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Uscito dal buco dell`ombra, stufo di interpretare il ruolo di topo di

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Uscito dal buco dell`ombra, stufo di interpretare il ruolo di topo di
ALL’INTERNO
SPECIALE
STORIE&IMPRESE
SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI
Anno X - numero 7/8 - ottobre/novembre 2015
distribuzione gratuita
Antonio Bassolino
68 anni, rattopardo
il
rattopardo
Uscito dal buco dell’ombra, stufo di interpretare il ruolo di topo di biblioteca,
twitta e sogna il ritorno a Palazzo San Giacomo. Qualcuno svegli il roditore
www.chiaiamagazine.it
IUPPITER EDIZIONI
OBLÒ
Confronto tra popoli
Caro Direttore,
dopo l’ennesima figuraccia
fatta da Roma (e dall’Italia)
per il funerale Casamonica è
d’obbligo parlare dell’argomento. Basta valicare le Alpi
per accorgersi della differenza. Il “Service de la sécuritè et de l’espace publics”
della polizia municipale di
Ginevra in Boulevard Helvetique non ha bisogno di ordini dall’alto: segue il
regolamento del vivere civile.
E il Servizio Pubblico “des
pompes funèbres, cimetières
et crèmatoire de la Ville de
Genève” fa tutto, fra bellissimi giardini fioriti, nel
segno del decoro, semplicità,
intimità e silenzio, così come
dovrebbe essere un funerale:
uguale per tutti (a’ Livella
docet), ma senza negare a
nessuno un mazzo di fiori in
più. E qui a Napoli? Avevamo un servizio funebre comunale puntuale, preciso,
economico, discreto, che
nulla aveva da invidiare al
più costoso privato. Mi
chiedo perché, vista la completa inefficienza di quasi
tutti i servizi municipali, doveva essere soppresso proprio
quello che meglio funzionava. In questo modo, oltre a
fare un dispetto alle famiglie
più povere che devono chiedere prestiti perfino per un
funerale, si favorisce il racket
del caro estinto per mano dei
privati. A Napoli si muore
schiacciati da alberi che cadono a via Aniello Falcone,
da lampioni a via Caracciolo, da cornicioni che si
staccano dalla Galleria Umberto; si cade nelle buche del
tunnel Vittoria; i clochard
muoiono in cerca di assistenza sotto le finestre di palazzo San Giacomo. E il
Comune, se (e sottolineo se)
responsabile della morte di
questi cittadini, non avrebbe
potuto, per coerenza, conservare il servizio funebre? E
non parliamo, per decenza,
del cimitero di Poggioreale,
totalmente in mano alla camorra dove, per dirne qualcuna, le cappelle si rubano e
si rivendono, e dove a 25
anni dalla legge che lo prevede non è stato avviato il
servizio crematorio pubblico.
E di decoroso, in questo, non
c’è nulla.
LA FOLLE GIORNATA
A VIA CHIATAMONE
Gentile Direttore, credo di non essere il
solo a denunciare la follia dei giorni
scorsi, quando, per una scelta politica e
amministrativa si è deciso, nonostante
la Galleria Vittoria fosse chiusa per
urgente manutenzione, di non aprire il
tratto del Lungomare Caracciolo e
convogliare così tutto il traffico a piazza
Vittoria e a via Chiatamone. Sono stato
in auto, per un brevissimo tratto di
strada per più di un’ora, e vi assicuro
Le sacrosante picconate contro
CACASENNO
Da
qualche anno a questa parte, utilizzando
la sentenza che assolveva Bassolino per il disastro rifiuti - addebitato, udite! udite!, al convulso “contesto” del tempo non
al Governatore del “contesto”- la casta nelle sue varie complici ramificazioni,
non ha pensato ad altro che al “riciclo” politico del “leader” miracolato. Per un ennesimo “grand tour” a Palazzo San Giacomo. Detto fatto. Il passaparola, un balbettio iniziale è diventato un tormentone, che ha visto, tra i megafoni più impegnati, coloro che nel
corso del trentennio bassoliniano (venti suoi, altri dieci della Iervolino da lui sponsorizzata) hanno fatto incetta di incarichi, prebende, enti e consulenze.
Ma non sempre le ciambelle riescono con il buco. Mentre già lor signori pregustavano una nuova
Bengodi, sono arrivati i guastafeste, né fascisti né cosentiniani, ma dei progressisti doc, insospettabili e inattaccabili. Un fuoco amico che ha preso il piccone di cossighiana memoria e ha demolito Bassolino, sbattendogli sul muso la vergogna del suo immobilismo, della sua governance «sprecona», e
della sua scellerata gestione dell’emergenza rifiuti. Una vagonata di flop. In cifre: decine di migliaia
di posti di lavoro sfumati e un territorio allo sbando. Finalmente contro la melassa servile della
casta, prima Leonardo Impegno e poi le picconate del mite migliorista Umberto Ranieri hanno aperto quel “processo” politico, mai incardinato, su una storia amministrativa degna
solo di oblio. Picconate sacrosante per un passato squalificante e, soprattutto, per
il presente dell’ex governatore rottamato, che si impanca a quotidiano “cacasenno”, e si è detto terrorizzato per l’alluvione di Benevento. Dimenticandosi, poveretto, che sotto la sua presidenza il riassetto idrogeologico fu lettera morta. E s’è visto.
Gentile redazione,
sono un vostro affezionato
lettore e spero che possiate
pubblicare questo mio annuncio. Per esigenze familiari sto cercando una casa
di massimo 70 mq (anche
un attico) a Mondragone. La
casa deve essere vicino al
mare. Il mio numero di cellulare è 338.9556186.
LUCIANO ABATERUSSO
(2)
L’editoriale
L’illusione
del rattopardo.
pagina 3
Il paginone
Cronaca di una tragedia annunciata:
Sannio, il fiume uccide a ottobre.
pagine 4-5
Primo piano
Caos Linea 6 e dissesto idrogeologico:
c’era una volta Chiaia.
pagina 7
Focus
Il Mezzogiorno? Si salva senza l’Italia.
In uscita il nuovo saggio di Della Corte.
pagina 9
Sollecitazioni
Nel nome di Carlo Nazzaro: il premio
intitolato al giornalista irpino.
pagina 12
Quartierissime
Posillipo, strade col manto sollevato
ed emegenza alberi.
pagina 15
Storie&Imprese
Torneo Intersociale: Carrella Group,
quando lo sport è favola.
pagina 22
Saper Vivere
Gaeta, i tre giorni dell’identità:
confronto tra artisti e meridionalisti.
pagina 27
Malatesta
n u m q u a m
MARIO FAIDO
Cerco casa
a Mondragone
che è stata un’impresa mantenere la
calma. Nessuno mette in dubbio
l’importanza della passeggiata sul
lungomare, ma in una città che non ha
molte vie, né ponti e percorsi
automobilistici alternativi, è da
irresponsabili non provvedere a
garantire un piano traffico più flessibile
e ragionevole soprattutto quando
bisogna affrontare delle emergenze. Il
buon senso nei governanti dovrebbe
prevalere su scelte pregiudiziali e
talebane. (Giovanni Criscuolo)
SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI
Anno X n. 7/8 - ottobre/novembre 2015
Direttore responsabile
Max De Francesco
Caporedattore
Laura Cocozza
h o r u m
l u x
c e d e t
Società editrice
IUPPITER GROUP S.C.G.
Sede legale e redazione:
via dei Mille, 59 - 80121 Napoli
Tel. 081.19361500 - Fax 081.2140666
www.iuppitergroup.it
Presidente: Laura Cocozza
Stampa
Centro Offset Meridionale srl - Caserta
Redazione
Livia Iannotta
Reg. Tribunale di Napoli n° 93 del 27 dicembre 2005
Iscrizione al Roc n°18263
© Copyright Iuppiter Group s.c.g.
Tutti i diritti sono riservati
Progetto e realizzazione grafica
Fly&Fly
Per comunicati e informazioni:
[email protected]
SOS CITY
Responsabile area web
Massimiliano Tomasetta
Pubblicità (Tel. 081.19361500)
Michele Tempesta (392.1803608)
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
Si ringrazia Tony Baldini per la consulenza
grafica e il fotomontaggio della cover.
Lancia il tuo Sos,
indica disservizi e
problemi del tuo
quartiere e proponi soluzioni per
rendere più vivibile
la città. Contiamo
su di te.
Le lettere, firmate
con nome e cognome, vanno inviate a «Chiaia
Magazine» - via
dei mille, 59
80121 Napoli, oppure alla e-mail
[email protected]
L’EDITORIALE
L’ILLUSIONE DEL RATTOPARDO
Max De Francesco
Continua a credersi il sale della terra
Antonio Bassolino come i gattopardi,
gli sciacalli e le pecore del romanzo di
Tomasi di Lampedusa. Un autoconvincimento che si gonfia e prende
vigore soprattutto per l’inconsistenza
del Pd locale, che non ha neanche il
gusto di navigare nella burrasca
perché è nave ferma e in manutenzione, priva com’è di capitani coraggiosi,
rotte decisive, spiriti giovani.
Approfittando di timoni sguarniti e
stive svuotate, non deve sorprendere
se qualche vecchia gloria conquisti
spazio meditando di risvegliare tra le
immobili ciurme, per dirla alla de
Saint Exupéry, «la nostalgia del mare
lontano e sconfinato».
Forte delle debolezze altrui, consapevole che le primarie rappresentano
l’ultimo giro per rientrare nei giochi,
Bassolino, uomo di stive e derive, è
uscito dal buco dell’ombra per occupare uno spazio, posizionarsi nella
griglia. L’ossessione delle primarie lo
attanaglia notte e giorno. Non gli frega
nulla che la sua operazione revival sia
nemica del futuro, ancorata al trapassato e carica di illusioni: ciò che conta
è che, come a Roma e a Milano, anche
Napoli abbia le sue primarie, altrimenti, profezia è tratta, «il Pd rischia
di non arrivare al ballottaggio».
Primarie o non primarie, candidatura
o non candidatura, Bassolino non si è
accorto che ha già perso.
Il motivo è semplice: non ha una più
una storia da raccontare alla città. La
politica è narrazione, la campagna
elettorale è una sfida tra storie, storytelling contro storytelling. Vince e
prevale la migliore narrazione in quel
momento storico, la più condivisa ed
emozionante per gli elettori.
Mentre il Pd non si decide sulle primarie e nell’attesa che i pentastellati
scelgano il loro narratore per Palazzo
San Giacomo, de Magistris e Lettieri
sono già in campo. Piaccia o non
piaccia, entrambi hanno due storie da
raccontare. Il primo, presentatosi
come supereroe visionario, che «vorrà
essere ricordato come il Che Guevara
di Napoli», difenderà senza esclusione
di colpi il suo operato, raccontando di
come sia difficile governare quando
hai il sistema contro e di come sia
riuscito, nonostante tutto, a proteggere i beni comuni e a non piegare la
testa davanti ai poteri forti, brandeggiando con orgoglio l’assoluzione
Why Not. Il secondo, invece, potrà
narrare oltre ai suoi cinque anni di
opposizione contro il parolaio arancione, anche la sua storia di imprenditore scugnizzo, diventata narrazione
vera e propria con un’autobiografia in
cui accompagna il lettore nel suo
percorso umano e lavorativo di selfmade man.
Bassolino a che storiella può aggrapparsi? Quale narrazione può esibire e
portare in giro per la città, dopo che
per quasi vent’anni, prima come
sindaco e poi come governatore, è
stato l’uomo più lisciato e influente di
tutti? È da stupidi e sprovveduti credere di poter campare ancora con la
poesia del Bassolino del ‘93 e con il
canovaccio del “rinascimento napoletano, quel breve periodo così enfaticamente battezzato dai cortigiani
dell’epoca, in cui grandinate di fondi,
una borghesia al guinzaglio, una
stampa in ginocchio, la costosissima
fabbrica dell’arte contemporanea e il
silenziatore su camorra e camorre,
consentirono di far apparire tutto
luccicante e memorabile. Erano quelli
i tempi in cui i venti della crisi soffiavano lontano, parole come spending
review erano ignote e i denari pubblici
servivano a Bassolino e al suo apparato innanzitutto ad alimentare clientele, il marciume delle società partecipate, le consorterie “leccafondi” della
società civile e parti questuanti delle
opposizioni, prive di lealtà nei confronti degli elettori e tendenti a complicità creative più che a progettualità
antagoniste. Poi sappiamo com’è
andata a finire la storia bassoliniana,
sommersa da monnezza ed ecoballe 450 i milioni stanziati da Renzi per
rimuoverle in tre anni -, fatta di arroganze, consulenze brucianti - nel solo
2008 si contano 700 consulenti in
Regione per il costo di 30 milioni di
euro - e ignobili “spese di rappresentanza del presidente della giunta
regionale” che, nel 2004 toccarono ad
esempio, la cifra di 962.506 euro e 26
centesimi. Altro che Marino!
Eppure il più grande roditore di fondi
pubblici che Napoli e la Campania
abbia mai avuto, graziato dalla magistratura, twitta e gioca con l’hashtag,
sorretto da sponde mediatiche e
spalleggiato da un cerchio tragico che
non lo vuole più solo nonno premuroso e anglosassone, ma ne desidera
l’uscita definitiva dal cantuccio.
E così Bassolino, sprovvisto di una
narrazione del domani e di una storia
che possa cancellare la letteratura
degli sperperi e l’apocalisse rifiuti, di
cui è stato tra i maggiori artefici,
insieme ai suoi followers pratica, in
questa suo tentativo di riemergere, lo
sport della rimozione, tipico di chi
vuole raccontare un romanzo giallo
omettendo il delitto. La sua sconfitta,
candidatura sì candidatura no, sta nel
voler proporre una narrativa fasulla e
autoassolutoria, in cui mancano del
tutto il coraggio e la dignità dell’autocritica. Stiamo così nel campo delle
fantasticherie, della realtà taciuta per
calcolo politico e spregiudicatezza.
Con il tempo, a furia di mettere la
testa grigia fuori dal buco, rovistare
nelle stive di una nave fantasma e
ricordare le scorpacciate di formaggio
di una volta, Bassolino si è mutato in
rattopardo, nuova specie di animale
politico che alterna giorni da topo di
bliblioteca ad altri in cui, roso dalla
nostalgia, studia e ripassa la toponomastica del suo regno perduto. Non
avendo nulla di nuovo da dire, sollecitato dagli amici roditori che ne conoscono l’incontrollabile autostima, è
affetto da rattopardismo, incurabile
“sindrome del ritorno” che, a differenza del gattopardismo, non provoca
il trasformismo ma un illusionismo
d’accatto, inevitabilmente patetico e
rovinoso per la comunità.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(3)
IL PAGINONE
CRONACA DI UN DRAMMA ANNUNCIATO
Il fiume uccide a ottobre
La tragedia dell’alluvione del Sannio, dovuta a un enorme evento meteorico,
ha precise responsabilità in chi ha devastato il paesaggio e consumato il suolo
Riceviamo e pubblichiamo la ricostruzione,
a firma del giornalista e saggista Bruno
Menna, della recente e drammatica alluvione che ha devastato il Sannio. Ci è sembrato
giusto dare spazio al grave problema dell’emergenza ambientale e del dissesto idrogeologico, che interessa non solo il beneventano, ma la Campania tutta.
Bruno Menna
Benevento, sorta alla confluenza del
Calore e del Sabato, ha pagato ancora una
volta un doloroso tributo di morte e distruzione alla sua storia e alla sua cartina geografica, costellata di ponti, attraversamenti,
cavalcavia, sottopassi, aste e anse, bacini e
invasi, sponde e argini.
Accade sempre d’ottobre, volendo ricordare
le due sciagure maggiormente scolpite nella
memoria comunitaria e, naturalmente,
quella recentissima: il 2 ottobre del 1949, il
21 ottobre del 1961 e, appunto, il 15 ottobre
del 2015.
L’ultima, l’alluvione 2.0, l’esondazione al
tempo del web, da immortalare con gli
smartphone, quella che ha subito mostrato
la drammaticità dell’evento, formando
(4)
IL LIBRO
Bruno Menna,
beneventano classe
1956, è giornalista di
lungo corso e si
occupa di
comunicazione per
soggetti pubblici e
privati. Con Iuppiter
Edizioni ha pubblicato
“Baby boom. Memorie
di una generazione che
non vuole farsi
rottamare”, racconto
emozionale in difesa
degli over 50, di tutti
coloro, cioè, che hanno
avuto la fortuna di
nascere nei Cinquanta,
crescere nei Sessanta
e formarsi nei Settanta.
Il libro è soprattutto
una appassionata
rilettura dell’età
dell’oro del nostro
Paese.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
l’esercito degli angeli del fango e innescando la catena virtuosa della solidarietà,
si palesa ancora nell’atrocità delle conseguenze che ha determinato sul territorio,
nella rete commerciale, artigianale, agricola e industriale, già vilipesa dalla crisi
economica, e nell’anima della città, violata
e violentata dalla forza inaudita del fiume.
Ed è forse questo la ferita che sanguina di
più: aver compreso che anche le difese
(intervenute e/o innalzate dopo i sinistri
del passato) che sembravano invalicabili
nulla possono a fronte di quello che accade a monte del Calore, laddove torrenti e
fiumiciattoli, dai nomi improbabili e dalla
vita spericolata, scaricano a valle quantità
micidiali di acqua, sotto l’occhio vigile e
divertito di Giove pluvio, con l’ignavia
complice degli “ignoti” verso i quali intende procedere la Procura della Repubblica.
Un’analisi onesta e senza sconti, tuttavia,
non può non tenere conto di un fattore
imponderabile: la quantità di pioggia
caduta nella notte tra il 14 e il 15 ottobre
che può, e forse deve, attenuare le responsabilità di chi avrebbe dovuto dare almeno
l’allarme, ma sicuramente non assolve chi
ha consentito, incoraggiato e condonato la
deturpazione del paesaggio, il consumo
del suolo, la devastazione ambientale.
Partiamo dai fatti, allora. Dalla resilienza
della natura, come la definisce Gianni
Moriello, geologo geofisico del Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti. «Nella
giornata del 14 ottobre si è manifestato, in
provincia di Benevento, un enorme evento
meteorico. I dati indicano che dalle ore
22.15 del 14 ottobre alle ore 6.15 del 15
ottobre sono caduti ben 137 mm di pioggia,
pari alla quantità di pioggia che si registra
in circa un mese. L’analisi delle stazioni
meteoriche indica, per il Sannio, una particolarità concentrata soprattutto nella fascia
che va da Dugenta ad Ariano Irpino, con
epicentro Benevento. Infatti, solo la stazione della città ha registrato circa 140 mm di
pioggia, mentre Santa Maria a Vico e Mirabella Eclano hanno registrato circa 86-87
mm, meno ancora Campobasso e Avellino
con 64 e 71 mm, rispettivamente. Un fenomeno perfettamente localizzato, dunque, e
particolarmente intenso. San Bartolomeo,
ad esempio, ha registrato solo 23,1 mm di
pioggia. La superficie interessata è di circa
3058 Km quadrati, la media di pioggia
risulta, pertanto, 97 mm di pioggia. In 8 ore
nel bacino interessato, che comprende il
fiume Calore, il Tammaro, l’Ufita, il Misca-
no, il Sabato e il Serretelle, con tutti i loro tributari
minori, è caduta una quantità di acqua di circa
60,512 milioni di mc, sviluppando una portata di
circa 2101,00 mc/sec, nella sezione idraulica di
Telese e Amorosi. Siamo, in pratica, nella portata
centenaria calcolata negli studi esistenti.
Il fatto nuovo, o vecchio per così dire, è che il
territorio non era pronto ad affrontare una simile
magnitudo. Perché? È presto detto. Il nostro territorio - continua Moriello - è stato devastato e occupato nelle zone più sensibili, senza una rigorosa
analisi delle portate di piena dei piccoli torrenti.
Anzi si è costruito senza tener conto della capacità
di trasformazione della natura, delle acque nei
torrenti. Il caso più eclatante è rappresentato dal
torrente Saucolo di Solopaca. Si è costruito in alveo,
senza rendersi conto che l’alveo vero e proprio era
molto più grande della memoria degli uomini. Fa
male prenderne atto, ma questo è. La memoria
storica si perde nei meandri delle opportunità. Il
rischio a cui si è sottoposti, si considera solo un
parametro da rispettare (e quindi da evitare con
furbizia).La natura, il territorio, ha una caratteristica intrinseca che l’uomo non potrà mai evitare: la
capacità di resilienza, ovvero la capacità di ritornare
alle condizioni antecedenti ad un evento di modificazione innaturale, come le alterazioni che l’uomo
compie giornalmente sul territorio e al territorio.
Certo, ora si invocherà lo stato di calamità, per
riparare e mettere una pezza. Io credo che il territorio si deve rispettare e saper conoscere. Non basta
più l’economia degli aiuti, l’intervento postumo, la
miseria dei rimborsi deve finire perché alimenta
una nuova violenza alla natura. Bisogna conoscere i
propri limiti umani e cercare di conciliarli con la
forza della natura. Gli strumenti ci sono, gli uomini
specializzati a ciò, forse. Ma questo - conclude
Moriello - non appartiene alla attuale generazione
umana. E non potranno essere gli stessi che hanno
utilizzato violenza. Non sono più credibili».
Il fiume ha fatto danni in città e in provincia (in
paesi noti e meno noti, da Circello ad Amorosi, da
Pago Veiano a Solopaca, da Pietrelcina a Morcone),
provocando, in via diretta e indiretta, tre vittime,
solo le ultime di un triste elenco che parte (forse)
dal 1949. Le distruzioni, via via che passano le
settimane, si affastellano in tutta la loro evidenza e
il torrenziale autunno non è ancora finito. La sopravvissuta Provincia ritiene che siano ben 500 i
chilometri di viabilità da riparare. Il Comune capoluogo è alle prese con la risistemazione, preliminare, di scuole e impianti sportivi e non può trascurare, pur collaborato da Consorzio Asi, referente
dell’area produttiva di Ponte Valentino, e Camera di
Commercio, la riammagliatura del tessuto socioeconomico.
Servono soldi, tanti soldi: 700 milioni, forse più.
Arriveranno, se arriveranno, dalla Regione, che
finora non ha fatto mancare presenza e vicinanza, e
dal Governo, se, quando e come prenderà forma
operativa lo stato di emergenza nazionale. Quel che
servirà, tuttavia, sarà una precisa e decisa presa di
coscienza pubblica sui rischi che ancora persistono
in un territorio perennemente fragile. Anche se, è
chiaro fin da adesso, come ha chiaramente riassunto Moriello sullo storico settimanale “Messaggio
d’Oggi”, che non a tutto si potrà provvedere, soprattutto laddove gli insediamenti umani non
hanno tenuto conto della pericolosa vicinanza al
tumulto fluviale, come nel caso della località Pantano, che ha il destino tracciato nella sua definizione
toponomastica (nome omen, direbbero i latini).
Per dircela tutta, non è mancato, e ha pesato
nell’organizzazione del soccorso “statale”, una
sorta di corto circuito mediatico, soprattutto nelle
prime ore. Poi, però, in tanti, per vincoli di sangue e
per amore della terra che per loro è madre, hanno
fatto per intero il loro dovere. «Mi è capitato tante
volte, purtroppo, di essere inviata in una zona
alluvionata. Ogni autunno, direi, almeno una volta.
E avevo già provato questa sensazione di stravolgimento, davanti ad auto portate via, a case stravolte,
a piazze cancellate. Stavolta, la differenza per me
era che quella era la mia terra». Così Raffaella Calandra, blogger e giornalista di Radio 24. «Sono
andata - continua - nei paesi investiti dalle frane,
come Paupisi e ho toccato la disperazione di chi ha
perso la casa e l’azienda, in una stessa notte. Li
guardavo e leggevo perfettamente in certe facce
tagliate dal vento, in quelle mani ruvide, in quegli
occhi trasparenti la desolazione di vedere vanificati
“i sacrifici di una vita”. Sapevo perfettamente cosa
significasse. Sono vite di resistenza, questa, resistenza all’emigrazione, ai cattivi raccolti, alle difficoltà. Alla noia e all’abbandono. Vite vissute per lo
più in silenzio, nelle seconde file rispetto a tutto.
