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i reati in materia di stupefacenti

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i reati in materia di stupefacenti
Capitolo I
I REATI IN MATERIA DI STUPEFACENTI
Sommario: 1. La normativa penale in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope. – 2. La nozione di
sostanza stupefacente. – 3. Le principali condotte illecite: l’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. – 4.
Fattispecie minori.
1. La normativa penale in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope
La normativa penale in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope è racchiusa nel
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ed in particolare negli artt. 72-83 che tratteggiano una
serie di fattispecie delittuose legate alla produzione e al traffico degli stupefacenti.
Il testo normativo in discorso sostituisce la vecchia disciplina contenuta nella l.
22 dicembre 1975, n. 685 e, prima ancora, nella l. 22 ottobre 1954, n. 1041; il testo
attualmente in vigore è la risultante delle modifiche apportate con il referendum
abrogativo del 18-19 aprile 1993 – che ha depenalizzato la detenzione di sostanze
stupefacenti per uso personale – e di tutta una serie di interventi novellatori successivi, fra i quali quelli operati dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla l.
21 febbraio 2006, n. 49, e dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 176, convertito dalla l. 21
febbraio 2014, n. 10, che hanno profondamente inciso sull’originario strumentario
penalistico del citato d.P.R.
Da ultimo va citata anche la sentenza n. 32 del 25 febbraio 2014 della Corte costituzionale che ha bocciato le modifiche apportate dal legislatore nel 2006.
Il bene giuridico protetto dalla normativa in discorso risulta piuttosto complesso.
La giurisprudenza prevalente è infatti dell’avviso che gli illeciti in materia di stupefacenti siano posti a presidio non solo della salute collettiva, ma anche della sicurezza
pubblica, dell’ordine pubblico e dell’esigenza di salvaguardia della giovani generazioni,
poste in pericolo dalla diffusione di sostanze stupefacenti o psicotrope (Cass. Pen., Sez.
Un., 29/05/2009, n. 22676).
2. La nozione di sostanza stupefacente
La normativa in materia di stupefacenti non contiene alcuna definizione di sostanza
stupefacente. La difficoltà di individuare una nozione univoca ha infatti indotto il legi-
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Parte seconda – Le principali fattispecie extracodicistiche
slatore ad optare per il sistema tabellare, che si concreta in un’elencazione e classificazione delle sostanze medesime.
Così, nell’ambito delle sostanze che hanno un effetto stupefacente e che possono indurre dipendenza fisica o psichica, le tabelle I e II previste all’art. 14, d.P.R. n.
309/1990 raggruppano quelle riconducibili alle c.d. droghe pesanti, mentre le tabella
II e IV raggruppano quelle riconducibili alle c.d. droghe pesanti.
La scelta operata è stata dunque quella del sistema tabellare analitico-elencativo.
Ne discende che dovrà definirsi stupefacente agli effetti penali e amministrativi ogni
sostanza naturale o sintetica figurante in una delle anzidette tabelle. Non può invece
qualificarsi come tale ogni altra sostanza che ne risulti esclusa, indipendentemente dalla
sua composizione chimica e dai suoi effetti farmacologici e sulla salute umana (Fortuna).
La nozione di stupefacente ha dunque natura legale, nel senso che sono soggette
alla disciplina che ne vieta la circolazione solo le sostanze specificatamente indicate nelle tabelle previste dall’art. 14, d.P.R. n. 309/1990, costantemente aggiornate dal
Ministero della Salute, di concerto con quello della Giustizia. La tecnica adottata dal
legislatore, se risponde alle esigenze di legalità e tassatività delle fattispecie, dall’altro
rischia di non contrastare efficacemente il mercato delle droghe che è in continua evoluzione, in quanto potrebbe accadere che alcune nuove sostanze non siano contemplate
nelle predette tabelle. Proprio per far fronte a questa eventualità, è intervenuto il d.lgs.
24 marzo 2011, n. 96, che in attuazione di obblighi assunti a livello comunitario, ha
riscritto l’art. 70 in tema di precursori di droghe, decretando la punibilità di tutte
quelle condotte che si inseriscono nel ciclo di produzione e diffusione di sostanze utilizzate per la fabbricazione di droghe sintetiche e sostanze psicotrope.
3. Le principali condotte illecite: l’art. 73 d.P.R. n. 309/1990
L’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, rubricato produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, nella formulazione attualmente vigente, dispone che: “1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17,
coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi
tiolo, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna
per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 75,
sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, è punito con
la reclusione da otto a venti anni e con la multa da euro 25.822 (lire cinquanta milioni) a euro
258.228 (lire cinquecento milioni).
