Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, Ancona, tra 1556 e 1557
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Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, Ancona, tra 1556 e 1557
35. Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, Ancona, tra 1556 e 1557) Adorazione del Bambino quinto decennio del XVI secolo, con adattamenti tra 1554 e 1555 Nella seconda edizione delle Vite del 1568 Giorgio Vasari, in visita alla basilica di Loreto non molto tempo dopo la scomparsa di Lorenzo Lotto – genio inquieto del Rinascimento e sensibile interprete dell’animo umano, giunto in Santa Casa nel 1552, dove aveva trovato accoglienza e comprensione dopo la solitudine dell’ostile ambiente familiare e il doloroso esilio anconetano – nella breve biografia dedicata al pittore veneto e assegnando maggior spazio alla tarda produzione lauretana più che a quella giovanile, mostrava di ritenere che le opere adattate nella cappella del coro di Santa Maria fossero state realizzate negli ultimi anni della sua vita, comprendendo tra queste Prima del restauro anche l’Adorazione del Bambino che scambiava per una Natività e il Sacrificio di Melchisedech che confondeva con Mosè: «Finalmente essendo Lorenzo vecchio [...] se n’andò alla Madonna di Loreto [...] e quivi risoluto di voler finire la vita in servigio della Madonna ed abitare quella Santa Casa, mise mano a fare istorie di figure alte un braccio e minori, intorno al coro sopra le sedie de’ sacerdoti. Facevi il nascere di Gesù Cristo in una storia [...]». La resa piuttosto popolaresca delle figure di Elisabetta e Zaccaria aveva probabilmente determinato l’errata interpretazione dell’Adorazione del Bambino da parte dello storiografo aretino (Vasari 1568 ed. 1976, III, p. 554) così come di tecnica/materiali olio su tela scheda Maria Claudia Caldari dimensioni 156,5 × 212 cm restauro Fabio Piacentini (Laboratorio di Restauro Dipinti dei Musei Vaticani) provenienza Loreto (Ancona), Basilica della Santa Casa, cappella del Coro (oggi spagnola o di San Giuseppe); dal 1850-1853 nel Palazzo Apostolico con la direzione di Antonio Paolucci e la supervisione di Maria Claudia Caldari collocazione Loreto (Ancona), Museo - Antico Tesoro della Santa Casa indagini Ulderico Santamaria, Fabio Morresi (LDCR-Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro dei Musei Vaticani) Cinelli Calvoli (Cinelli Calvoli in Grimaldi, Sordi 1988, p. 9) che nel 1705 interpretava il tema come una «Natività co’ pastori che vanno al presepio». Alla presenza di Lotto a Loreto era dunque legata soprattutto la sistemazione della cappella del coro, in concomitanza con i numerosi lavori che interessavano, intorno alla metà del XVI secolo, l’aspetto strutturale della basilica ma anche quello decorativo del grande cantiere artistico (Grimaldi, Sordi 1988, pp. 8-9 e Grimaldi 2002, pp. 102-106). L’architetto Galasso Alghisi da Carpi, incaricato della direzione e della riorganizzazione dell’insieme, intendeva certamente utilizzare i dipinti dell’artista, pervenuti alla Santa Casa dopo la sua oblazione dell’8 settembre 1554 per «quetar la [...] vita in questo sancto loccho», dove trovò la pace – come ricorda ancora Vasari tracciandone l’immagine di uomo pio e devoto – dopo una lunga e tormentata vicenda personale e artistica. Il governatore monsignor Gaspare Dotti, veneziano, che aveva accordato ospitalità e commissioni a Lotto, con la nomina a pittore della basilica, aveva anche accolto la richiesta dei capitolari della collegiata lauretana di trasferire il coro – dall’incipiente Cinquecento nella cappella principale dell’abside della chiesa – nella cappella del transetto