Uscito dal buco dell`ombra, stufo di interpretare il ruolo di topo di
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Uscito dal buco dell`ombra, stufo di interpretare il ruolo di topo di
ALL’INTERNO SPECIALE STORIE&IMPRESE SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI Anno X - numero 7/8 - ottobre/novembre 2015 distribuzione gratuita Antonio Bassolino 68 anni, rattopardo il rattopardo Uscito dal buco dell’ombra, stufo di interpretare il ruolo di topo di biblioteca, twitta e sogna il ritorno a Palazzo San Giacomo. Qualcuno svegli il roditore www.chiaiamagazine.it IUPPITER EDIZIONI OBLÒ Confronto tra popoli Caro Direttore, dopo l’ennesima figuraccia fatta da Roma (e dall’Italia) per il funerale Casamonica è d’obbligo parlare dell’argomento. Basta valicare le Alpi per accorgersi della differenza. Il “Service de la sécuritè et de l’espace publics” della polizia municipale di Ginevra in Boulevard Helvetique non ha bisogno di ordini dall’alto: segue il regolamento del vivere civile. E il Servizio Pubblico “des pompes funèbres, cimetières et crèmatoire de la Ville de Genève” fa tutto, fra bellissimi giardini fioriti, nel segno del decoro, semplicità, intimità e silenzio, così come dovrebbe essere un funerale: uguale per tutti (a’ Livella docet), ma senza negare a nessuno un mazzo di fiori in più. E qui a Napoli? Avevamo un servizio funebre comunale puntuale, preciso, economico, discreto, che nulla aveva da invidiare al più costoso privato. Mi chiedo perché, vista la completa inefficienza di quasi tutti i servizi municipali, doveva essere soppresso proprio quello che meglio funzionava. In questo modo, oltre a fare un dispetto alle famiglie più povere che devono chiedere prestiti perfino per un funerale, si favorisce il racket del caro estinto per mano dei privati. A Napoli si muore schiacciati da alberi che cadono a via Aniello Falcone, da lampioni a via Caracciolo, da cornicioni che si staccano dalla Galleria Umberto; si cade nelle buche del tunnel Vittoria; i clochard muoiono in cerca di assistenza sotto le finestre di palazzo San Giacomo. E il Comune, se (e sottolineo se) responsabile della morte di questi cittadini, non avrebbe potuto, per coerenza, conservare il servizio funebre? E non parliamo, per decenza, del cimitero di Poggioreale, totalmente in mano alla camorra dove, per dirne qualcuna, le cappelle si rubano e si rivendono, e dove a 25 anni dalla legge che lo prevede non è stato avviato il servizio crematorio pubblico. E di decoroso, in questo, non c’è nulla. LA FOLLE GIORNATA A VIA CHIATAMONE Gentile Direttore, credo di non essere il solo a denunciare la follia dei giorni scorsi, quando, per una scelta politica e amministrativa si è deciso, nonostante la Galleria Vittoria fosse chiusa per urgente manutenzione, di non aprire il tratto del Lungomare Caracciolo e convogliare così tutto il traffico a piazza Vittoria e a via Chiatamone. Sono stato in auto, per un brevissimo tratto di strada per più di un’ora, e vi assicuro Le sacrosante picconate contro CACASENNO Da qualche anno a questa parte, utilizzando la sentenza che assolveva Bassolino per il disastro rifiuti - addebitato, udite! udite!, al convulso “contesto” del tempo non al Governatore del “contesto”- la casta nelle sue varie complici ramificazioni, non ha pensato ad altro che al “riciclo” politico del “leader” miracolato. Per un ennesimo “grand tour” a Palazzo San Giacomo. Detto fatto. Il passaparola, un balbettio iniziale è diventato un tormentone, che ha visto, tra i megafoni più impegnati, coloro che nel corso del trentennio bassoliniano (venti suoi, altri dieci della Iervolino da lui sponsorizzata) hanno fatto incetta di incarichi, prebende, enti e consulenze. Ma non sempre le ciambelle riescono con il buco. Mentre già lor signori pregustavano una nuova Bengodi, sono arrivati i guastafeste, né fascisti né cosentiniani, ma dei progressisti doc, insospettabili e inattaccabili. Un fuoco amico che ha preso il piccone di cossighiana memoria e ha demolito Bassolino, sbattendogli sul muso la vergogna del suo immobilismo, della sua governance «sprecona», e della sua scellerata gestione dell’emergenza rifiuti. Una vagonata di flop. In cifre: decine di migliaia di posti di lavoro sfumati e un territorio allo sbando. Finalmente contro la melassa servile della casta, prima Leonardo Impegno e poi le picconate del mite migliorista Umberto Ranieri hanno aperto quel “processo” politico, mai incardinato, su una storia amministrativa degna solo di oblio. Picconate sacrosante per un passato squalificante e, soprattutto, per il presente dell’ex governatore rottamato, che si impanca a quotidiano “cacasenno”, e si è detto terrorizzato per l’alluvione di Benevento. Dimenticandosi, poveretto, che sotto la sua presidenza il riassetto idrogeologico fu lettera morta. E s’è visto. Gentile redazione, sono un vostro affezionato lettore e spero che possiate pubblicare questo mio annuncio. Per esigenze familiari sto cercando una casa di massimo 70 mq (anche un attico) a Mondragone. La casa deve essere vicino al mare. Il mio numero di cellulare è 338.9556186. LUCIANO ABATERUSSO (2) L’editoriale L’illusione del rattopardo. pagina 3 Il paginone Cronaca di una tragedia annunciata: Sannio, il fiume uccide a ottobre. pagine 4-5 Primo piano Caos Linea 6 e dissesto idrogeologico: c’era una volta Chiaia. pagina 7 Focus Il Mezzogiorno? Si salva senza l’Italia. In uscita il nuovo saggio di Della Corte. pagina 9 Sollecitazioni Nel nome di Carlo Nazzaro: il premio intitolato al giornalista irpino. pagina 12 Quartierissime Posillipo, strade col manto sollevato ed emegenza alberi. pagina 15 Storie&Imprese Torneo Intersociale: Carrella Group, quando lo sport è favola. pagina 22 Saper Vivere Gaeta, i tre giorni dell’identità: confronto tra artisti e meridionalisti. pagina 27 Malatesta n u m q u a m MARIO FAIDO Cerco casa a Mondragone che è stata un’impresa mantenere la calma. Nessuno mette in dubbio l’importanza della passeggiata sul lungomare, ma in una città che non ha molte vie, né ponti e percorsi automobilistici alternativi, è da irresponsabili non provvedere a garantire un piano traffico più flessibile e ragionevole soprattutto quando bisogna affrontare delle emergenze. Il buon senso nei governanti dovrebbe prevalere su scelte pregiudiziali e talebane. (Giovanni Criscuolo) SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI Anno X n. 7/8 - ottobre/novembre 2015 Direttore responsabile Max De Francesco Caporedattore Laura Cocozza h o r u m l u x c e d e t Società editrice IUPPITER GROUP S.C.G. Sede legale e redazione: via dei Mille, 59 - 80121 Napoli Tel. 081.19361500 - Fax 081.2140666 www.iuppitergroup.it Presidente: Laura Cocozza Stampa Centro Offset Meridionale srl - Caserta Redazione Livia Iannotta Reg. Tribunale di Napoli n° 93 del 27 dicembre 2005 Iscrizione al Roc n°18263 © Copyright Iuppiter Group s.c.g. Tutti i diritti sono riservati Progetto e realizzazione grafica Fly&Fly Per comunicati e informazioni: [email protected] SOS CITY Responsabile area web Massimiliano Tomasetta Pubblicità (Tel. 081.19361500) Michele Tempesta (392.1803608) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 Si ringrazia Tony Baldini per la consulenza grafica e il fotomontaggio della cover. Lancia il tuo Sos, indica disservizi e problemi del tuo quartiere e proponi soluzioni per rendere più vivibile la città. Contiamo su di te. Le lettere, firmate con nome e cognome, vanno inviate a «Chiaia Magazine» - via dei mille, 59 80121 Napoli, oppure alla e-mail [email protected] L’EDITORIALE L’ILLUSIONE DEL RATTOPARDO Max De Francesco Continua a credersi il sale della terra Antonio Bassolino come i gattopardi, gli sciacalli e le pecore del romanzo di Tomasi di Lampedusa. Un autoconvincimento che si gonfia e prende vigore soprattutto per l’inconsistenza del Pd locale, che non ha neanche il gusto di navigare nella burrasca perché è nave ferma e in manutenzione, priva com’è di capitani coraggiosi, rotte decisive, spiriti giovani. Approfittando di timoni sguarniti e stive svuotate, non deve sorprendere se qualche vecchia gloria conquisti spazio meditando di risvegliare tra le immobili ciurme, per dirla alla de Saint Exupéry, «la nostalgia del mare lontano e sconfinato». Forte delle debolezze altrui, consapevole che le primarie rappresentano l’ultimo giro per rientrare nei giochi, Bassolino, uomo di stive e derive, è uscito dal buco dell’ombra per occupare uno spazio, posizionarsi nella griglia. L’ossessione delle primarie lo attanaglia notte e giorno. Non gli frega nulla che la sua operazione revival sia nemica del futuro, ancorata al trapassato e carica di illusioni: ciò che conta è che, come a Roma e a Milano, anche Napoli abbia le sue primarie, altrimenti, profezia è tratta, «il Pd rischia di non arrivare al ballottaggio». Primarie o non primarie, candidatura o non candidatura, Bassolino non si è accorto che ha già perso. Il motivo è semplice: non ha una più una storia da raccontare alla città. La politica è narrazione, la campagna elettorale è una sfida tra storie, storytelling contro storytelling. Vince e prevale la migliore narrazione in quel momento storico, la più condivisa ed emozionante per gli elettori. Mentre il Pd non si decide sulle primarie e nell’attesa che i pentastellati scelgano il loro narratore per Palazzo San Giacomo, de Magistris e Lettieri sono già in campo. Piaccia o non piaccia, entrambi hanno due storie da raccontare. Il primo, presentatosi come supereroe visionario, che «vorrà essere ricordato come il Che Guevara di Napoli», difenderà senza esclusione di colpi il suo operato, raccontando di come sia difficile governare quando hai il sistema contro e di come sia riuscito, nonostante tutto, a proteggere i beni comuni e a non piegare la testa davanti ai poteri forti, brandeggiando con orgoglio l’assoluzione Why Not. Il secondo, invece, potrà narrare oltre ai suoi cinque anni di opposizione contro il parolaio arancione, anche la sua storia di imprenditore scugnizzo, diventata narrazione vera e propria con un’autobiografia in cui accompagna il lettore nel suo percorso umano e lavorativo di selfmade man. Bassolino a che storiella può aggrapparsi? Quale narrazione può esibire e portare in giro per la città, dopo che per quasi vent’anni, prima come sindaco e poi come governatore, è stato l’uomo più lisciato e influente di tutti? È da stupidi e sprovveduti credere di poter campare ancora con la poesia del Bassolino del ‘93 e con il canovaccio del “rinascimento napoletano, quel breve periodo così enfaticamente battezzato dai cortigiani dell’epoca, in cui grandinate di fondi, una borghesia al guinzaglio, una stampa in ginocchio, la costosissima fabbrica dell’arte contemporanea e il silenziatore su camorra e camorre, consentirono di far apparire tutto luccicante e memorabile. Erano quelli i tempi in cui i venti della crisi soffiavano lontano, parole come spending review erano ignote e i denari pubblici servivano a Bassolino e al suo apparato innanzitutto ad alimentare clientele, il marciume delle società partecipate, le consorterie “leccafondi” della società civile e parti questuanti delle opposizioni, prive di lealtà nei confronti degli elettori e tendenti a complicità creative più che a progettualità antagoniste. Poi sappiamo com’è andata a finire la storia bassoliniana, sommersa da monnezza ed ecoballe 450 i milioni stanziati da Renzi per rimuoverle in tre anni -, fatta di arroganze, consulenze brucianti - nel solo 2008 si contano 700 consulenti in Regione per il costo di 30 milioni di euro - e ignobili “spese di rappresentanza del presidente della giunta regionale” che, nel 2004 toccarono ad esempio, la cifra di 962.506 euro e 26 centesimi. Altro che Marino! Eppure il più grande roditore di fondi pubblici che Napoli e la Campania abbia mai avuto, graziato dalla magistratura, twitta e gioca con l’hashtag, sorretto da sponde mediatiche e spalleggiato da un cerchio tragico che non lo vuole più solo nonno premuroso e anglosassone, ma ne desidera l’uscita definitiva dal cantuccio. E così Bassolino, sprovvisto di una narrazione del domani e di una storia che possa cancellare la letteratura degli sperperi e l’apocalisse rifiuti, di cui è stato tra i maggiori artefici, insieme ai suoi followers pratica, in questa suo tentativo di riemergere, lo sport della rimozione, tipico di chi vuole raccontare un romanzo giallo omettendo il delitto. La sua sconfitta, candidatura sì candidatura no, sta nel voler proporre una narrativa fasulla e autoassolutoria, in cui mancano del tutto il coraggio e la dignità dell’autocritica. Stiamo così nel campo delle fantasticherie, della realtà taciuta per calcolo politico e spregiudicatezza. Con il tempo, a furia di mettere la testa grigia fuori dal buco, rovistare nelle stive di una nave fantasma e ricordare le scorpacciate di formaggio di una volta, Bassolino si è mutato in rattopardo, nuova specie di animale politico che alterna giorni da topo di bliblioteca ad altri in cui, roso dalla nostalgia, studia e ripassa la toponomastica del suo regno perduto. Non avendo nulla di nuovo da dire, sollecitato dagli amici roditori che ne conoscono l’incontrollabile autostima, è affetto da rattopardismo, incurabile “sindrome del ritorno” che, a differenza del gattopardismo, non provoca il trasformismo ma un illusionismo d’accatto, inevitabilmente patetico e rovinoso per la comunità. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (3) IL PAGINONE CRONACA DI UN DRAMMA ANNUNCIATO Il fiume uccide a ottobre La tragedia dell’alluvione del Sannio, dovuta a un enorme evento meteorico, ha precise responsabilità in chi ha devastato il paesaggio e consumato il suolo Riceviamo e pubblichiamo la ricostruzione, a firma del giornalista e saggista Bruno Menna, della recente e drammatica alluvione che ha devastato il Sannio. Ci è sembrato giusto dare spazio al grave problema dell’emergenza ambientale e del dissesto idrogeologico, che interessa non solo il beneventano, ma la Campania tutta. Bruno Menna Benevento, sorta alla confluenza del Calore e del Sabato, ha pagato ancora una volta un doloroso tributo di morte e distruzione alla sua storia e alla sua cartina geografica, costellata di ponti, attraversamenti, cavalcavia, sottopassi, aste e anse, bacini e invasi, sponde e argini. Accade sempre d’ottobre, volendo ricordare le due sciagure maggiormente scolpite nella memoria comunitaria e, naturalmente, quella recentissima: il 2 ottobre del 1949, il 21 ottobre del 1961 e, appunto, il 15 ottobre del 2015. L’ultima, l’alluvione 2.0, l’esondazione al tempo del web, da immortalare con gli smartphone, quella che ha subito mostrato la drammaticità dell’evento, formando (4) IL LIBRO Bruno Menna, beneventano classe 1956, è giornalista di lungo corso e si occupa di comunicazione per soggetti pubblici e privati. Con Iuppiter Edizioni ha pubblicato “Baby boom. Memorie di una generazione che non vuole farsi rottamare”, racconto emozionale in difesa degli over 50, di tutti coloro, cioè, che hanno avuto la fortuna di nascere nei Cinquanta, crescere nei Sessanta e formarsi nei Settanta. Il libro è soprattutto una appassionata rilettura dell’età dell’oro del nostro Paese. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 l’esercito degli angeli del fango e innescando la catena virtuosa della solidarietà, si palesa ancora nell’atrocità delle conseguenze che ha determinato sul territorio, nella rete commerciale, artigianale, agricola e industriale, già vilipesa dalla crisi economica, e nell’anima della città, violata e violentata dalla forza inaudita del fiume. Ed è forse questo la ferita che sanguina di più: aver compreso che anche le difese (intervenute e/o innalzate dopo i sinistri del passato) che sembravano invalicabili nulla possono a fronte di quello che accade a monte del Calore, laddove torrenti e fiumiciattoli, dai nomi improbabili e dalla vita spericolata, scaricano a valle quantità micidiali di acqua, sotto l’occhio vigile e divertito di Giove pluvio, con l’ignavia complice degli “ignoti” verso i quali intende procedere la Procura della Repubblica. Un’analisi onesta e senza sconti, tuttavia, non può non tenere conto di un fattore imponderabile: la quantità di pioggia caduta nella notte tra il 14 e il 15 ottobre che può, e forse deve, attenuare le responsabilità di chi avrebbe dovuto dare almeno l’allarme, ma sicuramente non assolve chi ha consentito, incoraggiato e condonato la deturpazione del paesaggio, il consumo del suolo, la devastazione ambientale. Partiamo dai fatti, allora. Dalla resilienza della natura, come la definisce Gianni Moriello, geologo geofisico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. «Nella giornata del 14 ottobre si è manifestato, in provincia di Benevento, un enorme evento meteorico. I dati indicano che dalle ore 22.15 del 14 ottobre alle ore 6.15 del 15 ottobre sono caduti ben 137 mm di pioggia, pari alla quantità di pioggia che si registra in circa un mese. L’analisi delle stazioni meteoriche indica, per il Sannio, una particolarità concentrata soprattutto nella fascia che va da Dugenta ad Ariano Irpino, con epicentro Benevento. Infatti, solo la stazione della città ha registrato circa 140 mm di pioggia, mentre Santa Maria a Vico e Mirabella Eclano hanno registrato circa 86-87 mm, meno ancora Campobasso e Avellino con 64 e 71 mm, rispettivamente. Un fenomeno perfettamente localizzato, dunque, e particolarmente intenso. San Bartolomeo, ad esempio, ha registrato solo 23,1 mm di pioggia. La superficie interessata è di circa 3058 Km quadrati, la media di pioggia risulta, pertanto, 97 mm di pioggia. In 8 ore nel bacino interessato, che comprende il fiume Calore, il Tammaro, l’Ufita, il Misca- no, il Sabato e il Serretelle, con tutti i loro tributari minori, è caduta una quantità di acqua di circa 60,512 milioni di mc, sviluppando una portata di circa 2101,00 mc/sec, nella sezione idraulica di Telese e Amorosi. Siamo, in pratica, nella portata centenaria calcolata negli studi esistenti. Il fatto nuovo, o vecchio per così dire, è che il territorio non era pronto ad affrontare una simile magnitudo. Perché? È presto detto. Il nostro territorio - continua Moriello - è stato devastato e occupato nelle zone più sensibili, senza una rigorosa analisi delle portate di piena dei piccoli torrenti. Anzi si è costruito senza tener conto della capacità di trasformazione della natura, delle acque nei torrenti. Il caso più eclatante è rappresentato dal torrente Saucolo di Solopaca. Si è costruito in alveo, senza rendersi conto che l’alveo vero e proprio era molto più grande della memoria degli uomini. Fa male prenderne atto, ma questo è. La memoria storica si perde nei meandri delle opportunità. Il rischio a cui si è sottoposti, si considera solo un parametro da rispettare (e quindi da evitare con furbizia).La natura, il territorio, ha una caratteristica intrinseca che l’uomo non potrà mai evitare: la capacità di resilienza, ovvero la capacità di ritornare alle condizioni antecedenti ad un evento di modificazione innaturale, come le alterazioni che l’uomo compie giornalmente sul territorio e al territorio. Certo, ora si invocherà lo stato di calamità, per riparare e mettere una pezza. Io credo che il territorio si deve rispettare e saper conoscere. Non basta più l’economia degli aiuti, l’intervento postumo, la miseria dei rimborsi deve finire perché alimenta una nuova violenza alla natura. Bisogna conoscere i propri limiti umani e cercare di conciliarli con la forza della natura. Gli strumenti ci sono, gli uomini specializzati a ciò, forse. Ma questo - conclude Moriello - non appartiene alla attuale generazione umana. E non potranno essere gli stessi che hanno utilizzato violenza. Non sono più credibili». Il fiume ha fatto danni in città e in provincia (in paesi noti e meno noti, da Circello ad Amorosi, da Pago Veiano a Solopaca, da Pietrelcina a Morcone), provocando, in via diretta e indiretta, tre vittime, solo le ultime di un triste elenco che parte (forse) dal 1949. Le distruzioni, via via che passano le settimane, si affastellano in tutta la loro evidenza e il torrenziale autunno non è ancora finito. La sopravvissuta Provincia ritiene che siano ben 500 i chilometri di viabilità da riparare. Il Comune capoluogo è alle prese con la risistemazione, preliminare, di scuole e impianti sportivi e non può trascurare, pur collaborato da Consorzio Asi, referente dell’area produttiva di Ponte Valentino, e Camera di Commercio, la riammagliatura del tessuto socioeconomico. Servono soldi, tanti soldi: 700 milioni, forse più. Arriveranno, se arriveranno, dalla Regione, che finora non ha fatto mancare presenza e vicinanza, e dal Governo, se, quando e come prenderà forma operativa lo stato di emergenza nazionale. Quel che servirà, tuttavia, sarà una precisa e decisa presa di coscienza pubblica sui rischi che ancora persistono in un territorio perennemente fragile. Anche se, è chiaro fin da adesso, come ha chiaramente riassunto Moriello sullo storico settimanale “Messaggio d’Oggi”, che non a tutto si potrà provvedere, soprattutto laddove gli insediamenti umani non hanno tenuto conto della pericolosa vicinanza al tumulto fluviale, come nel caso della località Pantano, che ha il destino tracciato nella sua definizione toponomastica (nome omen, direbbero i latini). Per dircela tutta, non è mancato, e ha pesato nell’organizzazione del soccorso “statale”, una sorta di corto circuito mediatico, soprattutto nelle prime ore. Poi, però, in tanti, per vincoli di sangue e per amore della terra che per loro è madre, hanno fatto per intero il loro dovere. «Mi è capitato tante volte, purtroppo, di essere inviata in una zona alluvionata. Ogni autunno, direi, almeno una volta. E avevo già provato questa sensazione di stravolgimento, davanti ad auto portate via, a case stravolte, a piazze cancellate. Stavolta, la differenza per me era che quella era la mia terra». Così Raffaella Calandra, blogger e giornalista di Radio 24. «Sono andata - continua - nei paesi investiti dalle frane, come Paupisi e ho toccato la disperazione di chi ha perso la casa e l’azienda, in una stessa notte. Li guardavo e leggevo perfettamente in certe facce tagliate dal vento, in quelle mani ruvide, in quegli occhi trasparenti la desolazione di vedere vanificati “i sacrifici di una vita”. Sapevo perfettamente cosa significasse. Sono vite di resistenza, questa, resistenza all’emigrazione, ai cattivi raccolti, alle difficoltà. Alla noia e all’abbandono. Vite vissute per lo più in silenzio, nelle seconde file rispetto a tutto. Concentrate sulla famiglia, sul lavoro, su sentimenti sinceri che non ammettono ipocrisie. Soprattutto in amore. È terra di fatica e risparmi, questa. Terra di gente, abituata a rimboccarsi le maniche, per cercare di avere dalla terra - niente affatto generosa - i frutti del proprio lavoro. È terra di gente riservata, orgogliosa, poco incline alla polemica e alla lamentela. Molto di più abituata al dolore silenzioso e al sudore, da cui ricavare margini spesso esigui di guadagni. Con cui costruire la casa, con cui far studiare i figli. Poi arrivano le pietre e il fango e tutto sparisce». Nel buio dell’emergenza, attraverso il profilo Facebook “Gabriella Giorgione per Caritas”, reso disponibile da una volontaria per comunicare nell'immediato le attività della Caritas Diocesana di Benevento, diretta da don Nicola De Blasio, è scoppiata quella che è stata definita la “rivoluzione della solidarietà”. Agli appelli postati hanno risposto migliaia di persone, d’ogni dove: dalla Campania, dal Lazio, dalla Puglia, dalle Marche, dall'Abruzzo e persino dalla Sicilia. Circa 1800 i volontari: semplici cittadini, medici, professionisti, scout: tutti a spalare fango. I numeri sono impressionanti. Dal 15 ottobre, quasi 10mila i pasti preparati e serviti a Benevento città e nelle contrade, a Ponte, a Paupisi, nell’area industriale, a Solopaca. Oltre 10mila i panini farciti per i volontari che si sono alternati nell’opera di pulizia di strade, negozi e abitazioni. Sono stati distribuiti oltre 600 kit alimentari (scatole piene dei viveri necessari per uno-due giorni) per una famiglia media di 4 persone. Circa 250 i kit pulizia per cominciare a ripulire le case almeno in prima battuta. Circa 400 i kit per l’igiene personale e oltre 500 quelli per l’abbigliamento di adulti e bambini. Nel dormitorio di via San Pasquale sono state ospitate mediamente 25 persone al giorno. Al padre di un bimbo disabile è stata finanche comprata un’automobile. Una risposta entusiasta, uno sforzo immane. E già ci si prepara al “dopo”, perché passata l’emergenza, restano le ferite. Il lavoro perso, la casa impraticabile, la prospettiva incerta. #Rialzati Sannio. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (5) (6) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 PRIMO PIANO CAOS LINEA 6 E DISSESTO IDROGEOLOGICO LA PROTESTA SUL WEB Chiaia in ginocchio Così la rete assedia il sindaco arancione Rosario Scavetta Livia Iannotta Senza nulla togliere agli altri angoli della città, che pure svettano per magagne e criticità, Chiaia, il salotto di Napoli, più che splendere zoppica. Quartiere traballante, fabbrica di incertezze, dove a due anni dal crollo che ha sbriciolato parte della facciata del palazzo Guevara di Bovino (nella foto) serpeggiano ancora paura, rabbia, questioni irrisolte. Ma Napoli, si sa, è città di promesse e speranze. I verbi si coniugano al futuro e si disseminano in bei progetti, chiacchiere ottimistiche e rendering mozzafiato. In effetti vediamo solo quelli. È il caso della grande incompiuta: la linea 6 della metropolitana. Progettata nel ’90 come linea tramviaria rapida, la tratta che dovrebbe collegare Fuorigrotta al centro cittadino, con capolinea piazza Municipio, vede in funzione per il momento il breve segmento che va da Mostra a Mergellina. Nessuna certezza circa l’apertura al pubblico delle altre fermate, anche se recentemente il governo ha lo sprint con lo stanziamento di 3,6 miliardi da destinare al completamento di linea 1 e linea 6 (con prolungamento fino a Bagnoli). La stazione di San Pasquale è la più promettente. La fine dei lavori, però, prevista per il 2015, è slittata a data da destinarsi. «Ce ne vorrà ancora per un po’ - chiarisce Fabio Chiosi, vertice della I Municipalità almeno fino alla seconda metà del 2016». Se infatti la galleria di linea, così come la stazione sotterranea, è pronta o quasi per l’uso, lo stand-by è tutto della parte superficiale. «C’è il problema di individuare le Mentre l’amministrazione comunale snocciola rendering e promesse, il cuore pulsante della città vive uno dei suoi momenti peggiori: negozi sfitti, emergenza sicurezza e i pericoli del sottosuolo. aperture ed ottenere il nulla osta dalla Soprintendenza per il progetto di sistemazione superficiale», aggiunge Chiosi. L’area, tra l’altro è soggetta a vincoli storico-paesaggistici e il progetto, firmato dall’architetto Boris Podrecca, nei mesi scorsi aveva sollevato i dubbi delle associazioni cittadine, che avevano suggerito correttivi per ovviare, ad esempio, alla diminuzione del verde e all’eccessiva pavimentazione prevista nel rendering. Punto su cui, evidenzia Chiosi, «non si è ancora fatta chiarezza. Per questo i tempi del vaglio da parte della Soprintendenza sono più lunghi». Intanto, mentre sottoterra si scava, Chiaia sprofonda. Dissesto idrogeologico, denunciarono Riccardo Caniparoli, Franco Ortolani e altri geologi, in relazione alla condizione del sottosuolo del quartiere, molto prima del 4 marzo 2013. La stabilità dei palazzi, da allora, non è più scontata. E preoccupano le voragini che “bucano” l’asfalto, gli avvallamenti, gli scantinati allagati. Non si è ancora fatta del tutto luce, infatti, su cosa ha fatto venire giù l’ala del palazzo Guevara. A questo stanno provvedendo le indagini della magistratura, che hanno portato al rinvio a giudizio di 19 tra tecnici, manager e direttori dei lavori e al blocco dei lavori alla stazione Arco Mirelli, altra fermata della linea 6. Ed è proprio sulla galleria, scavata in corrispondenza del civico 72, che i geologi scommettono. Se poi dalla Chiaia “di sotto” saliamo in superficie, si “toppa” in altri campi. Prendiamo la sicurezza, ad esempio. Dei dispositivi di videosorveglianza installati nella I Municipalità circa il 60% sarebbe fuori uso. Questo perché - come sottolinea Chiosi - sono scaduti da tempo i contratti di manutenzione e la Napolipark (oggi Anm) non si è ancora presa in carico la riparazione delle telecamere. Qualcosa però sembra muoversi: «Recentemente – puntualizza – è stata approvata una delibera con cui si dà la possibilità ad Anm di prendere in carico i dispositivi e avviare la manutenzione». Sui marciapiedi del quartiere, poi, continuano ad abbassarsi le serrande dei negozi. Nonostante qualcuno millanti sintomi di ripresa, Napoli fa ancora i conti con un terziario in ginocchio. Complici il caro fitti (a via Calabritto per un locale di 30 metri quadri un proprietario può arrivare a chiedere 7mila euro al mese) e la contrazione degli acquisti, la cartolina del quartiere di lusso viene appannata e il giro di soldi si arresta. In realtà il commercio è in crisi in tutta la città e ingoia senza distinzione piccoli negozi ed esercizi più ampi, attività decennali e di fresca apertura, negozi periferici e centrali. Ma a Chiaia impressiona di più. È segno che la recessione si è appollaiata perfino tra le griffes. E sta bene dov’è. La protesta corre sul web. Archiviate le elezioni regionali e la battaglia a colpi di post e tweet dei candidati alla presidenza della Regione Campania, l’attenzione si è spostata sulle elezioni comunali a Napoli che si terranno nel 2016. Mentre l’attuale sindaco Luigi de Magistris ha annunciato la ricandidatura a Palazzo San Giacomo, l’ex sindaco ed ex governatore della Campania, Antonio Bassolino sta studiando il clima per un ritorno nell’agone politico. Secondo i dati rilevati dal gruppo facebook «Bassolino Sindaco per la rinascita di Napoli» godrebbe di un certo seguito: sono infatti 2268 gli iscritti. Non possiamo dire lo stesso per l’attuale primo cittadino partenopeo. L’ex magistrato, che sbancò nel 2011 con la rivoluzione arancione, dopo quasi 5 anni di sindacatura, è assediato in rete da gruppi di protesta come: «de Magistris non è il MIO sindaco», «de Magistris sindaco scaduto», «Liberare Napoli dal Sindaco de Magistris». Ma ad evidenziare la problematiche della città in maniera minuziosa sono i comitati civici e le associazioni che mettono sotto la lente d’ingrandimento l’operato del sindaco «arancione». Giusto per citarne qualcuno: «Cittadinanza Attiva in Difesa di Napoli», «Gennaro Capodanno - Comitato Valori collinari», «Comitato Civico Carlo III», «La Posillipo della gestione De Magistris». E sono tanti i profili Facebook, quasi uno per ogni quartiere, veri e propri “contenitori” di dibatti in rete. Si va dai piccoli sfoghi relativi alla chiusura di strade, agli arredi urbani carenti, alle problematiche sulla raccolta differenziata, a dei veri e propri post di approfondimento che lamentano una mala amministrazione che ha tappato gli occhi di cittadini che - si legge nel post «La Costa in Gioco» del 18 settembre scorso (www.cittadinanzattivanapoli.com) «hanno portato in trionfo una specie di Masaniello arancione, ignorando i suoi trascorsi calabresi costellati di nomi fantasiosi e di rovesci burrascosi (...). «Dopo quasi 52 mesi di amministrazione catastrofica - si legge ancora nel post - la città annaspa in un degrado come mai si era visto prima. Traffico, trasporti, strade, parcheggiatori e venditori abusivi, microcriminalità e criminalità organizzata, accattonaggio, sporcizia, sosta selvaggia, barboni, incuria, verde morente e defunto, sono voci, dalla prima all’ultima, che hanno raggiunto il loro punto di non ritorno, e non è escluso che lo sfacelo possa ulteriormente peggiorare in questi ultimi mesi di disperata propaganda elettorale. Voci che contribuiscono alla vivibilità quotidiana dei cittadini. Sappiamo bene che de Magistris ha trovato una situazione finanziaria che non gli ha concesso nulla. Tuttavia, sperando in un’amministrazione da buon padre di famiglia, a maggio 2011 concedemmo a chi proclamava di aver scassato una lunga franchigia fiduciaria, purtroppo mal riposta per la sua incapacità di affrontare i problemi con competenza. De Magistris si è all’inizio circondato di personaggi di un certo prestigio, perché gli coprissero le spalle. Poi, man mano che emergevano prosopopea, arroganza, prepotenza, delirio di onnipotenza, narcisismo, è stato abbandonato alla sua deriva. La Giunta odierna non ha quasi più nulla di quella di quattro anni fa, e la presunta legalità di cui de Magistris andava cianciando è stata affondata in un marasma di ordinanze, delibere e decisioni degne di severi approfondimenti da parte di Procura della Repubblica, Corte dei Conti, Guardia di Finanza, stampa e social network. Si aggiunga la distribuzione delle grandi aziende di servizi, a staffisti e collaboratori di non comprovate capacità ed esperienza ma di granitica fedeltà al sindaco, ed il quadro desolante è completo». CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (7) (8) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 FOCUS IN USCITA IL SAGGIO DI MIMMO DELLA CORTE Il Mezzogiorno? Si salva senza l’Italia Il giornalista ed economista con «Le ricchezze del Sud» detta le linee guida per risolvere la questione meridionale, smontando le falsità della politica Michele Tempesta gistica dei traffici nel Mediterraneo. Ed insieme a queste linee guida, altre proposte che l’autore spiega con articolate documentazioni, illustrandone benefici e possibilità. Della Corte punta il dito contro l’immobilismo delle classi dirigenti meridionali e sottolinea che “è arrivato il tempo che gli uomini del Sud la smettano di piangersi addosso, capiscano che la condizione in cui sono costretti a vivere non è colpa di un destino cinico e baro che li ha condannati alla perdizione e che li perseguita, aspettando il momento di precipitarli all’inferno, bensì è conseguenza sia delle scelte di chi, pur avendogli promesso il Paradiso li ha rinchiusi in una sorta di purgatorio senza prospettive e futuro, sia della loro complicità nell’accettarne tutte le scelte, dando ascolto alle tante, troppe Cassandre che annunciavano, ed ancora annunciano, sventure e cataclismi per il Sud”. Solo il Mezzogiorno può rilanciare se stesso. È questa la conclusione cui - attraverso l’analisi di quanto avvenuto in Italia, nei rapporti fra Nord e Sud, dal 1861 ad oggi, sia nell’immediato post-(mala)unità, che dalla nascita della Repubblica - giunge Mimmo Della Corte col suo nuovo libro “Le ricchezze del Sud” edito da Controcorrente, in una sorta di continuità ideale con “Supersud. Quando eravamo primi”, edito dalla Iuppiter e nel quale aveva ripercorso le vicende del Regno delle due Sicilie, dalla nascita fino al 1861. “Oggi più che mai - scrive l’autore - il Sud è una splendida, ma soprattutto, incompiuta e contradditoria realtà. Basta, infatti, dare uno sguardo ad alcuni dati economici congiunturali, elaborati da Srm, Movimprese, Istat, ed altre fonti ufficiali che lo riguardano, ancora di più se letti alla luce dell’estrema difficoltà in cui versa quest’area, della crisi globale in atto, di quella sorta di invalicabile forca caudina del patto di stabilità da non sforare, e via via citando, per accorgersi dell’enorme contraddizione esistente fra quello che appare, un Sud allo sfascio totale, e quello che è: un Sud ricco di potenzialità che però non sa e non riesce a mettere a frutto”. Soprattutto perché è stato sempre costretto a fare i conti con un sistema di potere nemico, lontano ed assolutamente creatore di ulteriori problemi. “E questi - scrive sempre Della Corte - sono fatti, non teorie o teoremi. Che piaccia o no a quei tromboni che riempiono le classi digerenti e ai «meridionalisti illuminati», sempre pronti a scagliarsi contro il Sud ed a colpevolizzarlo per la condizione in cui continua ad essere ristretto, assolvendo, di contro, il Governo centrale - anzi, no i Governi da ogni responsabilità per l’irrisolta, atavica e sempre più grave questione meridionale”. Della Corte, che ama definirsi “meridionale per nascita e «sudista», orgoglioso di esserlo nonostante il significato decisamente dispregiativo che i meridionalisti illuminati dan- no al termine”, nel suo saggio si chiede se è giusto per il Mezzogiorno restare ancorato all’Italia. Un Paese profondamente antimeridionale e ipocrita che: 1) a 154 anni dall’unità continua a mostrare così scarso rispetto al Sud, considerandolo la palla al piede che ne condiziona e rallenta lo sviluppo; 2) usa il Sud come una sorta di bancomat da cui prelevare le risorse da investire altrove; 3) continua a prenderlo in giro e, dopo avergli sottratto, tra taglio al cofinanziamento europeo e fondi per gli asili nido, ben 9,5mld, annuncia l’intenzione d’investire 9mld nel Sud; 4) continua a fingere di non rendersi conto che le misure fiscali e non, assunte per combattere la crisi, continuano a ricadere sul Sud in maniera più pesante che non sul Centronord ed allungano ulteriormente le distanze fra le due macroaree; 5) festeggia enfaticamente la goccia di nuove assunzioni sfociate nel fiume dei livelli occupazionali in Italia e finge di non accorgersi della cascata di posti perduti precipitata nell’oceano disoccupazionale meridionale; 6) considera il Meridione una sorta di terra di conquista (vedi Salvini) per guadagnarsi un bel gruzzolo di voti pescando consensi in fasce di opposizione, mentre i suoi alleati sono afflitti da una scialba politica politicante; 7) può ancora accettare senza fiatare che, in conseguenza di questo comportamento e per il fatto che sul suo territorio è Serve un Sud unito, capace di ritrovare la propria autonomia energetica, decisionale, bancaria e assicurativa: solo così può farcela e può tornare ad essere l’area leader ed il volano di sviluppo dell’intero bacino del Mediterraneo possibile fare di tutto, ma anche il suo contrario ed addirittura continuare a non far alcunché, senza valorizzarne alcuna peculiarità, ormai, in pieno 2015, continui ad essere soltanto una splendida incompiuta ed un’area a sviluppo limitato. Il Meridione per Della Corte dovrebbe staccarsi dall’Italia e imparare a ripensarsi completamente puntando sui suoi «talenti». Al Mezzogiorno, infatti, come si evince dal libro, per crescere occorre: un sistema infrastrutturale degno di tal nome; un’ipotesi progettuale che indichi quale futuro e quale modello di sviluppo s’intende realizzare e quale volto dargli: industriale, turistico, commerciale, punto logistico e di snodo verso il Mediterraneo, o di semplice mercato di vendita di prodotti provenienti da altre zone del Paese, piuttosto che area d’interscambio che, a fronte di prodotti acquistati al di fuori dei propri confini, offra servizi e beni di sua esclusiva pertinenza (mare, turismo, cultura, ambiente, archeologia, agricoltura ed agroalimentare); capire quali devono essere le infrastrutture da realizzare e, infine, indirizzi e linee operative da seguire per ottenere quest’obiettivo; promuovere e sostenere i consumi delle eccellenze del Sud al fine di cancellare l’enorme squilibrio nella bilancia commerciale interna; creare una banca d’investimenti che prenda il posto del vecchio Banco di Napoli e, guardando alle famiglie ed alle imprese territoriali, collabori allo sviluppo dell’economia meridionale; puntare su una fiscalità di compensazione; trasformare cassa integrazione e degrado del territorio da problemi a risorse; rafforzare la portualità meridionale, potenziandone il sistema trasportistico retrostante e istituendo nelle aree vicino ai porti delle zone a fiscalità agevolata per fare del Sud la base lo- Si augura, quindi, Mimmo Della Corte che la gente meridionale si risvegli, abbia voglia di riprendersi la dignità, sappia puntare sulle proprie capacità. Dice: “Serve un Sud unito, capace di rialzare la testa e ritrovare la propria autonomia energetica, decisionale, bancaria ed assicurativa: solo così può farcela e può tornare ad essere l’area leader ed il volano di sviluppo dell’intero bacino del Mediterraneo. Ma dobbiamo essere, soprattutto noi meridionali a crederci, a volerlo e ad impegnarci perché ciò si avveri”. Per dimostrare ai lettori che non si tratta di un libro di sogni ma di equilibrate e studiate soluzioni per un Mezzogiorno finalmente realizzato, Della Corte chiude il suo lavoro con un un viaggio attraverso le ricchezze che le cinque regioni del Sud possono mettere in campo al servizio del proprio sviluppo. Senza alcun bisogno d’interventi esterni. Il Sud, per crescere, insomma, avverte Mimmo Della Corte: “Non ha bisogno di risorse da spendere «tanto per…», ma di un sogno vero, concreto e, soprattutto possibile che faccia leva sulle sue potenzialità, sul quale investire le proprie risorse”. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (9) (10) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 FOCUS /2 A TRENT’ANNI DALLA MORTE DEL CRONISTA UCCISO DALLA CAMORRA Giancarlo Siani, «giornalista giornalista» Tante le iniziative che hanno ricordato l’«abusivo» del Mattino: dal premio a lui intitolato agli eventi del Pan con l’icona Mehari. La denuncia di Roberto Paolo Livia Iannotta ed il giornalismo di frontiera. Giornalisti di guerra...in Italia”, al teatro Diana andava in scena “Ladri di sogni” di Peppe Celentano e Vincenzo De Falco e la sala del Modernissimo proiettava le pellicole che ritraggono il cronista. In anteprima assoluta “L’estate sta finendo”, docufilm di Alessandro Chiappetta e Graziano Conversano, andato in onda il 23 settembre su Rai Storia. Un’ora di racconti di colleghi, amici, scrittori come Roberto Saviano, Maurizio de Giovanni e Angelo Petrella, del direttore de Il Mattino Alessandro Barbano, di D'Alterio e giornalisti come Ruotolo. L’estate sfumava. Un ragazzo col sogno di fare il “giornalista giornalista” e il vizio di ficcanasare nelle zone d’ombra risaliva a casa dalla redazione de Il Mattino a bordo di una Mehari verde evidenziatore. Al Vomero, in una stradina a ridosso di piazza Leonardo, lo aspettava un commando della camorra: lo freddarono dieci colpi di pistola. Giancarlo Siani, appena 26 anni, oltre 600 articoli: ammazzato per aver scritto. Era il 23 settembre 1985. Trent’anni dopo Napoli omaggia il precario in attesa di assunzione con discorsi, applausi e gonfaloni. Scivolando, però, su qualche imprecisione e, forse, un po’ troppa retorica. Celebrazione con scivoloni Il 23 settembre, al Vomero, il sindaco de Magistris, insieme, tra gli altri, al presidente della fondazione Polis Paolo Siani e al questore di Napoli Guido Marino, depone una corona di fiori sulle Rampe che a Siani devono il nome, con tanto di esibizione del coro giovanile del San Carlo. Tutto mentre a poche centinaia di metri, via Romaniello, la traversa dove Giancarlo venne ucciso, resta deserta. Lo fa notare nell’editoriale “Giancarlo Siani e la memoria tradita” il vicedirettore del quotidiano Roma Roberto Paolo: «Tutto il circo mediatico era concentrato sulle rampe di scale intitolate dal Comune a Siani. Uno strano modo di coltivare la memoria di questo martire civile». Affondo anche a Il Mattino che, come evidenzia Paolo, pubblica il giorno dopo in prima pagina la foto della celebrazione con la didascalia: “Rampe Siani. La cerimonia sul luogo dove venne ucciso Siani”. «Persino loro – scrive Paolo – ignorano il vero luogo della morte dell’ex giornalista “abusivo”». Il fulcro della giornata è però il Premio Siani, XII edizione, che per l’occasione va a Siani stesso. O meglio al libro “Fatti di camorra. Dagli scritti giornalistici di Giancarlo Siani” (Edizioni Iod), selezione di pezzi che gli sono costati la vita, divisi per argomento, con prefazione di Roberto Saviano. troppo grande per poter essere accertata. Si è indagato tutto? Sì, senza dubbio». Paolo Siani Più leggera, dunque, rispetto all’antologia “Le parole di una vita” del 2007. La sala riunioni del Mattino si riempie in anticipo. C’è il parterre della legalità, ci sono politici e giornalisti gomito a gomito con gli studenti accorsi. Non tutti sanno la storia di quel Siani, ed è bello che le parole di Sandro Ruotolo, Lirio Abbate, Giovanni Tizian, don Ciotti, Geppino Fiorenza raggiungano anche loro. Dal dibattito emerge chiaro che scartavetrare la verità non è stato semplice. E forse parte di quella coperta limacciosa resta. Suonano così le parole del magistrato Armando D’Alterio, nella giuria del premio: «Quella nota è la verità giudiziaria. Se volessimo quella storica ci vorrebbe un altro Siani». E ancora: «Si è accertato tutto? No, la verità è Verità minate Roberto Paolo ha tentato di andare oltre la verità giudiziaria con “Il caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani” (Castelvecchi editore), coraggioso libro inchiesta con cui formula ipotesi alternative su mandanti ed esecutori dell’omicidio, scavalcando quelle 40 righe pubblicate su Il Mattino il 10 giugno 1985 e l’ipotesi secondo cui la cattura di Valentino Gionta sarebbe stato «il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di Nuova Famiglia, i Bardellino», che vengono lette come la sua condanna a morte. E spingendo così la Procura a riaprire il caso. Nel giorno del trentennale, l’omaggio più autentico a Siani lo ha fatto proprio Paolo, rendendo pubblica la mole di documenti