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Nuove scoperte sull`origine del piacere potrebbero
Neuroscienze Il cervello e la felicità Nuove scoperte sull’origine del piacere potrebbero migliorare il trattamento delle dipendenze e della depressione. E persino stimolare la nascita di una nuova scienza della felicità di Morten L. Kringelbach e Kent C. Berridge N 82 Le Scienze Scientific American (fotoillustrazione); Getty Images (testa); Thinkstock (immagini nella testa); NASA (Luna) egli anni cinquanta Robert Heath, psichiatra della Tulane University a New Orleans, varò un controverso programma che prevedeva l’impianto di elettrodi nel cervello di pazienti affetti da epilessia, schizofrenia, depressione e altre patologie neurologiche. Il suo obiettivo iniziale era localizzare la sede biologica dei loro disturbi e forse, stimolando ad arte quelle regioni, riuscire a curarli. 530 ottobre 2012 Secondo Heath, i risultati furono spettacolari: pazienti resi quasi catatonici dalla depressione ripresero a sorridere e a conversare, e in qualche caso abbozzarono una risata. Ma il sollievo era temporaneo: cessato lo stimolo, i sintomi si ripresentavano. Per estendere gli effetti della terapia, Heath diede ad alcuni pazienti dei pulsanti che potevano premere da soli quando ne sentivano il bisogno. E qualcuno lo sentiva molto di frequente. Un paziente in particolare – un omosessuale di 24 anni che Heath cercava di curare dalla depressione (e dal desiderio di altri uomini) – stimolava gli elettrodi anche 1500 volte in un’unica sessione di tre ore. Come riferisce il professore, questa autostimolazione ossessiva diede a B-19, il suo nome in codice, un senso quasi travolgente di euforia e di esaltazione, al punto che l’uomo accoglieva la fine della sessione con vibranti proteste. Quegli esperimenti permisero di definire un insieme di strutture in seguito definite «centro del piacere» cerebrale. E diedero origine a un movimento – nella scienza e nella cultura popolare – per capire le basi biologiche del piacere. Nei trent’anni successivi i neurobiologi hanno identificato le sostanze che le regioni cerebrali delineate da Heath e da altri inviano e ricevono per diffondere le ondate di gioia. E nell’immaginario collettivo sono fioriti scenari da fantascienza in cui l’attivazione di quelle aree produce un’istantanea beatitudine. Ma la scoperta dei presunti centri cerebrali del piacere non ha portato progressi nella cura della malattia mentale. Anzi, forse ha erroneamente spinto gli scienziati a pensare di avere svelato come il cervello codifica e genera il piacere. Studi sui roditori e sull’uomo indicano ora che attivare quelle aree con gli elettrodi o con sostanze specifiche non genera piacere, ma accelera solamente la ricerca compulsiva, e quindi la spinta maniacale ad autostimolarsi. Tuttavia, grazie alle moderne tecniche di biologia molecolare, a cui associamo i più perfezionati metodi di stimolazione profonda del cervello, vari laboratori, inclusi i nostri, stanno ridisegnando la mappa dei circuiti cerebrali del piacere. Insieme stiamo scoprendo che i sistemi che lo generano sono molto più limitati, e assai più complessi, di quanto credevamo. Individuando con precisione i fondamenti neurologici del piacere ci auguriamo di spianare la strada a terapie nuove e più mirate della depressione, della dipendenza e di altri disturbi ancora. E magari di fare nuova luce sulle radici della felicità umana. Elettrodi ingannevoli Che lo si provi sotto forma di brividi di gioia o di un caldo appagamento, il piacere non è solo un effimero sovrappiù che si ricerca solo dopo avere esaudito i fabbisogni essenziali. È una sensazione centrale della vita. Il piacere alimenta l’interesse degli animali verso ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere: cibo, sesso e, in alcuni casi, comunicazione sociale generano infatti sensazioni positive e sono ricompense naturali per ogni animale, inclusi noi. I primi chiari indizi della base biologica di queste sensazioni risalgono a una sessantina di anni fa, alle prime scoperte dei cosid- Morten L. Kringelbach è direttore dell’Hedonia TrygFonden Research Group all’Università di Oxford e all’Università di Aarhus, in Danimarca. A