidente e alcuni ragazzi
che ricordano i loro compagni deceduti (sotto)
va tra le lamiere, o il silenzio dei bambini sopravvissuti o quello dei genitori che
dal Belgio vanno verso gli ospedali svizzeri. È quasi meccanico spostare l’emozione ingestibile sulle notizie tecniche che si
moltiplicano, stordendoci di dati, ricostruzioni e spiegazioni. Su youtube è disponibile un video che ricostruisce tutto l’accaduto – sembra un videogioco di simulazione di guida e, così, sei anche tu a bordo di
quel pullman: mentre le immagini scorrono in una virtual-realtà c’è una voce che
parla in inglese e spiega l’intera dinamica dell’evento, le cause (errore meccanico
o l’autista distratto che armeggia col Dvd),
quanto è lunga la galleria e quando è stata
inaugurata, a che velocità massima si può
andare lì dentro, le statistiche sulla frequenza degli incidenti di pullman in Sviz-
LE CAUSE
Guasto o errore umano?
I motivi dell’incidente vanno
ancora accertati: sull’asfalto non
ci sono segni di frenata e quindi si
era ipotizzato a un guasto meccanico o a un colpo di sonno dell’autista, ma alcune fonti d’informazione hanno anche avanzato l’ipotesi
di una distrazione dell’autista,
intento a maneggiare un Dvd.
zera. È una realtà virtuale, non fosse altro
perché non c’è nessuna persona, solo vetture. È una ricostruzione senza soggetto.
Ed è il soggetto che forse ci sfugge. Sì, le
informazioni sui soggetti coinvolti le sappiamo: 52 persone, 28 morti di cui 22 bambini e altri 24 feriti. Ma il soggetto vero
(quello di cui ci parla la sostanza di questa
tragedia) è qualcosa che scardina la nostra
percezione comune della vita, di ciò che
siamo e facciamo.
Nel torpore della vita quotidiana prevale un’idea ingannevole per cui essere
al mondo – esserci – non basta a sostenere appieno la consistenza della vita. L’unità di misura prevalente sono gli eventi e i
loro esiti, bilanci e progetti; veniamo traviati dall’illusoria prospettiva di dar valore alla vita in quanto progresso. Salvo poi
constatare, pressoché quotidianamente,
che quella che sembra una legge di natura raramente segue questo ipotetico corso
naturale, e le eccezioni all’idea di un ciclo
vitale sono clamorosamente più numerose, tragiche, comiche – incredibili. E poi ci
sono momenti come questo in cui “incredibili” diventa ai nostri occhi “inaccettabili”.
Questi momenti incomprensibili noi li
chiamiamo correttamente incidenti, perché incidono e feriscono la realtà: è come
se d’improvviso cadessero i teli delle scenografie teatrali e lo spettacolo s’interrompesse bruscamente svelando la penombra
delle quinte. Tutto salta.
Il dubbio o la speranza?
E per qualche istante o momento di tempo più o meno lungo, il nostro equilibrio
interrotto indugia una volta di più su quel
tremendo pensiero: «Io non so cosa sarà di
me tra cinque minuti». È un dubbio? Un
terrore? O la ricerca di una
speranza? È dura chiamare
Questi momenti incomprensibili li chiamiamo
in causa la parola speranza
incidenti, perché incidono e feriscono la realtà: di fronte alle lamiere sbriè come se cadessero le scenografie teatrali
ciolate, perché non è plausibile chiamarla in causa
e lo spettacolo s’interrompesse bruscamente
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IL SOGGETTO CHE CI SFUGGE PRIMALINEA
Foto: AP/LaPresse
facendo un salto – cioè staccandoci da
terra, e rifugiandoci nella consolazione di
un pensiero che ci porta altrove.
In un romanzo dell’americano Wendell
Berry, ambientato nel corso della Seconda
Guerra mondiale, c’è un padre che riceve
una lettera dall’esercito in cui gli si comunica che il figlio, soldato in servizio al fronte, risulta «disperso in azione». Quell’uomo per l’intero corso del romanzo convive con lo strazio indicibile dell’incertezza
di un destino sospeso – del non potere neppure avere la disperazione di piangere un
figlio morto. Un giorno bussa alla sua porta il prete del villaggio, venuto a compiere quel dovere che gli impone il suo ufficio di pastore, il «dovere» di confortare gli
afflitti: «Nelle parole di quel
predicatore la Città Celeste si
ergeva imponente, sovrastando le loro vite, la casa, il paese
– la speranza finale, in cui tutti gli enigmi e la fine del mondo sono compresi, illuminati
e legati. Questa era la speranza del predicatore, che s’innalzava da solo verso l’alto, al di
fuori delle pretese del tempo
e delle pene. E in quel volo in
cui s’era lanciato, era libero dal
vincolo del mondo. Ma in questa speranza – in questa rincuorante e semplicistica costruzione del pensiero – Mat si rendeva conto di non essere
libero, e di non esserlo mai stato. Si sentiva destinato a dover sperare dentro il mondo, dentro il recinto dei suoi affetti. La sua
speranza nel Paradiso doveva essere la speranza per cui un uomo stretto nei vincoli
del mondo sente che la sua vita non è ultimamente inutile o insignificante, una speranza il cui fardello deve essere molto più
pesante di quello della disperazione» (W.
Berry, A Place on Earth).
Una festa di forme e colori
Questa è la conclusione a cui anche un
uomo come Giobbe arrivò. Non c’è libro
della Bibbia più spudoratamente realista
in senso positivo di quello in cui ci viene
mostrato il grido straziante e doloroso di
un uomo messo alla prova fino all’estremo.
«Me ne stavo tranquillo ed Egli mi ha scosso, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha fatto di me il suo bersaglio». Dalla quieta serenità di una vita agiata e prospera Giobbe viene precipitato nell’abisso
della disperazione all’improvviso: ogni sua
proprietà perduta, tutti i suoi figli morti,
il suo stesso corpo assalito e divorato dalle piaghe. L’unico interlocutore che Giobbe reclama è Dio stesso. E solo di fronte
alla sua coscienza nuda e ferita può spalancarsi l’ipotesi seria che Dio ha da proporre a Giobbe. Un’ipotesi talmente seria
che prorompe in una domanda che suona
Insomma, l’unica cosa in grado
di soddisfare il cuore di un uomo
toccato dal male non ha nulla
a che vedere con una valida
spiegazione logica. Nulla a che
vedere con una ponderata
valutazione di cause ed effetti
Sopra, la processione davanti
alla scuola dei 22 bambini morti
in Svizzera il 13 marzo scorso.
A sinistra, il luogo dell’incidente
tanto d’accusa: «Dov’eri tu quando io fondavo la terra?». Ma quello che poi Dio dipana davanti agli occhi di Giobbe è come una
festa di forme, di colori, di misure esorbitanti. Dio racconta la sua Creazione disegnando come un bambino, proprio con la
stessa esuberanza e stravaganza che vediamo nei disegni che hanno lasciato quei
bambini a ricordo della loro vacanza in
Svizzera sulla neve, e come i disegni che
i loro amici hanno fatto per i compagni
morti. Non è una realtà virtuale spiegata,
ma è uno sguardo inebriato e quasi esaltato che se ne esce con un elenco mirabolante di dettagli pronunciati a raffica – come
fanno i bambini: la poca intelligenza dello
struzzo, le mascelle dell’ippopotamo, i germogli d’erba, i depositi della neve e della
rugiada, i legami tra le stelle delle Pleiadi.
Insomma, l’unica cosa in grado di soddisfare il cuore di un uomo toccato dal
male in ogni fibra non ha nulla a che vedere con una valida spiegazione logica. Non
ha nulla a che vedere con una ponderata
valutazione delle cause e degli effetti. La
risposta conclusiva di Giobbe a Dio, infatti, è paradossale: «Io ti conoscevo solo per
sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno
veduto». Cosa ha veduto Giobbe se non il
mondo che aveva già di fronte ogni giorno? – verrebbe da dire. Sì, ha semplicemente rivisto una ad una le cose. Senza cortesia
e gentilezza è stato costretto a considerare
ogni animale, ogni granello, ogni goccia,
dal punto di vista di chi le ha immaginate
e le ha amate creandole. La sua pochezza
di essere umano (peccati, limiti, miserie,
mortalità) si ribalta alla luce della gigantesca pretesa impostagli dalla voce del Creatore stesso, e cioè che il suo piccolo essere è ed è già una clamorosa evidenza della
sconfitta sul nulla.
La vittoria sul nulla
L’evento della nascita è qualcosa d’incredibile e concreto, è lo scudo – e la spada –
che ignari ci portiamo addosso per accompagnare la battaglia, la fatica, l’avventura
del vivere; è una speranza pesante – cioè
solida – ed è al principio di tutto: non è
scalfita dal modo in cui la morte sorprenderà ciascuno di noi (se nella tenera giovinezza o nell’avanzata e stanca vecchiaia);
non riguarda le nostre conquiste umane,
quanto tempo avremo avuto per radicare
o distruggere le nostre illusioni, il modo
in cui avremo potuto maturare la nostre
capacità affettive e le intuizioni intellettive; non riguarda neppure la fede positiva
nella Resurrezione che con libera e autentica adesione potremo scegliere o negare.
C’è. È l’alba di una vittoria che, il più
delle volte inconsapevolmente, portiamo
a spasso con noi, giorno per giorno – per
quanto pochi o tanti possano essere i giorni in cui passeggeremo per il mondo. n
“Tremende bazzecole”
il blog di Annalisa Teggi su tempi.it
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highlights
Solo su T
IL BARçA GIOCA COI RIBELLI L’assurda teoria della tv siriana
Secondo la televisione di Stato
siriana i passaggi del campione del
Barcellona Lionel Messi sarebbero
dei messaggi in codice per far cadere il presidente Bashar el-Assad.
L’incredibile tesi è stata sostenuta
durante una trasmissione su Al
Dunya Tv. Nel video (che potete
ritrovare su tempi.it) si mostra la
rete di passaggi che ha portato i
giocatori del Barça a segnare un
gol contro gli avversari del Real
Madrid. Secondo il commentatore
Messi avrebbe passato la palla a
Pedro non per farlo segnare, ma per
avvisare i ribelli che le armi sono
arrivate nella città di Dir al-Zur.
BENZINA, ACCISE MALEDETTE
Sono le tasse a bloccare il prezzo
Il prezzo della benzina continua a
salire. Perché? Tempi.it lo ha chiesto
a Franco Ferrari Aggradi, presidente
di Assopetroli. Non è solo
colpa di materie prime,
speculazione e crisi del
settore della raffinazione. Sono le accise
a pesare per il 60 per
cento sul prezzo: «Una
loro riduzione è difficile.
Il governo non ha risorse e si
parla di un aumento dell’Iva. Se con
la recessione l’importo è così alto, il
futuro riserverà brutte sorprese».
MILANO, FAMIGLIE SENZA AIUTI
Pisapia “ritira” 174 mila euro
La giunta milanese guidata dal vendoliano Giuliano Pisapia ha bloccato
i fondi regionali stanziati per l’aiuto
psicologico a famiglie in difficoltà.
Sono mesi che la giunta non rivela
quale sia la nuova
destinazione di
174 mila euro che
mancano all’appello. Come saranno
utilizzati quei soldi?
«Non sappiamo
quanto ci vorrà a
decidere», ci hanno
risposto dagli uffici
comunali.
12
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COPPIE GAY, LO PSICHIATRA CARTA CONTRO LA CASSAZIONE
«Ma non basta l’amore
per fare un matrimonio»
di Benedetta Frigerio
L
Cassazione ha stabilito che le coppie omosessuali devono avere «diritto a un trattamento omogeneo
a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
Ma l’affermazione più rischiosa, non riportata dalla stampa, è
quella che definisce «radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico, della stessa esistenza del
matrimonio». «Questo è l’aspetto più grave di tutta la vicenda»,
spiega a tempi.it Italo Carta, rinomato psichiatra, già ordinario
di psichiatria e direttore della Scuola di specializzazione in Psichiatria all’Università degli studi di Milano. «Ho curato e curo
molti omosessuali e ritengo che, se vogliono mantenersi in questa condizione di coppia, possano ricevere certe tutele. Ma che il
matrimonio naturale sia così minacciato è una violenza distruttiva per la salute mentale della società intera».
a corte di
Cosa può accadere se la legge, come accade nella sentenza della
Cassazione, va contro il diritto naturale?
Succede il caos. Se si tolgono le evidenze che accomunano gli
uomini, a prescindere dal contesto e dalla tradizione da cui provengono, si cade nell’arbitrarietà. Prevale il diritto del più forte,
di chi urla di più. In questo caso, quello dei promotori di tali diritti. Siamo in un momento storico in cui la volontà è così tracotante che prende il sopravvento sulla conoscenza delle cose. Ma
Foto: AP/LaPresse
inediti Ogni giorno su tempi.it
I contenuti che trovate in
queste pagine sono sintesi
degli articoli, le analisi,
i commenti realizzati
per il nostro sito.
Tempi.it
il quotidiano online
di tempi
luigi amicone
nella tana del lupo
Il formigoniano contro tutti
Tempi.it ha seguito in diretta twitter la presentazione
di Formigoni, biografia
non autorizzata con Luigi
Amicone e Marco Pannella.
la telefonata con moggi
La serie A secondo l’ex dg Juve
Ogni lunedì il campionato di
serie A commentato con
Luciano Moggi: «Finché
Moratti fa presidente, allenatore e direttore sportivo
per l’Inter non c’è futuro».
il blog
di rodolfo Casadei
Il mondo è grigio, il mondo è blu
Per l’inviato di Tempi
Rodolfo Casadei «solo un
padre africano può liberare
il mondo da Joseph Kony».
così le violenta. Io voglio fare una famiglia con una persona del
mio stesso sesso, non solo chiedo di non essere discriminato ma
pretendo di generare, con tecniche violente e artificiali, e poi pure di allevare, un innocente in un contesto che non gli farà sicuramente bene. Se si salta il fondamento del diritto che è nella legge naturale, e nella ragione umana che la riconosce, la giustizia
muore. Non possiamo neppure più parlare di diritti universali.
Cosa perde la società se va in crisi l’istituzione del matrimonio
basato sulla diversità sessuale dei coniugi?
La generatività e l’educazione sana delle persone. Non basta
l’amore per crescere dei bambini, servono due personalità differenti dal punto di vista psichico.
I promotori dei diritti gay sostengono che questa condizione è
naturale e che la differenza tra sessi è una costruzione sociale.
Nei miei cinquant’anni di lavoro ho seguito tanti omosessuali. La scienza e l’esperienza dicono che non c’è alcun difetto di natura in loro. Non esiste l’omosessualità naturale, non è
iscritta nel Dna. L’omosessualità è un’elaborazione della psiche di modelli affettivi diversi da quelli verso cui
la natura normalmente orienta. Questa tendenza è del
tutto reversibile. Io mi sono scervellato per anni, ho letto molto su come si può correggere questa tendenza, il
problema è che spesso, pur vivendo un disagio, molti di
loro non vogliono correggersi.
Foto: AP/LaPresse
Non dovrebbero avere dei diritti come gli eterosessuali?
Bisogna fare dei distinguo: ci sono moltissimi soggetti promiscui e con vite sessuali instabili. Ma ci sono anche alcuni di
loro che vivono in coppia per molto tempo. Non mi darebbe fastidio se il legislatore concedesse loro qualche diritto, come già
di fatto avviene, con la possibilità di succedere nel contratto di
locazione, di ricevere prestazioni assistenziali dai consultori
familiari, di astenersi dal testimoniare in processi che vedono
coinvolto il partner eccetera. Ma non si può andare oltre a concessioni di questo tipo. Pena la salute mentale di terzi.
LA SUPREMA CORTE
E LE NOZZE DI FATTO
Il 15 marzo la Corte
di Cassazione ha
sentenziato sul caso
di due uomini che
si erano sposati in
Olanda e chiedevano la
trascrizione dell’atto
di nozze in Italia. Pur
respingendo il ricorso,
la corte ha stabilito
che i due hanno «diritto a un trattamento
omogeneo a quello
assicurato dalla legge
alla coppia coniugata».
D’ora in poi ogni tribunale potrà concedere
o negare un diritto
matrimoniale per ogni
coppia gay che deciderà di pretenderlo.
movieland
Visti per voi da Tempi
Paola D’Antuono e Simone
Fortunato ci raccontano le
anteprime sul grande schermo. Quel che c’è da vedere
e cosa evitare.
Un the con alice
Il nuovo disco di Madonna
vale giusto come suoneria
Esce Mdna, il nuovo disco
di Madonna. Una delusione.
Un album buono solo per
aggiornare le suonerie dei
cellulari.
Football is coming home
Uno sguardo sulla patria
del calcio
Muamba del Tottenham
si accascia al White Hart
Lane. Dieci secondi che
hanno lasciato senza fiato
la Premier League.
artempi
Andar per mostre e musei
con un semplice click
Maria Pia Bruno quotidianamente ci racconta le novità
nel vasto mondo dell’arte.
Gli artisti, le loro storie e le
rassegne più interessanti.
LE CONSEGUENZE
DEI SENTIMENTI Sempre il 15 marzo
Giuliano Ferrara ha
raccontato a Radio
Londra il caso di un
tribunale inglese che
ha affidato un bimbo
alla tutela delle sue
due mamme ma anche
del suo papà biologico,
gay a sua volta. Il
video è su tempi.it.
E poi tutto il resto
Corradi, Trento,
Giannino e la Rosa
Su tempi.it trovate tutte
le nostre firme, oltre che
le nostre rubriche. E con
la “Preghiera del mattino”
sbertucciamo un po’ i nostri
colleghi giornalisti.
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| 28 marzo 2012 |
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highlights la settimana di tempi.it
Si riferisce ai figli?
Ha parlato dei bambini. Che conseguenze può avere la decisione di dare a queste coppie la possibilità di educarli?
La natura ha fatto l’uomo maschio e femmina e la differenza non è solo fisica ma psicologica. La psiche dell’uomo
è diversa da quella della donna: la donna protegge, dà la vita per il figlio, si sobbarca le sue fatiche. Il padre è quello che
recide questo legame affinché il bambino cresca e cammini con le sue gambe. Da quando è nato il mondo, il bambino ha bisogno di entrambe queste figure per crescere forte
e sano, per affrontare la vita e i problemi. Senza di esse salta in aria tutto il dispositivo edipico su cui si fonda da sempre ogni società. Non mi parlino dei genitori morti perché
la loro presenza evocata è utile comunque a questo processo. E comunque la morte non crea disordini affettivi come
la sostituzione di un genitore con una figura di un altro sesso. Non conosciamo ancora gli scenari di un mondo disposto a stravolgere la normalità ma li prevedo terribili. L’uomo
che obbedisce alla sua volontà e non alla norma si distrugge. E questo non dobbiamo permetterlo per il bene di tutti.
L’uomo per sua natura è un essere giuridico che per crescere
ha bisogno di seguire delle norme date a lui come pilastri di
supporto per camminare certo nella vita.
Perché gli omosessuali non si accontentano dei diritti che già
hanno e nutrono tanto livore nei confronti di chi asseconda
le norme naturali?
Il loro livore è reale. Sono arrabbiati e frustrati. Spesso,
proprio per delle ferite che si portano addosso, scaricano la
sofferenza su un punto che individuano come la causa di essa. Anche se di fatto non lo è. Così, però, continuano a soffrire e fanno soffrire anche altri. Io lavoro per attenuare il loro
disagio che è reale, ma non posso in alcun modo giustificare la violenza distruttiva dell’ideologia che nega l’evidenza e
n
violenta i più deboli.
un nobel omofobo?
Le parole di Johnson Sirleaf
Ellen Johnson Sirleaf, presidentessa della Liberia, è premio
Nobel per la Pace. Di lei, sulla
stampa nostrana e internazionale, non si trovano che parole
di elogio. Su tempi.it trovate il
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video di una sua recente intervista in coppia con l’ex premier
inglese Tony Blair. Alla domanda se volesse togliere la legge
che nel suo paese condanna
a un anno di carcere per atti
omosessuali, ha risposto: «Non
firmeremo mai una legge che
depenalizza gli atti omosessuali». La giornalista le ha riproposto il quesito, ma la presidentessa ha ribadito il concetto. La
domanda è stata girata a Blair,
convertito cattolico ma favorevole alle unioni gay, che, con
imbarazzo, s’è trincerato dietro
un laconico no comment.
versetti
“La lettura del giornale è la preghiera
mattutina dell’uomo moderno”
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
LIBERATE ASIA BIBI
PETIZIONE ALL’ONU
Cinquanta attivisti
hanno presentato
all’Onu una petizione
per liberare Asia Bibi,
madre cristiana condannata nel novembre
del 2009 in Pakistan
per false accuse di
blasfemia. Asia Bibi
ora attende la sentenza della corte d’appello in carcere.
LA SHARIA SARÀ
LEGGE IN EGITTO?
Chi uccide deve essere
giustiziato, chi ruba
deve subire l’amputazione del braccio
destro e della gamba
sinistra (o viceversa),
chi ruba e uccide deve
essere giustiziato o
crocifisso, a discrezione del giudice. Il
deputato salafita Adel
Azzazy ha presentato
al parlamento egiziano
una proposta di legge
per introdurre la sharia per certi crimini.
I Fratelli Musulmani
hanno approvato
l’iniziativa. Un vizio di
forma ha causato il
momentaneo rinvio.
divorzio via email
Accade a Barcellona
Per «modernizzare l’amministrazione della giustizia»
i tribunali di Barcellona
hanno creato un sito dove
inviare tutto il materiale per
il divorzio consensuale.
ENLARGE YOUR FLI. Montezemolo mi ha mandato una mail
questa mattina. Mi invitava a
leggere una lettera pubblicata
ieri dal Foglio in cui si parlava del
progetto della sua Fondazione. Lo
richiamerò sicuramente.
G. Fini il Giornale
MODESTAMENTE. Monnezza,
Napoli meglio di Roma.
Titolo dell’Espresso
SCONTRINO AKHBAR. La lotta
all’evasione non è un’emergenza,
ma una guerra, e in una guerra
così si possono usare armi non
convenzionali.
G. Galletti (Udc) Corriere
BEN DETTO CAPO. Un buon leader deve saper sparire, lasciando
eredi, magari più bravi di lui.
N. Vendola Corriere
GUARDA MILANO. La Regione
sta attuando il programma di
screening dei tumori del colon
retto. (…) È uno strumento efficace
di prevenzione. Ti arriva subito il
risultato. Non cestinate l’avviso.
L. Sotis Corriere
robusta costituzione
L’Ungheria si difende
«Non rinunciamo alla nostra
Costituzione». Nell’anniversario
della rivoluzione del 1848, il
presidente ungherese Viktor
Orban ha difeso la costestata
carta: «No diktat stranieri».
Foto: AP/LaPresse
Anche alla stabilità della società intera. Questa sentenza abolisce l’evidenza e, quando si abolisce il principio di
evidenza naturale, la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di
tutti. Penso ai più deboli: i bambini. Se, sin da piccoli, si insegna loro che quel che vedono non è come appare, li si rovina. Ripeto: pur non essendo solito fare affermazioni dure,
dato che gli omosessuali sono persone spesso duramente discriminate, non posso non dire che introdurre l’idea che la
differenza sessuale non abbia rilevanza è da criminali.
L’OBIETTORE
ALTRO CHE INDIGNATI E MORALIZZATORI
Per battere la corruzione serve
meno Stato e più sussidiarietà
di Oscar Giannino
L
e cozze pelose del sindaco progressista di Bari e i palazzi venduti a giudici e politici. I milioNON SONO
ni della Margherita spariti non si sa
D’ACCORDO
dove. Quelli che mancherebbero nel
conto incrociato tra An e i due tronconi derivanti, dopo la rottura tra Fini e Berlusconi. Gli avvisi di garanzia al Consiglio regionale lombardo
e le indagini sulle tangenti Pdl-Lega.
Il sospetto che lambisce anche l’integerrimo Errani, per un milione
di euro dato dall’Emilia Romagna a
una cooperativa guidata dal fratello. La retata in provincia di Napoli che spalanca le porte del carcere a 16 giudici
tributari. Mi fermo alle ultimissime di cronaca. A questo
fior fior di coinvolgimenti in inchieste per malversazioni
pubbliche, che incrociano l’intero asse destra-centro-sinistra, le reazioni possono essere di almeno tre tipi.