2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, illecitamente cede,
mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nel comma 1,
è punito con la reclusione da otto a ventidue anni e con la multa da euro 25.822 (lire cinquanta
milioni) a euro 309.874 (lire seicento milioni).
3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o
psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.
CAPITOLO I – I REATI IN MATERIA DI STUPEFACENTI
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4. Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope
di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la
multa da euro 5.164 (lire dieci milioni) a euro 77.468 (lire centocinquanta milioni).
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal
presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e
quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni
e della multa da euro 3.000 a euro 26.000 (7).
6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si
adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando
concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per
la commissione dei delitti”.
L’attuale formulazione della norma in commento è il frutto, da un lato, della declaratoria di incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2006, n. 49, e, dall’altro, della riscrittura
del comma 5 ad opera del d.l. 23 dicembre 2013, n. 176, convertito con modificazioni
dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10.
Prima di tali modifiche, l’art. 73 era stato profondamente innovato dal legislatore
del 2006 che aveva eliminato la distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere, prevista
invece nella versione originaria del d.P.R. n. 309/1990. L’unica distinzione mantenuta
dal legislatore del 2006 era quella relativa alla gravità dei fatti, essendo prevista un’attenuazione di pena per i fatti di lieve entità.
Questo il testo della norma previgente: “1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva,
produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad
altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla
tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000
a euro 260.000.
1-bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17,
importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:
a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con
decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del
Consiglio dei Ministri-Dipartimento nazionale per le politiche antidroga-, ovvero per modalità di presentazione,
avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione,
appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;
b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il
quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà.
2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che
altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, è punito
con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000.
2-bis. Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all’articolo 14.
3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da
quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.
4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B e C, di
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Parte seconda – Le principali fattispecie extracodicistiche
cui all’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite
da un terzo alla metà.
5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze,
i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei a anni e
della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
5-bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione
della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato
e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può
applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’Ufficio
locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’Ufficio riferisce
periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274,
il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere
disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di
violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, su richiesta del Pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che
procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto
dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di
quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per Cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.
6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che
l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti”.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 25 febbraio 2014, ha ritenuto che
le modifiche apportate nel 2006, introdotte in sede di conversione del d.l. n. 272/2005,
difettassero di connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto
legge, e dovessero quindi ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo
esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell’art. 77, comma 2, Cost.
L’integrale caducazione delle norme impugnate comporta la reviviscenza dell’art.
73, d.P.R. n. 309/1990 e delle relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella
formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate. Dovrà dunque tornare a trovare applicazione l’art. 73 nella versione antecedente
al 2005, salve le modifiche apportate dal legislatore in epoca successiva che non sono
interessate dalla sentenza in esame.
Dal punto di vista intertemporale, il fenomeno sembra atteggiarsi come una successione nel tempo di leggi modificatrici ex art. 2, comma 4, c.p., con conseguente
intangibilità del giudicato. Ne consegue che le più gravi pene (minimo edittale di otto
anni di reclusione anziché sei) previste dai commi 1-3 dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990 troveranno applicazione solo ai fatti commessi dopo la pubblicazione nella gazzetta ufficiale
della sentenza della Corte costituzionale, mentre le più miti pene previste per le droghe
leggere (rivitalizzate dalla pronuncia della Consulta) troveranno applicazione retroattiva.
Con il d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (che al momento in cui si scrive non è stato ancora convertito) il legislatore è intervenuto a colmare il vuoto normativo creatosi dopo
CAPITOLO I – I REATI IN MATERIA DI STUPEFACENTI
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la pubblicazione della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale, ripristinando in
parte le modifiche al testo unico introdotte dall’art. 4 vicies ter d.l. n. 272/2005, convertito dalla l. n. 49/2006.
Più in dettaglio, mentre l’art. 4 vicies ter prevedeva due sole tabelle, una per tutte le
sostanze stupefacenti e una per le sostanze medicinali, il nuovo testo degli artt. 13 e 14,
d.P.R. n. 309/1990, così come modificato dal decreto legge in esame, prevede cinque tabelle: una tabella I, relativa alle c.d. droghe pesanti, una tabella II, relativa alle
c.d. droghe leggere, una tabella III e una tabella IV, relative alle sostanze medicinali
equiparate ai fini sanzionatori rispettivamente alle droghe pesanti e a quelle leggere, e,
infine, una tabella dei medicinali, non richiamata dall’art. 73.
