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Un assalto fallito - Mondadori Education

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Un assalto fallito - Mondadori Education
© Mondadori Education
Harper Lee
Un assalto fallito
Le carceri di Maycomb eran situate nell’edificio più rispettabile e più brutto di tutta
la contea.
Un lungo filo elettrico usciva tra le sbarre di una finestra al secondo piano e scendeva
lungo il muro dell’edificio. Alla luce d’una lampadina nuda su una delle sedie del suo
ufficio, stava seduto Atticus con la schiena appoggiata alla porta di ingresso; leggeva,
incurante degli insetti notturni che gli danzavano sopra la testa.
Feci per correre verso di lui, ma Jem mi fermò. – Non andare, – disse; – forse non gli
farebbe piacere. Visto che sta bene, torniamocene a casa. Volevo soltanto vedere
dove fosse.
Stavamo attraversando la piazza quando, provenienti dall’autostrada di Meridian,
comparvero quattro auto impolverate. Avanzavano lentamente in fila, fecero il giro
della piazza passando davanti alla banca e si fermarono di fronte alla prigione.
Non scese nessuno. Vedemmo Atticus che alzava lo sguardo dal giornale, lo
chiudeva, piegandolo accuratamente, se lo lasciava cadere sulle ginocchia, e spingeva
il cappello indietro sulla fronte. Si sarebbe detto che li aspettasse.
– Venite, – sussurrò Jem. Traversammo in fretta la piazza e la strada e ci mettemmo
al riparo della porta dell’emporio1. Jem diede una occhiata lungo il marciapiede. –
Possiamo avvicinarci un poco, – disse. Corremmo fino alla porta dell’emporio
Tyndal, che, abbastanza vicina alla prigione, costituiva un buon riparo essendo un po’
incassata nel muro.
A uno e due alla volta, alcuni uomini scesero dalle macchine. Le ombre diventavano
corpi via via che la luce rivelava le loro forme solide che muovevano verso la porta
della prigione. Atticus rimase dove si trovava. Gli uomini lo nascondevano alla nostra
vista.
– È qui, signor Finch? – domandò uno.
– Sì, è qui, – udimmo rispondere Atticus, – e dorme: non lo svegliate.
Obbedienti, gli uomini si misero a parlare quasi a bisbigli: una scena dannatamente
comica, a ripensarci, in una situazione tanto scabrosa.
– Lei sa quel che vogliamo, – disse un altro. – Si tolga dalla porta, signor Finch.
– Puoi far dietro front e tornartene a casa, Walter, – disse Atticus affabilmente. –
Heck Tate non è lontano.
– Crede? – intervenne un altro ancora. – Invece Heck e i suoi son così lontani nei
boschi, che non verranno fuori prima di giorno.
– Ah sì? E come mai?
– Li abbiamo attirati via con una scusa, – fu la laconica risposta. – Non lo aveva
previsto, eh, signor Finch?
1. emporio: negozio che vende varie merci.
– L’avevo previsto, ma non volevo crederci. Bene, allora... – la voce di mio padre era
sempre la stessa, – la cosa è diversa, vero?
– Eh già! – disse un’altra voce bassa che apparteneva a una delle ombre.
– Credete davvero?
Era la seconda volta che udivo Atticus far quella domanda in due giorni, e questo
voleva dire che tra poco certamente qualcuno ci avrebbe lasciato le penne. Lo
spettacolo si annunciava troppo bello per perderlo. Con un balzo sfuggii a Jem e corsi
verso Atticus più rapida che potei.
Con un grido, Jem cercò di acchiapparmi, ma ormai avevo un vantaggio su lui e Dill.
Mi intrufolai tra i corpi scuri che emanavano un odore acre e ne sbucai nel circolo di
luce.
– Ehi, Atticus!
Credevo di fargli una bella sorpresa, ma la faccia che fece spense immediatamente la
mia gioia. Un lampo di vera paura gli traversò gli occhi e si spense, per riapparire
subito dopo, quando Jem e Dill comparvero anch’essi nel cerchio di luce.