La prima è quella moralistica. Improntata all’invettiva generalizzata in taluni casi, più spesso riservata ai politici indagati dell’area avversaria. Appartengono a questa
schiera gli “indignati”, categoria che in questi anni è entrare a vele spiegate nel dizionario politico. Inglobando in
un unico lemma sia gli antimercato sia gli antipolitici, i
palingenisti convinti che sia l’illuminazione della religione dell’umanità su questa Terra a evitare il male. La pecca numero uno di questa reazione è quella che da sempre
priva di efficacia il savonarolismo manipulitista: su questa Terra l’uomo è imperfetto. Il virtuismo monda-difetti va bene come tecnica retorica acquista-consensi, per la
presa del potere da parte di minoranze inquisitoriali. Poi,
assurti al potere, saranno eventualmente magistrati non
indipendenti a garantire che l’etica del potere resti monda e ad essere corrotta sia solo quella degli oppositori.
C’è poi la seconda reazione, radicatissima nella democrazia moderna, ispirata al Politik als Beruf di Max Weber. Approfittando dell’anfibologia della parola germanica, il suo “Beruf” indica sia “vocazione” che “professione”.
Ecco che la macchina politico-amministrativa va sottoposta a controlli ex ante ed ex post, per impedire che il politico-amministratore compia transazioni e scambi come
di diritto privato, offrendo servizi e concedendo facoltà al
privato in cambio di sostegni e favori. Rispondono a questa impostazione weberiana dichiarazioni apodittiche di
garanzia ex ante come l’articolo 97 della Costituzione, in
materia di imparzialità e indipendenza della pubblica am-
Il vero rimedio agli scandali non è l’uomo nuovo
in Terra predicato dai savonaroliani e nemmeno la
garanzia costituzionale d’imparzialità della pubblica
amministrazione, ma la sua riduzione all’essenziale
ministrazione, e in tale versione discendono storicamente
dalla pesante eredità della filosofia del diritto di tipo idealistico-hegeliano, e dalla sua idea di “Stato etico” impregnato di un superiore spirito del tempo. Ma appartengono allo stesso filone hegelian-weberiano anche i controlli
ex post di tipo penale, rappresentati delle maxi indagini
della magistratura che anticipano col massacro mediatico-giudiziario in fase d’indagine il vero processo sanzionatorio. So che molti non saranno d’accordo, convinti da
due decenni che l’azione dei magistrati risponda invece a
una logica di filosofia morale e del diritto d’impianto kantiano. Mi tengo invece la mia opinione, che non è quella di Repubblica e Corriere. È hegeliana l’impronta di chi
identifica nello Stato o in una parte politica l’Assoluto dello Spirito in atto nella Storia. Per la definizione di “Hegel
profeta dei totalitarismi” rinvio a Karl Popper.
C’è poi una terza reazione possibile, assolutamente
minoritaria nel nostro paese. Si ispira alla teoria del pubblico amministratore elaborata da Ludwig von Mises, James Buchanan, Northcote Parkinson, William Niskanen,
Jean-Luc Migué, Gerard Bélanger, Ronald Wintrobe. Essa
ne studia il comportamento in quanto soggetto economico che agisce fuori dal mercato, senza cioè concorrenza nell’esercizio delle proprie funzioni e nella formazione dei propri costi. Per questo massimizza per sé l’utile
monopolistico come e meglio di ogni cartello oligopolista
privato. E lavora per estendere nella discrezionalità il recinto delle risorse intermediate, il numero dei dipendenti, la complessità autorigenerante delle procedure da amministrare. Questa terza reazione porta alla conclusione
che il vero rimedio agli scandali non è l’uomo nuovo in
Terra predicato dai savonaroliani, e nemmeno la garanzia costituzionale d’imparzialità della pubblica amministrazione e lo smascheramento del suo dirazzare ad opera
di zelanti magistrati. È invece la riduzione della macchina
pubblico-amministrativa alle sue funzioni essenziali, con
minimo ricorso a personale e procedure internalizzate, e
massimo impiego di risorse esternalizzate e sussidiarie.
Il paradosso dei guardiadighe olandesi
Tutte le grandi riforme pubbliche di paesi avanzati divenuti iperstatalisti e inefficienti sono passate attraverso
l’adozione di tale criterio: dalla Svezia alla Polonia alla
Germania. I privilegi della Casta, da noi confusi con cattive prove date esclusivamente da un pessimo ceto politico,
si devono invece al vecchio paradosso dei pubblici guardadighe olandesi. Allorché esse ancora di legno erano fatte, le Sette Province Unite disposero che pubblici funzionari fossero premiati per l’abbattimento di ogni singolo
ratto muschiato, nemico numero uno delle tenuta delle
dighe. Rapidamente, i guardadighe capirono che era meglio consentire in primavera ai ratti l’accoppiamento, invece che abbatterli in autunno. Così, per ogni coppia abbattuta ne sarebbero sopravvissuti 15, l’impiego sarebbe
rimasto in eterno, e l’onere per il contribuente sarebbe
salito insieme al premio ai pubblici dipendenti.
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INTERNI
QUELLI CHE SPIAVANO LO STATO
Alle costole
di un certo
‘gen. Pollari’
Secondo di una serie di articoli
di Peppe Rinaldi
«S
e io rappresento un caso è anche
perché, indubbiamente, c’è
una forte ansia e sete di giustizia. Nel paese e in Calabria. Forse la gente avrà notato la tenacia con cui ho portato fino in fondo il mio lavoro, le mie indagini (…). In tanti hanno detto che chiedevo
il consenso della piazza, attraverso le interviste televisive ma non è così (…). È miopia
politica vederla in questo modo. È malafede nei confronti di chi ha scelto di manifestare, non per me, ma perché evidente-
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mente in me vedeva lo Stato». È il passaggio di un’intervista rilasciata da Luigi De
Magistris al giornalista del Fatto quotidiano Antonio Massari, contenuta in un voluminoso libro del 2008, Il caso De Magistris
(Aliberti editore, promozione e distribuzione Rcs), forse l’unica pubblicazione decente tra quelle in circolazione che riguardano l’ex pm. Tra parentesi, un’opera che
andrebbe in parte riscritta considerando la
piega presa dagli eventi: incidere 43 note a
piè di pagina, relative a poco più di 50 soggetti citati, specificando ogni volta che «nel
momento in cui scriviamo per il personaggio in questione non è stato provato alcun
reato e quindi vale la presunzione di non
colpevolezza», e poi trovarseli tutti fuori
dalle inchieste, lascia sospettare che se non
si è discusso sul sesso degli angeli poco ci è
mancato. Cose che capitano.
In De Magistris, quindi, la gente «vedeva lo Stato». Secondo De Magistris. Secondo
lo Stato, invece, De Magistris e il suo consulente Gioacchino Genchi spiavano illegalmente alcuni parlamentari e una quantità indefinita di persone, tra le quali diversi esponenti dei servizi segreti. Si comincerà a capirci qualcosa a partire dal prossimo 17 aprile, quando a Roma inizierà il
processo in cui i due sono imputati proprio
Foto: AP/LaPresse, Sintesi
Perché De Magistris e Genchi nelle loro mirabolanti
inchieste sui fondi pubblici calabresi tenevano
sotto controllo il capo del servizio segreto militare?
L’interrogatorio del Comitato per la sicurezza
della Repubblica ai due “giustizieri” di Catanzaro
SECONDA PUNTATA
L’ABUSO D’UFFICIO
Alla sbarra dal 17 aprile
Continua la nostra inchiesta
sui fatti che hanno portato al
rinvio a giudizio dell’ex sostituto procuratore di Catanzaro
Luigi De Magistris, oggi
sindaco di Napoli, e del suo
consulente Gioacchino Genchi,
che dal 17 aprile dovranno
difendersi davanti al tribunale
di Roma dall’accusa di abuso
d’ufficio per aver utilizzato
i tabulati telefonici di otto
parlamentari senza chiedere
l’autorizzazione alle Camere.
Tra il 2006 e il 2007, nell’ambito dell’indagine “Why not”,
i due spiarono perfino Prodi e
Mastella, allora rispettivamente premier e guardasigilli, oltre
a Rutelli, Minniti, Gozi, Pisanu,
Gentile, Pittelli.
anno 18 | numero 11 | 21 marzo 2012 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1 ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
L’ex sostituto procuratore
di Catanzaro Luigi De Magistris
e il suo superconsulente Gioacchino Genchi,
a processo dal 17 aprile prossimo per
intercettazioni illegali
Luigi De Magistris, ex
sostituto procuratore
di Catanzaro, è stato
eurodeputato dell’Idv e
oggi è sindaco di Napoli.
Gioacchino Genchi (foto
in basso), ex vicequestore,
è stato consulente
tecnico delle inchieste più
rumorose di De Magistris,
“Poseidone” e “Why not”.
Attualmente fa
l’avvocato a Palermo.
A sinistra, l’ex direttore
del Sismi Nicolò Pollari
LE CARTE SECRETATE
Copasir, le audizioni agli atti
Tra le carte del processo c’è
anche la documentazione delle
audizioni di De Magistris e
Genchi al Copasir, materiale
finora coperto da segreto di
Stato e perciò espunto dalle
indagini dei pm romani. Nel
2009 la coppia di Catanzaro fu
infatti convocata dal Comitato
parlamentare per la sicurezza
della Repubblica perché, oltre
alle utenze telefoniche del
Quirinale e di altre importanti
istituzioni italiane, aveva
messo sotto controllo anche
quelle di alcuni esponenti dei
servizi segreti apparentemente
non coinvolti nelle indagini.
Compreso Nicolò Pollari,
all’epoca direttore del Sismi.
Foto: AP/LaPresse, Sintesi
Il Ros: «Tra il materiale consegnato da Genchi
risulta un’utenza con l’indicazione “Mancini”.
Pertanto acquisisce il tabulato sapendo che è
utilizzato da un appartenente ai servizi»
per questo, ma solo per ciò che riguarda la
posizione dei parlamentari. Ancora non si
sa se e quando si chiarirà, invece, il grosso
del “lavoro” fatto dalla coppia di Catanzaro
su pezzi e apparati dello Stato tra un’ospitata tv, un allarme per la democrazia e un
corteo per la legalità dei vari “Ammazzateci tutti” d’Italia. Perché quello stesso Stato incarnato da De Magistris, ha imposto
ai magistrati di Roma di fermare le indagini sul fronte servizi segreti, piazzandoci
sopra – appunto – il segreto di Stato. Sarà
difficile approfondire, a meno che il segreto non venga rimosso: così funziona, c’è
poco da aggiungere. Non sarà dunque pos-
sibile ottenere certe risposte, almeno di
tipo giudiziario. I fatti, però, restano tali.
Come le domande.
Cosa ne facevano Genchi e De Magistris
dei tabulati di traffico telefonico del generale Nicolò Pollari, capo del servizio segreto militare (Sismi), forse l’agente più assediato dalla magistratura che la storia italiana ricordi? Fosse stato l’unico 007 spiato dai due, magari, la cosa avrebbe anche
potuto assumere il connotato dell’incrocio
casuale e chiudersi lì. Ma come si spiega
l’acquisizione dei tabulati di Marco Mancini, l’agente entrato nella cronaca per il caso
Telecom-Tavaroli, del generale del Sismi
Augusto Pignero (poi deceduto) o del colonnello Massimo Stellato, capo centro Sismi
di Padova, destinatario di una doppia perquisizione, con sequestro di due telefonini
su cui fu opposto il segreto di Stato, indagato dopo che la “pentita” dell’inchiesta
“Why not” Caterina Merante aveva dato a
De Magistris la seguente notizia di reato:
«Lui e Saladino si conoscevano»? Nel traffico telefonico di un altro generale, Paolo
Poletti, è comprensibile che avessero frugato: il pm di Catanzaro indagava su di lui, al
Copasir disse che il vicecapo del Sismi stava «creando una banca dati della Guardia
di Finanza in partnership con una società
della ’ndrangheta» (sic!). Però i tabulati del
generale Sasso o degli agenti Mascaro, Spanò e Ferlito da dove sbucavano?
I giornalisti, all’epoca, ne scrivevano di
ogni: pure che fosse stato acquisito e utilizzato il tabulato del capo della Polizia Gianni
De Gennaro, oggi al vertice
di tutte le agenzie dei servizi segreti italiani. Vero o falso? Al 2 febbraio 2009, giorno dell’audizione al Copasir degli esperti del Ros, che
a Catanzaro fosse stato spiato anche De Gennaro non
era confermato. Neppure lo
si poteva escludere, però: è
accertato che erano stati sviluppati i dati di utenze che
non si sapeva da chi fossero assegnate, ma che erano riconducibili ai servizi.
Infatti alcuni numeri analizzati dal pm e dal consulente erano intestati al
Rud, Raggruppamento Unità Difesa, del relativo ministero di via Pineta Sacchetti 216, Roma; altre due utenze risultavano al civico 8 di
via XX Settembre, sempre
a Roma. In pratica l’indirizzo del Sismi. Disse il Ros
nel 2009 davanti al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica: «Tra
il materiale consegnato da
Genchi quando andammo nella sede della sua società di Palermo, risulta ad esempio un’utenza intestata al Rud di via XX Settembre 8 con l’indicazione tra parentesi
del nome “Mancini”. Pertanto il consulente
acquisisce il tabulato sapendo che è utilizzato da un appartenente al servizio segreto».
Strano modo di indagare
Ora, cosa c’entrava tutto questo con le indagini della procura di Catanzaro su un utilizzo illecito di fondi pubblici in Calabria? Come la giustificarono questa cosa
al Copasir i due (ormai ex) amici? A parte
certe dichiarazioni stampa di quei gior|
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INTERNI QUELLI CHE SPIAVANO LO STATO
«Mi sono occupato anche di voi»
Torniamo un attimo a quel 30 gennaio
2009, data dell’audizione della coppia. L’atmosfera era elettrica, al punto che più di
una volta il presidente Rutelli invitò la platea a «far in modo da sentirsi tutti a proprio agio». Fu interrogato prima De Magistris e poi Genchi. Quest’ultimo ingaggiò
un lungo braccio di ferro con gli onorevoli
commissari, tra allusioni che qualcuno prese pure male («Anche in quest’aula c’è qualcuno di cui mi sono occupato», disse quasi
subito), ironie («Ho sposato un magistrato
e sono profondamente innamorato di mia
moglie. Non intendo sposare altri magistrati e non intendo tradire mia moglie. Ove
dovessi farlo avrei altri tipi di scelta»), stravaganti attestati di stima («Vorrei far presente che io ho grande ammirazione per
il generale Pollari, che considero estraneo
alle accuse della procura di Milano») e racconti tortuosi di fatti slegati dal contesto
ma indicativi del livello di penetrazione e
di conoscenza che il consulente di De Magistris aveva dell’intero arco costituzionale,
oltre che del sottobosco di potere locale e
nazionale. Fu per questo, come vedremo,
che sorse il problema della celebre “banca dati” ancora in mano a lui. Una circostanza mai provata, del resto, ma neanche
mai esclusa.
Quelle audizioni sono entrate nei fascicoli del processo di Roma, processo del
quale hanno rappresentato una colonna
portante almeno fino a quando, nell’estate 2009, il premier Berlusconi non vi ha
messo una pietra sopra col segreto di Stato (come abbiamo raccontato nel numero
scorso di Tempi). In pratica, sul resto i magistrati di Roma sono andati avanti, ma su
questo “dettaglio” dei servizi segreti si sono
dovuti fermare. Una cosa che fa riflettere:
se lo Stato rinuncia all’accertamento della verità mutilando un rito solenne come il
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Nel 2009, dopo le audizioni
di De Magistris e Genchi,
l’allora presidente del Copasir
Francesco Rutelli (qui sotto)
parlò di «una vicenda
di enorme rilievo per le
istituzioni democratiche»
che «non può assolutamente
essere definita di ordinaria
amministrazione».
A destra, De Magistris ospite
di Santoro ad Annozero
processo penale, può significare solo che lo
faccia per un interesse superiore. Che, visto
l’argomento, con ogni probabilità è la sicurezza degli uomini coinvolti e del principio generale. Acquisire informazioni telefoniche, contatti, spostamenti e relazioni di membri dei servizi implica il rischio
di svelarne l’identità mentre, magari sotto copertura, frequentano mafiosi, parlano con magistrati ignari, si infiltrano nelle cosche affamate di appalti sulle grandi
opere del Mezzogiorno, frequentano delinquenti, preti, vescovi, affaristi, avvocati e
imprenditori. Si capisce bene perché ciò
che stava succedendo giù in Calabria creasse tanta preoccupazione. Non c’entrano
niente i poteri occulti e trasversali uniti per
fermare due impavidi giustizieri: sono sparate che funzionano nella fiction giornalistica, la realtà è molto più complicata.
non erano materia di facile digestione. Con
De Magistris, invece, filò tutto abbastanza
liscio: l’alta considerazione di sé e di quel
che faceva («Vorrei che voi commissari teneste presente che le mie non erano indagini
su una rapina al supermercato»), le immancabili denunce di complotti orditi per scippargli il lavoro e una certa astuzia nel far
rimbalzare la palla più verso Genchi resero il lavoro relativamente meno complicato
ai commissari. L’ex magistrato finirà iscritto nel registro degli indagati di Roma qualche mese dopo.
Il punto è che ambedue le audizioni non bastarono per mettere una pezza,
era tutto troppo contorto, imperscrutabile,
complesso: del resto basta andare a vedere
gli atti delle indagini di De Magistris per
accorgersi che all’interno c’era veramente
l’infinito. Era tutto casuale o corrispondeva a un disegno preciso? Quelle migliaia di
Diciotto milioni di telefonate
nominativi, quei milioni di telefonate (si è
L’audizione di Genchi durò oltre sette ore, calcolato che fossero circa 18 milioni solo
con una sola pausa di quindici minuti. I in “Why not”, al lordo dei possibili duplicacommissari ne uscirono sfiniti in quanto ti dei gestori) che spaziavano dai magistral’ex poliziotto dimostrava una certa abili- ti di Reggio Calabria ai colletti bianchi di
tà, diciamo, ritmica. Non foss’altro perché Roma passando per i servizi segreti, il Quila sua specializzazione tecnica e la relati- rinale, la presidenza del Consiglio, il Conva filosofia di applicazione investigativa, siglio superiore della magistratura, il ministero degli Interni e quello
«Quando ha visionato, come esperto, la rubrica della Giustizia, i due rami
del Parlamento, alcuni pardi Cretella e ha letto “gen. Pollari”, le è venuto titi politici e chi più ne ha
il dubbio si trattasse del capo del Sismi?».
più ne metta, avevano davvero a che fare con le società
«No, è un lavoro che faccio alla fine»
Foto: AP/LaPresse
ni – tra l’altro distanti dal profilo mantenuto durante le audizioni parlamentari –
essi sostennero un po’ di tutto. In particolare Genchi, perché quella di De Magistris
fu probabilmente la meno complicata tra
le audizioni convocate a Roma tra il gennaio e il febbraio 2009.
Attorno a questa storia dei servizi c’è
stato un enorme lavoro investigativo del
Ros, delegato inizialmente dalla stessa procura generale di Catanzaro (in proposito,
nelle sue chilometriche memorie difensive Genchi argomenta che sia stata un’anomalia giuridica affidare l’attività al reparto dei carabinieri), e non solo. L’ex pm e
l’ex consulente furono ascoltati dal Copasir soprattutto su questo aspetto delle indagini “Poseidone” e “Why not”. La sensazione, però, è che non emerse un quadro certo di come e perché quelle inchieste avessero imboccato certe strade.
IL CASO
WHY NOT
La “Tangentopoli 2”
finita in un flop
L’abuso imputato
dalla procura di
Roma a De Magistris
e Genchi sarebbe
stato compiuto
dai due nell’ambito
dell’indagine “Why
not”, inchiesta che a
partire dalle numerose relazioni intrecciate dall’imprenditore
calabrese Antonio
Saladino avrebbe
dovuto scoperchiare
– come annunciò lo
stesso De Magistris
al Corriere della
Sera – una «nuova
Tangentopoli» che
avrebbe riguardato
«tutto intero lo schieramento politico»,
una rete di malaffare
tale da configurare
la «crisi finale dello
Stato di diritto».
Decine di indagati
con accuse pesantissime finiti poi quasi
tutti assolti.
Foto: AP/LaPresse
attribuite all’imprenditore calabrese Antonio Saladino tra Lamezia Terme e Catanzaro piuttosto che con l’ex presidente della
giunta regionale Giuseppe Chiaravalloti,
tanto per citare due tra le più illustri prede di De Magistris? Pare di no.
Quella richiesta partita in ritardo
Quando Francesco Rutelli, all’epoca ancora
presidente del Copasir, rivolse a Genchi la
prima domanda, l’ex vicequestore aggiunto ci impiegò più di tre quarti d’ora per
rispondere. E riuscì a divagare a tal punto
che alla fine neanche i commissari ci capirono granché. E se ne lamenteranno più
di una volta. Il punto dal quale si partiva
era questo: il 10 marzo del 2007, nell’ambito del procedimento “Poseidone”, De Magistris emise un decreto di acquisizione del
tabulato del generale Pollari che permetteva di ricostruire il traffico telefonico dell’allora capo del Sisimi nell’arco dei precedenti 24 mesi. Da dove veniva fuori quel
numero? Dalla rubrica di un alto ufficiale della Finanza, il generale Walter Cretella
Lombardo, indagato da De Magistris, vicino a quell’altro generale così poco amato
dall’ex ministro Ds Vincenzo Visco, Roberto Speciale. Il telefono di Cretella Lombardo era stato sequestrato dieci giorni prima
del decreto, cioè l’1 marzo. Fu analizzato
da Genchi, che lo restituì al pm proprio il
giorno 10. Scorrendo la rubrica del telefono
del generale si leggeva che quel numero era
associato a un tale “gen. Pollari”. Che sta,
ovviamente, per “generale Pollari”. Questo
lo capirebbe chiunque. Senonché “l’anagrafica” del numero (cioè la richiesta dei dati
dell’intestatario), Genchi la inoltrò al gestore telefonico il 7 luglio 2007, ovvero quattro
mesi dopo. E non nell’ambito di “Poseidone”, bensì in quello di “Why not”. Il consulente di De Magistris dirà poi al Copasir di
ricordare che l’anagrafica l’avesse richiesta
precedentemente, cioè al tempo di “Poseidone” prima che venisse tolta dalle mani di
De Magistris. Agli atti, però, risulta il contrario, vale a dire che Genchi quella richiesta non la eseguì se non per “Why not”, e
solo il 7 luglio 2007. Ma se non c’erano evidenze penali o indizi di reità a carico del
direttore del Sismi (come tutti e due confermeranno al Copasir), che motivo c’era
di sviluppare e processare quelle informazioni? Soprattutto, chi altri ne era a conoscenza? È ipotizzabile che ce ne fossero dei
duplicati? Dove, e con quali garanzie? Non
proprio domandine di secondo piano.
Appare oggettivamente strano che nessuno si fosse accorto che nella rubrica di
Cretella Lombardo quel numero era associato a “gen. Pollari”. Eppure il cellulare del
generale era stato nelle mani di Genchi e
dei suoi collaboratori palermitani per die-
ci giorni, i dati erano stati scaricati e avviati all’analisi. Salvo poi, quattro mesi dopo,
inoltrare una formale richiesta al gestore.
«Le è mai venuto il dubbio che il numero del generale Pollari, che era nella rubrica del generale Cretella, fosse veramente del generale Pollari?», chiede un commissario del Copasir a Genchi. «Risponda
con un sì o con un no», continua un deputato che dà la sensazione di essere irritato. Ma Genchi riparte in quarta: «Le posso dire che non ho fatto alcun approfondimento all’atto dell’acquisizione sul generale Pollari, posto che di annotazioni “gen.”,
di Pollari e forse anche di generali – che lo
siano o no – ne abbiamo trovate diverse».
Il commissario (ignoto, dal momento che
le trascrizioni delle audizioni non riportano i nominativi dei parlamentari intervenuti) rilancia: «Dottor Genchi le ho chiesto
un’altra cosa, sia gentile. Può rispondere sì
o no. Quando lei ha visionato, come esperto pagato dalla procura, la rubrica di Cretella e ha letto “gen. Pollari”, le è venuto
il dubbio si trattasse del capo del Sismi?».