n at o m ia d e l p ia c e r e Le strade verso il piacere Kent C. Berridge è James Olds Collegatye Professor di psicologia e neuroscienze all’Università del Michigan. Il piacere è un’esperienza complessa, che spazia dall’anticipazione e dal desiderio alla sensazione e alla soddisfazione. Non sorprende dunque che diverse regioni cerebrali lavorino in accordo per generare il calore di una sensazione piacevole. detti elettrodi del piacere. All’epoca, James Olds e Peter Milner, della McGill University, stavano cercando le regioni cerebrali che influenzano il comportamento animale. Studi precedenti alla Yale University – in cui gli elettrodi venivano inseriti nel cervello di topi – avevano identificato un’area che, stimolata, induceva l’animale a evitare qualsiasi azione coincidesse con la stimolazione. Olds e Milner si chiesero se era possibile scoprire regioni che i roditori avrebbero stimolato attivamente, proprio come ripetevano ogni esercizio o comportamento che portava a una ricompensa. Collocando gli elettrodi in differenti regioni i due ricercatori scoprirono una parte del cervello che, se stimolata da una lieve corrente elettrica, sembrava generare piacere negli animali. I topi tornavano nell’angolo della gabbia dove i ricercatori avevano somministrato loro una leggera scossa elettrica. Olds e Milner scoprirono che in questo modo era possibile guidare i roditori praticamente ovunque. In qualche caso gli animali preferirono addirittura la stimolazione al cibo: se i ricercatori premevano il pulsante quando i topi erano a metà strada di un labirinto alla fine del quale c’era una gustosa pietanza si fermavano di colpo, incuranti della prelibatezza che le aspettava. Ma la scoperta più sorprendente fu che, quando gli elettrodi erano cablati in modo che i topi si stimolassero da soli premendo una leva, i roditori eseguivano il comportamento quasi ossessivamente, oltre mille volte all’ora. Poi, quando la corrente veniva interrotta, gli animali premevano la barra ancora qualche volta, e infine si addormentavano. Questi risultati indussero Olds e Milner a dichiarare: «Forse abbiamo localizzato un sistema nel cervello la cui funzione specifica è produrre un effetto di ricompensa sul comportamento». Le regioni che identificarono – fra cui il nucleo accumbens, situato alla base del prosencefalo, e la corteccia del cingolo, che forma un anello intorno al fascio di fibre che collega gli emisferi destro e sinistro – sono la base operativa del circuito cerebrale della ricompensa. Quasi subito altri scienziati riprodussero questi effetti nei primati superiori e nell’uomo, ottenendo risultati simili. Heath, in particolare, spinse al limite l’interpretazione dei propri risultati. A suo avviso quelle regioni non solo rinforzano un comportamento ma generano anche sensazioni di euforia. E oggi, nella mente di molti scienziati come dei profani, queste strutture sono conosciute come il principale «centro cerebrale del piacere». Una decina d’anni fa abbiamo però cominciato a chiederci se l’autostimolazione fosse davvero la misura migliore del piacere. 84 Le Scienze circuiti del piacere e della ricompensa per rappresentare in modo cosciente la sensazione rassicurante che associamo alla gioia. L’interruzione del collegamento Un circuito neurale (in azzurro), che ha origine vicino al tronco cerebrale e si estende fino al prosencefalo, era considerato l’unico mediatore del piacere. Oggi invece è più concentrato sul desiderio. In aggiunta a questa via, diversi hotspot edonici (in rosso) interagiscono per generare la sensazione del piacere soggettivo. Un mantello di regioni corticali (in rosa) traduce successivamente le informazioni ricevute dai circuiti «voglio» e «mi piace» nel piacere cosciente, e regola questa sensazione sulla base dei segnali in arrivo da altre regioni cerebrali. Interpreta e modula 530 ottobre 2012 Nucleo accumbens Amigdala Corteccia orbitofrontale Pallido ventrale Terminale di un neurone Recettore dell’anandamide Area tegmentale ventrale La chimica del «gradire» All’interno di un hotspot edonico, due neurotrasmettitori inebrianti cooperano per aumentare le sensazioni di Neurone piacere. Uno stimolo gradevole, come un cibo prelibato, Encefalina