Le prime quattro tabelle trovano dunque ora piena corrispondenza con le previsioni
di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, nel testo ripristinato dalla sentenza n. 32/2014: le
condotte aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle I e III sono sanzionate con la
reclusione da otto a vent’anni ai sensi del primo comma, mentre quelle aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV soggiacciono al più favorevole quadro edittale
della reclusione da due a sei anni ai sensi del quarto comma.
A prima lettura deve ritenersi che il reinserimento nelle tabelle, per effetto del
decreto legge in esame, delle nuove sostanze già introdotte nelle tabelle colpite dalla
pronuncia della Corte costituzionale (che le ha eliminate con effetto ex tunc), valga ad
assicurare solo per il futuro la rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto tali
sostanze, ma non possa produrre effetto retroattivo rispetto alle condotte compiute sino
al 21 marzo 2014, a ciò ostando il principio costituzionale di irretroattività della legge
penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost.
Il testo attuale dell’art. 73 prevede, ai primi tre commi, tre reati aventi ad oggetto le
sostanze stupefacenti e psicotrope che sono elencate nelle tabelle I e III di cui all’art. 14
(c.d. droghe pesanti), mentre il quarto comma prevede tre ulteriori reati, richiamando
le condotte descritte nei commi precedenti, ma indicando quale oggetto degli stessi
le sostanze elencate nelle tabelle II e IV di cui all’art. 14 (c.d. droghe leggere). Dette
fattispecie descrivono varie figure di reato ognuna delle quali si sdoppia, a seconda che
oggetto delle stesse siano droghe pesanti o leggere. L’art. 73 è dunque improntato al
doppio binario sanzionatorio, in quanto la risposta punitiva è diversificata in relazione
all’oggetto materiale del reato.
L’art. 73 è costruito come norma a più fattispecie alternative con conseguente
assorbimento delle condotte minori quando più condotte siano commesse nello stesso
contesto spazio-temporale, a prescindere dalla natura e dal tipo di sostanze detenute
(Cass. Pen., Sez. IV, 5/11/2009, n. 42485).
Più nel dettaglio, le fattispecie in discorso descrivono una serie di delitti di pura
condotta, in quanto per la loro consumazione non è necessario il verificarsi di un
evento in senso naturalistico, essendo sufficiente la messa in pericolo del bene protetto
dalla norma, in primis la salute collettiva.
a) Le fattispecie di cui al primo e quarto comma
Il primo e il quarto comma prevedono due reati che si distinguono tra loro solo per
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Parte seconda – Le principali fattispecie extracodicistiche
il differente oggetto materiale della condotta, oltre che per la diversa pena comminata.
Comuni sono invece le condotte incriminate, nonché l’elemento negativo della mancata prescritta autorizzazione di cui all’art. 17. Si tratta comunque di reati autonomi;
ne consegue pertanto che, se un medesimo comportamento ha ad oggetto sostanze di
cui alla tabella I e alla tabella II, si avranno reati distinti, mentre si avrà un unico reato
quando le condotte contestuali riguardano sostanze ricomprese nella medesima tabella.
Soggetto attivo può essere chiunque, non essendo richiesta alcuna qualifica soggettiva specifica in capo all’agente.
Sotto il profilo della condotta tipica, l’art. 73 elenca al primo comma numerose
condotte che si pongono fra loro in rapporto di alternatività.
Per coltivazione deve intendersi l’attività che va dalla semina delle piante fino alla raccolta delle stesse. La giurisprudenza qualifica l’illecito in esame come reato di pericolo
presunto o astratto, per cui, ai fini della sua esistenza, non ha alcun rilievo il grado di
tossicità delle piantine, essendo sufficiente che le stesse siano vitali ed idonee a produrre
sostanze droganti, indipendentemente dalla percentuale di principio attivo presente nelle infiorescenze e nelle foglie (Cass. Pen., Sez. Un., 10/07/2008, n. 28605).
La produzione è invece quell’attività successiva alla coltivazione, diretta ad estrarre
dalle piante il prodotto stupefacente.
L’estrazione, a sua volta, viene in considerazione nell’ambito della produzione e ricorre quando il principio attivo venga prelevato separandolo dalla sostanza vegetale.
La fabbricazione comprende tutte le attività dirette ad ottenere sostanze stupefacenti non
riconducibili alla produzione, cioè nella creazione materiale della sostanza stupefacente.
La raffinazione si ha invece quando lo stupefacente viene ricavato purificandolo, con
metodi chimici e fisici, dai prodotti grezzi.