destro, attuale cappella spagnola o di San Giuseppe, per «l’inclemenza dell’aria». Alla realizzazione del progetto contribuiva finanziariamente anche Pietrantonio Sanseverino, principe di Bisignano, committente della decorazione della vicina cappella dedicata a Sant’Anna, mentre il protonotario apostolico Dotti chiamava Camillo Bagazzotti di Camerino a collaborare con l’artista, che sembra avesse iniziato l’ordinamento dei quadri poco dopo l’oblazione, come registra un documento del 29 ottobre 1554. In occasione dei lavori di decorazione delle cappelle del transetto iniziati già intorno al 1545 per volontà del protettore – il cardinale Rodolfo Pio da Carpi – su commissione di alti prelati e di notabili, l’allestimento dell’ambiente veniva affidato, oltre che a Lotto, al forlivese Francesco Menzocchi e a Pellegrino Tibaldi (Grimaldi, Sordi 1988, pp. 8-9 e Grimaldi 2002, p. 103). Il ciclo organizzato coordinava, in maniera oggi tuttavia non definibile per il generale smembramento del complesso operato a fine Ottocento sotto la direzione di Giuseppe Sacconi, le sette tele raffiguranti San Michele caccia Lucifero, il Sacrificio di Melchisedech, il Battesimo di Cristo, Cristo e l’adultera, l’Adorazione del Bambino, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione di Gesù al tempio con gli stalli lignei del coro, destinati ai componenti il Capitolo incaricati dell’officiatura, e l’assetto architettonico della cappella. Dopo il restauro Durante il restauro, prime prove di pulitura Dopo il restauro, particolare con gli angeli In base alle fonti documentarie, a iniziare da Vasari, è possibile determinare che i dipinti erano ripartiti in due gruppi di tre entro appositi riquadri, interposti da Cristo e l’adultera, di dimensioni inferiori, sistemato sopra la cattedra episcopale. Al centro di ciascun insieme erano collocate le due tele maggiori, il Sacrificio di Melchisedech ispirato al Vecchio Testamento e l’Adorazione del Bambino, a fianco della quale erano state poste, in stretta connessione con storie dell’infanzia di Gesù e a esaltazione della figura di Maria, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione di Gesù al tempio, Durante il restauro, particolare con la Vergine, pulitura con ogni probabilità gli unici dipinti appositamente realizzati per gli spazi soprastanti gli stalli in quegli anni estremi. Quest’ultimo, unanimemente considerato la conclusiva testimonianza artistica di Lotto e lasciato incompiuto prima della morte, viene infatti ricordato da Vasari, insieme all’Adorazione dei Magi, come eseguito dal pittore durante il periodo finale di attività a Loreto. Non citate tra le opere che l’artista aveva con sé ad Ancona, integre, complete e unitarie (pur con qualche menda nell’Adorazione dei Magi per una certa corsività popolaresca del lin- guaggio che ha fatto mettere in dubbio la sua piena paternità) sono state eseguite intorno al 1555, non rivelando aggiunte, ridipinture e correzioni contrariamente alle altre realizzazioni (Zampetti 1980, p. 53; Varese in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 457, 460-461; Zampetti 1989, pp. 238-239). Queste ultime infatti, identificabili a evidenza con produzioni menzionate nel Libro di spese diverse – registro di conti e diario dell’anima, documento della vita errabonda e inquieta nel quale il pittore offre informazioni preziose, dialoghi interiori e profonde rivelazioni sulla sua sofferta umanità – dalle misure originariamente molto varie, erano state trasferite da Ancona a Loreto dallo stesso Lotto alla fine di agosto 1552, «raconzate» dopo il fallimento dell’offerta pubblica nella lotteria di Ancona dell’agosto 1550, quando aveva