Concentrate sulla famiglia, sul lavoro, su sentimenti
sinceri che non ammettono ipocrisie. Soprattutto
in amore. È terra di fatica e risparmi, questa. Terra
di gente, abituata a rimboccarsi le maniche, per
cercare di avere dalla terra - niente affatto generosa
- i frutti del proprio lavoro. È terra di gente riservata, orgogliosa, poco incline alla polemica e alla
lamentela. Molto di più abituata al dolore silenzioso e al sudore, da cui ricavare margini spesso esigui
di guadagni. Con cui costruire la casa, con cui far
studiare i figli. Poi arrivano le pietre e il fango e tutto
sparisce». Nel buio dell’emergenza, attraverso il
profilo Facebook “Gabriella Giorgione per Caritas”,
reso disponibile da una volontaria per comunicare
nell'immediato le attività della Caritas Diocesana di
Benevento, diretta da don Nicola De Blasio, è scoppiata quella che è stata definita la “rivoluzione della
solidarietà”. Agli appelli postati hanno risposto
migliaia di persone, d’ogni dove: dalla Campania,
dal Lazio, dalla Puglia, dalle Marche, dall'Abruzzo e
persino dalla Sicilia. Circa 1800 i volontari: semplici
cittadini, medici, professionisti, scout: tutti a spalare fango.
I numeri sono impressionanti. Dal 15 ottobre,
quasi 10mila i pasti preparati e serviti a Benevento
città e nelle contrade, a Ponte, a Paupisi, nell’area
industriale, a Solopaca. Oltre 10mila i panini farciti
per i volontari che si sono alternati nell’opera di
pulizia di strade, negozi e abitazioni. Sono stati
distribuiti oltre 600 kit alimentari (scatole piene dei
viveri necessari per uno-due giorni) per una famiglia media di 4 persone. Circa 250 i kit pulizia per
cominciare a ripulire le case almeno in prima
battuta. Circa 400 i kit per l’igiene personale e oltre
500 quelli per l’abbigliamento di adulti e bambini.
Nel dormitorio di via San Pasquale sono state
ospitate mediamente 25 persone al giorno. Al
padre di un bimbo disabile è stata finanche comprata un’automobile. Una risposta entusiasta, uno
sforzo immane. E già ci si prepara al “dopo”, perché passata l’emergenza, restano le ferite. Il lavoro
perso, la casa impraticabile, la prospettiva incerta.
#Rialzati Sannio.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(5)
(6)
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
PRIMO PIANO
CAOS LINEA 6 E DISSESTO IDROGEOLOGICO
LA PROTESTA SUL WEB
Chiaia in ginocchio
Così la rete assedia
il sindaco arancione
Rosario Scavetta
Livia Iannotta
Senza nulla togliere agli
altri angoli della città, che pure
svettano per magagne e criticità, Chiaia, il salotto di Napoli,
più che splendere zoppica.
Quartiere traballante, fabbrica
di incertezze, dove a due anni
dal crollo che ha sbriciolato
parte della facciata del palazzo
Guevara di Bovino (nella foto)
serpeggiano ancora paura,
rabbia, questioni irrisolte.
Ma Napoli, si sa, è città di
promesse e speranze. I verbi si
coniugano al futuro e si disseminano in bei progetti, chiacchiere ottimistiche e rendering
mozzafiato. In effetti vediamo
solo quelli. È il caso della
grande incompiuta: la linea 6
della metropolitana. Progettata nel ’90 come linea tramviaria rapida, la tratta che dovrebbe collegare Fuorigrotta al
centro cittadino, con capolinea piazza Municipio, vede in
funzione per il momento il
breve segmento che va da
Mostra a Mergellina. Nessuna
certezza circa l’apertura al
pubblico delle altre fermate,
anche se recentemente il
governo ha lo sprint con lo
stanziamento di 3,6 miliardi da
destinare al completamento di
linea 1 e linea 6 (con prolungamento fino a Bagnoli). La
stazione di San Pasquale è la
più promettente. La fine dei
lavori, però, prevista per il
2015, è slittata a data da destinarsi. «Ce ne vorrà ancora per
un po’ - chiarisce Fabio Chiosi,
vertice della I Municipalità almeno fino alla seconda metà
del 2016». Se infatti la galleria
di linea, così come la stazione
sotterranea, è pronta o quasi
per l’uso, lo stand-by è tutto
della parte superficiale. «C’è il
problema di individuare le
Mentre l’amministrazione
comunale snocciola
rendering e promesse, il
cuore pulsante della città
vive uno dei suoi momenti
peggiori: negozi sfitti,
emergenza sicurezza e i
pericoli del sottosuolo.
aperture ed ottenere il nulla
osta dalla Soprintendenza per
il progetto di sistemazione
superficiale», aggiunge Chiosi.
L’area, tra l’altro è soggetta a
vincoli storico-paesaggistici e
il progetto, firmato dall’architetto Boris Podrecca, nei mesi
scorsi aveva sollevato i dubbi
delle associazioni cittadine,
che avevano suggerito correttivi per ovviare, ad esempio, alla
diminuzione del verde e all’eccessiva pavimentazione prevista nel rendering. Punto su cui,
evidenzia Chiosi, «non si è
ancora fatta chiarezza. Per
questo i tempi del vaglio da
parte della Soprintendenza
sono più lunghi».
Intanto, mentre sottoterra si
scava, Chiaia sprofonda. Dissesto idrogeologico, denunciarono Riccardo Caniparoli,
Franco Ortolani e altri geologi,
in relazione alla condizione del
sottosuolo del quartiere, molto
prima del 4 marzo 2013. La
stabilità dei palazzi, da allora,
non è più scontata. E preoccupano le voragini che “bucano”
l’asfalto, gli avvallamenti, gli
scantinati allagati.
Non si è ancora fatta del tutto
luce, infatti, su cosa ha fatto
venire giù l’ala del palazzo
Guevara. A questo stanno
provvedendo le indagini della
magistratura, che hanno portato al rinvio a giudizio di 19
tra tecnici, manager e direttori
dei lavori e al blocco dei lavori
alla stazione Arco Mirelli, altra
fermata della linea 6. Ed è
proprio sulla galleria, scavata
in corrispondenza del civico
72, che i geologi scommettono.
Se poi dalla Chiaia “di sotto”
saliamo in superficie, si “toppa” in altri campi. Prendiamo
la sicurezza, ad esempio. Dei
dispositivi di videosorveglianza installati nella I Municipalità circa il 60% sarebbe fuori
uso. Questo perché - come
sottolinea Chiosi - sono scaduti da tempo i contratti di manutenzione e la Napolipark
(oggi Anm) non si è ancora
presa in carico la riparazione
delle telecamere. Qualcosa
però sembra muoversi: «Recentemente – puntualizza – è
stata approvata una delibera
con cui si dà la possibilità ad
Anm di prendere in carico i
dispositivi e avviare la manutenzione».
Sui marciapiedi del quartiere,
poi, continuano ad abbassarsi
le serrande dei negozi. Nonostante qualcuno millanti sintomi di ripresa, Napoli fa ancora
i conti con un terziario in
ginocchio. Complici il caro fitti
(a via Calabritto per un locale
di 30 metri quadri un proprietario può arrivare a chiedere
7mila euro al mese) e la contrazione degli acquisti, la
cartolina del quartiere di lusso
viene appannata e il giro di
soldi si arresta. In realtà il
commercio è in crisi in tutta la
città e ingoia senza distinzione
piccoli negozi ed esercizi più
ampi, attività decennali e di
fresca apertura, negozi periferici e centrali. Ma a Chiaia
impressiona di più. È segno
che la recessione si è appollaiata perfino tra le griffes. E sta
bene dov’è.
La protesta corre sul
web. Archiviate le elezioni
regionali e la battaglia a
colpi di post e tweet dei
candidati alla presidenza
della Regione Campania,
l’attenzione si è spostata
sulle elezioni comunali a
Napoli che si terranno nel
2016. Mentre l’attuale
sindaco Luigi de Magistris
ha annunciato la ricandidatura a Palazzo San
Giacomo, l’ex sindaco ed
ex governatore della
Campania, Antonio Bassolino sta studiando il clima
per un ritorno nell’agone
politico. Secondo i dati
rilevati dal gruppo facebook «Bassolino Sindaco per
la rinascita di Napoli»
godrebbe di un certo
seguito: sono infatti 2268
gli iscritti. Non possiamo
dire lo stesso per l’attuale
primo cittadino partenopeo. L’ex magistrato, che
sbancò nel 2011 con la
rivoluzione arancione,
dopo quasi 5 anni di
sindacatura, è assediato in
rete da gruppi di protesta
come: «de Magistris non è
il MIO sindaco», «de
Magistris sindaco scaduto», «Liberare Napoli dal
Sindaco de Magistris». Ma
ad evidenziare la problematiche della città in
maniera minuziosa sono i
comitati civici e le associazioni che mettono sotto la
lente d’ingrandimento
l’operato del sindaco
«arancione». Giusto per
citarne qualcuno: «Cittadinanza Attiva in Difesa di
Napoli», «Gennaro Capodanno - Comitato Valori
collinari», «Comitato
Civico Carlo III», «La
Posillipo della gestione De
Magistris». E sono tanti i
profili Facebook, quasi
uno per ogni quartiere,
veri e propri “contenitori”
di dibatti in rete. Si va dai
piccoli sfoghi relativi alla
chiusura di strade, agli
arredi urbani carenti, alle
problematiche sulla raccolta differenziata, a dei
veri e propri post di approfondimento che lamentano una mala amministrazione che ha tappato gli
occhi di cittadini che - si
legge nel post «La Costa in
Gioco» del 18 settembre
scorso (www.cittadinanzattivanapoli.com) «hanno portato in trionfo
una specie di Masaniello
arancione, ignorando i
suoi trascorsi calabresi
costellati di nomi fantasiosi e di rovesci burrascosi
(...). «Dopo quasi 52 mesi
di amministrazione catastrofica - si legge ancora
nel post - la città annaspa
in un degrado come mai si
era visto prima. Traffico,
trasporti, strade, parcheggiatori e venditori abusivi,
microcriminalità e criminalità organizzata, accattonaggio, sporcizia, sosta
selvaggia, barboni, incuria,
verde morente e defunto,
sono voci, dalla prima
all’ultima, che hanno
raggiunto il loro punto di
non ritorno, e non è escluso che lo sfacelo possa
ulteriormente peggiorare
in questi ultimi mesi di
disperata propaganda
elettorale. Voci che contribuiscono alla vivibilità
quotidiana dei cittadini.
Sappiamo bene che de
Magistris ha trovato una
situazione finanziaria che
non gli ha concesso nulla.
Tuttavia, sperando in
un’amministrazione da
buon padre di famiglia, a
maggio 2011 concedemmo a chi proclamava di
aver scassato una lunga
franchigia fiduciaria,
purtroppo mal riposta per
la sua incapacità di affrontare i problemi con competenza. De Magistris si è
all’inizio circondato di
personaggi di un certo
prestigio, perché gli coprissero le spalle. Poi, man
mano che emergevano
prosopopea, arroganza,
prepotenza, delirio di
onnipotenza, narcisismo,
è stato abbandonato alla
sua deriva. La Giunta
odierna non ha quasi più
nulla di quella di quattro
anni fa, e la presunta
legalità di cui de Magistris
andava cianciando è stata
affondata in un marasma
di ordinanze, delibere e
decisioni degne di severi
approfondimenti da parte
di Procura della Repubblica, Corte dei Conti, Guardia di Finanza, stampa e
social network. Si aggiunga la distribuzione delle
grandi aziende di servizi, a
staffisti e collaboratori di
non comprovate capacità
ed esperienza ma di granitica fedeltà al sindaco, ed il
quadro desolante è completo».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
FOCUS
IN USCITA IL SAGGIO DI MIMMO DELLA CORTE
Il Mezzogiorno? Si salva senza l’Italia
Il giornalista ed economista con «Le ricchezze del Sud» detta le linee guida
per risolvere la questione meridionale, smontando le falsità della politica
Michele Tempesta
gistica dei traffici nel Mediterraneo. Ed insieme a queste linee guida, altre proposte che
l’autore spiega con articolate
documentazioni, illustrandone benefici e possibilità.
Della Corte punta il dito contro l’immobilismo delle classi
dirigenti meridionali e sottolinea che “è arrivato il tempo
che gli uomini del Sud la smettano di piangersi addosso, capiscano che la condizione in
cui sono costretti a vivere non
è colpa di un destino cinico e
baro che li ha condannati alla
perdizione e che li perseguita,
aspettando il momento di precipitarli all’inferno, bensì è
conseguenza sia delle scelte di
chi, pur avendogli promesso il
Paradiso li ha rinchiusi in una
sorta di purgatorio senza prospettive e futuro, sia della loro
complicità nell’accettarne tutte le scelte, dando ascolto alle
tante, troppe Cassandre che
annunciavano, ed ancora annunciano, sventure e cataclismi per il Sud”.
Solo il Mezzogiorno può rilanciare se stesso. È questa la
conclusione cui - attraverso
l’analisi di quanto avvenuto in
Italia, nei rapporti fra Nord e
Sud, dal 1861 ad oggi, sia nell’immediato post-(mala)unità,
che dalla nascita della Repubblica - giunge Mimmo Della
Corte col suo nuovo libro “Le
ricchezze del Sud” edito da
Controcorrente, in una sorta
di continuità ideale con “Supersud. Quando eravamo primi”, edito dalla Iuppiter e nel
quale aveva ripercorso le vicende del Regno delle due Sicilie, dalla nascita fino al 1861.
“Oggi più che mai - scrive l’autore - il Sud è una splendida,
ma soprattutto, incompiuta e
contradditoria realtà. Basta,
infatti, dare uno sguardo ad alcuni dati economici congiunturali, elaborati da Srm, Movimprese, Istat, ed altre fonti
ufficiali che lo riguardano, ancora di più se letti alla luce dell’estrema difficoltà in cui versa quest’area, della crisi globale in atto, di quella sorta di invalicabile forca caudina del
patto di stabilità da non sforare, e via via citando, per accorgersi dell’enorme contraddizione esistente fra quello che
appare, un Sud allo sfascio totale, e quello che è: un Sud ricco di potenzialità che però non
sa e non riesce a mettere a frutto”. Soprattutto perché è stato
sempre costretto a fare i conti
con un sistema di potere nemico, lontano ed assolutamente creatore di ulteriori problemi. “E questi - scrive sempre Della Corte - sono fatti,
non teorie o teoremi. Che piaccia o no a quei tromboni che
riempiono le classi digerenti e
ai «meridionalisti illuminati»,
sempre pronti a scagliarsi contro il Sud ed a colpevolizzarlo
per la condizione in cui continua ad essere ristretto, assolvendo, di contro, il Governo
centrale - anzi, no i Governi da ogni responsabilità per l’irrisolta, atavica e sempre più
grave questione meridionale”.
Della Corte, che ama definirsi
“meridionale per nascita e «sudista», orgoglioso di esserlo
nonostante il significato decisamente dispregiativo che i
meridionalisti illuminati dan-
no al termine”, nel suo saggio
si chiede se è giusto per il Mezzogiorno restare ancorato all’Italia. Un Paese profondamente antimeridionale e ipocrita che:
1) a 154 anni dall’unità continua a mostrare così scarso rispetto al Sud, considerandolo
la palla al piede che ne condiziona e rallenta lo sviluppo;
2) usa il Sud come una sorta di
bancomat da cui prelevare le
risorse da investire altrove;
3) continua a prenderlo in giro e, dopo avergli sottratto, tra
taglio al cofinanziamento europeo e fondi per gli asili nido,
ben 9,5mld, annuncia l’intenzione d’investire 9mld nel Sud;
4) continua a fingere di non
rendersi conto che le misure
fiscali e non, assunte per combattere la crisi, continuano a
ricadere sul Sud in maniera più
pesante che non sul Centronord ed allungano ulteriormente le distanze fra le due
macroaree;
5) festeggia enfaticamente la
goccia di nuove assunzioni
sfociate nel fiume dei livelli occupazionali in Italia e finge di
non accorgersi della cascata di
posti perduti precipitata nell’oceano disoccupazionale
meridionale;
6) considera il Meridione una
sorta di terra di conquista (vedi Salvini) per guadagnarsi un
bel gruzzolo di voti pescando
consensi in fasce di opposizione, mentre i suoi alleati sono
afflitti da una scialba politica
politicante;
7) può ancora accettare senza
fiatare che, in conseguenza di
questo comportamento e per il
fatto che sul suo territorio è
Serve un Sud unito,
capace di ritrovare la
propria autonomia
energetica, decisionale,
bancaria e assicurativa:
solo così può farcela e
può tornare ad essere
l’area leader ed il
volano di sviluppo
dell’intero bacino del
Mediterraneo
possibile fare di tutto, ma anche il suo contrario ed addirittura continuare a non far alcunché, senza valorizzarne alcuna peculiarità, ormai, in pieno 2015, continui ad essere
soltanto una splendida incompiuta ed un’area a sviluppo limitato.
Il Meridione per Della Corte
dovrebbe staccarsi dall’Italia e
imparare a ripensarsi completamente puntando sui suoi
«talenti». Al Mezzogiorno, infatti, come si evince dal libro,
per crescere occorre: un sistema infrastrutturale degno di
tal nome; un’ipotesi progettuale che indichi quale futuro
e quale modello di sviluppo
s’intende realizzare e quale
volto dargli: industriale, turistico, commerciale, punto logistico e di snodo verso il Mediterraneo, o di semplice mercato di vendita di prodotti provenienti da altre zone del Paese, piuttosto che area d’interscambio che, a fronte di prodotti acquistati al di fuori dei
propri confini, offra servizi e
beni di sua esclusiva pertinenza (mare, turismo, cultura, ambiente, archeologia, agricoltura ed agroalimentare); capire
quali devono essere le infrastrutture da realizzare e, infine,
indirizzi e linee operative da
seguire per ottenere quest’obiettivo; promuovere e sostenere i consumi delle eccellenze del Sud al fine di cancellare l’enorme squilibrio nella
bilancia commerciale interna;
creare una banca d’investimenti che prenda il posto del
vecchio Banco di Napoli e,
guardando alle famiglie ed alle imprese territoriali, collabori allo sviluppo dell’economia
meridionale; puntare su una
fiscalità di compensazione;
trasformare cassa integrazione e degrado del territorio da
problemi a risorse; rafforzare
la portualità meridionale, potenziandone il sistema trasportistico retrostante e istituendo nelle aree vicino ai porti delle zone a fiscalità agevolata per fare del Sud la base lo-
Si augura, quindi, Mimmo
Della Corte che la gente meridionale si risvegli, abbia voglia
di riprendersi la dignità, sappia
puntare sulle proprie capacità.
Dice: “Serve un Sud unito, capace di rialzare la testa e ritrovare la propria autonomia
energetica, decisionale, bancaria ed assicurativa: solo così
può farcela e può tornare ad
essere l’area leader ed il volano di sviluppo dell’intero bacino del Mediterraneo. Ma
dobbiamo essere, soprattutto
noi meridionali a crederci, a
volerlo e ad impegnarci perché
ciò si avveri”.
Per dimostrare ai lettori che
non si tratta di un libro di sogni ma di equilibrate e studiate soluzioni per un Mezzogiorno finalmente realizzato, Della Corte chiude il suo lavoro
con un un viaggio attraverso le
ricchezze che le cinque regioni del Sud possono mettere in
campo al servizio del proprio
sviluppo. Senza alcun bisogno
d’interventi esterni.
Il Sud, per crescere, insomma,
avverte Mimmo Della Corte:
“Non ha bisogno di risorse da
spendere «tanto per…», ma di
un sogno vero, concreto e, soprattutto possibile che faccia
leva sulle sue potenzialità, sul
quale investire le proprie risorse”.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
FOCUS /2
A TRENT’ANNI DALLA MORTE DEL CRONISTA UCCISO DALLA CAMORRA
Giancarlo Siani, «giornalista giornalista»
Tante le iniziative che hanno ricordato l’«abusivo» del Mattino: dal premio a lui
intitolato agli eventi del Pan con l’icona Mehari. La denuncia di Roberto Paolo
Livia Iannotta
ed il giornalismo di frontiera.
Giornalisti di guerra...in Italia”, al teatro Diana andava in
scena “Ladri di sogni” di
Peppe Celentano e Vincenzo
De Falco e la sala del Modernissimo proiettava le pellicole
che ritraggono il cronista. In
anteprima assoluta “L’estate
sta finendo”, docufilm di
Alessandro Chiappetta e
Graziano Conversano, andato
in onda il 23 settembre su Rai
Storia. Un’ora di racconti di
colleghi, amici, scrittori come
Roberto Saviano, Maurizio de
Giovanni e Angelo Petrella, del
direttore de Il Mattino Alessandro Barbano, di D'Alterio e
giornalisti come Ruotolo.
L’estate sfumava. Un ragazzo col sogno di fare il “giornalista giornalista” e il vizio di
ficcanasare nelle zone d’ombra risaliva a casa dalla redazione de Il Mattino a bordo di
una Mehari verde evidenziatore. Al Vomero, in una stradina
a ridosso di piazza Leonardo,
lo aspettava un commando
della camorra: lo freddarono
dieci colpi di pistola. Giancarlo Siani, appena 26 anni, oltre
600 articoli: ammazzato per
aver scritto. Era il 23 settembre
1985. Trent’anni dopo Napoli
omaggia il precario in attesa di
assunzione con discorsi,
applausi e gonfaloni. Scivolando, però, su qualche imprecisione e, forse, un po’ troppa
retorica.
Celebrazione con scivoloni
Il 23 settembre, al Vomero, il
sindaco de Magistris, insieme,
tra gli altri, al presidente della
fondazione Polis Paolo Siani e
al questore di Napoli Guido
Marino, depone una corona di
fiori sulle Rampe che a Siani
devono il nome, con tanto di
esibizione del coro giovanile
del San Carlo. Tutto mentre a
poche centinaia di metri, via
Romaniello, la traversa dove
Giancarlo venne ucciso, resta
deserta. Lo fa notare nell’editoriale “Giancarlo Siani e la
memoria tradita” il vicedirettore del quotidiano Roma
Roberto Paolo: «Tutto il circo
mediatico era concentrato
sulle rampe di scale intitolate
dal Comune a Siani. Uno
strano modo di coltivare la
memoria di questo martire
civile». Affondo anche a Il
Mattino che, come evidenzia
Paolo, pubblica il giorno dopo
in prima pagina la foto della
celebrazione con la didascalia:
“Rampe Siani. La cerimonia
sul luogo dove venne ucciso
Siani”. «Persino loro – scrive
Paolo – ignorano il vero luogo
della morte dell’ex giornalista
“abusivo”».
Il fulcro della giornata è però il
Premio Siani, XII edizione, che
per l’occasione va a Siani
stesso. O meglio al libro “Fatti
di camorra. Dagli scritti giornalistici di Giancarlo Siani”
(Edizioni Iod), selezione di
pezzi che gli sono costati la
vita, divisi per argomento, con
prefazione di Roberto Saviano.
troppo grande per poter
essere accertata. Si è indagato
tutto? Sì, senza dubbio».
Paolo Siani
Più leggera, dunque, rispetto
all’antologia “Le parole di una
vita” del 2007. La sala riunioni
del Mattino si riempie in
anticipo. C’è il parterre della
legalità, ci sono politici e
giornalisti gomito a gomito
con gli studenti accorsi. Non
tutti sanno la storia di quel
Siani, ed è bello che le parole
di Sandro Ruotolo, Lirio Abbate, Giovanni Tizian, don Ciotti,
Geppino Fiorenza raggiungano anche loro. Dal dibattito
emerge chiaro che scartavetrare la verità non è stato
semplice. E forse parte di
quella coperta limacciosa
resta. Suonano così le parole
del magistrato Armando
D’Alterio, nella giuria del
premio: «Quella nota è la
verità giudiziaria. Se volessimo
quella storica ci vorrebbe un
altro Siani». E ancora: «Si è
accertato tutto? No, la verità è
Verità minate
Roberto Paolo ha tentato di
andare oltre la verità giudiziaria con “Il caso non è chiuso.
