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deduzione delle perdite su crediti di modesto importo e prescritti
DEDUZIONE DELLE PERDITE SU CREDITI DI MODESTO IMPORTO E PRESCRITTI: VALE LA
COMPETENZA?
Corriere Tributario, 13 / 2013, p. 1020
Redditi d''impresa
DEDUZIONE DELLE PERDITE SU CREDITI DI MODESTO IMPORTO E PRESCRITTI: VALE LA COMPETENZA?
Dragone Paolo ;Valacca Rodolfo
Riferimenti
Decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917 Art. 101
Sommario: Presunzione di presenza degli elementi certi e precisi per la deduzione delle perdite su crediti - Momento in cui i
parametri rilevanti per l'applicazione della norma devono essere verificati - Crediti prescritti - Decorrenza
In un precedente intervento [1] sono state riferite e commentate le considerazioni prospettate dal Consorzio studi e ricerche del
gruppo Intesa Sanpaolo nella circolare 28 novembre 2012, n. 4/2012, sull'ampliata nozione di elementi «certi e precisi» quali
presupposti per la deducibilità delle perdite su crediti.
Con il presente intervento portiamo all'attenzione ulteriori spunti di riflessione su altre questioni affrontate dalla circolare.
Presunzione di presenza degli elementi certi e precisi per la deduzione delle perdite su crediti
L'art. 101, comma 5, del T.U.I.R., modificato dall'art. 33, comma 5, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 [2], introduce, per i crediti di
modesto importo scaduti da oltre sei mesi, una presunzione di presenza degli elementi certi e precisi necessari per la deduzione
delle perdite su crediti dal reddito d'impresa. Occorre, quindi, chiedersi se trattasi di presunzione assoluta o relativa laddove la prima,
a differenza della seconda, non ammette la prova contraria [3].
A nostro parere, la norma sembra introdurre una presunzione assoluta, finalizzata a determinare l'esistenza di un fatto fiscalmente
rilevante (la perdita per inesigibilità del credito), precludendo così all'Amministrazione finanziaria la possibilità di provare l'inesistenza
dell'onere, sia in relazione alla consistenza del patrimonio del debitore sia in relazione alle azioni poste in essere a tutela del proprio
diritto.
A tale conclusione porta sia la lettera della norma - per effetto dell'inciso «in ogni caso», identico a quello previsto per le perdite su
crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali (formula ritenuta espressiva di una presunzione legale assoluta) [4] - sia la
sua ratio, che è quella di assicurare la certezza del rapporto tributario che caratterizza la disciplina sul reddito d'impresa [5] (ai fini di
una semplificazione del rapporto Fisco/contribuente).
Di diverso avviso [6] sembrerebbe, almeno ad una prima lettura, la circolare: infatti, nella nota 23 della medesima si legge che «in
sostanza, per l'impresa, la presunzione in esame si configurerebbe come relativa (restando subordinata a una valutazione di
inesigibilità riflessa nell'imputazione a conto economico) al pari di quella stabilita dall'art. 101, comma 5, per le perdite su crediti verso
debitori assoggettati a procedure concorsuali». Tuttavia è più ragionevole ritenere che la circolare abbia invece inteso esprimersi in
relazione alla competenza (di cui si dirà fra breve) nel senso che il contribuente non è necessariamente tenuto a rilevare la perdita
agli effetti fiscali laddove questa non sussista ai fini del bilancio civilistico. Tant'è che la circolare successivamente (a pag. 22) precisa
che, in virtù della norma in esame, «i requisiti di certezza e precisione delle perdite su crediti si presumono comunque verificati,
senza la possibilità di prova contraria». Una volta chiarita la natura della presunzione, è il caso ora di esplorare il suo rapporto con i
principi di competenza e inerenza.
Emergono qui due aspetti che meritano di essere approfonditi: da un lato quello dell'individuazione dell'esercizio in cui la perdita deve
essere rilevata e dedotta; dall'altro quello della rilevanza o meno, ai fini della deducibilità delle perdite, delle cause di inesigibilità del
credito e del comportamento assunto dal creditore.
Individuazione dell'esercizio in cui la perdita deve essere rilevata e dedotta
Per quanto riguarda il primo, la questione si pone in termini analoghi a quelli emersi in relazione alle perdite su crediti nei confronti di
debitori assoggettati a procedure concorsuali. Infatti, tra coloro che considerano la norma avente natura di presunzione assoluta
(come si ritiene sia anche la norma in esame), si sono formate due differenti correnti interpretative.
