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Luoghi e spazi comunicativi reali e digitali: dall`indistinto mondano

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Luoghi e spazi comunicativi reali e digitali: dall`indistinto mondano
Luoghi e spazi comunicativi reali e digitali:
dall’indistinto mondano alla specificità umana.
Premessa
Perché istituire questo Cenacolo? In primis per verificarci come uomini e donne che camminano insieme
alla sequela di Gesù e che si sforzano di essere segno nella Chiesa attraverso la chiamata Associativa. Poi
per fare una riflessione seria sui nostri stili comunicativi alla luce dell’Evangelo, e per interrogarci
sull’uso o abuso dei luoghi reali e digitali che abitiamo. Infine per fare pensiero eraccogliere la sfida di
manifestare, sempre e comunque , la “differenza cristiana”.
“Non basta evangelizzare l’intelligenza del singolo con belle catechesi e non basta neanche evangelizzare
il cuore, la volontà e le opere del singolo con la pratica delle virtù evangeliche: è necessario creare
ambienti sociali regolati dalla vita di tutti i giorni da costumi da tutti condivisi,rettamente ispirati alla
saggezza umana e cristiana”.(M. Lapponi)
IL primo luogo da trattare siamo noi...noi con la nostra interiorità, con il nostro cammino di fede. Noi
come Tabernacolo, custodi dell’unica Bellezza capace di trasfigurarci e di orientare le nostre azioni,
parole e comportamenti. Il primo lavoro da compiere, ora e sempre, è su noi stessi, sulla nostra
unificazione interiore, sul vivere un ordinario di qualità, centrato sull’ ascolto della Parola, sulla
condivisione dell’essere, sull’Annuncio della buona notizia.
E. Bianchi nell’articolo dal titolo Soprassalto al Vangelo scrive:“ Per custodire la «differenza cristiana» il
compito di oggi è lo stesso di sempre: essere testimoni credibili della Buona notizia. Si tratta perciò di
chiederci se la nostra vita di credenti è ancora capace di eloquenza, di manifestare la «differenza cristiana»,
quel «tra di voi non è così» che Gesù ha lasciato come monito rispetto al modo di comportarsi nei
confronti degli altri e nella gestione del bene comune”.
Si tratta di passare dal fare la propria volontà a realizzare la volontà di Dio. Come? Tenendo a cuore
l’essenzialità del Vangelo, facendo delle Rinunce.
Riscoprire il significato della rinuncia comporta un discernimento su azioni e comportamenti che da
tempo ci rifiutiamo di esercitare, avendo abdicato a ogni analisi critica verso tutto quanto la mentalità
corrente ci presenta come stile di vita “normale”. Così non sappiamo più distinguere e, di conseguenza,
nemmeno scegliere tra necessario e superfluo, bisogni e desideri, sogni e utopie, bene comune e interesse
personale. Rinuncia è adesione consapevole all’alternativa tra obbedienza a Dio e asservimento agli idoli,
è accettazione della propria identità come realtà plasmata dalla grazia.
Se il luogo della vita interiore sarà abitato da Cristo, allora ogni altro luogo sarà vissuto con coerenza
cristiana. Se saremo capaci di essere chi dobbiamo essere con audacia ed autenticità, allora porteremo il
profumo del Vg in tutte le realtà in cui siamo chiamati a dare testimonianza di una vita altra.
Luogo virtuale: comunicazione digitale e fede.
Leggere e interpretare con coraggio e fiducia i segni dei tempi.
I fedeli dunque vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare
perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, quali si esprimono mediante la cultura. Sappiano
armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la
morale e il pensiero cristiano, affinché il senso religioso e la rettitudine morale procedano in essi di pari
passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica; potranno così giudicare e
interpretare tutte le cose con senso autenticamente cristiano.
Così si esprimeva la Gaudium et spes al n. 62.
Cosa significa raccogliere oggi questa esortazione?
Come interpretare in senso cristiano ciò che sta accadendo intorno a noi?
Intanto cercando, con onestà e curiosità, di «leggere i segni dei tempi» (n. 44), di comprendere la novità
del mondo che ci sta intorno. Il primo passo è sempre l’avvicinamento, l’ascolto, l’interesse.
La Chiesa non può essere loquens se prima non è audiens, cioè capace di ascoltare, scriveva Karl Barth.
