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L`INFANZIA BRUCIATA DEI BAMBINI SOLDATO

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L`INFANZIA BRUCIATA DEI BAMBINI SOLDATO
L'INFANZIA BRUCIATA DEI
BAMBINI SOLDATO
A 14 anni dall'entrata in vigore del Protocollo opzionale
alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza, nel 2015 sono stati almeno 250 mila i
ragazzini impiegati da eserciti regolari o irregolari. La
situazione è particolarmente grave in Yemen, Sud Sudan e
Repubblica Centrafricana. Se sfuggono alla morte, questi
piccoli strappati alle famiglie e ai villaggi subiscono traumi
che condizionano il resto della loro vita. Come racconta un
ex studente sudanese che abbiamo rintracciato in Italia
di SALVATORE GIUFFRIDA. Con un commento di CARLO CIAVONI
12 febbraio 2016
Uno su dieci arruolato a forza nel mondo "Vi racconto come ci
insegnano a uccidere". E per chi si salva c'è l'inferno del
disprezzo La storia di Agu
Uno su dieci arruolato a forza nel mondo
di SALVATORE GIUFFRIDA
ROMA - Il 12 febbraio si celebra la Giornata Internazionale contro l’utilizzo dei bambini soldato. Il
12 febbraio di 14 anni fa è entrato in vigore infatti il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per contrastare il ricorso ai minori nei conflitti armati. Il testo
ribadisce in maniera netta che nessun under 18 può essere reclutato forzatamente o utilizzato
direttamente nelle ostilità, né dalle forze armate di uno Stato né da gruppi armati. Parole chiare,
eppure nel 2015 chiuso da poco il fenomeno dei bambini soldato e le violenze contro i minori
hanno raggiunto livelli drammatici. Nel suo ultimo rapporto del luglio scorso, il Rappresentante
Speciale Onu per i minori in guerra, Leila Zerrougui, parla di "unspeakable violences", violenze
inenarrabili, e spiega che "la situazione peggiora di anno in anno". Aumentano reclutamenti forzati
e attacchi a scuole e ospedali; su 24 milioni di sfollati almeno uno su tre è minorenne e oltre un
miliardo di bambini vive in 42 paesi colpiti dagli anni Duemila da conflitti non ancora risolti. In altri
termini, un minore su dieci è coinvolto in guerre o vive in aree a rischio. Non a caso il numero dei
child soldiers cresce anno dopo anno: secondo l'Onu, sono almeno 250mila i minori impiegati da
forze armate regolari o irregolari come soldati, cuochi, facchini e schiavi sessuali. La situazione è
grave in Yemen, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, dove i bambini soldato accertati
dall'Unicef sono circa 15mila in ciascun paese. Ma i reclutamenti aumentano anche in
Nigeria,Siria, Somalia, Repubblica Democratica del Congo; spesso avvengono anche dentro le
città, dove scuole, ospedali e campi da gioco sono presi d'assalto dai gruppi armati. Si sta facendo
terra bruciata intorno ai minori, nonostante gli strumenti a disposizione del Diritto internazionale.
Progressi. L'ultima leva è la risoluzione Onu di maggio 2015: obbliga tutti gli stati a contrastare
l'uso dei minori in battaglia, eppure ancora oggi otto governi ufficiali impiegano bambini e bambine
nei loro eserciti: Afghanistan, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sudan, Sud
Sudan, Somalia, Yemen. Negli ultimi mesi l'Onu ha raggiunto qualche progresso grazie alla
campagna "Children, no soldiers": in Myanmar l'esercito ha rilasciato 646 minori, in RDC e
Afghanistan i governi hanno rafforzato la tutela dei bambini, in Ciad si è quasi concluso il processo
di disarmo e nel 2016 il paese uscirà dalla lista nera. Ma il problema è più complesso: oltre alle
forze regolari, 51 gruppi armati ribelli impiegano bambini soldati in almeno 23 paesi, tra cui la
Colombia in Sudamerica, la Thailandia, le Filippine, l'India e il Pakistan in Asia e poi tutta l'area che
va da Iraq, Siria e Libia fino al Mali, Nigeria e Repubblica Centrafricana.
Mediazioni. Negli ultimi anni la mediazione di Unicef e l'impegno di On e Croce Rossa hanno
permesso il rilascio e il reinserimento di oltre 100mila bambini soldato ma finché i governi locali
non potranno tutelare il minore, i reclutamenti continueranno. La sfida della comunità
internazionale è di togliere i bambini prigionieri della violenza del contesto in cui vive ma, spiega il
portavoce di Unicef Italia Andrea Iacomini, "fuori dalla capitale i governi raramente controllano il
territorio, non esiste un apparato statale, tutto risponde alle tribù. E sia il reclutamento che la
mediazione dipendono molto dalla conoscenza del territorio e dal contesto sociale". Che è
fondamentale anche per il reinserimento: "Uno dei problemi principali - spiega un'operatrice della
Ong Intersos - è far capire che il minore è una vittima, non un soldato o un aggressore". Intanto
l'uso dei bambini soldato sta cambiando, soprattutto nei conflitti lasciati in eredità dalle primavere
arabe e dagli interventi militari in Afghanistan e Iraq. Il fondamentalismo islamico ha portato alla
ribalta strumenti come la fede e il web, usati per arruolare e fare proseliti, o anche mandare i
bambini a compiere attentati suicidi: questo sta rendendo estremamente complicate le mediazioni
degli operatori per il rilascio dei minori e sta cambiando il concetto di violenza, usata perumiliare e
annientare tanto fisicamente quanto psicologicamente il nemico infedele, oltre che impressionare
l'opinione pubblica. Anche così si spiegano le "unspeakable violences" a cui fa riferimento il
rappresentante Onu: in base ai rapporti degli operatori Unicef in Siria, i miliziani dell'Is entrano
nelle scuole per prendere i bambini non musulmani e li portano via con il prezzo sul petto per
venderli come schiavi sessuali e militari. E più di una volta gli operatori riportano casi di bambine
stuprate mentre l'aguzzino telefona in diretta al padre.