Attorno a me, c’era odore di pessimo whisky e di stalla, e guardandomi in giro mi
accorsi che gli uomini erano forestieri. Non erano gli stessi della notte prima. Provai
un senso di imbarazzo cocente2 all’idea di esser saltata trionfalmente in mezzo a un
cerchio di persone che non avevo mai visto.
Atticus si alzò dalla sedia; si muoveva lentamente, come un vecchio. Ripiegò il
giornale con molta attenzione, stirando le pieghe con dita che indugiavano e
tremavano un poco.
– Va’ a casa, Jem, – disse. – Porta Scout e Dill a casa.
Eravamo abituati a obbedire con prontezza, anche se non volentieri, ai suoi ordini, ma
Jem pareva che non pensasse affatto di muoversi.
– Va’ a casa, ho detto.
Jem scosse la testa. Atticus si mise i pugni sui fianchi e Jem fece lo stesso. Li
guardavo, uno di fronte all’altro, in atteggiamento di sfida, e ben poca era la
rassomiglianza tra loro: i morbidi capelli castani e gli occhi marrone di Jem, il suo
volto ovale e gli orecchi bene attaccati alla testa erano di nostra madre e
contrastavano stranamente con i capelli neri brizzolati di grigio e i lineamenti marcati
di Atticus: eppure si somigliavano. L’atteggiamento di sfida li rendeva simili.
– Figliolo, ti ho detto di andare a casa.
Jem scosse la testa.
– Lo mando a casa io! – esclamò un uomo corpulento3, afferrando rudemente Jem per
il colletto e sollevandolo quasi da terra.
– Non lo toccare! – gridai, sferrandogli un calcio. Ero a piedi nudi, e rimasi sorpresa
nel veder l’uomo tirarsi indietro con una smorfia di dolore. Volevo dargli un calcio in
uno stinco, ma avevo mirato troppo in alto.
– Basta così, Scout. – Atticus mi mise una mano sulla spalla. – Non si danno calci
alle persone. No!... – disse mentre cominciavo a giustificarmi.
2. cocente: bruciante.
3. corpulento: massiccio, robusto.
– Si provino a far qualcosa a Jem! – dissi.
– Avanti, signor Finch, li mandi via! – grugnì qualcuno. – Le diamo quindici secondi
per mandarli a casa.
Nel centro di quella strana assemblea, Atticus cercava intanto di farsi obbedire da
Jem. – Non me ne vado, – fu la risposta di Jem alle minacce, alle preghiere e infine
al: – Ti prego, Jem, portali a casa, – di Atticus.
Ero un po’ stanca di quella scena, ma se riflettevo a quel che rischiava Jem con
quell’atteggiamento, a quel che gli sarebbe toccato quando Atticus fosse arrivato a
casa, capivo che doveva avere buone ragioni a fare così. Mi guardai in giro. Era una
notte d’estate, ma quasi tutti quegli uomini portavano tute e camicie di cotone
colorato abbottonate fino al collo. Pensai che dovevano essere dei freddolosi, perché
non portavano le maniche arrotolate, ma lunghe e abbottonate ai polsi. Alcuni
avevano il cappello ben piantato sugli orecchi. Avevano un aspetto torvo4 e l’aria
assonnata di chi non è avvezzo5 alle ore tarde. Cercai ancora di scorgere in mezzo a
loro un volto familiare, e al centro del semicerchio finalmente ne trovai uno.
– Salve, signor Cunningham.
A quanto parve l’uomo non sentì.
– Salve, signor Cunningham. Come vanno gli affari?
Le vicende legali del signor Cunningham mi erano ben note: Atticus una volta ce
l’aveva descritte dettagliatamente. L’omone batté le palpebre e si infilò i pollici nelle
bretelle della tuta. Pareva a disagio; si schiarì la gola e guardò da un’altra parte. Il
mio cordiale approccio era fallito miseramente.