Alla prima appartiene chi sostiene che la deduzione deve essere integrale nell'esercizio di apertura della procedura; all'altra, chi
sostiene che questa può essere rinviata agli esercizi successivi a quelli di apertura della procedura, ove ne permangano i
presupposti.
Coloro che sostengono la necessità di dedurre le perdite solo ed esclusivamente nell'esercizio individuato dalla norma (cioè in quello
di apertura della procedura concorsuale) giustificano tale posizione argomentando che la norma non introduce una deroga al
generale principio di competenza [7].
Coloro che, al contrario, sostengono la possibilità di dedurre le perdite anche negli esercizi successivi a quello di apertura della
procedura (permanendone i presupposti) richiamano soprattutto il principio secondo cui, trattandosi di norma preposta alla
valutazione del patrimonio aziendale, questa non sarebbe sottoposta ad un criterio di stretta competenza e pertanto le perdite su
crediti nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali sarebbero deducibili anche in esercizi successivi a quelli di
apertura della procedura e per tutta la durata della medesima [8].
Tale ultima linea interpretativa ci sembra preferibile, non solo per gli argomenti addotti dalla dottrina [9], ma anche perché consente di
rispettare il criterio civilistico secondo cui i crediti devono essere esposti secondo il loro presumibile valore di realizzo non
obbligando, così, gli amministratori a inquinare il bilancio per effetto di una svalutazione di importo superiore a quella derivante dal
prudente apprezzamento delle probabilità di incasso del credito. Tale orientamento - ci sembra - va esteso anche all'ambito delle
perdite su crediti di modesto importo scaduti da oltre sei mesi (e in generale a tutte le perdite dovute alla presenza degli elementi
certi e precisi). Anche qui, infatti, si tratta di una norma che riguarda la valutazione del patrimonio aziendale che, come si è detto,
consente la deduzione anche in esercizi successivi a quelli in cui si sono manifestati i presupposti di legge, ovviamente a condizione
che questi permangano [10]. Nella stessa direzione appare orientata la circolare che, sul punto, afferma, «in analogia con quanto
riconosciuto per i crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, dovrebbe essere comunque possibile rinviare
l'imputazione della perdita a conto economico e la sua deduzione ad un esercizio successivo a quello in cui si realizzi il requisito
temporale, qualora si ritengano sussistere concrete possibilità di recupero».
Rilevanza delle cause di inesigibilità del credito e del comportamento del creditore
Quanto al secondo aspetto (quello legato all'inerenza del costo), osserva la circolare che, considerata la finalità semplificatoria della
presunzione in questione, dovrebbero essere irrilevanti le cause che hanno determinato l'inesigibilità del credito, «potendo risiedere
queste, oltre che nell'insolvenza o indolenza del debitore, anche in contestazioni, spesso informali, circa l'esistenza o entità della
pretesa, in funzione del rapporto causale sottostante».
Nella medesima prospettiva sembra porsi la dottrina [11], quando afferma che «l'esistenza ex lege degli elementi certi e precisi per la
deduzione della perdita esaurisca le verifiche da farsi per ammettere detta deduzione»; con la conseguenza che, «salvo forse casi
particolarissimi, non sembra possibile riscontrare alcuna esigenza - né, per gli organi accertatori, la concreta possibilità - di attuare
ulteriori verifiche, ad esempio, in tema di anti-economicità ovvero elusività dei comportamenti aziendali».
Conclusivamente, quindi, si può ritenere che la presunzione in questione, considerata la sua natura (di presunzione assoluta) e la
sua finalità (di semplificazione dei rapporti tra Fisco e contribuente), integrerebbe le condizioni di certezza e di inerenza che
costituiscono i presupposti necessari per la deducibilità degli oneri dal reddito d'impresa, non imponendo al contribuente particolari
oneri probatori.
Momento in cui i parametri rilevanti per l'applicazione della norma devono essere verificati
Un ulteriore problema affrontato dalla circolare è quello relativo al momento in cui i parametri rilevanti per l'applicazione della norma
devono essere verificati (in particolare si tratta della verifica dell'entità dei ricavi per essere qualificati «impresa di rilevante
dimensione» o altra impresa, della determinazione del valore dei crediti da confrontare con le soglie fissate dalla legge e della
decorrenza del semestre dalla scadenza ordinaria); a tal proposito si condividono le osservazioni della circolare ove si afferma che,
«considerato che la nuova disposizione si inserisce nell'ambito del comma 5 dell'art. 101 del T.U.I.R., dovrebbe ragionevolmente
ritenersi che tale momento debba essere individuato nella fine del periodo d'imposta, data alla quale si richiede la sussistenza degli
elementi certi e precisi previsti in via generale dal suddetto comma 5».
