consiglio superiore della magistratura corte di appello di palermo
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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA CORTE DI APPELLO DI PALERMO COMMISSIONE DISTRETTUALE PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE DELLA MAGISTRATURA ONORARIA SEMINARIO DI STUDIO SU QUESTIONI VECCHIE E NUOVE IN MATERIA DI STUPEFACENTI:LE PRASSI APPLICATIVE NEL PROCESSO PENALE Corte di Appello di Palermo – Aula Magna, 5 MARZO 2010 La gestione del procedimento dalle indagini preliminari al giudizio A) LA DISCIPLINA DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI La normativa in materia di stupefacenti ed in particolare l’individuazione delle condotte punibili è attualmente contenuta nel D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 con le modifiche profonde e sostanziali conseguenti all’entrata in vigore della L. 21.2.2006 n. 49. La formulazione originaria del decreto 309/90, a seguito delle rilevanti novità introdotte a seguito del referendum abrogativo del 18/19 aprile 1993, era stata una risposta - almeno nell’intento del legislatore del 1990 - al fallimento del primo assetto normativo della L.22.12.1975 n. 685 ed all’insuccesso del regime di non punibilità che esso conteneva. Volendo fare solo un breve cenno ai principi fondamentali che hanno caratterizzato nel tempo le discipline legislative in tema di stupefacenti è necessario prendere le mosse dalla abrogata legge n. 685 del 1985 i cui principi fondamentali erano costituiti: dalla non punibilità dell’uso personale di “modiche quantità” di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 80, II comma); dalla introduzione della nozione di “quantità modica” quale parametro per distinguere condotte punibili e condotte non punibili; dalla punibilità delle condotte diverse da quelle destinate all’uso personale; dalla distinzione tra i trattamenti sanzionatori previsti per le sostanze ricomprese nelle tabelle I e III dell’art 12 ( oppio, foglie di coca - sostanze del tipo barbiturico) e nelle tabelle II e lV dello stesso articolo ( cannabis indica) . Al fine di evitare le incertezze interpretative che erano conseguite al concetto di “ modica quantità” il legislatore con il D.P.R. 9 ottobre 1990 n.309 aveva in primo luogo sancito il divieto dell’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope e di qualsiasi altro impiego non autorizzato delle stesse (art. 72 D.P.R. 309/90) In relazione al profilo quantitativo lo stesso legislatore aveva sostituito il concetto di modica quantità con quello della dose media giornaliera da determinare in base ai criteri di cui all’art 78 del D.P.R 309/90 ( D.M. 14.7.1990 n. 186). Il quantitativo della sostanza stupefacente oggetto della condotta illecita ( “ dose media giornaliera”) e la finalità ( “uso personale”) della detenzione, dell’acquisto e della importazione, costituivano i parametri per la distinzione tra condotte punibili ( art. 73 ) e non punibili ( artt 75 e 76). In virtù di detta distinzione si era in presenza di un illecito amministrativo nell’ipotesi di acquisto, importazione o comunque detenzione per uso personale di sostanza stupefacente in quantità non superiore alla dose media giornaliera; mentre doveva ritenersi integrata una condotta illecita, a prescindere dalla finalità della condotta e dunque anche nell’ipotesi di uso personale, in presenza di un quantitativo superiore alla dose media giornaliera; di contro anche quando la quantità era inferiore alla dose media giornaliera si configurava un illecito penale se la condotta era destinata a terzi. Il risultato della consultazione referendaria del 18.19 aprile 1993, conclusasi con l’emanazione del D.P.R. 5 giugno 1993 n.171, ha inciso in modo determinante nella materia in esame, abrogando alcune norme o parti di norme del decreto 309/90 in tal modo modificando radicalmente l’assetto normativo e la configurabilità di fattispecie giuridiche penalmente rilevanti. Detta procedura referendaria ha infatti introdotto la possibilità di ritenere illecita solo la detenzione di droga per uso non personale prevedendo sanzioni amministrative nell’ipotesi di destinazione per uso personale; va a tal proposito rammentata l’abrogazione dell’inciso contenuto nell’art 73, I comma D.P.R. 309/90 “ in dose non superiore a quella media giornaliera determinata in base ai criteri di cui al comma 1 dell’art.78”. L’immediata conseguenza di una simile novità è stata l’indubbia incertezza nell’applicazione della disciplina sanzionatoria nei casi non caratterizzati dalla chiara ed indiscutibile destinazione a terzi della sostanza stupefacente. Per potere dunque ritenere integrati gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art 73 D.P.R. 309/90 era necessario che si provasse che le condotte ivi elencate avessero come finalità la destinazione dello stupefacente a terzi. L’onere probatorio era rimasto a carico dell’accusa, ma il soggetto doveva fornire elementi