giudiziari raccolti nel corso delle sue ricerche. Grazie a lui e alla Fondazione Trame Festival di Lamezia Terme, sentenze, documenti, atti giudiziari sono inseriti in un archivio digitale consultabile da tutti in rete sul sito www.tramefestival.it. «Omettere la verità – scrive Paolo – sbagliare il luogo dell’assassinio di Siani (…) credo rappresenti un tradimento profondo della memoria e dell’esempio Roberto Paolo di Giancarlo Siani. Così come mi pare grave tacere la circostanza che tutta la documentazione su quei processi ha dovuto viaggiare fino in Calabria per trovare spazio e pubblica divulgazione». E il settimanale di informazione online Iustitia sostiene: «Se fosse stato bandito il premio Siani, il libro sarebbe entrato di sicuro nella rosa dei favoriti. E forse questo elemento potrebbe essere uno dei motivi che ha spinto la giuria a non bandire il premio perché le ipotesi avanzate, discutibili ma documentate, sollevano forti dubbi sulle verità acquisite». Nei giorni della memoria, intanto, a Torre Annunziata sfilava l’icona Mehari, nell'Aula Magna dell'Università Suor Orsola Benincasa l'Ordine dei giornalisti teneva il corso di formazione “Giancarlo Siani Giancarlo nel cinema Sul grande schermo hanno prestato il volto a Siani Yari Gugliucci in “E io ti seguo” e Libero De Rienzo in “Fortapàsc”. Il primo (2003, 350mila euro di budget), film forse più “scomodo”, scritto, diretto e prodotto da Maurizio Fiume, è stato proiettato nelle scuole, in convegni e cineforum, ma di fatto non è mai uscito nelle sale e neppure inserito nel palinsesto del Modernissimo per la celebrazione. Perfino il critico Morando Morandini nel suo “Dizionario dei film” ha scritto: «Avrebbe meritato una distribuzione più forte». A dargli voce è stato proprio Chiaia Magazine, primo giornale a distribuire il film, nel 2009, allegando il dvd a un numero spaciale. Il secondo, del 2008, è prodotto da BìBi Film-Rai Cinema-Minerva Group e vede alla regia Marco Risi. Appigliamo il ricordo, oggi, a questi fotogrammi e alle sue colonne d’inchiostro. Ma possiamo immaginarlo: avrebbe 56 anni, racconterebbe ancora senza paura. Federica Angeli, Giuseppe Baldessarro, Paolo Borrometi, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Marilù Mastrogiovanni, David Oddone e Roberta Polese lo hanno fatto con il libro “Io non taccio. L’Italia dell’informazione che dà fastidio”, pubblicato da Edizioni Cento Autori e presentato per la prima volta il 23 settembre nell’atrio del Pan che poco dopo è stato intitolato a Siani. Tacere non fa per il giornalista, hanno ripetuto. (Ha collaborato Lidia Girardi) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (11) SOLLECITAZIONI SIGARETTA, COM’È TRISTE DIRTI ADDIO Sono in crisi profonda. Preso tra l’incudine del divieto di fumo e il martello di mia moglie che mi relega in giardino o sul terrazzo. Sono stato costretto a dire addio a uno degli ultimi piaceri che mi restavano: la sigaretta. Ad un uomo toglietegli un buon bicchiere di vernaccia, una donna da amare e una sigaretta da fumare, che cosa gli resta? Un uomo sta tutto nella triade: Bacco, tabacco e Venere. Un vero uomo si vede in tre congiunture: al bicchiere, al fumo e nell’incontro amoroso. Se non lo trovate in tali momenti, che uomo è? Sono in crisi. Inconsolabile e nervoso da mane a sera. Lavoro senza voglia e stento a prender sonno. Dio, come invidio il mio caro zio Peppino che ha fumato fino ad 85 anni in pace e in tolleranza. E come potrei immaginarmelo senza il suo sigaro toscano alle prese con crete, gesso e terrecotte? Come sarebbero potute uscire dalle sue mani quelle maschie figure o quelle deliziose silhouette senza una briciola di tabacco? Lo rivedo tra compassi, spatole e pennelli, mentre immerso in una nuvola di fumo bluastro modella le “vezzose”, le “maldicenti”, le sue “sirene”, i suoi “pierrot”, le “danzatrici”, i “tribuni”. Avrebbe mai don Peppino senza il supporto inseparabile del suo sigaro, disegnato, modellato, abbozzato, dipinto, lavorato come un forsennato senza mai fermarsi un istante? No, non avrebbe potuto. Quei piccoli e grandi capolavori senza il condimento del “fumo toscano” sarebbero risultati smorti, monchi, depauperati. Così mio padre, ostinato indefesso lavoratore, tenace sportivo, una sigaretta dietro l’altra, avrebbe mai tirato di fioretto, saltato ostacoli, frequentato palestre, tirato al bersaglio, giocato a tamburello a scopone e a scacchi, rodato siluri, oleato motori, senza Giubek e Macedonia incollate alle labbra? L’avesse avuta mia madre l’inclinazione al fumo avrebbe osato di più e pazientato di meno! Le sigarette, indubbiamente vere e autentiche delizie! Per i fumatori incalliti insostituibile prima durante e dopo i pasti, dopo e ancora dopo la prima e l’ultima tazza di caffè, prima e dopo il tenero amplesso carnale! Dopo per sbollire la rabbia, prima e dopo l’esame di maturità. Prima e dopo una defatigante sgroppata. Sul set accanto alla “lettera 22”, sulla panchina del parterre e impartendo lezioni di arte scenica. La vecchia inseparabile compagna di Bogart, Tedeschi, Zeman, Brass. Lì, tra le labbra procaci di Mistinguett in Bonjours Paris o tra le dita affusolate di Rodolfo Alfonso Raffaello Pierre Filiberto, figlio di Giovanni Guglielmi. Fumare fa bene ai nervi e libera l’estro e la fantasia. Sarebbe un gran bene per tutti se a Napoli a fumare fosse il Vesuvio. UMBERTO FRANZESE (12) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 IL PREMIO INTITOLATO AL GIORNALISTA IRPINO Nel nome di Carlo Nazzaro Michele Tempesta Nel suggestivo salone Orsini di Palazzo De Francesco, a Chiusano San Domenico, si è tenuta il 10 ottobre la manifestazione di consegna dei riconoscimenti della II edizione del Premio di Giornalismo e Varia Umanità “Carlo Nazzaro-Sud Protagonista”, promosso dal Comune di Chiusano, paese natio del grande giornalista (in alto in un disegno di Aldo de Francesco), già direttore del Roma negli anni ’30 e poi condirettore del Mattino ai tempi della direzione di Giovanni Ansaldo. La giuria del premio presieduta dal giornalista e scrittore Aldo de Francesco e composta dal direttore di Canale 21 Gianni Ambrosino, dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania Ottavio Lucarelli, dal direttore del Roma Antonio Sasso, dai professori Enrico dell’Orfano e Antonio Festa e dalla segretaria del Premio Lorenza Licenziati - ha deciso di assegnare i premi, divisi per sezioni che prendono il nome da alcune opere di Carlo Nazzaro. I vincitori della II edizione sono: per la sezione “Napoli sempreviva” Pietro Gargano, giornalista, scrittore, notista di costume ed elzevirista del Mattino e Antonello Perillo, caporedattore centrale responsabile del Tgr Rai Campania; per la sezione “Vico Fantasia” Monica Sarnelli, artista e cantante, e Gigi Savoia, regista e attore; per la sezione “Sud Prota- gonista” Gianni Festa, giornalista, fondatore e direttore del Quotidiano del Sud. Significativo l’intervento scritto per l’occasione dal giornalista Pietro Gargano - che non ha potuto ritirare personalmente il premio - in cui ritrae finemente il profilo di Nazzaro. Ne pubblichiamo uno stralcio. «Se mi avessero detto che un giorno avrei ricevuto il Premio intitolato al mio Maestro, avrei creduto a uno scherzo. Ero una matricola universitaria appena approdata al Mattino con l’illusione di diventare giornalista e vagavo per le redazioni a caccia di qualche minimo incarico, soprattutto prelevare pesanti cliché in archivio. In quelle stanze dominava un anziano signore elegante, che raccontava di quando aveva intervistato Albert Einstein e della sua amicizia con Enrico De Nicola, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Roberto Bracco. Direttore di lungo corso del Roma, condirettore del Mattino, Carlo Nazzaro aveva conosciuto tutti i giganti del suo tempo. Aveva sistemato un pianoforte in tipografia affinché vi suonasse Mascagni. Aveva convinto Marta Abba a recitare per cronisti, impiegati e tipografi alla presenza di Pirandello. Vestiva all’inglese e discuteva alla francese. Di Parigi conosceva ogni angolo, pur non essendoci mai stato. Odiava viaggiare, Capri l’aveva vista solo dal vaporetto. Era una miniera di sapere, eppu- re non ti metteva mai in soggezione, sarà stato per le indimenticate, terragne origini irpine. Mai invadente, si era ritagliato uno spazio la domenica, con un elzeviro in terza pagina, seguitissimo. Lo scriveva a rate su pezzetti di carta, che consegnava a qualche giovanotto affinché li battesse a macchina. Ovviamente l’incarico era ambitissimo. Toccò anche a me e fu una grande scuola, perché la prosa di Nazzaro era straordinaria, chiara, fresca come acqua, poetica e scorrevole, cronaca di un tempo perduto e ritrovato. Migliorava ogni settimana, sono convinto che se Don Carlo fosse ancora vivo meriterebbe il Nobel. L’incarico di copista ti ammetteva alla corte notturna di Nazzaro, che non dormiva mai. Cene tra contrabbandieri, puttane e nobili decaduti; alla fine il Maestro intimava: “Paga chi guadagna di più” e poiché era pensionato il conto toccava al caporedattore Franz Guardascione. Seguiva passeggiata in via Caracciolo per una preghiera e un obolo a una statuetta di San Gennaro. Nazzaro restava solo per un colloquio fitto col Patrono. Sono convinto che non chiedeva: suggeriva. Sono grato a Chiusano San Domenico, a Beniamino l’erede di tanta storia e ai colleghi della giuria per l’onore che mi fanno. Un femore spezzato mi tiene lontano solo fisicamente. Don Carlo, direttore mio, vi bacio le mani e vi ringrazio». SOLLECITAZIONI la vignetta di Malatesta IL SUDISTA Mimmo Della Corte COSTO REGIONI: NORD BATTE SUD Colmo di fulmine Diario stupendo G. MAROTTA La filosofia dei tracchi «La varietà dei nostri fuochi d’artificio rende possibile qualunque romanzo o poema detonante. Abbiamo così il pettegolezzo dei tracchi minimi, i quali brucano la tenera erba dei rumori e terminano quasi in un acido sospiro di beghina; spazio alle perentorie dichiarazioni dei tracchi massimi, duri e violenti come un pugno di Robespierre sul tavolo del Comune; abbiamo la trezziola simile a una lunga, affannosa invettiva di femmina dei vicoli, che s’impenna e s’affloscia, scappa e ritorna, perde e ritrova il fiato continuamente, sembra eterna e muore di sincope ad un tratto, con un guaito di megera; non manca la granata che vi colloca il suo tuono, come una sciabola, nelle visceri; c’è poi la minacciosa batteria che incrina le nubi e lesiona i palazzi della città vecchia; infine abbiamo la solitaria botta a muro, che deflagra per urto, come l’ira di un guappo schiaffeggiato». (Giuseppe Marotta, dal libro «Mi voglio divertire», 1954) *** G. PEIRCE I «fuochisti» di Napoli «Una volta riuscì a disegnare su Napoli l’immagine della Madonna. Una Madonna tutta d’oro. Le botte napoletane sono destinate a tutti: sono botte libere: scoppiano per il cielo e per il diavolo. I fuochisti di Napoli hanno una divisa. Anche egli la indossa quando accende i fuochi. È formata da una camicia bianca e da un paio di pantaloni azzurri. La camicia deve essere bianchissima, candida, ben stirata. Alla fine, dopo gli spari, quella camicia deve ritornare a casa sporca di fumo, strappata, ridotta a brandelli. Quanto più è stracciata la camicia più baci hanno i fuochisti dalle loro donne. Quella camicia grigia di fumo, unta, è il segno del coraggio, del sangue freddo, della forza. I fuochisti sono uomini. Gli uomini di Napoli». (Guglielmo Peirce, dal libro «Nostalgia di Napoli», 1965) di RENATO ROCCO L’ottimismo è accendere una speranza per spegnere una paura. Voleva pensare profondamente ma aveva paura del vuoto. Da scapolo a sposato: ha maritato la promozione. Il concorso di bellezza delle monache: la miss-credente. Per arrivare allo stesso traguardo l’uomo scappa, la donna aspetta. “Guaje a chi port’à mala nummenata”, perché qualunque cosa faccia la sua cattiva nomea gli sarà sempre rinfacciata. Di questa antica saggezza l’Italia del tacco rappresenta l’esempio più lapalissiano. E non mi riferisco alle dichiarazioni “choc” dell’ex ministra cattocomunista Rosetta Bindi sulla geneticità criminale della società napoletana e, quindi, dell’intero meridione, con quella “bocca” può dire ciò che vuole. In fondo, spararle grosse è l’unica possibilità che le resta per continuare a “galleggiare” in politica, bensì alla presunta spreconeria di cui in fatto di costi della politica viene sempre accusato il Sud, anche se i dati ufficiali da tempo dimostrano il contrario. Mentre, di contro, sono le regioni alpine a statuto speciale - Valle D’Aosta (18,4 mld euro complessivi pari 143 euro a residente) e Trentino Alto Adige (67 mld euro complessivi, 63 pro capite)-, quelle che chiedono ai loro cittadini il massimo contributo per la propria sopravvivenza. A certificarlo la “nota scientifica sulla mappatura dei costi della politica nelle regioni italiane”, elaborata dall’Istituto di ricerca Demoskopika, su dati Siope, il sistema di rilevazione informatica sui pagamenti delle spese della Pubblica Amministrazione. Relativamente al “mantenimento” degli organi istituzionali di Regioni (indennità di carica e di missione per i consiglieri ed assessori regionali, presidente della Giunta, spese per il funzionamento dei gruppi consiliari, i compensi per la partecipazione dei componenti alle riunioni degli organi istituzionali), Province, Comuni, Comunità montane ed Enti parco, il cui costo complessivo, nel 2014, a dire della “nota”, è stato di 1,4 miliardi, pari a 23 euro per ogni italiano. Solo sette le regioni al di sotto della media e fra queste due meridionali: la Campania con una spesa complessiva di 90,1 mld euro, pari a 15,3 euro pro capite e la Puglia con un totale di spese di 77,9 mld euro, pari a 19,1 euro pro capite; mentre i primi due posti della graduatoria della virtuosità sono occupate da: Lazio con una spesa di 75,1 mld euro e12,8 euro pro capite e dalla Lombardia con una spesa di 128,7 mld euro, 12,9 euro pro capite. Dopo l’ex regio felix, si piazzano, invece, la Toscana con costi per 57,6 mld euro, 15,4 euro pro capite; seguita da Emilia Romagna 79,4 mld euro complessivi, 16,8 euro pro capite ed il Veneto 84,6 mld euro complessivi e 17,1 euro. Numeri che confermano che “tutto il mondo è Paese” e che, anche sul fronte della spesa per la politica, il tanto vituperato e sbeffeggiato Mezzogiorno d’Italia è in linea con il resto d’Italia. Basta pensare che tenendo conto solo delle quattro regioni meridionali peninsulari, il mantenimento degli organi istituzionali pesa per 35 euro pro capite; se vi si aggiunge anche la Sicilia, sale a 38 e se vi si sommano anche Abruzzo e Molise arriva a 39, contro una media complessiva settentrionale di 41,7 euro pro capite e di 35 euro per il CentroNord. Inferiore alla media l’Italia Centrale dove questo gravame si ferma a 21,8 euro pro capite. Il che ribadisce, per l’ennesima volta, come al Sud, per crescere, manca soltanto il Governo. Da notare, infine, che la Campania, che a maggio aveva conquistato il primato fra le regioni italiane per la capacità di utilizzo dei Fondi Ue, piazzandosi al terzo posto fra le meno dispendiose in fatto di spese per la politica, conferma di essere ritornata sulla via maestra. Speriamo che continui su questa strada. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (13) (14) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 QUARTIERISSIME MANTO SOLLEVATO, LA PROPOSTA DELLA MUNICIPALITÀ Posillipo, strade ko e cittadini infuriati Rosario Scavetta Posillipo: paradiso sfregiato, offeso. Per rendersene conto basta fare un veloce giro lungo via Manzoni, via Boccaccio, viale Virgilio. Arterie principali, frequentate non solo dai residenti, ma anche dai tanti turisti che affollano il quartiere, in cui lo scorrimento, che ci si trovi in auto, sul sellino di una bici o (peggio) a piedi, risulta tutt’altro che semplice. La causa? I marciapiedi rialzati. Artefici di tale situazione di disagio sarebbero i pini marittimi piantati in passato, le cui radici - allo stato attuale dei fatti - sollevano la pavimentazione dei marciapiedi. Ci si riferisce in particolar modo a queste strade, ma casi simili si registrano anche in altre vie secondarie del quartiere, dove le poderose radici, sollevandosi, sono divenute nel corso del tempo un serio ostacolo per i pedoni, in particolare per anziani, bambini e disabili. Dai cittadini, lamentele e richieste. Come quelle di Gennaro, sessantadue anni, che evidenzia «la assoluta necessità da parte delle istituzioni di un intervento che possa finalmente sistemare le cose, eliminando gli avvallamenti». O di Sergio, cinquantenne, appassionato di jogging: «Il marciapiede esiste perché deve essere pedonabile - dice - altrimenti che marciapiede è? Quando vengo a correre qui, in via Boccaccio, ogni tanto devo scendere dal marciapiede e continuare tra le automobili in corsa. E’ una scocciatura, ma sono uno sportivo, quindi con le dovute attenzioni posso farlo. Un anziano cosa dovrebbe fare? Scendere con il bastone o con il girello e stare attento alle auto? È una follia. Il rischio che si facciano male è troppo alto. Speriamo e crediamo che le istituzioni prendano a cuore il problema dopo le segnalazioni, sarebbe un importante segnale di ascolto delle nostre problematiche». Ai reclami dei cittadini, la Municipalità risponde. «Il problema dei pini nell'ultimo tratto di Via Manzoni, in Via Boccaccio e Viale Virgilio è annoso e si aggrava sempre più - riferisce Fabio Chiosi, presidente della I Municipalità (Chiaia, Posillipo, San Ferdinando) - le radici affioranti hanno completamente distrutto i marciapiedi e compromesso il manto stradale. I tecnici del Servizio Attività Tecniche della Municipalità, nonostante queste strade siano principali e quindi di competenza del Comune, hanno proposto un progetto mutuato da un'esperienza positiva adottata a Pescara. In pratica una sorta di rete da applicare sulla strada ai lati del marciapiedi, che potrebbe contenere le radici e consentire il transito dei veicoli. Questa soluzione progettuale si è resa necessaria in quanto la Soprintendenza da un lato vieta l'abbattimento dei pini se in buona salute, dall'altro vieta di rialzare la sede stradale, di fatto bloccando ogni soluzione utile. Mi auguro - continua che il Comune adotti quanto prima la soluzione progettuale proposta dalla Municipalità perché è assurdo e vergognoso che quelle strade, tra le più suggestive di Napoli, versino in quello stato». Oplepo, venticinque anni di letteratura «potenziale» Venticinque anni fa, sull’isola azzurra, Ruggero Campagnoli, Domenico D'Oria e Raffaele Aragona (nella foto insieme ad altri «oplepiani») fondavano Oplepo, l’Opificio di Letteratura Potenziale, su modello della fucina di sperimentazioni linguistiche Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle) fondato in Francia nel 1960. Per festeggiare un quarto di secolo dalla fondazione, Napoli ha ospitato dal 22 al 24 ottobre “Venticinque anni di letteratura potenziale in Italia”: una tre giorni di letture, performance e spettacoli ispirati, tutti ispirati alla “letteratura possibile”. Il via è stato dato con un omaggio a Italo Calvino alla libreria la Feltrinelli di Chiaia, con lettura, tra i vari interventi, di un’intervista impossibile all’autore scritta da Silvio Perrella. Il 23 ottobre all’Università Suor Orsola Benincasa si è tenuto il convegno “La letteratura potenziale da Parigi a Napoli” e all’Institut Français Napoli “le Grenoble”, dopo un laboratorio di scrittura e l’incontro “Les voeux de l’Oulipo à l’Oplepo”, si sono esibiti in concerto “I virtuosi di San Martino”. A chiudere, il 24 ottobre, alla galleria “Al blu di Prussia”, la proiezione di “Zazie nel metrò” di Louis Malle. (l. i.) Tabaccheria Moggio, un carico di sorprese Restyling viale M. Cristina di Savoia Stanno per terminare i lavori di riqualificazione di viale Maria Cristina di Savoia curati dalla I Municipalità e seguiti dal delegato alla Manutenzione Alberto Boccalatte. Un restyling d’impatto che cambierà radicalmente l’aspetto della strada. I marciapiedi, infatti, saranno pavimentati con sampietrini e il manto stradale, completamente rifatto dal sottostrato, sarà ricoperto di asfalto di ultima generazione drenante e fonassorbente che, come sottolinea Boccalatte, «grazie alle sue caratteristicherenderà la strada decisamente più sicura e porterà ad un notevole abbattimento dell’inquinamento acustico ed atmosferico». «Ottenere il placet dalla Sovrintendenza - spiega il delegato alla Manutenzione - a sostituire i sampietrini con l’asfalto è stata per noi una grande soddisfazione ed è la controprova che quando si portano progetti seri e si instaura con la Sovrintendenza un dialogo costruttivo è possibile ottenere il parere favorevole all’utilizzo dell’asfalto». Sui ritardi accumulati, poi, Boccalatte chiarisce: «Avremmo voluto terminare l’intervento nei tempi prestabiliti ma sfortunatamente vi sono stati degli imprevisti durante i lavori eseguiti, in contemporanea, dalla Napoletanagas che sta provvedendo a sostituire ampi tratti di tubature vetuste con altre moderne che garantiranno standard di sicurezza decisamente più elevati e che hanno rallentato, ovviamente, anche le operazione a cura della I Municipalità in quanto abbiamo dovuto attendere che la Napoletanagas risolvesse gli inconvenienti riscontrati». Un accenno anche alle altre arterie urbane dissestate: «Mi auguro - incalza - che finalmente anche l’amministrazione comunale ottenga il via libera dalla Sovrintendenza per sostituire i sampietrini in alcune strade di sua competenza che necessitano di tale intervento per garantire la sicurezza di chi le percorre come, per esempio, Parco Margherita. È strano che come Municipalità abbiamo ottenuto il placet prima per via Tasso ed adesso per Viale Maria Cristina di Savoia mentre il Comune sostiene che all’amministrazione centrale, nonostante si dicano pronti ad intervenire, viene negato». Nella centrale via dei Mille, accanto alle più note griffes di abbigliamento e accessori moda, è presente dal 2008 anche la Tabaccheria Moggio. Qui, oltre ai prodotti e servizi che abitualmente offrono le rivendite dei monopoli, è possibile scegliere tra una vasta gamma di articoli da regalo, tutti esclusivamente made in Italy, che garantiscono un ottimo rapporto qualità-prezzo. In vista delle feste natalizie, poi, oltre alla già ricca offerta “tradizionale”, la tabaccheria Moggio ha in serbo tante sorprese e iniziative da destinare alla clientela più affezionata. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (15) (16) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 STORIE&IMPRESE TEATRO SANNAZARO, LA SERATA DELLA PREMIAZIONE Napoli protagonista con il «Masaniello» Lidia Girardi Celebrazione dei volti della Napoli che brilla nei campi più vari, dall’imprenditoria alla cultura, all’impegno sociale. Riconoscimento per chi, mescolando talento, abilità e intraprendenza, ha messo in risalto con se stesso la città intera e la sua autenticità. Il premio Masaniello ha compiuto 10 anni e ha festeggiato il suo compleanno in grande stile con una serata, organizzata al teatro Sannazaro lo scorso 27 settembre, trascorsa tra musica, canto e suggestive performance artistiche. Sala gremita per una cerimonia che ha avuto modo di esistere anche grazie ai tanti sponsor aderenti, tra cui Marinella e Sartoria Condotti. Sul palco, a presentare i premi legati dal tema “Napoletani protagonisti nel mondo”, Lorenza Licenziati e Sasà Trapanese, accompagnati nella lettura delle motivazioni da Federica Flocco e Umberto Zito, che con la sua voce ha conquistato i tanti presenti. Anime della manifestazione, che ogni anno si arricchisce e sorprende: Luigi Rispoli, ex presidente del Consiglio provinciale di Napoli, il vulcanico Umberto Franzese, coordinatore del comitato scientifico dell’Aige, coadiuvati nell’organizzazione dalla dinamica giornalista Laura Bufano. In un affollato teatro Sannazaro, hanno ricevuto il «Masaniello», opera dello scultore Domenico Sepe: il cantautore Nino Buonocore; il pizzaiolo Enzo Coccia; Maurizio Fiume e Giuseppe Grispello per l’intenso documentario “Una bella giornata”; il Console Onorario delle Filippine Francesca Giglio; l’attrice Angela Luce; Gianni e Pino Maddaloni per la sezione sport; il direttore dell’Istituto degli Studi Filosofici Gerardo Marotta; il direttore de Il sole 24 Ore Roberto Napoletano; la costumista Odette Nicoletti; il ricercatore scientifico Francesco Orio; l’imprenditrice Maria Giovanna Paone; il direttore dell’Accademia di Belle Arti Giovanni Pisani; il cantante Antonello Rondi; la gallerista Ria Rumma; il ricercatore scientifico Franco Salvatore; l’editore Ruggero M. Savarese; l’imprenditore Paolo Scudieri e il pasticciere Sabatino Sirica. Particolarmente toccante il momento della consegna all’attrice Angela Luce del premio alla carriera, che ha sollevato dal pubblico un prolungato scroscio di applausi. Entusiasmo e condivisione, dunque, per le scelte del comitato scientifico presieduto da Luigi Rispoli e composto da Laura Bufano, Francesco Bellofatto, Gianna Caiazzo, Ettore Capuano, Giovanni Celestino, Max De Francesco, Ettore Forestiere, Massimiliano Franzese, Umberto Franzese, Carlo Iandolo, Franco Lista, Fortunato Rossi e Sergio Zazzera e della giuria, di cui hanno fatto parte Mario De Cunzo, Francesca Cicatelli, Vittorio Del Tufo, Ottavio Lucarelli, Mariano Marmo, Anna Paola Merone, Antonio Sasso, Giovanna Scala, Mariella Utili. Durante la serata il pubblico è stato intrattenuto dallo spettacolo “Napoli crogiolo di culture”, che ha visto esibirsi artisti come Dominga Andrias, Ana Rosarillo ed Ernesto Bravo Perez in “Alegrias de Càdiz” per poi essere “alleggerito” dalla comicità di Peppe Iodice, anche lui premiato per i suoi successi locali e nazionali. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (17) studioo ossani ssani Professionisti Pr ofessionisti nella consulen c consulenza al tuo servizio Lo Studio Ossani è una solida e affidabile realtà partenopea dal 1996 che opera con serietà e affidabilità nella consulenza aziendale, fiscale, contabile, societaria e finanziaria. Oggi lo studio si compone di molteplici professionisti ionisti in grado di offffrire un servizio di consulenza a 360°, capace di sostenere e guidare il cliente nello sviluppare il proprio business. 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Dialogo e gioco di squadra Per chi lavora con lui, che sia operaio o ingegnere, con esperienza di ferro o ultimo arrivato, bandisce il termine “dipendente”, optando per un più umano “collaboratore”. Basta questo a far capire come Pasquale Ranieri (nella foto), titolare e amministratore unico della “Ranieri impiantistica” di Ottaviano, più che di imprenditore freddo e calcolatore, abbia il volto e il cuore di un pater familias. Punto di riferimento, al lavoro come sotto al tetto domestico. Sarà perché in quell’azienda è custodito quasi un secolo di storia della sua famiglia. Ed essere lì è un po’ come sentirsi a casa. Sarà per indole e carattere gioviali che lo portano a radicare, anche quando si parla di affari, un clima disteso, in cui l’imperativo è la collaborazione. «Si vince insieme, si perde insieme – dice orgoglioso – È un gioco di squadra, nessuno può pensare di fare tutto da solo, ci si dà una mano a seconda delle inclinazioni e specializzazioni». Ranieri eredita da suo padre Michele, negli anni ’80, l’impresa messa in piedi a cavallo tra ‘800 e ‘900 dal bisnonno, pioniera nell’area vesuviana per impianti di riscaldamento e depurazione. Quattro generazioni di uomini a capo di un’impresa oggi specializzata nella realizzazione, installazione e manutenzione di impianti di trattamento dell’aria, di depurazione di acque reflue per industrie, idrico-sanitari, antincendio, elettrici, fotovoltaici, che garantiscono comfort, sicurezza e risparmio energetico. Con l’ultima generazione Ranieri vanti del- l’azienda diventano la climatizzazione e refrigerazione per strutture industriali ed alberghiere, centri commerciali e multisale, che portano la ditta a spingersi anche oltre regione, curando gli impianti all’Honda palace di Roma e all’ospedale civico di Codogno (Lodi). Ma core business di “Ranieri impiantistica” è, senza dubbio, la sanità. «Gestiamo gli impianti del gruppo presidio ospedaliero “Pineta Grande” di Castel Volturno, del centro polidiagnostico “Medicinafutura” di Acerra, della clinica cardiologica “Montevergine”», elenca Ranieri. Il giro di boa risale a qualche anno fa. L’occasione è stata un appalto per la gestione degli impianti di condizionamento, riscaldamento, antincendio e sollevamento idraulico nelle gallerie della Circumvesuviana, vinto in una congiuntura negativa per il mercato. «In momenti come quello devi capire se vuoi fare l’imprenditore o no – spiega – Io ho scelto di rischiare, firmando un contratto dal quale non ci si può tirare indietro, stipulato con un ente pubblico». Da lì, l’impennata. Nuove assunzioni, un ridisegno dell’assetto dell’azienda e nuovi sbocchi. «È stata una scelta lungimirante. Abbiamo intrapreso un percorso di sistemazione di problematiche di sicurezza o energetiche relative alla Circum. Nonostante il settore in sofferenza, da questo appalto ci hanno affidato anche la tratta di Metrocampania nord-est, da Giugliano a Benevento. È stata l’occasione per trasferire una piccola azienda di 7 persone, orientata prevalentemente all’installazione di impianti, ad organizzarsi per dare un servizio più ampio alla clientela, curando anche la fase progettuale e quella manutentiva e irrobustendo la squadra che oggi conta 15 professionalità». I cardini dell’azienda? Il primo: il dialogo. « Il nostro lavoro è la nostra vetrina. Alla base c’è un confronto per creare un impianto che sia come un abito a misura, per entrare nell’ottica della committenza». E ancora: aggiornamento continuo e specializzazione. «Credo nella formazione. È un investimento che frutta, si ampliano le competenze dei ragazzi e li si abitua a un nuovo modo di lavorare e pensare». E infatti tutte le maestranze sono altamente specializzate e in possesso di qualifiche a seconda dei settori di competenza: dall’idraulica alla meccanica, dal campo elettrico al termico. E sul panorama del business oggi, Ranieri è limpido: «L’imprenditore rischia in proprio. Noi abbiamo volutamente marginalizzato il settore pubblico, in cui lavoriamo dando in outsourcing i nostri requisiti, collaborando con altre aziende. La torta del lavoro c’è, bisogna saperla dividere». CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (19) (20) CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (21) STORIE&IMPRESE LA SQUADRA DI CALCIO NATA DALLA PASSIONE DI CHIANTONE E CARRELLA Carrella Group, quando lo sport è favola Adriano Padula Metti insieme due amici che hanno uno smodato amore per il calcio; aggiungi un gruppo forte ed entusiasmante di «malati» del pallone ed ex calciatori professionisti, i quali sono disposti ancora ad affidarsi alla poesia del gol e all’inseguimento di un sogno; amalgama il tutto con un team dirigenziale di qualità e un pool di aziende pronto a partecipare economicamente per il successo del progetto. Da questo cocktail di uomini e passioni, di programmazione e desiderio di mettersi in gioco, è nata, nel luglio scorso, la FC Carrella Group, squadra di formidabili amanti dello sport che, da quest’anno, partecipa al duro e seguitissimo Torneo Intersociale, prestigiosa competizione calcistica partenopea che dal 1958 appassiona e scalda cuori e gambe della città di Napoli. Se la Carrella Group è diventata realtà lo si deve innanzitutto alla tenacia di Lucio Chiantone e Giovanni Carrella i quali, dopo tanti anni di esperienza vissuti prima come calciatori e poi come (22) tecnici, un bel giorno hanno deciso di impegnarsi in un’altra avventura, stimolante benché difficile, con l’obiettivo supremo di «fare squadra», diffondere la nobiltà del gioco pulito e la bellezza aggregativa del dopo gara. Niente è affidato al caso in questa sfida di Chiantone e Carrella. I due, che di pallone ne capiscono, sanno bene che l’Intersociale è torneo ostico, di notevole spessore tecnico, animato da rivalità territoriali, dove tra “vecchie CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 glorie” e atleti in cerca di gloria, la condizione fisica e psicologica è di fondamentale importanza. Per questo motivo il piano settimanale per la preparazione della partita del sabato prevede intensi allenamenti con e senza palla, preziose sedute di tattica e partite amichevoli che, spesso, prevedono anche postpartita con cena di gruppo, in cui calciatori e dirigenti continuano a tavola a discutere di formazioni, moduli e ripartenze. Non c’è sogno senza programmazione e sostegno economico. Se Lucio Chiantone e Giovanni Carrella sono i motori instancabili del team, lo staff dirigenziale rappresenta «l’uomo in più» della squadra. Citiamo, ad esempio, i presidenti Franco Carrella e Carmine Esposito, che non fanno mai mancare il loro entusiasmo contagioso prima, durante e dopo le partite; impossibile non ricordare la determinazione dei dirigenti Nino De Nicola e Fortunato Guariglia, pronti a indossare calzoncini e scarpette e ad allenarsi insieme alla squadra, e l’impegno degli sponsor Carrozzeria Carrella, Bar Serpentone e Mam, senza i quali l’Intersociale rimaneva un sogno nel cassetto. Non sappiamo dove potrà arrivare Carrella Group in questo primo campionato: di certo ne seguiremo le gesta, convinti più che mai che lo sport è favola e il calcio, come diceva Javier Marìas è romantico «recupero settimanale dell’infanzia». CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (23) STORIE&IMPRESE PRESENTATO AL GAMBRINUS IL LIBRO «COMME FACETTE MAMMETA» Renato Rocco, il filosofo del calembour Per essere seri bisogna saper ridere, diceva Charlie Chaplin. E di certo Renato Rocco, autore del libro «Comme facette mammeta», analisi semiseria a sfondo antropologico della canzone napoletana, conosce la serietà della vita e l’opportunità di alleggerirla. Nel volume, edito da Homo scrivens e presentato al Caffè Gambrinus ad ottobre, Rocco parla infatti con grande serietà di quella Napoli nobile e nobilissima, plebea e accattona, romantica e perdigiorno a cui si ispirano le note e i versi di musicisti e parolieri. Ma non perde mai la lanterna magica dell’ironia. Lo strumento col quale Diogene (24) cercava l’uomo, metaforicamente viene utilizzato dall’autore per illuminare il lato umoristico delle parole, spodestando i luoghi comuni e spiazzando di continuo il lettore. L’autore suggerisce, insomma, un nuovo punto d’osservazione, dal quale inevitabilmente parte la risata che si nutre dell’intelligenza, il tratto distintivo di Rocco. Da «Il doppio giogo» (Savarese, 2002) a «Colmo di Fulmine (Ed. del Delfino, 2004) e «Mettersi in sposa» (Ed. del Delfino, 2005) fino a «Il motto che parla» (Savarese 2012) le risate che suscitano i suoi aforismi, i suoi giochi di parole e calembour, come CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 scrive sapientemente Raffaele Messina nella prefazione del libro «non sono risate a perdere». «La risata non è fine a se stessa, ma viatico per osservare il mondo da una prospettiva insolita e, in fin dei conti, potenzialmente penetrante». Al giocoliere delle parole è stata dedicata una serata organizzata dall’infaticabile moglie Pinarosa Cerasuolo, moderata dalla giornalista Laura Cocozza e arricchita dalla partecipazione del pianista Vincenzo Caruso e della soprano Ilaria Iaquinta, con letture dell’attore Patrizio Rispo, e interventi del saggista e consulente editoriale Raffaele Messina, dell’esperto di comunicazione Umberto D’Oriano e dello scrittore ed editore Aldo Putignano. Comunicare significa arrivare al pubblico, sorprenderlo e convincerlo. Renato Rocco, affidandosi alla leggerezza dell’ironia, giocando con le parole e “trasformando” il refuso in genere letterario, è un grande comunicatore. Chi legge i suoi calembour si accorge che potrebbero essere adottati da pubblicitari e spin doctor. Chi s’inoltra nella lettura di questa sua ultima fatica letteraria, si accorge di come il suo occhio elegante e longanesiano si posi su tic, manie, ‘nzirie e riti partenopei con piglio indagatore e l’arguzia di un moralista del ‘700. Deliziose le analisi delle canzoni napoletane, che Rocco smonta e profana esclusivamente per amarle di più. Sorprendente per originalità e acutezza la seconda parte del volume, dedicata alla critica spassosa di memorabili proverbi napoletani, tra cui segnaliamo lo straordinario capitolo sul numero “tre”, che per i napoletani rappresenta «la via di fuga, la porta sempre socchiusa a una soluzione di ripiego, la logica della scappatoia. Sempre ammiccante, sempre devastante». (foto di Ciro Orlandini) STORIE&IMPRESE A VIA PARTENOPE LA NUOVA SFIDA DI PAOLO SCUDIERI Eccellenze Campane, il gusto del mare bellezze del Golfo. Un format che sarà esteso anche ad altre città e che consentirà di distribuire, attraverso una rete di hub, i prodotti d’eccellenza del Made in Campania. Oltre alla gastronomia più tradizionale e allo street food, saranno due le specialità che saranno servite nel nuovo store: la pizza all’acqua di mare di Guglielmo Vuolo e il Panuozzo “Caponata” alle alici di Cetara dei Fratelli Manzi. Eccellenze Campane è il polo agroalimentare di Napoli che riunisce piccole imprese campane operanti nei diversi settori dell’enogastronomia, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare le eccellenze agroalimentari direttamente dal “produttore” al “consumatore”, concentrando in un’unica struttura le migliori produzioni regionali. Inaugurato a via Brin nel gennaio del 2014, in meno di due anni di vita il contenitore dedicato alle eccellenze agro-alimentari della Campania è diventato a pieno titolo un punto di riferimento per la città e per chi è impegnato nel settore. Oltre 1,5 milioni di visitatori e circa 665 mila specialità rigorosamente made in Campania prodotte, 100 mila pizze e 70 mila panuozzi sfornati, oltre 400 mila caffè e 95 mila sfogliatelle servite: sono solo alcuni dei numeri che testimoniano il suo successo. Qui, infatti, hanno trovato spazio piccoli produttori ma grandi prodotti che hanno conquistato la città. Un polo gastronomico innovativo per formula e contenuti territoriali, che si estende su una superficie Eccellenze campane, il taglio del nastro della sede di Via Partenope di 2.000 metri quadrati dedicati alla produzione, alla commercializzazione e alla somministrazione dei prodotti agro-alimentari d’eccellenza. In tutto 520 posti a sedere, 8 aree di produzione (panificio, birrificio, pastificio, caseificio, torrefazione, pasticceria, cioccolateria e gelateria) e 12 aree di ristorazione. L’Aula Magna di Eccellenze Campane è il luogo dedicato all’informazione, all’edu- cazione, alla cultura e all’organizzazione d’eventi. La struttura è diventata fulcro di molte attività che si sono svolte in città, un luogo dedicato all’informazione, all’educazione e alla cultura, sede di corsi di cucina, degustazioni, didattica per bambini e congressi. Con 70 posti a sedere, è dotata di tutta la strumentazione e i confort per garantire momenti di qualità. All’interno dell’Aula Magna, inoltre, è possibile svolgere lezioni di cucina grazie all’ausilio di una cucina mobile. Si chiama Eccellenze Campane Mare l’ultima creatura enogastronomica di Paolo Scudieri, presidente di Eccellenze Campane, in un luogo che rappresenta il salotto di Napoli: una struttura di circa 200 metri quadri, location mozzafiato con vista su Capri e Posillipo. Il logo di Eccellenze Campane Mare è caratterizzato da una stella marina, a ricordare le Ed Eccellenze Campane Mare è anche shop. Presso lo store del lungomare, infatti, è possibile prenotare e acquistare le specialità della Terra del Buono, come pasta, pane, birra, dolci, conserve o la mozzarella di bufala Dop, realizzata esclusivamente con latte fresco di bufala proveniente dagli allevamenti dell’area di origine protetta. In alternativa, è attivo il servizio d’asporto: è possibile ricevere i prodotti di Eccellenze Campane direttamente a casa, in ufficio o dovunque ti trovi. La consegna sarà effettuata con la macchina elettrica, sostenibile al 100% per offrire sempre prodotti locali che creano valore per il territorio. CONSULENZA IN MATERIA CONDOMINIALE E IMMOBILIARE - Servizi di gestione condominiale ordinaria e straordinaria - Servizi di natura fiscale e aziendale - Servizi di iscrizione a ruolo presso il Tribunale - Servizi di consultazione e ricerca presso la Conservatoria Per Info: tel/Fax 081.19804242 www.studiopasqualemarigliano.it Via Chiaia n° 160 - 80121 Napoli CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (25) DIVINAZIONE IL MITO E I GIORNI Sagittario, fuoco calmo La nona fatica di Ercole rappresenta la via che il Segno deve percorrere per la piena coscienza di sé Rosamaria Lentini Con il Sagittario si chiude la terna dei Segni dell’elemento Fuoco. Alla fiamma schioppettante e sfavillante dell’Ariete, a quel fuoco appena acceso e ancora un po’ incerto, segue quella del Leone, il fuoco che è divampato, con la sua fiamma prorompente e vivida. Infine c’è il fuoco del Sagittario, che può essere paragonato alla brace: coperta dalla cenere, non dà un calore violento, ma può durare molto più a lungo. Il Sagittario, a meno che - caso abbastanza frequente - non si dedichi allo sport attivo o al viaggiare esprime la sua vitalità con il pensiero. Nessun altro Segno dello Zodiaco è capace di pensare tanto rapidamente e tante cose contemporaneamente come i Sagittari. Il desiderio, che caratterizza i Segni di fuoco, infatti, fa sì che il nativo del Segno, proprio a causa del «calore della brace», sia animato continuamente da una specie di vulcano mentale, capace di trarre una serie d’incredibili (26) conclusioni, spesso pertinenti, ma sempre troppe e, pertanto, spesso irraggiungibili. Passare dalle idee agli ideali, se non c’è un buon senso della realtà, è un passo facile e allora i nativi di questo Segno partono per voli pindarici, pronti a scalare la facilissima - secondo loro - vetta del mondo. Da queste poche parole potrebbe sembrare una disgrazia avere il Sole di nascita nel IX Segno: non è assolutamente così. Basti pensare che è proprio da queste caratteristiche, infatti, che nasce il maestro, a volte dedito all’insegnamento scolastico altre, ad un livello più elevato, orientato ad essere un Maestro di Vita. L’uccisione degli uccelli di Stinfalo è la nona fatica di Ercole e bene illustra la strada che deve percorrere il Sagittario per liberarsi da tutto ciò che ingombra la sua mente e quindi la sua vita. La storia è questa: in una palude dell’Arcadia vivevano degli orridi uccelli dalle piume metalliche che lanciavano come frecce contro le loro prede. Il loro rumore era CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 assordante e, inoltre, erano uccelli di morte, devastatori dei raccolti e divoratori di uomini. Ercole, per sterminarli, ricorre a un ingegnoso artificio: costruisce dei piatti di bronzo che poi percuote vigorosamente, spaventandoli talmente da farli volare via terrorizzati dagli alberi dove erano nascosti e trasformandoli, in tal modo, in un facile bersaglio per le sue frecce. Il conseguimento dei significati più ampi del Sagittario, che rappresenta la nona casa dello zodiaco fisso, può appartenere solo alla piena maturità della nostra esistenza, quando finalmente possiamo dire basta a quel rumore che ci ha disturbato, ma che era ineliminabile se volevamo partecipare alla perpetuazione della vita dell’Universo. Il Sagittario allora, con la sua brace calma e silenziosa, ci apre la finestra sul nostro universo, quello che sapremo trovare dentro di noi e che ci potrà dire qualcosa su quello tanto più grande nel quale abitiamo. [email protected] LE CARTE DEL DESTINO Maurizio Pacelli LA BILANCIA DELLA GIUSTIZIA “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada”. Così recita il Vangelo attribuito a Matteo, a significare che il compito di ognuno di noi deve essere quello di manifestare la propria Verità. Testimoniare in ogni atto la propria essenza, distinguere, separare il bene dal male, attenersi al principio della giusta azione, non nel senso del comportamento che può avere un effetto utile dal punto di vista individuale, ma fare ciò che è necessario in base ad una sorta di etica morale universale a prescindere dal proprio tornaconto contingente. L’applicazione di questa necessità comporta l’assunzione, talvolta, di posizioni scomode che possono persino arrecare uno svantaggio: l’importante è concorrere a perseguire un concetto ideale di bene che dovrebbe corrispondere ai nostri bisogni più profondi dal punto di vista individuale e, contemporaneamente, alle necessità dell’ordine universale. Come in cielo così in terra, come sopra così sotto. Tutto ciò non si ottiene senza pagare un prezzo, molto spesso costoso, bensì attraverso la lotta senza tempo con i nostri demoni. È nel conflitto che emerge la Verità, ed è nel conflitto che l’uomo può evolvere ed accedere a livelli di coscienza sempre maggiori. La Giustizia denota il processo della “giusta azione” e non è un caso che sia raffigurata da una donna, una Grande Madre, in questo caso la figura femminile più anziana del Tarot: la dea Maat. Secondo il Libro dei Morti dell’antico Egitto, questa divinità presiedeva al rito della psicostasia, ovvero della pesatura delle anime. Giunti all’ingresso dell’aldilà, il