Ascoltare la Parola, ma anche il mondo. Nella serena consapevolezza che, come scriveva Teilhard de
Chardin, «niente è profano quaggiù per chi sa vedere».
E l’osservazione attenta ci dice che il mondo continua a cambiare. Non è più solo «locale», come quello
che hanno conosciuto i nostri avi. Ormai abbiamo imparato, non senza fatiche e costi, a vivere in un
mondo globale. E non possiamo non riconoscere che c’è una «cattiva globalizzazione», come l’ha
chiamata papa Francesco: una radicalizzazione delle disuguaglianze, una globalizzazione dell’indifferenza,
una produzione di «umanità di scarto» (come la chiama Bauman). Ma c’è anche una globalizzazione
positiva perché un locale ,che non sia chiuso in se stesso, può «essere lievito, arricchire, mettere in modo
meccanismi di solidarietà» .Lo stesso vale ormai anche per il «digitale», che oggi segna in maniera così
pervasiva la nostra epoca.
Così come il globale non ha cancellato il locale, ma lo ha ridefinito, mutandone gli equilibri e il significato,
non ha senso oggi pensare che la dimensione materiale stia svanendo sotto gli attacchidel digitale: è
però importante interpretare la direzione del cambiamento, cogliere i modi nuovi in cui materiale e
digitale si intrecciano a formare il tessuto della nostra esperienza e delle nostre relazioni.
1. Vivere nel mondo «misto»
Siamo sempre un po’ spaventati dal nuovo e dal diverso, di fronte ai quali ci prende una sorta di «ansia
dasostituzione», che diventa timore della cancellazione: il digitale si sostituisce alla realtà e alla fine il
virtuale trionferà sul reale...
Tutte queste, però, sono «narrazioni pigre» (così li definisce Chiara Giaccardi, docente di antropologia
dei media, nel saggio dal titolo: Tecnica e fede”) che rifiutano un autentico confronto con la realtà, e così
finiscono per alimentare chiusure difensive che ben poco hanno a che fare col messaggio evangelico di
una «Chiesa in uscita» quale quella che sta promuovendo papa Francesco. Il primo compito che ci aspetta
dunque, per poter comunicare ed evangelizzare nell’era del web 2.0 (il termine Web 2.0 viene introdotto
nel 2004 da O’Reilly Media, un grande editore americano, come titolo per una serie di conferenze aventi
per oggetto una nuova generazione di servizi Internet che enfatizzano la collaborazione online e la
condivisione tra utenti), è sgombrare il campo dai pregiudizi e dalle precomprensioni che fanno da velo
alla realtà, allontanandoci dal capire quello che sta accadendo. Perché ormai anche i «nuovi media» non
sono più nuovi: internet ha compiuto 25 anni! Inoltre essinonsonopiù - se lo sono mai stati - semplici
«strumenti» che usiamo all’occorrenza per riporli quando non ci servono, come faremmo con un martello
o con delle forbici. I media sono, piuttosto, un «ambiente», e un ambiente sempre «attivo».
Quali sono le caratteristiche di questo ambiente oggi?
Sono la convergenza laiper-medialità, l’immersione, l’intensità.
L’era della convergenza mediale è quella in cui i confini dei media tra loro, ma anche tra i media perennemente attivi - e l’ambiente fisico, tendono a sfumare sempre più: per questo si parla di iper o postmedialità (pensiamo a quante azioni, che prima richiedevano media separati, si possono realizzare oggi
con uno smartphone). L’esperienza è sempre più mediatizzata, e anche sempre più «immersiva», dato
che siamo continuamente sottoposti, anche nostro malgrado, a un continuo, incessante, diffuso «bagno» di
stimoli sensoriali: musica nei centri commerciali, schermi nelle stazioni e nei centri metropolitani,
smartphone connessi 24 ore su 24 sui quali riceviamo news, mail, notifiche, messaggi pubblicitari;
computer sui quali ascoltiamo la radio o guardiamo i nostri programmi tv preferiti o i film e così via. I
media non solo estendono «qualitativamente» i nostri sensi, consentendoci esperienze prima impossibili ,
ma intensificano quantitativamente la nostra sensibilità, la amplificano, rendendoci assuefatti all’intensità.