idonei a superare l’ipotesi accusatoria e dimostrare l’uso personale dello stupefacente. Tradizionalmente gli elementi dai quali era stata desunta la destinazione della sostanza ai terzi erano riconducibili al quantitativo di sostanza detenuta :quantità rilevanti lasciavano presumere un’attività di spaccio. In presenza di quantitativi di non rilevante quantità venivano in considerazione le modalità in cui era stata rinvenuta la sostanza stupefacente: si reputava sintomatico di un’attività di spaccio il frazionamento della droga in dosi, la detenzione di diversi tipi di droga, il ritrovamento di oggetti che vengono tradizionalmente adoperati dagli spacciatori (e cioè: il bilancino, la sostanza da taglio, la carta stagnola). Si valutava anche lo stato di tossicodipendenza del soggetto e le sue condizioni economiche. Detti criteri hanno guidato le autorità giudiziarie che, chiamate a valutare la sussistenza di gravi indizi e la configurabilità di un quadro probatorio, hanno – seppur con decisioni non sempre omogenee – applicato o mantenuto misure cauteri e pronunciato sentenze di condanna. B) LE MODIFICHE INTRODOTTE DALLA LEGGE 21 FEBBRAIO 2006, N. 49 Al fine di delineare uno spazio di intervento, oggettivo e sicuro, diverso da quello ampiamente discrezionale che aveva caratterizzato l’applicazione del D.P.R. n.309/90 a seguito delle modifiche referendarie, il legislatore del 2006 ha introdotto al I comma bis dell’art. 73 D.P.R. alcuni dei criteri “indiziari” della destinazione della sostanza ad uso diverso da quello personale che erano stati fino a quel momento utilizzati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità. Sotto il profilo delle sanzioni amministrative il legislatore della riforma ha inteso rafforzare lo strumento sanzionatorio nella prospettiva di recupero del tossicodipendente esercitando nei confronti di quest’ultimo una forma di pressione psicologica per indurlo ad accettare un programma terapeutico di riabilitazione o di recupero ed ha sanzionato efficacemente le condotte oggettivamente o soggettivamente più pericolose per la sicurezza pubblica ( art 75 bis ) 1) l’assimilazione delle droghe leggere a quelle pesanti Importante rilievo ha assunto – ai fini del trattamento sanzionatorio delle condotte punibili - la riduzione a due delle tabelle in cui sono elencate le sostanze stupefacenti e la abolizione della distinzione tra droghe tradizionalmente definite ”leggere” o “pesanti”. Le droghe dunque – ripartite fino alla riforma in sei tabelle – sono ricomprese in una prima tabella ( Tabella I) che contiene tutti i tipi di stupefacente vietati [ l’oppio ed i suoi derivati, le foglie di coca, le anfetamine ad azione eccitante sul sistema nervoso, tra le quali l’ECSTASY e le pillole contenenti MMDMA, ma anche la cannabis indica ed i suoi derivati. ( hashish , marijuana)]. La scelta del legislatore si è fondata sugli esiti degli studi tossicologici che sono pervenuti alla conclusione secondo la quale il principio attivo contenuto in alcune sostanze stupefacenti, che erano qualificate “droghe leggere”, oggi è di gran lunga maggiore oggi rispetto al passato; pertanto se è possibile affermare che i cannabbinoidi creano minor dipendenza rispetto all’eroina ,è pur vero che il sensibile aumento di valore del principio attivo della cannabis, passato da una percentuale del 0,5 / 1 % degli anni 80 all’attuale 20/25%, ha sicuramente aggravato la dipendenza nell’assuntore. La previsione di un unico trattamento sanzionatorio per tutti i tipi di stupefacenti ha comportato da un lato una riduzione del minimo della pena ( invero assai elevata) per le condotte riguardanti le droghe pesanti, dall’altro l’impossibilità di applicare l’aumento di pena per la continuazione ex art 81 c.p. nell’ipotesi in cui il soggetto venga trovato in possesso di sostante stupefacenti di diverso tipo. La distinzione tra i diversi tipi di sostanza, se da un lato ha perso rilievo ai fini sanzionatori , dall’altro continua ad avere valore nell’ individuazione del “moltiplicatore” previsto nella decreto dell’11 aprile 2006, al fine di determinare i limiti massimi di principio attivo detenibile ( Q.M.D.), superati i quali – ai sensi dell’art 73, I comma bis, D.P.R. 309/90può presumersi che lo stupefacente sia destinato ad uso non esclusivamente personale. Detto moltiplicatore è stato calibrato in relazione agli effetti che la droga è capace di determinare sul comportamento e sulle capacità motorie dell’assuntore; e così il moltiplicatore previsto per le droghe “ leggere” ad esempio per i derivati della “cannabis” ( hashish e marijuana) è stato calcolato con un valore più alto (20) di quello dell’eroina ( 10 ) con la conseguenza che la dose media singola ( D.M.S.) di quest’ultimo tipo di sostanza è individuata in un quantitativo minore rispetto a quella del primo tipo. Emerge con tutta evidenza che detta circostanza acquisterà un preciso rilievo non solo al fine della individuazione