defunto, ac- compagnato dal nostro traghettatore Anubi (Le Mat) doveva presentarsi al cospetto della dea Maat e mostrare il suo cuore che doveva essere posto sulla bilancia per verificare se esso era davvero leggero come un piuma di struzzo. Solo in questo caso gli era concesso di varcare la soglia, altrimenti veniva dato in pasto alla temibile Ammit, la divoratrice. Un cuore leggero denota una vita condotta nella Verità, cioè testimoniando senza indugio la propria essenza, per quanto scomodo possa essere. Leggero non come una qualsiasi piuma ma come quella di struzzo, unico animale che avrebbe le piume tutte uguali. Attraversare la soglia significa aver vinto la propria battaglia per la verità, essere diventato un Eroe. La Giustizia è essa stessa un varco. Dopo le prime sette lame che compongono la fila terrestre, quella dell’esperienza nella materia, si apre la fase dell’apprendimento del servizio agli altri, un percorso che si concluderà con Temperanza. La nostra anima chiede di esprimersi e di guidare la nostra vita, con sempre maggiore forza. Attraversata la soglia nulla sarà più lo stesso. Per questo bisogna arrivare alla meta puri, nella Verità, altrimenti saremo divorati dai nostri stessi demoni e potremo solo degenerare senza nessuna speranza di conseguire il nostro compito di vita. La Giustizia è una carta severa. Impone di trovare un equilibrio tra pulsioni contrapposte e di decidere per la retta via. Come? Attraverso il profondo ascolto interiore, quel cuore nascosto tra le vesti della Dea a mostrare che anche le azioni necessarie, apparentemente nocive, possono rivelarsi assolutamente benefiche per se stessi e per gli altri. [email protected] saper vivere CULTURA / COSTUME / RELAX / MOVIDA / EVENTI / CURIOSITÀ Gaeta, i tre giorni dell’identità Pietro Golia Il XXIII Convegno Tradizionalista della Fedelissima Città di Gaeta, tenutosi dal 16 al 18 ottobre 2015, è stato il convegno della svolta. Significativamente il titolo era: “Identità in movimento”. Il punto di partenza è stata la rilettura del Regno delle Due Sicilie, della sua storia, delle sue scelte in termini culturali, economici, sociali, delle alleanze internazionali. E anche dell’opposizione al liberismo, alla cultura illuminista e alla egemonia anglosassone, i padroni del mondo di allora. Questa visione complessiva dei rapporti sociali e del grande sviluppo ritorna come destinazione futura del Nostro Sud e dell’Europa. Era ed è un’alternativa totale da costruire. Quello dei Borbone, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, fu il tentativo in parte riuscito di economia pubblico-privato che vedeva lo Stato imprenditore coesistere con un sistema produttivo privato molto avanzato, in quei tempi, sul piano della socialità e della solidarietà. Per i sistemi dominanti allora era una modernizzazione di progresso e di giustizia sociale che li superava tutti. Durante la tre giorni di Gaeta sono stati trattati diversi aspetti legati alla storia e alle tradizioni del Sud ma anche argomenti di stretta attualità, come le nuove strategie portuali per il Sud, la distruzione del patrimonio storico e architettonico di Napoli, le dinamiche geopolitiche della Russia di Putin o la salvaguardia dell’ambiente e delle colture e culture meridionali. Sono intervenuti scrittori, giornalisti, docenti e ricercatori universitari, antropologi, economisti, medici e musicisti: Sergio Bilotta, Vincenzo Giannone, Aldo Vella, Ivan Guidone, Adriana Dragoni, Aldo Manna, Paolo Borgognone, Giancarlo Amorelli, Mimmo Della Corte, Dario De Maio, Felicia Di Paola, Gianni Morra, Francesco Iaccarino, Massimiliano Verde, Gaetano Troisi, Marina Lebro, Gaetano Marabello, Claudio Saltarelli, Francesco Palmeri, Angelo Acampora, Guido Belmonte, Alessan- Intellettuali a confronto sul futuro del Sud e sui mali della globalizzazione dro Sansoni, Fabio Fusco, Stefano Arcella, Giuseppina Focaccio, Annamaria Nazzaro, Ferdinando Melchiorre, Andrea Ianniello, Assunta Terzo, Luca Longo, Luigi Branchini, Nicola Abiuso, Domenico Scafoglio, Simona De Luna, Alfonso Piscitelli, Riccardo Caniparoli, Gennaro Rispoli, Roberto Martucci, Loreto Giovannone, Miriam Compagnino, Gianni Turco, Véronique Autheman e Edoardo Vitale. Il convegno, organizzato dalla rivista “L’Alfiere” e dalla casa editrice napole- tana “Controcorrente”, è stato anche il ricompattamento nella complessità di tutto il mondo del possibile e delle disponibilità di quanti al Sud debbano alzare la testa e si debbano battere per liberare, unire e rendere indipendente la nostra terra. Occorre quindi una criticità totale e una riflessione a tutto campo su Napoli e sul Sud. È possibile incanalare e scardinare le pigrizie intellettuali del folclorismo, dei nostalgici inchiodati all’archeologia storica e a miti incapa- Ciao Nuccio, re del saper vivere Nuccio Apolito apparteneva al club degli esagerati, in cui l’ingresso è consentito esclusivamente a chi ha l’orrore del silenzio e tende a non voler passare inosservato. Imprenditore, ammuinatore della dolce vita partenopea e capitolina, mattatore di notti shakerate e pokerate, quando spuntava da via Chiaia era impossibile, nell’infinità dei passanti, non riconoscerlo e seguirne il tragitto. Camminata distratta, giacche mai toccate dal dono della sobrietà, occhiali briatoreschi, capigliatura curata e gestualità da avanspettacolo accompagnata da fragorose risate così simili a quelle di Alberto Sordi. Era un ago che desiderava farsi trovare nel pagliaio. Nemico della solitudine e delle mezze misure, uomo non di ragionamenti ma di sentimenti, spesso indecifrabili persino ai familiari e agli amici più cari, rinunciò da subito a una vita normale e comprensibile per coltivare quel senso di libertà e d’evasione, suo personale antidoto contro le imboscate della vita. Fuoriclasse nel prendersi gioco di se stesso e degli altri, produceva dosi massicce di bugie, quasi sempre per strappare un sorriso, confondere il destino e somigliare ai suoi eroi Tognazzi e Celi, coristi del “vaffanzum” in Amici miei, film prediletto insieme a quelli di Totò. Quando irrompeva in redazione mostrava con felicità fanciullesca foto di party esclusivi che lo ritraevano in compagnia di vip e belle donne. Per anni quegli scatti gioiosi hanno arricchito le pagine del saper vivere di Chiaia Magazine, di cui era un devoto sostenitore. Ora che il suo tempo terreno è finito, troppo presto, in una giornata bucaiola di settembre, continuo a vedere Nuccio Apolito, per gli amici “Nuccillo”, per me zio Nuccio, per i figli “il Nocio”, seduto ai tavolini del bar del Teatro Sannazaro, in rigorosa camicia turchese e improbabili mocassini, mentre ride esageratamente raccontando bugie a un amico che lo sta pure a sentire. (mdf) citanti? Il Sud può rinascere contando sulle proprie forze, che sono tutte eccellenze e unicità? Può rivendicare un’autonomia, una sovranità politica, economica, monetaria, culturale, linguistica, agroalimentare? Lo stato di crisi di questi giorni affonda le sue radici nelle contraddizioni dell’Ottocento. Palestinesi e talebani ci dimostrano come si può fronteggiare la violenza dell’invasione e della globalizzazione. Il vittimismo, i piagnistei non portano da nessuna parte. Così come pure lo stillicidio di piccole polemiche. La crisi è provocata da un egemonismo liberista e turbofinanziario che sta moltiplicando contraddizioni e destrutturazioni di mentalità e di vita. Le stesse politiche alimentari sono ostaggio dell’affarismo e della speculazione internazionale. Si oppone un fronte del rifiuto spontaneo, globale e perfino antropologico. Ovunque nascono nuove soggettività ribelli. Ovunque si concretizza un nuovo sconfinato antagonismo, una guerra civile mondiale. In quest’età del caos, gli Stati Uniti da potenza dominante si sono trasformati in un paese che vede l’oppositore russo diventare da assediato stato assediante. Nello stesso tempo, potenze regionali come la Germania sono ridotte sulla difensiva, perdendo credibilità acquisite nel corso degli ultimi decenni. Mentre paesi come l’Iran, il Giappone, l’India si stanno trasformando in potenze globali. Gli scenari sono radicalmente mutati in pochi mesi, fino al punto di vedere rinascere la Via della Seta – quell’insieme di rotte commerciali che congiungeva l’Asia Orientale al Vicino Oriente e al bacino Mediterraneo – con l’accordo tra russi e cinesi, che qualche anno fa sembrava impossibile. Questo fronte di stati, popoli e culture è coalizzato contro il progetto globalizzatore, che è costretto ad arretrare. Il Mediterraneo ha riacquistato la centralità perduta ed è destinato a riprendersi quella funzione e quel ruolo che gli competono. Possiamo essere presenti come Sud sovrano, libero e indipendente? CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (27) ARTE HORN Ma Dan, fiori onirici Livia Iannotta La bambina vestita di rosso di cui non si vede mai il volto, piccola e tondeggiante, col caschetto e un fiocco rosso cucito dietro le spalle, saltella da un quadro all’altro di Ma Dan. Un alter ego dell’artista, si è pensato, o meglio ancora una chiave di accesso ai suoi sogni. Come un piccolo Virgilio, che prende per mano lo spettatore e lo accompagna in uno spazio onirico ovattato, dove libertà e innocenza si fondono in un idillio verde, scintillante. L’artista cinese approda con il suo bagaglio di sogni e tinte pastello a Napoli, esponendo per la prima volta in Italia, alla galleria Al Blu di Prussia, lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo diretto da Mario Pellegrino, con la personale “Half Dream – Flower Blooming” (Mezzo sogno - Fiori sboccianti), mostra proposta dalla Galerie Pièce Unique di Parigi di ritorno a Napoli dopo due anni. Proprio nelle due sedi parigine della galleria (rue J. Callot e rue Mazarine), Ma Dan ha fatto il suo debutto in Europa la scorsa primavera. Sotto al Vesuvio espone, fino al 13 novembre, un corpus di circa 15 lavori di vario formato, alcuni dei quali realizzati appositamente per la rassegna partenopea. Dipinge sogni esotici l’emergente artista cinese, nata nel 1985 nella provincia dello Yunnan dove nel 2011 ha ottenuto un master alla Yunnan University Institute of Arts e da cui le sue opere sono partite (28) per essere esposte negli Stati Uniti, a Taiwan, a Pechino e in diverse fiere internazionali. E lo fa con delicati tocchi di pennello, ricomponendo visioni e riportandole alla loro forma d’origine. Nel modo di macchiare il supporto e di trattare il paesaggio, ricorda alcune opere di Henri Rousseau che ha dipinto la lussureggiante vegetazione tropicale in una sorta di atmosfera onirica che conserva la memoria dei tempi antichi. Ma anche Dalì, Miro e tutti i pittori surrealisti. Tratti netti e rotondi, scenografie a metà tra reale e fiabesco: con Ma Dan la fantasia volteggia. In un mondo semplice, tutto sommato, ma che nasconde nelle pieghe oniriche una forte carica ideologica. La scelta del cartone animato, infatti, deriva dal fatto che questa forma visiva è in grado di semplificare la realtà, come se l’artista costruisse un mondo nuovo per purificare il proprio io parlando ad un bambino. L’ego, per gli artisti cinesi, è una vera e propria sfida. L’arte, la rappresentazione visiva in genere, diventano allora mezzi per confrontarsi con se stessi e dare sfogo all’intimo. Questo perché dopo gli anni Settanta il Paese ha cambiato volto e la memoria nazionale sta lasciando spazio a frammenti di ricordi personali. È con i dipinti che Ma Dan trasmette emozioni e immaginazione. Ed è tramite le immagini che invita a partecipare e condividere le sue gioie e le sue tristezze per curare, attraverso l’arte, il dolore dell’alienazione. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 Nel 2002 disseminò in piazza del Plebiscito più di 300 teschi in ghisa. Dieci anni dopo “Spiriti di madreperla”, tornò a Napoli dedicando un’intera mostra alle “capuzzelle” e ai temi della rinascita, della reciprocità fra la dimensione della vita e quella della morte. Dopo tre anni dalla sua ultima tappa all’ombra dl Vesuvio, Rebecca Horn torna allo Studio Trisorio (Riviera di Chiaia, 215) con l’esposizione “The Vertebra Oracle in Napoli 2015”, dal 10 ottobre al 31 dicembre. Per l’occasione saranno presentate sculture e disegni legati alla poesia, ma chicca della mostra è senza dubbio la grande scultura “Revelation of a Tree”: rami in bronzo, estensioni meccaniche che convergono nel centro di energia di un albero. Occhio di riguardo Le scissioni di Leckey Il confine tra arte e quotidianità è sottile, in alcuni casi si annulla. Le opere di Mark Leckey, artista britannico, sono tutte così, sospese a metà tra ciò che è tangibile e ciò che è astrazione mentale. Non è l’unico binomio, questo, che trasuda dalla sua arte. Cultura alta e cultura popolare, fisicità e virtualità, copia e originale, singolo e collettività, umano e tecnologico sono tutte inestricabili articolazioni del mondo contemporaneo, continuamente e inevitabilmente definito da una molteplicità di sollecitazioni e fattori che mettono in crisi il concetto di identità unica e immutabile, e sono tutte puntualmente sviscerate, analizzate da Leckey. Le nuove produzioni dell’artista, insieme ad un’ampia selezione di opere storiche, saranno in esposizione al Madre fino al 18 gennaio 2016 nella mostra dal titolo “Desiderata (in media res)”, a cura di Elena Filipovic e Andrea Viliani e organizzata in collaborazione con Wiels, Bruxelles e Haus der Kunst, Monaco di Baviera. Si tratta, tra l’altro, della prima retrospettiva e prima mostra personale in un’istituzione pubblica italiana dedicata a Leckey, vincitore nel 2008 dei prestigiosi Turner Prize e Central Art Award. Accanto a quell’iconico video del 1999, “Fiorucci Made Me Hardcore”, sulla cultura musicale giovanile dell’epoca, che portò l’artista sotto i riflettori internazionali, ci saranno sculture, installazioni, performance e video tesi ad esplorare il modo in cui valori, narrazioni, simboli, feticci, oggetti ridefiniscono la sfera dei nostri desideri e fantasie più intime, plasmando la nostra identità e le nostre memorie. MICHELE TEMPESTA ARTE Vita da circo nel docufilm di Cuomo IL REGISTA IRPINO RACCONTA LA QUOTIDIANITÀ DI UN EX ACROBATA, UNA CAVALLERIZZA E UN DOMATORE DI LEONI Lidia Girardi Quello che spinge Luigi Cuomo (nella foto), giovane regista avellinese, a realizzare un documentario sul mondo dei circensi è un vuoto bambinesco da colmare, il fascino misterioso di quella gente che non ha dimora fissa, ma incardina certezze ad una roulotte che viaggia di città in città. Un microcosmo, quello del circo, che rapisce a tal punto Cuomo da decidere di farlo diventare il tema del suo diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia de L'Aquila con un documentario dal titolo “Costellazioni”: «Quando ero piccolo ero affascinato dal circo ma non tanto dagli spettacoli in sé bensì dalla vita di quegli uomini. Per me erano delle persone strane e allo stesso tempo fiabesche, che avevano deciso di consacrarsi allo spettacolo Dipingere col mare viaggiante e di sfuggire, in qualche modo, alle regole della società». Il documentario gira intorno a tre figure principali: un ex acrobata, ormai allenatore di bambini, da cui è amato follemente; una cavallerizza che si barcamena tra il ruolo di madre e quello di artista e un addestratore di leoni, la cui forza lascia il posto alla tenerezza di una normalità familiare, a tratti riconoscibile e ordinaria. La chiave che Cuomo sceglie per raccontare la vita di questi personaggi fuori dal comune è quella della semplicità di vite vissute nella straordinarietà di un contesto che è attraente e sfavillante ma che smette di esserlo quando l'artista sveste i panni del circense e indossa quelli dell'uomo normale, indaffarato tra banali impegni e con- versazioni più o meno importanti. Cuomo spiega: «Il nostro lato razionale non ci fa provare più empatia per questo antico mestiere che i circensi svolgono con grande cura e dedizione. Io ho voluto raccontare questo mondo con gli occhi di un bambino, senza dare giudizi preventivi, lasciandomi trasportare dagli eventi e cercando di restituire le emozioni provate durante il periodo passato con loro, al circo». Non è sempre facile capire l'importanza di una scintilla che ti porta a vincere la forza di gravità o altre volte la paura. Forse è dato a pochi il dono di essere circensi nell'anima, disposti a tutto pur di sentire accendersi quella luce, per poi ritornare alla quotidianità. Lo stesso Philippe Petit, funambolo francese, un uomo normale, nel '74 attraversò le Torri Gemelle, privo di protezioni, su un cavo di acciaio perché, come ha più volte dichiarato, si sentiva vivo solo in “quel che c'è sopra la strada”, l'aria. Viene celebrato come l'uomo che “camminò sulle nuvole” anche nel nuovo film diretto da R. Zemeckis “The walk”, in questi giorni in uscita in Italia. La grande dignità, le difficoltà, l'amore per un lavoro che è una scelta di vita sono solo alcuni degli elementi che Cuomo descrive nel suo “Costellazioni”, armato di ammirazione e di uno sguardo che non giudica ma accarezza le vite che racconta. Il suo lavoro è stato appena premiato con il Vesuvio Award come miglior documentario e il Lab80 per la distribuzione nell'ambito del Napoli Film Festival. Acquerelli di mare. Sembrano dipinti così, con sbuffi di onde, i fogli di Franco Barbato (nella foto), artista napoletano classe 1961. E la mente corre subito a quel Plasson, pittore del libro di Baricco, che cercava gli occhi dell’oceano ritraendo «il mare con il mare». A Napoli, fino al 2 ottobre, ha esposto la sua personale presso il Centro culturale Tre orizzonti (via Costantinopoli, 104). Esposizione che ha incantato e che ha segnato l’avvio della stagione di eventi culturali del Centro Tre orizzonti: uno spazio in cui incontrarsi e conoscersi attraverso la meditazione zen e lo yoga, convegni, mostre, sala da te e lettura, momenti di vita. Ci sono paesaggi solitari negli ac- querelli di Barbato. Abitati da nessuno. Qualche volto in primo piano, intravisto appena nella fluidità del colore. I contrasti si stemperano in un amalgama di nuances chiare, soffici, quasi trasparenti, luci diafane, contrasti freddi e caldi che si mescolano sulla carta. L’immagine quasi palpita. Traendo forse ispirazione dalle suggestioni della Costiera sorrentina dove, dal 2000, vive e lavora, l’artista restituisce agli occhi di chi guarda la morbidezza dell’indefinito. Lo spiega bene il filosofo Aldo Masullo: «Di tutte le virtù somme dell’umano vivere, la più dimenticata sembra essere la “gentilezza” (…). La situazione coinvolge anche le arti, in cui oggi si confonde con attardato patetismo la morbidezza dei contatti tra gli elementi, e le si oppone come innovativa la durezza degli attriti e delle disarmonie, quasi la crudeltà fosse catartica. Il linguaggio dell’acquerello nella sua fluida levità è certamente alieno da ogni sia cromatica sia figurativa durezza». Barbato si avvicina all’arte negli anni ’70, esponendo da allora in mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Si avventura poi in ricerche artistiche che lo avvicinano ad espressionisti tedeschi come Rounault Chain Soutine. Il mare, dai suoi pennelli, è venuto fuori da quando il paese di Nerano è diventato casa sua. ULTIMO REPERTO LA VOCE DI MARCO BAGNOLI Campeggerà nell’atrio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, fino al 13 novembre, l’installazione dal titolo “Ultimo reperto” con cui l’artista Laura Cristinzio propone e “interpreta” la “Villa di Poppea” a Oplonti, sintetizzandone spazi e illusioni prospettiche, affreschi e mosaici. Due pareti parallele di acciaio cor-ten e di metacrilato rosso, composte ciascuna da 12 pannelli incernierati larghi 1 metro e alti 2, rimandano all’antico contesto e in particolare a un triclinio, alludendo fra l’altro alla presenza della La prima versione dell’opera fu realizzata tra il ’74 e il ’75. Si presentava come una scala a pioli incastrata nel muro dello studio-abitazione milanese dell’artista, tagliandolo diagonalmente. Dal 10 ottobre, l’arte “che parla” di Marco Bagnoli sarà in esposizione al Madre fino al 29 febbraio 2016. L’intervento, intitolato “La Voce. Nel giallo faremo una scala o due al bianco invisibile”, rientra nel progetto “L’albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte”, a cura di Achille Bonito Oliva e con il patrocinio di Expo Milano donna e ricordando, con i frammenti sparsi sul pavimento, l’eruzione del 79 d.C. che seppellì la villa. Completano l'installazione due Polipedi e due Mense in metacrilato. SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI 2015. Bagnoli (che si divide tra disegno, pittura, scultura, installazione ambientale e sonora) nella nuova versione dell’opera ne altera la conformazione. La scala si sviluppa dall’interno della sala (nel secondo cortile del museo), travalica il tetto e si espande nell’ambiente esterno. «La voce - come scrive l’artista - è emessa da un’ampolla e si dilatata in un riverbero sonoro che confluisce, attraverso il prolungarsi della raggiera dei pioli della scala, in un punto esterno alla stanza, dove è disposto il Sonovasoro». Il testo? Naturalmente è tratto dal «menù di un pasto LIVIA IANNOTTA napoletano, scandito secondo un ordine matematico e combinatorio di pietanze che, alla fine, prolifera senza sosta: ogni parola è un lampo». ANTONIO BIANCOSPINO CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (29) LIBRI&NOVITÀ LIBRIDINE Aurora Cacopardo Saggio Un secolo di bella gente GIOVANNI GRIECO INCONTRA SAN FRANCESCO SANDRO CASTRONUOVO ENTRA NELLA GALLERIA DEI «NAPOLETANI DELL’OTTOCENTO» CON IL LIBRO EDITO DA STAMPERIA DEL VALENTINO divertente nel secolo detto dei vecchi fusti, di Nel mare magnum di libri, opuscoli, dispense su personaggi di primo piano, accanto o in mezzo ai Napoli, sulla sua storia sempre più ricca e quali si sono distinti altri personaggi, della cui rivelatrice di tante curiosità, diventa molto difficile esistenza l’autore fa opera di promozione orientarsi in libreria, impossibile contare su quel “riparatoria”. Rileggendo e completando il percorso naturale fiuto, un tempo assecondato dall’offerta di vite importanti - ma dimenticate - ce ne mostra contenuta di per sé selettiva. Questo, in generale. la vera personalità, la vera natura quando però ci si imbatte in oltre quella conosciuta, o presunta autori come Sandro tale. Sono sedici ritratti, scolpiti con Castronuovo, che ha dato alla la chiarezza e la fine ironia, tipica e nostra città opere originali, ben nota dell’autore, capace di fondamentali, sulla Nunziatella, passare dal serio al semiserio senza via Toledo e altri siti sacrali calcare la mano: vanno da Salvatore come Posillipo - di cui ci svela Cammarano, il poeta