«No», dice finalmente Genchi, «è un lavoro
che faccio alla fine». Risposta che, secondo
i carabinieri del Ros (particolarmente detestati da Genchi, che non si impegnerà molto per nasconderlo né nelle memorie difensive né davanti al Copasir), i quali avevano
seguito a ritroso lo stesso percorso analitico
di Genchi, non poteva esser vera.
Lo scaricabarile tra due ex amici
Il Comitato aveva sentito De Magistris
poche ore prima e dall’ex pm aveva ricevuto una versione diversa: «Ho sempre raccomandato al dottor Genchi la massima cautela con i numeri di altri magistrati o rappresentanti delle istituzioni», aveva in sintesi detto. Il che neppure risulterà completamente vero. Quando viene chiesto a Genchi (senza però dirgli cosa avesse dichiarato sul punto l’ex pm qualche ora prima) se
confermasse o meno quella versione, il consulente dichiara: «No, perché non si è mai
posto il problema di acquisire i numeri dei
vertici dei servizi». Ma se non si è mai posto
il problema, che ci facevano tutte quelle
righe di traffico agli atti delle indagini?
Poi, forse spossato dalla tensione del
contesto, Genchi la spara un po’ grossa:
«Che ci crediate o no, ho realizzato che si
trattava di Pollari quando l’ho letto sul giornale». Come un indagato qualsiasi. «Parte tutto con un lancio del Velino», specifica l’ex poliziotto, «il giorno dopo lo scrivono Ruotolo sulla Stampa, Renato Farina su
Libero e il quotidiano calabrese Calabria
Ora». Ecco, anche Gioacchino
Genchi,
in pratica, appren«Ho realizzato che si trattava di Pollari quando
deva dalla stampa quel che
l’ho letto sul giornale. Parte tutto da un lancio avveniva nel palazzo di giudel Velino. Il giorno dopo lo scrivono Ruotolo,
stizia di Catanzaro. n
Renato Farina su Libero e Calabria Ora»
(2. continua)
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IL NOSTRO UOMO
A PALAZZO
IL RISPETTO PER IL SETTIMO GIORNO
La domenica non si tocca
è un’invenzione di Dio
di Renato Farina
Foto: AP/LaPresse
B
oris Godunov in Parlamento e dovunque si opporrà al sequestro del giorno festivo. La prima idea che Dio ha avuto dopo aver creato l’uomo e la donna è stata
di fargli un regalo: la domenica. È chiaro, non si chiamava così, allora. La BibBORIS
bia dice soltanto che Dio «il settimo giorno si riposò». Il riposo domenicale non è un
GODUNOV
diritto umano, è qualcosa di più: è di diritto divino, chi lo lesiona commette il peccato che i greci chiamavano hybris, l’empietà di ergersi sopra il destino.
Per questo, quando negli anni Settanta, nel tempo inclemente della crisi petrolifera, industriali e governo sembravano essersi messi d’accordo sul fatto che non
dovesse più esserci la domenica – il settimo giorno – per non sprecare l’energia
elettrica, mi parve una rivoluzione sacrilega. Si pensò allora di far marciare le fabbriche a ciclo continuo, il riposo sarebbe stato un giorno casuale, fissato dalla direzione del personale con i sindacati. Oggi non si vuole incentivare
la produzione ma il consumo: negozi e servizi anche la domenica, Ecco, il giorno festivo quando uno è
tutto fa Pil. Sarà anche comodo, ma si perderebbe il segreto del ri- bambino capisce che capita, accade,
poso. Quello di accadere in coincidenza con il tempo fissato prima
che il tempo fosse: la domenica, questa invenzione di Dio che non è un avvenimento non controllato
è una convenzione del governo con i sindacati, l’esito di una ver- da noi. È un regalo divino, non l’esito
tenza tra parti sociali, ma qualcosa, come un fiore, che viene su al- delle trattative tra le parti sociali
la sua stagione, e non si può mettere in freezer per estrarla quando
fa comodo, mettendola nel forno a microonde. Accade, la domenica. C’è. Non la inventò il governo.
Ogni ora della domenica è così. “Essenza” è da estendersi nel suo significato di
profumo. Così come si dice l’essenza dei fiori. Ciascuno di noi lo sa. Io me ne resi conto una strana mattina di settembre a Strasburgo. Accompagnavo da cronista il Papa in uno dei suoi viaggi. Era pressappoco l’alba e stavo lavorando. E camminavo in
fretta tra le strade tranquille della domenica mattina. Ed ecco, vidi un bambino di 9
anni uscire dal portoncino di casa, mezzo assonnato, baciato da sua mamma. Era un
chierichetto che andava alla Messa. Ma non aveva la faccia dei giorni feriali, era domenica: aveva nello sguardo il presentimento di grandi cose, come se avesse aspettato questo appuntamento con la festa per tutta la sua vita. Sarebbe andato in chiesa,
poi al ritorno avrebbe trovato sua madre e suo padre, senza fretta. In realtà, vedevo
in quel bambino me stesso. Senza domenica, con i suoi ricordi di cibi straordinari, e
il sapere che il proprio padre non si era alzato troppo presto, ma riposava, e ti avrebbe fatto un po’ di compagnia. Ecco, la domenica quando uno è bambino capisce che
capita, accade, è un avvenimento che non è controllato da noi. È come la pioggia:
bagna buoni e cattivi, sta a ciascuno di saperne godere, con semplicità, senza farsi
dominare dalla solita ansia feriale, di quando si corre non si sa bene dove e non si
sa bene perché, ma si corre, forse per distrarsi, forse per non sentire troppo dolore.
C’è una poesia che mi ha sempre fatto molto soffrire, quando la maestra ce la leggeva a scuola. Era Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi. Comincia così: «La donzelletta vien dalla campagna». Il senso di quei versi è che il sabato è bello, perché la
vigilia ha un fremito d’attesa che riempie il cuore. Perché secondo Leopardi, l’attesa in realtà è un’illusione, non accadrà nulla la domenica: solo tristezza e noia. Invece, nella mia esperienza non è così. Perché la domenica è il giorno in cui il significato della fatica ci si rovescia addosso, come uno scroscio d’acqua profumata, come il
bagno che la mamma ci faceva fare il mattino presto. Guai a chi tocca la domenica.
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ESTERI
MISSIONE APOSTOLICA
L’attesa
dell’isola
Il paradosso di una rivoluzione comunista che
ha impoverito il popolo, i riti d’importazione
africana, la Chiesa e le sue opere. Papa
Benedetto XVI si prepara a visitare Cuba,
«un paese non cattolico ma “cattolicizzabile”»
«A
Cuba non c’è libertà religiosa,
semmai una certa forma di
libertà di culto». Nei corridoi
del Vaticano lo dicono un po’ tutti, ma
nessuno vuole essere citato. A pochi giorni dalla seconda vista di un Papa nella terra della rivoluzione castrista, si parla più
o meno sottovoce del senso di questo viaggio. Benedetto XVI sarà a Cuba dal 26 al 28
marzo dopo tre giorni di visita in Messico
per celebrare il bicentenario dell’Indipendenza dell’America Latina. A Cuba il Papa
va a celebrare i 400 anni del ritrovamento
dell’immagine veneratissima della Vergine
della Carità del Cobre, ma anche a sostenere la Chiesa cattolica che vive in un difficile equilibrio.
Bocche cucite quindi tra i vertici vaticani su Cuba. E non certo per paura, piuttosto per difendere i cattolici dell’isola dei
Caraibi che solo da poco hanno smesso di
temere di entrare in una chiesa la domenica senza essere “segnalati” ai controllori del
Comitato di difesa della Rivoluzione. Eppure di diplomatici che sono passati per Cuba,
in Vaticano oggi ce ne sono diversi. Ma tutti sanno che la situazione è talmente delicata che basta un nonnulla per far tornare la
situazione dei cattolici indietro di decenni.
Negli anni sono stati molti gli “emissari” vaticani in visita a Cuba. A cominciare dal cardinale Tarcisio Bertone, nell’ottobre 2005, quando era arcivescovo di Genova. Ospite del vescovo e della diocesi di Santa Clara realizzò un intenso viaggio pastorale in diverse località dell’isola. Il cardinale Joseph Ratzinger era stato appena eletto Papa e così Bertone portò al nuovo Pontefice il primo invito per una visita a Cuba,
formulato con grande rispetto e affetto. Fu
Fidel Castro che in una lunga conversazio-
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ne con Bertone definì Benedetto XVI «una
buona e grande persona» e «che ha un volto che sembra quello di un angelo». Bertone dichiarò che «a Cuba la Chiesa è considerata con molto rispetto da parte del Governo». Anche il presidente del pontificio consiglio della Giustizia e della pace, il cardinale Renato Raffaele Martino, a Cuba nel febbraio del 2006 per presentare il Compendio
della dottrina sociale della Chiesa, incontra Fidel Castro e torna in Vaticano con un
altro invito per il Papa. Invito naturalmente
confermato al cardinale Bertone che, questa volta come segretario di Stato di Benedetto XVI, ritornò nel paese in occasione del
decimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II tra il 21 e il 26 febbraio del 2008.
Cuba è un’isola. Non è una considerazione da poco in fondo. Perché essere isola significa alla fine essere isolati e un po’
isolazionisti. Questo di certo non aiuta la
democrazia. Negli anni Cinquanta Cuba
era un paese ricco, e la ricchezza era in
mano alla maggioranza della popolazione.
Canna da zucchero e agricoltura come prima risorsa. Anche le mucche erano di una
razza particolare che dava fino a 12 litri di
latte al giorno, le mucFidel Castro
che creole. Ora nessuno muore di fame, ma
in una lunga
c’è ovunque una grande
conversazione
malnutrizione. Il paracon Tarcisio
dosso della rivoluzione
Bertone
definì
castrista.
Benedetto XVI
La democrazia sembra una parola lontana
«una buona e
per la gente della grangrande persona»
de isola dei Caraibi. Tere «che ha un volto
ra di sogno per i turisti
che sembra quello
occidentali di oggi, terra di grandi speranze al
di un angelo»
Foto: AP/LaPresse
Dall’alto, Fidel Castro con Giovanni Paolo II nel 1998;
Ratzinger in America Latina nel 2007; l’allestimento
del palco per il viaggio di Ratzinger a Cuba
tempo del colonialismo spagnolo, terra senza democrazia praticamente da sempre. E a
Cuba l’unica istituzione che ha una credibilità è la Chiesa cattolica. Perché è vicina alla
gente. Per questo la visita del Papa è importante. L’intento del governo con questo viaggio del Papa è quello di accendere la luce su
Cuba, e quello della Chiesa è simile anche se
con fini di fatto opposti.
A Cuba se pure c’è una qualche apertura economica, manca il rispetto delle dignità della persona. Il regime castrista, la rivoluzione, è sempre presente. A partire dalle tasse sulle auto fino alla sessualità che è
“gestita” da un’agenzia dello Stato, la Cenesex. Per far dimenticare la miseria e la corruzione che ne deriva, il regime cerca di
“drogare” l’anima del popolo con una “educazione” sessuale di libertà assoluta e di precocità. Risultato: l’80 per cento delle don|
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MISSIONE APOSTOLICA ESTERI
Foto: AP/LaPresse
A Cuba l’unica istituzione
che ha una credibilità è
la Chiesa cattolica perché
è vicina alla gente.
Sotto, il segretario di
Stato vaticano, cardinale
Tarcisio Bertone,
che si è recato a Cuba
nel 2005 e nel 2008.
In basso, il cardinale
Ortega y Alamino,
arcivescovo de L’Avana
ne ha abortito almeno una volta e i matrimoni durano in media 18 mesi. La tanto
decantata sanità cubana si basa su medici
che il governo “vende” ad altri paesi, come
il Senegal o il Venezuela. Sono bravi i medici cubani, hanno un ottimo approccio con
il paziente. Ma non hanno mezzi e neppure medicine. Allora ti mandano nelle parrocchie cattoliche. Lì arrivano le medicine,
gli antibiotici. Eppure a Cuba ci sono mitologiche cliniche per ricchi. Così la scuola.
Tutti studiano, molti sono anche preparati, ma alla fine la gente va nelle parrocchie
per ripetizioni e lezioni. Di nascosto, perché
alla Chiesa non è permesso educare, può
solo avere ospizi per anziani e poveri.
A Cuba il “nemico” ha un solo nome:
Usa. L’annosa questione dell’embargo, del
bloqueo, sembra ormai assestata su un traffico preciso. Cuba importa la maggior parte dei beni alimentari dagli States. Ma di
nascosto e con pagamento anticipato in
contanti. Nell’isola non si produce quasi più nulla. Le vecchie aziende dello zucchero sono in disarmo, e così tutta l’agricoltura. Del resto a Cuba l’embargo obbliga a stranezze. Il partito comunista stampa
il suo giornale ufficiale su carta statunitense. Cuba vive di turismo, un po’ delle miniere di nichel e di rimesse dai cubani in esilio.
Nel 1902, l’anno dell’indipendenza dalla
Spagna, a Cuba il 60 per cento della popolazione era nera o creola. Nel 1958, al contrario, il 60 per cento erano bianchi, spagnoli.
Sono loro che sono emigrati in questi anni e
a Cuba sono rimasti i neri e i creoli che non
hanno nessuna rimessa dall’estero.
A Cuba la Chiesa non è mai stata perseguitata con vera violenza. Fidel Castro ha
studiato dai gesuiti e ha mantenuto una
sua personalissima forma di
La processione che
rispetto per la cultura cat- ha portato in tutta
tolica. Ma c’è stata opposil’isola l’immagine
zione per qualunque cosa.
della Madonna
E poi la prigione e i campi
del Cobre è stata
di rieducazione per i preti. Come quello dove è stavivacissima in
to per un anno il cardinatutta la nazione.
le Ortega y Alamino, arciIn alcuni paesi
vescovo dell’Avana che ha
si sono visti
già ricevuto Giovanni Paolo
i massoni con
II. Alcuni lo giudicano troppo indulgente con il regitutti i loro simboli
me. Ma del resto una Chiesa
aperta è sempre meglio di una chiusa, dico- biamento è lunga. E la Chiesa cattolica cerno altri. Dopo la visita di Wojtyla sulla gente ca dei piccoli spiragli pur tra mille difficolche va in chiesa c’è meno controllo, anche tà. Come quando ha partecipato alla trattase i battezzati sono solo la metà della popo- tiva per l’uscita di prigione di 75 dissidenlazione, e solo il 2 per cento frequenta.
ti un paio di anni fa. Qualcuno temeva che
fosse un modo di farsi strumentalizzare, ma
La riapertura del seminario
era anche un modo per poter far puntare i
Invece la processione che ha portato in tut- riflettori su Cuba, sulla drammatica manta l’isola l’immagine della Madonna del canza di rispetto dei diritti umani in un
Cobre è stata vivacissima in tutta la nazio- paese isolato a pochi chilometri dalla costa
ne, con gente di tutti i tipi, anche un po’ degli Stati Uniti dove frotte di turisti vanno
per superstizione. Addirittura in alcuni pae- senza rendersi spesso conto che con quelsi, in processione si sono visti i massoni con lo che spendono per una cena una famiglia
tutti i loro simboli. «Cuba non è un paese cubana deve vivere per un mese.
Una fatica anche per la Chiesa, per i tancattolico ma “cattolicizzabile”», si dice. Il
ruolo principale della Chiesa oggi è la cari- ti religiosi e religiose che sono vicini alla
tà. Dal 1958 non c’è il permesso di costru- gente e per quelli che vivono sul filo del
ire nuove chiese cattoliche, e la riapertura rasoio con la psicosi di essere continuamendel seminario all’Avana, ad alcuni è sembra- te spiati e controllati. «Hay que resolver»,
ta più un’operazione pubblicitaria di Raul dicono a Cuba e pragmaticamente cercano
Castro che negli anni Sessanta lo sequestrò ogni mezzo per sopravvivere, con un po’ di
in nome della rivoluzione. A Natale il car- indolenza caraibica e con la speranza che
dinale Ortega y Alamino pronuncia il suo qualcuno si accorga di loro.
La Chiesa fa quello che può, ma ci sono
discorso in tv, è vero, ma sul canale educativo che si riceve praticamente solo nella capi- anche tanti sacerdoti che dopo un po’ si scotale. Insomma la strada per un vero cam- raggiano e chiedono di andar via, magari
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CULTURA MISSIONE APOSTOLICA
CHI ERA FELIX VARELA
Insegnante geniale e sacerdote degli ultimi
Felix Varela viene considerato uno dei padri della nazione cubana. Nato all’Avana
nel 1788, a 23 anni diventa sacerdote e a 24 professore di filosofia, fisica ed etica nel
seminario della capitale. Nel 1821, a 33 anni, diventa deputato e inviato come rappresentante di Cuba alle Corti di Madrid. Le sue tre proposte di legge in Spagna, un governo
per le province di oltremare, l’indipendenza e l’abolizione della schiavitù non vengono
accettate. Nel 1823 lascia la Spagna; non potendo ritornare a Cuba, si autoesilia negli
Stati Uniti, a New York, da dove continua la sua battaglia. Sacerdote esemplare, si occupa
della costruzione di chiese e scuole, ed evangelizza i poveri e gli immigrati, aiutandoli a
integrarsi. Muore negli Stati Uniti nel febbraio 1853. Il suo corpo riposa nell’aula magna
dell’Università dell’Avana. Nel 1981 il governo di Cuba ha creato l’ordine Felix Varela, la
maggiore onorificenza del paese. Varela incarna una santità moderna. Insegnante geniale,
generoso, zelante; fu “prestato” alla politica per obbedienza e vi si dedicò per servizio agli
uomini e alla società; fu sacerdote “santo” non per quello che scrisse, ma per quello che
fece. «L’augurio – dice il postulatore Rodolfo Meoli – è che dopo la prima evangelizzazione
di Cuba, possa iniziarne una seconda nel nome di Varela, dopo quest’ultimo mezzo secolo
di scristianizzazione. E che Varela, cubano di nascita e di cultura, ma statunitense per la
sua attività apostolica, possa servire alla riconciliazione di questi due popoli». [aa]
A sinistra, Giovanni Paolo II all’Università dell’Avana prega davanti alla lapide di padre
Felix Varela (in alto, la sua statua). Il suo processo di beatificazione è iniziato nel 1986
Aperti al mondo
I cattolici cubani da questa visita si aspettano anche l’annuncio della beatificazione
del servo di Dio padre Felix Varela. Rodolfo Meroli, postulatore della causa, conferma che la Congregazione per la causa dei
santi ha approvato il decreto che ne dichiara le virtù eroiche. Giovanni Paolo II nel suo
viaggio disse che «la fiaccola che, accesa da
padre Varela, doveva illuminare la storia del
popolo cubano fu raccolta, poco dopo la sua
morte, da quella personalità eminente della nazione che fu José Martí». Un discorso
tenuto all’Università in cui il Papa ricordava
la venerazione dei cubani per padre Varela e
José Martí. «Sono convinto – disse – che questo popolo ha ereditato le virtù umane di
matrice cristiana di ambedue questi uomini, dato che tutti i cubani condividono in
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solo il Signore Gesù ci può dare».
Il cuore dei cubani è aperto a fede, cultura e musica. Cuba è un’isola piena di contraddizioni, ma dove c’è tanta voglia di vivere e di creare, di esprimersi. Anche per la
fede. Ma la diplomazia deve mantenere
il suo equilibrio. Come fa l’ambasciatore
cubano presso la Santa Sede. Eduardo Delgado ricorda sempre che i rapporti diplomatici tra Cuba e Vaticano da 76 anni non
sono mai stati interrotti. E Cuba è grata per
la posizione della Santa Sede, ovviamente
contraria all’embargo. Del resto la Chiesa si
è sempre opposta a ogni azione le cui conseguenze ricadano sulla popolazione.
Una terra difficile per tutti
«Il popolo cubano – dice l’ambasciatore –
a mio avviso aspetta innanzitutto di vedere il Papa: desidera stargli vicino, ascoltarlo, ricevere il suo messaggio. La sua parola
influisce positivamente sulle persone e sullo sviluppo della società». Insomma, Cuba
è un paese difficile per tutti, a tinte forti,
descritto in modi quasi opposti da chi pensa che la Chiesa dovrebbe prendere posizioni forti contro il regime e da chi invece pensa che il Vangelo passa per vie imprevedibili e che è meglio non rischiare l’espulsione,
come è successo in passato a preti e suore.
Nessun compromesso col regime ovviamente, ma una sorta di Ostpolitik caraibica che
punta sulla vicinanza alla gente attraverso
la carità e la disponibilità. Anche per questo
la visita di Benedetto XVI è
importante. Perché un padre
«Il popolo cubano aspetta di vedere il Papa:
non lascia mai soli i suoi
desidera stargli vicino, ascoltarlo, ricevere
figli. E qualcuno sogna addiil suo messaggio. La sua parola influisce
rittura una Gmg all’Avana.
sulle persone e sullo sviluppo della società»
Angela Ambrogetti
Foto: AP/LaPresse
a Miami con la comunità di esuli cubani.
E così a Cuba restano soprattutto neri e creoli avvolti dalla nuvola della Revolucion e
condizionati dai riti magici dei culti di antica importazione africana. Non è raro trovare chi si guadagna la vita allevando galli da sacrificare per qualche rito della Santeria. La Chiesa affronta questa situazione
basandosi su quello che è rimasto della cultura cattolica. E lo fa con coraggio e abnegazione, potendo lavorare solo nelle parrocchie. Niente scuole, niente università, niente accesso al mondo culturale insomma.
modo solidale la loro impronta culturale».
Intanto la diplomazia vaticana è molto cauta. Il nunzio monsignor Bruno Musarò, arrivato da poco a dare il cambio a Giovanni
Angelo Becciu, diventato il numero due della segreteria di Stato vaticana, rilascia solo
poche interviste ufficiali.
In una dichiarazione al Sir, l’agenzia
dei vescovi italiani, parla dei cambiamenti
dopo la visita di papa Wojtyla: «Tutti ricordiamo ancora le parole profetiche di Giovanni Paolo II: “Che Cuba si apra al mondo
e il mondo a Cuba!”. Proprio da quell’esortazione, pronunciata davanti a migliaia di
cubani e a milioni di telespettatori, scaturisce gran parte dei cambiamenti che stanno
caratterizzando la vita della nazione, incominciando dal dialogo tra Chiesa e governo. L’ultimo riguarda il campo economico con un insieme di riforme. Ma i cambiamenti più importanti sono quelli di cui nessuno parla e che si realizzano nel cuore e
nella mente di coloro che hanno accolto il
messaggio di Giovanni Paolo II. In sostanza
si tratta della speranza nel futuro dell’isola, della gioia di sapersi amati e rispettati,
intraprendendo così un cammino di riconciliazione e d’impegno per il bene comune. I prigionieri, i malati, le persone sole
o abbandonate hanno trovato una ragione
per andare avanti, superando con fiducia e
coraggio tutti gli ostacoli. Questo è il vero
cambiamento: la libertà interiore, il desiderio di crescere nell’amore vero, quello che
ESTERI LE PRIMARIE DEL GOP
I
ormai si
sa, sono un ragioniere, un visionario,
un furbacchione e un matto. Ciascuno ha il suo ruolo assegnato in quel contraddittorio dramma teatrale che è la corsa
per le primarie del Partito repubblicano, e
a quello diligentemente si limita.
Il ragioniere è Mitt Romney, l’ex governatore del Massachusetts che da quando sente minacciata la sua prerogativa
di “candidato inevitabile” non fa altro
che parlare di numeri per compensare le
mancanze in fatto di trasporto emotivo.