La verità sull’omicidio Siani”
(Castelvecchi editore), coraggioso libro inchiesta con cui
formula ipotesi alternative su
mandanti ed esecutori dell’omicidio, scavalcando quelle
40 righe pubblicate su Il Mattino il 10 giugno 1985 e l’ipotesi secondo cui la cattura di
Valentino Gionta sarebbe
stato «il prezzo pagato dagli
stessi Nuvoletta per mettere
fine alla guerra con l’altro clan
di Nuova Famiglia, i Bardellino», che vengono lette come
la sua condanna a morte. E
spingendo così la Procura a
riaprire il caso. Nel giorno del
trentennale, l’omaggio più
autentico a Siani lo ha fatto
proprio Paolo, rendendo
pubblica la mole di documenti giudiziari raccolti nel corso
delle sue ricerche. Grazie a lui
e alla Fondazione Trame
Festival di Lamezia Terme,
sentenze, documenti, atti
giudiziari sono inseriti in un
archivio digitale consultabile
da tutti in rete sul sito
www.tramefestival.it. «Omettere la verità – scrive Paolo –
sbagliare il luogo dell’assassinio di Siani (…) credo rappresenti un tradimento profondo
della memoria e dell’esempio
Roberto Paolo
di Giancarlo Siani. Così come
mi pare grave tacere la circostanza che tutta la documentazione su quei processi ha
dovuto viaggiare fino in Calabria per trovare spazio e pubblica divulgazione». E il settimanale di informazione
online Iustitia sostiene: «Se
fosse stato bandito il premio
Siani, il libro sarebbe entrato
di sicuro nella rosa dei favoriti.
E forse questo elemento
potrebbe essere uno dei motivi che ha spinto la giuria a non
bandire il premio perché le
ipotesi avanzate, discutibili
ma documentate, sollevano
forti dubbi sulle verità acquisite». Nei giorni della memoria,
intanto, a Torre Annunziata
sfilava l’icona Mehari, nell'Aula Magna dell'Università Suor
Orsola Benincasa l'Ordine dei
giornalisti teneva il corso di
formazione “Giancarlo Siani
Giancarlo nel cinema
Sul grande schermo hanno
prestato il volto a Siani Yari
Gugliucci in “E io ti seguo” e
Libero De Rienzo in “Fortapàsc”. Il primo (2003, 350mila
euro di budget), film forse più
“scomodo”, scritto, diretto e
prodotto da Maurizio Fiume, è
stato proiettato nelle scuole, in
convegni e cineforum, ma di
fatto non è mai uscito nelle
sale e neppure inserito nel
palinsesto del Modernissimo
per la celebrazione. Perfino il
critico Morando Morandini
nel suo “Dizionario dei film”
ha scritto: «Avrebbe meritato
una distribuzione più forte». A
dargli voce è stato proprio
Chiaia Magazine, primo
giornale a distribuire il film,
nel 2009, allegando il dvd a un
numero spaciale. Il secondo,
del 2008, è prodotto da BìBi
Film-Rai Cinema-Minerva
Group e vede alla regia Marco
Risi. Appigliamo il ricordo,
oggi, a questi fotogrammi e
alle sue colonne d’inchiostro.
Ma possiamo immaginarlo:
avrebbe 56 anni, racconterebbe ancora senza paura. Federica Angeli, Giuseppe Baldessarro, Paolo Borrometi, Arnaldo
Capezzuto, Ester Castano,
Marilù Mastrogiovanni, David
Oddone e Roberta Polese lo
hanno fatto con il libro “Io
non taccio. L’Italia dell’informazione che dà fastidio”,
pubblicato da Edizioni Cento
Autori e presentato per la
prima volta il 23 settembre
nell’atrio del Pan che poco
dopo è stato intitolato a Siani.
Tacere non fa per il giornalista,
hanno ripetuto.
(Ha collaborato Lidia Girardi)
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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SOLLECITAZIONI
SIGARETTA, COM’È
TRISTE DIRTI ADDIO
Sono in crisi profonda. Preso tra l’incudine
del divieto di fumo e il martello di mia moglie
che mi relega in giardino o sul terrazzo. Sono
stato costretto a dire addio a uno degli ultimi
piaceri che mi restavano: la sigaretta.
Ad un uomo toglietegli un buon bicchiere di
vernaccia, una donna da amare e una sigaretta
da fumare, che cosa gli resta? Un uomo sta tutto
nella triade: Bacco, tabacco e Venere. Un vero
uomo si vede in tre congiunture: al bicchiere, al
fumo e nell’incontro amoroso. Se non lo trovate
in tali momenti, che uomo è?
Sono in crisi. Inconsolabile e nervoso da mane a
sera. Lavoro senza voglia e stento a prender
sonno. Dio, come invidio il mio caro zio Peppino
che ha fumato fino ad 85 anni in pace e in tolleranza. E come potrei immaginarmelo senza il
suo sigaro toscano alle prese con crete, gesso e
terrecotte? Come sarebbero potute uscire dalle
sue mani quelle maschie figure o quelle deliziose silhouette senza una briciola di tabacco? Lo
rivedo tra compassi, spatole e pennelli, mentre
immerso in una nuvola di fumo bluastro modella le “vezzose”, le “maldicenti”, le sue “sirene”, i
suoi “pierrot”, le “danzatrici”, i “tribuni”. Avrebbe mai don Peppino senza il supporto inseparabile del suo sigaro, disegnato, modellato, abbozzato, dipinto, lavorato come un forsennato
senza mai fermarsi un istante? No, non avrebbe
potuto. Quei piccoli e grandi capolavori senza il
condimento del “fumo toscano” sarebbero
risultati smorti, monchi, depauperati.
Così mio padre, ostinato indefesso lavoratore,
tenace sportivo, una sigaretta dietro l’altra,
avrebbe mai tirato di fioretto, saltato ostacoli,
frequentato palestre, tirato al bersaglio, giocato
a tamburello a scopone e a scacchi, rodato siluri,
oleato motori, senza Giubek e Macedonia incollate alle labbra? L’avesse avuta mia madre l’inclinazione al fumo avrebbe osato di più e pazientato di meno!
Le sigarette, indubbiamente vere e autentiche
delizie! Per i fumatori incalliti insostituibile
prima durante e dopo i pasti, dopo e ancora
dopo la prima e l’ultima tazza di caffè, prima e
dopo il tenero amplesso carnale! Dopo per
sbollire la rabbia, prima e dopo l’esame di
maturità. Prima e dopo una defatigante sgroppata. Sul set accanto alla “lettera 22”, sulla
panchina del parterre e impartendo lezioni di
arte scenica. La vecchia inseparabile compagna
di Bogart, Tedeschi, Zeman, Brass.
Lì, tra le labbra procaci di Mistinguett in Bonjours Paris o tra le dita affusolate di Rodolfo
Alfonso Raffaello Pierre Filiberto, figlio di Giovanni Guglielmi. Fumare fa bene ai nervi e libera
l’estro e la fantasia. Sarebbe un gran bene per
tutti se a Napoli a fumare fosse il Vesuvio.
UMBERTO FRANZESE
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
IL PREMIO INTITOLATO AL GIORNALISTA IRPINO
Nel nome di
Carlo Nazzaro
Michele Tempesta
Nel suggestivo salone Orsini
di Palazzo De Francesco, a Chiusano San Domenico, si è tenuta il
10 ottobre la manifestazione di
consegna dei riconoscimenti
della II edizione del Premio di
Giornalismo e Varia Umanità
“Carlo Nazzaro-Sud Protagonista”, promosso dal Comune di
Chiusano, paese natio del grande
giornalista (in alto in un disegno
di Aldo de Francesco), già direttore del Roma negli anni ’30 e poi
condirettore del Mattino ai tempi
della direzione di Giovanni
Ansaldo. La giuria del premio presieduta dal giornalista e
scrittore Aldo de Francesco e
composta dal direttore di Canale
21 Gianni Ambrosino, dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti
della Campania Ottavio Lucarelli,
dal direttore del Roma Antonio
Sasso, dai professori Enrico
dell’Orfano e Antonio Festa e
dalla segretaria del Premio Lorenza Licenziati - ha deciso di
assegnare i premi, divisi per
sezioni che prendono il nome da
alcune opere di Carlo Nazzaro. I
vincitori della II edizione sono:
per la sezione “Napoli sempreviva” Pietro Gargano, giornalista,
scrittore, notista di costume ed
elzevirista del Mattino e Antonello Perillo, caporedattore centrale
responsabile del Tgr Rai Campania; per la sezione “Vico Fantasia” Monica Sarnelli, artista e
cantante, e Gigi Savoia, regista e
attore; per la sezione “Sud Prota-
gonista” Gianni Festa, giornalista, fondatore e direttore del
Quotidiano del Sud.
Significativo l’intervento scritto
per l’occasione dal giornalista
Pietro Gargano - che non ha
potuto ritirare personalmente il
premio - in cui ritrae finemente il
profilo di Nazzaro. Ne pubblichiamo uno stralcio.
«Se mi avessero detto che un
giorno avrei ricevuto il Premio
intitolato al mio Maestro, avrei
creduto a uno scherzo. Ero una
matricola universitaria appena
approdata al Mattino con l’illusione di diventare giornalista e
vagavo per le redazioni a caccia
di qualche minimo incarico,
soprattutto prelevare pesanti
cliché in archivio. In quelle
stanze dominava un anziano
signore elegante, che raccontava
di quando aveva intervistato
Albert Einstein e della sua amicizia con Enrico De Nicola, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando
Russo, Roberto Bracco. Direttore
di lungo corso del Roma, condirettore del Mattino, Carlo Nazzaro aveva conosciuto tutti i giganti
del suo tempo. Aveva sistemato
un pianoforte in tipografia affinché vi suonasse Mascagni. Aveva
convinto Marta Abba a recitare
per cronisti, impiegati e tipografi
alla presenza di Pirandello.
Vestiva all’inglese e discuteva alla
francese. Di Parigi conosceva
ogni angolo, pur non essendoci
mai stato. Odiava viaggiare, Capri
l’aveva vista solo dal vaporetto.
Era una miniera di sapere, eppu-
re non ti metteva mai in soggezione, sarà stato per le indimenticate, terragne origini irpine.
Mai invadente, si era ritagliato
uno spazio la domenica, con un
elzeviro in terza pagina, seguitissimo. Lo scriveva a rate su pezzetti di carta, che consegnava a
qualche giovanotto affinché li
battesse a macchina. Ovviamente l’incarico era ambitissimo.
Toccò anche a me e fu una grande scuola, perché la prosa di
Nazzaro era straordinaria, chiara,
fresca come acqua, poetica e
scorrevole, cronaca di un tempo
perduto e ritrovato. Migliorava
ogni settimana, sono convinto
che se Don Carlo fosse ancora
vivo meriterebbe il Nobel. L’incarico di copista ti ammetteva alla
corte notturna di Nazzaro, che
non dormiva mai. Cene tra
contrabbandieri, puttane e nobili
decaduti; alla fine il Maestro
intimava: “Paga chi guadagna di
più” e poiché era pensionato il
conto toccava al caporedattore
Franz Guardascione. Seguiva
passeggiata in via Caracciolo per
una preghiera e un obolo a una
statuetta di San Gennaro. Nazzaro restava solo per un colloquio
fitto col Patrono. Sono convinto
che non chiedeva: suggeriva.
Sono grato a Chiusano San
Domenico, a Beniamino l’erede
di tanta storia e ai colleghi della
giuria per l’onore che mi fanno.
Un femore spezzato mi tiene
lontano solo fisicamente. Don
Carlo, direttore mio, vi bacio le
mani e vi ringrazio».
SOLLECITAZIONI
la vignetta
di Malatesta
IL SUDISTA
Mimmo Della Corte
COSTO REGIONI:
NORD BATTE SUD
Colmo
di fulmine
Diario stupendo
G. MAROTTA
La filosofia
dei tracchi
«La varietà dei nostri
fuochi d’artificio rende
possibile qualunque
romanzo o poema
detonante. Abbiamo
così il pettegolezzo dei
tracchi minimi, i quali
brucano la tenera erba
dei rumori e
terminano quasi in un
acido sospiro di
beghina; spazio alle
perentorie
dichiarazioni dei
tracchi massimi, duri e
violenti come un
pugno di Robespierre
sul tavolo del
Comune; abbiamo la
trezziola simile a una
lunga, affannosa
invettiva di femmina
dei vicoli, che
s’impenna e
s’affloscia, scappa e
ritorna, perde e ritrova
il fiato continuamente,
sembra eterna e
muore di sincope ad
un tratto, con un
guaito di megera; non
manca la granata che
vi colloca il suo tuono,
come una sciabola,
nelle visceri; c’è poi la
minacciosa batteria
che incrina le nubi e
lesiona i palazzi della
città vecchia; infine
abbiamo la solitaria
botta a muro, che
deflagra per urto,
come l’ira di un
guappo
schiaffeggiato».
(Giuseppe Marotta,
dal libro «Mi voglio
divertire», 1954)
***
G. PEIRCE
I «fuochisti»
di Napoli
«Una volta riuscì a
disegnare su Napoli
l’immagine della
Madonna. Una
Madonna tutta d’oro.
Le botte napoletane
sono destinate a tutti:
sono botte libere:
scoppiano per il cielo
e per il diavolo. I
fuochisti di Napoli
hanno una divisa.
Anche egli la indossa
quando accende i
fuochi. È formata da
una camicia bianca e
da un paio di
pantaloni azzurri. La
camicia deve essere
bianchissima,
candida, ben stirata.
Alla fine, dopo gli
spari, quella camicia
deve ritornare a casa
sporca di fumo,
strappata, ridotta a
brandelli. Quanto più
è stracciata la camicia
più baci hanno i
fuochisti dalle loro
donne. Quella camicia
grigia di fumo, unta, è
il segno del coraggio,
del sangue freddo,
della forza. I fuochisti
sono uomini. Gli
uomini di Napoli».
(Guglielmo Peirce,
dal libro «Nostalgia di
Napoli», 1965)
di RENATO ROCCO
L’ottimismo
è accendere
una speranza per
spegnere una paura.
Voleva pensare
profondamente
ma aveva paura
del vuoto.
Da scapolo a
sposato: ha maritato
la promozione.
Il concorso di bellezza
delle monache:
la miss-credente.
Per arrivare allo
stesso traguardo
l’uomo scappa, la
donna aspetta.
“Guaje a chi port’à mala
nummenata”, perché
qualunque cosa faccia
la sua cattiva nomea gli
sarà sempre rinfacciata.
Di questa antica saggezza l’Italia del tacco
rappresenta l’esempio
più lapalissiano. E non
mi riferisco alle dichiarazioni “choc” dell’ex
ministra cattocomunista Rosetta Bindi sulla
geneticità criminale
della società napoletana
e, quindi, dell’intero
meridione, con quella
“bocca” può dire ciò
che vuole. In fondo,
spararle grosse è l’unica
possibilità che le resta
per continuare a “galleggiare” in politica,
bensì alla presunta
spreconeria di cui in
fatto di costi della politica viene sempre accusato il Sud, anche se i dati
ufficiali da tempo dimostrano il contrario.
Mentre, di contro, sono
le regioni alpine a statuto speciale - Valle D’Aosta (18,4 mld euro complessivi pari 143 euro a
residente) e Trentino
Alto Adige (67 mld euro
complessivi, 63 pro
capite)-, quelle che
chiedono ai loro cittadini il massimo contributo per la propria sopravvivenza. A certificarlo la
“nota scientifica sulla
mappatura dei costi
della politica nelle
regioni italiane”, elaborata dall’Istituto di
ricerca Demoskopika,
su dati Siope, il sistema
di rilevazione informatica sui pagamenti delle
spese della Pubblica
Amministrazione.
Relativamente al “mantenimento” degli organi
istituzionali di Regioni
(indennità di carica e di
missione per i consiglieri ed assessori regionali,
presidente della Giunta,
spese per il funzionamento dei gruppi consiliari, i compensi per la
partecipazione dei
componenti alle riunioni degli organi istituzionali), Province, Comuni,
Comunità montane ed
Enti parco, il cui costo
complessivo, nel 2014, a
dire della “nota”, è stato
di 1,4 miliardi, pari a 23
euro per ogni italiano.
Solo sette le regioni al di
sotto della media e fra
queste due meridionali:
la Campania con una
spesa complessiva di
90,1 mld euro, pari a
15,3 euro pro capite e la
Puglia con un totale di
spese di 77,9 mld euro,
pari a 19,1 euro pro
capite; mentre i primi
due posti della graduatoria della virtuosità
sono occupate da: Lazio
con una spesa di 75,1
mld euro e12,8 euro pro
capite e dalla Lombardia con una spesa di
128,7 mld euro, 12,9
euro pro capite. Dopo
l’ex regio felix, si piazzano, invece, la Toscana
con costi per 57,6 mld
euro, 15,4 euro pro
capite; seguita da Emilia
Romagna 79,4 mld euro
complessivi, 16,8 euro
pro capite ed il Veneto
84,6 mld euro complessivi e 17,1 euro. Numeri
che confermano che
“tutto il mondo è Paese”
e che, anche sul fronte
della spesa per la politica, il tanto vituperato e
sbeffeggiato Mezzogiorno d’Italia è in linea con
il resto d’Italia. Basta
pensare che tenendo
conto solo delle quattro
regioni meridionali
peninsulari, il mantenimento degli organi
istituzionali pesa per 35
euro pro capite; se vi si
aggiunge anche la
Sicilia, sale a 38 e se vi si
sommano anche Abruzzo e Molise arriva a 39,
contro una media complessiva settentrionale
di 41,7 euro pro capite e
di 35 euro per il CentroNord. Inferiore alla
media l’Italia Centrale
dove questo gravame si
ferma a 21,8 euro pro
capite. Il che ribadisce,
per l’ennesima volta,
come al Sud, per crescere, manca soltanto il
Governo. Da notare,
infine, che la Campania,
che a maggio aveva
conquistato il primato
fra le regioni italiane per
la capacità di utilizzo
dei Fondi Ue, piazzandosi al terzo posto fra le
meno dispendiose in
fatto di spese per la
politica, conferma di
essere ritornata sulla via
maestra. Speriamo che
continui su questa
strada.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
QUARTIERISSIME
MANTO SOLLEVATO, LA PROPOSTA DELLA MUNICIPALITÀ
Posillipo, strade ko e cittadini infuriati
Rosario Scavetta
Posillipo: paradiso sfregiato,
offeso. Per rendersene conto
basta fare un veloce giro lungo
via Manzoni, via Boccaccio,
viale Virgilio. Arterie principali,
frequentate non solo dai residenti, ma anche dai tanti
turisti che affollano il quartiere, in cui lo scorrimento, che ci
si trovi in auto, sul sellino di
una bici o (peggio) a piedi,
risulta tutt’altro che semplice.
La causa? I marciapiedi rialzati. Artefici di tale situazione di
disagio sarebbero i pini marittimi piantati in passato, le cui
radici - allo stato attuale dei
fatti - sollevano la pavimentazione dei marciapiedi. Ci si
riferisce in particolar modo a
queste strade, ma casi simili si
registrano anche in altre vie
secondarie del quartiere, dove
le poderose radici, sollevandosi, sono divenute nel corso del
tempo un serio ostacolo per i
pedoni, in particolare per
anziani, bambini e disabili.
Dai cittadini, lamentele e
richieste. Come quelle di Gennaro, sessantadue anni, che
evidenzia «la assoluta necessità da parte delle istituzioni di
un intervento che possa finalmente sistemare le cose, eliminando gli avvallamenti». O di
Sergio, cinquantenne, appassionato di jogging: «Il marciapiede esiste perché deve essere
pedonabile - dice - altrimenti
che marciapiede è? Quando
vengo a correre qui, in via
Boccaccio, ogni tanto devo
scendere dal marciapiede e
continuare tra le automobili in
corsa. E’ una scocciatura, ma
sono uno sportivo, quindi con
le dovute attenzioni posso
farlo. Un anziano cosa dovrebbe fare? Scendere con il bastone o con il girello e stare attento alle auto? È una follia. Il
rischio che si facciano male è
troppo alto. Speriamo e crediamo che le istituzioni prendano
a cuore il problema dopo le
segnalazioni, sarebbe un importante segnale di ascolto
delle nostre problematiche». Ai
reclami dei cittadini, la Municipalità risponde. «Il problema
dei pini nell'ultimo tratto di
Via Manzoni, in Via Boccaccio
e Viale Virgilio è annoso e si
aggrava sempre più - riferisce
Fabio Chiosi, presidente della I
Municipalità (Chiaia, Posillipo,
San Ferdinando) - le radici
affioranti hanno completamente distrutto i marciapiedi e
compromesso il manto stradale. I tecnici del Servizio Attività
Tecniche della Municipalità,
nonostante queste strade
siano principali e quindi di
competenza del Comune,
hanno proposto un progetto
mutuato da un'esperienza
positiva adottata a Pescara. In
pratica una sorta di rete da
applicare sulla strada ai lati del
marciapiedi, che potrebbe
contenere le radici e consentire il transito dei veicoli. Questa
soluzione progettuale si è resa
necessaria in quanto la Soprintendenza da un lato vieta
l'abbattimento dei pini se in
buona salute, dall'altro vieta di
rialzare la sede stradale, di
fatto bloccando ogni soluzione
utile. Mi auguro - continua che il Comune adotti quanto
prima la soluzione progettuale
proposta dalla Municipalità
perché è assurdo e vergognoso
che quelle strade, tra le più
suggestive di Napoli, versino in
quello stato».
Oplepo, venticinque anni
di letteratura «potenziale»
Venticinque anni fa, sull’isola azzurra, Ruggero
Campagnoli, Domenico D'Oria e Raffaele Aragona
(nella foto insieme ad altri «oplepiani») fondavano
Oplepo, l’Opificio di Letteratura Potenziale, su
modello della fucina di sperimentazioni linguistiche
Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle) fondato in
Francia nel 1960. Per festeggiare un quarto di secolo
dalla fondazione, Napoli ha ospitato dal 22 al 24
ottobre “Venticinque anni di letteratura potenziale in
Italia”: una tre giorni di letture, performance e
spettacoli ispirati, tutti ispirati alla “letteratura
possibile”. Il via è stato dato con un omaggio a Italo
Calvino alla libreria la Feltrinelli di Chiaia, con lettura,
tra i vari interventi, di un’intervista impossibile
all’autore scritta da Silvio Perrella. Il 23 ottobre
all’Università Suor Orsola Benincasa si è tenuto il
convegno “La letteratura potenziale da Parigi a
Napoli” e all’Institut Français Napoli “le Grenoble”,
dopo un laboratorio di scrittura e l’incontro “Les
voeux de l’Oulipo à l’Oplepo”, si sono esibiti in
concerto “I virtuosi di San Martino”. A chiudere, il 24
ottobre, alla galleria “Al blu di Prussia”, la proiezione
di “Zazie nel metrò” di Louis Malle. (l. i.)
Tabaccheria Moggio,
un carico di sorprese
Restyling viale M. Cristina di Savoia
Stanno per terminare i lavori
di riqualificazione di viale Maria
Cristina di Savoia curati dalla I
Municipalità e seguiti dal delegato alla Manutenzione Alberto
Boccalatte. Un restyling d’impatto che cambierà radicalmente
l’aspetto della strada. I marciapiedi, infatti, saranno pavimentati con sampietrini e il manto
stradale, completamente rifatto
dal sottostrato, sarà ricoperto di
asfalto di ultima generazione
drenante e fonassorbente che,
come sottolinea Boccalatte,
«grazie alle sue caratteristicherenderà la strada decisamente
più sicura e porterà ad un notevole abbattimento dell’inquinamento acustico ed atmosferico».
«Ottenere il placet dalla Sovrintendenza - spiega il delegato alla
Manutenzione - a sostituire i
sampietrini con l’asfalto è stata
per noi una grande soddisfazione ed è la controprova che quando si portano progetti seri e si
instaura con la Sovrintendenza
un dialogo costruttivo è possibile ottenere il parere favorevole
all’utilizzo dell’asfalto».