Crediti prescritti
A seguito della modifica normativa, l'art. 101, comma 5, sesto periodo, del T.U.I.R. prevede che «gli elementi certi e precisi
sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto».
A norma dell'art. 2934, primo comma, c.c., «ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge», intendendo per prescrizione il fenomeno per cui l'inerzia del titolare di un diritto soggettivo, protratta nel
tempo, determina l'estinzione dello stesso.
La dottrina discute sull'effetto estintivo della prescrizione e in particolare discute se con essa si abbia o meno una modificazione
dell'obbligazione civile in obbligazione naturale [12].
Nel primo caso (modificazione) con la prescrizione si estinguerebbe il diritto di credito, nel secondo caso (non modificazione) con la
prescrizione il creditore perderebbe solo il diritto alla riscossione del proprio credito [13].
L'istituto della prescrizione risponde, come chiarito dalla dottrina [14], ad una finalità di ordine pubblico che trova fondamento
nell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, come risulta dall'art. 2936 c.c., che sancisce l'inderogabilità delle norme sulla
prescrizione [15].
«L'inerzia del titolare di un diritto - si è detto - viene indicata dall'art. 2934 c.c. come elemento causale della prescrizione del diritto
stesso». Inoltre «si ritiene che l'inerzia si debba concretizzare in un comportamento omissivo obiettivamente valutabile come tale
nella realtà sociale, comportamento che naturalmente comprende anche la mancata difesa del diritto violato, così come comprende il
non uso dei diritti reali di godimento soggetti a prescrizione» [16].
La prescrizione può essere eccepita dal debitore, il quale può anche rinunciarvi solo dopo che si è compiuta [17].
Il decorso della prescrizione può essere interrotto e «l'interruzione richiede il fatto dell'uomo - sia esso il titolare del diritto o la
controparte - e che ha l'effetto di porre nel nulla il tempo trascorso» [18].
In particolare, il decorso del termine di prescrizione è interrotto se:
a) il titolare del diritto compie un atto formale di esercizio dello stesso [19];
b) il soggetto passivo riconosce l'esistenza del diritto, esplicitamente o implicitamente.
Il termine per la prescrizione ordinaria è fissato in dieci anni (art. 2946 c.c.). Termini diversi sono previsti da norme specifiche in casi
determinati. In cinque si prescrivono i diritti di cui agli artt. 2948 e 2949 c.c. Il termine di un anno, infine, si applica alle ipotesi di cui
agli artt. 2950, 2951 e 2952 c.c.
La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto poteva essere fatto valere [20]; se a partire da quel giorno il titolare del
diritto si astiene per dieci anni dall'esercitarlo (o si astiene per il termine minore previsto dalla legge), il diritto si estingue. Stabilire
quando un diritto può esser fatto valere è abbastanza complesso. «Per i diritti di credito la prescrizione decorre dal momento in cui la
prestazione è effettivamente esigibile da parte del creditore», pertanto, «se la prestazione è esigibile su richiesta del creditore, la
prescrizione decorre dal momento in cui sorge il credito; ed altrettanto vale, secondo l'opinione prevalente, per le prestazioni esigibili
ad un dato termine dalla richiesta e per le prestazioni senza termine, stante il dettato dell'art. 1183, primo comma, c.c., a meno che il
termine non sia implicito (come nel caso del comodato per uso determinato), ipotesi nella quale la prescrizione decorre dalla
scadenza del termine» [21].
Prima della novella legislativa le perdite relative ai crediti prescritti si ritenevano deducibili in ragione dell'estinzione del relativo diritto
di esecuzione del credito. Era discusso se tali eventi rientrassero o meno nell'ambito applicativo dell'art. 101, comma 5, del T.U.I.R.
in quanto si riteneva che tale norma fosse applicabile solo alle perdite su crediti di natura valutativa (cioè alle perdite da inesigibilità
del credito e non a quelle derivanti dall'estinzione del relativo diritto ovvero del diritto ad agire da parte del creditore); tuttavia,
l'eventuale inclusione di tali perdite tra quelle di cui all'art. 101, comma 5, del T.U.I.R. non avrebbe comportato conseguenze
particolari giacché, in ogni caso, si trattava di perdite deducibili in quanto dipendenti dalla estinzione del diritto di credito, evento che
realizzava ex se gli elementi «certi e precisi» di cui al comma 5 dell'art. 101 del T.U.I.R. [22].