Schiavi. Non va meglio in Asia, dove il bambino soldato è sfruttato anche a livello economico e
lavorativo. Solo in Myanmar sono almeno 75mila i bambini soldato accertati. La Cambogia ha il
record mondiale di bambini di strada, che sono potenziali bambini soldato. E a Dhakka, in
Bangladesh, interi slum sono abitati da milioni di bambini che vivono per strada o nelle fogne: su
55 milioni di minori, la metà è sfruttata dal lavoro nero e almeno 10mila sono i casi accertati di
schiavi sessuali. Per non parlare delle favelas o del narcotraffico in America Latina. Tutti sono
minori a rischio e le aree in cui vivono, invece di diminuire, aumentano a vista d'occhio.
"Vi racconto come ci insegnano a uccidere"
di SALVATORE GIUFFRIDA
ROMA - "Ciao, sono Ibrahim, puoi chiedere a me per qualsiasi cosa".
Alto, dinoccolato, la carnagione nerissima, gli occhi svegli e rapidi, Ibrahim trasmette quel carisma
silenzioso che si può imparare solo da esperienze che segnano profondamente la propria vita.
Allore a lui chiediamo: "Di dove sei?", "Sudan", ci risponde, secco. "E di quale anno?". Del 1979, e
ci pianta gli occhi curiosi addosso; capisce dove vogliamo andare a parare e anticipa le nostre
domande. "Sono sbarcato a Lampedusa nel 2003".
L'accento romano è forte, l'inglese ottimo, molto british: glielo facciamo notare, lui resta in silenzio.
Una Marlboro lo spinge a proseguire: "Ho studiato al British College". Pausa. Ma solo per
raccogliere le idee. Stava proprio a scuola quando i militari dell'esercito sudanese lo hanno preso:
aveva 13 anni, all'improvviso è diventato un bambino soldato. Al governo c'era - c'è ancora - Omar
Bashir: era il 1992, il Sudan era dilaniato dalla seconda guerra civile. Venti anni di guerra e pulizia
etnica, il Nord contro il Sud; da una parte le truppe
regolari, tra cui Ibrahim, e il Lord resistance Army,
dall'altra l'Esercito di Liberazione del Sudan. Finì
nel 2005 con l'autonomia per il sud, oggi
indipendente: sul terreno due milioni di morti e
oltre 4 milioni di sfollati. Per nulla. Ancora oggi il
Sudan
è
dilaniato
da
una
guerra
civile
interminabile e i bambini soldato sono una triste realtà; nel 2008 la Corte Penale Internazionale ha
spiccato un (inutile) mandato d'arresto contro Bashir per crimini di guerra. Ibrahim racconta dei
massacri che "facevamo nei villaggi, neanche un uccello usciva vivo", delle battaglie durissime per
conquistare la vetta di una montagna. Ma quando parla di Bashir, perde il suo aplomb. "Per chi
combattevo? Per uno che stava seduto su una sedia d'oro. Dovevo fare la mia vita".
Non è stato facile: era diventato capo di un battaglione di 12 bambini, ne sentiva la responsabilità.
Intanto erano trascorsi tre anni e sei mesi sotto le armi. Si decise quando perse il suo migliore
amico, durante un appostamento in montagna: scappò con un volo diretto in Ciad, dove visse di
espedienti. Poi iniziò la sua odissea: Repubblica Centrafricana, Congo, Nigeria, Africa Occidentale.
In Camerun ha fatto contrabbando di sigarette, finché è dovuto scappare. Si era allontanato il
sogno di andare in America, si avvicinava quello europeo. "Ho visto tanta gente che faceva una
vita da cani, nella miseria. Qui anche se guadagno 400 euro li sono un botto e allora rischio il tutto
per tutto e vado". Quelli che non vide più sono i suoi genitori, la sua famiglia. "Ma non potevo
tornare indietro". È arrivato a Lampedusa a 24 anni, ma già adulto. "La guerra ti trasforma per
sempre, diventi un'altra persona e non ti importa niente". Mi mostra una sua foto con una bimbetta.
La sorella, appena nata. "Ora deve essere grande", dice. Un velo di tristezza copre i suoi occhi.
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