messo «a lotto e ventura» i suoi quadri, persino i trentaquattro disegni bergamaschi delle tarsie del coro di Santa Maria Maggiore a lui tanto cari: saggi figurativi non omogenei, ma differenti sotto l’aspetto cronologico e iconografico, antecedentemente prodotti più per una committenza privata che per un ambito sacro. Durante il restauro, in corso di pulitura Durante il restauro, particolare con il volto di san Gioacchino, pulitura Durante il restauro, con tasselli non puliti loro telai originali e col riattacarle [...] su nuovi telai formati da più larghe tavole, e di spalmare una grossa imprimitura su di esse per accompagnarne la superficie con quella delle tele soprappostevi, ed estendervi con analoghe aggiunte le composizioni fatte su di esse» (Gianuizzi 1894, 3-4, pp. 35-47; 5-6, pp. 74-94). E proprio le rettifiche e gli ampliamenti apportati hanno sollecitato, nel corso del tempo, provvedimenti di restauro per la salvaguardia e la conservazione di queste pagine dell’estrema vicenda creativa del pittore, palesandone, in tutto o in parte, la natura e la qualità. La lettura dell’Adorazione del Bambino, resa particolarmente difficile da un più invasivo intervento che ne aveva mutato le dimensioni e alterato le proporzioni con l’estensione soprattutto a sinistra e il conseguente squilibrio della prospettiva compositiva originaria, viene oggi sostanziata dall’attuale restauro, dopo quello subito nel 1981 in occasione e dopo la mostra di Ancona dedicata a Lorenzo Lotto nelle Marche. Lo studio della diagnostica per immagini e il controllo visivo della superficie pittorica del dipinto hanno determinato la necessità del recupero conservativo odierno, dovuto principalmente alle operazioni eseguite nei restauri prece- La disposizione dei dipinti del coro ricordata da Giorgio Vasari non sembra tuttavia rispondere alla loro esatta collocazione nella cappella; maggiormente attendibile appare la descrizione di Giovanni Cinelli Calvoli, medico e bibliografo fiorentino accolto a Loreto dal governatore della Santa Casa Melchiorre Maggi all’inizio XVIII secolo (Grimaldi 2002, p. 104) che, nondimeno, rimarca errate interpretazioni iconografiche vasariane (Cinelli Calvoli in Grimaldi, Sordi 1988, p. 9) e non chiarisce se la successione risponda a un preciso programma espositi- vo del pittore e della committenza lauretana, o piuttosto a un criterio estetico e adattativo. La maggior parte delle tele, al momento della sistemazione e dell’aggiustamento negli spazi posti sopra gli stalli, ha subito modificazioni, ridipinture o aggiunte, oggi per lo più non percepibili per gli interventi restaurativi effettuati nel corso degli ultimi decenni, ma ancora ravvisabili a fine Ottocento, come ricorda lo storico Pietro Gianuizzi, osservando che l’adattamento ai vani destinati dall’architetto Alghisi ha reso necessario il loro ingrandimento: «[...] con sbollare le tele dai denti. Il supporto ligneo (telaio) e tessile in opera attualmente (tela da rifodero) avevano evidenziato un complessivo irrigidimento di tutto il sistema pittorico, provocando il sollevamento e la caduta di alcune parti della pellicola originale e, in modo ancor più diffuso, delle numerosissime stuccature eseguite per risarcire le mancanze del colore originale nel corso dei precedenti lavori di risanamento; questa fenomenologia di degrado, localizzata prevalentemente sui bordi del dipinto, appare una conseguenza dell’eccessivo tensionamento del supporto tessile e della ormai perduta possibilità della variazione dimensionale del telaio ligneo in opera. Inoltre la presenza di strati di vernice di restauro, applicata in più stesure discontinue e di spessore