in concreto della condotta punibile, ma anche e soprattutto per la concessione dell’attenuante della “ lieve entità” prevista al V comma dell’ 73, V comma D.P.R. 309/90. b) l’individuazione delle condotte penalmente rilevanti La riforma introdotta dalla legge 49/2006 nulla ha modificato in ordine alla punibilità delle condotte che sono caratterizzate dalla evidente destinazione a terzi della sostanza stupefacente (art 73, I comma : chiunque senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri,invia passa o spedisce in transito , consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’art 14 è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000,00 ad euro 260.000,00”). Tra queste condotte qualche precisazione deve essere fatta a proposito della coltivazione e del trasporto. In relazione alla coltivazione ( che sarà oggetto dell’intervento di altro relatore), preme solo rilevare che la parziale abrogazione degli artt. 72 e 75, I comma D.P.R. 309/90 operata dal D.R.P. 5 giugno 1993 n.171 aveva reso penalmente lecita la detenzione, l’importazione, e l’acquisto di sostanze stupefacenti ove esse fossero destinate ad uso personale. Le condotte appena evocate erano le sole tassativamente previste dall’art 75 cit. con conseguente impossibilità di estendere detta liceità anche alla coltivazione delle droghe, assolutamente vietata nel territorio dello Stato, senza che potesse assumere valore scriminante l’uso personale della sostanza prodotta. Il differente trattamento di tali ipotesi derivava dalla maggiore pericolosità ed offensività insita nell’essere la coltivazione ( ed anche la produzione e la fabbricazione) attività rivolta alla creazione di nuove disponibilità con conseguente pericolo di circolazione e diffusione delle droghe nel territorio nazionale e di rischio per la pubblica salute ed incolumità ( Cass. 5.2.2001 n. 4928) Anche il legislatore del 2006 ha mantenuto un diverso trattamento per la condotta della coltivazione attribuendole sempre un rilievo penale, qualunque sia la dimensione della piantagione ed anche ove la finalità dell’agente sia stata quella di destinare il prodotto della coltivazione a consumo personale. E’ immediatamente intuibile come la previsione normativa e le interpretazioni giurisprudenziali anche recenti che hanno confermato la rilevanza penale di ogni tipo di coltivazione, siano state di particolare ed a volte di ingiustificato rigore di fronte a condotte di coltivazione “domestica” di poche piantine dalle quale era possibile ottenere modestissimi quantitativi di principio attivo, con esclusione del rischio di destinazione a terzi. La coltivazione di piante è stata dunque oggetto di differenti interpretazioni che si sono seguite nel tempo alternandosi l’una all’altra. Una prima interpretazione volta maggiormente idonea a realizzare un equo trattamento sanzionatorio ha ritenuto di distinguere una coltivazione “tecnico-agraria, ovvero imprenditoriale del tipo di quella descritta dagli artt 26- 28 D.P.R. 309/90 ( che implica “la disponibilità di un terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilità dei locali per la raccolta ) - la quale è del tutto incompatibile con la destinazione ad uso personale ed anzi è dimostrativa ex se di una destinazione allo spaccio – da una coltivazione “domestica”, tenuta nella propria abitazione ed avente ad oggetto poche piantine idonee produrre quantitativi scarsamente apprezzabili di sostanza stupefacente. Detta ultima coltivazione a differenza della prima potrebbe essere assimilata alla detenzione di sostanza stupefacente ed in quanto tale sottoposta a sanzioni amministrative a norma dell’art 75 D.P.R: 309/90 ove il prodotto apparisse inequivocabilmente destinato “ad un uso non esclusivamente personale” ( v. Cass.31.10.2007, n. 40362 e Cass. 18.1.2007, n.17983) La fattispecie presa in considerazione nella prima sentenza ( Cass. 40362/2007) riguardava l’ipotesi di coltivazione di cinque piante di canapa indiana, delle quali una immersa in una vasca piena d’ acqua, destinate ad adornare l’interno di vasetti di vetro che, riempiti di paraffina e muniti di stoppino, erano stati messi venivano messi in commercio come lumini. I giudici di legittimità non hanno ritenuto penalmente rilevante la destinazione dello stupefacente a terzi ritenendo detta destinazione motivata da ragioni diverse dall’assunzione quale era nel caso sottoposto al loro esame, l’utilizzazione a scopi ornamentali delle foglie ; importanza fondamentale rivestiva in detta ipotesi il fatto che l’attività di commercio dello stupefacente con finalità ornamentali non consentiva la distrazione dello stupefacente stesso ad opera dell’acquirente dal vasetto. Veniva dunque sottolineata la necessità che le foglie, le piante i semi non possano essere distolti ad opera dell’acquirente dalla funzione ornamentale e che dunque non potessero essere in alcun modo utilizzati da quest’ultimo. In altra decisione il G.U.P. presso il Tribunale