che si sentiva aspetti nuovi, spesso inediti ispirato solo se passeggiava sotto il attento com’è a non cadere mai porticato di San Francesco di Paola nelle trappole insidiose dei a Eugenio Torelli Viollier, il luoghi comuni - si è subito napoletano traduttore di Dumas per attratti, anzi è spontaneo campare, poi fortunato fondatore fermarsi, assaggiare e acquistare del Corriere della Sera. Una galleria qualche sua primizia. Stavolta affollatissima di figure sorprendenti, però Castronuovo mi ha in cui affiora la vita avventurosa di preceduto inviandomi a casa il Michele Cuciniello, autore e suo nuovo lavoro: “Napoletani donatore del famoso presepe di San dell’Ottocento - Profili di Martino, amante di capanne e personaggi tra cronaca e Storia” pastori ma innamorato del teatro (Stamperia del Valentino): il NAPOLETANI come commediografo, di un amore tempo di riceverlo, aprirlo in un DELL’OTTOCENTO però non corrisposto da successo. tardo pomeriggio, e mentre lui Tra questi straordinari ritratti in si sincerava per telefono se lo Sandro Castronuovo prosa, dovessi dare ad uno l’oscar avessi o mai ricevuto, potevo Stamperia del Valentino della simpatia, lo darei senza alcun già rassicurarlo di averlo letto e 160 pagine dubbio a Francesco Proto - il duca gustato. Passa il tempo, di Maddaloni. Ineguagliabile cambiano i gusti, nascono e epigrammista costretto a duellare finiscono come meteore per le conseguenze della sua vena satirica, sempre scrittori e narratori dopo stagioni di gloria e di galleggiamento ma Castronuovo con il suo speciale pronto a mettere in croce mezza Napoli, che oggi filone Napoletano conserva sempre la stessa vitalità però si sarebbe dissanguato più di un duellante per la richiesta in voga di risarcimenti-capestro. descrittiva e creativa. Non vi perdete questo libro, esso vi consente di fare un viaggio interessante e ALDO DE FRANCESCO Alzheimer, il racconto di una figlia NUOVA EDIZIONE NEL SEGNO DI MUNTHE DEL LIBRO DI NUCCI A. ROTA «LA BIMBAMAMMA» «La bimbamamma» (Iuppiter Edizioni), racconta le vicende della sociologa milanese Nucci A. Rota, napoletana per parte di padre, alle prese con la madre affetta dall’Alzheimer. L’opera è autobiografica e ripercorre il decadimento di Luisella, la mamma, e soprattutto il calvario della figlia Nucci. Condensate in un centinaio di pagine ci sono tutte le sensazioni provate dall’autrice, a partire dalla lotta contro questo male insinuante che cambia il carattere e trasfigura persino il volto del malato, fino all’accettazione della nuova situazione in cui la forte e bella madre è divenuta una creatura fragile di cui (30) prendersi cura. Una vicenda in cui molti potranno riconoscersi, raccontata con dolcezza e onestà. Il registro usato dalla scrittrice è colloquiale in ogni aspetto e il tono amichevole conferisce all’opera il taglio giusto per avvicinare al dolore della protagonista e della sua «bimbamamma» anche coloro che non hanno vissuto l’esperienza di accudire una persona malata. L’opera di Nucci A. Rota è alla seconda edizione, arricchita della storia di un’altra donna, la napoletana Paola che col suo motorino corre per il quartiere Sanità tra la scuola dove insegna e la casa del padre malato, accudito da CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 una badante e dal vecchio indesiderato amico. Attraverso Paola e il marito, medico geriatra a Capri, Nucci «incontra» un altro medico, che di Anacapri fece la sua luce e la sua vertigine: Axel Munthe. Con la conoscenza dell’opera del geniale medico svedese, l’autrice intraprende un interessante discorso sulla “bellezza” come palliativo contro il male della mente. Un’opera da scoprire fino all’ultima pagina, che oltre a dare sollievo emotivo a coloro che convivono con una persona amata rapita dall’Alzheimer, dà informazioni utili per affrontare l’inevitabile decorso clinico. MARIA NEVE IERVOLINO Nel dubbio, di fronte ad una realtà dove pare avere la meglio l’ingiustizia ed una serie di dolori privi di logica, lo scrittore Giovanni Grieco, docente di medicina del lavoro nell’Università Federico II di Napoli, autore di saggi scientifici, in “San Francesco d’Assisi - Dialettica del mercantilismo e della povertà” (LibreriadelSanto.it Edizioni), esprime la volontà di superare l’indifferenza, comune a tanta gente, nel tentativo di narrare la vita di Francesco d’Assisi sottolineando quell’“oltre” che va al di là del tempo e dello spazio. Ed è una vita, quella del Santo, che si legge nei suoi scritti, una vita difficile, lontana dalle descrizioni patinate che, spesso, ricorrono nei lavori su Francesco. Una vita narrata attraverso i dolori del giovane d’Assisi, le sue contraddizioni, la sua quotidianità, in una sorta di errare nei recessi più profondi dell’animo umano. Ed è sorprendente come in tutto il testo troviamo una tavolozza cromatica che ci riporta alla semplicità del Santo innamorato del Creato «...che parla alle cicale e predica ali uccelli», antesignano della moderna ecologia, nell’alternarsi di luce e buio, nella trasparenza degli occhi, nello specchio dell’acqua che rifulge tra l’erba, nell’ombra profumata degli alberi, nei prati di viole e di papaveri, nel pallore di un volto sofferente. È forse il simbolo di una rigenerazione, di un ritorno allo stato di purezza, di una traiettoria circolare che torna al punto d’origine? Il professor Grieco, con un denso excursus attraverso la storia del pensiero, enfatizza l’incontro avvenuto nella piazza del Comune di Assisi tra Francesco e suo padre. Nella piazza c’è un’umanità attenta ma sorpresa, curiosa e nostalgica, c’è la Chiesa ufficiale rappresentata dal Vescovo, c’è sua madre e c’è il padre, il mercante Bernardone che reclama “giustizia”. Nel concitato incalzare degli eventi, Francesco si spoglierà di tutto e restituerà al padre gli abiti che indossava, dicendo: «Padre, questo mi hai dato e questo ti restituisco», restando vestito solo del suo corpo, cercando un varco verso quel briciolo di luce che permette di scorgere la dimensione dell’infinito. È chiaro che per l’autore Bernardone incarna lo status del “mercantilismo” verso il quale è in atto un processo da millenni perché esso provoca grandi sperequazioni e povertà, non solo contro la libertà delle singole coscienze ma anche immoralità della vita sociale. La povertà dimezza l’uomo. La predicazione di Francesco tende a riportare l’uomo sulla terra nella sua vicenda quotidiana non con atteggiamenti mistici ma con la concretezza della volontà dei limiti biologici dell’esistenza che talvolta possono condizionare la libertà dello spirito. Il lavoro del professor Grieco sul Santo di Assisi con le evocazioni, risonanze, analogie, con la pregnanza delle immagini che suscita porta senza dubbio - il lettore ad un interesse immediato. LIBRI&MUSICA La vita scorre in un «Cinema all’aperto» nonostante la sua estraneità al paese dell’infanzia. Chi per un attimo ha dilatato gli spazi è la donna della porta accanto, Caterina, la vicina di lavoro che incastra l’uomo in un groviglio d’innocenza e inganno che potrà sciogliersi solo nella violenza di un evento dal quale uscirà l’uomo nuovo. Nella ragazza in fiore e nella donna navigata i rapporti spazio-tempo s’invertono, rendendo la prima uno schermo spalancato nel buio coi suoi affascinanti segreti e la seconda un’ombra sullo schermo vista dal sicuro delle pareti di una stanza. Nel gioco delle parti, interrotto da un tragico imprevisto, il sogno del ragazzo in partenza con la madre verso il paese diventa per l’uomo, finalmente consapevole della sua vita non vissuta, il viaggio a ritroso nel tempo. Ecco, sul grande schermo delle scelte, la via da percorrere, perché i sentieri spezzati, gli anni perduti trovino il loro sbocco e il loro respiro. Nel ritorno, sono i fantasmi a fargli strada e i sogni da battistrada, ma la meta è finalmente la vita col suo presente e col suo futuro e con il primo, quasi dimenticato amore. Non è un censimento nostalgico né un museo d’ombre quello che l’autore ci propone con un linguaggio attento e consapevole che sembra, talvolta, mettere ali alla narrazione. E a tal proposito, particolarmente allusiva può apparire la scelta dei nomi di uomini e fantasmi del paese. Le sorelle benefattrici, amiche d’infanzia della madre, si chiamano Pietra e Angelina, l’una àncora di salvezza, l’altra spirito benefico di Rosa che nei sogni del figlio sboccia ogni volta più bella e giovane. Il cognome è Colombo, (l’allegoria non ha bisogno di spiegazioni); il fabbricante di formaggio ha il nome del fiore più profumato di ogni serra, Giacinto. Il notaio che sancisce all’uomo la riacquistata dignità si chiama Palumbo e il pescatore dai capelli fiammanti ha il nome di chi fa per mestiere da tramite tra terra e cielo. Lo schermo luminoso del cinema all’aperto riproporrà forse i personaggi che hanno popolato la fantasia del bambino. Diventerà forse un cinema d’essai, ma con le sedie di legno, rigorosamente cigolanti. All You Can Eat è il titolo dell'ultima opera discografica degli Slivovitz, gruppo jazz-rock partenopeo attivo dal 2001 e composto da Pietro Santangelo (sax tenore e alto), Marcello Giannini (chitarra elettrica e acustica), Riccardo Villari (violino acustico ed elettrico), Ciro Riccardi (tromba), Derek Di Perri (armonica), Vincenzo Lamagna (basso) e Salvatore Rainone (batteria). Dopo l'album d'esordio omonimo Slivovitz (Ethnoworld, 2006), seguito da “Hubris” (MoonJune Records, 2009) e da “Bani Ahead” (MoonJune Records, 2011), dunque a quattro anni di distanza dall'ultima registrazione in studio, la band allestisce un vero e proprio simposio musicale con “All You Can Eat”, prodotto artisticamente da Slivovitz e Fabrizio Piccolo per la prestigiosa etichetta newyorchese MoonJune Records di Leonardo Pavkovic. Menù tutto strumentale per le raffinate papille di un pubblico fatto di convitati che anche attivamente hanno contribuito, attraverso il crowdfunding, alla realizzazione della più recente impresa del settetto napoletano. 8 le tracce e 8, si sa, è il numero simbolo dell'infinito. Sono appunto infiniti i mondi che gli Slivovitz esplorano e che si schiudono all'ascolto di “All You Can Eat”. Il disco, infatti, tiene insieme diversi generi, coniuga jazz-rock, afro-beat, funk, progressive e sonorità etniche, mediterranee e orientali, in composizioni completamente originali in cui l'individualità di ogni musicista è esaltata nella dimensione collettiva. 8 dunque le pietanze da assaporare, ognuna ispirata a gusti tradizionali ed esotici sempre in modo sperimentale. Si comincia con “Persian Nights”, brano che ha il ritmo di un'epica notturna da “Le Mille e una Notte”, segue il polemos forte e teso di “Mani in Faccia” e la levantina “Yahtzee” con fiati che albeggiano e aprono a momenti di sfrenata energia ed eleganza compositiva, si continua con l'ardire magico-avventuroso di “Hangover” e le dense e risolute tinte funk della sinestetica Currywurst. A sigillare tutto è “Oblio”, drammatico nel senso della pura azione, non più solo narrata, ma provata, il linguaggio di ogni strumento diventa allora quello immediato dell'accadere che va verso un finale chiaro e dilatato nella melodia e nell'armonia. L'uscita ufficiale dell'album è prevista per il prossimo novembre, ma, per chi non volesse restare a bocca asciutta, è già disponibile on line dallo scorso settembre. MARIA REGINA DE LUCA SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI DOPO «LIBRERIA BELLA ESTATE», SERGIO CALIFANO PUBBLICA IL SUO SECONDO ROMANZO IN CUI IL PROTAGONISTA VIVE «A RITROSO» TRA SOGNI E RITORNI Nel suo ultimo libro, “Cinema all’aperto”, (Iuppiter edizioni, 2015), Sergio Califano sembra porre nell’epigrafe una delle possibili chiavi di lettura. Se per Pirandello è l’amore che "ride del tempo", nel percorso lungo il quale l’autore ci conduce per mano è la vita stessa che elude le coordinate del tempo percorrendone le circonvoluzioni a ritroso negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, mentre i confini del suo piccolo mondo si dilatano dalle pareti della casa ospitale e dalla chiesetta di San Michele fino al mare. Il paese delle sensazioni infantili si conserva saldo nella memoria, si rifugia in un angolo del cuore e ride del trascorrere del tempo. Le sue case, i suoi sentieri, la piccola piazza e, dalla finestra, arioso quanto il mare, lo schermo del cinema all’aperto, meta rituale delle serate estive, sono lo sfondo permanente delle sensazioni tra le quali quella del cigolio delle sedie di legno del cinema è il tramite perché l’incontro magico tra schermo e platea diventi emozione, memoria, voglia di ritorno, vittoria sul tempo e sulla vita. La sensazione, accucciata nel caldo della memoria e cera vergine dell’emozione, diventa "sentimento del tempo" insieme al sapore del formaggio paterno, dei capelli rossi del gigantesco Angelo-arcangelopescatore di abissi, delle salde amicizie, del primo amore. Stratificazione profonda di ogni successiva sovrastruttura il borgo è lì, nel sostrato profondo della memoria dove la verità non coincide con la realtà, ma la supera e la stravolge secondo il bisogno di chi la evoca. Se il cinema all’aperto è spazio e linea d’orizzonte che si sposta all’infinito come quella del mare, l’intesa con i personaggi e i luoghi del mondo infantile è per l’uomo adulto punto di partenza e di ritorno, coordinata spaziale che non cerca ancoraggi nel tempo. È tra quelle case antiche, tra vigneti e mare, nella piccola chiesa, nella casa ospitale e nel cinema all’aperto che le promesse non mantenute potranno realizzarsi, rifiorendo sulle rovine di una vita quasi non vissuta, come lo è un film visto da una finestra senza scricchiolii di sedie e respiri sui quali sintonizzare i propri nel buio complice della sala. Anche Laura è un film visto dalla finestra, SOBRIO RACCONTA IL VENERDÌ SANTO Sono tanti gli autori di gialli che si cimentano nella scrittura di romanzi ambientati a Procida. Vuoi perché la piccola isola adagiata di fronte al golfo di Pozzuoli è rimasta intatta, selvaggia, isolata dal “jet set” della vicina Ischia, vuoi perché ricca di scenari impregnati di mistero che alimentano il proliferare degli scrittori di genere. Ma l’opera “Il Mistero di Venerdì Santo” di Antonio Sobrio, scrittore, classe 1977, è tutt’altra cosa. Perché si può scrivere di qualsiasi luogo prendendo spunto dal web, documentandosi su enciclopedie, visitandolo e risiedendovi per un po’ di tempo, ma le sensazioni che produce, i particolari che vuole far scoprire di sé, li può Slivovitz, mix di sonorità in «All You Can Eat» descrivere con tale precisione solo chi in quel luogo è nato e vissuto. Chi quel luogo lo ha “assaporato”. E questa sensazione, leggendo il libro di Sobrio, si percepisce immediatamente. I luoghi descritti, simboli radicati dell’isola, Terra Mura, la Processione di venerdì Santo, I Misteri, Il Bagno penale sono “stereotipi” descritti con la devozione di chi li ha vissuti, o addirittura studiati. Non a caso Sobrio porta avanti varie iniziative di carattere sociale legate alla valorizzazione e salvaguardia del territorio. La storia si apre su un venerdì santo, giorno della processione dei misteri. Una persona scompare. Quattro suoi amici, tre uomini e una donna, sono alla ricerca del suo corpo, in un avvincente percorso attraverso sotterranei, catacombe, l’ex carcere abbandonato, tra arte, cultura, storia e mistero, in un misto di sacro e profano, sullo sfondo delle straordinarie bellezze dell’isola. Ma la stessa trama sembra marginale rispetto al messaggio che Sobrio vuole trasmettere con le pagine del suo libro. Il suo intento è puntare un riflettore sulla sua terra. Scrive, infatti, nella nota finale: “Il mio augurio è che questo libro possa dare alla luce la visibilità che Procida merita, attirando più persone possibili ad ammirare la sua storia e la sua naturale bellezza”. Un doppio consiglio che possiamo dare al lettore: acquistare il libro, ma tuffarcisi solo dopo aver raggiunto, e perché no soggiornato qualche giorno sull’isola di Sobrio. ROSARIO SCAVETTA CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (31) SOCIETÀ&COSTUME La VII edizione della rassegna culturale, ideata da Claudio Finelli e organizzata nel salotto del Chiaja Hotel De Charme, vedrà la partecipazione di Erri De Luca Poetè, inno agli equilibri Livia Iannotta Libri e autori che restano confinati nell'ombra. Storie dimenticate o tenute ai margini. Racconti che sembra riguardino solo alcuni. Quello che altrove passa in sordina trova il dovuto spazio a Poetè, il ciclo di incontri infusi di teina, ideato da Claudio Finelli (nella foto a lato), che strizza l’occhio su cultura ed editoria, con particolare attenzione alle discriminazioni su identità di genere e orientamento sessuale. Proprio per ribadire questo messaggio, la settima edizione della manifestazione lancia il claim «Nella vita è questione di Equi-Libri», che condensa in sé il senso della rassegna letteraria, cioè trasformare scrittura e lettura in strumenti funzionali a scardinare pregiudizi e luoghi comuni per una società più equa. Fitto il calendario d'appuntamenti pomeridiani (inizio alle 18.30), che da ottobre a maggio animeranno il salotto del Chiaja Hotel De Charme, messo a disposizione dal patron della manifestazione Pietro Fusella, imprenditore napoletano che ha fatto del suo hotel un luogo di ritrovo culturale della città. Tra le case editrici in rasse- (32) gna figura anche quest’anno Iuppiter Edizioni, che il 3 marzo presenterà “Levania, rivista di poesia”, agile semestrale diretto da Eugenio Lucrezi che accoglie testi inediti di poeti italiani e stranieri, tavole di artisti contemporanei e numerose recensioni. Tra i prossimi incontri, invece, ricordiamo, il 6 novembre, un Poetè speciale con Erri De Luca. Il 12 novembre è la volta di “Tutta un’altra storia” di Giovanni Dall'Orto, con incursioni poetiche di Brane Mozetič e Gasper Malej. Si prosegue con “H dalle 7 piaghe” di Ariase Barretta (18 novembre); “Orrore Vesuviano” di Francesco Costa (26 novembre); “Avrei fatto la fine di Turing” di Franco Buffoni (3 dicembre); “Teste matte” di Guido Lombardi e Salvatore CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 Striano (10 dicembre); “La madonna dei mandarini” di Antonella Cilento (17 dicembre). All’alba del nuovo anno in programma: “Do Not Disturb. La Grande Tribù” di Claudio Finelli e Mario Gelardi (14 gennaio); “La buona legge di Mariasole” di Luigi Romolo Carrino (21 gennaio); “Presidente, la mia è una famiglia” di Rosaria Iardino (27 gennaio); “Altri canti di Marte” di Paolo Isotta (4 febbraio); “Il peso del vuoto” di Umberto Cortese (18 febbraio); “Quale amore” di Gioconda Marinelli (10 marzo);“I femminielli” di Marco Bertuzzi (17 marzo). E ancora: omaggio alla Memoria Perduta del Teatro a cura di Maria Giovanna Grifi (7 aprile) e “Non c’è labirinto più chiaro” di Salvador Espriu (13 aprile). Il 19 aprile doppio Poetè con “Il ring degli angeli” di Stefano Paolo Giussani e “Genere e linguaggio. Le parole dell'uguaglianza e della diversità”, a cura di Fabio Corbisiero, Pietro Maturi e Elisabetta Ruspini. La rassegna si chiude il 17 maggio, con un Poetè speciale in occasione della Giornata Internazionale di Lotta all’Omotransfobia con i libri e gli autori della collana di letteratura LGBT della Milena Edizioni. POST-IT Nell’ambito della rassegna culturale Poetè, il 6 novembre, il salotto del Chiaja Hotel De Charme ospita un incontro speciale con lo scrittore Erri De Luca (foto in basso). Un pomeriggio che sarà occasione per il pubblico di dibattere su temi di letteratura, libertà e diritti civili insieme ad un testimone prezioso, e talora scomodo, dei nostri tempi. L’autore napoletano ha pubblicato quest’anno il libro “La parola contraria”, un pamphlet sulla libertà di parola, edito da Feltrinelli, in cui esprime anche il proprio pensiero sul processo risoltosi con un’assoluzione piena perché «il fatto non sussiste» - in cui era accusato di istigazione a delinquere per aver espresso in alcune interviste opinione favorevole al sabotaggio della Tav, durante le accese proteste in Val di Susa. Mastroberardino, emozioni a Pompei Cala il tramonto sulla magia dell’anfiteatro di Pompei. Le pietre si accendono di colori e poi della luce lunare piena e rossa in prossimità dell’eclissi o, forse, della poesia. È il 26 settembre e nell’anfiteatro, all’interno degli incontri di “Pompei. Un’emozione notturna, si presenta “Frammenti” di Piero Mastroberardino, libro d’artista edito da Il filo di Partenope, con l’intervento della giornalista Natascia Festa, degli artisti Lino Fiorito, Vincenzo Rusciano, e di chi scrive. La scrittura di Mastroberardino consegna, in questo libro, la poesia al frammento. Ma che cosa significa scrivere frammenti oggi? Significa riannodare il filo della poesia ad una tradizione letteraria che affonda le radici, alla fine dell’Ottocento, nell’opposizione decadente tra l’aridità razionalistica e l’esigenza di salvaguardare quella parte inconscia che alberga nell’io; significa avere una consapevolezza della unità compositiva e della lingua così forti, da poter procedere poi alla loro frammentazione (infatti questo libro è prima di tutto frutto di una selezione rigidissima); significa, infine, compiere una scelta fortemente attuale. Il frammento, infatti, come ci avverte la filosofia del Novecento, è la cifra della modernità poiché modernità è dispersione, moltiplicazione delle prospettive, deflagrazione del senso. Il luogo del frammento è la metropoli moderna con i suoi richiami, le sue accelerazioni, i suoi continui choc percettivi. Eppure questi frammenti (idee, impressioni, riferimenti, citazioni, residui che Benjamin chiama stracci) proprio attraverso la speculazione filosofica o l’immaginazione artistica possono essere redenti, perché nella loro singolarità, nella loro solitudine, fanno emergere particolari, significati nuovi. Così il frammento mettendo in comunicazione dialettica ciò che è stato con “ora”, ci sottrae alla tirannia di un tempo sempre uguale. La sapienza degli editori, Lina Marigliano e Alberto D’Angelo, dà forma di libro al progetto di Frammenti associando ad ogni frammento poetico una tavola di un artista: un artista diverso per ogni frammento per un totale di dodici. Sono: Aquilanti, Balatresi, Balsotti, Fiorito, Fioroni, Nocentini, Ohanjanyan, Paci Dalò, Rusciano, Spaziani, Tomaino, Viparelli. È significativo che ogni artista abbia lavorato separatamente, conoscendo solo il frammento assegnato. Frammentazione doppia, frammentazione dei frammenti. Frammento poetico e tavola formano un’unità poeticovisiva completa, ottenuta attraverso l’intreccio di due fogli che costituiscono un piccolo fascicolo non numerato. L’assenza di numerazione permette di