Rick Santorum, il visionario, da quando
ha capito di poter minacciare la prerogativa di “candidato inevitabile” di Romney
non fa altro che parlare di trasporto emotivo per compensare le mancanze in fatto di numeri. Il furbacchione è l’ex speaker della Camera Newt Gingrich, originario della Georgia – dove si è effettivamente
affermato – ma logorato e reso vagamente
furbo e cinico da una trentennale frequentazione con l’establishment di Washington. In punta di sceneggiatura Gingrich
dovrebbe fare la parte dell’alleato di Santorum contro la cultura capitalista e bostoniana di Romney, ma in pratica si sta tra-
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protagonisti di questa storia,
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Non è solo
questione
di numeri
Certo, bisogna calcolare gli stati conquistati,
i voti dispersi e l’eleggibilità di ognuno. Ma la
corsa tra Mitt il ragioniere e Rick il visionario
per il diritto a sfidare Obama è destinata a
durare ben oltre le presidenziali di novembre
Foto: AP/LaPresse
da New York Mattia Ferraresi
Foto: AP/LaPresse
In queste pagine, i candidati alle
primarie del Partito repubblicano
americano. Qui sopra, Ron Paul
e, in alto, Newt Gingrich. A sinistra,
Rick Santorum e Mitt Romney
(nella pagina a fianco). Romney e
Santorum, i due attualmente in
testa, hanno rispettivamente circa
500 e 250 delegati. Per vincere
bisogna accumularne in tutto 1.144
sformando in un peso per lo sfidante più
accreditato. Ogni volta che il canuto signore incassa un buon piazzamento, come è
successo in Alabama e Mississippi, dove è
arrivato secondo, la tentazione di abbandonare la gara e dare il suo endorsement
all’ex senatore della Pennsylvania di colpo svanisce, e lui torna a sognare la lunga
corsa che porterà i candidati alla convention di Tampa, in Florida, il 30 agosto. La
dispersione di voti che ne risulta è un danno che Santorum inizia a sentire sul serio.
L’ultimo è il matto – senza offesa, s’intende – ovvero Ron Paul, deputato del Texas
che ha idee impresentabili per un’alta percentuale dell’elettorato repubblicano. Per
la bassa percentuale restante è una specie
di divinità. Le sue ragioni per continuare
a rimanere in pista pur non avendo vinto le primarie nemmeno in uno stato sono
ottime e non hanno nulla a che fare con
la candidatura alla presidenza. Paul coltiva il suo orto libertario, pasce le pecorelle
del Tea Party, semina parole che raccoglierà più avanti sotto forma di fedeltà e donazioni. Le metafore agricole non sono campate per aria, perché Paul propone parole
d’ordine balzane e borderline secondo una
rotazione quadriennale precisa, scandita
dalle stagioni politiche.
Romney è arrivato terzo in Alabama e
Mississippi, stati del Sud che non s’accordano per nulla con il cursus honorum di un
politico mormone che ha guidato a lungo
un fondo d’investimento, ha studiato nelle
università dell’Ivy League, è stato governatore di uno stato snob e democratico, e lì
ha cambiato idea su molte cose, dall’aborto al sistema sanitario. Pagare ora a destra
i compromessi dei tempi del Massachusetts
è uno dei fattori che ha fatto emergere Santorum, candidato debole con idee forti che
s’è insinuato nelle lacune dell’avversario,
ha usato le sue debolezze ragionieristiche
come trampolini per lanciare l’immagine
del candidato dei contenuti, della visione
del mondo, dei valori tradizionali e della
resurrezione del conservatorismo sociale.
ne internazionale e della libertà religiosa.
Quando ha deciso di mettere la faccia nella
politica nazionale che conta si è trovato di
fronte un candidato meccanico e incravattato che sapeva parlare soltanto la lingua
dei ricchi; lui ha risposto infiammando i
cuori del popolo. Nella doppia vittoria del
Sud anche Santorum giocava fuori casa, in
un ambiente politicamente e antropologicamente lontano dal suo, ma l’irreprensibile rigore morale del cattolico ha contribuito ad attrarre gli evangelici – che non hanno un candidato di riferimento: il paradosso è piuttosto che i cattolici gli preferiscono
l’avversario – dinamica che è diventata una
costante nel percorso elettorale.
Altrettanto costante è la spartizione di
voti per censo. Romney conquista facilmente i conservatori che guadagnano più di
Evangelici e cattolici, ruoli invertiti
centomila dollari l’anno, mentre Santorum
Questo figlio della working class s’era già intercetta la sensibilità della middle class
visto all’opera durante gli anni di George meno agiata, quel grande centro che si sta
W. Bush, impegnato con grande spirito ide- separando per una specie di idrolisi politiale sul fronte della vita, della cooperazio- ca indotta dalla crisi. Ma Romney, dicevamo, ha uno spirito da ragioSantorum ha la potenza di idee che prendono niere, il quale gli ha permesso di tramutare anche quealla pancia, trasmette una scossa elettrica
sta sconfitta in qualcosa che
quando parla ai suoi. Romney fa comizi,
somiglia, almeno da lontano, a una vittoria moraSantorum adunate. La differenza è tutta lì
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le. Quando il vento sembra soffiare nella direzione opposta, Romney non ha nemmeno bisogno di prodursi nell’eloquio pubblico: convoca le squadre dei contabili ed
espone al mondo il conteggio dei delegati,
unico parametro oggettivo per distinguere
la vittoria dalla sconfitta. Nella serata della sconfitta a sud, l’ex governatore ha racimolato 43 delegati, Santorum 36. In totale
Romney ne ha circa 500, il suo principale
avversario la metà, e per mettersi in tasca la
nomination la fatidica cifra da raggiungere
è 1.144. Questo è ciò che il governatore dice,
ma soprattutto fa dire agli altri.
E non c’è sondaggio che tenga
Insistere in prima persona è sconveniente,
meglio parlare di piani per rilanciare l’economia, tagli fiscali, attacchi di varia natura, dalle centrali nucleari iraniane al welfare europeo. A parole Romney vorrebbe cercare di smarcarsi dalla dialettica delle primarie, quella dove guadagna visibilità e
consensi chi la spara più a destra, ed entrare nella grande lotta delle elezioni generali, quelle dove ci si batte per il voto di indipendenti e indecisi, dunque soprattutto al
centro. Ma il tabellone dello score dice che
per arrivare lì bisogna avere i numeri. Lui
ce li ha, ma non ancora tutti. Ha quattro
quinti di scala, come si dice nel poker, ma
per agganciare la quinta carta serve un colpo favorevole.
La sera successiva alle primarie del
Sud, durante una cena di fundraising, il
magnate dei supermercati John Catsimatidis ha detto: «I media non vogliono raccontare la realtà. Romney ha vinto più delegati la scorsa notte di qualsiasi altro candidato. Quando i media parlano di una “grande
vittoria” di Santorum non dicono la verità. È semplice matematica. Fate i compiti a
casa e ditemi il risultato dell’addizione. La
verità è la verità». Questo è lo “stump speech” dei ragionieri di Romney, il suo contenuto è sostanzialmente vero nonostante appaia terribilmente lontano dalla percezione dell’elettorato nelle dinamiche di
voto, nei caucus, nei discorsi romneyani,
dove l’astante più eccitato sbadiglia.
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Santorum ha la visione, la
IL SANTORUM DEL ’64 CHE “LANCIÒ” REAGAN
potenza di idee che prendono alla pancia, trasmette una
scossa elettrica quando parla
Un nuovo Goldwater per
ai suoi. Romney fa comizi, Sanun partito da rifondare
torum adunate. La differenza è
Nel 1964 il senatore dell’Arizona Barry Goltutta lì. Anche per questo una
dwater vinse la nomination repubblicana dopo una
costante dell’ex senatore è statornata di primarie affollata, logorante e con grande
ta quella di “superare i sondagdispersione di voti. Con i dovuti aggiornamenti dello
gi”. In Mississippi ha vinto senspettro politico, Goldwater allora occupava una
za essere mai stato una sola volposizione simile a quella che occupa oggi Rick Santota in testa nelle previsioni, nemrum. Entrambi sono outsider senza il timbro ufficiale
meno quelle fatte dal più audadell’apparato, entrambi hanno sfidato avversari
ce o sprovveduto degli istituti.
moderati e ricchi; quest’anno l’uomo da battere è Mitt
Nate Silver, il cervellone che elabora i numeri elettorali del New
York Times, ha dovuto ammettere, ancorché implicitamente,
la sua incapacità di fare previsioni sensate su Santorum con
un articolo dal titolo: “Perché
Santorum supera sempre i sondaggi?”. Silver si difende dicendo innanzitutto che lui costruisce modelli di calcolo, non fa
sondaggi, dunque se la materia
prima di cui dispone è scadente
il modello sarà inevitabilmente fallace. Ma fra le varie ipotesi sulle ragioni politiche degli
exploit ce ne sono due non prettamente tecniche che illuminano la fenomenologia di Santorum. Prima ipotesi: l’entusiasmo. Gli elettori dell’ex senatore gli somigliano, sono entusiasti e galvanizzati come lui,
si sentono parte di una comunità, non sono monadi isolate
che arrivano razionalmente a sottoscrivere il titolare della fetta più radicale dell’elettoun patto di mutuo interesse. Presi da que- rato conservatore, gente che odia l’intrusiosta ispirazione, sono più propensi a convin- ne dello Stato nella vita delle persone, fino
cere gli indecisi e a stanare i refrattari, men- al punto di ripudiare il censimento obbligatre il bacino di Romney ha una naturale ten- torio, visto come una violazione della liberdenza alla stagnazione (in diversi stati l’ex tà personale. Questo tipo umano non ama
governatore ha preso un numero di prefe- che qualcuno scandagli le sue opinioni,
renze estremamente simile a quelle che ave- nemmeno un sondaggista che sta facendo
va ottenuto nel 2008, non proprio il segno il suo sporco lavoro telefonico, dunque predi una campagna dinamica). Seconda ipote- ferisce non dire nulla oppure tagliare corto
si: la scelta privata. Il candidato visionario è con la storia del “voto il candidato più eleggibile”. E il ragionamento sull’eleggibilità,
criterio di compromesso molto europeo, è
uno dei perdenti certi in queste primarie
repubblicane, tanto che “l’inevitabile” Romney ha alternato vittorie che sembravano
definitive a sconfitte che riaprono la partita. Le osservazioni di Silver vanno unite a un
fenomeno ricorrente in tutti gli stati.
Santorum vince nei distretti rurali a
bassa densità di popolazione, territori più
sensibili alla campagna “grassroots”, radicata, capillare e basata su vie di comunicazione classiche; Romney si afferma nei centri urbani e nei sobborghi delle élite. I suoi
uomini ne fanno un punto d’onore, dicono
che è nelle città che si vincono le elezioni,
Foto: AP/LaPresse
ESTERI LE PRIMARIE DEL GOP
Romney, allora era Nelson Rockefeller. I sostenitori
dei moderati odiavano a tal punto il conservatorismo
muscolare di Goldwater che quando Rockefeller si
ritirò dalla corsa dirottarono le loro preferenze sul
governatore della Pennsylvania, William Scranton,
l’unico che avrebbe avuto qualche possibilità, secondo
i calcoli disperati di quei giorni, di fermare Goldwater.
Alle elezioni generali Lyndon Johnson poi spazzò via il
senatore repubblicano con il 61 per cento delle preferenze, ma a quel punto Goldwater aveva già cambiato
il volto del conservatorismo. Non si trattava esclusivamente della vittoria immediata, ma della direzione
Foto: AP/LaPresse
un’osservazione confermata dai dati storici ma che contiene un lato oscuro per Romney in vista della probabile (ma tuttavia ipotetica) corsa contro Barack Obama a novembre: l’ex governatore è forte nei distretti
dove Obama è tremendamente forte.
Dove va la White America
Charles Murray, scienziato politico di
ascendenze libertarie, ha scritto di recente
Coming Apart: The State of White America,
1960-2010, un libro fondamentale per capire l’involuzione della classe media bianca
negli ultimi cinquant’anni. Nel modello
elaborato per spiegare come l’America bianca è cambiata sotto il profilo sociale, economico e politico, Murray propone due mondi contrapposti: Belmont e Fishtown, ovvero il quartiere più snob di Boston e il sobborgo di Philadelphia simbolo della working class. «Per essere assegnati a Belmont
occorre avere almeno una laurea di primo
livello e fare il manager, il medico, il giudice, l’ingegnere, l’architetto, il professore, lo
scienziato o il giornalista. Per essere assegnati a Fishtown, invece, occorre non avere un titolo di studio più alto del diploma
Qui accanto, Ronald
Reagan tra i suoi
sostenitori nel 1980.
A sinistra, Barry
Goldwater, outsider
delle primarie
dei repubblicani
nel 1964. Il suo
conservatorismo
muscolare, inviso
al partito, divenne
poi il laboratorio
della rinascita del
Gop che culminerà
appunto con Reagan.
Sotto, la copertina
del saggio di Charles
Murray sulla middle
class bianca degli
States (elettorato
di riferimento dei
repubblicani),
sempre più divisa,
secondo la metafora
dell’autore, tra
Belmont, il quartiere
più snob di Boston, e
Fishtown, sobborgo
di Philadelphia
simbolo della
classe operaia
impressa a un partito lacerato da correnti e fazioni.
Proprio come oggi, anche allora il Gop aveva bisogno
di una restaurazione, un nuovo momento fondativo, e
Goldwater fornì la piattaforma di idee che nel tempo
ha portato anche i successi elettorali. Era il laboratorio che ha covato la nascita di Ronald Reagan. Quando quest’ultimo è stato eletto, sedici anni più tardi, il
columnist George Will ha scritto: «Ci sono voluti sedici
anni per ricontare i voti, e alla fine ha vinto Goldwater». Recitare la parte del nuovo Goldwater è un vasto
programma, ma Santorum è abbastanza outsider e
visionario per ragionare in questi termini.
[mf]
superiore e, nel caso si lavori, si considera
il lavoro da colletto blu o da colletto bianco di basso livello». Lo scopo dell’analisi di
Murray prescinde dalla tornata elettorale
in corso, ma incidentalmente – e certo non
casualmente – coglie la filigrana sociale
che sta sullo sfondo dello scontro fra Romney e Santorum. Il primo viene da Belmont
(peraltro non da una Belmont immaginaria, ma proprio da quella Belmont), mentre
il secondo è, almeno idealmente, un abitante di Fishtown. Quella separazione del mondo bianco americano che Murray giudica il
criterio supremo per considerare i cambiamenti dell’America finisce per essere riflessa e incarnata nella lotta fra i campioni di
versioni incompatibili del conservatorismo.
Coming Apart è uno strumento illuminante per trarre la presente competizione delle primarie fuori dalla fanghiglia della politica day by day, dal territorio pedestre del-
la battaglia per i voti, e mette ogni cosa in
prospettiva. Visti attraverso le lenti storiche
e sociologiche di Murray, i due sfidanti vengono trasfigurati.
Romney è un manager prestato alla politica, i suoi comizi sembrano riunioni di
lavoro, le sue idee su società e vita sono programmaticamente deboli e ambigue, i suoi
princìpi tendono a essere sempre negoziabili, e l’orizzonte della sua azione è un risultato ragionieristicamente calcolabile. Per
questo insiste, con una tenacia che sfiora la
monomania, sull’aspetto matematico della sfida. Santorum è il suo Doppelgänger
visionario, poco pratico sui numeri ma abile nell’accarezzare le emozioni degli elettori. La sua storia politica manca di credibilità
all’occhio del ragioniere, ma trova un posto
rilevante nel mondo se vista attraverso la
capacità di connessione con un elettorato
che dei calcoli con l’abaco non sa che farsene. Per questo i frutti del conSantorum vince nei distretti rurali, territori più servatorismo sociale di Santorum potrebbero ricompasensibili alla campagna radicata, basata su vie rire nel panorama politico
di comunicazione classiche; Romney si afferma molto più in là di questa tornei centri urbani e nei sobborghi delle élite
nata elettorale. n
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ESTERI IL NUOVO RISIKO
C’è tensione
in casa
Una nuova ondata nazionalista sta generando
conflitti e crisi diplomatiche in mezza Europa.
Il pretesto è la difesa delle minoranze etniche.
Ma sembra una prova di forza tra governi
ormai ridotti alla semi-inutilità da Bruxelles
I
ministri degli Esteri di Polonia e Lituania
non si parlano più. La Romania blocca
fino all’ultimo minuto la candidatura
della Serbia all’ingresso nell’Unione Europea. L’Ungheria di Viktor Orbán si prepara
a incrociare nuovamente i guantoni con la
Slovacchia di Robert Fico, dopo la vittoria a
valanga dei socialdemocratici nelle elezioni
slovacche. Chi credeva che attriti e tensioni fra stati europei fossero confinati ai Balcani convalescenti dalle guerre degli anni
Novanta del XX secolo e ai paesi nati dalla
frantumazione dell’Unione Sovietica deve
ricredersi: gli stati dell’Europa orientale che
nel giro di pochi anni hanno visto degradare i loro rapporti in misura preoccupante
sono parte integrante dell’Unione Europea
o sono sulla strada per aderirvi.
Ernesto Galli Della Loggia ha recentemente scritto due stimolanti editoriali sul
Corriere della Sera per spiegare che l’eclis-
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se della politica alla quale stiamo assistendo è dovuta non solo alla crisi economica, ma alla crescente sovranità sovranazionale dell’Unione Europea, che toglie spazio all’unico ambito in cui la democrazia è
praticabile in modi e forme sensati: quello
nazionale, dove infatti storicamente è nata.
Fatto sta che partiti, governi e parlamenti
nazionali continuano a esistere: ma di che
cosa si occuperanno, su cosa si accapiglieranno? Messo da parte il caso di Germania e
Francia, paesi che ambiscono a comandare
l’Europa per interposta Ue, si potrebbe concludere che in Italia gli oggetti residui della
contesa politica sono la televisione e la giustizia; in Spagna, Belgio e Regno Unito sono
le aspirazioni indipendentiste o secessioniste di alcuni territori; nell’Europa dell’Est
sono i litigi coi vicini motivati dal trattamento delle rispettive minoranze nazionali.
Tutte conseguenze della sottrazione di
economia, fiscalità e welfare alle politiche
nazionali da parte di Bruxelles? Galli Della Loggia non è del tutto d’accordo: «I paesi dell’Europa orientale», dichiara a Tempi, «non hanno bussato alla porta della Ue
mossi da volontà di integrazione europea,
come è stato il caso dei paesi fondatori della Cee. Le loro motivazioni erano altre: sottrarsi all’influenza dell’Unione Sovietica e
poi della Russia, accedere ai fondi europei,
disporre di un mercato per le loro merci.
Ma la loro cultura politica resta nazionalista». È senz’altro vero, ma ci sono casi in cui
il nazionalismo e la suscettibilità per il trattamento delle minoranze etniche ha davvero l’aria di un pretesto per poter flettere
i muscoli e giustificare la propria esistenza di fronte agli elettori del proprio paese.
Prendiamo il caso del colpo di scena che
ha preceduto il Consiglio europeo dell’1-2
marzo scorsi: doveva semplicemente rati-
Un manifesto
di protesta contro
l’ingresso della Serbia
nell’Unione Europea
ficare la decisione di concedere alla Serbia
lo status di paese candidato, ma al Consiglio degli affari generali del 28-29 febbraio la Romania ha di fatto bloccato il processo asserendo che Belgrado non offriva
garanzie sul trattamento delle minoranze etniche sul suo territorio, in particolare dei valacchi della valle del fiume Timok,
al confine fra i due paesi. Il veto è arrivato
come un fulmine a ciel sereno, essendo Serbia e Romania fino a poco prima due paesi con visioni affini di politica estera: Bucarest ha sempre perorato la causa dell’ingresso di Belgrado nella Ue ed è uno dei pochi
paesi dell’Unione a non aver riconosciuto
l’indipendenza del Kosovo. Effettivamente
nella sua visita del novembre scorso a Belgrado il capo di Stato rumeno Traian Basescu aveva chiesto maggiori garanzie a favore
della minoranza rumena in Serbia in materia di diritti linguistici, religiosi e dell’istru-
I VALACCHI
Rumeni in Serbia
La candidatura della
Serbia all’Ue era stata
bloccata dalla Romania
motivando che Belgrado
non offriva garanzie sul
trattamento delle minoranze etniche sul suo
territorio, in particolare
dei 40 mila valacchi al
confine tra i due Stati.
Lo stesso capo di Stato
Traian Basescu aveva
già chiesto maggiori
garanzie a favore della
minoranza rumena in
materia di diritti linguistici, religiosi e d’istruzione. Per sbloccare la concessione dello status di
candidato all’Ue è stato
necessario firmare un
protocollo d’intesa fra i
due paesi sul trattamento delle minoranze.
Estonia
Lettonia
Lituania
Polonia
Repubblica
Ceca
Slovenia
Slovacchia
Ungheria
Romania
Croazia
Serbia
zione, ma non tutti avevano capito che stava ponendo la questione dei valacchi: in Serbia vivono, secondo il censimento del 2002,
35 mila rumeni nella regione della Vojvodina che godono dei pieni diritti linguistici,
scolastici e religiosi (hanno anche un vescovado ortodosso rumeno che si occupa di
loro), ma nulla del genere è previsto per i 40
mila valacchi della valle del Timok Benché
di lingua rumena, in maggioranza costoro non si considerano legati alla Romania
né alla minoranza rumena in Serbia. Tuttavia è stato necessario stendere e firmare
a spron battuto un protocollo d’intesa bilaterale fra Romania e Serbia sul trattamento
delle minoranze per sbloccare la concessione dello status di paese candidato alla Ue.
L’ultimatum della Polonia
Polonia e Lituania, invece, sono già membri
dell’Unione (dal 2003 la prima, dal 2004 la
seconda), ma i loro rapporti bilaterali continuano a degradarsi. Sabato scorso migliaia di giovani e non più giovani polacchi di
passaporto lituano hanno dato vita a una
marcia di protesta nella capitale Vilnius in
difesa dell’educazione in lingua polacca e
contro la legge che ha aumentato il numero delle materie che devono essere insegnate in lingua lituana all’interno delle scuole
per la minoranza polacca. La data scelta per
la protesta è inquietante: il 17 marzo ricorre l’anniversario della consegna dell’ultimatum con cui la Polonia, nel 1938, intimava
alla Lituania di stabilire entro 48 ore rapporti diplomatici con Varsavia se non voleva
una dichiarazione di guerra. Oggi non sia-
Bulgaria
Minoranze etniche* nei paesi
dell’Europa dell’Est membri dell’Ue
25% della popolazione
Bulgaria
Turchi
Rom
9,4%
4,7%
Croazia**
4,5%
Serbi
Estonia
Lettonia
25,5%
Russi
2,1%
Ucraini
Bielorussi 1,2%
27,6%
Russi
Bielorussi 3,6%
Ucraini 2,5%
Polacchi 2,3%
1,3%
Lituani
Lituania
Polacchi 6,7%
6,3%
Russi
Bielorussi 1,6%
Repubblica Ceca
3,7%
Moravi
Slovacchi 1,9%
Serbia***
Bosgnacchi 1,8%
Rom e Sinti 1,4%
Romeni
e Valacchi 1,1%
Slovenia
2%
Serbi
1,8%
Croati
Bosgnacchi 1,1%
Polonia
Tedeschi
Ucraini
4%
4%
Romania
Magiari
Rom
6,9%
2,4%
Slovacchia
Magiari
Rom
9,6%
1,8%
Ungheria
Rom
Ruteni
Tedeschi
5%
3%
2%
* sono considerate solo quelle superiori
all’1% della popolazione
** ingresso previsto per il 2013
*** paese candidato all’ingresso
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ESTERI IL NUOVO RISIKO
Sopra, il primo ministro
slovacco Robert Fico. È
al suo secondo mandato.
Il suo partito, “Direzione-
Socialdemocrazia”
ha ottenuto un grande
successo elettorale.
A sinistra, il primo
ministro ungherese
Viktor Orbán
mo ancora agli ultimatum, ma già i ministri degli Esteri (il polacco Radek Sikorski e
il lituano Audronius Azubalis) non si parlano più. Il cahier des doléances dei polacchi comprende, oltre all’aumento delle ore
di lezione in lituano, la chiusura di alcune
scuole per la minoranza polacca per asserite
difficoltà di bilancio, la mancata restituzione a cittadini polacchi di proprietà immobiliari nella regione di Vilnius (che fu governata dalla Polonia fra il 1920 e il 1939) confiscate in epoca sovietica, l’utilizzo esclusivo
dell’alfabeto lituano nei documenti ufficiali
che costringe a rinunciare alla grafia polacca dei nomi e cognomi.