Intensità che, a sua volta, diventa criterio di «verità».Oggi non è più vero ciò che ci appare, che
vediamo...oggi è vero ciò che ci tocca, come ha scritto il filosofo Jean Lue Nancy; ciò che genera in noi
una sensazione o un’emozione forte. Che la nostra cultura sia sempre più «tattile» è evidente dal modo
stesso in cui cambiano i dispositivi. Parafrasando Cartesio, oggi potremmo dire: «Digito, ergo sum». Il
touch screen fa passare attraverso le dita ciò che prima passava dalla mente e dall’occhio. Le mani non
sono più principalmente lo strumento dell ’homo faber che costruisce oggetti nel mondo, ma dei veri
«sensori» per esplorare il mondo. Oggi per conoscere (noi stessi, il mondo, gli altri) dobbiamo toccare. E
questo è un bisogno che emerge prepotentemente anche per gli eccessi di intellettualismo che hanno
caratterizzato la cultura e l’educazione delle generazioni precedenti: a chi non è stato detto, da bambino,
che «guardare e non toccare è una cosa da imparare»? Il rischio, però, è ora cadere nell’eccesso opposto:
nella sensazione che non si fa conoscenza, nell’immersione che produce intensità ma non esperienza
(per la quale è importante, invece, anche il momento della «emersione», della rielaborazione dei vissuti
per potercene veramente appropriare). Oggi non siamo più invitati a «osservare» il mondo, ma a
immergerci e a «ingoiarlo»: è questa la pedagogia implicita della cultura contemporanea, della quale i
media sono insieme amplificatori e ambiente. Siamo continuamente invitati all’intemperanza, all’eccesso,
al rifiuto del limite. E questi messaggi, per usare un’efficace espressione di McLuhan, sono anche
«massaggi», che ottundono e narcotizzano la nostra capacità critica.
Un’altra caratteristica dell’ambiente digitale è la riduzione delle distanze, insieme alla reciprocità che
rompe la monodirezionalità comunicativa dei media tradizionali. La rete è un luogo in cui esserci significa
«essere-con», e dove la presenza piena richiede la partecipazione e la condivisione: emblematica è la foto,
che ha fatto il giro del mondo, di Piazza San Pietro illuminata dagli schermi di smartphone e tablet
nell’occasione dell’elezione di papa Francesco: i dispositivi non servivano tanto per documentare («io
c’ero»), ma per condividere con altri, che non potevano essere presenti, l’unicità di quel momento. La
condivisione diventa un modo fondamentale della presenza, un requisito della sua ricchezza. Esserci
oggi significa condividere. E questa, se resta incontaminata dagli eccessi di narcisistico individualismo,
potrebbe non essere una forma «impoverita» di presenza. Al contrario, potrebbe essere una forma
«aumentata»: dalla relazione e, nel nostro caso, dalla fede. Questa consapevolezza ci aiuta a vincere alcuni
pregiudizi.
2.1 pregiudizi dell’era digitale: le «tre D»
Sono soprattutto tre i pregiudizi che alimentano quelle narrazioni pigre che ci impediscono di cogliere i
segni dei tempi e vedere il nuovo ambiente mediale come un ambito di relazione ed evangelizzazione: il
dualismo digitale, il determinismo tecnologico, il divario generazionale.
1) Il dualismo digitale consiste nel pensare che la realtà autentica sia solo quella materiale, e che il
«virtuale» sia di per sé una forma di realtà impoverita, inautentica, che sottrae tempo ed energie alla realtà
«vera»: un luogo di doppiezza, che ci estranea dalla vita reale, che favorisce la costruzione di identità
fittizie e di relazioni superficiali e strumentali; una trappola che ci risucchia in forme di dipendenza
alienante. Questa impostazione, costruita attorno a una frattura e a una contrapposizione forzata,
costituisce il maggiore ostacolo alla comprensione del significato che la rete ha per i giovani oggi. Per loro,
infatti, si tratta di una dimensione fondamentale per il mantenimento delle proprie relazioni e per
l’allargamento delle proprie cerchie relazionali; di un’estensione smaterializzata, ma nondimeno reale, dei
territori quotidiani di esperienza e relazione. Su questi territori si entra col proprio nome, perché si vuole
rintracciare ed essere rintracciabili, e la maggior parte delle interazioni riguardano persone con cui si ha a
che fare anche offline. Non stupisce dunque la recente esplosione di popolarità delle appdi messaggeria
mobile, dove si usa la rete per scambiare gratuitamente parole e immagini con le proprie cerchie di amici,
i familiari, i compagni di scuola, i colleghi di lavoro: da WhatsApp a messanger a istagram, solo per citare
le più diffuse. Il social messaging testimonia una continuità, non una contrapposizione tra i territori delle
nostre relazioni: siamo noi che diamo unità ai mondi materiali e digitali in cui transitiamo continuamente.
