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Le pavimentazioni per interni in cotto policromo
Tecnologia Caterina Gargari Le pavimentazioni per interni in cotto policromo La policromia dei moderni laterizi per pavimentazioni rappresenta ancor oggi una risorsa per il progettista che voglia abbinare tradizione ed innovazione interpretando la decorazione non come semplice ornamento ma come vero e proprio dettaglio tecnologico strettamente connesso alla natura dei materiali, alle geometrie di posa e ai requisiti da soddisfare P avire, in latino, significa battere il terreno per livellarlo. Il termine pavimentum, che ne deriva, indicava quindi, in origine, non tanto una specifica unità tecnologia, quanto piuttosto una procedura, messa in atto per rispondere ad esigenze prestazionali ben individuate, quali la planarità, l’igienicità della superficie e la resistenza all’usura. Il pavimento più antico e primitivo nasce, infatti, come semplice strato di terra battuta, pressata e compattata per aumentarne la portanza riducendone al contempo lo spolvero superficiale, ricoperto poi nel tempo da stuoie, tappeti, mattoni, lastre laterizie, pietre, marmi e legni pregiati. Questo legame originario con la terra si impone nella tecnologia elementare, diffusasi in ogni periodo e civiltà attraverso i secoli, dell’ammattonato, ossia del pavimento realizzato con mattoni di Le cromie variegate del cotto tradizionale. argilla cruda o cotta, posti di piatto, di costa o di punta, posati su un piano di sabbia spianato (ammattonato su letto di sabbia) o su un letto di malta (ammattonato su letto di malta). Tecnologia che trova spazio però solo nell’edilizia comune, mentre l’architettura religiosa e ufficiale elegge a decoro dei pavimenti di templi e palazzi la pietra, lo stucco dipinto, il marmo, il mosaico. L’originaria distinzione funzionale tra l’uniformità cromatica e la semplicità di impianto dell’ammattonato e la ricchezza decorativa e formale dell’opus sectile, degli intarsia e dell’opus alexandrinum perdura fino al secolo XVI. L’architettura cinquecentesca riscopre il valore anche decorativo di quello che è stato nei secoli il materiale da costruzione per eccellenza, l’argilla, sfruttandone le infinite varietà e tonalità cromatiche, per creare giochi di 74 CIL 101 chiaroscuro, intarsi con legni, maioliche e marmi pregiati, forme e disegni geometrici che l’evoluzione della tecnica ceramica rende possibile grazie all’invenzione di formati, misure e spessori che trasformano il mattone nella piastrella da pavimento. Materia e colore Il cotto rappresenta ancora oggi uno dei maggiori successi dell’industria italiana dei laterizi, non solo per l’eccellente livello di produzione raggiunto, ma soprattutto per la qualità delle argille italiane dalle quali dipende, in prima battuta, il risultato tecnico, ma soprattutto estetico-cromatico finale del pavimento. Se, infatti, le tecniche di produzione, la temperatura di cottura (900-1200 °C), la creazione di ambienti riducenti od ossidanti possono influire sulla tonalità finale del manufatto, il colore del cotto naturale di- pende in maniera esclusiva dal tipo di impasto utilizzato, ossia dalla sua composizione chimica. La materia prima per la produzione di quelle che, nell’ambito dei materiali silicati porosi(1), sono comunemente definite terrecotte, è un composto di argille vere e proprie, amalgamate, su uno scheletro di sabbie o materiale di granulometria più grossolana, con una serie di sostanze chimiche (ossidi e minerali) e sostanze organiche con impurità di vario genere. Di fatto i depositi di argilla hanno una natura tanto varia che la colorazione dei laterizi diventa una caratteristica tipica del luogo di escavazione dell’argilla di base (Cotto dell’Impruneta, Cotto Veneto, Cotto Padano): il colore delle terre crude deriva, infatti, dalle diverse sostanze minerali in esse contenute. Dal colore grigio di base, ma di frequente anche grigio-verde o grigio-azzurro, si passa a colorazioni bianche (caolini) se l’impasto è privo degli ossidi di ferro che costituiscono invece il principale pigmento responsabile della colorazione rosso-ocracea tipica del laterizio in genere. Il ferro infatti, durante la cottura, tende a conferire, secondo un processo naturale di ossidazione per contatto diretto con l’aria, una colorazione che può variare dal giallo al rosso, al bruno in funzione della presenza nell’impasto argilloso di silice e di altri ossidi naturali: la colorazione gialla, per esempio, può essere dovuta alla formazione di composti di ferro e alluminia, o a notevoli quantità di carbonato di calcio che tendono a schiarire l’impasto; il colore nerastro, all’interno del corpo ceramico, oltre a difetti e disomogeneità connesse con il processo di cottura(2), deriva da pigmenti carboniosi di origine organica (humus); le tinte bluastre sono prodotte dalla pirite (solfuro di ferro) che si combina con la silice a formare masse vetrose scure. Questo, ovviamente, per quanto concerne la realizzazione di impasti da Esempi di tonalità di colore del cotto. Le variazioni cromatiche delle terre invetriate. argille naturali. L’evoluzione delle tecniche di