Per parte loro i lituani lamentano il
declino delle scuole per la minoranza lituana (circa 20 mila persone) in Polonia dopo
il 2007 e le interferenze polacche nella loro
politica interna, che vede il partito Azione
elettorale polacca apertamente sostenuto
dal governo della Polonia. Dove porterà questa atmosfera avvelenata non è chiaro, ma il
fatto che in ottobre si svolgeranno in Lituania elezioni politiche non aiuta.
to della minoranza ungherese in Slovacchia
(oltre 520 mila persone, pari al 9,6 per cento della popolazione) a utilizzare la lingua
madre subisse significative ferite.
La legge sulla lingua slovacca del 2009
ha reso punibile con multe fino a 5 mila
euro l’uso di lingue minoritarie nelle strutture pubbliche e nei pubblici esercizi di città e villaggi dove la minoranza linguistica presente è inferiore al 20 per cento; ha
altresì stabilito il primato dello slovacco,
che deve essere usato anche nei verbali e
nelle circolari delle scuole delle minoranze linguistiche, e deve comparire in tutte le
iscrizioni pubbliche, come i nomi delle vie
e le targhe degli uffici pubblici, anche nelle
località dove le minoranze sono maggioritarie (in questi casi si assisterà alla duplicazione di iscrizioni e documentazione, anche
quando nessuno è interessato allo slovacco).
Il primo mandato di Robert Fico è stato anche caratterizzato dal rigetto di ogni
tentativo di approvare riparazioni per gli
ungheresi danneggiati dai decreti di Benes
(1940-’45) che li avevano spogliati delle
loro proprietà in Slovacchia. E da incidenti diplomatici come quello di Komárno del
respingimento alla frontiera del capo di Stato ungherese László Sólyom, inizialmente
invitato all’inaugurazione di una statua di
santo Stefano nella città di Komárno, poi
dichiarato persona non grata dopo che aveva fatto sapere che non avrebbe ricevuto
dignitari che il governo slovacco intendeva fargli incontrare. L’Ungheria portò la faccenda alla Corte di giustizia europea, asserendo che era stata violata la direttiva sulla
libertà di movimento dei cittadini nei paesi
della Ue, ma la Corte le diede torto.
Si è sicuramente comportato in modo
più disdicevole del presidente magiaro Sol-
Il ritorno di Robert Fico
Mentre la contesa lituano-polacca è già bella calda, un’altra crisi intra-Ue che si era raffreddata rischia di recuperare temperatura:
quella fra Ungheria e Slovacchia. Grazie al
successo del suo partito (Smer, acronimo di
“Direzione-Socialdemocrazia”) che ha conquistato la maggioranza assoluta in un’elezione anticipata, Robert Fico va a occupare per la seconda volta nella sua carriera la
carica di primo ministro. Il suo precedente mandato (2006-2010) è consegnato alla
damnatio memoriae per la partecipazione
alla coalizione di governo degli ultranazionalisti del Partito nazionale slovacco di Ján
Slota, che in un discorso ad
alto tasso alcolico aveva inviIl primo mandato di Robert Fico è stato anche
tato la Slovacchia a inviare i
caratterizzato da incidenti diplomatici come
suoi carri armati a spianaquello di Komárno del respingimento alla
re Budapest, ma soprattutto
frontiera del capo di Stato ungherese Sólyom
aveva ottenuto che il dirit36
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yom il presidente slovacco Ivan Gasparovic, che nell’agosto scorso ha manifestato
la sua opposizione all’erezione, nella città
di Kosice, di un monumento in memoria di
János Esterházy, deputato di origine ungherese dei parlamenti prima cecoslovacco e
poi slovacco, arrestato dai sovietici e deceduto nelle carceri comuniste cecoslovacche
nel 1957, dove era internato con l’accusa di
tradimento e di collaborazione col fascismo
per aver seduto nel parlamento slovacco
“collaborazionista” coi nazi-fascisti.
I timori della Slovacchia
Gasparovic però omette un dettaglio non
insignificante: Esterházy fu l’unico deputato non solo del parlamento slovacco, ma
probabilmente di tutti i parlamenti di paesi europei infeudati ai nazisti, che votò contro la deportazione degli ebrei nei campi
di concentramento hitleriani e che aiutò
centinaia di essi a salvarsi. L’Anti-Defamation League gli ha dedicato un’onorificenza
alla memoria e la Chiesa cattolica ha aperto il suo processo di beatificazione. Gasparovic, invece, è stato eletto presidente anche
coi voti degli ultranazionalisti di Ján Slota,
che ha definito Josef Tiso, il presidente della
Slovacchia filo-nazista, «uno dei più grandi
figli del popolo slovacco».
Più che delle statue di Esterházy, però,
gli slovacchi sono preoccupati della legge
emanata dal governo di Viktor Orbán nel
2010 che consente a tutti gli ungheresi, in
qualunque paese vivano, di chiedere e ottenere la cittadinanza dell’Ungheria. A Bratislava temono che questo sia il primo passo per rimettere in discussione il trattato
di Trianon del 1920 che ha assegnato alla
Slovacchia i suoi attuali territori meridionali, abitati da popolazione di etnia magiara. Orbán in realtà non ha mai evocato una
revisione dello storico trattato. Ma c’è il
rischio che un’Ungheria umiliata dalla Ue
si rivolga al nazionalismo come valvola di
sfogo di frustrazioni crescenti.
Rodolfo Casadei
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GLI ULTIMI
SARANNO PRIMI
GLI INSULTI DI FRECCERO A BORGONOVO DI LIBERO
Non si dice «stronzo fascista»
a chiunque. Può sembrare offensivo
M
io caro Malacoda, è vero che l’inferno è lastricato di buone intenzioni, ma
non mi stancherò mai di ricordarti che gli slanci morali vanno tenuti a
bada. Se li lasci liberi di perseguire il loro fine combinano guai, ottengono effetti contrari a quelli per cui li innalzi come vessillo. Ti faccio un esempio: la
trasparenza. Tutto si deve sapere, tutto si deve intercettare, tutto si deve pubblicare non è un principio universale. La trasparenza è come i vetri di certe automobili,
da dentro vedi fuori, ma da fuori non puoi vedere dentro. Trasparente è aggettivo
unidirezionale. Usato nei due sensi di marcia può nuocere ai “buoni”, i “morali”,
i fautori del progresso e dell’emancipazione; i fustigatori degli altrui costumi rischiano di trovarsi in mutande (che è poi il nome popolare di costume).
Ora ti faccio un nome: Carlo Freccero, il direttore di Rai 4. Un maestro della tv,
un’intelligenza che va custodita e protetta, mica è un cardinale di curia che gli
possiamo intercettare le lettere e pubblicarle. Le sue telefonate con i giornalisti sono gemme linguistiche da custodire nel
Il direttore di Rai 4 è un’intelligenza che va
segreto, perle da mostrare nell’intimità
di un salotto, non da dare ai porci divulprotetta. Le sue telefonate con i giornalisti
gandole via stampa. Pubblicare il sunto
sono perle da mostrare nell’intimità di un
della conversazione tra Freccero e Fransalotto, non da dare ai porci divulgandole
cesco Borgonovo (giornalista di Libero
che aveva criticato un suo programma)
via stampa. Non fa bene alla democrazia
non fa bene alla democrazia.
«Il tuo articolo di merda» è frase equivoca. Se chi la pronuncia è coprofilo
non va considerata insulto bensì complimento. Anche «lei ha scritto un pezzo
dei coglioni» non è un’offesa ma un apprezzamento per il coraggio del giornalista (nel senso di «lei ha due coglioni così»). «Cretino», come spiega il matematico Odifreddi, è sinonimo di cristiano, nel contesto era un mero riconoscimento
delle radici culturali dell’interlocutore. «Lei mi sembra deficiente» può sembrare un’offesa solo per chi non abbia conoscenza e uso appropriati del linguaggio;
secondo l’etimologia di deficere: lei ha scritto ciò che ha scritto per mancanza di
alcune informazioni che ora io le fornirò; siamo nell’ambito della critica accettabile, rafforzata da altri passaggi del colloquio («Bisogna leggere nel contesto
della narrativa. Lei purtroppo non è un esperto di televisione, mi dispiace. Dovrebbe leggere interamente il contesto di pedagogia…», «Legga qualche libro!»,
«Impari qualcosa»). Sul foglio non viene riportato il tono esortativo del maestro
nei confronti dell’allievo, di qui l’equivoco. Va, inoltre, detto che Freccero, pur
avendo in uggia i «cardinali pedofili», è uomo di letture insospettabili: l’esegesi
biblica è il suo forte. E quando dice «lei è un asino» conosce il significato nobile
che a questo animale viene dato nella cultura ebraica, tanto da essere scelto da
Gesù per il suo ingresso regale in Gerusalemme.
«Stronzo fascista» ti sembra ingiustificabile?
Caro nipote, anche noi siamo cultori del Libro Sacro, conosci Matteo 12, 34:
«La bocca parla dalla pienezza del cuore». Perché vuoi negare a uno spirito illuminato come Freccero la spontaneità della sincerità? Non si lodano gli uomini
che dicono ciò che pensano? Certo, forse la virtù non è nel passaggio dal cervello
alle labbra. Ma del contenuto della testa ti dirò in una prossima lettera.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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LE NUOVE
LETTERE DI
BERLICCHE
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39
SOCIETÀ
SUSSIDIARIETà VS CRISI
La scuola
di tutti
Le iscrizioni sono troppe e i locali sono stretti.
L’Aurora Bachelet di Cernusco deve decidere:
chiudere o allargarsi. Genitori e prof vogliono
rischiare. La banca della città sostiene la “follia”.
La prima campanella suonerà a settembre
L
a chiamano la scuola del cancello
azzurro. È quello che costeggiano
decine e decine di bambini, ogni mattina appena prima che suoni la campanella della prima ora. Per chi abita a Cernusco
su Naviglio, a nord est di Milano, si tratta
di una scuola strana: metà statale (la Mosè
Bianchi) e metà paritaria. In quei palazzoni grigi convivono infatti due strutture, che
si scambiano palestra, fotocopiatrice e gessi
colorati all’occorrenza. La paritaria si chiama Aurora Bachelet, laica, di ispirazione
cattolica. Nata nel 1981, sotto forma di cooperativa, dalla libera iniziativa di un gruppo di genitori e insegnanti che desideravano per i propri ragazzi un’esperienza educativa fondata sulla solidarietà tra famiglie
e docenti. La prima classe aveva 12 alunni,
ospitati nel sottoscala di una parrocchia.
«All’inizio ci dicevano: “Vuoi farti una scuola? Libero di farla, però te la devi pagare. E
nessuno ti deve aiutare”», racconta uno dei
primi soci. Il tentativo però viene subito
condiviso da altri cittadini, e nascono così
una scuola elementare e una media vere
e proprie. Entrambe hanno sede nei locali
scolastici messi a disposizione dal Comune,
tramite una convenzione apposita.
L’amministrazione mantiene le sue proprietà senza dispendio di energie, tempo
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e denaro, e i professori hanno delle aule
in cui insegnare. La scuola statale non si è
ritrovata di fronte un concorrente, bensì
un interlocutore con cui condividere progetti e iniziative. In queste poche classi, con
un corridoio a dividerle e un piccolo giardino attorno, c’è una familiarità fuori dal
comune. E mentre i ragazzi giocano, i professori si riuniscono davanti alla macchinetta del caffè. «Il vostro è più buono», scherza
uno, prima di tornare in classe. Per passare
dall’Aurora Bachelet alla Mosè Bianchi basta
fare trenta metri. «Fare rete è fondamentale,
e ci viene spontaneo», racconta Silvia Trasi,
insegnante di letteratura. «Conviene a tutti:
se l’intero sistema funziona, anche la scuola paritaria sta meglio, e non viene percepita come refugium peccatorum».
«Scommettiamo sui ragazzi»
In classe si parla del naufragio della Concordia, come topos letterario. «Spesso prendiamo spunto dall’attualità, dalle domande dei ragazzi. Non vogliamo indottrinarli: il nostro compito è solo quello di tenere
desta la loro naturale curiosità e apertura.
Le materie non sono altro che punti di vista
sulla realtà. A noi insegnanti spetta solo trasmettere uno sguardo profondo sulle cose».
Se nei primi anni di attività veniva addi-
Sopra e sotto, i rendering e
alcune immagini del cantiere
della nuova sede dell’istituto
Aurora Bachelet.
A sinistra, un’aula
della sede attuale.
Nell’altra pagina, in basso,
la responsabile del cantiere
Irene Mariano e il rettore
della scuola Rosario Mazzeo
I NUMERI DEL PROGETTO
La nuova sede dell’istituto
Dopo trent’anni di attività,
l’istituto Aurora Bachelet si
è dotato di una sede propria.
L’importo per la realizzazione
del progetto è di 9 milioni
di euro: un edificio di 8.500
metri quadrati su un’area di
12.000, situata a Cernusco
sul Naviglio (MI). Con la
raccolta fondi si punta a rag-
giungere quota 1,5 milioni.
Attuallmente gli iscritti sono
509. Tutte le domande di
ammissione ricevute potranno essere prese in considerazione grazie alla nuova sede.
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SUSSIDIARIETà VS CRISI SOCIETÀ
A sinistra, l’attuale
aula insegnanti,
molto più piccola
rispetto a quella
della nuova sede
(sopra), che prevede
anche un auditorium
da 200 posti, 35 aule
cablate, con lavagne
multimediali,
climatizzazione
ecologica
e 5 laboratori
tata come “la scuola di CL”, ora è diventata a tutti gli effetti la scuola della città. Fuori, un gruppo di mamme con le borse della spesa in mano aspetta che i figli escano. Poi si va al parco tutti assieme. Il rettore dell’Aurora Bachelet, Rosario Mazzeo, è
alla guida dell’istituto dal 1997. E raramente parla in prima persona, perché si sente
parte di una comunità educativa: «Per noi
l’educazione consiste nel guidare e accompagnare un bambino o un ragazzo a realizzarsi, mettendo a frutto tutte le sue doti e
i suoi interessi, nel rapporto con tutta la
realtà. Vogliamo scommettere sulla libertà
dei ragazzi, nella condivisione tra genitori
e docenti, secondo una reale alleanza, nel
rispetto dei propri ruoli e delle specifiche
responsabilità. È questa unità ideale e operativa che favorisce la crescita integrale di
ogni ragazzo. L’abbiamo constatato più volte, in questi trent’anni».
Un progetto avveniristico
Col passare del tempo e del passaparola gli
alunni si sono triplicati. Si inizia a star stretti, non c’è più spazio per contenerli tutti.
I posti disponibili per le future classi non
bastano a soddisfare le richieste, che arrivano a sfiorare il doppio della capienza.
Soprattutto, la convenzione col Comune è
scaduta. Che fare? «Ogni avventura dell’uomo si trova periodicamente a considerare le
ragioni che sorreggono l’intuizione iniziale, e che hanno mosso l’azione. I compagni
di viaggio che si sono aggiunti di anno in
anno sono una ragione in più per compiere
questo approfondimento», continua il rettore. L’Aurora Bachelet è una scuola pubblica,
cioè un bene di tutti. Lo è per storia, per legge, per esperienza. Non per nulla nasce, si
propone e si sviluppa secondo la logica del-
la solidarietà e della sussidiarietà. «È nel suo
Dna essere fattore di crescita sociale. E ci siamo messi all’opera. Avevamo due possibilità: chiudere o rischiare. E puntare in alto.
Abbiamo scelto la seconda opzione».
Parte la ricerca di un terreno adatto, e
si ipotizza la costruzione di un nuovo edificio. Il progetto è avveniristico: dal bar
alla palestra, passando per l’auditorium e
i laboratori, gli spazi sono impressionanti.
«Soprattutto se paragonati a quelli attuali»,
sorride Mazzeo, nel suo minuscolo ufficio.
Si tratta finalmente di una scuola vera, e
moderna. Il tutto comporta un investimento importante, sia per l’acquisto del terreno, sia per la messa in piedi delle strutture.
«Tutti ci consideravano dei folli, continuavano a ripeterci che in un momento di crisi
come questo non era sensato rischiare così
pesantemente, con una sede tanto ambiziosa. Che nessuna banca ci avrebbe concesso credito. Ma la vita è sempre un rischio, e
abbiamo continuato a cercare dei donatori,
a lanciare un sistema di auto-finanziamento. Erano anni che avevamo nel cassetto il
sogno di poter porre la prima pietra di un
edificio tutto nostro».
Lo sforzo viene ricompensato: dopo
mesi si trova una banca locale che decide
di sostenere la cooperativa. Si tratta della
banca del Credito Cooperativo di Cernusco
che contribuisce con un mutuo straordinario. L’idea ispira fiducia: «L’Aurora Bachelet
è una realtà che dà lavoro», spiega il presidente, Ennio Sirtori. «E soprattutto offre un
servizio qualificato, a livello educativo e culturale». I cittadini sono stati chiamati a contribuire «perché la storia continui, perché le
nuove generazioni possano usufruire di un
luogo e di uno strumento che possa accompagnarle nell’avventura della conoscenza».
La raccolta fondi
Si può sostenere la costruzione della scuola “donando un mattone” del valore di 500
euro, mentre ai grandi donatori che offriranno cifre più significative, verrà proposto di lasciare un segno evidente nella scuola, personalizzando uno degli spazi della futura struttura: un’aula, la palestra, la
biblioteca. «Da quello scantinato, ne abbiamo fatta di strada. Chi l’avrebbe mai detto?
È un segno che l’intuizione era quella giusta. Alcuni pensano alla scuola non statale di ispirazione cattolica come a una sorta di campana di vetro sterilizzata contro i
mali, reali o presunti, della società sempre
più competitiva e corrotta. Un’isola fortunata, in cui non approdano cattive compagnie.
La nostra esperienza è un’altra: la scuola
cattolica esiste e si offre come un ambiente che educa istruendo, aperto a tutti così
com’è ogni esperienza autentica. Che cos’è
educare, se non introdurre alla realtà totale?». Nel cantiere, immerso nel verde, i lavori fervono. Anche gli operai si augurano di
avere occasione di visitare la scuola una volta finita, «magari per un open day o qualche
incontro pubblico». Il polo scolastico (che
comprende la scuola elementare, media
e superiore) dovrebbe essere
«Tutti ci consideravano dei folli, continuavano terminato a giugno, in tempo per accogliere gli alunni
a ripeterci che in un momento di crisi non era
a settembre. Loro non vedosensato rischiare pesantemente. Invece ne
no l’ora di varcare l’ingresso.
abbiamo fatta di strada. Chi l’avrebbe detto?»
Chiara Sirianni
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società un uomo di dio
L’eredità di
zio Giuseppe
Como dedica una mostra alla straordinaria
avventura di padre Ambrosoli. Il medico
della carità che curava e battezzava i bambini
dell’Uganda «scegliendo i nomi della nostra
famiglia». Il racconto della nipote Giovanna
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U
na vera eredità.
La si riceve mentre
tutti godono di ottima salute,
nell’utilizzo inconsapevole e ovvio
di beni che sembrano piovere dal cielo e
in realtà sono frutto di ingegno, intraprendenza e lavoro sodo. O ancora, la si riceve respirando a pieni polmoni la ricchezza di sentimenti e valori sedimentati, tramandati da generazioni. Giovanna Ambrosoli, che già nel nome evoca la solidità e il
successo di una famiglia legata al marchio
inimitabile di miele e caramelle, si riconosce oggi fino in fondo erede di una storia
eccezionale legata alla figura di suo zio,
padre Giuseppe Ambrosoli, missionario
comboniano medico per il quale è in corso il processo di beatificazione. «Sto conoscendo padre Giuseppe una seconda vol-
Sopra, Giuseppe Ambrosoli
(1923-1987), il medico della
carità, come venne ribattezzato
in Uganda dove trascorse
32 anni di vita missionaria
come padre comboniano,
apparteneva alla famosa
famiglia dell’industria del miele.
Dopo la morte è stata aperta
la causa di beatificazione
Il sogno di padre
Ambrosoli sopravvisse
alla terribile notte del 13
febbraio 1987, quando i
militari evacuarono con la
forza medici e ammalati. E
oggi l’ospedale di Kalongo
e i suoi 10 medici e 240
infermieri assistono 40
mila pazienti ogni anno
ta, a distanza di venticinque anni dalla
sua morte», racconta Giovanna, 49 anni,
tre figli, una laurea in economia e commercio e una professione che dall’impegno nell’azienda di famiglia l’ha portata
in altri ambiti fino a sviluppare nuove prospettive sul versante del no profit.
«È stato un personaggio; fin da piccola avvertivo che la sua vita era dedicata a
qualcosa di grande, a un’impresa coraggiosa, anche se non ne parlava mai direttamente. Un particolare mi è rimasto impresso: padre Giuseppe ci raccontava che battezzava tanti bambini e che spesso sceglieva i nostri nomi, i nomi dei suoi nipoti.
Era molto umile, non aveva mai l’aria preoccupata, austera. Anzi, gli piaceva scherzare, prendere le cose con ironia», ammet-
te, ripescando ricordi vividi a distanza di
decenni. «Era molto legato a mio papà che
era il più piccolo degli otto fratelli. Giuseppe, penultimo, era nato dieci anni prima. Anche per questo si era creato un legame molto significativo fra di loro». Tutta la
famiglia, racconta la nipote, dai nonni agli
zii a una quarantina di cugini, era toccata
e affascinata dalle qualità e dalla sensibilità dello zio che aveva deciso di fare il medico per dedicarsi a popolazioni dimenticate nella miseria in una sperduta zona del
Nord Uganda. «Lo vedevamo in poche occasioni, dato che quando ritornava a casa,
a Ronago – il paese in provincia di Como
dove era consolidata la famosa industria
del miele –, dedicava tempo ai contatti con
ospedali, per aggiornare la preparazione e
sensibilizzare alla cooperazione o andava
a trovare i familiari dei collaboratori che
lavoravano con lui a Kalongo».
In fuga da Kalongo
E del resto un vero ponte di solidarietà,
misurabile nel crescente numero di container carichi soprattutto di attrezzature
mediche da destinare all’ospedale avviato in Uganda, aveva reso più evidente e
nota una dedizione spesa con umiltà. Fra i
ricordi più lucidi, il giorno della sua morte
avvenuta il 27 marzo 1987 a Lira, 120 chilometri da Kalongo: «Avevo 24 anni quando giunse la notizia, mancavano tre giorni
alla mia laurea. Mi aveva colpito la drammatica condizione in cui padre Giuseppe si era trovato a concludere i suoi giorni. L’avevo percepita come un’ingiustizia
grave, inconcepibile: lui che aveva dedicato ogni energia per sollevare la popolazione ugandese da una condizione di miseria, che aveva messo in piedi un ospedale
ben attrezzato per garantire servizi sanitari di qualità ai più poveri, è morto in una
situazione desolante, costretto a fuggire da
Kalongo», racconta, descrivendo il momento della forzata evacuazione dell’ospedale
imposta dai militari ugandesi.
«Fu un colpo tremendo, fummo costretti a partire di notte: da lontano vedevamo fumo e bagliori di fuoco nella zona
di Kalongo», così aveva annotato lo stesso
padre Ambrosoli. «Non ho più dimenticato l’espressione di dolore sul viso di padre
Giuseppe, avendo egli immaginato che nelle fiamme fosse andato distrutto proprio il
suo ospedale. Morì con questa convinzione», testimonia il confratello comboniano
medico padre Egidio Tocalli, che affiancò
padre Ambrosoli nella sua opera prendendone successivamente le redini dal 1987
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società un uomo di dio
In questo servizio, foto che
illustrano la vita presso il Dr.
Ambrosoli Memorial Hospital e
la scuola di ostetricia St. Mary
Midwifery School. Una storia
iniziata nel nord Uganda alla
fine degli anni 50 da padre
Ambrosoli e che si racconta
oggi in una mostra ospitata al
palazzo del Broletto di Como
al 2009. Già dopo l’abbandono di Kalongo la prima preoccupazione di padre Giuseppe era stata quella di dare una ricollocazione alla scuola di ostetricia da lui stesso organizzata con metodiche d’avanguardia e la formazione di personale indigeno,
e che rischiava la cancellazione nel quadro
della sanità ugandese: «Nonostante i gravi
problemi di salute, aveva supplicato il superiore di poter portare a compimento questo passo e dare continuità all’opera sanitaria particolarmente significativa anche
sul fronte della maternità e dell’educazione». Un sogno sopravvissuto, o meglio, che
continua a realizzarsi ancora oggi a Kalongo dove l’ospedale d’alto livello, sostenuto
dall’impegno di 240 infermieri e 10 medici per 40 mila pazienti assistiti e 1.500
interventi l’anno, è punto di riferimento in
un’area popolata da 500 mila abitanti.