La lettura dualista è spesso il prodotto del senso di estraneità da parte degli «immigrati digitali»: faticando
a familiarizzare coi nuovi ambienti, si preferisce liquidarli come luoghi di inautenticità e alienazione,
anziché fare la fatica di avvicinarsi per comprenderli. Ma l’equazione tra reale e autentico da una parte e
virtuale e inautentico dall’altra rischia di promuovere una lettura ideologica del mondo sociale. Basta
rileggere Pirandello per riconoscere che ben prima degli avatar e dei profili in rete, l’essere umano ha
iniziato a recitare una parte, a indossare una maschera, a costruirsi un personaggio sui vari palcoscenici
della vita sociale. Possiamo essere inautentici nella relazione faccia a faccia e pienamente autentici in
quella in rete. Peraltro, l’etichetta «virtuale» (in quanto contrapposto a «reale») è ormai contestata dagli
studiosi, che preferiscono il termine, meno connotato, di «digitale» (che ha una sua realtà, benché diversa
da quella materiale). Se siamo persone unificate e non scisse saremo autentici sempre! Noi siamo, o
dovremmo essere,gli stessi online e offline, così come siamo gli stessi sul lavoro, in famiglia, con gli
amici. E se non lo siamo non è colpa degli ambienti, ma nostra.
In realtà le nostre relazioni sono a rischio superficialità e povertà in ogni ambiente, e non certo per
colpa della tecnologia, bensì di una «pedagogia dell’individualismo» che ha preceduto di gran lunga
l’avvento del web.
Oggi i nostri ambienti sono sempre più «misti» e i confini tra i media e l’ambiente sempre più sfumati al
punto che negli Orientamenti pastorali della CEI per il decennio si auspica una convergenza tra mondo
reale e digitale defininedo quest’ultimo come«nuovo contesto esistenziale» . D’altra parte, nel messaggio
per la 47a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Benedetto XVI delegittima definitivamente
l’ipotesi del dualismo quando afferma: «L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente
virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani. È parte del
tessuto stesso della società».
2) l secondo pregiudizio è quello del determinismo tecnologico, secondo il quale la tecnologia avrebbe
effetti potenti e sarebbe la causa principale di una serie di trasformazioni, in primis porterebbe
all’indebolimento delle relazioni: ma la tecnologia non ci rende né stupidi né socievoli, non produce
rivoluzioni, non indebolisce le nostre relazioni. La tecnologia non «fa»: siamo noi che facciamo, in un
ambiente sempre più ipertecnologico. Che certo non è neutro ma, come ogni ambiente, presenta rischi,
opportunità e nuove sfide con le quali ci dobbiamo misurare. Ogni nuovo medium ci rende più facili
alcune cose e ce ne rende più difficili altre; in un certo senso «abilita», in un altro «disabilita», come
scriveva McLuhan: gli effetti non sono mai netti, ma sempre ambivalenti e complessi. E soprattutto non
sono un destino indipendente dal nostro modo di porci. Quindi, il tecnologico non produce
l’antropologico (come emerge anche con chiarezza nel messaggio di papa Francesco per la 48a Giornata
mondiale per le comunicazioni sociali), né in negativo né in positivo: tra la connessione (tecnica) e la
relazione (umana), ad esempio, c’è sempre il salto della nostra libertà, della responsabilità, dell’impegno a
far durare oltre che a dare inizio. Due dimensioni tipicamente umane - libertà e responsabilità - che la
tecnologia non può darci né toglierci.