limitrofo induce un neurone nell’area (in alto) a rilasciare encefalina, un oppioide prodotto nel cervello. L’encefalina interagisce con Anandamide le proteine recettore su un neurone limitrofo (in basso), innescando potenzialmente la produzione di anandamide, la versione cerebrale della marijuana. Allontanandosi per diffusione dalla sede di sintesi, l’anandamide può interagire con Recettore i recettori situati sul primo neurone, intensificando la sensazione di piacere e forse anche stimolando la dell’encefalina produzione di ulteriore encefalina. Insieme, queste sostanze formano un circuito ad anello che esalta il piacere. È il circuito del «gradimento». Come facciamo a sapere se i soggetti stimolano queste regioni perché gradiscono la sensazione provata e non per qualche altra ragione? Individuare con più precisione i circuiti del piacere richiedeva, a nostro avviso, un modo differente per valutare di che cosa goddessero realmente i soggetti, umani e non. Una misura del piacere tra i sistemi cerebrali che generano le sensazioni di desiderio e piacere potrebbe essere la causa del comportamento dipendente, offrendo una possibile chiave per trattamenti di tipo nuovo. Piacere cosciente Volere e piacere AXS Biomedical Animation Studio che si pensava fossero alla base delle sensazioni piacevoli e che oggi si ritiene invece siano i mediatori del desiderio, più che del godimento. Regioni cerebrali superiori ricevono informazioni da questi «Mi piace» Corteccia dell’insula Corteccia del cingolo In breve Nel cervello ci sono zone sensibili, hotspot che, quando vengono stimolati, aumentano la sensazione del piacere. Questi punti caldi edonici sono diversi dai «circuiti della ricompensa» «Lo voglio» Negli esperimenti con gli esseri umani valutare il grado di piacere è facile: basta chiederlo. Ma forse le classificazioni derivate dalle loro risposte non catturano con fedeltà e accuratezza le sensazioni corrispondenti. Per di più la tecnica dei questionari è impossibile da applicare alle cavie da laboratorio, i soggetti più studiati in biologia. Un approccio alternativo prende ispirazione da Charles Darwin. www.lescienze.it Nel suo L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, pubblicato nel 1872, il grande naturalista inglese osservò che gli animali cambiano espressione in risposta agli stimoli ambientali. Oggi sappiamo che i meccanismi neurali di queste espressioni funzionano in modo simile nel cervello di quasi tutti i mammiferi. Ciò spiega perché alcune mimiche facciali si sono conservate in animali evolutivamente distanti come i roditori e la specie umana: persino la nostra «faccia goduriosa» di fronte a una golosità. Il cibo è una delle strade più universali verso il piacere, e una necessità per la sopravvivenza. Ed è uno degli strumenti sperimentali più accessibili per chi studia il comportamento animale. Con le nostre ricerche abbiamo scoperto che la risposta al cibo è una finestra attraverso la quale possiamo osservare piaceri che non sono esprimibili a parole. Le Scienze 85 Chiunque abbia vissuto con un neonato sa che anche gli esseri umani più giovani hanno un sistema per comunicare a chi si prende cura di loro la gradevolezza di un cibo. Per esempio il gusto dolce stimola a leccarsi soddisfatti le labbra, a differenza del gusto amaro, accompagnato in genere dalla bocca spalancata, da scuotimenti del capo e da un energico strofinamento della bocca. Le stesse risposte osservate nei neonati umani si osservano anche nei topi e nei primati non umani: più i soggetti gradiscono il sapore, più si leccano le labbra. Registrando in video le loro risposte al cibo e contando poi il numero di volte che essi sporgono la lingua – come a voler catturare ogni singola molecola del sapore – possiamo misurare il gradimento di uno stimolo gustativo. È un’informazione che abbiamo usato per valutare la sede cerebrale del piacere. «Voglio» non è uguale a «mi piace» Una delle prime cose che abbiamo scoperto è che il piacere non aveva origine esattamente dove – o come – si era sempre pensato. Le regioni identificate da Olds e Milner e da altri ricercatori, localizzate nella parte frontale del cervello, sono attivate dal neurotrasmettitore dopamina, rilasciato