«La mia seconda vita»
Un viaggio in Uganda, in occasione dei 50
anni dell’ospedale, e del 25° anniversario
della morte di padre Ambrosoli, ha risvegliato una memoria e acceso i riflettori
anche sul futuro: «Era il mio primo viaggio a Kalongo e ho visto con i miei occhi
i luoghi e la gente che facevano parte del
mio vissuto fin dall’infanzia. Mi sono sentita “a casa” e ho avvertito la responsabilità di un’opera che in un certo senso mi
appartiene, mi è affidata come una eredità preziosa» ammette la stessa nipote
che ha deciso di occuparsi a tempo pieno della Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, costituita nel 1998 dai missionari comboniani insieme alla famiglia
di padre Giuseppe. Una nuova prospettiva è già delineata: «Le risorse a sostegno
dell’ospedale sono sempre meno, sono
venuti a mancare vari aiuti economici
destinati all’area ugandese nel periodo della guerra e il futuro apre enormi problemi
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l’ESPOSIZIONE fotografica
Istantanee di un’impresa missionaria
“Da Como a Kalongo sulle orme di padre Giuseppe Ambrosoli”: è il titolo di una
mostra fotografica allestita a Como, al palazzo del Broletto, che resterà aperta
fino al 31 marzo. L’iniziativa è promossa dalla Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial
Hospital in occasione del 25° anniversario dalla morte del missionario comboniano originario di Ronago, in territorio lariano, e deceduto a 63 anni a Lira, in Uganda, il 27 marzo 1987. Decine di “scatti” raccontano la straordinaria avventura del
“medico della carità”, come era stato soprannominato, che ha lasciato una testimonianza della sua fede profonda, trasmessa attraverso il servizio e la dedizione
ai più poveri e declinata secondo uno spiccato spirito imprenditoriale legato alla
tradizione familiare e al territorio lombardo. Nella carrellata di fotografie scorre
la storia di padre Giuseppe Ambrosoli, appartenente alla famiglia dell’industria
del miele e delle caramelle, che dopo la laurea in medicina e chirurgia e la specializzazione a Londra in malattie tropicali, decide di entrare nella congregazione
dei comboniani con il sogno di partire per l’Africa. La mostra descrive quindi, con
immagini di ieri e di oggi, la storia dell’ospedale di Kalongo, il Memorial Hospital,
e della scuola di ostetricia St. Mary Midwifery School, fondati entrambi da padre
Ambrosoli, e i progetti intrapresi grazie ai numerosi sostenitori e volontari che nel
tempo hanno lavorato a favore dell’ospedale ugandese e collaborato alla crescente impresa sociale e solidale dall’Italia e dal mondo.
La mostra è aperta da martedì a venerdì (dalle ore 14 alle 18), sabato e domenica
(dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14 alle 18). Si prevedono visite guidate al mattino
solo su prenotazione (scrivere a: [email protected]).
di sostenibilità», spiega Giovanna, che oggi
nel ruolo di vicepresidente della fondazione, insieme al cugino Roberto Ambrosoli presidente, sta assecondando una svolta decisiva nella direzione di un supporto all’ospedale che oltre ai fondi, sempre
necessari, garantisca competenze qualificate sia mediche che manageriali.
Più che una nuova professione, dato
che la competenza nella gestione aziendale nell’ambito no profit non le manca, Giovanna ha imboccato un vero e proprio percorso esistenziale: «Il lavoro per la
fondazione rappresenta la mia “seconda
vita”. Ho deciso di coltivare fino in fondo
il seme ricevuto». E le iniziative in cantiere
sono molteplici, sia per recuperare i costi
che il governo ugandese copre solo per un
venti per cento, sia per ampliare le occasioni di collaborazione e aggiornamento con referenti importanti come la Fondazione Cariplo e l’università Bocconi di
Milano. «Intendiamo valorizzare le risorse
locali curando la formazione e proseguire
nell’intento comboniano di “salvare l’Africa con gli africani”», spiega, ipotizzando
un futuro ancora tutto da immaginare. E
da realizzare con il massimo impegno, ma
forse anche da attendere come una grazia.
Laura d’Incalci
l’italia
che lavora
La fabbrica
delle note
Il primo fu Ciccolini, che si esibì alla Scala
nel 1984. Ma oggi, da Ashkenazy a Perahia,
non si contano nel mondo gli estimatori dei
pianoforti di Paolo Fazioli. E dire che tutto
è cominciato con una laurea in ingegneria
L
e note – è proprio il caso di dirlo – del
made in Italy, grazie alla Fazioli Pianoforti, risuonano in tutto il mondo e testimoniano l’ingegnosità italiana
anche in campo artistico. Nell’azienda fondata dall’ingegner Paolo Fazioli negli anni
Ottanta, a Sacile, in provincia di Pordenone, si fabbricano infatti pianoforti che
per la loro qualità vengono esportati, per
ben il 95 per cento della produzione totale, all’estero: dalla Germania al Giappone
(paesi che con la Steinway e la Yamaha da
sempre mantengono una posizione di preminenza), dalla Cina agli Stati Uniti.
Com’è nata e si è sviluppata un’impresa impensabile per il nostro paese, famoso in passato nella produzione di strumenti musicali solo per i violini Stradivari, in
grado di competere a testa alta con una
formidabile concorrenza? Lo ascoltiamo
dalle parole del presidente e socio di maggioranza, incontrato da Tempi nell’elegante showroom di Milano in via Conservatorio 17. Persona d’impeccabile cortesia,
si racconta con modestia nell’accennare
al suo successo. Quasi divertito. «La mia –
dice Paolo Fazioli – è stata una vita percorsa curiosamente su un doppio binario. Mi
sono laureato in ingegneria meccanica a
Roma, alla metà degli anni Sessanta, pur
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A lato, l’ingegnere e
pianista Paolo Fazioli,
presidente della Fazioli
Pianoforti, insieme ai
suoi dipendenti. Nelle
altre foto, il lavoro
nella fabbrica di Sacile
(Pn), una zona che
vanta un’antica e
prestigiosa tradizione
nell’arte della
lavorazione del legno
essendo stato appassionato di pianoforte
fin da bambino. Un amore mai tramontato
e dopo l’università, ho conseguito il diploma al Conservatorio di Pesaro, dove insegnava un mio maestro. Tuttavia i miei sei
fratelli, tutti maschi e romani (io, nato nel
1944, sono l’ultimo di loro) hanno voluto
che entrassi nell’azienda di mobili per ufficio di alto design, la Mim, appartenente
alla mia famiglia, che si era ampliata con
stabilimenti sparsi in Italia e dove ho trascorso alcuni anni di lavoro».
Fazioli ad un certo punto intuì che
si poteva fare di più nella costruzione
dei pianoforti, infondervi quella passione, quell’amore presenti una volta nei
grandi costruttori dell’Ottocento, passati in secondo piano in seguito ai passaggi generazionali. «Ero convinto che ci fosse spazio per creare qualcosa d’innovativo, di raffinato e mi sentivo in grado di
saperlo fare. Non solamente come ingegnere, ma anche come musicista. Appartenevo inoltre a una famiglia di imprenditori che conosceva bene il legno e sono partito proprio dal legno, mettendo poi assieme uno staff di persone che mi potessero
seguire, esperte non solo in acustica». Biso-
«Il pianoforte è uno
strumento complesso,
composto dal legno, da
un telaio di ghisa, corde,
tasti. La sua meccanica,
basata su concetti
tecnico/ingegneristici
non è affatto semplice»
gna, infatti, tenere presente che il pianoforte, inventato dall’italiano Bartolomeo
Cristofori a Firenze nel Settecento, un’idea
ripresa e sviluppata in seguito dai tedeschi
grazie ai loro mezzi finanziari, «è uno strumento particolarmente complesso, composto, oltre che dal legno, da un telaio di ghisa, da corde, da tasti. La sua meccanica è
basata su concetti tecnico/ingegneristici e
non è per niente semplice. Dopo numerosi studi e ricerche, abbiamo preparato dei
prototipi nello spazio messo a disposizione
dalla nostra azienda di mobili a Sacile, per
quanto i miei fratelli avessero delle riserve
(ma ora due di loro sono soci di minoranza). Negli anni Ottanta abbiamo iniziato la
produzione vera e propria».
Il primo grande musicista a suonare con i pianoforti Fazioli fu Aldo Ciccolini, alla Scala nel 1984, seguito da Nikita Magaloff, Martha Argerich, Vladimir
Ashkenazy, Alfred Brendel, Angela Hewitt,
Murray Perahia, e tutti si sono congratulati per la qualità dello strumento. Il successo era stato raggiunto. «Non mi chieda
cosa ho provato quando li ho sentiti suonare sul mio pianoforte. Una grande emozione certo, ma io non mi accontento mai.
Ero arrivato sì ad un ottimo livello, ma ciò
non m’impedì di cercare continuamente
di migliorare. L’aspetto più soddisfacente è stato quello di raggiungere una buona quota di mercato in Germania, proprio
nella nazione dove esiste il maggior numero di fabbriche di pianoforti. In Europa
complessivamente esportiamo il 40 per
cento, poi segue, con circa il 30 per cento l’Estremo Oriente, dove siamo presenti ogni anno alla fiera di Shanghai, e un
altro 30 per cento in Nord America. Il totale della nostra produzione rivolta all’estero è del 95 per cento da trent’anni e mi
chiedo, visto il buon apporto di denaro che
portiamo in Italia, se un’azienda come la
nostra non dovrebbe essere premiata con
una sorta di sgravio fiscale. Se lo Stato avesse un occhio di riguardo per le aziende che
rendono onore al valore del made in Italy,
saremmo molto più ricchi…».
Non è cosa da signorine
La musica classica, continua Paolo Fazioli, è un valore rimasto ancora inalterato e
deve essere trasferito ai giovani i quali pur
parlando di pop e di rock, aspettano che
qualcuno la insegni loro. «L’errore principale da noi è che nella scuola la musica o non è insegnata o è insegnata male.
Una situazione che risale all’unità d’Italia, 150 anni fa. La musica fu l’ultima cosa
a cui pensarono i politici, i quali ritenevano che fosse adatta alle signorine di buona famiglia e a gente che non aveva voglia
di lavorare. Abbiamo in questo senso una
tradizione molto scadente non paragonabile agli altri paesi. I bambini non possono, come si fa ora, conoscere la musica utilizzando i piccoli flauti dati loro. Una cosa
sciocca. Bisogna insegnare ai ragazzi la
grande musica e parlarne, fare loro ascoltare i famosi solisti, le grandi orchestre».
I pianoforti della Fazioli si possono
acquistare nello showroom di Milano, (dove
vengono, su richiesta, dati anche a noleggio, oltre ad essere garantiti dall’assistenza tecnica), che ospita frequentemente dei
concerti, e dai rivenditori in varie città
d’Italia. L’azienda ha quaranta dipendenti e produce 120 pianoforti l’anno. «Un pianoforte costa dai sessanta ai centoventimila euro. Per il futuro sono sereno. Mio figlio,
che fra poco conseguirà la laurea in economia aziendale, sarà il mio erede essendo molto interessato al mio lavoro. Ho poi
un’altra figlia, una vivace bambina di tre
anni e mezzo, che ascolta anche lei la musica dando grandi manate creative tipo “cluster” sul pianoforte di casa. Penso – conclude Paolo Fazioli – sia di buon auspicio».
Paolo Grieco
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PER PIACERE
SPOSARSI CULTURA E PARADISI TROPICALI
Un viaggio di nozze indimenticabile
P
er le coppie che vogliono coronare il matrimonio con un viaggio
perfetto, dato che sarà una delle poche fughe senza pargoli al
seguito, il network di agenzie Frigerio viaggi propone lune di
miele per tutti i gusti. Le destinazioni consigliate per chi si sposa in
primavera sono per gli amanti della natura sconfinata. La proposta
è un tour di 12 giorni in Australia con 4 notti a Sydney e il resto tra
spiagge e canguri nei parchi naturali. Il pacchetto che abbina cultura e mare prevede invece 3 notti glamour nella Grande Mela per
poi raggiungere il mare della Giamaica, oppure 3 giorni romantici
a Parigi e poi via verso il paradiso tropicale delle Seychelles. Si può
AMICI MIEI
LIBRI/1
L’uomo dell’acqua
di Alver Metalli
Alver Metalli nato a Riccione
nel 1952 è romagnolo a tutti
gli effetti. Ma il mestiere di raccontare lo ha portato dapprima
a Roma, poi in Argentina, quindi in Messico e in Uruguay. Attualmente vive a Buenos Aires.
L’America Latina è il mondo che
meglio conosce e al quale ha
dedicato saggi e romanzi, tra i
quali il libro per ragazzi La vecchia ferrovia inglese, pubblicato
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anche volare più lontano, in Giappone. È il periodo giusto per trovare ciliegi e susini in fiore e scoprire una cultura diversa tra templi, tecnologie avanzate e ravioli al vapore. Anche Marrakech è in
fiore in questo periodo. Ci si può divertire al souk tra le bancarelle
o fare un’escursione a dorso di cammello nel deserto. Per un viaggio indimenticabile si parte dai 4.000 euro a coppia ed eventualmente si può fare la lista nozze del viaggio disponibile online.
Caterina Gatti
Per informazioni
www.frigerioviaggi.com
da Gallucci. Ora fa il suo approdo in libreria L’uomo dell’acqua
(Gallucci, 164 pagine, 12 euro),
un breve romanzo per ragazzi, ma non solo, ambientato in
un luogo imprecisato dell’America Latina, dove i paesani di un
villaggio ricevono la notizia di
una visita che potrebbe cambiare la loro penosa condizione. In
un villaggio dove un uomo dai
poteri singolari riceve la visita
di persone che anelano ai suoi
benefici e dove su tutto aleggia il mistero benigno in attesa
di rivelarsi. La citazione di Kafka nelle pagine che precedono il
racconto invita alla lettura: «Colui che non abbiamo mai visto,
che però aspettiamo con vera
bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile per sempre, eccolo qui seduto».
LIBRI/2
Testimone della
generosità di Dio
Il libro Don Natale Bellani. Cristo ha afferrato la mia vita (Itaca, 12,50 euro, 216 pagine)
recensito su Tempi (gennaio, numero 2) sarà presentato dagli
autori, Cristiano Guarneri e Maria Acqua Simi, venerdì 23 marzo. Appuntamento presso la
sala Bonomelli del centro pastorale di Cremona alle ore 21. Introdurrà don Vincenzo Rini, amico di don Natale e direttore del
settimanale diocesano La vita
cattolica. Un momento per conoscere e approfondire attraverso le testimonianze di chi lo ha
conosciuto la storia del sacerdote cremonese, amico, guida e
compagno fedele di centinaia di
persone. Un uomo conquistato
dall’amore di Maria e che ha testimoniato a chiunque «l’imprevedibile generosità di Dio».
LA RIMESSA DI MARIANO COMENSE
Ricette antiche, capolavori
di succulenta corposità
di Tommaso Farina
C
TERRA E MARE
Non solo luna di miele
Da New York alla Giamaica, da
Parigi ale Seychelles. L’abbinata
“cultura-mare” va sempre per la
maggiore tra i viaggi degli sposi.
Tra le mete scelte anche la Thailandia con la capitale Bangkok o
Sukhothai, la città dei templi. Per
il mare, li vicino ci sono le Maldive. Oppure l’Africa dove si può
trovare la più completa gamma
di safari per chi ama l’avventura e
la possibilità di entrare in contatto con le popolazioni locali.
MOSTRA
Pier Paolo Pasolini
a Casa Testori
Nel 2012 “Casa Testori” riapre con una grande mostra dedicata a una delle figure più
importanti del Dopoguerra:
lo scrittore Pier Paolo Pasolini (1922-1975). L’opera eterogenea del grande artista intellettuale, presente in mostra con
oltre cinquanta dipinti e disegni, scritti autografi e una nutrita selezione di corrispondenza inedita, sarà distribuita nelle
sale della casa natale di Giovanni Testori, per offrire uno spaccato esaustivo delle diverse
espressioni del genio pasolinia-
i sono ricette antiche che sulla carta sembrano un niente, roba improponibile, un ghiribizzo da vecchie zie costrette a far
di necessità virtù. E che si prendono la loro rivincita al moIN BOCCA
mento dell’assaggio, facendo regolarmente ammutolire un’intera
ALL’ESPERTO
tavolata. Che dire della “rostisciada”? Fa parte senz’altro di questo
novero. È un piatto molto povero della Brianza comasca, ossia di paesi come Cantù, Inverigo, Mariano Comense… Proprio a Mariano Comense (CO) Sergio Mauri,
al ristorante La Rimessa, ha recuperato questo piatto della memoria. La rostisciada è uno spezzatino di maiale (Mauri usa il filetto, in altre epoche è ragionevole
supporre che venissero utilizzate parti più povere) con cipollotti, salsiccia brianzola (luganega, per la precisione) e patate. Un capolavoro di succulenta corposità. A ordinarlo alla Rimessa, vi daranno il piatto del Buon Ricordo, se vi interessa.
Ma in quest’autentica, annosa rimessa per carrozze tramutata in ristorante,
dall’ambiente fresco e ospitale, troverete tante altre buone cose. Tra gli antipasti,
potrebbero capitarvi le lumache in umido di verdure e polenta in verde (radiosa, quest’ultima) da leccarsi i baffi. Di primo, pastosi e regali gli gnocchi di
patate con pagliette di verdura e briciole di pasta di salame brianzolo (qualche ingrediente del posto c’è quasi sempre), e da segnalare il risotto di vialone nano al radicchio, mantecato al taleggio naturale di Pasturo con speck
croccante. Come piatto forte, oltre alla rostisciada, è raccomandabile la storica lombatina di coniglio alla Vecchia Brianza, oppure la frittella di baccalà
con gamberi gratinati e tramezzino con
crema di salmone fumée.
Di dolce, numerose le alternative, anche se i sorbetti di particolari
IL VINO
gusti hanno una marcia in più. Da
Guado al Tasso 2008
non sottovalutare gli eccellenti forLa tenuta Guado al Tasso di propriemaggi, scelti con cura. Rimarchevole la
tà dei marchesi Antinori si estende per
carta dei vini, comprensiva di corposa scelmille ettari, 300 dei quali coltivati a vita di bicchieri e bottiglie da dessert. Calcote. Il microclima è perfetto per questa
coltivazione. Il Guado al Tasso del
late circa 60 euro in un ristorante ormai so2008 al naso è leggermente conlido da molti anni.
dizionato dal legno, con note balsamiche evidenti, pieno e concentrato, chiude un po’ asciutto e con
finale amarognolo. Da abbinare con antipasti toscani, zuppe
pepate, selvaggina e con vitellone bianco dell’Appennino centrale. Costo in enoteca: 75 euro.
Carlo Cattaneo
no e un suggestivo affresco delle infinite pieghe espressive del
suo animo inquieto. L’esposizione è stata realizzata da Davide
Dall’Ombra e Giovanni Agosti,
in collaborazione con l’associazione Giovanni Testori e Casa
Testori associazione culturale.
“Pasolini a casa Testori” aprirà
i battenti il 20 aprile e rimarrà
aperto fino all’1 luglio a Novate Milanese (MI), in largo Testori 13, incrocio via Dante e via
Piave. Apertura al pubblico prevista nei seguenti orari: martedì-venerdì 18-22, sabato 10-23,
domenica 10-20. Chiuso il lunedì. Per informazioni e prenotazioni www.associazionetestori.
it; www.casatestori.it
Per informazioni
La Rimessa
www.larimessa.it
Via Card. Ferrari, 13b
Mariano Comense (Como). Tel. 031749668
Chiuso domenica sera e lunedì
CONVEGNI
L’Agenda Digitale
e i suoi vantaggi
Regione Lombardia, attraverso
l’Agenda Digitale, sostiene l’innovazione tecnologica e assume
il ruolo chiave delle tecnologie
dell’informazione e comunicazione come strumento di rilancio
della competitività e della crescita della società. L’Agenda Digitale intende valorizzare esperienze
in cui operatori pubblici e privati,
come nel caso sperimentato nella provincia di Cremona, accettano la sfida dell’innovazione allo
scopo di massimizzare i benefici
derivanti dall’utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche.
I comuni, e le altre amministrazioni pubbliche, le associazioni
e le imprese private come possono proporre servizi digitali a
cittadini spesso non propensi
all’adozione di nuove tecnologie?
Il convegno oraganizzato a Cremona il 24 marzo (dalle 9.30 alle 13 nel salone dei Quadri, Palazzo Comunale) chiarirà il ruolo
dell’Agenda Digitale Lombarda.
L’iniziativa, nata in collaborazione con Aemcom, vedrà partecipare Carlo Maccari, assessore
alla Semplificazione e digitalizzazione della Regione, il sindaco
di Cremona Oreste Perri, il presidente di Aemcom Mirko Grasselli e altri relatori. Per informazioni
dettagliate www.newscomuni.it
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GREEN ESTATE
LE DIFFERENZE CON L’UOMO
CINEMA
Gli animali non hanno diritti
Ghost Rider 2 –
Spirito di vendetta,
di Mark Neveldine
e Brian Taylor
di Paolo Togni
G
Gnudi, 74 anni, pochi giorni fa è stato assalito e ucciso da un branco di cani randagi alla periferia di Milano. I
suoi funerali sono stati celebrati in una chiesa semi deserPRESA
ta, senza la presenza di autorità né il concorso di cittadinanza, e
D’ARIA
addirittura nella totale assenza dei mezzi di comunicazione. Una
cerimonia ben diversa da tante altre che siamo abituati a vedere
nel corso di telegiornali o trasmissioni televisive di costume, nelle
quali centinaia o migliaia di persone si accalcano attorno alla bara
di un personaggio di cronaca o della vittima di un reato; non che
abbia qualcosa contro il concorso di folla ai funerali (anche se giudico grossolana, volgare, incivile e idiota l’usanza di applaudire in
chiesa, o fuori, la bara: usanza purtroppo costantemente praticata
da frotte di imbecilli).
Quello che vorrei sottolineare nella vicenda del povero Gnudi, però, è come l’indifferenza generale sia stata indotta, o almeno favorita, dal crescente atteggiamento “animalistico” del mondo della comunicazione. Mi ritengo un amico degli animali; a parte
quelli che, ben tenuti e ben assistiti, hanno vissuto con me, ho sempre cercato di fare
quanto in mio potere perché a tutti i “nostri fratelli minori”, domestici o selvatici, venisse garantito il maggior benessere possibile. Naturalmente non dimenticando mai
l’infinita distanza di valore che corre tra l’uomo, creato a somiglianza di Dio, dotato di
anima (o di ragione), e gli animali, che sono vicini, ma non sono portatori di anima né
di diritti; qualitativamente – e non
quantitativamente – diversi, esseri
Come potrà confermare qualunque
sì senzienti, ma che non possono esdiscreto studente del primo anno
sere considerati individui.
di giurisprudenza, non può esserci
Credo che proprio su questo
diritto senza persona e personalità;
punto si misuri la grave, intrinseca
persona e personalità sono esclusive
e strutturale ignoranza di tutti quelli che parlano di “diritti” degli anidell’uomo, unica creatura ad averle
mali. Come potrà confermare qualunque discreto studente del primo anno di giurisprudenza, infatti, non può esserci
diritto senza persona e personalità; e la persona e la personalità sono esclusive dell’uomo, unica creatura a possederle. Non esistono diritti degli animali, esistono doveri degli uomini verso gli animali. Tanto più appare quindi sorprendente il vero e proprio
culto che una sottocultura diffusa vuole si tributi a queste creature, con grande effusione di affetto e di soldi. Solo in Italia si calcola in oltre dieci miliardi di euro la spesa annua per nutrire, curare e accudire gli animali domestici: per opportuna conoscenza ricordo che pochi euro al mese potrebbero salvare la vita di un bambino africano. Certo,
capisco che poi il bambino non può essere portato in giro al guinzaglio.