3) E infine il divario generazionale. Pensare che la rete sia una «moda passeggera», o una cosa per i
giovani, o una dimensione in fondo irrilevante per la vita «vera» - come molti adulti tendono a fare - è un
errore grave: forse non saremo mai veloci come i nostri figli e nipoti, forse il nostro approccio al web sarà
sempre elementare e impacciato, ma abbiamo il dovere di cogliere almeno le logiche che stanno alla base
del nuovo ambiente, se vogliamo poter comunicare con le nuove generazioni e continuare a trasmettere
loro qualcosa. Non si può essere educatori, genitori, formatorioggi se non si fa lo sforzo di conoscere il
paesaggio «misto» in cui i giovani si muovono con tanta naturalezza. Con la consapevolezza che la
questione principale non è tecnica ma epistemologica: non si tratta di saper fare, ma di com-prendere
(prendere insieme), ad esempio, che oggi dare e ricevere, produrre e consumare, conoscere e condividere,
esserci e partecipare, apprendere e fare, insegnare e imparare non sono più opzioni alternative o
appannaggio di ruoli differenti, ma si ricongiungono grazie alla logica interattiva e partecipativa del web
(C.Giaccardi). Il primo assaggio di conoscenze avviene dentro la relazione, che ne è condizione sempre
più necessaria. Anche l’educare in contesti faccia a faccia, perciò, oggi non può prescindere da questa
consapevolezza. Perché il web non è uno strumento. La rete è oggi unaforma mentis. Il divario digitale
non è dunque un dislivello a cui arrendersi, ma una sfida da cogliere per costruire nuove alleanze
intergenerazionali, dove ciascuno ha qualcosa da dare e da ricevere.
3. Come vivere da Cristiani il “luogo” digitale?
Intanto chiarendo che il web è un amplificatore e un moltiplicatore, non un creatore di
comportamenti; questo vale sia per il negativo che per il positivo, dunque vanno abbandonati sia il tecnopessimismo che il tecno-entusiasmo. Il primo aspetto va sottolineato con forza: molte delle tendenze che
osserviamo in rete sono in realtà il portato, più visibile perché amplificato, della cultura e della visione del
mondo che abbiamo coltivato fin qui, da ben prima che si diffondessero i social media. L’individualismo,
la competizione, l’ossessione per la propria immagine, l’enfasi sulla performance, il bisogno di vedere ed
essere visti - solo per citare alcuni degli aspetti più macroscopici - erano già ben presenti, solo per
menzionare il passato più recente, nell’era televisiva dei reality show.
Più ci appoggiamo sui luoghi comuni, più inseguiamo le mode, più interpretiamo i nuovi ambienti con le
chiavi di lettura che circolano al loro interno, più saremo vittime anziché protagonisti. Non dimentichiamo
mai che il punto di partenza deve essere per noi l sempre a relazione e lo scambio. Come cristiani
dobbiamo abitare FB creando un «controambiente» (come lo chiamerebbe McLuhan) che ci consenta di
disimmergerci dall’immediatezza mondana e vedere la realtà dal punto di vista più ampio della fede. Non
dobbiamo adattarci a quello che ci circonda, maportare in quel luogo una consapevolezza identitaria che
ci aiuti a essere liberi e responsabili. Spostare il baricentro del nostro rapporto con l’ambiente
sull’antropologico anziché sul tecnologico, è una fondamentale premessa di libertà e un antidoto a un
adattamento puramente passivo. È come per l’abitare: da un lato dobbiamo conoscere il terreno e in un
certo senso adattarci alle sue caratteristiche. Non si può «coltivare» senza anche «custodire» (Gen 2,15).
Dall’altro, però, a differenza degli animali che semplicemente si costruiscono delle tane, l’essere umano
«abita»: mentre si adatta all’ambiente, lo plasma secondo i significati che eredita dalla tradizione e
condivide con la comunità, imprimendo bellezza e senso. La sfida, oggi, è esplorare per imparare ad
abitare il nuovo ambiente, anziché semplicemente adattarsi o ritagliarsi una nicchia, una «tana» protetta
indistinta, dove tutto è possibile e concesso.
La rete domanda di essere “abitata” non “idolatrata”. Il mondodigitale va vissuto con competenza, con
apertura di spirito e con la nostra specificità di cristiani, che passa attraverso uno stile che si ispira al
Vangelo e rinuncia alla forza del volume, all’aggressività dei messaggi, al bombardamento delle
immagini. Spesso anche in “gruppi” comunitari, nati con le più nobiliintenzioni, può capitare di scadere
in comunicazioni banali e mediocri o di passare , con estrema rapidità , da discorsi elevati a contenuti che
rasentano il cattivo gusto, inconsapevoli del fatto che la “forma” ha il potere di aggiungere o togliere
molto alla “sostanza” stessa della comunicazione.