da neuroni che hanno un’origine prossima al tronco cerebrale. Abbiamo quindi pensato che, se queste regioni frontali erano i veri regolatori del piacere, inondarle di dopamina – oppure rimuovere completamente la sostanza – avrebbe modificato la risposta dell’animale a uno stimolo piacevole. Ma non è ciò che abbiamo riscontrato. Per fare questi esperimenti, il nostro collega Xiaoxi Zhuang, dell’Università di Chicago, ha prodotto con l’ingegneria genetica un ceppo di topi privi di una proteina che recupera la dopamina dopo che è stata rilasciata da un neurone eccitato, e la riporta dentro la cellula. Questi topi knockout conservano concentrazioni insolitamente elevate di dopamina nel cervello. Eppure abbiamo osservato che non sembrano ricavare dai dolci un piacere maggiore rispetto ai loro compagni di gabbia non modificati geneticamente. A differenza dei roditori normali, i topi dopati-con-dopamina si dirigono, è vero, più rapidamente verso una ricompensa dolce, ma non si leccano le labbra con maggiore frequenza. Anzi, lo fanno più raramente rispetto ai topi che hanno una quantità media di dopamina. Lo stesso fenomeno lo osserviamo anche nei roditori in cui la concentrazione di dopamina è stata elevata artificialmente con altre modalità. Per esempio un’iniezione di amfetamina nel nucleo accumbens determina un aumento di dopamina in questa regione. Eppure, di nuovo, dopo che era stato aumentato artificialmente il neurotrasmettitore i topi non sembravano trarre più godimento dai dolciumi, benché apparissero più motivati a ottenerli. Viceversa, i topi totalmente privi di dopamina non mostrano alcun desiderio per i dolci, e sono destinati a morire d’inedia se non sono nutriti attivamente. Eppure i topi senza dopamina che non provano interesse verso il cibo trovano comunque buono da leccarsi i baffi qualsiasi dolce venga a contatto della loro bocca. Sembra quindi che gli effetti della dopamina siano più sottili di quanto credessimo. Questa sostanza contribuirebbe più alla motivazione che alla sensazione del piacere in sé. E anche nell’uomo i suoi livelli sembrano stare corrispondere più al grado in cui le persone sostengono di «volere» una ghiottoneria che non alle loro affermazioni di «gradirla». Lo stesso discorso potrebbe valere per la dipendenza. Le sostanze da abuso inondano il cervello di dopamina, in particolare le regioni associate alla «mancanza». Questa raffica di dopamina, oltre a scatenare un intenso craving, aumenta la sensibilità delle cellule di quelle regioni a una futura esposizione alla sostanza. Gli studi del nostro collega Terry Robinson, dell’Università del Michigan, indicano inoltre che questa sensibilizzazione persiste anche per mesi o anni. A suo avviso anche dopo la fine dell’effetto edonico della droga la persona dipendente può provare ancora una forte spinta a usarla, una sfortunata conseguenza delle azioni della dopamina. Alla luce di queste nuove conoscenze crediamo che gli elettrodi del «piacere», che stimolano l’accumulo di questa sostanza nel cervello dei topi e dell’uomo forse non erano stati così godibili come si riteneva in origine. A sostegno della teoria, abbiamo scoperto che l’attivazione degli elettrodi che aumentano la concentrazione di dopamina nel nucleo accumbens inducono il topo a mangiare e a bere, eppure lo stesso stimolo non rende il cibo più piacevole. Anzi. I topi indotti a mangiare i dolci con la stimolazione elettrica si puliscono la bocca e scuotono la testa, evidenti segni di avversione: come se la corrente avesse reso amaro oppure disgustoso il dolce. Che gli elettrodi inducano i topi a consumare grandi quantità di un cibo che non provoca piacere è la riprova che il volere e il piacere sono controllati da differenti meccanismi cerebrali. Pensiamo che il controllo differenziale avvenga anche nell’uomo. L’applicazione della corrente attraverso i classici elettrodi del piacere ha prodotto in almeno un paziente un forte desiderio di bere. In altre persone, incluso il paziente B-19, la stimolazione elettrica ha innescato una pulsione verso il sesso. All’epoca questi craving sessuali erano considerati prove del piacere. Eppure nelle nostre ampie rassegne della letteratura non ci siamo mai imbattuti nella