[email protected]
aetano
HUMUS IN FABULA
AL SALONE DEL MOBILE
Come riciclare nel
comparto turistico
La Masseria Torre Coccaro di Savelletri di Fasano, una struttura
5 stelle lusso in provincia di Brindisi, in occasione del proprio decennale si è fatta promotrice di
un progetto pilota di sensibilizzazione del territorio e del suo comparto turistico, volto al tema del
riciclo e del recupero dei materiali di scarto che si producono
quotidianamente nelle strutture alberghiere. Il progetto “Pie-
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tra carta forbice”, patrocinato
da Regione Puglia, Federalberghi, Comieco, Corepla, CoReVe,
Associazione DComeDesign, Adi,
Cna-Puglia, viene lanciato nel
2012 con due momenti significativi: il primo è l’ evento-mostra
“Pietra carta forbice” dal sottotitolo provocatorio “L’hotel è riciclabile?” verrà proposto nel periodo di massima attenzione da
parte del pubblico e degli operatori del settore internazionale che
si concentrano nella città di Milano per la settimana del Salone
del Mobile 2012 (16 al 22 aprile).
Saranno esposti prodotti per uso
alberghiero e turistico, proposti
da un nutrito gruppo di designer,
appositamente realizzati per la
Meglio del primo
ma tamarrissimo
Johnny Blaze sta ancora
cercando il modo di liberarsi dalla maledizione che
lo affligge.
Ennesimo film tamarrissimo con Nicolas Cage che
negli ultimi anni sta inanellando una serie di filmacci che manco i decrepiti Pacino e De Niro insieme. Tra
il 2010 e il 2011 il ragazzo dalla chioma sbarazzina ha girato Kick Ass, L’apprendista stregone, Drive
Angry, L’ultimo dei Templari, l’ancora inedito Trespass,
HOME VIDEO
L’erede,
di Michael Zampino
Buona la prima
Un giovanotto riceve in eredità dal padre una casa di campagna. Dovrà vedersela con
inquietanti vicini.
Bel film di genere italiano, diretto da un esordiente. È una
sorpresa perché, pur essendo girato con due soldi e nonostante qualche debolezza (recitazione così così, qualche buco
di sceneggiatura) ha il coraggio di creare la suspense con le
ambientazioni rustiche così da
assomigliare almeno un po’ al
leggendario thriller padano La
casa dalle finestre che ridono.
mostra o già esistenti e opere di
alcuni artisti e fotografi che lavorano sui temi dei materiali di
scarto e sul concetto di riuso e riciclo. Il secondo momento prevede l’azione sul territorio pugliese,
con il coinvolgimento di albergatori, Comuni e consorzi Comieco, Corepla e Coreve, allo scopo
di sensibilizzare turisti e cittadini sul tema del riciclo. Una serie
di strutture alberghiere incenti-
veranno la raccolta differenziata attraverso la consegna a tutti i clienti di un gadget di cartone,
con un codice di lettura QR per
scaricare su smartphone e iPad
una comunicazione sul progetto e
sulle regole ‘del buon turista’. Con
questo progetto la Masseria Torre Coccaro si pone come esempio
da seguire non solo per gli albergatori del territorio pugliese, ma
anche a livello nazionale.
STILI DI VITA
IN MOSTRA A GENOVA
Solo per vendetta, più altri
quattro in uscita nei prossimi mesi. Ghost Rider 2 non
è il suo film peggiore: è meglio del primo, ha un minimo di ironia e i due registi
Neveldine e Taylor, gli stessi del dittico folle Crank con
l’altro tamarro della compagnia, però simpatico, Jason
Statham, non fanno mancare ritmo, adrenalina e colpi
di scena. È pieno di esplosioni, urina infiammabile, diavoli e monaci e ha un cast un
po’ schizofrenico. Da un lato
il solito tosto, immarcescibile
Ciarán Hinds, dall’altra la nostra Violante Placido e il redivivo Christopher Lambert, il
Cage di trent’anni fa.
visti da Simone Fortunato
COMUNICANDO
CONVIVENZE POSSIBILI
Cultura: un ponte
per il dialogo
Può l’islam convivere pacificamente con le altre religioni? Sì,
tramite la creazione di ponti tra
culture e civiltà diverse. L’operato degli organi diplomatici del Kuwait in Italia ne è testimonianza:
da tempo si impegnano a trasmettere i veri princìpi di questo credo religioso con l’obiettivo
di modificare l’attuale immagine dell’islam agli occhi del mondo.
La cultura è considerata il miglior
Mistero palpabile
e commovente
I registi
Mark Neveldine
e Brian Taylor
di Annalena Valenti
R
ubare un giorno
alla quotidiana
organizzazione
da paura, per un viagMAMMA
OCA
gio tra amiche a Genova. Meta principale la
bellissima mostra “Van Gogh e il viaggio
di Gauguin”, non a caso la più vista anche
oggi in Italia, prorogata fino all’1 maggio.
Punto di fuga che si snoda in un percorso
affascinante, fatto di quadri e parole, «le cose del viaggio», le chiama il curatore Marco
Goldin, che ci conduce dalla vertigine dei
vasti spazi americani di Church e Turner al
viaggio di esplorazione di Gauguin. Fulcro
e rarità della mostra il quadro del pittore
amante dei paradisi tropicali, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, che fa
virare, nel viaggio che anche il visitatore fa,
dal naturale movimento di spostamento ed
esplorazione al viaggio per conoscere più
profondamente ciò che già ci appartiene
come fa il pittore Monet con il suo giardino. Bella ed evocativa l’idea dei curatori di
riprodurre il plastico della sua casa, grande
regno da esplorare, a Giverny. Si approda alle sale dove ci appare il mistero dell’esistenza come viaggio. Mistero palpabile e commovente davanti alle opere di Van Gogh,
vero cuore della mostra. I ritagli dei giornali che copiava, i quadri, gli stralci delle
sue lettere al fratello Theo. Qui diventano
tangibili i versi del poeta T. S. Eliot che, lo
si legge nel ricco libro di accompagnamento, sono la trama su cui è tessuta la mostra.
«Non smetteremo di esplorare/ e alla fine
dell’esplorazione/ saremo al punto di partenza/ sapremo il luogo per la prima volta».
mammaoca.wordpress.com
ponte per il dialogo e la convivenza tra popoli e religioni. Per questo motivo il consolato del Kuwait a Milano ha organizzato la
mostra “Al Fann: arte della cività islamica” durante la quale sono
stati esposti reperti archeologici e artistici di inestimabile valore. Un singolo reperto può rivelare tutte le relazioni, le influenze e
le interazioni con le altre civiltà,
soprattutto perché queste opere
d’arte sono state realizzate da artisti cristiani, ebrei o appartenenti
ad altre religioni: è questa la prova della convivenza pacifica tra
le varie religioni in Kuwait. Il consolato ha anche organizzato “Le
giornate kuwaitiane a Milano” allo scopo di rafforzare la coopera-
zione tra Italia e Kuwait e per far
conoscere il ruolo svolto da questo paese a livello locale e internazionale. Momenti di incontro
come questi permettono un attivo, stimolante e proficuo scambio
di opinioni e informazioni. La cultura è un veicolo privilegiato per
la trasmissione di valori e testimonianze che consentano una libera opinione: è stato così per secoli e continua a esserlo ancora
oggi, il messaggio è stato ribadito in occasione della celebrazione del 21esimo anniversario della
liberazione del Kuwait tenutasi a
Milano presso l’Hotel Principe di
Savoia. www.discoverkuwait.org
Giovanni Parapini
Emanuele Gallo Perozzi
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MOBILITÀ 2000
DI NESTORE MOROSINI
A sinistra, il frontale della Ford Fiesta St.
Dall’alto, in basso: i comandi del sedile;
i sedili Recaro; il volante che domina gli
strumenti della plancia; il posteriore
è USCITA DAL REPARTO CORSE DELLA FORD
Fiesta St, la compatta
iper vitaminizzata
F
ord Fiesta è uno dei cult dell’automobilismo mondiale. Una compatta che
ha venduto milioni di unità e che sul
mercato italiano occupa la quarta posizione dietro a Fiat Panda, Punto e Lancia Ypsilon. A Ginevra ha debuttato la Fiesta St dove la sigla identifica, da qualche tempo, le
versioni più sportive e brillanti dei modelli di grande serie della Ford, in particolare Focus. La previsione per Fiesta St è di essere venduta a partire dal 2013. La vettura
è stata sviluppata dal reparto sportivo Rs,
che ha messo a durissima prova i prototipi sul circuito del Nürburgring, in Germania. Il reparto è noto anche per lo sviluppo
delle vetture da gara della Ford.
Più potente della precedente, la nuova
Fiesta St può contare sull’apporto del quattro cilindri turbo EcoBoost 1.6 in configu-
razione da 180 cavalli di potenza e 240 Nm
di coppia massima. Le prestazioni sono di
rilievo assoluto, con una velocità di punta
di 220 km/h e un tempo inferiore ai 7 secondi per accelerare da 0 a 100 km/h. La
presenza di un propulsore più moderno ed
efficiente ha permesso di ridurre le emissioni e i consumi del 20 per cento rispetto
al modello della generazione precedente.
Il reparto Rs ha ovviamente adattato
assetto e sospensioni alla potenza del motore. Il telaio è ribassato di 15 millimetri,
c’è il Torque vectoring control per scaricare meglio a terra la coppia motrice in curva e, infine, sono state programmate tre
modalità di gestione del sistema di controllo della stabilità. È inoltre previsto il
dispositivo MyKey che, tramite una seconda chiave, limita le prestazioni e mantiene
alta la soglia del controllo di stabilità per
rendere più facile la vita dei guidatori meno esperti. Sono quasi d’obbligo i sedili Recaro, che hanno caratterizzato con la loro
presenza altre versioni St.
Facile riconoscere la Fiesta più sportiva. Il design della carrozzeria è stato dotato di appendici aerodinamiche per aumentarne l’efficienza, mentre gli interni
si fanno notare per il contrasto tra i diversi colori dei rivestimenti.
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LA ROSA DEI TEMPI
DOVE TIRA IL VENTO
Orrore orrore, ho visto le cozze pelose Repubblica si è molto scandalizzata davanti a tutte le ghiottonerie che il sindaco di Bari Michele Emiliano ha ricevuto in regalo
da un imprenditore poi finito nei guai con la giustizia. «Champagne, vino, formaggi, ostriche imperiali, quattro “spigoloni”, designati al maschile, e venti scampi, cinquanta noci bianche (trattasi
di un prezioso mollusco bivalve, per giunta in estinzione), cinquanta cozze pelose, due chili
di seppioline di Molfetta e
SCHIFO Il repubblicones non mangia le cozotto astici», ha sciorinato
ze pelose. Gli fanno schifo le cozze, al repubbliFilippo Ceccarelli con irocones. Anzi, gli fanno schifo i regali in generale.
nia, pur senza nascondere
Mai omaggiare un repubblicones con seppioperò la sua indignazione
line, caciocavallo o altro bendiddio. Se gli
verso quei regali «indicaserve qualcosa, il repubblicones se lo
tivi di uno stile sfrontatelcompra. O magari si affida alla giulo e di un certo potere che
stizia. Metti che gli va grassa e
non distingue fra doni e
porta a casa 564 bei milioni:
desideri, umane debolezze
dopo, con tutte le ostriche
e mirate generosità».
che può permettersi, ci riveste in madreperla il
pavimento del tinello.
Un giorno Google ragionerà come un uomo
C’è grande attesa intorno a Google. Secondo le indiscrezioni, il motore di ricerca più potente del mondo starebbe sviluppando la “ricerca semantica”. In pratica,
spiega il Daily Wired, BigG sarà in grado di «guidare gli utenti verso pagine selezionate in base ai dati personali di chi effettua la ricerca». Domani, quindi, non digiteremo più per esempio alberghi a Roma, ma chiederemo direttamente qual è il
migliore albergo di Roma?, ricevendo risposte su misura per i nostri gusti. Non a
caso diversi giornali annunciano già che RISPOSTE È una bella fregatura questa di
«Google ragionerà
Google che ragiona come un uomo. Uno digicome un uomo».
ta il proprio nome e quello: «Uè sfigato, non ti
si linka nessuno». Uno cerca repubblica.it e lui:
«Ecco, clicca qua, ma niente fotogallery o lo
dico a tua moglie». Scrivi farfallina e ti esce:
«Bè? Non ti vergogni, alla tua età?». Insomma
è una tragedia, la fine della libertà, soprattutto
per noi cronisti. Già pare di vedere il giorno in
cui chiederemo all’amico Google di cosa si parla oggi?, e lo sbruffoncello ribatterà: «Uffa, che
pizza. La solita banalità di voi giornalisti. Tanto valeva continuare a twittare con Riotta».
LI
W EB
GA
RE
Pornodiva ma con filosofia
“Solferino 28 anni”, il blog dei ggiovani per i ggiovani del corriere.it, non smette di soprendere noi ggiovani.
Qualche giorno fa, per esempio, ha ospitato l’intervento di
Valentina Nappi, una ggiovane universitaria di Napoli che
dichiara bellamente di aspirare a fare la pornodiva. Attività che per altro ella avrebbe già concretamente avviato. «Non amo il decostruzionismo di maniera», filosofeggia la Nappi. «Amo invece
i decostruzionismi quando PENSIERO Attenzione perciò. Quella di Valensono “potenti”, come ad
tina non è la scelta superficiale di vendere il proesempio la decostruzioprio corpo per spillare i quattrini al maschio libine dei concetti kantiani di
dinoso. No, qui c’è tutta una filosofia dietro. Una
spazio e di tempo ad opedecostruzione. Un pensiero, oseremmo dire. Tipo:
ra di Einstein» e via deco«È possibile una tekne del piacere sessuale che
struendo. Finché «mi sono stia alla sessualità di coppia come la cucina del
chiesta: perché non anche
grande chef sta alla cucina di mamma? È un delinella pornografia un ferrio, il mio? O forse è solo un sogno ridicolo?». Ma
mento analogo?».
soprattutto: è possibile che un redattore del Corriere, per far girare un po’ di patonza, debba ogni
volta sciropparsi una secchiata di minchionerie?
GI
OV
AN
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I
«Marmocchio, Babbo
Natale non esiste»
RIV
EL
Il centralinista sardo di un call center è stato denunciato a piede libero
da una coppia di Como per molestie
a mezzo telefono. L’uomo di 36 anni aveva chiamato per una promozione, ma quando si è accorto che
a rispondere era stato un bambino che tardava a passare il ricevitore ai genitori, ha cominciato a insultarlo: «Se non mi passi la mamma
vengo a prenderti. So che sei
lì, passami qualcuno o arrivo, sbrigati marmocchio. Babbo Natale non esiste e la
befana è tua
mamma».
AZ
IO
N
pronto Tempi ha intercettato la telefonata di riparazione del centralinista al
bimbo: «Ciao, scusami, sai,
ero nervoso, non ce l’avevo
con te. Sì, sì, sei un bambino
splendido, la gioia di mamma e papà. No, no, non è una
befana, anzi è bellissima. Ma
certo che Babbo Natale esiste, ci passerò le vacanze
di Pasqua assieme, sai? Anzi, mi ha detto di dirti che
quest’anno ci terrebbe tanto a farti un regalo speciale. Non i soliti balocchi ma un
bel set di coltelli Miracle Blade. Di’ a quel coglione di tuo
padre di farmi un colpo».
I
Moscerini ubriachi per misurare il tasso alcolico
SCIENZA
Hanno studiato le reazioni delle “mosche ubriache”, così i ricercatori delle università della North Carolina State e di Boston hanno capito quali siano i geni
che decretano una maggiore o minore tolleranza all’alcol. Gli accademici sostengono che, studiando la reazione dei moscerini, si possono avere importanti indicazioni sulla tollerabilità all’alcol anche degli esseri umani. L’esperimento è iniziato ubriacando
zzzz L’altra sera sono andato al bar. In
i moscerini: i ricercatori hanstrada un moscerino pirata quasi mi inno poi misurato quanto tempo
vestiva. Sciami barcollanti di moschipassasse prima che gli insetti
ni rigettavano ai bordi della carreggiata.
iniziassero a barcollare.
Alcuni di loro intonavano canti incomprensibili, agitando bottiglie di vino tra
le loro zampine. Non so come, ho evitato
bande di mosquitos che devastavano negozi e supermercati, giungendo salvo al
bar. Ho ordinato una birra. Dentro il bicchiere c’era un moscerino che ciucciava
con la cannuccia. Era arrabbiato con me:
«Ma tra tutte le birre che ci sono, proprio la Turtel dovevi ordinare?».
Bambini, è meglio non
avere un best friend
EDU
Z
CA
IO
imperdibile
godibile
inutile
fetido
NE
Si chiama “No best friends” ed è la
nuova tendenza educativa in voga nelle scuole inglesi. Secondo questa teoria le maestre devono aiutare i bambini a non avere un amico
del cuore. Abolendo la preferenza
per un singolo amico si eviterà che i
pargoli soffrano al momento del distacco o della rottura. Guru di questo tipo di educazione
la psicologa Gaynor
amico Io e mia moglie crediamo molto nelle teorie eduSbuttoni, che ha assicative della dottoressa Sbuttoni. Nessuno dei nostri figli
curato al Daily Mail di
ha un “migliore amico”. Pietro, però, mi dà qualche gratessere stata contattatacapo. Lo vedevo sempre assieme a uno strano tizio. Si
ta da molte maestre
chiudevano per ore e ore in camera, si incontravano in oradel Regno per spiegari strani al parco, nascosti dietro un albero, si parlavano in
re come applicare al
un linguaggio cifrato ed evitavano conversazioni al telefomeglio la sua idea.
no. Gli ho fatto una lavata di capo. Gli ho spiegato che non
può avere questo tipo di preferenze. Ma lui: «Tranqui papi,
non è il mio best friend. È solo il mio pusher».
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UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
TESTIMONIANZE
Il Mistero si vede
anche quando
“tutto gira”
di Aldo Trento
«C
ontemplerò ogni giorno il volto dei
Santi per trovare riposo nei loro discorsi», recita un’antifona delle lodi. Di questi tempi, sento l’urgenza nel mio cuore di contemplare i volti nei quali vedere quello
misericordioso di Dio! Il mondo è pieno di persone che scrivono libri su qualsiasi argomento e
in particolare nel mondo cattolico in riferimento
alle diverse virtù cristiane. Ma sono pochi coloro che ci introducono a vedere il volto dei Santi
contemporanei, che ci testimoniano nel quotidiano cosa significhi vivere la carità, condividere
le sofferenze altrui e immedesimarsi con il dolore e la speranza dell’altro. Tutti sono disposti a
dare consigli e forse anche a pregare per le persone in difficoltà, ma il cuore è lontano dall’impregnarsi del dolore del fratello.
Condividere un momento è facile per tutti, ma
come direbbe San Paolo: «Farsi povero con i
poveri, debole con i deboli» è una posizione ancora lontana dal nostro modo di vivere. Veramente, come affermerebbe Drogo, protagonista
del romanzo di Buzzati Il deserto dei Tartari,
ognuno è solo nel suo dolore, che è totalmente personale. Osservo questo accompagnando a morire i moribondi! C’è una grande solitudine dell’essere umano di fronte al Mistero che
chiama. Ma quanto è necessaria, invece, la presenza di qualcuno che ci prenda per mano per
accompagnarci in questi ultimi passi verso il
compimento della vita! L’energia di questa missione, quell’energia che mi impedisce di fuggire davanti al dolore o alla morte, la trovo esclusivamente nella mia relazione con Cristo, che
ogni momento si fa presente nei volti dei Santi che mi circondano. Stare al loro fianco, accarezzarli, pregare con loro, tenergli la mano, significa sperimentare quel riposo spirituale che
loro stessi, nel loro drammatico dolore, mi testimoniano. Guardarli in faccia è il migliore trattato sulla carità, sulla paternità, sul senso e il perché della vita. Non solo, ma anche coloro che
stanno al fianco di questi Santi trovano la possibilità di riconoscere che solamente Cristo può
essere, anche per loro, la ragione per cui lottare ogni giorno. La suprema carità è quella di lasciarsi trascinare, provocare dalla modalità attraverso la quale i Santi ci comunicano la pace
e la gioia della vita. In questi giorni ho ricevuto da amici alcune lettere di persone malate di
cancro, nelle quali raccontano come questa cir-
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POST
APOCALYPTO
Pieter Bruegel
il Giovane, Festa
di matrimonio
all’aperto,
1610 circa,
olio su tavola,
74,2x94 cm
costanza sia per loro la modalità più preziosa
per amare Cristo, per scoprire, come afferma
don Giussani, che «Cristo non è “qualcosa” di
giustapposto, ma è “qualcosa” dentro».
[email protected]
C
arissimo amico, ti voglio scrivere per-
ché ciò che ho dentro il mio animo, non
riesco a trattenerlo. La seconda chemio
è andata piuttosto meglio della prima. Sebbene
fossi altrettanto “rincoglionito”, nauseato e insonne, ho sopportato meglio il tutto. Il guaio è
stata la bronchite che è sopraggiunta dopo una
settimana e che è durata tanto. Avevo paura
che non passasse in tempo per la terza chemio.
Invece, oggi ho avuto la conferma che è passata, che gli esami vanno bene e domani mattina
sarò in ospedale per “ciucciarmela” tutta.
Ma la cosa che vorrei raccontarti è l’incredibile letizia e pace che sto vivendo in questi mesi.
Ho sentito stamattina per telefono una nostra
amica, che è in cura da tre mesi per una leucemia fulminante e anche lei ora è ricoverata e ha
iniziato la sua terza chemio. Alcuni giorni fa mi
ha chiamato un altro amico, anche lui leucemia,
in cura da circa 10 mesi, con un autotrapianto già fatto e un altro previsto prossimamente.
La cosa incredibile è stata che tutti e tre ci testimoniavamo la letizia che aveva investito la nostra vita. Da quando abbiamo saputo del tumore la nostra vita è cambiata, tanto da dire che
non abbiamo mai vissuto una letizia così grande. Perché? Come riusciamo a dire così? Siamo
pazzi o c’è qualcosa di vero? Perché vediamo
spesso persone sane il cui volto non è lieto?
Il bisogno di una risposta
Quando mi hanno detto del tumore (e pensavano a qualcosa di più grave di quello che poi si è
rivelato) la prima reazione è stata di rabbia perché questo rompeva totalmente i miei progetti.
Ma il mio cuore desiderava solo una cosa: come
posso essere felice, ora, con questa notizia? Cosa può dare risposta a questo mio desiderio? O
meglio, chi mi può soddisfare in questa drammaticità? Chi mi salva in questo istante? Che senso ha la mia vita? Avevo bisogno di una risposta,
tutto di me era teso ad avere una risposta. Il re-
«Vivevo con stupore tutto e continuamente
ringrazio chiedendomi come ricambiare
questo amore che sento su di me. Perciò
non pensiamo che “certe domande” nascono
solo da circostanze “brutte” e che l’unica
possibilità per capire che cos’è la vita è
quando succedono circostanze dolorose»
tevo ricambiare questo amore che sentivo su di
me. Perciò non pensiamo che “certe domande”
nascono solo da circostanze “brutte” e che l’unica possibilità per capire che cos’è la vita è quando succedono circostanze dolorose. Poi, quando
mi sono “trovato” questo tumore addosso, l’impotenza di darmi una risposta con le mie forze
era evidente e il bisogno di pienezza che il mio
cuore letteralmente gridava, mi ha spalancato la
ragione e mi sono trovato a guardare semplicemente la realtà che avevo attorno, che non era
diversa da quella che avevo prima, solo che ora
la guardavo con un cuore trepidante di verità. E
mi sono ri-accorto del Suo abbraccio in una presenza carnale e fedele come è stata ed è mia
moglie. Segno e Mistero coincidono.
Un amore totale
sto non mi interessava e non mi bastava.
Volevo ritornare in Toscana da mio figlio e dai
miei nipoti e ciò che mi si prospettava, mi spaventava moltissimo, quasi mi terrorizzava. Non
volevo pensare alla fatica (purtroppo già ben
sperimentata nella mia vita) delle cure, ricoveri,
esami eccetera. Il desiderio del mio cuore, ti assicuro, era semplice e terribilmente vero, senza
fronzoli e sentimentalismi.
Ebbene, da questa risposta è nata una “botta di
vita” impressionante, imprevista e stupefacente. Chi l’avrebbe pensato che un tumore ti sconvolga la vita tanto da dire che non l’ho mai vissuta così lietamente come in questi ultimi mesi.