Dobbiamo darci delle regole alla luce del vangelo, dobbiamo educarci a vivere con responsabilità e
coerenza lo spazio digitale:
« Oggi tutti hanno bisogno di alcune forme di costante educazione ai media, ma. più che insegnare
tecniche, l'educazione dei mezzi di comunicazione sociale, deve contribuire a suscitare nelle persone il
buon gusto e il veritiero giudizio morale. Si tratta di un aspetto di formazione della coscienza.
(Doc.Pontificio Consiglio, 2002 La chiesa e Internet).
Messaggio del Santo Padre Benedetto XVIper la XLVII giornata mondiale delle comunicazioni sociali
Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione."
[Domenica, 12 maggio 2013]
Lo sviluppo delle reti sociali digitali sta contribuendo a far emergere una nuova «agorà», una piazza
pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove, inoltre, possono
prendere vita nuove relazioni e forme di comunità.
La cultura dei social network e i cambiamenti nelle forme e negli stili della comunicazione, pongono sfide
impegnative a coloro che vogliono parlare di verità e di valori. Spesso, come avviene anche per altri
mezzi di comunicazione sociale, il significato e l’efficacia delle differenti forme di espressione sembrano
determinati più dalla loro popolarità che dalla loro intrinseca importanza e validità. La popolarità è poi
frequentemente connessa alla celebrità o a strategie persuasive piuttosto che alla logica
dell’argomentazione. A volte, la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle
eccessive informazioni, e non riesce a destare l’attenzione, che invece viene riservata a quanti si
esprimono in maniera più suadente. I social media hanno bisogno, quindi, dell’impegno di tutti coloro che
sono consapevoli del valore del dialogo, del dibattito ragionato, dell’argomentazione logica; di persone
che cercano di coltivare forme di discorso e di espressione che fanno appello alle più nobili aspirazioni di
chi è coinvolto nel processo comunicativo. Dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si
conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre. “Costatata la diversità
culturale, bisogna fa sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino
anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello” L’autenticità
dei credenti nei network sociali è messa in evidenza dalla condivisione della sorgente profonda della
loro speranza e della loro gioia: la fede nel Dio ricco di misericordia e di amore rivelato in Cristo Gesù.
Tale condivisione consiste non soltanto nell’esplicita espressione di fede, ma anche nella testimonianza,
cioè nel modo in cui si comunicano “scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il
Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita”
Nell’ambiente digitale, dove è facile che si levino voci dai toni troppo accesi e conflittuali, e dove a volte
il sensazionalismo rischia di prevalere, siamo chiamati a un attento discernimento. E ricordiamo, a
questo proposito, che Elia riconobbe la voce di Dio non nel vento impetu impetuoso e gagliardo, né nel
terremoto o nel fuoco, ma nel «sussurro di una brezza leggera» (1 Re 19,11-12).)
Vedete, la buona comunicazione non dipende dai luoghi , ma dalla percezione reale che abbiamo
dell’altro; non può esserci comunicazione senza apertura all’alterità , ma solo monologhi o chiacchiere
inutili! Ci viene allora in aiuto la metafora della porta usata da Benedetto XVI nel messaggio per la 47a
Giornata mondiale che abbiamo appena letto, cui corrisponde l’esortazione di papa Francesco nella
Lumenfidei («La fede vede nella misura in cui cammina») e nella Evangeliigaudium («Una Chiesa in
uscita», nn. 20-24). Il web non è la casa, ma una porta: il suo valore non è in ciò che contiene, ma in
ciò che mette in collegamento. E una soglia tra mondi, un’interfaccia. E in quanto soglia che
attraversiamo continuamente, dice di una continuità nella diversità che unifichiamo col nostro passaggio.
La porta collega ambiti diversi, e dunque apre sull’alterità: degli altri, di Altro.Il web è una porta verso la
verità e uno spazio (non uno strumento!) di evangelizzazione. Il tratto qualificante della nuova
evangelizzazione non è la capacità di padroneggiare con competenza le tecnologie più recenti: non si
gioca sui nuovi strumenti da possedere, ma sui nuovi territori da attraversare per incontrare..
Possiamo vivere tutti i luoghi divenendo porte aperte di verità e fede, non snaturando chi siamo entrando,
passando e uscendo.Oggi tutti abbiamo che fare con la rete, ma possiamo esserci dentro come “pesci” o
utilizzarla come “pescatori”; non dimentichiamoci che il Maestro, chiamando i suoi discepoli, disse loro:
“venite vi farà pescatori di uomini!”(P.Giuseppe Turati)
Luoghi e non luoghi
Prendiamo ancora in prestito la metafora della porta per definire lo spazio del culto.