variabile, aveva determinato la formazione di una superficie esterna disomogenea che contribuiva all’irrigidimento dell’intero ‘sistema pittorico’, costituendo così un ulteriore fattore di degrado. Le vernici infine, seppur sufficientemente brillanti, presentavano un’evidente alterazione cromatica, accentuando l’intervento di presentazione estetica eseguito nel corso dell’ultimo restauro dei primi anni Ottanta del Novecento. In tale circostanza vennero rimosse due tavole che allargavano la tela Dopo il restauro, particolare con la Vergine e san Giuseppe Durante il restauro, particolare con tasselli non puliti alle estremità e il drappo grigio che fungeva da fondale, dipinto grossolanamente e prolungato addirittura al di fuori del gruppo di personaggi sacri in primo piano, ritenendoli aggiunte successive: ope razione coraggiosa e importante che ha ri velato comunque un sottostante tendaggio verde e un terzo angelo dietro la Vergine, ristabilendo il rapporto originariamente esistente tra le varie figure e restituendo un mondo espressivo e una tessitura cromatica che, sottolineati da lacche ormai intristite per le ponderose ridipinture, riparlavano un linguaggio lottesco seppur crepuscolare, con brani di eccezionale qualità, come quello dell’attonita Vergine o di Sant’Elisabetta che mostra la croce al Bambino, ancora squillanti di contrappunti quasi tattili, garanti di un’autografia talora messa in discussione. Anche l’attuale intervento conservativo non lascia dubbi sul riferimento all’artista comunicando, in un approccio religioso intimo e totale, commozione e pietà figurative pur attraverso una qualità linguistica un po’ desueta e un tessuto colorico avvizzito soltanto da precedenti pesanti interventi. Di uno di essi è rimasta memoria nella scheda n. 42 redatta con altre a Perugia già dal 1889 dall’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti delle Marche e dell’Umbria e consegnata il 30 giugno 1902 a Emilio Lodrini, regio amministratore del Pio Istituto della Santa Casa (Archivio Storico della Santa Casa di Loreto. Titolo XXXXI, busta 3, fascicolo 7), nella quale il dipinto viene descritto «In discreto stato, ma con la tela offesa da una fenditura» e l’annotazione «Rinfrescato semplicemente da una sola mano di vernicetta datagli nel 1883 dal riparatore romano Giuseppe Missaghi. Occorrerebbe di rifoderarlo». L’accurata esposizione del tema, con l’annotazione della collocazione del quadro «entro vecchia e sciupata sottile cornice dorata» oggi non più esistente, annota la stima di 1.500 lire, una delle più basse assegnate alle otto tele elencate, probabilmente dovuta proprio allo stato di conservazione del dipinto e all’alterazione «fattagliene dall’autore, che lo ingrandì poscia coll’aggiunta da lui eseguita in tavole per adattarlo sopra gli stalli corali suddetti» (in Grimaldi 2002, p. 141). L’apparato documentario relativo alle cappelle della chiesa registra infatti nell’anno precedente, in data 12 novembre 1882, un preventivo di Missaghi «per la foderatura e la riparazione dei quadri dipinti da Lorenzo Lotto esistenti nella grande sala del Palazzo di Santa Casa di Loreto» (Archivio Storico della Santa Casa di Loreto, Governo Santa Casa, Regno d’Italia, Titolo XLIV, busta 1, fasc. 5 in Grimaldi, Sordi 1988, pp. 90-91), il cosiddetto ‘Salone del Concorso’ di Palazzo Apostolico dove, già dal 1853, il Commissario apostolico monsignor Camillo Narducci Boccaccio aveva disposto il trasferimento di alcune tele tra cui l’Adorazione del Bambino dalla cappella del coro della basilica. L’elenco di Missaghi, peraltro approvato da Giovan Battista Cavalcaselle, non enumera tuttavia la «santa Famiglia», citata