Sui ritardi accumulati, poi,
Boccalatte chiarisce: «Avremmo
voluto terminare l’intervento nei
tempi prestabiliti ma sfortunatamente vi sono stati degli imprevisti durante i lavori eseguiti, in
contemporanea, dalla Napoletanagas che sta provvedendo a
sostituire ampi tratti di tubature
vetuste con altre moderne che
garantiranno standard di sicurezza decisamente più elevati e
che hanno rallentato, ovviamente, anche le operazione a cura
della I Municipalità in quanto
abbiamo dovuto attendere che la
Napoletanagas risolvesse gli
inconvenienti riscontrati».
Un accenno anche alle altre
arterie urbane dissestate: «Mi
auguro - incalza - che finalmente
anche l’amministrazione comunale ottenga il via libera dalla
Sovrintendenza per sostituire i
sampietrini in alcune strade di
sua competenza che necessitano
di tale intervento per garantire la
sicurezza di chi le percorre
come, per esempio, Parco Margherita. È strano che come
Municipalità abbiamo ottenuto
il placet prima per via Tasso ed
adesso per Viale Maria Cristina
di Savoia mentre il Comune
sostiene che all’amministrazione centrale, nonostante si dicano pronti ad intervenire, viene
negato».
Nella centrale via dei Mille, accanto alle più note
griffes di abbigliamento e accessori moda, è
presente dal 2008 anche la Tabaccheria Moggio.
Qui, oltre ai prodotti e servizi che abitualmente
offrono le rivendite dei monopoli, è possibile
scegliere tra una vasta gamma di articoli da regalo,
tutti esclusivamente made in Italy, che
garantiscono un ottimo rapporto qualità-prezzo.
In vista delle feste natalizie, poi, oltre alla già ricca
offerta “tradizionale”, la tabaccheria Moggio ha in
serbo tante sorprese e iniziative da destinare alla
clientela più affezionata.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
STORIE&IMPRESE
TEATRO SANNAZARO, LA SERATA DELLA PREMIAZIONE
Napoli protagonista con il «Masaniello»
Lidia Girardi
Celebrazione dei volti della
Napoli che brilla nei campi
più vari, dall’imprenditoria
alla cultura, all’impegno
sociale. Riconoscimento per
chi, mescolando talento,
abilità e intraprendenza, ha
messo in risalto con se stesso
la città intera e la sua autenticità. Il premio Masaniello ha
compiuto 10 anni e ha festeggiato il suo compleanno in
grande stile con una serata,
organizzata al teatro Sannazaro lo scorso 27 settembre,
trascorsa tra musica, canto e
suggestive performance
artistiche. Sala gremita per
una cerimonia che ha avuto
modo di esistere anche grazie
ai tanti sponsor aderenti, tra
cui Marinella e Sartoria
Condotti. Sul palco, a presentare i premi legati dal tema
“Napoletani protagonisti nel
mondo”, Lorenza Licenziati e
Sasà Trapanese, accompagnati nella lettura delle motivazioni da Federica Flocco e
Umberto Zito, che con la sua
voce ha conquistato i tanti
presenti. Anime della manifestazione, che ogni anno si
arricchisce e sorprende: Luigi
Rispoli, ex presidente del
Consiglio provinciale di
Napoli, il vulcanico Umberto
Franzese, coordinatore del
comitato scientifico dell’Aige,
coadiuvati nell’organizzazione dalla dinamica giornalista
Laura Bufano. In un affollato
teatro Sannazaro, hanno
ricevuto il «Masaniello»,
opera dello scultore Domenico Sepe: il cantautore Nino
Buonocore; il pizzaiolo Enzo
Coccia; Maurizio Fiume e
Giuseppe Grispello per
l’intenso documentario “Una
bella giornata”; il Console
Onorario delle Filippine
Francesca Giglio; l’attrice
Angela Luce; Gianni e Pino
Maddaloni per la sezione
sport; il direttore dell’Istituto
degli Studi Filosofici Gerardo
Marotta; il direttore de Il sole
24 Ore Roberto Napoletano;
la costumista Odette Nicoletti; il ricercatore scientifico
Francesco Orio; l’imprenditrice Maria Giovanna Paone;
il direttore dell’Accademia di
Belle Arti Giovanni Pisani; il
cantante Antonello Rondi; la
gallerista Ria Rumma; il
ricercatore scientifico Franco
Salvatore; l’editore Ruggero
M. Savarese; l’imprenditore
Paolo Scudieri e il pasticciere
Sabatino Sirica. Particolarmente toccante il momento
della consegna all’attrice
Angela Luce del premio alla
carriera, che ha sollevato dal
pubblico un prolungato
scroscio di applausi. Entusiasmo e condivisione, dunque,
per le scelte del comitato
scientifico presieduto da
Luigi Rispoli e composto da
Laura Bufano, Francesco
Bellofatto, Gianna Caiazzo,
Ettore Capuano, Giovanni
Celestino, Max De Francesco,
Ettore Forestiere, Massimiliano Franzese, Umberto Franzese, Carlo Iandolo, Franco
Lista, Fortunato Rossi e
Sergio Zazzera e della giuria,
di cui hanno fatto parte
Mario De Cunzo, Francesca
Cicatelli, Vittorio Del Tufo,
Ottavio Lucarelli, Mariano
Marmo, Anna Paola Merone,
Antonio Sasso, Giovanna
Scala, Mariella Utili. Durante
la serata il pubblico è stato
intrattenuto dallo spettacolo
“Napoli crogiolo di culture”,
che ha visto esibirsi artisti
come Dominga Andrias, Ana
Rosarillo ed Ernesto Bravo
Perez in “Alegrias de Càdiz”
per poi essere “alleggerito”
dalla comicità di Peppe
Iodice, anche lui premiato
per i suoi successi locali e
nazionali.
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STORIE&IMPRESE
RANIERI IMPIANTISTICA, ECCELLENZA DI OTTAVIANO
Il successo? Dialogo e gioco di squadra
Per chi lavora con lui, che
sia operaio o ingegnere, con
esperienza di ferro o ultimo arrivato, bandisce il termine “dipendente”, optando per un più
umano “collaboratore”. Basta
questo a far capire come Pasquale Ranieri (nella foto), titolare e amministratore unico
della “Ranieri impiantistica” di
Ottaviano, più che di imprenditore freddo e calcolatore, abbia il volto e il cuore di un pater
familias. Punto di riferimento,
al lavoro come sotto al tetto domestico. Sarà perché in quell’azienda è custodito quasi un
secolo di storia della sua famiglia. Ed essere lì è un po’ come
sentirsi a casa. Sarà per indole
e carattere gioviali che lo portano a radicare, anche quando
si parla di affari, un clima disteso, in cui l’imperativo è la
collaborazione. «Si vince insieme, si perde insieme – dice orgoglioso – È un gioco di squadra, nessuno può pensare di fare tutto da solo, ci si dà una mano a seconda delle inclinazioni
e specializzazioni». Ranieri eredita da suo padre Michele, negli anni ’80, l’impresa messa in
piedi a cavallo tra ‘800 e ‘900
dal bisnonno, pioniera nell’area vesuviana per impianti di
riscaldamento e depurazione.
Quattro generazioni di uomini
a capo di un’impresa oggi specializzata nella realizzazione,
installazione e manutenzione
di impianti di trattamento dell’aria, di depurazione di acque
reflue per industrie, idrico-sanitari, antincendio, elettrici, fotovoltaici, che garantiscono
comfort, sicurezza e risparmio
energetico. Con l’ultima generazione Ranieri vanti del-
l’azienda diventano la climatizzazione e refrigerazione per
strutture industriali ed alberghiere, centri commerciali e
multisale, che portano la ditta
a spingersi anche oltre regione,
curando gli impianti all’Honda
palace di Roma e all’ospedale
civico di Codogno (Lodi). Ma
core business di “Ranieri impiantistica” è, senza dubbio, la
sanità. «Gestiamo gli impianti
del gruppo presidio ospedaliero “Pineta Grande” di Castel
Volturno, del centro polidiagnostico “Medicinafutura” di
Acerra, della clinica cardiologica “Montevergine”», elenca Ranieri.
Il giro di boa risale a qualche
anno fa. L’occasione è stata un
appalto per la gestione degli
impianti di condizionamento,
riscaldamento, antincendio e
sollevamento idraulico nelle
gallerie della Circumvesuviana,
vinto in una congiuntura negativa per il mercato. «In momenti come quello devi capire
se vuoi fare l’imprenditore o no
– spiega – Io ho scelto di rischiare, firmando un contratto
dal quale non ci si può tirare indietro, stipulato con un ente
pubblico». Da lì, l’impennata.
Nuove assunzioni, un ridisegno
dell’assetto dell’azienda e nuovi sbocchi. «È stata una scelta
lungimirante. Abbiamo intrapreso un percorso di sistemazione di problematiche di sicurezza o energetiche relative alla Circum. Nonostante il settore in sofferenza, da questo appalto ci hanno affidato anche
la tratta di Metrocampania
nord-est, da Giugliano a Benevento. È stata l’occasione per
trasferire una piccola azienda
di 7 persone, orientata prevalentemente all’installazione di
impianti, ad organizzarsi per
dare un servizio più ampio alla
clientela, curando anche la fase progettuale e quella manutentiva e irrobustendo la squadra che oggi conta 15 professionalità». I cardini dell’azienda? Il primo: il dialogo. « Il nostro lavoro è la nostra vetrina.
Alla base c’è un confronto per
creare un impianto che sia come un abito a misura, per entrare nell’ottica della committenza». E ancora: aggiornamento continuo e specializzazione. «Credo nella formazione. È un investimento che frutta, si ampliano le competenze
dei ragazzi e li si abitua a un
nuovo modo di lavorare e pensare». E infatti tutte le maestranze sono altamente specializzate e in possesso di qualifiche a seconda dei settori di
competenza: dall’idraulica alla meccanica, dal campo elettrico al termico. E sul panorama
del business oggi, Ranieri è limpido: «L’imprenditore rischia
in proprio. Noi abbiamo volutamente marginalizzato il settore pubblico, in cui lavoriamo
dando in outsourcing i nostri
requisiti, collaborando con altre aziende. La torta del lavoro
c’è, bisogna saperla dividere».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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STORIE&IMPRESE
LA SQUADRA DI CALCIO NATA DALLA PASSIONE DI CHIANTONE E CARRELLA
Carrella Group, quando lo sport è favola
Adriano Padula
Metti insieme due amici
che hanno uno smodato
amore per il calcio; aggiungi
un gruppo forte ed entusiasmante di «malati» del pallone ed ex calciatori professionisti, i quali sono disposti
ancora ad affidarsi alla poesia
del gol e all’inseguimento di
un sogno; amalgama il tutto
con un team dirigenziale di
qualità e un pool di aziende
pronto a partecipare economicamente per il successo
del progetto.
Da questo cocktail di uomini
e passioni, di programmazione e desiderio di mettersi in
gioco, è nata, nel luglio scorso, la FC Carrella Group,
squadra di formidabili amanti dello sport che, da quest’anno, partecipa al duro e
seguitissimo Torneo Intersociale, prestigiosa competizione calcistica partenopea che
dal 1958 appassiona e scalda
cuori e gambe della città di
Napoli.
Se la Carrella Group è diventata realtà lo si deve innanzitutto alla tenacia di Lucio
Chiantone e Giovanni Carrella i quali, dopo tanti anni di
esperienza vissuti prima
come calciatori e poi come
(22)
tecnici, un bel giorno hanno
deciso di impegnarsi in
un’altra avventura, stimolante benché difficile, con
l’obiettivo supremo di «fare
squadra», diffondere la nobiltà del gioco pulito e la bellezza aggregativa del dopo gara.
Niente è affidato al caso in
questa sfida di Chiantone e
Carrella. I due, che di pallone
ne capiscono, sanno bene
che l’Intersociale è torneo
ostico, di notevole spessore
tecnico, animato da rivalità
territoriali, dove tra “vecchie
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
glorie” e atleti in cerca di
gloria, la condizione fisica e
psicologica è di fondamentale importanza. Per questo
motivo il piano settimanale
per la preparazione della
partita del sabato prevede
intensi allenamenti con e
senza palla, preziose sedute
di tattica e partite amichevoli
che, spesso, prevedono anche
postpartita con cena di gruppo, in cui calciatori e dirigenti
continuano a tavola a discutere di formazioni, moduli e
ripartenze. Non c’è sogno
senza programmazione e
sostegno economico. Se
Lucio Chiantone e Giovanni
Carrella sono i motori instancabili del team, lo staff dirigenziale rappresenta «l’uomo
in più» della squadra. Citiamo, ad esempio, i presidenti
Franco Carrella e Carmine
Esposito, che non fanno mai
mancare il loro entusiasmo
contagioso prima, durante e
dopo le partite; impossibile
non ricordare la determinazione dei dirigenti Nino De
Nicola e Fortunato Guariglia,
pronti a indossare calzoncini
e scarpette e ad allenarsi
insieme alla squadra, e l’impegno degli sponsor Carrozzeria Carrella, Bar Serpentone
e Mam, senza i quali l’Intersociale rimaneva un sogno
nel cassetto. Non sappiamo
dove potrà arrivare Carrella
Group in questo primo campionato: di certo ne seguiremo le gesta, convinti più che
mai che lo sport è favola e il
calcio, come diceva Javier
Marìas è romantico «recupero settimanale dell’infanzia».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
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STORIE&IMPRESE
PRESENTATO AL GAMBRINUS IL LIBRO «COMME FACETTE MAMMETA»
Renato Rocco, il filosofo del calembour
Per essere seri bisogna
saper ridere, diceva Charlie
Chaplin. E di certo Renato
Rocco, autore del libro «Comme facette mammeta», analisi
semiseria a sfondo antropologico della canzone napoletana, conosce la serietà della
vita e l’opportunità di alleggerirla. Nel volume, edito da
Homo scrivens e presentato al
Caffè Gambrinus ad ottobre,
Rocco parla infatti con grande
serietà di quella Napoli nobile
e nobilissima, plebea e accattona, romantica e perdigiorno
a cui si ispirano le note e i
versi di musicisti e parolieri.
Ma non perde mai la lanterna
magica dell’ironia. Lo strumento col quale Diogene
(24)
cercava l’uomo, metaforicamente viene utilizzato dall’autore per illuminare il lato
umoristico delle parole,
spodestando i luoghi comuni
e spiazzando di continuo il
lettore. L’autore suggerisce,
insomma, un nuovo punto
d’osservazione, dal quale
inevitabilmente parte la risata
che si nutre dell’intelligenza,
il tratto distintivo di Rocco. Da
«Il doppio giogo» (Savarese,
2002) a «Colmo di Fulmine
(Ed. del Delfino, 2004) e
«Mettersi in sposa» (Ed. del
Delfino, 2005) fino a «Il motto
che parla» (Savarese 2012) le
risate che suscitano i suoi
aforismi, i suoi giochi di
parole e calembour, come
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
scrive sapientemente Raffaele
Messina nella prefazione del
libro «non sono risate a perdere». «La risata non è fine a
se stessa, ma viatico per
osservare il mondo da una
prospettiva insolita e, in fin
dei conti, potenzialmente
penetrante». Al giocoliere
delle parole è stata dedicata
una serata organizzata dall’infaticabile moglie Pinarosa
Cerasuolo, moderata dalla
giornalista Laura Cocozza e
arricchita dalla partecipazione del pianista Vincenzo
Caruso e della soprano Ilaria
Iaquinta, con letture dell’attore Patrizio Rispo, e interventi
del saggista e consulente
editoriale Raffaele Messina,
dell’esperto di comunicazione Umberto D’Oriano e dello
scrittore ed editore Aldo
Putignano.
Comunicare significa arrivare
al pubblico, sorprenderlo e
convincerlo. Renato Rocco,
affidandosi alla leggerezza
dell’ironia, giocando con le
parole e “trasformando” il
refuso in genere letterario, è
un grande comunicatore. Chi
legge i suoi calembour si
accorge che potrebbero
essere adottati da pubblicitari
e spin doctor. Chi s’inoltra
nella lettura di questa sua
ultima fatica letteraria, si
accorge di come il suo occhio
elegante e longanesiano si
posi su tic, manie, ‘nzirie e riti
partenopei con piglio indagatore e l’arguzia di un moralista del ‘700. Deliziose le
analisi delle canzoni napoletane, che Rocco smonta e
profana esclusivamente per
amarle di più. Sorprendente
per originalità e acutezza la
seconda parte del volume,
dedicata alla critica spassosa
di memorabili proverbi napoletani, tra cui segnaliamo lo
straordinario capitolo sul
numero “tre”, che per i napoletani rappresenta «la via di
fuga, la porta sempre socchiusa a una soluzione di
ripiego, la logica della scappatoia. Sempre ammiccante,
sempre devastante».
(foto di Ciro Orlandini)
STORIE&IMPRESE
A VIA PARTENOPE LA NUOVA SFIDA DI PAOLO SCUDIERI
Eccellenze Campane, il gusto del mare
bellezze del Golfo. Un format che sarà esteso anche
ad altre città e che consentirà di distribuire, attraverso
una rete di hub, i prodotti
d’eccellenza del Made in
Campania. Oltre alla gastronomia più tradizionale e
allo street food, saranno due
le specialità che saranno
servite nel nuovo store: la
pizza all’acqua di mare di
Guglielmo Vuolo e il Panuozzo “Caponata” alle alici
di Cetara dei Fratelli Manzi.
Eccellenze Campane è il
polo agroalimentare di
Napoli che riunisce piccole
imprese campane operanti
nei diversi settori dell’enogastronomia, con l’obiettivo
di promuovere e valorizzare
le eccellenze agroalimentari
direttamente dal “produttore” al “consumatore”, concentrando in un’unica struttura le migliori produzioni
regionali.
Inaugurato a via Brin nel
gennaio del 2014, in meno
di due anni di vita il contenitore dedicato alle eccellenze agro-alimentari della
Campania è diventato a
pieno titolo un punto di
riferimento per la città e per
chi è impegnato nel settore.
Oltre 1,5 milioni di visitatori
e circa 665 mila specialità
rigorosamente made in
Campania prodotte, 100
mila pizze e 70 mila panuozzi sfornati, oltre 400 mila
caffè e 95 mila sfogliatelle
servite: sono solo alcuni dei
numeri che testimoniano il
suo successo. Qui, infatti,
hanno trovato spazio piccoli
produttori ma grandi prodotti che hanno conquistato
la città. Un polo gastronomico innovativo per formula
e contenuti territoriali, che
si estende su una superficie
Eccellenze campane, il taglio del nastro della sede di Via Partenope
di 2.000 metri quadrati
dedicati alla produzione,
alla commercializzazione e
alla somministrazione dei
prodotti agro-alimentari
d’eccellenza. In tutto 520
posti a sedere, 8 aree di
produzione (panificio,
birrificio, pastificio, caseificio, torrefazione, pasticceria, cioccolateria e gelateria)
e 12 aree di ristorazione.
L’Aula Magna di Eccellenze
Campane è il luogo dedicato all’informazione, all’edu-
cazione, alla cultura e all’organizzazione d’eventi. La
struttura è diventata fulcro
di molte attività che si sono
svolte in città, un luogo
dedicato all’informazione,
all’educazione e alla cultura,
sede di corsi di cucina,
degustazioni, didattica per
bambini e congressi. Con 70
posti a sedere, è dotata di
tutta la strumentazione e i
confort per garantire momenti di qualità. All’interno
dell’Aula Magna, inoltre, è
possibile svolgere lezioni di
cucina grazie all’ausilio di
una cucina mobile.
Si chiama Eccellenze Campane Mare l’ultima creatura
enogastronomica di Paolo
Scudieri, presidente di
Eccellenze Campane, in un
luogo che rappresenta il
salotto di Napoli: una struttura di circa 200 metri quadri, location mozzafiato con
vista su Capri e Posillipo. Il
logo di Eccellenze Campane
Mare è caratterizzato da una
stella marina, a ricordare le
Ed Eccellenze Campane
Mare è anche shop. Presso
lo store del lungomare,
infatti, è possibile prenotare
e acquistare le specialità
della Terra del Buono, come
pasta, pane, birra, dolci,
conserve o la mozzarella di
bufala Dop, realizzata esclusivamente con latte fresco di
bufala proveniente dagli
allevamenti dell’area di
origine protetta. In alternativa, è attivo il servizio
d’asporto: è possibile ricevere i prodotti di Eccellenze
Campane direttamente a
casa, in ufficio o dovunque
ti trovi. La consegna sarà
effettuata con la macchina
elettrica, sostenibile al 100%
per offrire sempre prodotti
locali che creano valore per
il territorio.
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(25)
DIVINAZIONE
IL MITO E I GIORNI
Sagittario,
fuoco calmo
La nona fatica di Ercole rappresenta la via che il
Segno deve percorrere per la piena coscienza di sé
Rosamaria Lentini
Con il Sagittario si chiude
la terna dei Segni dell’elemento Fuoco. Alla fiamma
schioppettante e sfavillante
dell’Ariete, a quel fuoco
appena acceso e ancora un
po’ incerto, segue quella del
Leone, il fuoco che è divampato, con la sua fiamma
prorompente e vivida. Infine
c’è il fuoco del Sagittario, che
può essere paragonato alla
brace: coperta dalla cenere,
non dà un calore violento,
ma può durare molto più a
lungo. Il Sagittario, a meno
che - caso abbastanza frequente - non si dedichi allo
sport attivo o al viaggiare esprime la sua vitalità con il
pensiero. Nessun altro Segno
dello Zodiaco è capace di
pensare tanto rapidamente e
tante cose contemporaneamente come i Sagittari. Il
desiderio, che caratterizza i
Segni di fuoco, infatti, fa sì
che il nativo del Segno, proprio a causa del «calore della
brace», sia animato continuamente da una specie di
vulcano mentale, capace di
trarre una serie d’incredibili
(26)
conclusioni, spesso pertinenti, ma sempre troppe e,
pertanto, spesso irraggiungibili. Passare dalle idee agli
ideali, se non c’è un buon
senso della realtà, è un passo
facile e allora i nativi di
questo Segno partono per
voli pindarici, pronti a scalare la facilissima - secondo
loro - vetta del mondo.
Da queste poche parole
potrebbe sembrare una
disgrazia avere il Sole di
nascita nel IX Segno: non è
assolutamente così. Basti
pensare che è proprio da
queste caratteristiche, infatti,
che nasce il maestro, a volte
dedito all’insegnamento
scolastico altre, ad un livello
più elevato, orientato ad
essere un Maestro di Vita.
L’uccisione degli uccelli di
Stinfalo è la nona fatica di
Ercole e bene illustra la
strada che deve percorrere il
Sagittario per liberarsi da
tutto ciò che ingombra la sua
mente e quindi la sua vita. La
storia è questa: in una palude
dell’Arcadia vivevano degli
orridi uccelli dalle piume
metalliche che lanciavano
come frecce contro le loro
prede. Il loro rumore era
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
assordante e, inoltre, erano
uccelli di morte, devastatori
dei raccolti e divoratori di
uomini. Ercole, per sterminarli, ricorre a un ingegnoso
artificio: costruisce dei piatti
di bronzo che poi percuote
vigorosamente, spaventandoli talmente da farli volare
via terrorizzati dagli alberi
dove erano nascosti e trasformandoli, in tal modo, in un
facile bersaglio per le sue
frecce.
Il conseguimento dei significati più ampi del Sagittario,
che rappresenta la nona casa
dello zodiaco fisso, può
appartenere solo alla piena
maturità della nostra esistenza, quando finalmente possiamo dire basta a quel
rumore che ci ha disturbato,
ma che era ineliminabile se
volevamo partecipare alla
perpetuazione della vita
dell’Universo. Il Sagittario
allora, con la sua brace calma
e silenziosa, ci apre la finestra sul nostro universo,
quello che sapremo trovare
dentro di noi e che ci potrà
dire qualcosa su quello tanto
più grande nel quale abitiamo.