di Bologna ( sentenza n. 1392/2007) ha ritenuto di assolvere due imputati che avevano piantato in una serra collocata in un seminterrato condominiale alcuni semi di cannabis riuscendo ad ottenere nove piantine di marijuana in quanto il prodotto della coltivazione – ad avviso del giudice - poteva ritenersi destinato ad uso personale. Sebbene nella serra vi fosse un impianto di climatizzazione d’aria artigianale, fatto che potenzialmente poteva far propendere per una coltivazione non domestica, detta circostanza non aveva assunto alcun rilievo in quanto la presenza era stata collegata alla difficoltà di incrementare la crescita delle piantine in un ambiente del tutto inadatto a tale scopo. In senso difforme in altre pronunce i giudici di legittimità hanno elaborato un’interpretazione del tutto aderente al dettato normativo ribadendo l’illegittimità dell’attività di coltivazione (“ costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti anche quando venga realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale ( fattispecie relativa alla coltivazione di venticinque piante di “cannabis”( Cass. 23.12.2009, n. 49528; in tal senso v. Cass. 23.12.2009, n. 49523; SS.UU 24.4.2008, n. 28605) . I giudici di legittimità nella motivazione della sentenza 49528/2009 seppur ribadendo che qualsiasi coltivazione non autorizzata di piante costituiva condotta penalmente rilevante, nell’annullare sentenza impugnata hanno attribuito al giudice del rinvio “ ampio spazio di valutazione circa la sussistenza del requisito della offensività concreta del fatto”, evocando il principio di diritto contenuto nella sentenza delle SS.UU. 28605/2008 ( già cit) nella quale era stato puntualizzato che spettava al giudice di merito verificare se la condotta accertata “era assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto “; hanno poi precisato che la condotta era inoffensiva se il bene tutelato non era stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo; e se “ la sostanza ricavabile dalla coltivazione non fosse idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile”. Detto orientamento dunque se da un lato riaffermava l’illegittimità di ogni tipo di coltivazione, dall’altro consentiva al giudice di valutare reale portata offensiva della condotta. Val la pena di segnalare come da recente ( Cass. 2.3.2010, n. 12381) sia stato ritenuto possibile configurare, nell’ipotesi di coltivazione non autorizzata di piante, la fattispecie attenuata di cui al comma V dell’art. 73 D.P.R. 309/90 la quale, è stato affermato , deve essere determinata in base agli stessi criteri valevoli per le ipotesi di produzione o traffico illecito di stupefacente, con la specificazione che, oltre alle caratteristiche qualitative e quantitative, il giudice deve prendere in considerazione anche i mezzi, le circostanze e le modalità del fatto. ***** Premesso che appare difficilmente configurabile che il trasporto di sostanza stupefacente avvenga in un contesto spazio-temporale diverso dalla commissione delle condotte di acquisto e detenzione e poiché la fattispecie incriminatrice di cui all’art 73 d.p.r.309/90 è costruita come norma a più fattispecie alternative (Cass. 10.3.2010, n. 9477), con conseguente assorbimento delle condotte minori ove esse siano commesse senza apprezzabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto e riguardino la stessa sostanza stupefacente, deve escludersi il concorso formale di reati tra le condotte appena richiamate; il trasporto dunque non avrà una sua individualità rispetto alla condotta di detenzione o a quella di cessione e sarà assorbito in esse. Quando invece il trasporto si caratterizza per avere ad oggetto un quantitativo significativo di droga tale da rendere necessario l’uso di un mezzo di trasporto, non ricorrono i presupposti per l’assorbimento del trasporto nella detenzione o nella cessione. In questo caso tuttavia è già la dimensione quantitativa della sostanza stupefacente che è indice dimostrativo di una destinazione diversa da quella dell’uso esclusivamente personale. C) LE CONDOTTE DESCRITTE DALL’ART. 73 BIS D.P.R. 309/90 La novità di maggior rilievo introdotta dalla legge del 2006 consiste nella trasposizione normativa dei criteri fino ad allora valorizzati dalla giurisprudenza per configurare il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90. L’art. 73 appena citato, dopo avere elencato al primo comma le condotte che palesano immediatamente la destinazione della stupefacente ad uso diverso da quello esclusivamente personale, ha previsto al successivo I comma bis che le condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione o comunque detenzione assumono un rilievo penale ove sussistano alcuni parametri di riferimento e cioè ove “appaiono… per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del consiglio dei Ministri –Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione , avuto riguardo al peso lordo complessivo o la confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione” destinate “ ad un uso non esclusivamente personale”. Detta novità normativa non ha comportato che l’onere della prova in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale sia posto a carico dell’imputato; ed invero, poiché detto uso è un elemento costitutivo del reato di cui all’art. 73 grava sempre sull’accusa (Cass. 4.6.2004, n. 36755) il compito di soddisfare detto onere utilizzando i parametri indiziari indicati dalla norma e cioè : la quantità della sostanza ( con attribuita rilevanza al superamento dei limiti di principio attivo indicati nel decreto ministeriale ); le modalità di presentazione della sostanza ( peso lordo complessivo e confezionamento frazionato in dosi destinate alla vendita); le circostanze dell’azione ( le circostanze del sequestro ed in particolare l’eventuale rinvenimento di sostanza da taglio, di bilancini di precisione, di carta argentata, di bustine, di diversi tipi di sostanza; ed ancora di contabilità che palesa con tutta evidenza il commercio illecito). Rispetto a tale onere probatorio l’interessato ha a sua volta solo un onere di allegazione di elementi contrari che possano dimostrare, a differenza di quanto ritenuto dall’accusa ( polizia giudiziaria ed pubblico ministero), che la sostanza stupefacente era destinata ad uso esclusivo proprio. Pertanto anche in presenza di quantitativi che superino i limiti indicati dall’art. 73, I comma bis D.P.R. 309/90, non v’è una presunzione assoluta di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente né un’inversione dell’onere della prova ed il giudice dovrà valutare complessivamente in base agli altri parametri indicati nella norma se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione ( Cass. 12.2.2009, n. 12146) . In tale ipotesi ove il giudice non possa affermare “ al di là di ogni ragionevole dubbio” che la droga appaia destinata ad uso non esclusivamente personale, avrà l’onere di adottare una rigorosa motivazione ( Cass. 16.10.2008, n. 39017), motivazione che sarà in ogni caso tanto più rigorosa ed analitica quanto la quantità sia prossima alla soglia indicata nella tabella. E’ dunque possibile che la presenza dei criteri indicati all’art 73 I comma bis D.P.R. 309/90, da un lato possa integrare validamente la piattaforma gravemente indiziaria sì da giustificare l’adozione ( ed il mantenimento ) di una misura cautelare ( ed ancor prima un arresto da parte della p.g. e di una convalida dell’a.g.), dall’altro non sia idonea – in assenza di presunzione assoluta di colpevolezza ricollegabile alla norma più volte evocata – a supportare una condanna ove la presenza dei criteri più volte indicati non palesi la destinazione dello stupefacente ad uso non esclusivamente personale. Val la pena di evidenziare che accanto ai criteri previsti dall’art 73 d.p.r. 309/90, alternativi e complementari, è possibile valutare anche altri criteri al fine di affermare o escludere l’uso personale dello stupefacente stesso. Uno di questi criteri può essere ad esempio lo stato di tossicodipendenza del detentore; va rilevato peraltro che detto stato è stato reputato significativo al fine di ritenere i delitti commessi dall’imputato tossicodipendente avvinti dal vincolo della continuazione ( art 671 c.p.p) ove ricorrano le altre condizioni previste dall’art. 81 c.p. Il giudice, nella formazione del suo libero convincimento, può tenere conto anche del reddito lavorativo dell’imputato che ove compatibile con la quantità di stupefacente rinvenuto in suo possesso, può giustificare una decisione di esclusione dell’uso non esclusivamente personale dello stupefacente stesso. Incide sulla valutazione della pericolosità dell’indagato e del pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie l’esistenza a suo carico di precedenti penali specifici che palesano una stabile dedizione all’attività di spaccio e la non occasionalità della condotta illecita. I precedenti assumono poi un particolare rilievo sulla possibilità di concedere l’attenuante del fatto di lieve entità (articolo 73, comma 5, del dpr n. 309/90). Emerge con tutta evidenza infine che esistono alcuni parametri che sono posti alla base delle decisioni dei giudici ed altri che sono utilizzati dalle forze dell’ordine nell’immediatezza del fatto, cosicché non sarà possibile per le forze dell’ordine al determinare il momento dell’arresto principio attivo della sostanza stupefacente e ciò in quanto gli esami immediatamente esperibili ( narcotest) danno modo solo conoscere se la sostanza sequestrata contenga o meno stupefacente. D) L’ATTENUANTE DEL FATTO DI LIEVE ENTITA’ L’articolo 73, comma 5, del dpr n. 309/90, prevede che tutte le condotte punibili contenute nella stessa norma ricevano un trattamento sanzionatorio attenuato ove siano “di lieve entità”, ” «per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze». Il legislatore del 2006 dunque, se da un lato ha eliminato la differenza