in calce con il «Sacrificio di Mosè», poiché «non abbisognano che di piccolissime riparazioni da potersi comprendere nelle altre descritte». Allo stato conservativo fa riferimento la ricognizione dello stesso Cavalcaselle che, in qualità di regio commissario, insieme a Giovanni Morelli aveva compilato circa venti anni prima a Loreto, il 14 maggio 1861, per l’Intendenza generale di Ancona - Mandamento di Loreto, l’inventario dei dipinti di Lorenzo Lotto che si trovavano nel palazzo regio, segnalando al secondo posto e con l’altissimo valore di interesse ed eccezionalità di ottomila franchi, «la Sacra famiglia composta di s. Giuseppe, la Madonna, il Putto steso in terra, s. Giovannino e due angeli; s. Anna e S. Gioacchino. Il fondo, una tela, ed il paese», con la precisazione «In molte parti il colore è caduto, ed in altre minaccia di staccarsi». Gli studi pionieristici di Cavalcaselle e Crowe forniscono la prima descrizione particolareggiata delle opere di Lotto, a fondamento di ogni successiva cognizione dello sviluppo stilistico dell’artista (Crowe, Cavalcaselle 1871 ed. 1912, III, pp. 391-432); l’iniziale entusiasmo per la sua «facoltà inventiva e la sua fantasia poetica straordinarie» lascia successivamente il posto alla disapprovazione per la propensione verso gli eccessi e la mancanza di gusto. Maggior ammirazione viene espressa da Giovanni Morelli (1893) che sottolinea il «potere d’immaginazione, concezione artistica e ardore poetico» del pittore veneto. L’esegesi critica ma soprattutto la vicenda restaurativa definiscono in tal modo l’iter storico e compositivo del dipinto. L’intervento di pulitura effettuato nei primi anni ottanta del Novecento che, come anticipato, ha fatto emergere un tendaggio verde e una terza figura di angelo, ha permesso di accostare con maggior attendibilità l’esemplare di Loreto all’Adorazione del Bambino del Louvre, databile tra il 1535 e il 1538-1539 e ritenuta concordemente dalla critica il prototipo del dipinto marchigiano, «la cui realizzazione dovrebbe riportarsi agli anni 1546-1549. Oppure potrebbe trattarsi di una versione ancora posteriore» (Pallucchini, Mariani Canova 1975, p. 122, n. 268). Humfrey identifica il dipinto citato nel Libro di spese con la tela del Louvre, sottolineando erronea- mente la presenza di soli due angeli nel quadro di Loreto e ignorando il terzo angelo rivelato dal restauro (Humfrey 1998, pp. 200-201). Di altissima qualità e raffinatezza esecutiva, il dipinto parigino, sicuramente destinato a devozione privata per una rilevante committenza, ottunde in parte il livello della replica lauretana, più tarda e qualitativamente inferiore soprattutto a causa delle vicende conservative subite. La maggior parte della critica l’ha identificata con «un quadro grande de la Madona, Jesu Christo, santa Helisabet, Zacharia e Joan Baptista con Josep e tre angelj» citato nel Libro di spese, in cui compare, con altre sei e con un valore di 45 ducati, nella lista delle opere lasciate da Lotto il 9 giugno 1549, alla vigilia della sua definitiva partenza per le Marche, a Jacopo Sansovino, architetto sovrintendente in quell’anno della fabbrica di San Marco a Venezia, perché ne curasse la vendita; restituite nel maggio 1550 al pittore ad Ancona, con altri dipinti e gioielli a lui infruttuosamente affidati, per tramite del mercante anconetano Giovanni Molinelli (Grimaldi, Sordi 2003, c. 66r., p. 101, annotazione del 12 maggio 1550) e messe in vendita nell’agosto dello stesso anno nell’umiliante lotteria organizzata presso la Loggia dei Mercanti, nella quale «el quadro del Melchisedech» e «el quadro grande de la Madona e Cristo, san Joanino, Helisabet