[email protected]
LE CARTE DEL DESTINO
Maurizio Pacelli
LA BILANCIA
DELLA GIUSTIZIA
“Non crediate che io sia
venuto a portare la pace
sulla terra; non sono venuto
a portare la pace, ma una
spada”. Così recita il Vangelo attribuito a Matteo, a
significare che il compito di
ognuno di noi deve essere
quello di manifestare la
propria Verità. Testimoniare
in ogni atto la propria essenza, distinguere, separare
il bene dal male, attenersi al
principio della giusta azione, non nel senso del comportamento che può avere
un effetto utile dal punto di
vista individuale, ma fare
ciò che è necessario in base
ad una sorta di etica morale
universale a prescindere dal
proprio tornaconto contingente. L’applicazione di
questa necessità comporta
l’assunzione, talvolta, di
posizioni scomode che
possono persino arrecare
uno svantaggio: l’importante è concorrere a perseguire
un concetto ideale di bene
che dovrebbe corrispondere
ai nostri bisogni più profondi dal punto di vista individuale e, contemporaneamente, alle necessità dell’ordine universale. Come in
cielo così in terra, come
sopra così sotto.
Tutto ciò non si ottiene
senza pagare un prezzo,
molto spesso costoso, bensì
attraverso la lotta senza
tempo con i nostri demoni.
È nel conflitto che emerge la
Verità, ed è nel conflitto che
l’uomo può evolvere ed
accedere a livelli di coscienza sempre maggiori.
La Giustizia denota il processo della “giusta azione” e
non è un caso che sia raffigurata da una donna, una
Grande Madre, in questo
caso la figura femminile più
anziana del Tarot: la dea
Maat. Secondo il Libro dei
Morti dell’antico Egitto,
questa divinità presiedeva
al rito della psicostasia,
ovvero della pesatura delle
anime. Giunti all’ingresso
dell’aldilà, il defunto, ac-
compagnato dal nostro
traghettatore Anubi (Le
Mat) doveva presentarsi al
cospetto della dea Maat e
mostrare il suo cuore che
doveva essere posto sulla
bilancia per verificare se
esso era davvero leggero
come un piuma di struzzo.
Solo in questo caso gli era
concesso di varcare la soglia, altrimenti veniva dato
in pasto alla temibile Ammit, la divoratrice.
Un cuore leggero denota
una vita condotta nella
Verità, cioè testimoniando
senza indugio la propria
essenza, per quanto scomodo possa essere. Leggero
non come una qualsiasi
piuma ma come quella di
struzzo, unico animale che
avrebbe le piume tutte
uguali. Attraversare la soglia
significa aver vinto la propria battaglia per la verità,
essere diventato un Eroe.
La Giustizia è essa stessa un
varco. Dopo le prime sette
lame che compongono la
fila terrestre, quella dell’esperienza nella materia,
si apre la fase dell’apprendimento del servizio agli altri,
un percorso che si concluderà con Temperanza.
La nostra anima chiede di
esprimersi e di guidare la
nostra vita, con sempre
maggiore forza. Attraversata
la soglia nulla sarà più lo
stesso. Per questo bisogna
arrivare alla meta puri, nella
Verità, altrimenti saremo
divorati dai nostri stessi
demoni e potremo solo
degenerare senza nessuna
speranza di conseguire il
nostro compito di vita.
La Giustizia è una carta
severa. Impone di trovare
un equilibrio tra pulsioni
contrapposte e di decidere
per la retta via. Come?
Attraverso il profondo
ascolto interiore, quel cuore
nascosto tra le vesti della
Dea a mostrare che anche le
azioni necessarie, apparentemente nocive, possono
rivelarsi assolutamente
benefiche per se stessi e per
gli altri.
[email protected]
saper vivere
CULTURA / COSTUME / RELAX / MOVIDA / EVENTI / CURIOSITÀ
Gaeta, i tre giorni dell’identità
Pietro Golia
Il XXIII Convegno Tradizionalista
della Fedelissima Città di Gaeta, tenutosi dal 16 al 18 ottobre 2015, è stato il
convegno della svolta. Significativamente il titolo era: “Identità in movimento”. Il punto di partenza è stata la
rilettura del Regno delle Due Sicilie,
della sua storia, delle sue scelte in
termini culturali, economici, sociali,
delle alleanze internazionali. E anche
dell’opposizione al liberismo, alla
cultura illuminista e alla egemonia
anglosassone, i padroni del mondo di
allora. Questa visione complessiva dei
rapporti sociali e del grande sviluppo
ritorna come destinazione futura del
Nostro Sud e dell’Europa. Era ed è
un’alternativa totale da costruire.
Quello dei Borbone, tra la fine del
Settecento e l’inizio dell’Ottocento, fu il
tentativo in parte riuscito di economia
pubblico-privato che vedeva lo Stato
imprenditore coesistere con un sistema produttivo privato molto avanzato,
in quei tempi, sul piano della socialità e
della solidarietà. Per i sistemi dominanti allora era una modernizzazione
di progresso e di giustizia sociale che li
superava tutti.
Durante la tre giorni di Gaeta sono stati
trattati diversi aspetti legati alla storia e
alle tradizioni del Sud ma anche argomenti di stretta attualità, come le
nuove strategie portuali per il Sud, la
distruzione del patrimonio storico e
architettonico di Napoli, le dinamiche
geopolitiche della Russia di Putin o la
salvaguardia dell’ambiente e delle
colture e culture meridionali. Sono
intervenuti scrittori, giornalisti, docenti
e ricercatori universitari, antropologi,
economisti, medici e musicisti: Sergio
Bilotta, Vincenzo Giannone, Aldo Vella,
Ivan Guidone, Adriana Dragoni, Aldo
Manna, Paolo Borgognone, Giancarlo
Amorelli, Mimmo Della Corte, Dario
De Maio, Felicia Di Paola, Gianni
Morra, Francesco Iaccarino, Massimiliano Verde, Gaetano Troisi, Marina
Lebro, Gaetano Marabello, Claudio
Saltarelli, Francesco Palmeri, Angelo
Acampora, Guido Belmonte, Alessan-
Intellettuali a confronto sul futuro
del Sud e sui mali della globalizzazione
dro Sansoni, Fabio Fusco, Stefano
Arcella, Giuseppina Focaccio, Annamaria Nazzaro, Ferdinando Melchiorre,
Andrea Ianniello, Assunta Terzo, Luca
Longo, Luigi Branchini, Nicola Abiuso,
Domenico Scafoglio, Simona De Luna,
Alfonso Piscitelli, Riccardo Caniparoli,
Gennaro Rispoli, Roberto Martucci,
Loreto Giovannone, Miriam Compagnino, Gianni Turco, Véronique Autheman e Edoardo Vitale.
Il convegno, organizzato dalla rivista
“L’Alfiere” e dalla casa editrice napole-
tana “Controcorrente”, è stato anche il
ricompattamento nella complessità di
tutto il mondo del possibile e delle
disponibilità di quanti al Sud debbano
alzare la testa e si debbano battere per
liberare, unire e rendere indipendente
la nostra terra.
Occorre quindi una criticità totale e
una riflessione a tutto campo su Napoli
e sul Sud. È possibile incanalare e
scardinare le pigrizie intellettuali del
folclorismo, dei nostalgici inchiodati
all’archeologia storica e a miti incapa-
Ciao Nuccio, re del saper vivere
Nuccio Apolito apparteneva al club degli
esagerati, in cui l’ingresso è consentito
esclusivamente a chi ha l’orrore del silenzio e tende a non voler passare inosservato. Imprenditore, ammuinatore della
dolce vita partenopea e capitolina, mattatore di notti shakerate e pokerate, quando
spuntava da via Chiaia era impossibile,
nell’infinità dei passanti, non riconoscerlo
e seguirne il tragitto. Camminata distratta,
giacche mai toccate dal dono della sobrietà, occhiali briatoreschi, capigliatura
curata e gestualità da avanspettacolo accompagnata da fragorose risate così simili
a quelle di Alberto Sordi. Era un ago che
desiderava farsi trovare nel pagliaio. Nemico della solitudine e delle mezze misure,
uomo non di ragionamenti ma di sentimenti, spesso indecifrabili persino ai familiari e
agli amici più cari, rinunciò da subito a una vita normale e comprensibile per coltivare
quel senso di libertà e d’evasione, suo personale antidoto contro le imboscate della
vita. Fuoriclasse nel prendersi gioco di se stesso e degli altri, produceva dosi massicce
di bugie, quasi sempre per strappare un sorriso, confondere il destino e somigliare ai
suoi eroi Tognazzi e Celi, coristi del “vaffanzum” in Amici miei, film prediletto insieme
a quelli di Totò. Quando irrompeva in redazione mostrava con felicità fanciullesca foto
di party esclusivi che lo ritraevano in compagnia di vip e belle donne. Per anni quegli
scatti gioiosi hanno arricchito le pagine del saper vivere di Chiaia Magazine, di cui era
un devoto sostenitore. Ora che il suo tempo terreno è finito, troppo presto, in una giornata bucaiola di settembre, continuo a vedere Nuccio Apolito, per gli amici “Nuccillo”,
per me zio Nuccio, per i figli “il Nocio”, seduto ai tavolini del bar del Teatro Sannazaro,
in rigorosa camicia turchese e improbabili mocassini, mentre ride esageratamente
raccontando bugie a un amico che lo sta pure a sentire. (mdf)
citanti? Il Sud può rinascere contando
sulle proprie forze, che sono tutte
eccellenze e unicità? Può rivendicare
un’autonomia, una sovranità politica,
economica, monetaria, culturale,
linguistica, agroalimentare? Lo stato di
crisi di questi giorni affonda le sue
radici nelle contraddizioni dell’Ottocento. Palestinesi e talebani ci dimostrano come si può fronteggiare la
violenza dell’invasione e della globalizzazione. Il vittimismo, i piagnistei non
portano da nessuna parte. Così come
pure lo stillicidio di piccole polemiche.
La crisi è provocata da un egemonismo
liberista e turbofinanziario che sta
moltiplicando contraddizioni e destrutturazioni di mentalità e di vita. Le
stesse politiche alimentari sono ostaggio dell’affarismo e della speculazione
internazionale. Si oppone un fronte del
rifiuto spontaneo, globale e perfino
antropologico. Ovunque nascono
nuove soggettività ribelli. Ovunque si
concretizza un nuovo sconfinato
antagonismo, una guerra civile mondiale. In quest’età del caos, gli Stati
Uniti da potenza dominante si sono
trasformati in un paese che vede l’oppositore russo diventare da assediato
stato assediante.
Nello stesso tempo, potenze regionali
come la Germania sono ridotte sulla
difensiva, perdendo credibilità acquisite nel corso degli ultimi decenni. Mentre paesi come l’Iran, il Giappone,
l’India si stanno trasformando in
potenze globali. Gli scenari sono radicalmente mutati in pochi mesi, fino al
punto di vedere rinascere la Via della
Seta – quell’insieme di rotte commerciali che congiungeva l’Asia Orientale
al Vicino Oriente e al bacino Mediterraneo – con l’accordo tra russi e cinesi,
che qualche anno fa sembrava impossibile. Questo fronte di stati, popoli e
culture è coalizzato contro il progetto
globalizzatore, che è costretto ad
arretrare. Il Mediterraneo ha riacquistato la centralità perduta ed è destinato a riprendersi quella funzione e quel
ruolo che gli competono. Possiamo
essere presenti come Sud sovrano,
libero e indipendente?
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(27)
ARTE
HORN
Ma Dan,
fiori onirici
Livia Iannotta
La bambina vestita di rosso di
cui non si vede mai il volto,
piccola e tondeggiante, col caschetto e un fiocco rosso cucito dietro le
spalle, saltella da un quadro all’altro di Ma Dan. Un alter ego dell’artista, si è pensato, o meglio ancora
una chiave di accesso ai suoi sogni.
Come un piccolo Virgilio, che prende per mano lo spettatore e lo
accompagna in uno spazio onirico
ovattato, dove libertà e innocenza si
fondono in un idillio verde, scintillante. L’artista cinese approda con
il suo bagaglio di sogni e tinte pastello a Napoli, esponendo per la
prima volta in Italia, alla galleria Al
Blu di Prussia, lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo
diretto da Mario Pellegrino, con la
personale “Half Dream – Flower
Blooming” (Mezzo sogno - Fiori
sboccianti), mostra proposta dalla
Galerie Pièce Unique di Parigi di
ritorno a Napoli dopo due anni.
Proprio nelle due sedi parigine
della galleria (rue J. Callot e rue
Mazarine), Ma Dan ha fatto il suo
debutto in Europa la scorsa primavera. Sotto al Vesuvio espone, fino
al 13 novembre, un corpus di circa
15 lavori di vario formato, alcuni
dei quali realizzati appositamente
per la rassegna partenopea.
Dipinge sogni esotici l’emergente
artista cinese, nata nel 1985 nella
provincia dello Yunnan dove nel
2011 ha ottenuto un master alla
Yunnan University Institute of Arts
e da cui le sue opere sono partite
(28)
per essere esposte negli Stati Uniti,
a Taiwan, a Pechino e in diverse
fiere internazionali. E lo fa con
delicati tocchi di pennello, ricomponendo visioni e riportandole alla
loro forma d’origine. Nel modo di
macchiare il supporto e di trattare il
paesaggio, ricorda alcune opere di
Henri Rousseau che ha dipinto la
lussureggiante vegetazione tropicale in una sorta di atmosfera onirica
che conserva la memoria dei tempi
antichi. Ma anche Dalì, Miro e tutti
i pittori surrealisti.
Tratti netti e rotondi, scenografie a
metà tra reale e fiabesco: con Ma
Dan la fantasia volteggia. In un
mondo semplice, tutto sommato,
ma che nasconde nelle pieghe
oniriche una forte carica ideologica. La scelta del cartone animato,
infatti, deriva dal fatto che questa
forma visiva è in grado di semplificare la realtà, come se l’artista
costruisse un mondo nuovo per
purificare il proprio io parlando ad
un bambino. L’ego, per gli artisti
cinesi, è una vera e propria sfida.
L’arte, la rappresentazione visiva in
genere, diventano allora mezzi per
confrontarsi con se stessi e dare
sfogo all’intimo. Questo perché
dopo gli anni Settanta il Paese ha
cambiato volto e la memoria nazionale sta lasciando spazio a frammenti di ricordi personali. È con i
dipinti che Ma Dan trasmette emozioni e immaginazione. Ed è tramite le immagini che invita a partecipare e condividere le sue gioie e le
sue tristezze per curare, attraverso
l’arte, il dolore dell’alienazione.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
Nel 2002 disseminò in
piazza del Plebiscito
più di 300 teschi in
ghisa. Dieci anni dopo
“Spiriti di
madreperla”, tornò a
Napoli dedicando
un’intera mostra alle
“capuzzelle” e ai temi
della rinascita, della
reciprocità fra la
dimensione della vita
e quella della morte.
Dopo tre anni dalla
sua ultima tappa
all’ombra dl Vesuvio,
Rebecca Horn torna
allo Studio Trisorio
(Riviera di Chiaia, 215)
con l’esposizione “The
Vertebra Oracle in
Napoli 2015”,
dal 10 ottobre al 31
dicembre. Per
l’occasione saranno
presentate sculture e
disegni legati alla
poesia, ma chicca
della mostra è senza
dubbio la grande
scultura “Revelation of
a Tree”: rami in bronzo,
estensioni
meccaniche che
convergono nel centro
di energia di un albero.
Occhio di riguardo
Le scissioni di Leckey
Il confine tra arte e quotidianità è sottile,
in alcuni casi si annulla. Le opere di Mark
Leckey, artista britannico, sono tutte così,
sospese a metà tra ciò che è tangibile e
ciò che è astrazione mentale. Non è
l’unico binomio, questo, che trasuda dalla
sua arte. Cultura alta e cultura popolare,
fisicità e virtualità, copia e originale,
singolo e collettività, umano e tecnologico
sono tutte inestricabili articolazioni del
mondo contemporaneo, continuamente e
inevitabilmente definito da una molteplicità di sollecitazioni e fattori che mettono in
crisi il concetto di identità unica e immutabile, e sono tutte puntualmente sviscerate, analizzate da Leckey.
Le nuove produzioni dell’artista, insieme
ad un’ampia selezione di opere storiche,
saranno in esposizione al Madre fino al 18
gennaio 2016 nella mostra dal titolo
“Desiderata (in media res)”, a cura di
Elena Filipovic e Andrea Viliani e organizzata in collaborazione con Wiels, Bruxelles e Haus der Kunst, Monaco di Baviera.
Si tratta, tra l’altro, della prima retrospettiva e prima mostra personale in un’istituzione pubblica italiana dedicata a Leckey,
vincitore nel 2008 dei prestigiosi Turner
Prize e Central Art Award. Accanto a
quell’iconico video del 1999, “Fiorucci
Made Me Hardcore”, sulla cultura
musicale giovanile dell’epoca, che portò
l’artista sotto i riflettori internazionali, ci
saranno sculture, installazioni, performance e video tesi ad esplorare il modo in cui
valori, narrazioni, simboli, feticci, oggetti
ridefiniscono la sfera dei nostri desideri e
fantasie più intime, plasmando la nostra
identità e le nostre memorie.
MICHELE TEMPESTA
ARTE
Vita da circo
nel docufilm
di Cuomo
IL REGISTA IRPINO RACCONTA
LA QUOTIDIANITÀ DI UN EX
ACROBATA, UNA CAVALLERIZZA
E UN DOMATORE DI LEONI
Lidia Girardi
Quello che spinge Luigi Cuomo
(nella foto), giovane regista avellinese,
a realizzare un documentario sul
mondo dei circensi è un vuoto bambinesco da colmare, il fascino misterioso
di quella gente che non ha dimora
fissa, ma incardina certezze ad una
roulotte che viaggia di città in città. Un
microcosmo, quello del circo, che
rapisce a tal punto Cuomo da decidere
di farlo diventare il tema del suo diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia de L'Aquila con un documentario dal titolo “Costellazioni”: «Quando ero piccolo ero affascinato dal circo
ma non tanto dagli spettacoli in sé
bensì dalla vita di quegli uomini. Per
me erano delle persone strane e allo
stesso tempo fiabesche, che avevano
deciso di consacrarsi allo spettacolo
Dipingere
col mare
viaggiante e di sfuggire, in qualche
modo, alle regole della società». Il
documentario gira intorno a tre figure
principali: un ex acrobata, ormai
allenatore di bambini, da cui è amato
follemente; una cavallerizza che si
barcamena tra il ruolo di madre e
quello di artista e un addestratore di
leoni, la cui forza lascia il posto alla
tenerezza di una normalità familiare, a
tratti riconoscibile e ordinaria. La
chiave che Cuomo sceglie per raccontare la vita di questi personaggi fuori
dal comune è quella della semplicità
di vite vissute nella straordinarietà di
un contesto che è attraente e sfavillante ma che smette di esserlo quando
l'artista sveste i panni del circense e
indossa quelli dell'uomo normale,
indaffarato tra banali impegni e con-
versazioni più o meno importanti.
Cuomo spiega: «Il nostro lato razionale non ci fa provare più empatia per
questo antico mestiere che i circensi
svolgono con grande cura e dedizione.
Io ho voluto raccontare questo mondo
con gli occhi di un bambino, senza
dare giudizi preventivi, lasciandomi
trasportare dagli eventi e cercando di
restituire le emozioni provate durante
il periodo passato con loro, al circo».
Non è sempre facile capire l'importanza di una scintilla che ti porta a vincere
la forza di gravità o altre volte la paura.
Forse è dato a pochi il dono di essere
circensi nell'anima, disposti a tutto
pur di sentire accendersi quella luce,
per poi ritornare alla quotidianità. Lo
stesso Philippe Petit, funambolo
francese, un uomo normale, nel '74
attraversò le Torri Gemelle, privo di
protezioni, su un cavo di acciaio
perché, come ha più volte dichiarato,
si sentiva vivo solo in “quel che c'è
sopra la strada”, l'aria. Viene celebrato
come l'uomo che “camminò sulle
nuvole” anche nel nuovo film diretto
da R. Zemeckis “The walk”, in questi
giorni in uscita in Italia. La grande
dignità, le difficoltà, l'amore per un
lavoro che è una scelta di vita sono
solo alcuni degli elementi che Cuomo
descrive nel suo “Costellazioni”,
armato di ammirazione e di uno
sguardo che non giudica ma accarezza
le vite che racconta. Il suo lavoro è
stato appena premiato con il Vesuvio
Award come miglior documentario e il
Lab80 per la distribuzione nell'ambito
del Napoli Film Festival.
Acquerelli di mare. Sembrano dipinti così, con sbuffi di onde, i fogli di
Franco Barbato (nella foto), artista napoletano classe 1961. E la mente corre subito a quel Plasson, pittore del libro di Baricco, che cercava gli occhi
dell’oceano ritraendo «il mare con il
mare». A Napoli, fino al 2 ottobre, ha
esposto la sua personale presso il Centro culturale Tre orizzonti (via Costantinopoli, 104). Esposizione che ha incantato e che ha segnato l’avvio della
stagione di eventi culturali del Centro
Tre orizzonti: uno spazio in cui incontrarsi e conoscersi attraverso la meditazione zen e lo yoga, convegni, mostre, sala da te e lettura, momenti di vita. Ci sono paesaggi solitari negli ac-
querelli di Barbato. Abitati da nessuno.
Qualche volto in primo piano, intravisto appena nella fluidità del colore. I
contrasti si stemperano in un amalgama di nuances chiare, soffici, quasi
trasparenti, luci diafane, contrasti
freddi e caldi che si mescolano sulla
carta. L’immagine quasi palpita.
Traendo forse ispirazione dalle suggestioni della Costiera sorrentina dove,
dal 2000, vive e lavora, l’artista restituisce agli occhi di chi guarda la morbidezza dell’indefinito. Lo spiega bene il filosofo Aldo Masullo: «Di tutte le
virtù somme dell’umano vivere, la più
dimenticata sembra essere la “gentilezza” (…). La situazione coinvolge anche le arti, in cui oggi si confonde con
attardato patetismo la morbidezza dei
contatti tra gli elementi, e le si oppone come innovativa la durezza degli
attriti e delle disarmonie, quasi la crudeltà fosse catartica. Il linguaggio dell’acquerello nella sua fluida levità è
certamente alieno da ogni sia cromatica sia figurativa durezza».
Barbato si avvicina all’arte negli anni
’70, esponendo da allora in mostre
personali e collettive, in Italia e all’estero. Si avventura poi in ricerche
artistiche che lo avvicinano ad espressionisti tedeschi come Rounault Chain
Soutine. Il mare, dai suoi pennelli, è
venuto fuori da quando il paese di Nerano è diventato casa sua.
ULTIMO
REPERTO
LA VOCE DI
MARCO BAGNOLI
Campeggerà nell’atrio del
Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, fino al
13 novembre,
l’installazione dal titolo
“Ultimo reperto” con cui
l’artista Laura Cristinzio
propone e “interpreta” la
“Villa di Poppea” a Oplonti,
sintetizzandone spazi e
illusioni prospettiche,
affreschi e mosaici. Due
pareti parallele di acciaio
cor-ten e di metacrilato
rosso, composte ciascuna
da 12 pannelli incernierati
larghi 1 metro e alti 2,
rimandano all’antico
contesto e in particolare a
un triclinio, alludendo fra
l’altro alla presenza della
La prima versione
dell’opera fu realizzata tra
il ’74 e il ’75. Si presentava
come una scala a pioli
incastrata nel muro dello
studio-abitazione milanese
dell’artista, tagliandolo
diagonalmente. Dal 10
ottobre, l’arte “che parla”
di Marco Bagnoli sarà in
esposizione al Madre fino
al 29 febbraio 2016.
L’intervento, intitolato “La
Voce. Nel giallo faremo una
scala o due al bianco
invisibile”, rientra nel
progetto “L’albero della
cuccagna. Nutrimenti
dell’arte”, a cura di Achille
Bonito Oliva e con il
patrocinio di Expo Milano
donna e ricordando, con i
frammenti sparsi sul
pavimento, l’eruzione del
79 d.C. che seppellì la villa.
Completano l'installazione
due Polipedi e due Mense
in metacrilato.
SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI
2015. Bagnoli (che si divide
tra disegno, pittura,
scultura, installazione
ambientale e sonora) nella
nuova versione dell’opera
ne altera la conformazione.
La scala si sviluppa
dall’interno della sala (nel
secondo cortile del
museo), travalica il tetto e
si espande nell’ambiente
esterno. «La voce - come
scrive l’artista - è emessa
da un’ampolla e si dilatata
in un riverbero sonoro che
confluisce, attraverso il
prolungarsi della raggiera
dei pioli della scala, in un
punto esterno alla stanza,
dove è disposto il
Sonovasoro». Il testo?