prova che un paziente con gli elettrodi impiantati li trovasse espressamente godibili. Mai una volta B-19 ha esclamato «Oh, che sensazione gradevole!». Piuttosto, la stimolazione degli elettrodi del piacere ha semplicemente indotto lui, e altri pazienti, a volere dosi ulteriori di stimolazione. E forse non perché provassero piacere, ma perché erano spinti a desiderarle. Volere e gradire sono controllati da differenti meccanismi cerebrali ma entrambi sono coinvolti nel rendere gratificante un’esperienza 86 Le Scienze Punti caldi del piacere Volere e gradire sono entrambi coinvolti nel rendere gratificante un’esperienza. È quindi ragionevole che i veri centri cerebrali del piacere – quelli responsabili della generazione di sensazioni gradevoli – risultino inclusi in alcune strutture già identificate come parte del circuito della ricompensa. Uno di questi hotspot, o zone calde, appartiene a una sottoregione del nucleo accumbens, il guscio mediano. Un secondo centro si trova poi all’interno del pallido ventrale, una struttura profonda, prossima alla base del prosencefalo, che riceve buona parte dei segnali dal nucleo accumbens. 530 ottobre 2012 Per localizzare gli hotspot siamo andati alla ricerca delle regioni cerebrali che, una volta stimolate, amplificano la sensazione del piacere, per esempio facendo sembrare ancora più godibili le sostanze dolci. Stimolare chimicamente gli hotspot con l’encefalina – una sostanza prodotta dal cervello, simile alla morfina – aumenta il gradimento del topo per i dolci. Dal canto suo l’anandamide, una versione cerebrale dell’ingrediente attivo della marijuana, genera lo stesso effetto. Infine, un altro ormone, l’orexina, rilasciato dal cervello durante la fame, può a sua volta stimolare gli hotspot edonici, contribuendo ad accrescere il gusto del cibo. Ciascuna di queste zone è una minuscola frazione delle dimensioni della struttura più ampia entro la quale risiedono, ed equivale a non più di un millimetro cubo nel caso del topo, e probabilmente a non più di un centimetro cubo in quello umano. Eppure, come isole di un arcipelago, sono collegate fra loro – e ad altre regioni cerebrali che elaborano i segnali del piacere – a formare un potente circuito integrato del piacere. È un circuito piuttosto flessibile, perché, a quanto dicono i nostri esperimenti, disattivare singole sue componenti non riduce la tipica risposta a un comune dolce. Con una sola eccezione: un danno al pallido ventrale elimina la capacità dell’animale di godere del cibo, trasformando in sgradevole un sapore piacevole. Invece è più difficile procurarsi un’intensa euforia rispetto ai piaceri quotidiani. Forse perché un forte aumento del piacere – come quello indotto chimicamente negli animali di laboratorio – richiede l’attivazione simultanea della intera rete: l’eliminazione di qualsiasi singola componente smorza l’euforia. Resta da chiarire se il circuito del piacere, e in particolare il pallido ventrale, funzioni così anche nell’uomo. Sono infatti pochissime le persone che si recano in ospedale con un danno specifico a queste strutture, senza cioè presentare lesioni anche nelle aree circostanti. Risulta perciò complicato valutare se il pallido ventrale e altre componenti del circuito sono essenziali per la sensazione di piacere. Siamo a conoscenza di un paziente il cui pallido ventrale fu danneggiato da una massiccia overdose di droga. In seguito l’uomo avrebbe riferito di essere dominato da sensazioni di depressione, di disperazione e di senso di colpa, nonché dall’incapacità di provare piacere. È un possibile sostegno a favore del ruolo centrale di questa struttura, finora sottovalutata. Il troppo stroppia Il circuito non agisce da solo nella regolazione delle sensazioni di piacere. Per aggiungere quella calda patina di piacere a una sensazione o a un’esperienza entrano in campo ulteriori regioni cerebrali. Queste strutture superiori contribuiscono a determinare il grado di piacevolezza di una situazione, sulla base delle condizioni del momento: se siamo affamati oppure sazi, o se magari ne abbiamo abbastanza di un piacere in particolare. Sbafata una teglia di torta al cioccolato, persino un impenitente chocoholic, uno schiavo del