et Zacharia, san Josep et tre anzoletti», rimasti invenduti, figurano nell’elenco dei dipinti subito dopo la menzione dei cartoni per le tarsie di Bergamo. Supportato da scarni dati documentari che non consentono di ricostruirne agevolmente l’esatta collocazione temporale, il prezioso componimento lauretano non permette infatti una puntuale determinazione cronologica per la mancanza di precisi appoggi storiografici e le non poche divergenze critiche che fanno oscillare la datazione tra il 1538 e il 1539 proposta da Berenson (1955 ed. 1990, p. 118), in stretta attiguità iconografica con Durante il restauro, particolare che documenta la doppia stesura della mano di san Giuseppe e il restauro precedente la dispersa Madonna con il Bambino e angeli già a Osimo, e il 15541556 di Banti e Boschetto (1953, p. 95). Più probanti e argomentate risultano invece le correlazioni e le ipotesi che situano l’opera, per assonanze stilistiche, nel quinto decennio del XVI secolo avanzate da Mariani Canova, Zampetti (1546-1549), Varese (1548-1549) (Zampetti 1980, p. 53; Varese in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 448), senza tuttavia sottacere gli adattamenti apportati tra il 1554 e il 1555 per il coro della basilica. Tra le più alte espressioni della tradizione iconografica cattolica, il tema esposto e soprattutto il particolare di san Giovannino che presenta al piccolo Gesù la croce, simbolo del sacrificio di Cristo e della sua missione redentrice, non ha riscontro nella letteratura evangelica o apocrifa del Nuovo Testamento, ma è ispirato al repertorio rinascimentale che associa il Battista all’infanzia di Gesù. La tematica della prefigurazione del suo destino, che trova espressione anche in periodo di Controriforma in una serie di motivi iconografici nei quali il Bambino è messo in relazione alla croce come anticipazione della sua passione e morte, è tratteggiata nel dipinto lauretano con minime varianti rispetto al Dopo il restauro, particolare con il Bambino, san Giovannino e sant’Anna prototipo del Louvre, certamente nell’ottica dell’inclusione della tela in un ambito sequenziale dal contenuto cristologico. Inseriti in un sintetico contesto paesistico di matrice veneta con apertura sullo sfondo, i personaggi sacri che fanno corona al Figlio di Dio configurano l’immagine in termini di Sacra Conversazione, vivacizzata dagli effetti di plasticità e di animazione altamente espressive. Nella sua intimità commossa l’opera si caratterizza per il taglio scenografico segnato dal calibrato schema compositivo che si sviluppa dalle figure diagonalmente disposte nello spazio scandito dalla quinta del drappo verde. Il Bambino, deposto su un bianco lenzuolo, nudo e sgambettante, cerca di afferrare la croce – segno preconizzante cui allude probabilmente anche la purpurea coltre – che gli porge un’accigliata e pensosa sant’Elisabetta, provocando la sorridente complicità di san Giovannino ammiccante a Maria, psicologicamente indagata nel suo sbigottimento e turbamento; a tali espressioni di sensibilità religiosa finemente modulata, così come a quella di adorazione quieta e meditativa riscontrabile anche negli angeli retrostanti, Berenson (1955 ed. 1990, pp. 117-118) riferisce inoltre l’insolito tema del- l’«Agnizione del Bambino», ossia il riconoscimento della natura divina di Cristo, trattato in altri esemplari da Lotto a iniziare dalla distrutta o dispersa Madonna con il Bambino e angeli adoranti di Osimo collocabile negli anni 1535-1539, in cui il motivo dell’«Adorazione» viene ugualmente ripreso con assoluta originalità anche nelle realizzazioni oggi a Postdam e a San Pietroburgo (Artemieva 2009, pp. 