Naturalmente è tratto dal
«menù di un pasto
LIVIA IANNOTTA
napoletano, scandito
secondo un ordine
matematico e
combinatorio di pietanze
che, alla fine, prolifera
senza sosta: ogni parola è
un lampo».
ANTONIO BIANCOSPINO
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(29)
LIBRI&NOVITÀ
LIBRIDINE
Aurora Cacopardo
Saggio
Un secolo
di bella
gente
GIOVANNI GRIECO
INCONTRA SAN FRANCESCO
SANDRO CASTRONUOVO ENTRA
NELLA GALLERIA DEI «NAPOLETANI
DELL’OTTOCENTO» CON IL LIBRO EDITO
DA STAMPERIA DEL VALENTINO
divertente nel secolo detto dei vecchi fusti, di
Nel mare magnum di libri, opuscoli, dispense su
personaggi di primo piano, accanto o in mezzo ai
Napoli, sulla sua storia sempre più ricca e
quali si sono distinti altri personaggi, della cui
rivelatrice di tante curiosità, diventa molto difficile
esistenza l’autore fa opera di promozione
orientarsi in libreria, impossibile contare su quel
“riparatoria”. Rileggendo e completando il percorso
naturale fiuto, un tempo assecondato dall’offerta
di vite importanti - ma dimenticate - ce ne mostra
contenuta di per sé selettiva. Questo, in generale.
la vera personalità, la vera natura
quando però ci si imbatte in
oltre quella conosciuta, o presunta
autori come Sandro
tale. Sono sedici ritratti, scolpiti con
Castronuovo, che ha dato alla
la chiarezza e la fine ironia, tipica e
nostra città opere originali,
ben nota dell’autore, capace di
fondamentali, sulla Nunziatella,
passare dal serio al semiserio senza
via Toledo e altri siti sacrali
calcare la mano: vanno da Salvatore
come Posillipo - di cui ci svela
Cammarano, il poeta che si sentiva
aspetti nuovi, spesso inediti
ispirato solo se passeggiava sotto il
attento com’è a non cadere mai
porticato di San Francesco di Paola
nelle trappole insidiose dei
a Eugenio Torelli Viollier, il
luoghi comuni - si è subito
napoletano traduttore di Dumas per
attratti, anzi è spontaneo
campare, poi fortunato fondatore
fermarsi, assaggiare e acquistare
del Corriere della Sera. Una galleria
qualche sua primizia. Stavolta
affollatissima di figure sorprendenti,
però Castronuovo mi ha
in cui affiora la vita avventurosa di
preceduto inviandomi a casa il
Michele Cuciniello, autore e
suo nuovo lavoro: “Napoletani
donatore del famoso presepe di San
dell’Ottocento - Profili di
Martino, amante di capanne e
personaggi tra cronaca e Storia”
pastori ma innamorato del teatro
(Stamperia del Valentino): il
NAPOLETANI
come commediografo, di un amore
tempo di riceverlo, aprirlo in un
DELL’OTTOCENTO
però non corrisposto da successo.
tardo pomeriggio, e mentre lui
Tra questi straordinari ritratti in
si sincerava per telefono se lo
Sandro Castronuovo
prosa, dovessi dare ad uno l’oscar
avessi o mai ricevuto, potevo
Stamperia del Valentino
della simpatia, lo darei senza alcun
già rassicurarlo di averlo letto e
160 pagine
dubbio a Francesco Proto - il duca
gustato. Passa il tempo,
di Maddaloni. Ineguagliabile
cambiano i gusti, nascono e
epigrammista costretto a duellare
finiscono come meteore
per le conseguenze della sua vena satirica, sempre
scrittori e narratori dopo stagioni di gloria e di
galleggiamento ma Castronuovo con il suo speciale pronto a mettere in croce mezza Napoli, che oggi
filone Napoletano conserva sempre la stessa vitalità però si sarebbe dissanguato più di un duellante per
la richiesta in voga di risarcimenti-capestro.
descrittiva e creativa. Non vi perdete questo libro,
esso vi consente di fare un viaggio interessante e
ALDO DE FRANCESCO
Alzheimer, il racconto di una figlia
NUOVA EDIZIONE NEL SEGNO DI MUNTHE DEL LIBRO DI NUCCI A. ROTA «LA BIMBAMAMMA»
«La bimbamamma» (Iuppiter
Edizioni), racconta le vicende
della sociologa milanese Nucci A.
Rota, napoletana per parte di
padre, alle prese con la madre
affetta dall’Alzheimer. L’opera è
autobiografica e ripercorre il
decadimento di Luisella, la mamma, e soprattutto il calvario della
figlia Nucci. Condensate in un
centinaio di pagine ci sono tutte
le sensazioni provate dall’autrice,
a partire dalla lotta contro questo
male insinuante che cambia il
carattere e trasfigura persino il
volto del malato, fino all’accettazione della nuova situazione in
cui la forte e bella madre è divenuta una creatura fragile di cui
(30)
prendersi cura. Una vicenda in
cui molti potranno riconoscersi,
raccontata con dolcezza e onestà.
Il registro usato dalla scrittrice è
colloquiale in ogni aspetto e il
tono amichevole conferisce
all’opera il taglio giusto per avvicinare al dolore della protagonista e della sua «bimbamamma»
anche coloro che non hanno
vissuto l’esperienza di accudire
una persona malata.
L’opera di Nucci A. Rota è alla
seconda edizione, arricchita della
storia di un’altra donna, la napoletana Paola che col suo motorino corre per il quartiere Sanità tra
la scuola dove insegna e la casa
del padre malato, accudito da
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
una badante e dal vecchio indesiderato amico. Attraverso Paola e il
marito, medico geriatra a Capri,
Nucci «incontra» un altro medico,
che di Anacapri fece la sua luce e
la sua vertigine: Axel Munthe.
Con la conoscenza dell’opera del
geniale medico svedese, l’autrice
intraprende un interessante
discorso sulla “bellezza” come
palliativo contro il male della
mente. Un’opera da scoprire fino
all’ultima pagina, che oltre a dare
sollievo emotivo a coloro che
convivono con una persona
amata rapita dall’Alzheimer, dà
informazioni utili per affrontare
l’inevitabile decorso clinico.
MARIA NEVE IERVOLINO
Nel dubbio, di fronte
ad una realtà dove
pare avere la meglio
l’ingiustizia ed una
serie di dolori privi di
logica, lo scrittore
Giovanni Grieco,
docente di medicina
del lavoro nell’Università Federico II di
Napoli, autore di
saggi scientifici, in
“San Francesco d’Assisi - Dialettica del
mercantilismo e della
povertà” (LibreriadelSanto.it Edizioni),
esprime la volontà di
superare l’indifferenza, comune a tanta
gente, nel tentativo di
narrare la vita di
Francesco d’Assisi
sottolineando
quell’“oltre” che va al
di là del tempo e dello
spazio. Ed è una vita,
quella del Santo, che
si legge nei suoi scritti, una vita difficile,
lontana dalle descrizioni patinate che,
spesso, ricorrono nei
lavori su Francesco.
Una vita narrata
attraverso i dolori del
giovane d’Assisi, le
sue contraddizioni, la
sua quotidianità, in
una sorta di errare nei
recessi più profondi
dell’animo umano.
Ed è sorprendente
come in tutto il testo
troviamo una tavolozza cromatica che ci
riporta alla semplicità
del Santo innamorato
del Creato «...che
parla alle cicale e
predica ali uccelli»,
antesignano della
moderna ecologia,
nell’alternarsi di luce
e buio, nella trasparenza degli occhi,
nello specchio dell’acqua che rifulge tra
l’erba, nell’ombra
profumata degli
alberi, nei prati di
viole e di papaveri,
nel pallore di un volto
sofferente. È forse il
simbolo di una rigenerazione, di un
ritorno allo stato di
purezza, di una traiettoria circolare che
torna al punto d’origine? Il professor
Grieco, con un denso
excursus attraverso la
storia del pensiero,
enfatizza l’incontro
avvenuto nella piazza
del Comune di Assisi
tra Francesco e suo
padre. Nella piazza
c’è un’umanità attenta ma sorpresa, curiosa e nostalgica, c’è la
Chiesa ufficiale rappresentata dal Vescovo, c’è sua madre e
c’è il padre, il mercante Bernardone che
reclama “giustizia”.
Nel concitato incalzare degli eventi, Francesco si spoglierà di
tutto e restituerà al
padre gli abiti che
indossava, dicendo:
«Padre, questo mi hai
dato e questo ti restituisco», restando
vestito solo del suo
corpo, cercando un
varco verso quel
briciolo di luce che
permette di scorgere
la dimensione dell’infinito. È chiaro che
per l’autore Bernardone incarna lo status del “mercantilismo” verso il quale è
in atto un processo da
millenni perché esso
provoca grandi sperequazioni e povertà,
non solo contro la
libertà delle singole
coscienze ma anche
immoralità della vita
sociale. La povertà
dimezza l’uomo. La
predicazione di Francesco tende a riportare l’uomo sulla terra
nella sua vicenda
quotidiana non con
atteggiamenti mistici
ma con la concretezza della volontà dei
limiti biologici dell’esistenza che talvolta possono condizionare la libertà dello
spirito.
Il lavoro del professor
Grieco sul Santo di
Assisi con le evocazioni, risonanze,
analogie, con la pregnanza delle immagini che suscita porta senza dubbio - il
lettore ad un interesse immediato.
LIBRI&MUSICA
La vita scorre
in un «Cinema
all’aperto»
nonostante la sua estraneità al paese dell’infanzia.
Chi per un attimo ha dilatato gli spazi è la donna
della porta accanto, Caterina, la vicina di lavoro
che incastra l’uomo in un groviglio d’innocenza e
inganno che potrà sciogliersi solo nella violenza di
un evento dal quale uscirà l’uomo nuovo. Nella
ragazza in fiore e nella donna navigata i rapporti
spazio-tempo s’invertono, rendendo la prima uno
schermo spalancato nel buio coi suoi affascinanti
segreti e la seconda un’ombra sullo schermo vista
dal sicuro delle pareti di una stanza. Nel gioco
delle parti, interrotto da un tragico imprevisto, il
sogno del ragazzo in partenza con la madre verso
il paese diventa per l’uomo, finalmente
consapevole della sua vita non vissuta, il viaggio a
ritroso nel tempo. Ecco, sul grande schermo delle
scelte, la via da percorrere, perché i sentieri
spezzati, gli anni perduti trovino il loro sbocco e il
loro respiro. Nel ritorno, sono i fantasmi a fargli
strada e i sogni da battistrada, ma la meta è
finalmente la vita col suo presente e col suo futuro
e con il primo, quasi dimenticato amore. Non è un
censimento nostalgico né un museo d’ombre
quello che l’autore ci propone con un linguaggio
attento e consapevole che sembra, talvolta,
mettere ali alla narrazione. E a tal proposito,
particolarmente allusiva può apparire la scelta dei
nomi di uomini e fantasmi del paese. Le sorelle
benefattrici, amiche d’infanzia della madre, si
chiamano Pietra e Angelina, l’una àncora di
salvezza, l’altra spirito benefico di Rosa che nei
sogni del figlio sboccia ogni volta più bella e
giovane. Il cognome è Colombo, (l’allegoria non
ha bisogno di spiegazioni); il fabbricante di
formaggio ha il nome del fiore più profumato di
ogni serra, Giacinto. Il notaio che sancisce
all’uomo la riacquistata dignità si chiama
Palumbo e il pescatore dai capelli fiammanti ha il
nome di chi fa per mestiere da tramite tra terra e
cielo. Lo schermo luminoso del cinema all’aperto
riproporrà forse i personaggi che hanno popolato
la fantasia del bambino. Diventerà forse un
cinema d’essai, ma con le sedie di legno,
rigorosamente cigolanti.
All You Can Eat è
il titolo dell'ultima
opera discografica
degli Slivovitz,
gruppo jazz-rock
partenopeo attivo
dal 2001 e composto da Pietro Santangelo (sax tenore
e alto), Marcello
Giannini (chitarra
elettrica e acustica), Riccardo Villari (violino
acustico ed elettrico), Ciro Riccardi (tromba),
Derek Di Perri (armonica), Vincenzo Lamagna
(basso) e Salvatore Rainone (batteria).
Dopo l'album d'esordio omonimo Slivovitz
(Ethnoworld, 2006), seguito da “Hubris” (MoonJune Records, 2009) e da “Bani Ahead” (MoonJune Records, 2011), dunque a quattro anni di
distanza dall'ultima registrazione in studio, la
band allestisce un vero e proprio simposio
musicale con “All You Can Eat”, prodotto artisticamente da Slivovitz e Fabrizio Piccolo per la
prestigiosa etichetta newyorchese MoonJune
Records di Leonardo Pavkovic. Menù tutto
strumentale per le raffinate papille di un pubblico fatto di convitati che anche attivamente
hanno contribuito, attraverso il crowdfunding,
alla realizzazione della più recente impresa del
settetto napoletano. 8 le tracce e 8, si sa, è il
numero simbolo dell'infinito. Sono appunto
infiniti i mondi che gli Slivovitz esplorano e che
si schiudono all'ascolto di “All You Can Eat”. Il
disco, infatti, tiene insieme diversi generi, coniuga jazz-rock, afro-beat, funk, progressive e
sonorità etniche, mediterranee e orientali, in
composizioni completamente originali in cui
l'individualità di ogni musicista è esaltata nella
dimensione collettiva. 8 dunque le pietanze da
assaporare, ognuna ispirata a gusti tradizionali
ed esotici sempre in modo sperimentale. Si
comincia con “Persian Nights”, brano che ha il
ritmo di un'epica notturna da “Le Mille e una
Notte”, segue il polemos forte e teso di “Mani in
Faccia” e la levantina “Yahtzee” con fiati che
albeggiano e aprono a momenti di sfrenata
energia ed eleganza compositiva, si continua
con l'ardire magico-avventuroso di “Hangover” e
le dense e risolute tinte funk della sinestetica
Currywurst. A sigillare tutto è “Oblio”, drammatico nel senso della pura azione, non più solo
narrata, ma provata, il linguaggio di ogni strumento diventa allora quello immediato dell'accadere che va verso un finale chiaro e dilatato
nella melodia e nell'armonia. L'uscita ufficiale
dell'album è prevista per il prossimo novembre,
ma, per chi non volesse restare a bocca asciutta,
è già disponibile on line dallo scorso settembre.
MARIA REGINA DE LUCA
SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI
DOPO «LIBRERIA BELLA ESTATE», SERGIO
CALIFANO PUBBLICA IL SUO SECONDO
ROMANZO IN CUI IL PROTAGONISTA VIVE
«A RITROSO» TRA SOGNI E RITORNI
Nel suo ultimo libro, “Cinema all’aperto”,
(Iuppiter edizioni, 2015), Sergio Califano sembra
porre nell’epigrafe una delle possibili chiavi di
lettura. Se per Pirandello è l’amore che "ride del
tempo", nel percorso lungo il quale l’autore ci
conduce per mano è la vita stessa che elude le
coordinate del tempo percorrendone le
circonvoluzioni a ritroso negli anni dell’infanzia e
dell’adolescenza, mentre i confini del suo piccolo
mondo si dilatano dalle pareti della casa ospitale e
dalla chiesetta di San Michele fino al mare. Il
paese delle sensazioni infantili si conserva saldo
nella memoria, si rifugia in un angolo del cuore e
ride del trascorrere del tempo. Le sue case, i suoi
sentieri, la piccola piazza e, dalla finestra, arioso
quanto il mare, lo schermo del cinema all’aperto,
meta rituale delle serate estive, sono lo sfondo
permanente delle sensazioni tra le quali quella del
cigolio delle sedie di legno del cinema è il tramite
perché l’incontro magico tra schermo e platea
diventi emozione, memoria, voglia di ritorno,
vittoria sul tempo e sulla vita. La sensazione,
accucciata nel caldo della memoria e cera vergine
dell’emozione, diventa "sentimento del tempo"
insieme al sapore del formaggio paterno, dei
capelli rossi del gigantesco Angelo-arcangelopescatore di abissi, delle salde amicizie, del primo
amore. Stratificazione profonda di ogni successiva
sovrastruttura il borgo è lì, nel sostrato profondo
della memoria dove la verità non coincide con la
realtà, ma la supera e la stravolge secondo il
bisogno di chi la evoca. Se il cinema all’aperto è
spazio e linea d’orizzonte che si sposta all’infinito
come quella del mare, l’intesa con i personaggi e i
luoghi del mondo infantile è per l’uomo adulto
punto di partenza e di ritorno, coordinata spaziale
che non cerca ancoraggi nel tempo. È tra quelle
case antiche, tra vigneti e mare, nella piccola
chiesa, nella casa ospitale e nel cinema all’aperto
che le promesse non mantenute potranno
realizzarsi, rifiorendo sulle rovine di una vita quasi
non vissuta, come lo è un film visto da una
finestra senza scricchiolii di sedie e respiri sui
quali sintonizzare i propri nel buio complice della
sala. Anche Laura è un film visto dalla finestra,
SOBRIO RACCONTA IL VENERDÌ SANTO
Sono tanti gli autori di gialli che si cimentano
nella scrittura di romanzi ambientati a Procida.
Vuoi perché la piccola isola adagiata di fronte al
golfo di Pozzuoli è rimasta intatta, selvaggia,
isolata dal “jet set” della vicina Ischia, vuoi
perché ricca di scenari impregnati di mistero che
alimentano il proliferare degli scrittori di genere.
Ma l’opera “Il Mistero di Venerdì Santo” di
Antonio Sobrio, scrittore, classe 1977, è tutt’altra
cosa.
Perché si può scrivere di qualsiasi luogo
prendendo spunto dal web, documentandosi su
enciclopedie, visitandolo e risiedendovi per un
po’ di tempo, ma le sensazioni che produce, i
particolari che vuole far scoprire di sé, li può
Slivovitz, mix di sonorità
in «All You Can Eat»
descrivere con tale precisione solo chi in quel
luogo è nato e vissuto. Chi quel luogo lo ha
“assaporato”. E questa sensazione, leggendo il
libro di Sobrio, si percepisce immediatamente.
I luoghi descritti, simboli radicati dell’isola, Terra
Mura, la Processione di venerdì Santo, I Misteri, Il
Bagno penale sono “stereotipi” descritti con la
devozione di chi li ha vissuti, o addirittura
studiati.
Non a caso Sobrio porta avanti varie iniziative di
carattere sociale legate alla valorizzazione e
salvaguardia del territorio.
La storia si apre su un venerdì santo, giorno della
processione dei misteri. Una persona scompare.
Quattro suoi amici, tre uomini e una donna, sono
alla ricerca del suo corpo, in un avvincente
percorso attraverso sotterranei, catacombe, l’ex
carcere abbandonato, tra arte, cultura, storia e
mistero, in un misto di sacro e profano, sullo
sfondo delle straordinarie bellezze dell’isola.
Ma la stessa trama sembra marginale rispetto al
messaggio che Sobrio vuole trasmettere con le
pagine del suo libro. Il suo intento è puntare un
riflettore sulla sua terra. Scrive, infatti, nella nota
finale: “Il mio augurio è che questo libro possa
dare alla luce la visibilità che Procida merita,
attirando più persone possibili ad ammirare la
sua storia e la sua naturale bellezza”. Un doppio
consiglio che possiamo dare al lettore: acquistare
il libro, ma tuffarcisi solo dopo aver raggiunto, e
perché no soggiornato qualche giorno sull’isola
di Sobrio.
ROSARIO SCAVETTA
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(31)
SOCIETÀ&COSTUME
La VII edizione della rassegna culturale, ideata da Claudio Finelli e organizzata
nel salotto del Chiaja Hotel De Charme, vedrà la partecipazione di Erri De Luca
Poetè, inno
agli equilibri
Livia Iannotta
Libri e autori che restano
confinati nell'ombra. Storie dimenticate o tenute ai
margini. Racconti che
sembra riguardino solo alcuni. Quello che altrove
passa in sordina trova il dovuto spazio a Poetè, il ciclo
di incontri infusi di teina,
ideato da Claudio Finelli
(nella foto a lato), che strizza l’occhio su cultura ed
editoria, con particolare attenzione alle discriminazioni su identità di genere
e orientamento sessuale.
Proprio per ribadire questo
messaggio, la settima edizione della manifestazione
lancia il claim «Nella vita è
questione di Equi-Libri»,
che condensa in sé il senso
della rassegna letteraria,
cioè trasformare scrittura e
lettura in strumenti funzionali a scardinare pregiudizi
e luoghi comuni per una
società più equa.
Fitto il calendario d'appuntamenti pomeridiani
(inizio alle 18.30), che da
ottobre a maggio animeranno il salotto del Chiaja
Hotel De Charme, messo a
disposizione dal patron
della manifestazione Pietro
Fusella, imprenditore napoletano che ha fatto del
suo hotel un luogo di ritrovo culturale della città.
Tra le case editrici in rasse-
(32)
gna figura anche quest’anno Iuppiter Edizioni, che il
3 marzo presenterà “Levania, rivista di poesia”, agile
semestrale diretto da Eugenio Lucrezi che accoglie
testi inediti di poeti italiani
e stranieri, tavole di artisti
contemporanei e numerose recensioni.
Tra i prossimi incontri, invece, ricordiamo, il 6 novembre, un Poetè speciale
con Erri De Luca. Il 12 novembre è la volta di “Tutta
un’altra storia” di Giovanni
Dall'Orto, con incursioni
poetiche di Brane Mozetič
e Gasper Malej.
Si prosegue con “H dalle 7
piaghe” di Ariase Barretta
(18 novembre); “Orrore Vesuviano” di Francesco Costa (26 novembre); “Avrei
fatto la fine di Turing” di
Franco Buffoni (3 dicembre); “Teste matte” di Guido Lombardi e Salvatore
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
Striano (10 dicembre); “La
madonna dei mandarini”
di Antonella Cilento (17 dicembre). All’alba del nuovo
anno in programma: “Do
Not Disturb. La Grande Tribù” di Claudio Finelli e Mario Gelardi (14 gennaio);
“La buona legge di Mariasole” di Luigi Romolo Carrino (21 gennaio); “Presidente, la mia è una famiglia” di Rosaria Iardino (27
gennaio); “Altri canti di
Marte” di Paolo Isotta (4
febbraio); “Il peso del vuoto” di Umberto Cortese (18
febbraio); “Quale amore”
di Gioconda Marinelli (10
marzo);“I femminielli” di
Marco Bertuzzi (17 marzo).
E ancora: omaggio alla Memoria Perduta del Teatro a
cura di Maria Giovanna
Grifi (7 aprile) e “Non c’è
labirinto più chiaro” di Salvador Espriu (13 aprile). Il
19 aprile doppio Poetè con
“Il ring degli angeli” di Stefano Paolo Giussani e “Genere e linguaggio. Le parole
dell'uguaglianza e della diversità”, a cura di Fabio
Corbisiero, Pietro Maturi e
Elisabetta Ruspini.
La rassegna si chiude il 17
maggio, con un Poetè speciale in occasione della
Giornata Internazionale di
Lotta all’Omotransfobia
con i libri e gli autori della
collana di letteratura LGBT
della Milena Edizioni.
POST-IT
Nell’ambito della
rassegna
culturale Poetè, il
6 novembre, il
salotto del Chiaja
Hotel De Charme
ospita un incontro
speciale con lo
scrittore Erri De
Luca (foto in
basso).
Un pomeriggio
che sarà
occasione per il
pubblico di
dibattere su temi
di letteratura,
libertà e diritti
civili insieme ad
un testimone
prezioso, e talora
scomodo, dei
nostri tempi.
L’autore
napoletano ha
pubblicato
quest’anno il libro
“La parola
contraria”, un
pamphlet sulla
libertà di parola,
edito da
Feltrinelli, in cui
esprime anche il
proprio pensiero
sul processo risoltosi con
un’assoluzione
piena perché «il
fatto non
sussiste» - in cui
era accusato di
istigazione a
delinquere per
aver espresso in
alcune interviste
opinione
favorevole al
sabotaggio della
Tav, durante le
accese proteste
in Val di Susa.