comporre e scomporre secondo ordini diversi. Con l’ordine muta il significato: i frammenti acquistano suoni, sensi, luci diverse. In questo senso plurimo, la poesia ritrova la sua natura polisemica. ENZA SILVESTRINI SOCIETÀ&COSTUME Sarnelli e le donne di Napoli Livia Iannotta «I miei lavori riassumono le mie due anime: quella mediterranea, passionale e l’altra che mi trascina verso la musica contaminata, straniera, che mi fa tirare fuori tutta la rabbia che una città come Napoli è capace di scatenare». Una voce, quella di Monica Sarnelli, cantante napoletana classe 1966, capace di vestire due spiriti, sperimentare, mescolare ritmi e suggestioni. Come quel “Neapolitan power, I feel”, album antologico del 2009 e perfetta sintesi artistica, in cui le reinterpretazioni dei classici della canzone partenopea, da Carosone a Califano, convivono con le tracce ruggenti del jazz e del blues made in Napoli. Musica “meticcia” e per questo sorprendentemente potente, che ritorna anche nell’ultimo lavoro discografico, in uscita a fine novembre. «Sarà un cd tributo a “Chesta sera”, la canzone che mi ha fatto entrare nelle case degli italiani, che festeggia i dieci anni dall’uscita – racconta –. Un album con tante sorprese, canzoni edite e qualche inedito. Ma soprattutto omaggi al Neapolitan Power e a Enzo Avitabile, James Senese, Pino Daniele, gli Showmen». Artista verace, timbro caldo ma graffiante, la carriera della Sarnelli è stato un crescendo: dal primo disco, un 45 giri con il brano “Amo”, pubblicato con la Emi ad appena 15 anni, a “Notte lenta” del 2012, con cui riscopre la musica d’autore napoletana, passando per la soap “Un posto al sole” a cui ha prestato la voce per la sigla e con cui ha fatto capolino nel panorama nazionale. «Sono nata con una grande passione per il canto che ho coltivato sempre con amore e dedizione - dice -. Dal primo contratto discografico ho imparato tanto lavorando come vocalist per Antonello Venditti, Loredana Bertè, Gino Paoli, Little Tony, ma soprattutto Peppino di Capri, uno dei miei grandi maestri, con cui ho girato il mondo calcando importanti palcoscenici». Ti stai misurando anche con il teatro. «Sì, 27-28 e 29 novembre sarò al Teatro Delle Palme per riproporre lo spettacolo “Sirene, sciantose, malafemmene ed altre storie di donne veraci”, scritto da Federico Vacalebre che intende omaggiare le grandi interpreti della canzone napoletana Ria Rosa, Gilda Mignonette, Mirna Doris, Angela Luce, Gloria Christian, Teresa De Sio, Lina Sastri, Giulietta Sacco e la donna in generale. Protagonisti sono sempre le canzoni e la mia Monica Sarnelli è tra le voci di Napoli più apprezzate. Tra i suoi lavori: “Lazzare felici vol 1 e 2”(2004 e 2007), “Neapolitan Power, I feel” (2009) e “Notte lenta” (2012). In uscita, a novembre, il nuovo album, tributo a “Chesta sera”. voce, ma mi sto divertendo perché recito anche un po’. Con me sul palco ci sono quattro musicisti, una ballerina di flamenco e un’attrice». E tu che donna sei? «Un concentrato di tutte le donne che racconto a teatro. In ogni donna ci dovrebbero essere una malafemmena, una sciantosa e un pizzico di veracità per essere completa». Con Napoli che rapporto hai? «Un rapporto di odio-amore. È una città complicata, chi riesce a restare è un eroe. Ma ai napoletani devo tanto. Il mio successo è arrivato grazie a loro, ancora oggi sono la voce della sigla di “Un posto al sole” e mi piace essere presente sul territorio». Buttando un occhio al futuro in cosa ti vedresti? «Sono una curiosa, mi piace contaminare e adoro le sonorità brasiliane, per questo vorrei riprendere un sogno che ho accantonato, cioè cantare in portoghese. E poi mi piacerebbe proporre ancora spettacoli teatrali. Non sono un’attrice ma so raccontare. Il teatro riesce a farmi avere un contatto più diretto con il pubblico: rispetto ai concerti nelle grandi location, si crea una magia particolare». Monica Sarnelli in un brano? «Scelgo “Chesta sera”, mi rispecchia molto». «I frutti del lavoro» contro le morti bianche Miete successi in giro per la Campania il documentario “I frutti del lavoro” del regista salernitano Andrea D’Ambrosio. Successo al Giffoni Film Festival 2015, dove è stato presentato il 20 luglio in una gremita Sala Lumière, applausi e riconoscimenti al Festival internazionale del cinema “Laceno d’oro”, al Fondi Film Festival e a Vibonati, borgo salernitano dal talento paesaggistico innegabile, dove il corto è stato girato. Protagonista della storia è Carlo, interpretato dall’attore Enzo Decaro, che ritorna in paese per insegnare in una scuola elementare. Qui si affezionerà a Dario, bambino vivace e sensibile, il cui padre ha un grave incidente sul lavoro. Il corto, sulle musiche di Daniele Furlati, consegna allo spettatore un finale a sorpresa tessuto tra realtà e magia. L’opera prodotta dalla società Iuppiter Group (Max De Francesco, Laura Cocozza, Maurizio Fiume) con il sostegno dell’INAIL e dell’Università di Salerno, i contributi del Parco Nazionale del Cilento, della Banca di Credito Cooperativo del Cilento e il patrocinio del Comune di Vibonati, si propone di sensibilizzzare istituzioni e opinione pubblica sul tema delle morti bianche e della sicurezza sul lavoro e di mostrare bellezze e tesori del Golfo di Policastro. Grazie alla qualità del cast - da segnalare l’esordio di Gabriele D’Aquino (nella foto) nei panni di Dario - e alle sinergie con enti pubblici e centri di aggregazione, il corto continuerà a partecipare ai festival dedicati ai temi sociali e agli eventi che hanno come obiettivo quello di promuovere, attraverso l’arte, il lavoro sicuro. MICHELE TEMPESTA Il favoloso mondo di Romolo Runcini Si spegneva poco più di un anno fa, Romolo Runcini. Lucano, classe 1925, insegnò Sociologia della Letteratura all'Istituto Orientale di Napoli e all'Università Sapienza di Roma e diresse la rivista “Labirinti del Fantastico”. Il 1998 segna l'inizio del suo amore per Procida, al punto da decidere di trasferirsi nell'isola dei pescatori e delle case color pastello. Insieme a lui portò circa ventimila volumi, partendo dai quali avrebbe voluto realizzare il Centro Internazionale di Studi sul Fantastico. Il suo sogno era quello di trasformare la sua bellissima casa, che affacciava sulla spiaggia della Chiaia, in un museo permanente di giocattoli e libri. Ma quando si rese conto che l’ambizioso progetto, la sua “stanza delle meraviglie”, non avrebbe mai visto la luce nell’amata isola, da lui stesso più volte definita “una stella caduta nel mare”, decise di ritornare a Roma dove continuò a dedicarsi alla scrittura di romanzi di vari generi, dall'horror al fantasy. Spetta a Runcini il merito di aver introdotto un genere letterario d'ispirazione inglese che in Italia faticò non poco ad attecchire: quello del romanzo gotico. Il tema della paura, i racconti di Edgar Allan Poe, lo stravolgimento di uno scorrere lineare del tempo e il rifiuto di qualsiasi codice sociale, sono solo alcuni dei tratti salienti della sua letteratura. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo “Illusione e paura nel mondo borghese da Dickens a Orwell”, “La paura e l'immaginario sociale nella letteratura” e “Il Gothic Romance”. I suoi studi, il senso profondo dell’esistenza volto alla ricerca di un mondo fantastico sono stati d'ispirazione per intere generazioni di scrittori. Per questo il 24 settembre l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli ha dedicato una giornata alla sua opera dal titolo “L'eccentrico e il fantastico” durante la quale è stato presentato il libro “Dal gotico al fantastico. Tradizioni, riscritture e parodie” a cura di Michela Vanon Alliata e Giorgio Raimondi. LIDIA GIRARDI CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (33) SOCIETÀ&COSTUME Night Storm SORRENTINO, IL DJ CHE STREGA IL MONDO Spirito alternativo Lidia Girardi Simone Spirito ha i capelli ricci, occhi scuri e un sorriso dalle mille sfumature. È un giovane cantautore napoletano che nasce come attore nella scuola del teatro Elicantropo. Ben presto però l’interpretazione di ruoli scritti da altri e non partoriti della sua mente, fa sì che Simone si avvicini alla musica, appagando quell’esigenza, così fortemente avvertita di raccontarsi. “Musica, dentro i miei occhi, sei l'unica che mi emoziona ancora...” (La canzone dell'imbelle). Una laurea in sociologia, tante esperienze teatrali importanti (ad esempio con gli “Ipocriti”, Massimo Ranieri) e l'incontro con Rocco Papaleo che, tra una pausa e l'altra dagli spettacoli, lo trascina nel suo personalissimo universo musicale. E così Simone s'innamora di nuovo di un “antico” interesse, quello per la musica, per qualche tempo tralasciato e nel 2013 esce il suo primo album “La Luce Del Mattino”, prodotto dalla Polosud Records. La musica è stato il modo per rasserenare la sua anima, la cura per abbandonare i suoi tormenti. Ma Spirito è convinto del fatto che la totale serenità personale non possa dipendere solo da un unico progetto. Nella vita, infatti, c'è sempre bisogno di “un piano B” che lungi dall'essere un motivo di facile arrendevolezza, è, anzi, uno stimolo a non chiudersi nel proprio mondo fatto di parole e di musica avulse dalla realtà. “Mio padre mi ha sempre detto di crearmi alternative, di non puntare solo su una cosa” confessa Spirito. Un amore per la musica, quindi, coltivato e curato nell'ordinarietà della vita stessa. Grande amante di Lennon, Nutini ma anche di Eduardo Bennato e della scuola cantautorale romana (Fabi, Silvestri e Gazzè, solo per citarne alcuni), Simone racconta come sia difficile “essere imprenditori di se stessi” in un panorama musicale in cui ci sarebbe il bisogno di avere più produttori che investano su delle idee e disposti a realizzarle potendo contare sulla grande determinazione e serietà di tanti giovani musicisti che cercano si ampliare il proprio bagaglio artistico. Per il cantautore gli incontri umani sono vitali, come quello, ad esempio, con il bassista Lorenzo Ska con cui si sta aprendo ad un genere più inglese, più europeo che caratterizzerà il suo prossimo album. Si definisce un inguaribile “malincomico”. Il vero filo conduttore della sua arte è la raccolta delle sue personalissime esperienze che poi diventano musica, una musica che nasce nello stesso momento in cui vengono alla luce le parole, ma che è sempre più allegra per compensare e, Bella gente Cristiano Amoroso Le sue specialità sono sulle tavole più trendy di Napoli e la moda dei “primi piatti” su facebook l’ha inventata. proprio lui. Motivi, questi, che giustificano la presenza di questo musicista, amante di Pino Daniele, tra la «Bella Gente» di Napoli. Il suo indubbio successo è dovuto soprattutto quando da chef provetto prepara «'O vermiciello a pummarola fresca e vasenicola». Giovanna Caiazzo L’arte delle pubbliche relazioni, quelle vere s’intende, è un privilegio (34) a volte, mascherare, la sua ironia malinconica. I pezzi, sempre chitarra e voce, trovano il loro abbellimento musicale solo in un secondo passaggio, quando la smania di raccontare lascia il posto al lavoro su di essa. La connessione, primitiva e istintiva, che crea Spirito con il suo pubblico è riscontrabile in ogni suo live. Tanti i club in cui si è esibito a Napoli e sempre grande è stato il riscontro del pubblico grazie alla sua personalissima cifra stilistica che diverte ed emoziona al tempo stesso. Perché Simone Spirito, in uno scenario così denso di nuove proposte, è anche e soprattutto questo: riconoscibile. “Qui nulla sembra statico, anche il dolore è elastico e tutto serve a non dimenticare quanto questo posto è pieno di energie d'amore” (Al Centro Storico). Simone si trasferisce pochi anni fa al Centro storico, nei pressi di piazza Bellini, nella casa di una nonna mai conosciuta. E qui, attraverso ricordi familiari e sue nuove esperienze, conosce una vita diversa, in un quartiere così intensamente e meravigliosamente napoletano. Come il suo centro storico è un gomitolo di viuzze che illuminate dal sole aprono lo sguardo a nuovi e immaginabili scenari, così Simone Spirito attraversa la realtà del quotidiano per interpretarla con tutte le sfumature del suo sorriso. Carmine Sorrentino, classe 1970, è uno dei Dj Producer più famosi al mondo; nella sua musica c’è tutta la sua passione, tutto il suo stile” Chic House”, ovvero un mix energetico di house soulful e vocal. Sorrentino è la storia della Musica Dance nel Principato di Monaco che tiene le redini della consolle del celebre Jimmy’z di Monte-Carlo dal 2003, coadiuvando la direzione artistica di questo club nelle scelte dei migliori Guest Star Dj’s e delle memorabili feste, che fanno “saltare” tutto il Principato. Dj di razza, Sorrentino ha fatto ballare principi arabi, personaggi del jet set mondiale, attori e rock star di ogni generazione e di ogni parte del globo. Ama arricchire i suoi set con le performance di musicisti live, come il sassofonista Luca Signorini, il “digital percussionist” Lele LTJ, le vocalist Melanie Estella e Alex Cadoppi di (MatchMusic TV). Per quanto riguarda la sua carriera di produttore, il successo più importante è arrivato dal progetto “Miss Jane”, con la hit planetaria “It’s a Fine Day”, che dal 1998 ha venduto più di un milione di copie, e che è attualmente disponibile in una nuova versione che comprende i Remix di D.O.N.S., Pat-Rich e Simioli&Black. Le sue ultime produzioni sono “Knopki” con la band russa Zveri e “Gloria” di Umberto Tozzi vs Sorrentino & Zara - (Momy Records 2011 / Do It Yourself). Quando non è di scena al Jimmy’z di Monte-Carlo o nei party più Vip della Costa Azzurra, Carmine si esibisce nei Top Club del mondo, tra i quali il Soho Rooms di Mosca, dove ogni anno viene organizzato, con il Jimmy’z di Monte-Carlo, il “ Monaco Russian Party”, il famoso evento che richiama le Star e le celebrità del jet set. Fabio Tempesta di Tommy Totaro di pochi eletti. Tra questi c’è senz’altro lei, femme fatale della moda, che arriva al punto di cambiare sempre meta in vacanza, pur di avere il piacere di ospitare gli amici del cuore Eleonora D’Amelio, Vittorio Sgarbi e Vincenzo Martongelli in luoghi sempre diversi. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 Luca Toscano Ha vinto il premio Facenight 2015 come miglior Special Effects Designer nel clubbing per i risultati raggiunti dalla sua ArtechFX che vanta, udite udite, collaborazioni attive tra Amsterdam e San Francisco. Un buon risultato se si pensa che Luca ha meno di 30 anni. Ivano Marchionne Artista con la A maiuscola, formatosi all'Accademia delle Belle arti di Napoli, Ivano ci fa capire con le sue opere che l’uomo ha tre mondi, quello reale, quello onirico e quello profondo del suo essere. Lui ci propone realtà diverse facendocele credere tutte vere. Come Alberto Savinio sembra essere convinto che gli uomini possano riscattarsi dal peccato originale, ma non dalla stupidità. Incredibile a dirsi, è ancor più bello di quanto si creda. TEATRI SGUARDI LONTANI Francesco Iodice IL FRATE CHE FECE TREMARE LA CHIESA SPETTACOLI DA NON PERDERE Nel mito di Taranto Celebrazioni e spettacoli al Teatro Sannazaro per onorare i trent’anni della morte di Nino Taranto. L’artista napoletano verrà ricordato anche attraverso una interessante mostra, curata da Giulio Baffi, allestita nel Foyer del teatro di via Chiaia. Teresa Mori L'alternarsi delle stagioni è come un cerchio che si chiude e ricomincia, una spirale continua, senza interruzioni, sempre diversa e sempre uguale. La musica e la messa in scena sono ideali per raccontare questo ciclo di perenni ripetizioni. Lo dimostrano i cartelloni degli spettacoli, appena iniziati o alla vigilia, dei maggiori teatri cittadini. Al Teatro San Carlo si esibisce il 30 ottobre, nell’ambito degli appuntamenti di musica sinfonica, Fabio Luisi con l’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala. In programma anche Gustav Mahler, Sinfonia n. 5 in do diesis minore e il 21 novembre, Luisi dirige i solisti, il coro e l’orchestra sancarliana, in Gustav Mahler, Sinfonia n. 2 in do minore "Resurrezione" per soprano e contralto soli, coro misto e orchestra. Infine, dal 3 al 13 novembre, ritorna l’allestimento della “Traviata” di Ferzan Ozpetek (nella foto), questa volta con la regia di Marina Bianchi. Passiamo in rassegna anche gli spettacoli del Mercadante, da pochissimo teatro nazio- nale, che apre la stagione con “In memoria di una signora amica” per la regia di Francesco Saponaro, in scena da 28 ottobre al 15 novembre. Opera di Patroni Griffi, si svolge in quattro quadri, quattro serate dal 1945 al 1950, in una geografia che oppone Napoli a Roma, attraverso cui si snoda il racconto di un conflitto generazionale, tra la necessità di partire e la consapevolezza di restare, tra il passato nostalgico delle madri e il futuro incerto di figli carichi di ideali. Le storie della protagonista Mariella Bagnoli e delle sue amiche sembrano risalire dagli antri bui degli ipogei che furono i ricoveri di una guerra che «non basta a liberarci dall'infelicità, dalla disgrazia, dal destino fetente di nascere napoletani». Nel 1963 Francesco Rosi, anch'egli figlio geniale di una generazione lacerata dall’odio-amore per Napoli, mise in scena per la prima volta “In memoria di una signora amica”, a breve distanza dall'uscita del suo film “Le mani sulla città”. Si continua il 24 novembre e fino al 20 dicembre con l’“Orestea” da Eschilo per la Via Giordano Bruno (che fino a poco tempo fa avremmo fatto bene a non percorrere in auto, pena l’immancabile multa) è l’arteria urbana che porta da piazza Sannazzaro alla Torretta. A beneficio dei viandanti che non si fossero interrogati sullo straordinario personaggio cui è intitolata la via, dedichiamo questo “Sguardo” al grande filosofo. Nato Filippo Bruno Giordano (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), fu filosofo, scrittore ed ex frate domenicano. Tra i punti chiave della sua concezione filosofica – che fondeva materialismo, neoplatonismo, arti mnemoniche, influssi ebraici e cabalistici – ricordiamo la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'infinità dell'universo ed il rifiuto della transustanziazione (che in teologia indica la conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e della sostanza del vino nella sostanza del sangue di Cristo). Napoli entra nella vita del frate a soli 14 anni, nel 1562, allorché stanco di Nola e trascorsa l’adolescenza nella contrada di San Giovanni al Cescola, entra nell’Università Federico II. Il giovane Bruno è assetato di conoscenza, impaziente di capovolgere la prospettiva da cui si guarda il mondo. Si sentirà sempre “bandito dal ciel e dall’inferno”. La Napoli del 1562, che sotto il regno di Pietro da Toledo era diventata una metropoli popolosa, calamita per chi tentasse di sottrarsi al regia di Luca De Fusco. Uno dei massimi capolavori teatrali di tutti i tempi, l'unica trilogia greca pervenutaci nella sua interezza, viene messa in scena da una grande compagnia. L'“Orestea” viene spesso rappresentata con uno solo dei testi. Il Mercadante la propone invece nella sua interezza e non dimentica le caratteristiche del teatro greco che univa parola, canto, danza. Per alcuni versi, quindi, uno spettacolo molto classico, ma alleggerito da una messa in scena contem- torpore di una provincia ancora impregnata di feudalesimo, al giovane nolano apparve come una terra promessa. Bruno si dimostrò sempre uno studente infaticabile che si arricchiva di platonismo agostiniano, averroismo e meumotecnica. E la sua nuova meta fu il convento di San Domenico Maggiore dove seguì corsi di filosofia e teologia. Ma nel convento si scontrò con la pesante censura della controriforma. Erano bandite le opere di Erasmo da Rotterdam, che invece lui studiava di nascosto. Si ribellò all’ortodossia e al culto delle immagini, tanto che contro di lui si aprirono processi per eresia. La partenza da Napoli divenne inevitabile. Fu l’inizio di un nuovo vagare verso altri traguardi attraverso mezza Europa, da Lione a Ginevra, a Parigi, a Tolosa, a Wuttemberg. Bruno elaborò una nuova teologia dove Dio era intelletto e ordinatore di tutto ciò che è in natura, ma egli era nello stesso tempo Natura stessa divinizzata, in un’inscindibile unità panteistica di pensiero e materia. Per queste argomentazioni, giudicate eretiche, fu condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa romana. Una delle sue frasi più significative fu: “Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace che lo rende e lo tiene schiavo; l’uomo non ha limiti ed un giorno se ne renderà conto e sarà libero anche in questo mondo”. Lui invece pagò queste parole con la vita. poranea che rinnova lo stile di teatro/video già realizzato in “Vestire gli ignudi”, “Antigone” e “Antonio e Cleopatra” e rinnova la collaborazione con la Vertigo Dance Company. Passiamo ad un teatro più piccolo, più giovane ma dalla programmazione degna e variegata: il Sannazaro, che per ottobre propone un testo di Raffaele Viviani: “Morte di Carnevale”, da venerdì 23 ottobre, in omaggio ai trent’anni dalla scomparsa di Nino Taranto. Sarà un allestimento fedele, con un cast di artisti nati e cresciuti nel teatro tradizionale, uniti dal comune amore per un genere che non deve essere dimenticato. Ci sarà il coinvolgimento dello spettatore e la mostra ”Nino Taranto”, a cura di Giulio Baffi che sarà allestita nel Foyer del Sannazaro. Un accenno anche al Teatro Bellini. Dal 28 ottobre al 1 novembre va in scena “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Alessandro Gassmann; dal 3 all’8 novembre “La musica provata” di e con Erri De Luca; dal 10 al 15 novembre l’“Enrico IV” di Luigi Pirandello; dal 18 al 22 novembre “Ti regalo la mia morte, Veronika” di Federico Bellini e Antonio Latella ed il 27 e 28 novembre “Come ne venimmo fuori” di e con Sabina Guzzanti. Al Teatro Paradiso (via Semmola n. 16), invece, nei giorni sabato 21 e 22 novembre, torna in scena la Compagnia teatrale “La Ribalta” con la “La fortuna con l’effe maiuscola”, commedia in tre atti scritta nel 1942 da Eduardo De Filippo in collaborazione con Armando Curcio. Regia di Silvana Petti e direzione artistica di Pasquale Esposito. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (35) LAPILLI Terni&Favole. C’è fermento nella Tabaccheria Postiglione di Largo Ferrandina a Chiaia: c’è un via vai di ragazzini pronti a festeggiare Halloween che si mischia al via vai degli adulti pronti a sfidare la sorte per un «turista per sempre» e una combinazione da inseguire al «10 e lotto». Fuori il primo freddo costringe i passanti al definitivo cambio di stagione, dentro, invece, gli animi si riscaldano parlando delle infinite buche che tempestano Chiaia, del caos traffico dovuto alla chiusura della Galleria Vittoria e del fantastico ed equilibrato campionato di Serie A con il Napoli che fa faville. «I numeri che consiglio in questi giorni di coccolare al lotto - sostiene Alber- to Postiglione - sono quelli di Halloween: 45 (il dolcetto), 27 (lo scherzetto), 15 (la zucca), 2 (i bambini). Quaterna da giocare per 9 estrazioni sulle ruote di Napoli, Roma e Milano». Postiglione, trincerato dietro una cortina di gratta e vinci, continua a snocciolare le sue previsioni: «Novembre resta il mese dei santi e dei morti, dei fiori e delle preghiere. Da giocare il terno 1 - 8 - 47 e l’ambo 5 - 90. I numeri 5 e 90 possono essere anche abbinati al numero 1 o al 72. Queste combinazioni vanno inseguite almeno per 12 estrazioni e possibilmente vanno giocate di sabato.». Fuori fa freddo, ma dentro gli animi s’accendono come fuochi d’artificio. «Così insegno il teatro ai giovani» Livia Iannotta Scoprirsi su un palcoscenico. Proiettare fantasie, sogni, ansie, dubbi su una platea in ascolto. Liberare e liberarsi. La catarsi è il fine del teatro. Niente di più costruttivo se a misurarsi con tutto questo sono gli adolescenti, con il carico di turbolenze e moti dell’animo di un’età in cui la costruzione di sé diventa battaglia quotidiana. Vincenzo Santoro (nella foto) insegna psicologia al Liceo delle Scienze Umane, ma il teatro è nelle sue corde fin dall’adolescenza, quando con la guida di Nino Taranto ha potuto apprendere le “armi” del mestiere: «Recitare con lui è stata un’esperienza che ricordo con piacere. Taranto regalava insegnamenti, consigli, una formazione che non ho trovato altrove. Da allora non ho più abbandonato il teatro». Parte di quei suggerimenti Santoro cerca di “iniettarli” oggi tra i banchi di scuola, stimolando i giovani a salire sul palco e mettersi alla prova. «Amo l’anima del teatro - dice -. Quando assisto ad uno spettacolo mi fisso sui dettagli, uno sguardo, le mani dell’attore, il sudore, la voce, anche a discapito del contesto generale. E ai miei ragazzi cerco di trasmettere proprio questo. Credo molto in loro perché non mi hanno mai deluso. Bisogna solo accendere la passione, e questo compito spetta all’insegnante». In quest’ottica, Santoro ha studiato un progetto da proporre agli istituti scolastici che pre- vede laboratori teatrali per ragazzi disabili. «Ogni corpo ha una sua soggettività, anche quello giudicato disabile - sottolinea -. I ragazzi dovrebbero imparare a capirne le possibilità, a gestirlo senza sentirsi penalizzati. Questo significa servirsi di un gruppo di figure specializzate che li accompagni nella gestione dei movimenti, della respirazione e nella scoperta delle potenzialità espressive». Un metodo rieducativo, quindi, messo in pratica insieme ai ragazzi normodotati, al fine di alimentare le relazioni interpersonali e la cooperazione con l'altro. Le espressioni dei giovani, gli scorci, gli sketch che sono il loro universo quotidiano potrebbero, invece, diventare il nocciolo di un altro progetto. «L’idea è quella di realizzare un cortometraggio sugli occhi dei ragazzi - spiega -. L’espressione della ragazzina che piange e la partecipazione corale della classe, la delusione per la bolletta persa, l’euforia del sabato sera. Mi piacerebbe cogliere gli attimi di passione e fissarli insieme a loro, dimostrando così che la scuola può non essere noiosa e che la lettura apre la mente». Esperienza già testata, in altro contesto, con i minori del carcere di Nisida: «Realizzammo un corto in cui si raccontava la storia di un delinquente che viene preso e l’organizzazione della sua vita in comunità. Tutto curato dai ragazzi, dallo storyboard alla scelta delle immagini e delle musiche. Lo spettatore in quel caso ero io». A volte basta poco. Una videocamera o un palcoscenico, per esempio. De Andrè rivive con la cover band «l’Agnata» Biagio Sgangarella Valvano, classe '55, vive ad Albanella, in provincia di Salerno; dal 1982 si dedica per l'azienda di famiglia “Sgaval” alla vendita di auto nuove ed usate. Ciò che lo appassiona, però, è la musica, nello specifico i testi ed i ritmi di Faber, tanto che nel rispetto e all'ombra di questo gigante, si è lanciato in direzione "ostinata e contraria" fondando "l'Agnata", cover-band e non solo, il cui lavoro è stato definito, dagli stessi musicisti di De Andrè, stupefacente per somiglianza e dunque bellezza. Come nasce l'Agnata? «La mia carriera musicale iniziò negli anni '70. Dopo circa vent'anni di inattività mi riavvicinai alla musica nel 2001 con un gruppo di ragazzi "musicanti", con cui portai in giro per il Cilento uno spettacolo per due anni. Durante il "tour" qualcuno ascoltò la mia voce e mi sfidò a cantare De Andrè. Così, pur non avendo mai studiato musica, iniziai ad ascoltare ininterrottamente “Bocca di Rosa”. Il risultato è che alcuni dicono di aver trovato in me la voce di Fabrizio. Nel 2009 nacque la prima “Agnata” che durò circa 10 mesi; incidemmo il “Pescatore”, “Via del (36) Campo”, “Don Raffaè” e “Andrea”. Nel 2010 partecipammo ad un concorso che avrebbe selezionato 18 artisti italiani che imitavano De Andrè per comporre un album “O' Cafè, insieme De Andrè”, il cui ricavato sarebbe stato devoluto alla ricostruzione di una delle chiese distrutte dal terremoto dell'Aquila. Vinsi con Don Raffaè. Nel 2013 finalmente nasce “l'Agnata” con i volti talentuosi che ha tutt'ora: Tony Esposito, sassofonista; Giuseppe Rinaldi, tastierista; Donato Giachetta, chitarrista ed altri musicisti che variano». Ha mai collaborato con i musicisti che accompagnavano De Andrè? «Sì, Mark Harris, lo storico tastierista e arrangiatore di molti brani del concerto del '98. Quando sentì il nostro concerto di Valle della Lucania rimase quasi basito. E spesso con Michele Ascolese, chitarrista di Fabrizio. Sono musicisti abituati ad avere davanti il testo della canzone e non lo spartito, perché la musica, il ritmo dovevano essere il risultato della frase letta, della metrica del testo e mai il contrario». Qual è la storia della foto nella cucina di De Andrè? «Nel '95 ero in vacanza in Sardegna e CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 decidemmo di andare a mangiare all'Agriturismo di Dori e Fabrizio, aperto dal '79. Allora era il De Andrè elitario, perché solo con il concerto del '98, come lui stesso disse in un'intervista, si creò il testamento musicale ed il ricordo che abbiamo di lui oggi. Passai la giornata a tormentare la cameriera chiedendole se ci fosse o meno Fabrizio. Alla fine mi disse che potevo incontrarlo. Arrivò e chiacchierammo come tra amici per quasi due ore. Ricordo il suo tremore, che mi colpì, ricordo che improvvisamente si fermò quando gli chiesi, facendo riferimento al rapimento del '79, cosa pensasse dei sardi. Mi disse che gli uomini non sono tutti uguali, giustificò quasi quell'azione. Da quell'incontro prende nome la band». Avete già presentato un inedito? «Ho scritto una canzone su Fabrizio ed un'altra sul momento storico che viviamo, si intitola "Vuless ‘o sol", la storia di un uomo comune che affronta l'indifferenza e la cecità della politica, tanto da vivere nell'ombra. Ci sono poi altri due testi di un autore campano. Vorrei anche realizzare un duetto con Fabrizio, attraverso la canzone “Cose che dimentico”». E progetti per il futuro? «Il nostro spettacolo sarà per metà teatrale grazie alla presenza di Francesca Ventura. L’idea è di spiegare le opere di Fabrizio in concerti monotematici. Vorrei creare un gruppo acustico con tanto di coro e portare in giro per chiese “La Buona Novella”. E poi da anni propongo di dar vita ad un festival per sostenere il cantautorato che dopo la scomparsa di Battisti, De Andrè, non ha più canali se non il premio Tenco». MARIANGELA RANIERI LAPILLI Sulle note dei Concerti d’autunno FINO A DICEMBRE LA 20° EDIZIONE DELLA RASSEGNA MUSICALE DELLA COMUNITÀ LUTERANA Appuntamento immancabile, che da vent’anni scalda Napoli tra ottobre e dicembre. Tornano i “Concerti d’Autunno”, l’iniziativa ideata e diretta da Luciana Renzetti (nella foto) attraverso la quale la Comunità Evangelica Luterana di Napoli presieduta da Riccardo Bachrach promuove dal 1995 due rassegne concertistiche con appuntamenti a ingresso gratuito nella Chiesa Luterana di Napoli, insieme ad un concorso di composizione e uno letterario. Ad inaugurare la kermesse (che si protrarrà fino al 2 dicembre), è stato, il 1 ottobre, il duo formato da Nicolò Vaiente ed Eleonora Volpato. «In occasione di questo im- portante traguardo - sottolinea Luciana Renzetti - il programma 2015 si arricchisce di una nota di festosità e di allegria, pur sempre accogliendo quegli elementi che caratterizzano la rassegna, ovvero la qualità e la particolarità degli interpreti, la valorizzazione di giovani talenti e l’esecuzione di repertori rari soprattutto contemporanei». In programma: il 4 novembre “Claude Quintet” con Raffaele La Ragione (mandolino), Duilio Meucci (chitarra), Roberto Porzio (pianoforte), Paolo Petrella (contrabbasso), Andrea De Fazio (batteria) e con musiche di Claude Bol- ling. L’11 novembre è la volta del “Trio Cardoso” con le chitarre di Massimiliano De Foglio, Alessandro Giancola, Guido Ottombrino e musiche di Johann Pachelbel, Jesùs Guridi, Pedro Iturralde, Nino Rota, Nicola Piovani, Massimiliano De Foglio, Antonio Ramirez, Jorge Cardoso, Agustìn Barrios. Il 18 novembre si esibisce al pianoforte Carlo Guaitoli sulle musiche diSchubert, Chopin, Debussy, Gulda. Il 25 novembre, invece, spazio al consueto Concorso letterario “Una piazza, un racconto”. La rassegna termina con “L’altra voce della musica”: William Esteban Chiquito Henao al violino e musiche di J.S Bach, E.Ysaye. (a.d.s) L’ORA LEGALE Adelaide Caravaglios STORIA DI UN REATO DI TRUFFA SENTIMENTALE Indurre in errore una persona circa i propri sentimenti; farle credere di voler costruire insieme una famiglia ed, al contempo, convincerla a farsi dare del denaro con l’“iniziale” e “perdurante” obiettivo di ingannarla e di non restituirle la somma prestata configura una vera e propria “truffa sentimentale”: è così che l’ha definita il Tribunale di Milano in un recente intervento, a seguito del quale sono state definite le caratteristiche di un simile crimine. Invero, il reato di truffa sentimentale si configurerebbe tutte quelle volte nelle quali un partner inganni dolosamente l’altro sulla veridicità dei propri sentimenti al solo scopo di conseguire un vantaggio patrimoniale. Facile a dirsi, meno facile a scoprirsi! Eh sì, perché il problema, in tutte queste ipotesi, è quello di individuare, nella pratica, il momento nel quale può dirsi configurata una fattispecie del genere: spesse volte, infatti, non ci si riesce perché – spiega il giudice meneghino – non si possono conoscere tutte le componenti di una relazione di coppia, le sue variabili, le sue dinamiche. Ne consegue che alla fine risulta “normalmente impossibile provare che non sussistano altre cause di per sé sufficienti a giustificare l’atto dispositivo”. Per aversi il reato di truffa sentimentale, in altre parole, bisognerebbe individuare tre fattori: 1) la portata fraudolenta della condotta; 2) il dolo iniziale e 3) un rapporto causale consequenziale che leghi l’errore con l’atto di disposizione patrimoniale. Insomma un vero e proprio campo minato per i giudici che finirebbero con l’ingerirsi, a gamba tesa, in una relazione sentimentale al solo scopo di indagare le reali volontà dei partner. Novelli Cupido! Sand, convince lo stile retrò A PIAZZA SAN PASQUALE HA APERTO IL SANDWICH BAR DOVE SI GUSTANO COCKTAIL INNOVATIVI E CARNI SPECIALI Les Etoiles, nuova collezione di borse Nella splendida location di Les Etoiles, a via Vittoria Colonna, Elisabetta Reale ha presentato la sua nuova collezione di borse. Tutte le borse, fatte rigorosamente in Italia, lavorate a mano da esperti artigiani, con l’utilizzo esclusivo di pellami italiani, sono pensate per una donna moderna che ama l’eleganza senza mai rinunciare alla praticità con la possibilità di tante personalizzazioni per rendere unica ogni borsa. La collezione, inoltre, comprende anche due borse da viaggio unisex dalla forma innovativa ed essenziale. Alla presentazione sono intervenuti, tra gli altri, Angelo, Laura Blasi, Rossella Melzino, Roberto e Sabina Cerciello, Antonio e Roberta Capuano, Gianni e Virginia Di Donato, Maria Bonaiuto, Bianca Ottone, Sandra Gallo, Titti Troianiello, Giulia Paone, Paola Santoriello, Paola Regine, Ennio e Marina Merolla, Doriana Barbato, Daniela Migliardi, Bruno e Cristiana Carafa. Nel panorama dei luoghi del gusto e dell’intrattenimento made in Naples, ha recentemente aperto a piazza San Pasquale a Chiaia 16, agorà del cuore chic di Napoli, il sorprendente «Sand». In un atmosfera retrò, ispirata alla prima metà del ‘900, nei locali storici dell’ex pub Heineken, Sand è una nuova formula di Sandwich Bar, con spazi esterni ed interni, privati e pubblici, costruiti intorno alle esigenze delle persone. Il progetto si propone di rinnovare le abitudini in tema di ristorazione e tempo libero, con un’offerta di piatti e bevande in cui trionfano carni speciali di prima scelta, birre selezionate, vini d’eccezione e cocktail innovativi. Tutto è studiato nei minimi dettagli: c’è l’area “privè” per chi ha necessità e voglia di un po’ di privacy oppure c’è l’area bar, accessibile sia dall’esterno con una finestra affacciata su piazza San Pasquale a Chiaia, sia dall’interno con un bancone bar degno delle migliori cocktail room americane. In più, il locale ha una sala attrezzata per gustare panini e carne in tutta comodità. Alla qualità, poi, «Sand Sandwich Bar & More», abbina la massima personalizzazione. Infatti è possibile scegliere gli ingredienti per il proprio panino in piena libertà, potendo contare su una vasta scelta di contorni, carni e altre bontà. «Sand - Sandwich Bar & More» è aperto tutti i giorni dalle 19.00 fino a tarda notte. Per saperne di più: Tel 081.7643625 [email protected] www.sandwichbar.it Facebook e Twitter @sandnapoli; Instagram @sandwichbarnapoli. CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (37) IUPPITER i libri del mese VACANZE CON MANETTE Odissea di un turista a Tunisi IO VI VOGLIO BENE ASSAI Sport, amori e giornalismo Autore: Amedeo Forastiere Costo: 10 euro Pagine: 208 Autore: Franco Esposito Costo: 18 euro Pagine: 480 Finalista Premio Bancarella Sport 2015 Un invito a visitare Tunisi si trasforma in un viaggio nell’inferno. A causa della sparizione di un’auto, il protagonista si ritrova imbrigliato nell’impazzito ingranaggio giudiziario di un paese in cui la detenzione in carcere, com’è già successo ad altri turisti, è procedura affrettata e quantomeno arbitraria. Così la vacanza di un napoletano in cerca di cultura e relax fa tappa, all’improvviso, nel famigerato penitenziario di Bouchoucha. Sport, giornalismo e amori: il romanzo di un intreccio. Personaggi, episodi, e curiosità lungo un percorso scandito da brani di storia napoletana e del costume italiano. Il Napoli, la nazionale di calcio, il nuoto e la pallanuoto, la pallacanestro dei pionieri, il rugby degli scudetti di Napoli, il pugilato e il ciclismo fornitori infiniti di storie, le Olimpiadi e i viaggi in tutto il mondo. Pagine che si leggono d’un fiato e conquistano per stile e forza della passione. FESTABAROCCA Il Carnevale di Montemarano LE VIE DELLA PIZZA Miti e riti della magica specialità Autore: Aldo de Francesco Costo: 10 euro Pagine: 118 Autore: Domenico Mazzella Costo: 10 euro Pagine: 168 «Siamo di fronte a un libro molto ricco, che si presta a diversi livelli di lettura: la riflessione colta, sulla festa popolare e sulla dimensione mitica della cultura meridionale; la raccolta di ricordi della infanzia; l’immagine pittorica che sintetizza l’interpretazione del Carnevale e al tempo stesso affida all’intelligenza e all’intuito una sovrabbondanza di percezioni e di significato». (Dal saggio introduttivo di Toni Iermano) Muoversi per le millenarie strade di Neapolis, visitare straordinarie chiese e palazzi, degustare e confrontare «pizze veraci» preparate da mani esperte che ripetono un rito antico fatto di acqua, farina, lievito, sale e tanta passione: la specialità napoletana più conosciuta al mondo non ha più segreti con «Le vie della pizza», libro, in versione italiana e inglese, che inaugura la collana «Tourista» dedicata alle guide culturali e gastronomiche. ASPET...TATEMI, NON VALE! Imparare la grammatica giocando CINEMA ALL’APERTO Romanzo di sogni e ritorni Autori: De Falco - Langella - Sorrentino Costo: 10 euro Pagine: 90 Autore: Sergio Califano Costo: 10 euro Pagine: 144 Nove bambini e un’insegnante creano una piccola grammatica, la costruiscono per recuperare numeri, parole, attenzione, sicurezza per riconoscersi e divertirsi. Il risultato è sorprendente: il manualetto, per piccoli e grandi, attraverso impasti di rime e giochi divertenti, spiega com’è possibile trasformarsi in scrittori, grammatici, matematici e persino in poeti. È una cosa seria. Sfogliare per credere! La vita di Carlo raccontata nel suo dinamismo. Geografie di tempi, di luoghi e d’incontri che solo nel ritorno trovano composizione. Veloce si compie il passaggio dalla crudele bellezza dell’infanzia all’età adulta, monotonia squarciata da fatti imprevedibili, forse guidati da un destino bizzarro che riesce sempre a sorprendere la vita. Realtà e sogno, verità e ipotesi si confondono in una struttura narrativa circolare in cui tutto può ripetersi. I LIBRI IUPPITER EDIZIONI POSSONO ESSERE ACQUISTATI NELLE MIGLIORI LIBRERIE TRA CUI: Feltrinelli (Via S. Caterina a Chiaia 23 - Napoli) Feltrinelli (Via S. Tommaso d'Aquino, 70 - Napoli) Feltrinelli (Stazione centrale Piazza Garibaldi - Napoli) Feltrinelli (Corso Vittorio Emanuele, 230 - Salerno) Mondadori Bookstore (piazza Vanvitelli 10 - Napoli) Libreria Metropolitana (Piazza Cavour, 69 - Napoli) Libreria Iocisto (Via Cimarosa, 20 - Napoli) Libreria Simeoli (Via San Pietro a Maiella, 5 - Napoli) Libreria Neapolis (Via San Gregorio Armeno, 4 - Napoli) Libreria Colonnese (Via San Pietro a Maiella, 32 - Napoli) Libreria Ubik (Via Benedetto Croce, 28 - Napoli) Libreria Fiorentino (Calata Trinità Maggiore 36 - Napoli) Libri&Professioni (Via Santa Brigida 22 - Napoli) Libreria Papiria (via G. Ninni 7/8 - Napoli) Riviera Libri (Riviera di Chiaia, 202 - Napoli) Libreria Libridine (via Diaz, 71 - Portici) Mi&Ro (Via Caduti sul Lavoro 41-43 - Caserta) Imagine’s Book (Corso Garibaldi, 142 b/c - Salerno) I LIBRI SONO ACQUISTABILI ANCHE SUL SITO WWW.IUPPITEREDIZIONI.IT (CLICCANDO BANNER “IUPPITERSTORE”) E NEL CIRCUITO DELLE MIGLIORI LIBRERIE ONLINE CONSULTA IL NOSTRO CATALOGO ONLINE SU WWW.IUPPITEREDIZIONI.IT PER ULTERIORI INFORMAZIONI È ATTIVO IL NUMERO/SERVIZIO CLIENTI DAL LUNEDI’ AL VENERDI’ (DALLE ORE 11 ALLE 0RE 20) 081.19361500 “Leggiamo e scriviamo per sapere di non essere soli” seguici su Per ordinazioni o informazioni contattaci alla mail: [email protected] EXIT Diamo i numeri Teatro San Carlo &#$& #!$&% $&$%$!%$ $ "$ "% $" $ !$!% %$%!$ #%"# %!%%"$ $ #& !% #$ "$ #%&$!# #!$ !% ## ""%& "!%!" %!"%&## #!$" $ !% #$ $"# %!"% #% % "#!" # %$ $$ $%!"$ %#% #% #%&$# "!%#" %"$ ##% 2 i milioni che il Mibact assegna al Teatro San Carlo per il valore della produzione, la qualità e la gestione virtuosa. Bilanci positivi per il Massimo nel 2015 Banda ultralarga 155 % "#!" " i Comuni campani coinvolti nel programma per la realizzazione della rete di nuova generazione in fibra ottica per la banda ultralarga. 175 i milioni investiti DICEMBRE NUMERO SPECIALE , A.FJ=EDAAI:DJB?:HEDJ>IJ04IGIGJ/G<G;IBHJAGE-JIBJ>IACEI8?;IDBHJ<EGC?ICGJ>GFJ3$J>I@H:2 8EH9J.FJB?:HEDJBGCGFI;IDJAGE-JGEEI@@4ICDJ>GJ?BDJA=H@IGFHJ>H>I@GCDJGIJEH<GFIJ@?FC?EGFIJH GFFHJI>HHJGFCHEBGCI6HJ>GJ:HCCHEHJADCCDJF)GF8HED9J.BJ=I7J1D@?AJA?FF)GECHJHJA?<FIJH6HBCI >GJBDBJ=HE>HEH9J Bus nella scarpata WWW.IUPPITEREDIZIONI.IT , CONSULTA .FJBHC+DE#J>HFJ<E?==DJH>ICDEIGFHJ.?==ICHEJAIJ*JGEEI@@4ICD9J.B1GCCI7JGIJ=DECGFIJI?==ICHEBH+A9IC97 113 FGEI6IACG>HF:GEH9ICJHJ@4IGIG:G<G;IBH9IC7JAIJ*JG<<I?BCDJI?==ICHEH>I;IDBI9IC7JFGJ6HCEIBGJ>HF2 FGJ@GAGJH>ICEI@HJ.?==ICHEJIBJ@?IJ*J=DAAI8IFHJ@DBA?FCGEHJIFJ@GCGFD<DJ>HIJFI8EI7JG@?IACGEH IJ6DF?:IJHJ6IAIDBGEHJIJ8DD#CEGIFHE9 le parti civili che il Gup del Tribunale di Avellino ha ammesso nell'udienza preliminare del processo sulla tragedia del bus che nel 2013 precipitò da un viadotto della A16 100 mila i like che la campagna spontanea #SaveRummo ha totalizzato in una settimana. Web solidale col pastificio danneggiato per le recenti alluvioni nel beneventano Nuovi voli 7 le nuove tratte europee che la compagnia Easyjet ha previsto a Capodichino In più: un aereo, 40 nuovi addetti e un traffico passeggeri di 2,2 milioni l'anno A CHIAIA MAGAZINE , ABBONATI JIBJ@DEADJFGJ@G:=G<BGJG88DBG:HBCIJ>IJ04IGIGJ/G<G;IBH9J04IJ>H@I>HJ>IJG88DBGEAI7JBDB la BACHECA Campagna social $ $%!$ ADFDJEI@H6HE-J>IEHCCG:HBCHJGJ@GAGJIFJ<IDEBGFH7J:GJHBCEHE-JBHFJ0F?8J>IJ04IGIGJ/G<G;IBH IBJ@?IJG6E-J>IEICCDJGFFDJA@DBCDJ>HFJ5JA?IJFI8EIJ>IJ.?==ICHEJ>I;IDBIJHJA?JGFCEHJD=HEHJ>H>I2 @GCHJGFFGJACDEIGJHJGFFHJCEG>I;IDBIJBG=DFHCGBH9J !?HJFHJCI=DFD<IHJ>IJG88DBG:HBCDJDE>IBGEIDJ%'5JH?EDJGFF)GBBD&JHJADACHBICDEHJ%355JH?ED GFF)GBBD&9JHEJAG=HEBHJ>IJ=IJ8GACGJCHFH1DBGEHJGFJB?:HEDJ5(393"$3'557J>GFJF?BH>JGF 6HBHE>7J>GFFHJDEHJ33955JGFFHJ3(9559 DOVE PUOI TROVARCI ,J.BJDFCEHJ'55J=?BCIJAHFH;IDBGCIJBH<D;I7JCHGCEI7J@IBH:G7J8GE7J>IA@DCH@4H7J8GB@4H7J8D?CI?H7 AC?>IJ=ED1HAAIDBGFI7J<GFFHEIHJ>)GECH7JEIACDEGBCI7J@IE@DFIJA=DECI6IJHJIBJC?CCIJ<FIJH6HBCIJ@?FC?EGFI HJ:DB>GBI9J!IACEI8?;IDBHJ@G=IFFGEHJ=GFG;;DJ=HEJ=GFG;;DJ<G;H8DJBHIJ=?BCIJACEGCH<I@IJ>HF2 FGJ@ICC-J=HEJFGJ=EHAHBCG;IDBHJ>HFJB?:HEDJHJ>HFFHJIBI;IGCI6HJ>HFJ<IDEBGFH9J SOS CITY: ISTRUZIONI PER L’USO ,JIB<EG;IG:DJIJBDACEIJFHCCDEIJ=HEJFHJAH<BGFG;IDBIJ%>GJIB6IGEHJGJIB1D@4IGIG:G<G;IBH9ICJDJGF2 F)IB>IEI;;DJ>HFFGJEH>G;IDBH7J6IGJ!HIJ/IFFH7J'"J2J(533J&JA?FFHJH:HE<HB;HJHJ=ED8FH:IJ>HF2 FGJ@ICC-9JBGJEG@@D:GB>G;IDBHJFHCCHEHJ8EH6IJ%:GJ3555J8GCC?CH&9 ON LINE , CONSULTACI 04IGIGJ/G<G;IBHJ*JA@GEI@G8IFHJIBJ1DE:GCDJ=>1JA?FJAICDJ+++9@4IGIG:G<G;IBH9IC9J DIVENTA NOSTRO FAN , FACEBOOK/TWITTER: .FJ:HBAIFHJ04IGIGJ/G<G;IBHJ*JA?JG@H8DD#JHJ +ICCHE9J?DIJ>I6HBCGEHJBDACEDJ1GBJ@FI@@GB2 >DJ:IJ=IG@HJA?FFGJ=G<IBGJ?11I@IGFHJD==?EHJIA@EI6HECIJGFJ<E?==DJ04IGIGJ/G<G;IBHJA?JG2 @H8DD#JHJAH<BGFGE@IJH6HBCIJHJ@?EIDAIC-9J!I6HBCGJ1DFFD+HEJ>HFF)G@@D?BCJ04IGIGJ/G<G;IBH A?J +ICCHEJHJ@IB<?HCCGJ@DBJBDI9 PUBBLICITARIE , INSERZIONI 04IGIGJ/G<G;IBHJ6I6HJ<EG;IHJGFFHJIBAHE;IDBIJ=?88FI@ICGEIH9JDBJ*JIFJ1D<FIDJ>IJBHAA?BJ=GE2 CICDJDJ:D6I:HBCD7J:GJ?BGJFI8HEGJCEI8?BGJ@4HJEHACGJG=HECGJ<EG;IHJGFFGJ=GAAIDBHJHACEH2 :GJHJGFFGJCHBG@IGJ>IJ?BJ<E?==DJ>IJ<IDEBGFIACI9J04IJ*JIBCHEHAAGCDJGFFGJ=?88FI@IC-J=?J@4IG2 :GEHJIFJB?:HEDJ5(393"$3'55JDJ@DBCGCCGEHJIFJEHA=DBAG8IFHJ@D::HE@IGFHJ/I@4HFHJ H:2 =HACGJ%@HFF9J$"93(5$5(& CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (39)