179-181). L’incarnazione quale realizzazione della funzione immolatrice e redentrice di Cristo è inoltre sottolineata, nel quadro lauretano, dal gesto didascalico di Zaccaria atto a indicare la croce – vero punto focale dell’intera composizione e immagine cardine dell’iconografia cristiana sulla quale si incentra la contemplazione religiosa – mentre rivolge lo sguardo verso un codificato san Giuseppe con barba e capelli grigi, diverso da quello inusitatamente giovanile della versione parigina, ritratto con capelli neri e accese vesti gialle e rosse, in cui si possono cogliere, come ha sottolineato Carolyn Wilson (2009, pp. 145-146), stimoli della predicazione francescana in ambiente veneziano. Nella sua avvertita omogeneità, al di là delle versioni del tema e del precedente iconografico già delineato, l’opera non trova particolari agganci e rimandi tipologici, fatta eccezione per la figura del piccolo Gesù che per genialità espressiva ricorda quello paffuto ed esuberante che si slancia con impeto verso san Giuseppe nella pala della Madonna delle rose di Jesi, o quelli ipercinetici della Madonna del Rosario di Cingoli e della grande tela votiva di San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano di Loreto, per citare alcune opere marchigiane, ma stabilisce maggiori punti di tangenza con l’Adorazione dei pastori di Brescia del 1534 circa e con la Natività della National Gallery di Washington del 1523: opere tutte proiettate a un impegno profondamente cristiano e tra i maggiori contributi all’arte religiosa nel particolare momento di crisi del Rinascimento. Il dipinto lauretano appare anch’esso una superba interpretazione destinata a un pubblico di fedeli sufficientemente colto per antica elezione rinascimentale, incarnazione di un’agiografia e di un’iconografia che sono sintesi di devozione, dove l’immagine diventa mezzo di sollecitazione mistica e di comunicazione dell’ortodossia, di diffusione della spiritualità ma anche di espressione artistica ed estetica. Carica dei più alti valori e contenuti ideologici, l’opera costituisce un esempio illuminante di arte dalla dimensione quasi domestica e popolare, in cui il fattore divino assume toni affettivi e benevoli e l’adozione di tipologie di immediata funzione didascalica sembra anticipare le direttive controriformate. In un comunicativo e toccante idioma, eletto a edificazione e persuasione umana e devota, nel quale pietas e suggestione si armonizzano mirabilmente, sembrano riepilogarsi i caratteri che si intrecciano sul panorama della feconda attività artistica lottesca, in una fase finale della produzione, ancora latrice di incanto poetico e introspezione psicologica, visibili in opere in cui, come qui, il racconto devozionale è intenso e pregnante di sentimenti. L’organica sintassi iconografica si carica di caratterizzazione esecutiva nell’impianto di orchestra- ta euritmia compositiva, basata sull’armonia tra luce e volume, e nella seduzione di una succosità colorica acutamente dosata, seppur ormai immiserita. Ed è proprio l’uso sapiente quasi emotivo della luce, immobile e significante, a sostanziare di sé la trama narrativa, costruendo e definendo le figure dall’umanità intimidita e inconfondibilmente terrena, nelle quali il dissonante giustapposto gioco cromatico dei gialli violenti, del rosso corrusco, dei viola, simbolo di umiltà, degli azzurri e dei verdi perlacei, tutti ugualmente allegorici, semplifica l’evento religioso rifiutando ogni intellettualismo e traducendo la schiettezza del tema fideistico con reiterata sensibilità e intensità emotiva. Bibliografia Vasari 1568 ed. 1976, p. 554; Cinelli Calvoli 1705 ed. 1988, p. 