Mastroberardino,
emozioni a Pompei
Cala il tramonto
sulla magia dell’anfiteatro di Pompei.
Le pietre si accendono di colori e poi
della luce lunare
piena e rossa in
prossimità dell’eclissi o, forse,
della poesia. È il 26
settembre e nell’anfiteatro, all’interno degli incontri di “Pompei.
Un’emozione notturna, si presenta “Frammenti” di Piero Mastroberardino, libro d’artista edito da Il filo di Partenope, con l’intervento della giornalista Natascia Festa, degli
artisti Lino Fiorito, Vincenzo Rusciano, e di
chi scrive. La scrittura di Mastroberardino
consegna, in questo libro, la poesia al frammento. Ma che cosa significa scrivere frammenti oggi? Significa riannodare il filo della
poesia ad una tradizione letteraria che affonda le radici, alla fine dell’Ottocento, nell’opposizione decadente tra l’aridità razionalistica e l’esigenza di salvaguardare quella parte
inconscia che alberga nell’io; significa avere
una consapevolezza della unità compositiva
e della lingua così forti, da poter procedere
poi alla loro frammentazione (infatti questo
libro è prima di tutto frutto di una selezione
rigidissima); significa, infine, compiere una
scelta fortemente attuale. Il frammento,
infatti, come ci avverte la filosofia del Novecento, è la cifra della modernità poiché
modernità è dispersione, moltiplicazione
delle prospettive, deflagrazione del senso. Il
luogo del frammento è la metropoli moderna
con i suoi richiami, le sue accelerazioni, i suoi
continui choc percettivi. Eppure questi
frammenti (idee, impressioni, riferimenti,
citazioni, residui che Benjamin chiama
stracci) proprio attraverso la speculazione
filosofica o l’immaginazione artistica possono essere redenti, perché nella loro singolarità, nella loro solitudine, fanno emergere
particolari, significati nuovi. Così il frammento mettendo in comunicazione dialettica ciò
che è stato con “ora”, ci sottrae alla tirannia
di un tempo sempre uguale. La sapienza
degli editori, Lina Marigliano e Alberto D’Angelo, dà forma di libro al progetto di Frammenti associando ad ogni frammento poetico una tavola di un artista: un artista diverso
per ogni frammento per un totale di dodici.
Sono: Aquilanti, Balatresi, Balsotti, Fiorito,
Fioroni, Nocentini, Ohanjanyan, Paci Dalò,
Rusciano, Spaziani, Tomaino, Viparelli. È
significativo che ogni artista abbia lavorato
separatamente, conoscendo solo il frammento assegnato. Frammentazione doppia,
frammentazione dei frammenti. Frammento
poetico e tavola formano un’unità poeticovisiva completa, ottenuta attraverso l’intreccio di due fogli che costituiscono un piccolo
fascicolo non numerato. L’assenza di numerazione permette di comporre e scomporre
secondo ordini diversi. Con l’ordine muta il
significato: i frammenti acquistano suoni,
sensi, luci diverse. In questo senso plurimo,
la poesia ritrova la sua natura polisemica.
ENZA SILVESTRINI
SOCIETÀ&COSTUME
Sarnelli
e le donne
di Napoli
Livia Iannotta
«I miei lavori riassumono le
mie due anime: quella mediterranea, passionale e l’altra
che mi trascina verso la musica contaminata, straniera, che
mi fa tirare fuori tutta la rabbia
che una città come Napoli è
capace di scatenare». Una
voce, quella di Monica Sarnelli, cantante napoletana classe
1966, capace di vestire due
spiriti, sperimentare, mescolare ritmi e suggestioni. Come
quel “Neapolitan power, I
feel”, album antologico del
2009 e perfetta sintesi artistica,
in cui le reinterpretazioni dei
classici della canzone partenopea, da Carosone a Califano,
convivono con le tracce ruggenti del jazz e del blues made
in Napoli. Musica “meticcia” e
per questo sorprendentemente potente, che ritorna anche
nell’ultimo lavoro discografico, in uscita a fine novembre.
«Sarà un cd tributo a “Chesta
sera”, la canzone che mi ha
fatto entrare nelle case degli
italiani, che festeggia i dieci
anni dall’uscita – racconta –.
Un album con tante sorprese,
canzoni edite e qualche inedito. Ma soprattutto omaggi al
Neapolitan Power e a Enzo
Avitabile, James Senese, Pino
Daniele, gli Showmen».
Artista verace, timbro caldo
ma graffiante, la carriera della
Sarnelli è stato un crescendo:
dal primo disco, un 45 giri con
il brano “Amo”, pubblicato
con la Emi ad appena 15 anni,
a “Notte lenta” del 2012, con
cui riscopre la musica d’autore
napoletana, passando per la
soap “Un posto al sole” a cui
ha prestato la voce per la sigla
e con cui ha fatto capolino nel
panorama nazionale. «Sono
nata con una grande passione
per il canto che ho coltivato
sempre con amore e dedizione
- dice -. Dal primo contratto
discografico ho imparato
tanto lavorando come vocalist
per Antonello Venditti, Loredana Bertè, Gino Paoli, Little
Tony, ma soprattutto Peppino
di Capri, uno dei miei grandi
maestri, con cui ho girato il
mondo calcando importanti
palcoscenici».
Ti stai misurando anche con
il teatro.
«Sì, 27-28 e 29 novembre sarò
al Teatro Delle Palme per
riproporre lo spettacolo “Sirene, sciantose, malafemmene
ed altre storie di donne veraci”, scritto da Federico Vacalebre che intende omaggiare le
grandi interpreti della canzone
napoletana Ria Rosa, Gilda
Mignonette, Mirna Doris,
Angela Luce, Gloria Christian,
Teresa De Sio, Lina Sastri,
Giulietta Sacco e la donna in
generale. Protagonisti sono
sempre le canzoni e la mia
Monica Sarnelli è tra
le voci di Napoli più
apprezzate. Tra i suoi
lavori: “Lazzare felici
vol 1 e 2”(2004 e 2007),
“Neapolitan Power,
I feel” (2009) e “Notte
lenta” (2012). In
uscita, a novembre, il
nuovo album, tributo a
“Chesta sera”.
voce, ma mi sto divertendo
perché recito anche un po’.
Con me sul palco ci sono
quattro musicisti, una ballerina di flamenco e un’attrice».
E tu che donna sei?
«Un concentrato di tutte le
donne che racconto a teatro.
In ogni donna ci dovrebbero
essere una malafemmena, una
sciantosa e un pizzico di
veracità per essere completa».
Con Napoli che rapporto hai?
«Un rapporto di odio-amore. È
una città complicata, chi
riesce a restare è un eroe. Ma
ai napoletani devo tanto. Il
mio successo è arrivato grazie
a loro, ancora oggi sono la
voce della sigla di “Un posto al
sole” e mi piace essere presente sul territorio».
Buttando un occhio al futuro
in cosa ti vedresti?
«Sono una curiosa, mi piace
contaminare e adoro le sonorità brasiliane, per questo
vorrei riprendere un sogno che
ho accantonato, cioè cantare
in portoghese. E poi mi piacerebbe proporre ancora spettacoli teatrali. Non sono un’attrice ma so raccontare. Il teatro
riesce a farmi avere un contatto più diretto con il pubblico:
rispetto ai concerti nelle
grandi location, si crea una
magia particolare».
Monica Sarnelli in un brano?
«Scelgo “Chesta sera”, mi
rispecchia molto».
«I frutti del lavoro»
contro le morti bianche
Miete successi in giro per la
Campania il documentario “I
frutti del lavoro” del regista
salernitano Andrea D’Ambrosio. Successo al Giffoni
Film Festival 2015, dove è
stato presentato il 20 luglio in
una gremita Sala Lumière,
applausi e riconoscimenti al
Festival internazionale del
cinema “Laceno d’oro”, al
Fondi Film Festival e a Vibonati, borgo salernitano dal
talento paesaggistico innegabile, dove il corto è stato
girato. Protagonista della
storia è Carlo, interpretato
dall’attore Enzo Decaro, che
ritorna in paese per insegnare in una scuola elementare.
Qui si affezionerà a Dario,
bambino vivace e sensibile, il
cui padre ha un grave incidente sul lavoro. Il corto,
sulle musiche di Daniele
Furlati, consegna allo spettatore un finale a sorpresa
tessuto tra realtà e magia.
L’opera prodotta dalla società Iuppiter Group (Max De
Francesco, Laura Cocozza,
Maurizio Fiume) con il sostegno dell’INAIL e dell’Università di Salerno, i contributi
del Parco Nazionale del
Cilento, della Banca di Credito Cooperativo del Cilento e il
patrocinio del Comune di
Vibonati, si propone di sensibilizzzare istituzioni e opinione pubblica sul tema delle
morti bianche e della sicurezza sul lavoro e di mostrare
bellezze e tesori del Golfo di
Policastro. Grazie alla qualità
del cast - da segnalare l’esordio di Gabriele D’Aquino
(nella foto) nei panni di Dario
- e alle sinergie con enti
pubblici e centri di aggregazione, il corto continuerà a
partecipare ai festival dedicati ai temi sociali e agli eventi
che hanno come obiettivo
quello di promuovere, attraverso l’arte, il lavoro sicuro.
MICHELE TEMPESTA
Il favoloso mondo di Romolo Runcini
Si spegneva poco più di un anno fa,
Romolo Runcini. Lucano, classe 1925,
insegnò Sociologia della Letteratura
all'Istituto Orientale di Napoli e all'Università Sapienza di Roma e diresse la
rivista “Labirinti del Fantastico”. Il 1998
segna l'inizio del suo amore per Procida, al punto da decidere di trasferirsi
nell'isola dei pescatori e delle case color
pastello. Insieme a lui portò circa ventimila volumi, partendo dai quali avrebbe
voluto realizzare il Centro Internazionale di Studi sul Fantastico. Il suo sogno
era quello di trasformare la sua bellissima casa, che affacciava sulla spiaggia
della Chiaia, in un museo permanente
di giocattoli e libri. Ma quando si rese
conto che l’ambizioso progetto, la sua
“stanza delle meraviglie”, non avrebbe
mai visto la luce nell’amata isola, da lui
stesso più volte definita “una stella
caduta nel mare”, decise di ritornare a
Roma dove continuò a dedicarsi alla
scrittura di romanzi di vari generi,
dall'horror al fantasy. Spetta a Runcini il
merito di aver introdotto un genere
letterario d'ispirazione inglese che in
Italia faticò non poco ad attecchire:
quello del romanzo gotico. Il tema della
paura, i racconti di Edgar Allan Poe, lo
stravolgimento di uno scorrere lineare
del tempo e il rifiuto di qualsiasi codice
sociale, sono solo alcuni dei tratti salienti della sua letteratura. Tra le sue
pubblicazioni ricordiamo “Illusione e
paura nel mondo borghese da Dickens
a Orwell”, “La paura e l'immaginario
sociale nella letteratura” e “Il Gothic
Romance”. I suoi studi, il senso profondo dell’esistenza volto alla ricerca di un
mondo fantastico sono stati d'ispirazione per intere generazioni di scrittori.
Per questo il 24 settembre l'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli
ha dedicato una giornata alla sua opera
dal titolo “L'eccentrico e il fantastico”
durante la quale è stato presentato il
libro “Dal gotico al fantastico. Tradizioni, riscritture e parodie” a cura di Michela Vanon Alliata e Giorgio Raimondi.
LIDIA GIRARDI
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015 (33)
SOCIETÀ&COSTUME
Night Storm
SORRENTINO, IL DJ
CHE STREGA IL MONDO
Spirito alternativo
Lidia Girardi
Simone Spirito ha i capelli ricci,
occhi scuri e un sorriso dalle mille
sfumature. È un giovane cantautore
napoletano che nasce come attore
nella scuola del teatro Elicantropo.
Ben presto però l’interpretazione di
ruoli scritti da altri e non partoriti
della sua mente, fa sì che Simone si
avvicini alla musica, appagando
quell’esigenza, così fortemente avvertita di raccontarsi.
“Musica, dentro i miei occhi, sei
l'unica che mi emoziona ancora...”
(La canzone dell'imbelle). Una laurea
in sociologia, tante esperienze teatrali
importanti (ad esempio con gli “Ipocriti”, Massimo Ranieri) e l'incontro
con Rocco Papaleo che, tra una pausa
e l'altra dagli spettacoli, lo trascina nel
suo personalissimo universo musicale. E così Simone s'innamora di nuovo di un “antico” interesse, quello per
la musica, per qualche tempo tralasciato e nel 2013 esce il suo primo
album “La Luce Del Mattino”, prodotto dalla Polosud Records. La
musica è stato il modo per rasserenare la sua anima, la cura per abbandonare i suoi tormenti. Ma Spirito è
convinto del fatto che la totale serenità personale non possa dipendere
solo da un unico progetto. Nella vita,
infatti, c'è sempre bisogno di “un
piano B” che lungi dall'essere un
motivo di facile arrendevolezza, è,
anzi, uno stimolo a non chiudersi nel
proprio mondo fatto di parole e di
musica avulse dalla realtà. “Mio padre
mi ha sempre detto di crearmi alternative, di non puntare solo su una
cosa” confessa Spirito. Un amore per
la musica, quindi, coltivato e curato
nell'ordinarietà della vita stessa.
Grande amante di Lennon, Nutini ma
anche di Eduardo Bennato e della
scuola cantautorale romana (Fabi,
Silvestri e Gazzè, solo per citarne
alcuni), Simone racconta come sia
difficile “essere imprenditori di se
stessi” in un panorama musicale in
cui ci sarebbe il bisogno di avere più
produttori che investano su delle idee
e disposti a realizzarle potendo contare sulla grande determinazione e
serietà di tanti giovani musicisti che
cercano si ampliare il proprio bagaglio artistico. Per il cantautore gli
incontri umani sono vitali, come
quello, ad esempio, con il bassista
Lorenzo Ska con cui si sta aprendo ad
un genere più inglese, più europeo
che caratterizzerà il suo prossimo
album. Si definisce un inguaribile
“malincomico”. Il vero filo conduttore della sua arte è la raccolta delle sue
personalissime esperienze che poi
diventano musica, una musica che
nasce nello stesso momento in cui
vengono alla luce le parole, ma che è
sempre più allegra per compensare e,
Bella gente
Cristiano Amoroso
Le sue specialità sono sulle tavole
più trendy di Napoli e la moda dei
“primi piatti” su facebook l’ha
inventata. proprio lui.
Motivi, questi, che giustificano la
presenza di questo musicista,
amante di Pino Daniele, tra la «Bella
Gente» di Napoli. Il suo indubbio
successo è dovuto soprattutto
quando da chef provetto prepara «'O
vermiciello a pummarola fresca e
vasenicola».
Giovanna Caiazzo
L’arte delle pubbliche relazioni,
quelle vere s’intende, è un privilegio
(34)
a volte, mascherare, la sua ironia
malinconica. I pezzi, sempre chitarra
e voce, trovano il loro abbellimento
musicale solo in un secondo passaggio, quando la smania di raccontare
lascia il posto al lavoro su di essa. La
connessione, primitiva e istintiva, che
crea Spirito con il suo pubblico è
riscontrabile in ogni suo live. Tanti i
club in cui si è esibito a Napoli e
sempre grande è stato il riscontro del
pubblico grazie alla sua personalissima cifra stilistica che diverte ed
emoziona al tempo stesso. Perché
Simone Spirito, in uno scenario così
denso di nuove proposte, è anche e
soprattutto questo: riconoscibile.
“Qui nulla sembra statico, anche il
dolore è elastico e tutto serve a non
dimenticare quanto questo posto è
pieno di energie d'amore” (Al Centro
Storico). Simone si trasferisce pochi
anni fa al Centro storico, nei pressi di
piazza Bellini, nella casa di una nonna mai conosciuta. E qui, attraverso
ricordi familiari e sue nuove esperienze, conosce una vita diversa, in un
quartiere così intensamente e meravigliosamente napoletano. Come il
suo centro storico è un gomitolo di
viuzze che illuminate dal sole aprono
lo sguardo a nuovi e immaginabili
scenari, così Simone Spirito attraversa la realtà del quotidiano per interpretarla con tutte le sfumature del
suo sorriso.
Carmine Sorrentino, classe 1970, è uno dei Dj
Producer più famosi al mondo; nella sua musica c’è tutta la sua passione, tutto il suo
stile” Chic House”, ovvero un mix energetico
di house soulful e vocal. Sorrentino è la storia della Musica Dance nel Principato di Monaco che tiene le redini della consolle del
celebre Jimmy’z di Monte-Carlo dal 2003,
coadiuvando la direzione artistica di questo
club nelle scelte dei migliori Guest Star Dj’s e
delle memorabili feste, che fanno “saltare”
tutto il Principato. Dj di razza, Sorrentino ha
fatto ballare principi arabi, personaggi del jet
set mondiale, attori e rock star di ogni generazione e di ogni parte del globo. Ama arricchire i suoi set con le performance di
musicisti live, come il sassofonista Luca Signorini, il “digital percussionist” Lele LTJ, le
vocalist Melanie Estella e Alex Cadoppi di
(MatchMusic TV). Per quanto riguarda la
sua carriera di produttore, il successo più
importante è arrivato dal progetto “Miss
Jane”, con la hit planetaria “It’s a Fine Day”,
che dal 1998 ha venduto più di un milione di
copie, e che è attualmente disponibile in una
nuova versione che comprende i Remix di
D.O.N.S., Pat-Rich e Simioli&Black. Le sue
ultime produzioni sono “Knopki” con la band
russa Zveri e “Gloria” di Umberto Tozzi vs
Sorrentino & Zara - (Momy Records 2011 /
Do It Yourself). Quando non è di scena al
Jimmy’z di Monte-Carlo o nei party più Vip
della Costa Azzurra, Carmine si esibisce nei
Top Club del mondo, tra i quali il Soho Rooms
di Mosca, dove ogni anno viene organizzato,
con il Jimmy’z di Monte-Carlo, il “ Monaco
Russian Party”, il famoso evento che richiama le Star e le celebrità del jet set.
Fabio Tempesta
di Tommy Totaro
di pochi eletti. Tra questi c’è
senz’altro lei, femme fatale della
moda, che arriva al punto di
cambiare sempre meta in vacanza,
pur di avere il piacere di ospitare gli
amici del cuore Eleonora D’Amelio,
Vittorio Sgarbi e Vincenzo
Martongelli in luoghi sempre diversi.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
Luca Toscano
Ha vinto il premio Facenight 2015
come miglior Special Effects
Designer nel clubbing per i risultati
raggiunti dalla sua ArtechFX che
vanta, udite udite, collaborazioni
attive tra Amsterdam e San
Francisco. Un buon risultato se si
pensa che Luca ha meno di 30 anni.
Ivano Marchionne
Artista con la A maiuscola,
formatosi all'Accademia delle Belle
arti di Napoli, Ivano ci fa capire
con le sue opere che l’uomo ha tre
mondi, quello reale, quello onirico
e quello profondo del suo essere.
Lui ci propone realtà diverse
facendocele credere tutte vere.
Come Alberto Savinio sembra
essere convinto che gli uomini
possano riscattarsi dal peccato
originale, ma non dalla stupidità.
Incredibile a dirsi, è ancor più bello
di quanto si creda.
TEATRI
SGUARDI LONTANI
Francesco Iodice
IL FRATE CHE FECE
TREMARE LA CHIESA
SPETTACOLI DA NON PERDERE
Nel mito
di Taranto
Celebrazioni e
spettacoli al
Teatro Sannazaro
per onorare i
trent’anni della
morte di Nino
Taranto.
L’artista
napoletano verrà
ricordato anche
attraverso una
interessante
mostra, curata da
Giulio Baffi,
allestita nel Foyer
del teatro di via
Chiaia.
Teresa Mori
L'alternarsi delle stagioni è
come un cerchio che si chiude e ricomincia, una spirale
continua, senza interruzioni,
sempre diversa e sempre
uguale. La musica e la messa
in scena sono ideali per raccontare questo ciclo di perenni ripetizioni. Lo dimostrano i
cartelloni degli spettacoli,
appena iniziati o alla vigilia,
dei maggiori teatri cittadini.
Al Teatro San Carlo si esibisce
il 30 ottobre, nell’ambito degli
appuntamenti di musica
sinfonica, Fabio Luisi con
l’Orchestra dell’Accademia
del Teatro alla Scala. In programma anche Gustav Mahler, Sinfonia n. 5 in do diesis
minore e il 21 novembre, Luisi
dirige i solisti, il coro e l’orchestra sancarliana, in Gustav
Mahler, Sinfonia n. 2 in do
minore "Resurrezione" per
soprano e contralto soli, coro
misto e orchestra. Infine, dal 3
al 13 novembre, ritorna l’allestimento della “Traviata” di
Ferzan Ozpetek (nella foto),
questa volta con la regia di
Marina Bianchi.
Passiamo in rassegna anche
gli spettacoli del Mercadante,
da pochissimo teatro nazio-
nale, che apre la stagione con
“In memoria di una signora
amica” per la regia di Francesco Saponaro, in scena da 28
ottobre al 15 novembre.
Opera di Patroni Griffi, si
svolge in quattro quadri,
quattro serate dal 1945 al
1950, in una geografia che
oppone Napoli a Roma,
attraverso cui si snoda il
racconto di un conflitto
generazionale, tra la necessità
di partire e la consapevolezza
di restare, tra il passato nostalgico delle madri e il futuro
incerto di figli carichi di ideali.
Le storie della protagonista
Mariella Bagnoli e delle sue
amiche sembrano risalire
dagli antri bui degli ipogei che
furono i ricoveri di una guerra
che «non basta a liberarci
dall'infelicità, dalla disgrazia,
dal destino fetente di nascere
napoletani». Nel 1963 Francesco Rosi, anch'egli figlio
geniale di una generazione
lacerata dall’odio-amore per
Napoli, mise in scena per la
prima volta “In memoria di
una signora amica”, a breve
distanza dall'uscita del suo
film “Le mani sulla città”.
Si continua il 24 novembre e
fino al 20 dicembre con
l’“Orestea” da Eschilo per la
Via Giordano Bruno (che fino a
poco tempo fa avremmo fatto
bene a non percorrere in auto,
pena l’immancabile multa) è
l’arteria urbana che porta da
piazza Sannazzaro alla Torretta. A
beneficio dei viandanti che non si
fossero interrogati sullo straordinario personaggio cui è intitolata
la via, dedichiamo questo “Sguardo” al grande filosofo. Nato Filippo
Bruno Giordano (Nola, 1548 –
Roma, 17 febbraio 1600), fu filosofo, scrittore ed ex frate domenicano. Tra i punti chiave della sua
concezione filosofica – che fondeva materialismo, neoplatonismo,
arti mnemoniche, influssi ebraici e
cabalistici – ricordiamo la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'infinità dell'universo ed il
rifiuto della transustanziazione
(che in teologia indica la conversione della sostanza del pane nella
sostanza del corpo di Cristo e della
sostanza del vino nella sostanza
del sangue di Cristo). Napoli entra
nella vita del frate a soli 14 anni,
nel 1562, allorché stanco di Nola e
trascorsa l’adolescenza nella
contrada di San Giovanni al Cescola, entra nell’Università Federico II. Il giovane Bruno è assetato di
conoscenza, impaziente di capovolgere la prospettiva da cui si
guarda il mondo. Si sentirà sempre
“bandito dal ciel e dall’inferno”. La
Napoli del 1562, che sotto il regno
di Pietro da Toledo era diventata
una metropoli popolosa, calamita
per chi tentasse di sottrarsi al
regia di Luca De Fusco. Uno
dei massimi capolavori teatrali di tutti i tempi, l'unica
trilogia greca pervenutaci
nella sua interezza, viene
messa in scena da una grande
compagnia. L'“Orestea” viene
spesso rappresentata con uno
solo dei testi. Il Mercadante la
propone invece nella sua
interezza e non dimentica le
caratteristiche del teatro
greco che univa parola, canto,
danza. Per alcuni versi, quindi, uno spettacolo molto
classico, ma alleggerito da
una messa in scena contem-
torpore di una provincia ancora
impregnata di feudalesimo, al
giovane nolano apparve come una
terra promessa. Bruno si dimostrò
sempre uno studente infaticabile
che si arricchiva di platonismo
agostiniano, averroismo e meumotecnica. E la sua nuova meta fu
il convento di San Domenico
Maggiore dove seguì corsi di filosofia e teologia. Ma nel convento si
scontrò con la pesante censura
della controriforma. Erano bandite le opere di Erasmo da Rotterdam, che invece lui studiava di
nascosto. Si ribellò all’ortodossia e
al culto delle immagini, tanto che
contro di lui si aprirono processi
per eresia. La partenza da Napoli
divenne inevitabile. Fu l’inizio di
un nuovo vagare verso altri traguardi attraverso mezza Europa,
da Lione a Ginevra, a Parigi, a
Tolosa, a Wuttemberg. Bruno
elaborò una nuova teologia dove
Dio era intelletto e ordinatore di
tutto ciò che è in natura, ma egli
era nello stesso tempo Natura
stessa divinizzata, in un’inscindibile unità panteistica di pensiero e
materia. Per queste argomentazioni, giudicate eretiche, fu condannato al rogo dall'Inquisizione della
Chiesa romana.