Quanto alle condotte di offerta e messa in vendita, esse risultano punibili per il solo
fatto che l’agente dichiari di essere in grado di procurare sostanza stupefacente da mettere a disposizione del ricevente o dell’acquirente e che detta dichiarazione sia manifestazione di una seria volontà di procacciare e fornire la droga, a condizione però che la
stessa risulti realizzabile in base alle circostanze e alle modalità dei fatti. Per integrare tali
ipotesi criminose, non si richiede l’accettazione dell’offerta, altrimenti, essendo subentrato il consenso, si ricadrebbe nell’ipotesi della cessione.
La condotta del procurare ad altri sostanza stupefacente si riferisce invece al caso del
mandatario o dell’intermediario che assume l’incarico di procacciare ad altri la droga
attingendo dalle fonti di approvvigionamento, senza la partecipazione personale o negoziale diretta del destinatario.
La condotta di commerciare consiste principalmente nello svolgere continuativamente
e soprattutto professionalmente attività di acquisto e cessione di stupefacenti.
Trasportare, invece, significa portare la sostanza da un luogo ad un altro.
La consegna si sostanzia nel trasferire la sostanza medesima ad altra persona, a differenza
del distribuire che consiste nel consegnarla ad una pluralità di persone e dall’inviare che si
traduce in un’attività volta alla ricezione differita della sostanza ad opera di altra persona.
Il passaggio e la spedizione in transito sono condotte comprensive dell’importazione ed
esportazione, dalle quali però differiscono perché la sostanza viene introdotta o spedita
CAPITOLO I – I REATI IN MATERIA DI STUPEFACENTI
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in Italia non per utilizzarla direttamente nel territorio nazionale, ma al fine di trasferirla
ulteriormente in uno Stato terzo.
La vendita presuppone la dazione della sostanza in cambio di un correlativo prezzo
in denaro od altro, la cessione invece consiste nella semplice consegna della droga anche
a titolo gratuito o di cortesia (Amato).
Discorso a parte meritano le (statisticamente più diffuse) condotte di detenzione e
acquisto. La rilevanza penale della condotta è circoscritta all’ipotesi in cui la sostanza
di cui l’agente entra in possesso sia destinata a future condotte di cessione o vendita
(c.d. spaccio), dovendosi escludere l’illiceità dell’acquisto e detenzione per uso esclusivamente personale, comportamenti questi che – dopo il referendum abrogativo del
1993 – risultano perseguibili soltanto sul piano amministrativo, secondo quanto previsto
dall’art. 75, d.P.R. n. 309/1990.
In verità, va rilevato come nel testo oggi vigente del d.P.R. n. 309/1990 sia scomparso ogni riferimento alla non punibilità dell’uso personale di sostanze stupefacenti. Nel regime anteriore
alle modifiche del 2006 la non punibilità si ricavava in via sistematica dall’art. 75, d.P.R. n. 309/1990,
che prevedeva un sistema di sanzioni amministrative a carico di chi realizzasse talune delle condotte
previste dall’art. 73 allo scopo di fare “uso personale” delle sostanze. A partire dal 2006, la non punibilità si desumeva dal nuovo comma 1-bis dell’art. 73, che prevedeva la punibilità delle condotte ivi
indicate qualora avessero avuto ad oggetto quantitativi di sostanze superiori a una dose media giornaliera individuata mediante decreti del Ministro della Salute, ovvero che “per modalità di presentazione,
avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione,
appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale”. Parallelamente, anche l’art. 75 fu modificato,
sopprimendosi l’esplicita menzione della finalità di uso personale delle sostanze e stabilendosi semplicemente l’applicazione delle sanzioni amministrative ivi previste “fuori dalle ipotesi di cui all’art. 73,
comma 1-bis”. Ebbene, a seguito della sentenza della Corte costituzione è scomparso il comma 1-bis
dell’art. 73, con conseguente venir meno della limitazione della punibilità alle condotte concernenti
quantitativi di sostanze superiori alla dose media giornaliera o che appaiano comunque destinati
ad uso non esclusivamente personale; per altro verso, però, è rimasto fermo il testo dell’art. 75 così
come modificato nel 2006 (e non interessato dalla pronuncia della Consulta), con il risultato che
l’intero apparato di sanzioni amministrative previste nei confronti del consumatore dall’art. 75 (e dal
successivo art. 75-bis) sembra oggi sprovvisto di presupposti applicativi e che le incriminazioni di cui
all’art. 73, venute meno le limitazioni di cui al comma 1-bis, sembrerebbero ormai abbracciare anche
le condotte finalizzate ad uso meramente personale delle sostanze.
Per evitare una simile, paradossale conclusione si deve ritenere che vi sia stata una implicita caducazione “a cascata” dell’art. 75, nella versione introdotta nel 2006, in ragione dell’impossibilità
di ricostruire oggi la sua fattispecie, definita per relationem rispetto ad una norma oggi dichiarata incostituzionale; e al contempo considerare come mai abrogata la versione previgente dell’art. 75, che
conteneva appunto un esplicito riferimento alla finalità di uso personale della sostanza.