9; Crowe, Cavalcaselle 1871 ed. 1912, III, pp. 391-432; Morelli 1893; Gianuizzi 1894, pp. 35-47, 74-94; Venturi 1895, passim; Banti, Boschetto 1953, p. 95; Berenson 1955 ed. 1990, pp. 117-118; Zampetti 1969; Pallucchini, Mariani Canova 1975, p. 122 n. 268; Zampetti 1980, pp. 53, 70; Varese in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 448-449, 457, 460-461; Mascherpa 1984, 1, pp. 133-137; Grimaldi, Sordi 1988, pp. 8-9, 9091; Zampetti 1989, pp. 238-239; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 158159; Humfrey 1998, pp. 200-201; Grimaldi 2002, pp. 102-106; Grimaldi, Sordi 2003, p. 101; Artemieva 2009, pp. 179-181; Wilson 2009, pp. 145-146; Coltrinari in Lotto nelle Marche 2011, pp. 196-199. Bibliografia di riferimento Archivi Archivio Storico della Santa Casa di Loreto. Titolo XXXXI, busta 3, fascicolo 7. Archivio Storico della Santa Casa di Loreto, Governo Santa Casa, Regno d’Italia, Titolo XLIV, busta 1, fascicolo 5. Opere a stampa 1568 ed. 1976 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, Firenze 1568, ed. cons. a cura di L. Ragghianti, C.L. Ragghianti, Milano 1976. 1705 ed. 1988 G. Cinelli Calvoli, Le bellezze della felicissima città di Loreto, 1705, ms. in Archivio Storico della Santa Casa, Miscellanea Vogel, X, cc. 186-188, citato in F. Grimaldi, K. Sordi, Pittori a Loreto. Committenze tra ’500 e ’600. Documenti, Ancona 1988. 1871 ed. 1912 J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy. Venice, Padua, Vicenza, Verona, Ferrara, Milan, Friuli, Brescia. From the fourteenth to the Sixteenth Century, 3 voll., London 1871, II ed. a cura di T. Borenius, ed. cons. London 1912. 1893 G. Morelli (I. Lermolieff ), Italian Painters. Critical Studies of their Works, II, The Galleries of München and Dresda, (1880), London 1893. 1894 P. Gianuizzi, Lorenzo Lotto e le sue opere nelle Marche, in «Nuova Rivista Misena», VII, 3-4, 1894, pp. 35-47; 5-6, pp. 74-94. 1895 A. Venturi, Il «Libro dei Conti» di Lorenzo Lotto, in «Gallerie Nazionali Italiane», I, 1895. 1953 A. Banti, A. Boschetto, Lorenzo Lotto, Firenze 1953. 1955 ed. 1990 B. Berenson, Lotto, Milano 1955 (ed. cons. Milano 1990). 1980 P. Zampetti, Lorenzo Lotto tra Recanati e Loreto in Lorenzo Lotto a Recanati e Loreto, Recanati 1980, pp. 45-53. 1981 Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo influsso, catalogo della mostra (Ancona, 4 luglio - 11 ottobre 1981), a cura di P. Dal Poggetto, P. Zampetti, Firenze 1981. 1984 G. Mascherpa, Le «meraviglie» lauretane del Lotto, in «Notizie da Palazzo Albani», XIII, 1, 1984, pp. 133-137. 1988 F. Grimaldi, K. Sordi, Pittori a Loreto. Committenze tra ’500 e ’600. Documenti, Ancona 1988. 1989 P. Zampetti, Pittura nelle Marche. Dal Rinascimento alla Controriforma, II, Firenze 1989. 1996 L. Mozzoni, G. Paoletti, Lorenzo Lotto «...mi è forza andar a far alcune opere in la Marcha...», Jesi 1996. 1998 Sacra famiglia e angeli, in Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento, catalogo della mostra (Washington-Bergamo, 1997), a cura di D.A. Brown, P. Humfrey, M. Lucco, Milano 1998, pp. 200-201. 2002 F. Grimaldi, Oblatio spectabilis viri magistri Laurentij Loti Veneti, Loreto 2002. 2003 F. Grimaldi, K. Sordi, Lorenzo Lotto (1480-1556). Libro di spese diverse, Loreto 2003. 2009 I. Artemieva, Una Madonna di Lorenzo Lotto nuovamente identificata in Lorenzo Lotto e le Marche, per una geografia dell’anima, atti del convegno internazionale di studi (14-20 aprile 2007), a cura di L. Mozzoni, Firenze 2009, pp. 168-181. 1969 P. Zampetti, Il «Libro di spese diverse» con aggiunta di lettere e d’altri documenti, Venezia-Roma 1969. C.C. 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