Il mese che ero in Toscana avevo un gran mal
di stomaco (il tumore che si manifestava) ma,
in un certo senso, è stato un periodo che mi
ha “preparato”. La bellezza del tempo, dei tramonti, la compagnia dei miei cari e degli amici, la nascita della mia nipotina, erano tutti segni
dell’abbraccio di Cristo a me. Ogni momento che
vivevo, percepivo questo abbraccio pieno di bellezza e Mistero. Vivevo con stupore tutto e continuamente ringraziavo chiedendomi come po-
Lei è stata la riscoperta del Sacramento del matrimonio. Cristo presente che mi sostiene, mi abbraccia, mi accarezza, mi sta vicino, mi “serve”,
mi con-forta, mi con-sola, mi guarda, mi ama. In
modo sempre più completo e totale. Perché io
sia più me stesso, più uomo e la mia vita più vita. Poi don Carrón, il lavoro di scuola di comunità che mi ha costantemente educato a questo sguardo stupefatto della realtà (non ce ne
rendiamo conto abbastanza della Grazia che lo
Spirito ci ha fatto partecipando al carisma del
movimento), padre Aldo Trento che mi ricorda
nelle sue preghiere. Il miracolo degli amici che
mi vengono a trovare e la compagnia dei miei figli e delle loro famiglie. Tutto ciò che ho attorno,
la casa, i mobili, le tende, i piatti, eccetera. Nulla
è scontato perché vedo le cose, le persone, il tumore, il mondo intero come un dono: per me!
Chi sono io perché Tu te ne curi? Mi ami di un
amore infinito e hai pietà del mio niente. Com’è
possibile essere tristi dentro questa consapevolezza? Che grande letizia c’è nel mio cuore anche soffrendo con i dolori e i fastidi della malattia. È questa l’esperienza che vivo in questi
mesi. Il bello è che sono qui a “far niente”, vivendo il tempo in attesa che la tossicità della chemio passi per poterne fare un’altra. È incredibile, stupefacente il constatare che non è il “fare”
cose, magari importanti, che ti rende lieto. Che
bello!! Ti svegli al mattino e già l’aprire gli occhi è pieno di gratitudine; poi l’abbraccio di Nella che mi dà il “buon giorno”; poi la colazione, le
tazzine, i biscotti, il miele; poi le cure; poi le lodi,
le preghiere al don Gius e alla Madonna e la lettura della scuola di comunità, di Tracce; poi il ri-
poso perché sono talmente “rincoglionito” che
non mi stanno aperti gli occhi; poi il pranzo; tutto mi commuove perché tutto mi è dato da Lui,
mi parla di Lui, è segno di Lui; è Lui. Ogni giorno di più Lo desidero dentro questa realtà che
mi viene incontro in modo così diverso da come
la pensavo, ma così stupefacente che il mio cuore sobbalza letteralmente dalla gioia (il mio medico mi ha detto che ho i battiti del cuore alti).
Perciò pieno di gratitudine offro tutto di me, così come sono, la mia sofferenza, il mio tempo e
le mie giornate a Cristo, partecipando alla sua
croce per il bene di tutti. lo gli chiedo che questa
mia offerta sia un poco per te e per tutti gli amici del gruppo di scuola di comunità, in modo tale che il lavoro su di sé che don Carrón ci chiede
continuamente, porti frutti di santità personale.
Abbandonato totalmente nelle Sue braccia e alla Sua volontà così misteriosa, certo che Lui fa
le cose bene, ti do un grande abbraccio.
Lettera firmata
C
arissima, mi ha confortato
molto la tua
visita di ieri perché ho avuto innanzitutto la percezione che la tua presenza era
“segno” evidente della tenerezza di Cristo nei
miei confronti. Ho proprio gustato la tua visita. Nei nostri colloqui siamo andati al cuore dei
problemi. «Vivere è Cristo e morire un guadagno»; cosa abbiamo di più caro se non Cristo
presente ora? Cosa desideriamo per i nostri figli se non che vivano questo rapporto con Colui che risponde al desiderio del nostro cuore?
Mia moglie mi raccontava dell’incontro di ieri
sera con don Carrón e mi diceva che era stata
colpita da una sua osservazione finale. Quando
diceva che il problema non è nemmeno quello di un cambiamento, ma quello di gustare la
Sua presenza. È questo che cambia tutto. E la
Sua presenza mi sta rendendo le giornate così liete che vivo costantemente nello stupore. Com’è possibile non annoiarsi stando praticamente sdraiato quasi tutto il giorno a “far
niente”? Eppure ogni attimo offerto, abbracciando e abbandonandomi alla croce di Cristo
(attraverso questa mia condizione) è così prezioso che vale la pena viverlo. Offro perciò anche un poco della mia sofferenza per te e la
tua famiglia. Davvero l’unica nostra “preoccupazione” è dire il nostro sì che rende vita qualsiasi situazione e che rende possibile la Sua
presenza ora. Grazie. Un abbraccio.
Lettera firmata
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59
family 2012
Marco Martegani,
direttore generale
di Maxi Brums,
scommette sul
valore aggiunto
della maternità
per fare impresa
nell’abbigliamento
per bambini
da 0 a 16 anni
La nostra storia
in tre parole
avviare un’attività in franchising all’interno della nostra rete, trasferendo a ciascuna di esse il nostro know how e permettendo l’accesso al credito a condizioni vantaggiose. Grazie a Moms@work forniamo poi il
servizio “mamma jolly”, una mamma che
loro, sul valore aggiunto della maternità». sostituisce la titolare durante le ferie per
In altre parole, spiega Marco Martegani, tre settimane nei primi tre anni di attività;
direttore generale Maxi Brums, sono sta- garantiamo inoltre una borsa di studio delte avviate una serie di iniziative uniche nel la durata di cinque anni e assegnamo un
genere in Italia: «Siamo partiti con la ricer- guardaroba Brums o Bimbus del valore di
ca di addette vendita per l’apertura di nuo- mille euro all’anno per ciascun figlio».
vi punti vendita Maxi Brums dedicati a proSarà per la scommessa imprenditoriale
dotti per la prima infanzia e la materni- sulla conciliazione di famiglia e lavoro, che
tà, affidandoci a Moms@work, il servizio di coinvolge il gruppo in progetti di solidarieintermediazione professionale di Gi Group tà con gli ospedali Sacco, Buzzi di Milano
dedicato alle madri. Il requisito, va da sé, e la Fondazione Francesca Rava, o perché
era essere mamme. Chi infatti meglio di condivide la vita aziendale con la moglie, o
una madre poteva garantirci di instaura- ancora perché prima di tutto questo si defire un rapporto di fiducia con la clientela, nisce un papà, e nessuna festa somiglia a
basato sulla condivisione dell’esperienza quella che gli ha travolto il cuore alla nascidella maternità e la capacità di risponde- ta dei suoi figli, ma «la nostra adesione alla
re ad ogni esigenza in maniera adeguata?».
Fiera internazionale della famiglia, che si
Fioccano le candidature e il succes- terrà a Milano dal 29 maggio al 2 giugno, è
so dell’iniziativa, nell’anno nero dell’eco- stata immediata». C’è, nel titolo dell’Inconnomia, rafforza il legame del gruppo col tro mondiale delle famiglie di cui la fiera è
mondo delle mamme: «Abbiamo così dato parte integrante e che culminerà il 2 e il 3
vita a Mamme fanno impresa, un proget- giugno con gli incontri con il Papa, «tutta
to di sostegno alle madri che decidono di la storia della nostra impresa: “La famiglia,
il lavoro, la festa”, tre semplici parole per dichiarare
Sarà per la scommessa sulla conciliazione di
che la famiglia è un valore
casa e lavoro, o per la festa che l’ha travolto
fondante della società, del
alla nascita dei figli, ma «la nostra adesione
lavoro, dell’uomo».
Caterina Giojelli
alla Fiera della famiglia è stata immediata»
La famiglia, il lavoro, la festa. Per Martegani
(Brums) c’è più di una ricetta imprenditoriale
nel titolo dell’incontro con il Pontefice
I
dalla porta
oltre mezzo secolo fa. Allora nel piccolo laboratorio tessile di Carnago, in
provincia di Varese, la vita si misurava con
il metro e trascorreva con ago, filo e pazienza, tanta ce ne voleva per ogni loden o
impermeabile confezionato a fine giornata.
Poche chiacchiere, molta stoffa e tre generazioni più tardi pazienza e spirito artigiano venivano premiati dai numeri: con due
marchi storici come Brums e Bimbus, Preca Brummell, emanazione imprenditoriale del piccolo nucleo pioniere di Carnago,
aveva conquistato il mercato producendo
e distribuendo in Italia e all’estero, attraverso la formula del franchising e dei negozi mono e multibrand, abbigliamento per
bambini dagli 0 ai 16 anni.
Un’impresa che in Italia fattura oggi
120 milioni l’anno, dà lavoro a 500 persone e continua a chiudere la porta in faccia ai cliché: quelli che considerano la fiducia una causa persa all’epoca della crisi e
le mamme dotate di figli piccoli una zavorra inammissibile nel mercato del lavoro. «Il
successo della nostra azienda è stato costruito grazie a milioni di mamme che ci hanno dato fiducia, e, un paio di anni fa, abbiamo deciso di scommettere su ciascuna di
cliché li hanno chiusi fuori
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LETTERE
AL DIRETTORE
E se fatto l’integruppo
Maurizio Lupi facesse
di sussidiarietà virtù?
2
ue vicende ultimamente mi lasciano sconcertato:
Massimo Ciancimino dichiara che Ingroia lo considera
un’icona dell’antimafia, e difatti se lo porta appresso
a Servizio Pubblico da Santoro. Come è possibile ciò, a parte che ci andranno diversamente scortati? Voglio dire, come
è possibile che un magistrato ritenga credibile un farloccatore che oltretutto per trasportare una paccata di soldi, alla
preoccupazione del complice su come attraversare il confine
senza problemi, rispondeva se non avesse visto che era sempre in televisione e ormai fosse considerato un’icona dell’antimafia? L’altra vicenda riguarda Rita Borsellino, sorella
del giudice ucciso dalla mafia e grande
amico di Falcone, candidata alle primarie Pd di Palermo e sponsorizzata dalla lista del grande accusatore del giudice Giovanni Falcone, Leoluca Orlando, il
quale accusava il grande amico di suo
fratello di nascondere nei cassetti del
suo ufficio le prove dei legami tra mafia e politica: quanto di più incredibile
si possa immaginare, sia l’accusa di Orlando, sia la candidatura della Borsellino. Urge un suo commento, e peccato
che Sciascia non possa vedere certe cose, o forse meglio per lui. Aveva già visto e previsto molte cose, comunque. Ciro Maddaloni via internet
In quale Truman Show è finita la vera Sicilia? Ecco, l’immagine che mi
porto nella memoria è questa: atterrare a Punta Raisi e domandarsi perché, nel posto in cui dovrebbe sorgere solo il palazzo di una procura della
Repubblica, c’è, invece, anche Palermo, grande e mobile città; e c’è perfino un’isola grande e ricca di varie-
Pare che la maggior parte delle persone si ricordi dell’esistenza di Dio solo
ed esclusivamente in occasione di disgrazie, tragedie, cataclismi e calamità! Ecco quindi che – puntuale come le
vespe nei pic nic – anche in occasione
della tragedia di Sierre, per qualcuno
Dio si sarebbe distratto. Strana questa
idea di Dio come “body guard”...
Vincenzo Mangione Sassari
Il Prima Linea di questa settimana è
eloquente in proposito. E brava Annalisa Teggi, che ci hai restituito un
po’ di libertà. Di vita e di destino.
2
Nel 1983, a una domanda di Vittorio
Messori, Arturo Carlo Jemolo rispondeva: «Credo in una Chiesa cattolica
anche gerarchica perché il termine “cristianesimo” non faccia la fine del termine “socialismo” che nessuno sa più
cosa voglia dire». Nel 2000 – su Tempi
– Gianni Baget Bozzo scriveva che nel
nichilismo culturale dominante in Occidente «contano più le chiese come istituzioni che non l’azione politica dei cattolici» organizzati in “partiti cristiani”.
Dunque – aggiungeva – servono «forze politiche che abbiano come oggetto politico la Tradizione di fronte al nichilismo: cioè affrontino i problemi del
mondo unico in modo da preservare le
identità di fondo dei popoli, e in questo caso la memoria della cristianità».
Mi sono ricordato di queste riflessioni
dei due grandi intellettuali cattolici do-
NON C’È PIÙ LA FERRARI DI UNA VOLTA
SPORT
ÜBER
ALLES
N
| 28 marzo 2012 |
di Fred Perri
Guardare la Formula 1 oggi è noioso
come sorbirsi un (ex) comico guru
non guardo un Gp di Formula 1. Confesso che le corse delle macchine
non mi hanno mai entusiasmato, ma una volta,
come per tante altre cose, c’era un non so che di tragico-eroico, di puzza di catrame, benzina e asfalto che ti
inebriava come il profumo Chanel di una bella topa. E
poi c’era la Ferrari. Donne e motori. Ma nulla è più co-
62
po il recente voto sulle unioni gay del
Parlamento europeo (contrastato dal
Ppe e dai conservatori nazionali); l’eco
(nel Regno Unito e in Europa ma non in
Italia) della lezione del presidente della Cei Angelo Bagnasco nella prestigiosa London School of Economics sul tema “Una economia per l’uomo e per
la società”; e dopo la ritornante tentazione in Italia di ridare vita a un partito “di ispirazione cristiana”. Sono fatti
che mi portano a dire: 1) per i cattolici impegnati in politica e nel sociale assumono un valore sempre più attuale,
al fine di affermare in concreto la propria identità, i “princìpi non negoziabili”, e la conseguente “questione antropologica” che ne deriva (in particolare
su vita, famiglia, bioetica e centralità
della persona in economia e nel sociale) richiamati dalla “Nota Dottrinale”
del 2003 dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
cardinal Ratzinger. 2) Su quei princìpi,
come auspicato nel 2006 da Benedetto XVI a Verona, è possibile fondare risposte adeguate ai problemi antropologici e sociali posti dal nichilismo e dal
relativismo dilaganti, con una stretta collaborazione tra i cattolici e settori della cultura e di forze politiche e sociali di diversa o nessuna ispirazione
religiosa e di diversa matrice ideologica; come dimostra il recente documento degli intellettuali marxisti Barcellona, Sorbi, Tronti e Vacca sui rischi
che derivano all’uomo e alla democrazia dalle manipolazioni della vita. 3) In
Italia, allo stato dei fatti, lo strumento
più idoneo a difendere nelle istituzioni
e nella società anche i valori identitari
dei cattolici potrebbe essere (partendo
da un ripensamento della eccezionale esperienza dell’Opera dei Congressi alla luce delle realtà distintive del nostro tempo) una struttura permanente
|
on so da quanto tempo
me un tempo. Prendete le trasmissioni politiche. Da
quando non c’è più lui, caro lei, che pizza. Prendersela
con Monti non è la stessa cosa. I talk show politici arrancano, non si litiga più, tranne quando tirano fuori
qualche leghista dal cassetto.
Ma sono i maître pensatori di questi anni, tutti
quei programmi bau-bau e micio-micio che ammicca-
Foto: AP/LaPresse
D
tà e culture imprenditoriali. Eppure,
rientrati in continente, come si fa
a non dimenticare tante belle cose,
quando su giornali e tv passa soltanto quella roba lì, ovvero la Confindustria della mafia e dell’antimafia?
[email protected]
di studio, di confronto, e di proposta
aperta a tutti i cattolici impegnati in
politica e nel sociale, in qualsiasi partito e associazione. In tale struttura essi
dovrebbero impegnarsi a trovare posizioni comuni da far valere nelle istituzioni e nella società su questioni decisive per la loro identità di fede; ma
anche sulle risposte che derivano dalla
Dottrina sociale della Chiesa alle grandi questioni culturali, sociali, economiche e politiche del nostro tempo. Credi, caro direttore, che sia una proposta
sensata, attuale e realizzabile?
Nicola Guiso
1) Non è questione di “identità”, ma
di “verità”. 2) Esatta conseguenza
del punto primo. 3) Pensi che addirittura Marco Pannella ci ha citato
l’Opera dei Congressi per descrivere
la dinamica e il retroterra di questo
giornale. Politicamente parlando, però, a noi pare che l’attualità possibile di quell’intuizione ottocentesca sia
illustrata, almeno in nuce, in ciò che
l’onorevole Maurizio Lupi ha costituito come “Intergruppo parlamentare della sussidiarietà”. Ecco, se Lupi
traesse le conseguenze di questa sua
iniziativa (che oggi raccoglie 340 deputati), altro che il “partito tecnico”,
magari ne verrebbe fuori un gruppo
che fa di sussidiarietà virtù partitica.
2
Foto: AP/LaPresse
È doveroso chiarire che il cosiddetto
matrimonio gay è stato soltanto raccomandato dal Consiglio d’Europa agli
Stati membri, con soli 20 voti di maggioranza su 320, ma non è stato prescritto, non avendo quell’organismo
poteri legislativi sui singoli Stati. Un
giudice della Cassazione ha espresso un
parere soggettivo conforme alla raccomandazione del Consiglio d’Europa, ma
INFORMAZIONE AVVELELNATA
Uno strano paese dove il premier
è più venerato del Santo Padre
di Pippo Corigliano
CARTOLINA
DAL
PARADISO
Q
uando c’è qualcosa di strano, c’è qualcosa di strano. Non è una frase
di Lapalisse, è un principio che funziona sempre. È ora che i cristiani guardino con più sospetto al sistema informativo che ci avvolge. Ci sono troppe cose strane. Si è fatto un baccano infernale (è il caso di dirlo) attorno alla presunta acquiescenza di Ratzinger per i casi di
pedofilia nel clero. Poi si è dovuto fare marcia indietro perché era vero
il contrario. Si è detto che in America un gran numero di sacerdoti erano pedofili, poi il leader degli accusatori (come rivela Tempi) ha ammesso di aver raccontato bufale. Ma non c’è proporzione fra il chiasso delle
accuse e il sussurro delle ritrattazioni. Il risultato è che i sacerdoti e la
Chiesa cattolica vengono guardati con sospetto.
Idem per la Santa Sede: prima fanno credere che sia un covo di fraudolenti, poi si vede che è un ambiente umano con tanti santi e qualche
irritabile. Pazientemente il Papa soffre e provvede.
Per altri il trattamento è paradisiaco: Monti viene fotografato mentre prende il treno democraticamente, il presidente della Repubblica
viene rappresentato come un santo, ciò che dice viene riportato con venerazione. Sono persone rispettabili ma sembra che lassù svolazzino solo angioletti e che il nostro paese sia guidato in modo libero e indipendente, mentre non è così. È meglio confidare nel Papa e diffidare del
sistema d’informazione che tende ad avvelenarci. Non ce la beviamo:
quando c’è qualcosa di strano, c’è qualcosa di strano.
contrario alla nostra Costituzione che
prevede un’unica forma di matrimonio:
quello tra un uomo e una donna (...) Al
riguardo, mi raccontava una dentista
che per curare un bambino si sono presentate nel suo studio due mamme dicendo di essere entrambe madri di quel
bambino. Una si è presentata come madre anagrafica, l’altra come madre biologica, cioè inseminata da uomo estraneo al loro paramatrimonio. Purtroppo
nelle unioni gay si verificano queste situazioni paradossali, le cui vittime so-
no i figli in provetta o adottivi. Siamo di
fronte a un capovolgimento antropologico con figli che hanno due padri o due
madri, salvo che a un certo punto non
si aggiunga anche il padre biologico o
i genitori dei figli adottivi, con grave
danno psicologico per i figli, che sono il
vero capro espiatorio di questa confusa
situazione esistenziale.
Bruno Mardegan Milano
Ne stiamo giusto parlando. E preparatevi al prossimo numero di Tempi.
vano, che usavano il birignao dell’intelligenza (autoproclamata e auto-assegnata) come una clava per colpire tutti gli altri (specialmente i berluscones) a segnare
il passo. A parte l’audience è una faccenda di noia. È
la crisi del comico-guru, di quella figura che, in questi
anni, aveva assunto il compito del vecchio intellettuale marxista, cioè la guida delle masse proletarie. In realtà, più che guidare le masse, amministravano i loro
conti in banca. Adesso cercano disperatamente di adeguarsi ai tempi, di riciclarsi, ma senza il Grande Bersaglio non acchiappano più. È come la Formula 1 per me.
Una volta c’era la Ferrari che stuzzicava il mio cuoricino patriottico. Ora manco più quella.
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taz&bao
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| 28 marzo 2012 |
| Foto: AP/LaPresse
La chiamano
giustizia
Quando l’odio diventa codardo,
se ne va mascherato in società
e si fa chiamare giustizia.
Arthur Schnitzler
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
UNO SGUARDO SULLE CASE DEGLI UOMINI
I tetti di Carate Brianza
di Marina Corradi
C
Brianza, 1 marzo. Questa finestra si affaccia proprio sul centro antico
del paese – le vie irregolari e strette, le vecchie case, viste dall’alto, assiepate come un gregge attorno al campanile. E i loro tetti larghi, solidi, le tegole
di cotto allineate in file non precisamente regolari, e mai del tutto uguali nel colore. Rosse, sì; ma alcune più pallide, altre più cotte, o più scure. Come se la diversa angolazione del sole, in lontane estati, le avesse accese o brunite. Mi affascina
soprattutto la mole di questi tetti, pacifica, adagiata sulle case degli uomini: sembrano groppe di docili animali da soma, pazienti, immobili a proteggere le stanze dalla pioggia, dalla neve, dal sole a picco di luglio. Quanti anni avranno le case
qui sotto? Certo più di cento. Quante vite sono passate, sotto ai tetti larghi come
ali di chioccia sulla nidiata?
Se solo i muri potessero raccontare. Grida di partorienti, primi vagiti, echi di
giochi infantili; e amori, e solitudini, e ragazzi vestiti da soldati che una mattina,
lo zaino in spalla, sono partiti. Da qualSe solo i muri potessero raccontare. Grida
che parte forse una lapide riporta i loro
nomi, sbiaditi. Gli uomini passano e le
di partorienti, vagiti, echi di giochi infantili;
case restano, sotto le tegole di cotto bole amori, e solitudini, e ragazzi vestiti da
lenti a luglio, un anno dopo l’altro. (Mi
soldati che una mattina, zaino in spalla, sono affascina e mi inquieta, la prospettiva
dei tetti; come fosse lo sguardo di qualpartiti. Gli uomini passano e le case restano
cuno che, straniero, vegli dall’alto).
C’è, questa mattina all’orizzonte, uno stormo, forse di rondoni, lontano; che vola in formazione regolare e passa e ripassa sulle case, come cercando qualcosa; poi,
si allontana. Per un attimo le ali degli uccelli sono tutte rivolte al sole di marzo, e
allora sono lucenti, quasi bianche. Che siano colombi? Vanno e ritornano, senza
mai posarsi; chissà cosa cercando, mi chiedo, dalla mia finestra.
E com’è strano che, dall’alto, le case degli uomini sembrino altre, come mai viste davvero, nella rete di speranze che le colmano e impregnano. Assomiglia a nostalgia il mio sguardo assorto sui tetti. Nostalgia di cosa? Non conosco nessuno, in
queste case. Nostalgia di vite passate e ignote, di storie,
che non saprò mai. Come se tuttavia ogni parola,
ogni faccia mi riguardasse e non mi fosse estranea; come fossimo tutti foglie di uno stesso albero grande.
Nella giornata già tiepida un gatto bianco
spuntato da chissà dove percorre con passi felpati un tetto; si ferma nell’angolo più battuto
dal sole, si acciambella sui coppi caldi, e beato
dorme. Primavera, ancora: una dopo l’altra, per
cento anni, sulle tegole rosse. Mentre nelle stanze qui sotto i bambini di un tempo invecchiano,
e se ne vanno. Che mistero grande, sospeso sulle
case degli uomini. Mentre un gracidio di tv accese a tratti sfugge dalle finestre chiuse. Perché parliamo, parliamo; ma mai di ciò che abbiamo veramente, qui nel petto.
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| 28 marzo 2012 |
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arate
DIARIO
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