La porta, come ricorda il teologo/scrittore Romano Guardini a proposito dei portali delle nostre chiese,
non è solo un elemento architettonico, e non ha neppure solo una funzione simbolica, ma sollecita la
vigilanza, la consapevolezza, la riflessività: mentre la attraversiamo (in silenzio, cambiando atteggiamento,
abbigliamento, postura), siamo incoraggiati a riflettere sulla ricchezza e non equivalenza delle dimensioni
della nostra vita.La soglia è un «attivatore di riflessività», che ci sostiene nella vigilanza operosa e nel
discernimento, sempre più necessario in epoca di sovrabbondanza di parole,di gesti. La porta, che è anche
un «vuoto» nel «pieno» delle nostre mura, ci segnala altresì che la consapevolezza di una mancanza è ciò
che ci mette in movimento, che ci spinge a entrare, che alimenta il desiderio di un incontro, di una
comunicazione autentica, che lasci spazio ad altri e ad Altro. Quando si varca la soglia di un luogo di culto
bisogna percepire che stiamo entrando in uno spazio altro, connotato, definito, distinto. Ogni luogo abitato
dall’uomo ha dei confini, atti a custodire il luogo stesso e ha delle regole, degli usi che ne connotano la
specificità, il fine, l’identità. Oggi sembra, però, prevalere l’indistinto su tutti i piani.
Oggi ogni luogo sacro o profano, ogni spazio comunicativo reale o virtuale, ogni ambiente familiare o
estraneo, diventa,nel mondo attuale, sempre più uno sfocato confine, un indefinito contorno...una sorta di
pura cornice in cui l’agire dell’uomo si colloca con semplicistica omogeneità. È come se le esperienze
messe in campo siano il frutto di un fluire magmatico e Indistinto di interazioni con l’habitat che ci
circonda. Cambia poco se ci si trova in un’aula, in una chiesa, in un luogo aperto o a casa nostra; i
comportamenti,tutto sommato, subiranno solo delle lievivariazioni, quasi come se si stesse smarrendo uno
“stile comunicativo” e una “identità dei luoghi”.
Il filosofo Marc Augéin evidenzia che in un panoramaglobalizzato dominano i nonluoghi che si
definiscono in base al loro fine di “trasporto, transito,commercio,tempo libero”.Sono luoghi effimeri e
fluttuanti,di passaggio;spazi dicircolazione, di consumo. Il non-luogo sidefinisce per contrasto rispetto al
“luogo antropologico”, “in cui sonoinscritti il legame sociale e la storia collettiva”. Il luogo è
“identitario,relazionale e storico”, si fonda sull’interazione reciprocatra gli uomini.
Il luogo èSPAZIO+IDENTITA‟ mentre il non-luogo è unoSPAZIO senza IDENTITA‟ e appartenenza. E’
uno spazio che si riempie, ma non si abita davvero, dove prevale il soddisfacimento personale, senza
pensare al bene altrui.I fruitori dei non-luoghi sono caratterizzati da un Io multiplo, in cuiconvergono
bisogni, attese, desideri espansi, proiezioni personali.
Domandiamoci: quante volte abbiamo vissuto il luogo ecclesiale come non luogo ?
Quante volte abbiamo riempito uno spazio senza abitarlo?
Quante volte stiamo negli spazi secondo i nostri criteri e bisogni?
(fare esempi concreti di atteggiamenti assunti durante la messa; esempi della cattiva gestione dei figli...)
NellaREDEMPTIONIS SACRAMENTUM(2004 n.7
)si legge:“L’osservanza delle norme emanate
dall’autorità della Chiesa esige conformità di pensiero e parola, degli atti esterni e della disposizione
d’animo.
[ N. 7] Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in
Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per
mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto… Da ciò la necessità che tutti si conformino
agli ordinamenti stabiliti dalla legittima autorità ecclesiastica."