tra “droghe pesanti” e “ droghe leggere” escludendo che il tipo della sostanza possa incidere sulla offensività della condotta; dall’altro ha modulato il trattamento sanzionatorio in relazione alle diverse ipotesi attraverso la previsione del fatto di lieve entità. Detta ipotesi, che prevede una pena inferiore rispetto a quella indicata dall’art 73, I comma, non va considerato un titolo autonomo di reato, ma una circostanza attenuante ad effetto speciale. ( Cass. 20.2.2007, n. 16444; 6.7.2007, 26334; 3.5.2007, 16750). Va a tal proposito rilevato che la lieve entità è correlata ad elementi ( i mezzi, la modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e la quantità delle sostanze) “che non mutano nell’obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie previste nei primi commi dell’articolo, ma attribuiscono ad esse una minore valenza offensiva” Cass. 16444/2007 cit.) e che – anche in presenza della congiunzione disgiuntiva “ovvero” - devono essere tutti complessivamente valutati, sì da potere apprezzare il fatto nella sua complessità oggettiva e soggettiva. Il giudice infatti dovrà valutare complessivamente “ tutti gli elementi indicati dalla norma sia quelli concernenti l’azione ( mezzi, modalità e circostanze della stessa ) sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato( quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa” escludendo dunque che la lesione del bene giuridico sia di “ lieve entità” anche quando uno solo di questi elementi porti ad escluderla. Non sembra possano assumere alcun valore preclusivo alla configurabilità dell’attenuante appena evocata i precedenti specifici del soggetto attico, risultando gli stessi estranei agli elementi di valutazione previsti dalla predetta disposizione normativa ( Cass. 2.11.2009, n.42112) La ormai acclarata natura giuridica di circostanza comporta una rilevante conseguenza costituita dalla obbligatorietà della valutazione comparativa ex articolo 69 c.p. con le altre circostanze di reato, compresa la recidiva. In particolare viene in rilievo il disposto di cui all’art 69, IV comma c.p. modificato dall’art. 3 L. 5 dicembre 2005, n.251 ( legge cosiddetta ex Cirielli) che prevede che le regole ordinarie sulla comparazione tra circostanze contenute nei primi tre commi dello stesso articolo non si applicano ai recidivi ( art 99 IV comma c.p.) ed ai casi in cui sono state contestate le aggravanti previste agli artt. 11 e 112 comma I, n. 4 c.p.: in tali ipotesi le circostanze attenuanti ( e dunque sia le attenuanti generiche contenute di cui all’art 62 bis c.p. che la lieve entità del fatto contenuta al V comma dell’art 73 D.P.R. 309/90) che il giudice ritenga di dovere concedere all’imputato non potranno mai essere ritenute prevalenti, ma solo equivalenti alle ritenute aggravanti. Da tale premessa discende come conseguenza che, quando la circostanza attenuante ad effetto speciale della lieve entità del fatto concorre con l’aggravante della recidiva di cui al IV comma dell’art 99 c.p. secondo la previsione contenuta all’art. 69, IV comma c.p. nel giudizio di comparazione tra circostanze non sarà possibile ritenere prevalenti le circostanze attenuanti su quelle aggravanti ed il giudice dovrà ritenerle equivalenti con la conseguente determinazione della pena senza tenere conto della circostanza aggravante (tra le tante, Cassazione, 6.7.2007. n. 26334 “in tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, poiché l’ipotesi disciplinata dall’art. 73, comma quinto del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 configura una circostanza attenuante e non una figura autonoma di reato allorché essa concorra, con la recidiva si applica obbligatoriamente il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69, IV comma c.p. ( con la conseguenza che, in caso di ritenuta equivalenza, la pena è determinata senza tener conto delle circostanze di segno opposto ) e non la disposizione di cui all’art 63, comma terzo, stesso codice, che riguarda solo il concorso di circostanze omogenee”). E’ evidente che detta disposizione incide in maniera rilevante nella determinazione della pena nei confronti degli imputati tossicodipendenti, in quanto accade assai spesso che dette violazioni siano commesse da recidi recidivi reiterati, con la conseguenza che anche in presenza di modesti quantitativi di sostanza, tali da rientrare nell'ambito di operatività dell'articolo 73, comma 5, dovrà applicarsi la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze e cioè la pena base indicata nel comma 1 dell'articolo 73 ( da sei anni di reclusione e 26.000 euro di multa). Appare evidente che così operando il giudizio valutativo del giudice non si muove nell’ottica della libera valutazione della gravità del fatto e della personalità dell’imputato, ma è vincolato ad un automatico ed obbligatorio giudizio di comparazione che comporta come conseguenza la determinazione di una pena grave per il recidivo anche in assenza