Il signor Cunningham era a capo scoperto, e la metà superiore della sua fronte era
bianca a confronto del volto bruciato dal sole: dal che arguii che di solito portava il
cappello.
– Non si ricorda di me, signor Cunningham? Sono Jean Louise Finch. Lei ci portò
delle noci, una volta, ricorda? – Cominciavo a sentirmi imbarazzata, come quando
per strada s’incontra un conoscente che finge di non riconoscerci.
– Vado a scuola con Walter, – ripresi. – È suo figlio, non è vero? Non è vero,
signore?
Il signor Cunningham si decise a fare un vago cenno del capo. Dunque, mi
riconosceva.
– È in classe con me, – dissi, – e va molto bene. È un bravo ragazzo, – aggiunsi, – un
ragazzo proprio simpatico. Una volta lo abbiamo portato a colazione da noi. Forse le
ha parlato di me: l’ho picchiato anche una volta, ma lui è stato molto in gamba. Lo
saluti da parte mia, eh?
Atticus diceva che con la gente bisogna sempre parlare di ciò che interessa loro e non
di ciò che interessa noi; a quanto pareva però al signor Cunningham non interessava
nemmeno suo figlio, e allora tirai in ballo6 di nuovo i suoi affari, in un ultimo
tentativo di farlo stare a suo agio.
4. torvo: minaccioso.
5. avvezzo: abituato.
6. tirai in ballo: citai, riparlai.
– Gli affari sono un guaio, – incominciai, ma fu allora che improvvisamente mi
accorsi che la mia non era una conversazione con il signor Cunningham, ma una
conferenza. Tutti gli uomini mi guardavano, taluni a bocca aperta. Atticus aveva
smesso di incitare Jem ad andarsene; stavano tutti e tre vicini: lui, Jem e Dill, così
attenti da parere ipnotizzati. Persino la bocca di Atticus era semiaperta: e pensare che
una volta egli lo aveva definito un brutto vezzo. Quando i nostri sguardi
s’incrociarono, la chiuse.
– Eh, Atticus?... Dicevo al signor Cunningham che gli affari sono sì un guaio, ma tu
gli hai detto di non preoccuparsi perché a volte ci vuol molto tempo... e avreste
superato il momento brutto tutti assieme... – La mia eloquenza si andava esaurendo
lentamente mentre mi chiedevo quale idiozia avevo commessa: gli affari erano
argomenti adatti per un salotto.
Cominciai a sentirmi il sudore scorrere sulla fronte, tutto potevo sopportare, ma non
un gruppo di persone che mi fissava. Erano tutti così immobili...
– Ma che cosa succede? – chiesi.
Atticus non disse nulla. Diedi un’occhiata in giro, alzai la testa per guardar bene in
viso il signor Cunningham, ma aveva anche lui un volto impassibile. D’un tratto fece
una cosa che non mi aspettavo: si abbassò e mi prese per le spalle.
– Gli dirò che lei lo manda a salutare, signorina Finch, – disse.
Poi si raddrizzò e agitò una larga zampa. – Andiamocene, – disse. – Su, andiamo,
ragazzi...
Come erano venuti, a uno e a due, gli uomini, trascinando i piedi, risalirono sulle
automobili sconquassate. Gli sportelli sbatterono, i motori rombarono e un attimo
dopo eran tutti scomparsi.
Mi volsi verso Atticus, ma era tornato alla porta della prigione, e stava con la faccia
appoggiata al muro. Mi avvicinai e lo tirai per la manica. – Possiamo andare a casa,
adesso? – Egli fece segno di sì, tirò fuori il fazzoletto, se lo passò sul viso e si soffiò
il naso con violenza.
– Signor Finch?...
Una voce morbida, un po’ rauca, giunse dall’alto, nell’oscurità. – Sono andati via?
Atticus fece due passi indietro, guardando in su. – Sono andati via, – disse. – Cerca di
dormire, Tom: non ti disturberanno più.
da (RIMANE??) Harper Lee, Il buio oltre la siepe, Feltrinelli
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