Pertanto occorre domandarsi quali siano le finalità della norma, la natura della presunzione da questa posta e le sue conseguenze.
Per quanto riguarda le finalità, la circolare afferma che, «al pari della modifica normativa riguardante le perdite su crediti di modesta
entità, anche quella riguardante la deducibilità delle perdite derivanti dalla prescrizione del diritto alla riscossione del credito ha
finalità chiarificatorie, essendo rivolta a confermare una prassi comunque seguita dalla gran parte delle imprese» [23].
Occorre poi chiedersi quale tipo di presunzione legale la norma abbia voluto introdurre.
La circolare nulla dice a tal proposito; tuttavia, per le medesime ragioni analizzate con riferimento alle perdite su crediti di modesto
importo, si ritiene che si tratti di una presunzione legale assoluta.
Da qui la preclusione all'Amministrazione finanziaria di sindacare il comportamento del creditore che, per effetto della sua inerzia, ha
lasciato decorrere i termini prescrittivi.
A tal proposito la circolare, condivisibilmente, afferma che «la presunzione introdotta dalla norma sembra volta più che altro a
dirimere eventuali dubbi di inerenza, in particolare sulla "economicità" della perdita sotto il profilo della corretta gestione aziendale
(l'inerzia del creditore potrebbe altrimenti implicare un'implicita rinuncia)».
Un ulteriore aspetto di particolare rilevanza che pone la norma in esame è quello della prova dell'avvenuto decorso della
prescrizione. La delicatezza della questione risiede nella circostanza che il bilanciamento di tale onere è fondamentale al fine di non
costringere il creditore a dover provare un fatto negativo [24] (e come tale non dimostrabile) e cioè il fatto di non aver posto in essere
alcun atto interruttivo della prescrizione.
Opportunamente la circolare afferma che «la prova dell'esistenza di atti interruttivi dovrebbe ricadere sull'Amministrazione
finanziaria»; diversamente, il creditore si troverebbe nell'impossibilità di dimostrare di non aver compiuto alcun atto interruttivo della
prescrizione [25].
Per quanto riguarda la questione se la deduzione della perdita sia ammessa nell'esercizio in cui decorre la prescrizione o in quello in
cui il diritto di credito si estingue (momenti che, per quanto detto in precedenza, possono non coincidere), «in tale contesto, ... ai fini
della deducibilità della perdita non sarebbe necessario che il creditore abbia formalmente agito nei confronti del debitore e che questi
abbia eccepito la prescrizione, determinando così l'estinzione del diritto alla riscossione, potendosi considerare sufficiente il mero
decorso dei termini per la prescrizione del diritto, che preclude al creditore di agire per la soddisfazione del credito; il debitore potrà
infatti sempre conseguire l'estinzione del diritto di credito, senza che per questo si renda necessario l'accertamento da parte
dell'autorità giudiziaria ovvero che l'eccezione risulti da altri atti formali (ad esempio, scambio di corrispondenza tra creditore e
debitore)» [26].
Tale conclusione appare corretta nell'ipotesi in cui si ritenga che determini solo l'impossibilità di riscuotere il credito e, a maggior
ragione, nell'ipotesi in cui si ritenga che la prescrizione determini l'estinzione del diritto.
Per quanto riguarda l'esercizio di deduzione della perdita su crediti prescritti, secondo la circolare «il periodo d'imposta in cui il diritto
alla riscossione del credito si prescrive dovrebbe costituire l'ultimo in cui sia possibile dedurre la perdita, risultando poi non più
azionabile il diritto del creditore. Qualora il debitore, in un successivo periodo d'imposta, rinunci alla prescrizione effettuando
spontaneamente il pagamento, il creditore dovrebbe rilevare una sopravvenienza attiva imponibile».
Anche in questo caso la soluzione proposta dalla circolare appare corretta e idonea ad essere applicata, sia che si consideri la
prescrizione come impeditiva della riscossione del credito, sia che la si consideri come una ipotesi estintiva non satisfattiva del diritto
di credito.