di una reale situazione sostanziale in termini di maggiore pericolosità. Una soluzione correttiva è da rinvenire nell’interpretazione dei giudici della Corte Costituzionale, che con sentenza del 14.6.2007 n. 192, hanno ritenuto che l’aumento di pena per l’ipotesi di recidiva, ad esclusione del caso previsto al quinto comma dell’art. 99, sia facoltativo. Così allorché il giudice ritenga – con adeguata e congrua motivazione – di non apportare alcun aumento per la recidiva, non reputando questa come espressione di maggiore colpevolezza o pericolosità sociale, “non è operante il divieto della prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti, previsto dal comma quarto del citato articolo 99 cod. pen.” e sarà possibile procedere ad un giudizio di comparazione con bilanciamento, pure con prevalenza dell’attenuante speciale dell’art. 73, V comma D.P.R. 309/90. b) il lavoro di pubblica utilità A seguito dell’intervento di riforma del 2006 - con chiaro intento di recupero del tossicodipendente – è stato previsto al comma 5 bis del "nuovo" articolo 73, che il giudice, nell'ipotesi in cui ritenga sussistente il "fatto di lieve entità", “limitatamente ai reati di cui allo stesso articolo 73” possa applicare, ove non si debba concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 c.p.p anziché le pene detentiva e pecuniaria, quella del lavoro di pubblica utilità prevista dall'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274. L’applicazione di detta sanzione sostituiva può essere accolta se ricorrano contestualmente quattro condizioni : a) che l’imputato sia una "persona tossicodipendente" o anche solo “assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope"; b) che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento che abbia riconosciuto l’attenuate del fatto di lieve entità; c) che l’imputato abbia espressamente richiesto, eventualmente in via subordinata ma comunque prima della sentenza, la sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di pubblica utilità; d) che non ricorrano le condizioni per la concessione della sospensione condizionale della pena. La richiesta può essere presentata dall’imputato ovvero dal difensore ove munito di procura speciale ( Cass. 3.2.2010, n. 16849; 16.6.2009). Accade invero che il difensore, in sede di presentazione dell’istanza di patteggiamento presenti, in via subordinata, anche richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilità. Il pubblico ministero nell’emissione del parere svolge un ruolo meramente consultivo, ma non vincolante per il giudice che potrà decidere anche discostandosi dal parere reso dal p.m. La sostituzione della pena non è un diritto dell’imputato, ma è oggetto di una valutazione discrezionale del giudice in ordine alla meritevolezza dell’imputato ad ottenerla ( Cass. 28.9.2009, n. 38110); l’art 73 V comma bis prevede infatti che il giudice “può” disporla. Nel caso di sentenza resa ex art 444 c.p.p. la sostituzione non fa parte dell’accordo tra il p.m. e l’imputato: il giudice dunque potrà accogliere l’accordo sulla pena detentiva e sulla pena pecuniaria e non procedere alla sostituzione di detta pena con il lavoro di pubblica. D) VIOLAZIONE OBBLIGHI IMPOSTI AD UN TOSSICODIPENDENTE SOTTOPOSTO AGLI ARRESTI DOMICILIARI E CHE HA IN CORSO UN PROGRAMMA DI RECUPERO Al fine di assicurare all’imputato tossicodipendente una concreta possibilità di recupero la L. 21 febbraio 2006 n. 49, ha, rivisitato la disposizione di cui all’art. 89 d.P.R. 309/90 prevedendo che: “Qualora ricorrano i presupposti per la custodia cautelare in carcere, il giudice - ove non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza- dispone gli arresti domiciliari quando imputata è una persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza di tossicodipendenti ovvero nell’ambito di una struttura privata autorizzata ai sensi dell’art. 116 e l’interruzione del programma può pregiudicare il recupero dell’imputato. Quando si procede per delitti di cui agli artt. 628 terzo comma o 629 secondo comma del c.p. e comunque nel caso sussistano particolari esigenze cautelari, il provvedimento è subordinato alla prosecuzione del programma terapeutico in una struttura residenziale(…).”