Ragionamento alternativo potrebbe essere quello di sostenere la perdurante vigenza dell’art. 75, nella
formulazione introdotta nel 2006, intendendosi il rinvio ivi contenuto all’art. 73 c. 1-bis come recettizio.
Per effetto di un simile rinvio la disciplina ora dichiarata incostituzionale sarebbe stata incorporata come
parte integrante dello stesso art. 75, divenendo così insensibile alle modificazioni successive che abbiano
interessato la norma richiamata (come, appunto, la sua dichiarazione di illegittimità costituzionale).
Al fine di stabilire se tali condotte siano sorrette dalla finalità di consumo personale
o da quella di spaccio, la novella del 2006 aveva operato una positivizzazione dei criteri
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Parte seconda – Le principali fattispecie extracodicistiche
indiziari che si specificavano nella quantità della sostanza stupefacente, nelle modalità di
presentazione della stessa, nonché nelle altre circostanze dell’azione. Tali elementi mantengono un loro rilievo indiziario anche dopo il ritorno alla previgente formulazione
dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, di talché il giudice, sulla base del materiale probatorio
disponibile, dovrà stabilire se la sostanza stupefacente di cui l’imputato aveva la disponibilità fosse destinata al suo consumo personale oppure alla cessione a terzi. Affinché si
possa affermare che la sostanza non era detenuta a fini personali, sarà quindi necessario
verificare la sussistenza di tutti gli indici sintomatici della destinazione della sostanza,
quindi non solo la quantità, ma anche, ad esempio, la varietà di tipologia di sostanze
detenute, il possesso di sostanza da taglio, il possesso di strumenti per il frazionamento,
la pesatura e il confezionamento delle dosi, ecc.
La liceità penale del consumo di gruppo di sostanze stupefacenti è sempre stata discussa. Sotto la
normativa previgente (ma, come visto sopra, ora attuale), la Suprema Corte aveva escluso che tale
condotta costituisse reato. La questione era tornata di attualità con la riforma del 2006, in quanto il
comma 1-bis dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, introdotto dalla citata novella, attribuiva rilevanza penale
solo alla detenzione di sostanze stupefacenti che, per quantità o per modalità di presentazione o per
altre circostanze dell’azione, apparissero destinate ad un uso non “esclusivamente” personale. Si era
quindi affacciata la tesi che con l’avverbio esclusivamente, che non figurava nella precedente formulazione, il legislatore avesse voluto escludere la liceità del consumo di gruppo della droga.
Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, ribadendo il loro
precedente orientamento, hanno escluso la rilevanza penale dell’acquisto e della detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso di gruppo, purché sin dall’inizio essi avvengano anche per conto di
soggetti diversi dall’agente e sia certa l’identità di questi ultimi, e risulti altresì manifesta la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo (Cass. Pen., Sez. Un., 10/06/2013, n. 25401).
Oggetto materiale di tutte le condotte sopra descritte è la sostanza stupefacente.
Soprattutto in relazione alle condotte di cessione, si è posto il problema della configurabilità del reato anche nel caso in cui la condotta astrattamente sussumibile entro il disposto dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990
abbia ad oggetto un quantitativo di sostanza stupefacente inferiore alla c.d. soglia drogante.
Secondo un primo orientamento, condiviso anche dalle Sezioni Unite 24/06/1998, n. 9973, la condotta di cessione risulterebbe sempre meritevole di sanzione penale, indipendentemente dalla capacità
della sostanza di provocare l’effetto psicotropo, dal momento che gli illeciti in materia di stupefacenti
hanno natura plurioffensiva in quanto posti a presidio non solo della salute individuale, ma anche
della salute collettiva, della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani
generazioni, beni giuridici suscettibili di essere lesi anche per effetto della diffusione di sostanze prive
di reale efficacia drogante.
Di contrario avviso invece quella diversa impostazione che valorizza il principio di offensività e che
considera imprescindibile ai fini della punibilità l’accertamento dell’idoneità della sostanza a produrre
i tipici effetti stupefacenti o psicotropi. Cass. pen., Sez.VI, 22/2/2012, n. 6928, ad esempio, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato, “è necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio
attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio, o comunque oggetto di cessione, sia di entità tale da poter produrre
in concreto un effetto drogante”.
L’elemento soggettivo è il dolo generico; il reato si consuma nel momento in
cui viene realizzata la condotta tipica; il tentativo è ammissibile.
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