Decorrenza
Per quanto riguarda l'entrata in vigore delle norme in questione, la circolare osserva in via generale che «il D.L. n. 83/2012 è entrato
in vigore il 26 giugno 2012 (giorno stesso della sua pubblicazione nella G.U.), mentre la legge n. 134/2012 di conversione (che ha
apportato, tra le altre, le modifiche relative alle perdite su crediti verso debitori non assoggettati a procedure concorsuali) è entrata in
vigore il 12 agosto 2012 (giorno successivo a quello della pubblicazione nella G.U.). Tuttavia, né il decreto né la legge di conversione
contengono specifiche norme di decorrenza delle novità in materia di sopravvenienze attive e di deducibilità delle perdite su crediti.
Trattandosi di modifiche relative ad un tributo periodico (l'IRES), in base all'art. 3, comma 1, della legge n. 212/2000 (cd. Statuto dei
diritti del contribuente), esse dovrebbero applicarsi dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore
delle disposizioni che le prevedono, e cioè dal periodo d'imposta 2013, per i soggetti con l'esercizio coincidente con l'anno solare.
Considerato tuttavia che lo Statuto persegue finalità di tutela del contribuente (cfr. art. 3, commi 1 e 2, della legge n. 212/2000) [27]
[28]
, che nel caso di specie non trovano riscontro trattandosi di misure favorevoli, si è dell'avviso che le nuove disposizioni trovino
applicazione già dal periodo d'imposta in corso all'entrata in vigore del decreto.
Dovrebbe derivarne che, per i soggetti con l'esercizio coincidente con l'anno solare, le norme in materia di sopravvenienze attive e
perdite su crediti introdotte dal decreto si applichino già dal 2012».
Questo significa, in relazione alle perdite su crediti di modesto importo, che, secondo la circolare, «le nuove disposizioni dovrebbero
consentire la deduzione nel periodo d'imposta 2012 delle perdite (non già dedotte) su crediti di modesta entità scaduti da oltre sei
mesi prima del 2012, realizzandosi (solo) ora, ex lege, i requisiti di certezza e precisione. In altri termini, sembra da escludere che il
requisito temporale possa valere solo per le posizioni creditorie che raggiungano tale "anzianità" nel 2012 o nei periodi d'imposta
successivi».
Infine, osserva la circolare, «la soluzione di considerare deducibili nel 2012 le perdite relative a crediti scaduti da oltre sei mesi prima
di tale periodo d'imposta dovrebbe ovviamente riguardare sia le perdite imputate al conto economico di esercizi precedenti, riprese a
tassazione poiché prive dei requisiti di certezza e precisione in base al previgente comma 5 dell'art. 101, sia - a maggior ragione quelle imputate al conto economico del 2012».
Per quanto riguarda, infine, i crediti prescritti, viene osservato che, «quanto agli effetti di diritto transitorio, la natura innovativa della
norma non sembra certa, nonostante la relazione tecnica all'emendamento deponga in tal senso. Da una qualificazione della
disposizione come innovativa discenderebbe la possibilità, per i crediti prescritti prima del 2012, di dedurre in tale periodo d'imposta
le perdite imputate al conto economico del 2012. Analogamente, dovrebbe essere consentita la deduzione di eventuali perdite, non
precedentemente dedotte, imputate al conto economico di esercizi precedenti al 2012».
In altri termini si potrebbe sostenere la deducibilità nell'esercizio 2012 delle perdite su crediti prescritti in precedenti esercizi,
argomentando che in tali periodi d'imposta era d'ostacolo alla deduzione la mancanza del requisito dell'inerenza, requisito, questo,
che viene presunto nella nuova disciplina [29].
Note:
[1]
P. Dragone e R. Valacca, «La deduzione dal reddito di impresa delle perdite su crediti di modesto importo», in Corr. Trib. n.
8/2013, pagg. 647-652.
[2]
Convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in vigore dal 12 agosto 2012.
[3]
Circa la natura, la funzione e i limiti delle presunzioni di legge si rinvia a G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte generale,
Milano, 2010, pag. 515 ss.; E. De Mita, «Capacità contributiva», in Digesto sez. comm., Milano, 1987; M. Taruffo, «Onere della
prova», in Digesto sez. civ., Milano, 1995; P. Boria, «I principi costituzionali dell'ordinamento fiscale», in A. Fantozzi (a cura di), Diritto
tributario, Milano, 2012, pagg. 98 ss.
[4]
Cfr. S. Fiorentino, «La valutazione fiscale dei crediti nella disciplina IRES», in Rass. trib. n. 5/2006, pag.1494; G. Zizzo, «Le
perdite su crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali», in Corr. Trib. n. 29/2010, pagg. 2343-2344; R. Valacca e E. La
Rosa, «I crediti nella disciplina del Testo Unico delle imposte sui redditi», in Le Circolari del Corr. Trib., allegato al n. 19/1996; A.