. Viene immediatamente in rilievo come le strutture private siano state parificate a quelle pubbliche al fine di certificare lo stato di tossicodipendenza del imputato. Il giudice a fronte di una richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari dovrà verificare in primo luogo se sussista o meno la preclusione derivante dal titolo di reato per cui si procede; successivamente – ove non sussista detta preclusione- dovrà accertare se sussistano gli ulteriori presupposti di cui all’art.89 co.1° d.p.r. 309/90 e cioè: 1) la insussistenza di esigenze cautelari eccezionali; 2) che il detenuto tossicodipendente o alcooldipendente abbia in corso un programma di recupero presso il Sert o strutture residenziali autorizzate; 3) la possibilità che l’interruzione del programma possa pregiudicare il recupero dell’indagato. Il secondo comma dello stesso articolo prevede poi l’ipotesi in cui il tossicodipendente o l’alcooldipendente, che è in custodia cautelare in carcere, voglia intraprendere un percorso di recupero, sottoponendosi ad un programma terapeutico “ presso i servizi pubblici per l’assistenza di tossicodipendenti ovvero nell’abito di una struttura privata autorizzata ai sensi dell’art. 116” ; in tale ipotesi la misura cautelare è sostituita con quella degli arresti domiciliari ove non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e ove siano allegati all’istanza: 1) la certificazione dello stato di tossicodipendenza (o alcooldipendenza) con la procedura in base alla quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche; 2) la dichiarazione di disponibilità all'accoglimento rilasciato dalla struttura. Ciò posto, se è vero che la revoca della misura cautelare della custodia in carcere, ai sensi dell’art.89 D.P.R. 309/90, non può essere negata in ragione del fatto che il programma di recupero sia attuato non già presso una struttura residenziale chiusa, ma presso un servizio pubblico per l’assistenza ai tossicodipendenti funzionante come struttura aperta, essendo rimessa all’interessato la scelta della forma di trattamento, è altresì vero che questa scelta deve essere supportata dalla predisposizione di un dettagliato programma terapeutico che consenta al giudice di valutarne la congruità e sufficienza rispetto allo scopo recuperatorio perseguito e di esercitare i dovuti controlli sulla sua puntuale esecuzione e sul comportamento dell’interessato, in funzione dell’eventuale ripristino della custodia cautelare (cfr. Cass. sez. VI pen. n.2097/93 ed in senso conforme Cass. 22.12.2003, n. 49143 secondo la quale nell’ipotesi in cui il soggetto abbia scelto una struttura aperta “ il giudice deve valutare nel merito il programma ed esprimere un giudizio di adeguatezza in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati che alla personalità dell’indagato, e quindi può ritenere non specifici gli interventi terapeutici in relazione alla condizione cronica del tossicodipendente “). Se si procede per i delitti di rapina aggravata e di estorsione aggravata “ purchè non siano ravvisabili elementi di collegamento con la criminalità organizzata od eversiva”- ipotesi quest’ultima non ricompresa nell’alveo dell’art 89 d.p.r. 309/90 - il provvedimento di applicazione degli arresti domiciliari ( art 89, I e II comma) è subordinato alla prosecuzione del programma terapeutico in una struttura residenziale. Come è stato rilevato viene esclusa la possibilità per l’imputato tossicodipendente di intraprendere un percorso riabilitativo ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza : in detta ipotesi l’esposizione della collettivita' ad un pericolo di particolare consistenza non è reputato compensabile con il valore sociale del recupero dalla dipendenza dagli stupefacenti (“In materia di provvedimenti restrittivi nei confronti di tossicodipendente, il comma primo dell'art. 89 d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309 esclude la possibilita' di applicare il regime di favore ove ricorrano "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza". Tali esigenze, della cui sussistenza il giudice deve dare congrua e logica motivazione, non coincidono con una normale situazione di pericolo, ma si identificano in una esposizione al pericolo dell'interesse di tutela della collettivita' di consistenza tale da non risultare compensabile rispetto al valore sociale rappresentato dal recupero del soggetto tossicodipendente. L'eccezionale rilevanza, quindi, non attiene,"tout court", alle normali esigenze cautelari, ma afferisce alla graduazione della intensita' delle stesse, che deve essere tale da far ritenere insostituibile la misura carceraria.( Cass. 23.9.2005 n. 34218). In perfetta coerenza con il particolare valore attribuito dal legislatore al recupero del tossicodipendente ed alla tutela del diritto di rilevanza costituzionale alla salute deve evidenziarsi l’orientamento della Suprema Corte che ha correttamente ritenuto che ove il tossicodipendente, che abbia in corso un programma di recupero, sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, detta circostanza non è d’ostacolo alla concessione degli arresti domiciliari; rispetto alla previsione generale di cui all’art. 284, comma quinto bis c.p.p., che esprime una presunzione legale ( “iuris et de iure”) del pericolo di fuga, la norma di cui all’art. 89 D.P.R 309/90 ha natura speciale e prescrive che solo in presenza di eccezionali esigenze cautelari, che non si individuano nel solo pericolo di fuga presunto ex art 284 V comma bis c,.p.p. possa essere disposta la misura più affittiva della restrizione carceraria” ( Cass. 5.6.2006, n. 19348) Dott. Daniela Troja Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Palermo.