cioccolato, troverà assai meno attraente una confezione di caramelle. Nel caso del cibo, una delle ragioni dell’evoluzione di questa sazietà selettiva dipenderebbe dal fatto che spinge gli animali a ottenere un’ampia varietà di sostanze nutritive, piuttosto che a fissarsi su un cibo preferito. E sembra codificata in una parte del cervello, la corteccia orbitofrontale. Quest’area, localizzata nel «ventre» della corteccia prefrontale, che nell’uomo risiede appena sopra agli occhi, riceve informazioni dal nucleo accumbens e dal pallido ventrale. Essa modulerebbe il grado di rappresentazione cosciente del piacere, diffondendo una www.lescienze.it sensazione accompagnata dal delizioso brivido che associamo alla gratificazione, e all’attenuazione delle sensazioni quando ne abbiamo abbastanza. Potenti tecniche di neuroimaging ci hanno permesso di scoprire che l’attività di una piccola regione interna alla regione orbitofrontale, l’area medioanteriore, ha una stretta correlazione con la piacevolezza di una sensazione gradevole, per esempio il gusto del latte al cioccolato. Al primo sorso, la regione si attiva. Ma non appena i soggetti ne hanno consumato a sufficienza la regione medioanteriore si disattiva, e a questo punto l’esperienza smette di essere piacevole. Prove ulteriori che la regione medioanteriore sia importante nella nostra sensazione del piacere derivano da studi sulla stimolazione terapeutica del cervello profondo. Questa procedura è usata per trattare alcuni disturbi, e anche per alleviare la sofferenza nei soggetti affetti da dolore cronico, altrimenti intrattabile. In un nostro paziente che aveva subito un’amputazione e che provava dolore all’arto mancante, la stimolazione di un’area interna al tronco cerebrale induceva profonde sensazioni di piacere, oltre ad alleviare il dolore. Le neuroimmagini, ricavate simultanea mente, rivelavano un’ondata di attività anche nella regione medioanteriore. È ancora oggetto di indagine se possiamo impiegare la stimolazione di specifici hotspot nel sistema del piacere per trattare la depressione o altre forme di anedonia, ovvero l’incapacità di provare il piacere. Analogamente, ulteriori ricerche potrebbero rivelare come sono collegati i circuiti che presiedono al piacere e alla ricompensa. In circostanze normali, gli hotspot edonici sono accoppiati ai sistemi di ricompensa regolati dalla dopamina per farci desiderare le cose che ci fanno stare bene e per evitare, o essere indifferenti, a quelle non altrettanto gratificanti. Nel caso della dipendenza, questi sistemi si scollegano – ancora non sappiamo come – causando la continua e smodata ricerca di cose che hanno smesso di provocare piacere. È una dissociazione che forse contribuisce ad altre forme di comportamento compulsivo, come rimpinzarsi indiscriminatamente di cibo o giocare d’azzardo. Comprendere come e perché si verifica questo disaccoppiamento potrebbe indicare strategie migliori per invertire i cambiamenti cerebrali a monte della dipendenza e per ristabilire l’allineamento naturale tra il volere e il gradire. Aristotele sosteneva che la felicità consiste di due elementi essenziali: l’edonia, o piacere, a cui va aggiunta la eudaimonia, che a quel piacere dà un significato. Benché gli scienziati abbiano fatto progressi nello svelare le basi biologiche dell’edonia, sappiamo poco su come il cervello produce il senso più ampio di una vita vissuta bene. Ci auguriamo tuttavia di poter risolvere prima o poi anche questo rebus, e che le scoperte ci aiuteranno a fondere piacere e finalità, elevando le esperienze di ogni giorno. Rendendole soddisfacenti nel profondo. E, perché no, sublimi. n per approfondire A Common Neurobiology for Pain and Pleasure. Leknes S. e Tracey I., in «Nature Reviews Neuroscience», Vol. 9, pp. 314-320, aprile 2008. The Pleasure Center: Trust Your Animal Instincts. Kringelbach M.L., Oxford University Press, 2008. Pleasures of the Brain. Kringelbach M.L. e Berridge K. C. (a cura), Oxford University Press, 2010. Building a Neuroscience of Pleasure and Well-Being. Berridge K.C. e Kringelbach M.L., in «Psychology of Well-Being: Theory, Research, and Practice», Vol. 1, articolo n. 3, ottobre 2011. www.psywb.com/content/1/1/3. Le Scienze 87