Vicini Ronchetti, «Spunti e considerazioni sulla deducibilità fiscale delle perdite su crediti», in Riv. dir. trib., 2002, I, pagg. 755-760; P.
Boria, Il sistema tributario, Milano, 2008, pag. 459; M. Pisani, «Le perdite su crediti nel T.U.I.R.», in il fisco n. 48/2000; A. Capuozzo,
«Perdite su crediti: deducibilità e norme transitorie», ivi n. 16/1989; M. Gaballo, «Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive
e perdite», in G. Tinelli (a cura di), Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, CEDAM, 2009, pag. 884; A. Contrino, «La
valutazione dei crediti», in G. Zizzo (a cura di), La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2011, pag. 650; F. Crovato e R. Lupi, Il
reddito di impresa, Milano, 2002, pag. 333; C. Attardi, «L'imputazione temporale delle perdite su crediti, ai fini del calcolo del reddito
di impresa», in Riv. dir. fin. sc. fin., II, 2003, pag. 86. In giurisprudenza si veda Cass., Sez. trib., 20 novembre 2001, n. 14568; negli
stessi termini si veda l'interrogazione parlamentare 5 novembre 2008, n. 5-00570, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
La considerano, invece, una presunzione legale relativa l'Associazione italiana Dottori commercialisti, norma n. 172 del novembre
2008, ivi; Cass., Sez. trib., 4 settembre 2002, n. 12831, in GT - Riv. giur. trib. n. 1/2003, pag. 57, con nota di L. Mazzuoccolo, in
Banca Dati BIG Suite, IPSOA e in Rass. trib., 2002, pag. 2070, con nota di M. Cantillo, «La deducibilità fiscale delle perdite su crediti
verso debitori assoggettati a procedure concorsuali».
[5]
Sul punto cfr. G. Zizzo, «La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali», in G. Falsitta (a cura di), Manuale di
diritto Tributario, Milano, 2010, pagg. 274-279.
[6]
E cioè che si tratti di una presunzione legale relativa.
[7]
Cfr. L. del Federico, «Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive, perdite ed accantonamenti per rischi su crediti», in F.
Tesauro (a cura di), L'imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1994, pag. 771; C. Attardi, «L'imputazione temporale delle
perdite su crediti, ai fini del calcolo del reddito di impresa», cit., loc. cit., pagg. 89-93. In giurisprudenza, si veda fra le altre Cass.,
Sez. trib., 1° giugno 2012, n. 8822, Id., 29 ottobre 2010, n. 22135, entrambe in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
[8]
Cfr. S. Fiorentino, «La valutazione fiscale dei crediti nella disciplina IRES», cit., loc. cit., pag. 1494; G. Zizzo, «Le perdite su crediti
verso debitori assoggettati a procedure concorsuali», cit., loc. cit., pagg. 2343-2344; R. Valacca ed E. La Rosa, «I crediti nella
disciplina del Testo Unico delle imposte sui redditi», cit., loc. ult. cit.; A. Vicini Ronchetti, «Spunti e considerazioni sulla deducibilità
fiscale delle perdite su crediti», cit., loc. cit., pagg. 755-760; P. Boria, Il sistema tributario, cit., pag. 459; F. Crovato e R. Lupi, Il
reddito di impresa, cit., pag. 333; M. Gaballo, «Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite», cit., loc. cit., pag. 886;
A. Contrino, «La valutazione dei crediti», in La fiscalità delle società IAS/IFRS, cit., loc. cit., pag. 651; A. Trabucchi, «Novità
interpretative in tema di perdite e di svalutazione dei crediti», in Le imposte sui redditi nel Testo Unico. Commento alle recenti novità
in tema di IAS, reddito di impresa, CFC, cedolare secca, fondi comuni di investimento e premi di produttività, a cura di M. Leo,
Milano, 2011, pag. 257.
Peraltro, si fa notare che una questione simile si poneva, in passato, anche per la valutazione delle partecipazioni sociali (ex artt.
61-66 del T.U.I.R.). Per queste era assodato, che trattandosi di norma di valutazione del patrimonio, la svalutazione potesse essere
omessa nell'esercizio in cui ne emergevano i presupposti ed effettuata in un esercizio successivo, in costanza di questi. Cfr. F.