Una delle sue frasi più significative
fu: “Verrà un giorno che l’uomo si
sveglierà dall’oblio e finalmente
comprenderà chi è veramente e a
chi ha ceduto le redini della sua
esistenza, a una mente fallace che
lo rende e lo tiene schiavo; l’uomo
non ha limiti ed un giorno se ne
renderà conto e sarà libero anche
in questo mondo”. Lui invece
pagò queste parole con la vita.
poranea che rinnova lo stile di
teatro/video già realizzato in
“Vestire gli ignudi”, “Antigone” e “Antonio e Cleopatra” e
rinnova la collaborazione con
la Vertigo Dance Company.
Passiamo ad un teatro più
piccolo, più giovane ma dalla
programmazione degna e
variegata: il Sannazaro, che
per ottobre propone un testo
di Raffaele Viviani: “Morte di
Carnevale”, da venerdì 23
ottobre, in omaggio ai trent’anni dalla scomparsa di
Nino Taranto. Sarà un allestimento fedele, con un cast di
artisti nati e cresciuti nel
teatro tradizionale, uniti dal
comune amore per un genere
che non deve essere dimenticato. Ci sarà il coinvolgimento
dello spettatore e la mostra
”Nino Taranto”, a cura di
Giulio Baffi che sarà allestita
nel Foyer del Sannazaro.
Un accenno anche al Teatro
Bellini. Dal 28 ottobre al 1
novembre va in scena “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Alessandro Gassmann;
dal 3 all’8 novembre “La
musica provata” di e con Erri
De Luca; dal 10 al 15 novembre l’“Enrico IV” di Luigi
Pirandello; dal 18 al 22 novembre “Ti regalo la mia
morte, Veronika” di Federico
Bellini e Antonio Latella ed il
27 e 28 novembre “Come ne
venimmo fuori” di e con
Sabina Guzzanti.
Al Teatro Paradiso (via Semmola n. 16), invece, nei giorni
sabato 21 e 22 novembre,
torna in scena la Compagnia
teatrale “La Ribalta” con la
“La fortuna con l’effe maiuscola”, commedia in tre atti
scritta nel 1942 da Eduardo
De Filippo in collaborazione
con Armando Curcio. Regia di
Silvana Petti e direzione
artistica di Pasquale Esposito.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(35)
LAPILLI
Terni&Favole. C’è fermento nella Tabaccheria
Postiglione di Largo Ferrandina a Chiaia: c’è un via
vai di ragazzini pronti a festeggiare Halloween che si
mischia al via vai degli adulti pronti a sfidare la sorte
per un «turista per sempre» e una combinazione da
inseguire al «10 e lotto». Fuori il primo freddo costringe i passanti al definitivo cambio di stagione,
dentro, invece, gli animi si riscaldano parlando delle
infinite buche che tempestano Chiaia, del caos
traffico dovuto alla chiusura della Galleria Vittoria e
del fantastico ed equilibrato campionato di Serie A
con il Napoli che fa faville. «I numeri che consiglio
in questi giorni di coccolare al lotto - sostiene Alber-
to Postiglione - sono quelli di Halloween: 45 (il
dolcetto), 27 (lo scherzetto), 15 (la zucca), 2 (i bambini). Quaterna da giocare per 9 estrazioni sulle
ruote di Napoli, Roma e Milano». Postiglione, trincerato dietro una cortina di gratta e vinci, continua
a snocciolare le sue previsioni: «Novembre resta il
mese dei santi e dei morti, dei fiori e delle preghiere.
Da giocare il terno 1 - 8 - 47 e l’ambo 5 - 90. I numeri 5 e 90 possono essere anche abbinati al numero 1
o al 72. Queste combinazioni vanno inseguite
almeno per 12 estrazioni e possibilmente vanno
giocate di sabato.». Fuori fa freddo, ma dentro gli
animi s’accendono come fuochi d’artificio.
«Così insegno il teatro ai giovani»
Livia Iannotta
Scoprirsi su un palcoscenico. Proiettare fantasie, sogni,
ansie, dubbi su una platea in
ascolto. Liberare e liberarsi. La
catarsi è il fine del teatro. Niente di più costruttivo se a misurarsi con tutto questo sono gli
adolescenti, con il carico di
turbolenze e moti dell’animo
di un’età in cui la costruzione
di sé diventa battaglia quotidiana.
Vincenzo Santoro (nella foto)
insegna psicologia al Liceo
delle Scienze Umane, ma il
teatro è nelle sue corde fin dall’adolescenza, quando con la
guida di Nino Taranto ha potuto apprendere le “armi” del
mestiere: «Recitare con lui è
stata un’esperienza che ricordo con piacere. Taranto regalava insegnamenti, consigli,
una formazione che non ho
trovato altrove. Da allora non
ho più abbandonato il teatro».
Parte di quei suggerimenti
Santoro cerca di “iniettarli” oggi tra i banchi di scuola, stimolando i giovani a salire sul
palco e mettersi alla prova.
«Amo l’anima del teatro - dice
-. Quando assisto ad uno spettacolo mi fisso sui dettagli, uno
sguardo, le mani dell’attore, il
sudore, la voce, anche a discapito del contesto generale. E ai
miei ragazzi cerco di trasmettere proprio questo. Credo
molto in loro perché non mi
hanno mai deluso. Bisogna solo accendere la passione, e
questo compito spetta all’insegnante».
In quest’ottica, Santoro ha studiato un progetto da proporre
agli istituti scolastici che pre-
vede laboratori teatrali per ragazzi disabili. «Ogni corpo ha
una sua soggettività, anche
quello giudicato disabile - sottolinea -. I ragazzi dovrebbero
imparare a capirne le possibilità, a gestirlo senza sentirsi penalizzati. Questo significa servirsi di un gruppo di figure
specializzate che li accompagni nella gestione dei movimenti, della respirazione e nella scoperta delle potenzialità
espressive». Un metodo rieducativo, quindi, messo in pratica insieme ai ragazzi normodotati, al fine di alimentare le
relazioni interpersonali e la
cooperazione con l'altro.
Le espressioni dei giovani, gli
scorci, gli sketch che sono il loro universo quotidiano potrebbero, invece, diventare il
nocciolo di un altro progetto.
«L’idea è quella di realizzare
un cortometraggio sugli occhi
dei ragazzi - spiega -. L’espressione della ragazzina che piange e la partecipazione corale
della classe, la delusione per la
bolletta persa, l’euforia del sabato sera. Mi piacerebbe cogliere gli attimi di passione e
fissarli insieme a loro, dimostrando così che la scuola può
non essere noiosa e che la lettura apre la mente». Esperienza già testata, in altro contesto, con i minori del carcere di
Nisida: «Realizzammo un corto in cui si raccontava la storia
di un delinquente che viene
preso e l’organizzazione della
sua vita in comunità. Tutto curato dai ragazzi, dallo storyboard alla scelta delle immagini
e delle musiche. Lo spettatore
in quel caso ero io». A volte basta poco. Una videocamera o
un palcoscenico, per esempio.
De Andrè rivive con la cover band «l’Agnata»
Biagio Sgangarella Valvano, classe
'55, vive ad Albanella, in provincia di
Salerno; dal 1982 si dedica per l'azienda di famiglia “Sgaval” alla vendita di
auto nuove ed usate. Ciò che lo appassiona, però, è la musica, nello specifico i testi ed i ritmi di Faber, tanto che
nel rispetto e all'ombra di questo gigante, si è lanciato in direzione "ostinata e contraria" fondando "l'Agnata",
cover-band e non solo, il cui lavoro è
stato definito, dagli stessi musicisti di
De Andrè, stupefacente per somiglianza e dunque bellezza.
Come nasce l'Agnata?
«La mia carriera musicale iniziò negli
anni '70. Dopo circa vent'anni di inattività mi riavvicinai alla musica nel
2001 con un gruppo di ragazzi "musicanti", con cui portai in giro per il Cilento uno spettacolo per due anni. Durante il "tour" qualcuno ascoltò la mia
voce e mi sfidò a cantare De Andrè. Così, pur non avendo mai studiato musica, iniziai ad ascoltare ininterrottamente “Bocca di Rosa”. Il risultato è
che alcuni dicono di aver trovato in me
la voce di Fabrizio. Nel 2009 nacque la
prima “Agnata” che durò circa 10 mesi; incidemmo il “Pescatore”, “Via del
(36)
Campo”, “Don Raffaè” e “Andrea”. Nel
2010 partecipammo ad un concorso
che avrebbe selezionato 18 artisti italiani che imitavano De Andrè per comporre un album “O' Cafè, insieme De
Andrè”, il cui ricavato sarebbe stato devoluto alla ricostruzione di una delle
chiese distrutte dal terremoto dell'Aquila. Vinsi con Don Raffaè. Nel 2013
finalmente nasce “l'Agnata” con i volti talentuosi che ha tutt'ora: Tony Esposito, sassofonista; Giuseppe Rinaldi, tastierista; Donato Giachetta, chitarrista
ed altri musicisti che variano».
Ha mai collaborato con i musicisti che
accompagnavano De Andrè?
«Sì, Mark Harris, lo storico tastierista e
arrangiatore di molti brani del concerto del '98. Quando sentì il nostro concerto di Valle della Lucania rimase quasi basito. E spesso con Michele Ascolese, chitarrista di Fabrizio. Sono musicisti abituati ad avere davanti il testo
della canzone e non lo spartito, perché
la musica, il ritmo dovevano essere il risultato della frase letta, della metrica
del testo e mai il contrario».
Qual è la storia della foto nella cucina
di De Andrè?
«Nel '95 ero in vacanza in Sardegna e
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
decidemmo di andare a mangiare all'Agriturismo di Dori e Fabrizio, aperto dal '79. Allora era il De Andrè elitario, perché solo con il concerto del '98,
come lui stesso disse in un'intervista,
si creò il testamento musicale ed il ricordo che abbiamo di lui oggi. Passai
la giornata a tormentare la cameriera
chiedendole se ci fosse o meno Fabrizio. Alla fine mi disse che potevo incontrarlo. Arrivò e chiacchierammo
come tra amici per quasi due ore. Ricordo il suo tremore, che mi colpì, ricordo che improvvisamente si fermò
quando gli chiesi, facendo riferimento
al rapimento del '79, cosa pensasse dei
sardi. Mi disse che gli uomini non sono tutti uguali, giustificò quasi quell'azione. Da quell'incontro prende nome la band».
Avete già presentato un inedito?
«Ho scritto una canzone su Fabrizio ed
un'altra sul momento storico che viviamo, si intitola "Vuless ‘o sol", la storia di un uomo comune che affronta
l'indifferenza e la cecità della politica,
tanto da vivere nell'ombra. Ci sono poi
altri due testi di un autore campano.
Vorrei anche realizzare un duetto con
Fabrizio, attraverso la canzone “Cose
che dimentico”».
E progetti per il futuro?
«Il nostro spettacolo sarà per metà teatrale grazie alla presenza di Francesca
Ventura. L’idea è di spiegare le opere di
Fabrizio in concerti monotematici.
Vorrei creare un gruppo acustico con
tanto di coro e portare in giro per chiese “La Buona Novella”. E poi da anni
propongo di dar vita ad un festival per
sostenere il cantautorato che dopo la
scomparsa di Battisti, De Andrè, non
ha più canali se non il premio Tenco».
MARIANGELA RANIERI
LAPILLI
Sulle note
dei Concerti
d’autunno
FINO A DICEMBRE
LA 20° EDIZIONE DELLA
RASSEGNA MUSICALE
DELLA COMUNITÀ LUTERANA
Appuntamento immancabile, che da vent’anni scalda
Napoli tra ottobre e dicembre. Tornano i “Concerti d’Autunno”, l’iniziativa ideata e diretta da Luciana Renzetti
(nella foto) attraverso la quale la Comunità Evangelica Luterana di Napoli presieduta
da Riccardo Bachrach promuove dal 1995 due rassegne
concertistiche con appuntamenti a ingresso gratuito nella Chiesa Luterana di Napoli,
insieme ad un concorso di
composizione e uno letterario. Ad inaugurare la kermesse (che si protrarrà fino al 2
dicembre), è stato, il 1 ottobre, il duo formato da Nicolò
Vaiente ed Eleonora Volpato.
«In occasione di questo im-
portante traguardo - sottolinea Luciana Renzetti - il programma 2015 si arricchisce di
una nota di festosità e di allegria, pur sempre accogliendo
quegli elementi che caratterizzano la rassegna, ovvero la
qualità e la particolarità degli
interpreti, la valorizzazione di
giovani talenti e l’esecuzione
di repertori rari soprattutto
contemporanei».
In programma: il 4 novembre
“Claude Quintet” con Raffaele La Ragione (mandolino),
Duilio Meucci (chitarra), Roberto Porzio (pianoforte),
Paolo Petrella (contrabbasso),
Andrea De Fazio (batteria) e
con musiche di Claude Bol-
ling. L’11 novembre è la volta
del “Trio Cardoso” con le chitarre di Massimiliano De Foglio, Alessandro Giancola,
Guido Ottombrino e musiche
di Johann Pachelbel, Jesùs
Guridi, Pedro Iturralde, Nino
Rota, Nicola Piovani, Massimiliano De Foglio, Antonio
Ramirez, Jorge Cardoso, Agustìn Barrios. Il 18 novembre si
esibisce al pianoforte Carlo
Guaitoli sulle musiche diSchubert, Chopin, Debussy,
Gulda. Il 25 novembre, invece,
spazio al consueto Concorso
letterario “Una piazza, un racconto”. La rassegna termina
con “L’altra voce della musica”: William Esteban Chiquito Henao al violino e musiche
di J.S Bach, E.Ysaye. (a.d.s)
L’ORA LEGALE
Adelaide Caravaglios
STORIA DI UN REATO
DI TRUFFA SENTIMENTALE
Indurre in errore una persona circa i propri
sentimenti; farle credere di voler costruire
insieme una famiglia ed, al contempo,
convincerla a farsi dare del denaro con
l’“iniziale” e “perdurante” obiettivo di
ingannarla e di non restituirle la somma
prestata configura una vera e propria “truffa
sentimentale”: è così che l’ha definita il
Tribunale di Milano in un recente intervento,
a seguito del quale sono state definite le
caratteristiche di un simile crimine. Invero, il
reato di truffa sentimentale si configurerebbe
tutte quelle volte nelle quali un partner
inganni dolosamente l’altro sulla veridicità
dei propri sentimenti al solo scopo di
conseguire un vantaggio patrimoniale.
Facile a dirsi, meno facile a scoprirsi! Eh sì,
perché il problema, in tutte queste ipotesi, è
quello di individuare, nella pratica, il
momento nel quale può dirsi configurata una
fattispecie del genere: spesse volte, infatti,
non ci si riesce perché – spiega il giudice
meneghino – non si possono conoscere tutte
le componenti di una relazione di coppia, le
sue variabili, le sue dinamiche. Ne consegue
che alla fine risulta “normalmente
impossibile provare che non sussistano altre
cause di per sé sufficienti a giustificare l’atto
dispositivo”.
Per aversi il reato di truffa sentimentale, in
altre parole, bisognerebbe individuare tre
fattori: 1) la portata fraudolenta della
condotta; 2) il dolo iniziale e 3) un rapporto
causale consequenziale che leghi l’errore con
l’atto di disposizione patrimoniale. Insomma
un vero e proprio campo minato per i giudici
che finirebbero con l’ingerirsi, a gamba tesa,
in una relazione sentimentale al solo scopo di
indagare le reali volontà dei partner.
Novelli Cupido!
Sand,
convince
lo stile
retrò
A PIAZZA SAN PASQUALE HA
APERTO IL SANDWICH BAR
DOVE SI GUSTANO COCKTAIL
INNOVATIVI E CARNI SPECIALI
Les Etoiles, nuova collezione di borse
Nella splendida location di Les Etoiles, a via Vittoria
Colonna, Elisabetta Reale ha presentato la sua nuova
collezione di borse. Tutte le borse, fatte rigorosamente in
Italia, lavorate a mano da esperti artigiani, con l’utilizzo
esclusivo di pellami italiani, sono pensate per una donna
moderna che ama l’eleganza senza mai rinunciare alla
praticità con la possibilità di tante personalizzazioni per
rendere unica ogni borsa. La collezione, inoltre, comprende
anche due borse da viaggio unisex dalla forma innovativa
ed essenziale. Alla presentazione sono intervenuti, tra gli
altri, Angelo, Laura Blasi, Rossella Melzino, Roberto e
Sabina Cerciello, Antonio e Roberta Capuano, Gianni e
Virginia Di Donato, Maria Bonaiuto, Bianca Ottone, Sandra
Gallo, Titti Troianiello, Giulia Paone, Paola Santoriello, Paola
Regine, Ennio e Marina Merolla, Doriana Barbato, Daniela
Migliardi, Bruno e Cristiana Carafa.
Nel panorama dei
luoghi del gusto e dell’intrattenimento made in
Naples, ha recentemente
aperto a piazza San Pasquale a Chiaia 16, agorà
del cuore chic di Napoli, il
sorprendente «Sand».
In un atmosfera retrò,
ispirata alla prima metà
del ‘900, nei locali storici
dell’ex pub Heineken,
Sand è una nuova formula di Sandwich Bar, con
spazi esterni ed interni,
privati e pubblici, costruiti intorno alle esigenze
delle persone. Il progetto
si propone di rinnovare le
abitudini in tema di
ristorazione e tempo
libero, con un’offerta di
piatti e bevande in cui
trionfano carni speciali di
prima scelta, birre selezionate, vini d’eccezione
e cocktail innovativi.
Tutto è studiato nei minimi dettagli: c’è l’area
“privè” per chi ha necessità e voglia di un po’ di
privacy oppure c’è l’area
bar, accessibile sia dall’esterno con una finestra
affacciata su piazza San
Pasquale a Chiaia, sia
dall’interno con un bancone bar degno delle
migliori cocktail room
americane.
In più, il locale ha una
sala attrezzata per gustare
panini e carne in tutta
comodità.
Alla qualità, poi, «Sand Sandwich Bar & More»,
abbina la massima personalizzazione. Infatti è
possibile scegliere gli
ingredienti per il proprio
panino in piena libertà,
potendo contare su una
vasta scelta di contorni,
carni e altre bontà.
«Sand - Sandwich Bar &
More» è aperto tutti i
giorni dalle 19.00 fino a
tarda notte.
Per saperne di più:
Tel 081.7643625
[email protected]
www.sandwichbar.it
Facebook e Twitter @sandnapoli; Instagram @sandwichbarnapoli.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2015
(37)
IUPPITER i libri del mese
VACANZE CON MANETTE
Odissea di un turista a Tunisi
IO VI VOGLIO BENE ASSAI
Sport, amori e giornalismo
Autore: Amedeo Forastiere
Costo: 10 euro
Pagine: 208
Autore: Franco Esposito
Costo: 18 euro
Pagine: 480
Finalista Premio Bancarella Sport 2015
Un invito a visitare Tunisi si trasforma in un viaggio nell’inferno. A causa della sparizione di un’auto, il protagonista si ritrova imbrigliato nell’impazzito ingranaggio giudiziario di un paese in cui la detenzione in carcere, com’è già successo ad altri turisti, è procedura affrettata e quantomeno arbitraria. Così la vacanza di un napoletano in cerca di cultura e relax fa tappa,
all’improvviso, nel famigerato penitenziario di Bouchoucha.
Sport, giornalismo e amori: il romanzo di un intreccio. Personaggi, episodi,
e curiosità lungo un percorso scandito da brani di storia napoletana e del costume italiano. Il Napoli, la nazionale di calcio, il nuoto e la pallanuoto, la
pallacanestro dei pionieri, il rugby degli scudetti di Napoli, il pugilato e il ciclismo fornitori infiniti di storie, le Olimpiadi e i viaggi in tutto il mondo. Pagine che si leggono d’un fiato e conquistano per stile e forza della passione.
FESTABAROCCA
Il Carnevale di Montemarano
LE VIE DELLA PIZZA
Miti e riti della magica specialità
Autore: Aldo de Francesco
Costo: 10 euro
Pagine: 118
Autore: Domenico Mazzella
Costo: 10 euro
Pagine: 168
«Siamo di fronte a un libro molto ricco, che si presta a diversi livelli di lettura: la riflessione colta, sulla festa popolare e sulla dimensione mitica della cultura meridionale; la raccolta di ricordi della infanzia; l’immagine pittorica che sintetizza l’interpretazione del Carnevale e al tempo stesso affida all’intelligenza e all’intuito una sovrabbondanza di percezioni e di significato». (Dal saggio introduttivo di Toni Iermano)
Muoversi per le millenarie strade di Neapolis, visitare straordinarie chiese
e palazzi, degustare e confrontare «pizze veraci» preparate da mani esperte che ripetono un rito antico fatto di acqua, farina, lievito, sale e tanta passione: la specialità napoletana più conosciuta al mondo non ha più segreti con «Le vie della pizza», libro, in versione italiana e inglese, che inaugura la collana «Tourista» dedicata alle guide culturali e gastronomiche.
ASPET...TATEMI, NON VALE!
Imparare la grammatica giocando
CINEMA ALL’APERTO
Romanzo di sogni e ritorni
Autori: De Falco - Langella - Sorrentino
Costo: 10 euro
Pagine: 90
Autore: Sergio Califano
Costo: 10 euro
Pagine: 144
Nove bambini e un’insegnante creano una piccola grammatica, la costruiscono per recuperare numeri, parole, attenzione, sicurezza per riconoscersi e divertirsi. Il risultato è sorprendente: il manualetto, per piccoli
e grandi, attraverso impasti di rime e giochi divertenti, spiega com’è possibile trasformarsi in scrittori, grammatici, matematici e persino in poeti.
È una cosa seria. Sfogliare per credere!
La vita di Carlo raccontata nel suo dinamismo. Geografie di tempi, di luoghi e d’incontri che solo nel ritorno trovano composizione. Veloce si compie il passaggio dalla crudele bellezza dell’infanzia all’età adulta, monotonia squarciata da fatti imprevedibili, forse guidati da un destino bizzarro che
riesce sempre a sorprendere la vita. Realtà e sogno, verità e ipotesi si confondono in una struttura narrativa circolare in cui tutto può ripetersi.
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i milioni che il
Mibact assegna al
Teatro San Carlo per
il valore della
produzione, la
qualità e la gestione
virtuosa. Bilanci
positivi per il
Massimo nel 2015
Banda ultralarga
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i Comuni campani
coinvolti nel
programma per la
realizzazione della
rete di nuova
generazione in fibra
ottica per la banda
ultralarga. 175 i
milioni investiti
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le parti civili che il
Gup del Tribunale di
Avellino ha ammesso
nell'udienza
preliminare del
processo sulla
tragedia del bus che
nel 2013 precipitò da
un viadotto della A16
100
mila i like che la
campagna spontanea
#SaveRummo ha
totalizzato in una
settimana. Web
solidale col pastificio
danneggiato per le
recenti alluvioni nel
beneventano
Nuovi voli
7
le nuove tratte
europee che la
compagnia Easyjet
ha previsto a
Capodichino
In più: un aereo, 40
nuovi addetti e un
traffico passeggeri
di 2,2 milioni l'anno
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Campagna social
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