Scrive Sant’Agostino: “Cristiani, se voi stessi siete il corpo di Cristo allora sulla mensa eucaristica
dell'altare si trova il vostro stesso mistero. Voi dovete essere ciò che vedete sull'altare e dovete ricevere
dall'altare ciò che siete chiamati a essere», nella consapevolezza che “L a casa del Cristiano deve essere
l’albergo di Cristo “( S.Giovanni Crisostomo)
Vedete l’obbedienza a Dio e alla sua Chiesa passa anche attraverso il rispetto dei luoghi, il modo in cui
comunichiamo, l’accoglienza dell’alterità... Bisogna discernere non solo per le scelte “grandi”, ma in ogni
tempo e luogo dell’ agire, senza faciloneria, ingenuità o visioni semplicistiche, anche quando il prezzo da
pagare implica la rinuncia, il sacrificio, la mansuetudine...Costi quel che costi !
Che bello sarebbe un giorno giungere a poter dire che il Vg ha regolato la nostra storia; ha messo ordine
nel disordine delle nostre vite; ha scandito i tempi delle nostre giornate; ha dato qualità alle nostre parole,
ha reso i luoghi distinti... Che bello poter fare nostre ,un giorno, le parole di S.Cipriano:
”Non parliamo di cose grandi: le viviamo”
FONTI
1) Giovanni Paolo II : discorso sulla Giornata Mondiale della Comunicazione 2002; Lettera Enciclica
LaboremExercens, n. 25; cfr Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, Gaudium et spes, n. 34.
2) Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLVII giornata mondiale delle Comunicazioni sociali
Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione."[Domenica, 12 maggio 2013]
3)Benedetto XVI nella Verbum Domini
4) Gaudium et spes al n. 62.;Communio et progressio, n. 128.
5) Documenti del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali del 2002: La Chiesa e Internet e Etica
in Internet
6) Papa Francesco: Lumen fidei(«La fede vede nella misura in cui cammina») e nella Evangeliigaudium
(«Una Chiesa in uscita», nn. 20-24).
7) Saggio dal titolo Tecnica e fede: comunicare ai tempi del web 2.0 (Dal n. 34 di marzo 2015 della
rivista trimestrale dell’Aiart La Parabola).di Chiara Giaccardi ( docente di Sociologia e antropologia dei
media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
8) Comunità virtuale e comunità virtuosa, di P. Guseppe Turati (Pavia, 28 marzo 2009).
9) RedemptionisSacramentum (2004)
10) E.Bianchi:”Soprassalto al Vangelo”
11)Passi Biblici: Gn 11,4-7/ 1 Re 19,11-12 / 2 Tim 1, 7 / Mt 6, 13 / Mt 23, 31-46 / Rom 12 /Ef 2,14
Ef 4, 15-19/ Ef 4, 26-27 / Ef 4, 29- 31 / Efesini 4, 31-32.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Verifichiamoci sui luoghi:
1) Curiamo il nostro luogo interiore attraverso un cammino di qualità? Ci sentiamo portatori della Buona
notizia nel mondo? La nostra vita è unificata o coesistono in noi un io ideale sganciato da un io reale?
Siamo capaci di fare discernimento in scelte situate nel vivere quotidiano? Testimoniamo la differenza
Cristiana?
2)Come abitiamo lo spazio dell’altro? Come comunichiamo? Come ci poniamo nella relazione? Siamo per
l’altro luogo di confronto e di verifica? Sappiamo custodire e lasciarci custodire? Accogliamo la
correzione fraterna e abbiamo il coraggio di farla? Sento che il fratello mi appartiene?
3) Come viviamo gli spazi digitali e reali? Sono per me luoghi o non – luoghi? Vi porto uno stile altro?
Abito il web da Cristiano o lo uso come tana, comodo rifugio per comunicare senza assumermi tante
responsabilità? Conosco l’Etica di Internet regolamentata dalla Chiesa?
Come vivo i luoghi di culto? Riconosco la parrocchia, il monastero come luoghi che mi narrano una
storia? Sono per me luoghi identitari? Li uso o li abito?
Verifichiamoci sul Cenacolo:
Come ho vissuto questo Cenacolo? E’ stato un luogo di crescita, confronto, verifica? L’ho abitato? Sento
di aver condiviso? Ho sperimentato una dimensione fraterna? Qual è stato il “frutto”? Quali gli spunti su
cui lavorare? Quali gli ambiti in cui sento di apportare cambiamenti, miglioramenti?
Cerchiamo di preparare una Redditio, scritta o no, da restituire ai nostri fratelli nel prossimo incontro ...
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