Crovato e R. Lupi, Il reddito di impresa, cit., pag. 360. Orientamento fatto proprio anche dall'Amministrazione con R.M. 2 giugno
1980, n. 9/1255, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
[9]
Di cui alla nota n. 8.
[10]
Condividono tale conclusione, anche se per ragioni differenti, L. Miele e A. Trabucchi, «Perdite su crediti di modesta entità, da
prescrizione del diritto e da "derecognition" IAS dei crediti», in Corr. Trib. n. 34/2012, pag. 2601, i quali osservano che «una diversa
interpretazione, d'altra parte, oltre a non tenere in debita considerazione la finalità agevolativa e semplificatoria della norma, potrebbe
risultare in contrasto anche con l'altra previsione introdotta dal provvedimento in commento, secondo cui gli elementi certi e precisi si
assumono esistere "inoltre" nei casi di prescrizione del diritto di credito (previsione che, data la genericità del testo normativo, pare
destinata a trovare applicazione tanto per i crediti di più elevato importo quanto per quelli di modesta entità)».
[11]
Cfr. L. Miele e A. Trabucchi, «Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da "derecognition" IAS dei crediti»,
cit., loc. ult. cit.
[12]
L'obbligazione naturale, che si contrappone all'obbligazione civile, si ha quando una determinata prestazione è dovuta in forza di
un dovere morale o sociale. Diversamente da quanto avviene per le obbligazioni civili, il debitore non è obbligato ad eseguire la
prestazione ma se lo fa non può chiederne la restituzione (ex art. 2034 c.c.).
[13]
Tra le ipotesi legalmente tipizzate di nascita delle obbligazioni naturali viene ricompresa la prescrizione da A. Torrente e P.
Schlesinger, in F. Anelli e C. Granelli (a cura di), Manuale di diritto privato, Milano, 2009, pag. 351; si esprime in termini di estinzione
del diritto senza specificare se ciò comporta la trasformazione dell'obbligazione legale in naturale, F. Galgano, Trattato di diritto civile,
vol. I, Milano, 2010, pag. 860. In giurisprudenza afferma che il pagamento di un debito prescritto costituisce un caso di adempimento
di un'obbligazione naturale Cass., Sez. lav., 1° agosto 1990, n. 7686, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
Dà atto, invece, dell'esistenza di due filoni interpretativi contrapposti, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, pag. 558.
Ritiene, invece, che la prescrizione non comporti la trasformazione dell'obbligazione civile in naturale G. Panza, «Prescrizione», in
Digesto sez. civ., Milano, 1996. Ritiene, infine, che il decorso della prescrizione non determini l'estinzione del diritto e che di
adempimento di una obbligazione naturale si può parlare solo nel caso in cui il debitore adempia dopo aver validamente opposto
l'eccezione di prescrizione L. Nivarra, «Obbligazione naturale», ivi; in giurisprudenza si veda, nei medesimi termini, Cass., Sez. I civ.,
8 agosto 1978, n. 3856.
[14]
Cfr. M.R. Cimma, «Prescrizione e decadenza», in Digesto sez. civ., Milano, 1996.
[15]
L'istituto della prescrizione serve ad evitare che un contrasto tra una situazione di fatto (mancato esercizio di un diritto) e una
situazione di diritto si protragga indefinitamente nel tempo, con la conseguenza che oltre un certo termine la situazione di fatto
prevale su quella di diritto. Come evidenziato dalla dottrina, con l'istituto della prescrizione, «l'interesse del soggetto attivo alla
ulteriore protrazione di una situazione di diritto che non utilizza ... non è più protetto: appare, per contro, degno di protezione
l'interesse del soggetto passivo alla definitiva consolidazione della situazione di fatto» (F. Galgano, Trattato di diritto civile, cit., pag.
854).
[16]
M.R. Cimma, «Prescrizione e decadenza», cit., loc. ult. cit.
[17]
La rinuncia può essere tacita o espressa. È «tacita se risulta da un fatto incompatibile con la volontà di avvalersi della
prescrizione (per es. riconoscimento inequivocabile del credito, richiesta di dilazione di pagamento, ecc.)». Cfr. A. Torrente e P.
Schlesinger, Manuale di diritto privato, cit., pag. 213.
[18]
[19]
M.R. Cimma, «Prescrizione e decadenza», cit., loc. ult. cit.
Secondo la dottrina, alla luce dell'art. 2943 c.c., interrompe il decorso della prescrizione un atto giudiziale proposto dal titolare del
diritto o un atto stragiudiziale, proposto dal medesimo, come la costituzione in mora e ogni altro atto che valga come costituzione in
mora. Non sono, invece, idonee a interrompere il decorso della prescrizione le richieste o diffide verbali, la partecipazione a trattative
per la composizione amichevole della vertenza, la mera comunicazione al debitore delle somme risultanti a debito, non
accompagnate dalla richiesta di pagamento. Cfr. F. Galgano, Trattato di diritto civile, cit., loc. cit., pagg. 856 e 857.
[20]
Art. 2934 c.c.
[21]
M.R. Cimma, «Prescrizione e decadenza», cit., loc. ult. cit.
[22]
A. Trabucchi, «Novità interpretative in tema di perdite e di svalutazione dei crediti», cit., loc. cit., pag. 260; D. Stevanato, «I criteri
direttivi per la razionalizzazione delle norme sul reddito di impresa», in Corr. Trib. n. 34/2012, pag. 2593.
[23]
In tal senso anche L. Miele e A. Trabucchi, «Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da "derecognition"
IAS dei crediti», cit., loc. ult. cit.
[24]
Secondo la dottrina - M. Taruffo, «Prova (in generale) nel processo civile», in Digesto sez. civ., Milano, 1997 - «Può accadere
che la prova tenda a dimostrare la falsità dell'enunciato sul fatto, o comunque a dimostrare che il fatto non si è verificato. In tal caso
si potrà parlare di prova negativa (l'uso più comune è di definire "contraria" questa prova per contrapporla a quella "diretta", ma
anche ciò crea problemi). Accade spesso che una prova negativa venga contrapposta ad una prova positiva, ma la prova negativa
ha una sua autonomia, e può anche sussistere da sola ogniqualvolta si tratti di provare che un fatto non si è verificato».
[25]
La questione è di particolare importanza poiché la giurisprudenza, trattando dell'onere della prova negativa, si è espressa nel
senso di attribuire, comunque, a carico della parte che resiste l'onere di provare il fatto negativo. Nella sentenza della Cassazione,
Sez. lav., 13 dicembre 2004, n. 23229, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA, viene affermato, infatti, il principio che «l'onere probatorio
gravante, a norma dell'art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione
del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto "fatti negativi", in quanto la negatività dei fatti
oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto,
pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la
relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle
quali possa desumersi il fatto negativo». Nello stesso senso, Cass., Sez. II civ., 15 aprile 2002, n. 5427, e Cass., Sez. lav., 3
dicembre 2003, n. 18487, per cui «l'onere della prova gravante su chi agisce o resiste in giudizio non subisce deroghe nemmeno
quando abbia ad oggetto fatti negativi».
[26]
Così la circolare.
[27]
In giurisprudenza la natura garantista dell'art. 3 dello Statuto del contribuente è stata sancita dalla Cass., Sez. trib., 21 aprile
2001, n. 5931, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. A tal proposito la Corte ha affermato che «il cosiddetto Statuto del contribuente è
uno strumento di garanzia del contribuente e, quindi, mentre serve ad arginare il potere dell'Erario nei confronti del soggetto più
debole del rapporto di imposta, non può ostacolare l'approvazione di disposizioni che siano a favore del contribuente, che si risolvono
eventualmente in una ulteriore autolimitazione del potere legislativo (una sorta di "autotutela legislativa")». La prospettiva garantista
dello Statuto del contribuente è, invece, abbandonata dalla Cass., Sez. trib., 2 aprile 2003, n. 5015, ivi.
[28]
Nello stesso senso A. Contrino, «Accordi di ristrutturazione, note di variazione IVA e decorrenza delle novità fiscali», in Corr. Trib.
n. 36/2012, pag. 2776. Circa la portata dell'art. 3 dello Statuto del contribuente, legge n. 212/2000, cfr. anche la circolare Assonime n.
33 del 22 dicembre 2011.
[29]
Contra: L. Miele e A. Trabucchi, «Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da "derecognition" IAS dei
crediti», cit., loc. ult. cit. Per tali Autori, «la norma sembrerebbe trovare applicazione per i crediti la cui prescrizione opera dal periodo
di imposta 2012. Nei casi in cui il diritto di credito si fosse già prescritto in periodi d'imposta precedenti la deduzione sembrerebbe
preclusa; fatte salve fattispecie particolari, infatti, sembrerebbe potersi ritenere che in tali casi la relativa perdita avrebbe dovuto
essere dedotta precedentemente e, laddove ciò non fosse avvenuto, la novella legislativa non sembra idonea a legittimare deduzioni
postume».
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