cottura, associata alla larga diffusione dei prodotti smaltati (faenze normali, invetriate e ingobbiate, maioliche, terraglie, grès, klinker) ha spinto l’industria a proporre una gamma di colori rispondenti alle diverse esigenze del mercato, con tonalità spesso molto diverse da quelle proprie delle argille, attraverso l’aggiunta all’impasto di base di pigmenti chimici che consentono variazioni cromatiche che vanno dal bruno-violaceo (manganese), al verde (cromo), al blu (cobalto), per lo più impiegati nella realizzazione di ingobbi(3), smalti e vetrificazioni superficiali. Per contro, per manufatti tradizionali quali il cotto, l’attuale produzione tende ad evitare il ricorso alla colorazione artificiale dell’impasto, prediligendo invece la semplice miscela di argille provenienti da cave se- 75 TECNOLOGIA lezionate che vengono macinate in relazione alla granulometria e al colore di base in modo da ottenere venature naturali. Sfumature e striature, in passato, per il cotto fatto a mano, derivavano principalmente da metodi di escavazione e di impasto affidati all’uso di utensili manuali non in grado di garantire l'uniformità della pasta che, in fase di cottura, dava origine infatti a variazioni tono su tono o a giochi cromatici mai uguali. Analogamente, all’interno delle camere di cottura dei tradizionali forni a carbone, risultava impossibile mantenere temperature uniformi e portate d’aria costanti, assicurate al contrario dalle moderne fornaci alimentate a gas che consentono alla massa argillosa, resa omogenea da specifiche lavorazioni meccaniche, di cuocere in maniera cromaticamente uniforme. Alcuni esempi dei formati presenti sul mercato Schema elemento Formato in cm 50x50 40x40 30x30 28x28 25x25 20x20 15x15 14x14 11x11 6x6 20x40 18x36 Formati Dal punto di vista morfologico, l’introduzione del processo di estrusione per la produzione dei singoli pezzi ha permesso, poi, di ridurre anche le tolleranze geometrico-dimensionali, rendendo trascurabili quei fenomeni di ritiro anisotropo durante la fase di essiccazione, tipici del cotto fatto a mano e dovuti alla più alta percentuale di acqua (3335%) generalmente impiegata per la preparazione dell’impasto molle sottoposto a stampaggio, ridotta invece sino a un 12% negli impasti estrusi. Se la possibilità di ottenere pezzi perfettamente regolari, quando non addirittura rettificati, ha influito non poco sulle tecniche di posa dei pavimenti, come si vedrà più tardi, meno significative sono state le innovazioni relative al formato dei pezzi, che ancora oggi ripropongono figure e forme tradizionali in spessori che variano da 1 a 6 cm in base alla geometria del profilo laterale(4) e della tecnica di messa in opera. 15x30 La posa Oltre ai metodi antichi, 14x28 10x30 9x36 6x28 4x20 15x29 14.6x26 12x25 36x36 34x34 28x13 23x11 7x12 quali la posa su sabbia, oggi spesso recuperati e riproposti non solo negli interventi di restauro, si sono sviluppate, in virtù di questa evoluzione di prodotto, tecniche più rapide e pulite che abbreviano di molto non solo la fase di posa degli elementi in cotto ma il tempo complessivo, compresi lavaggio e trattamento finale, di realizzazione del pavimento finito. Stanti le quattro operazioni fondamentali (posa in opera degli elementi in cotto, sigillatura dei giunti, lavaggio del campo pavimentale, trattamento finale del pavimento), ogni tecnica utilizzata risulta particolarmente adatta ad un tipologia specifica di elemento in virtù, appunto, del suo spessore e della sua forma. La posa del cotto su fondo di sabbia, evoluzione naturale dell’ammattonato, di cui spesso recupera anche la tradizionale tessitura a spina pesce, è destinata infatti ad elementi di alto 76 CIL 101 spessore, che vengono disposti direttamente su strato sabbioso omogeneo, compattato e livellato (circa 4 cm) con giunti aperti(5) di 3-4 mm e poi battuti con martello di gomma. Ovviamente, il risultato tecnico estetico dipende in buona misura dalla natura granulometrica delle sabbie (sabbie troppo fini divengono, infatti, pastose sotto l’influenza dell’umidità, mentre sabbie eccessivamente grosse presentano una scarsa coesione tra i diversi granuli costituenti) e dal modo di realizzazione del letto, che serve da filtro tra il cotto e il sottofondo in calcestruzzo. Anche la successiva sigillatura deve essere realizzata impiegando per l’impasto di malta sabbie fini e pulite, gettate a più riprese con compatattura finale (eseguita con piastre vibranti in acciaio) e bagnatura a pioggia per evitare il dilavamento e solidarizzare l’insieme. Solidarizzazione che richiede anche la predisposizione di adeguate fasce di bordo (cornici)in grado di assorbire le pressioni laterali prodotte dal pavimento sottoposto a carico e che acquistano forte rilevanza estetica nel disegno complessivo del manufatto. Impiegando elementi fatti a mano o di grande formato è possibile prevedere un secondo tipo di posa: in forma puntuale a malta umida. In questo caso, il massetto livellante e il supporto di presa vengono realizzati in un’unica operazione, non a grandi campiture bensì in maniera discreta, facendo corrispondere l’allettamento della malta umida alla posa del singolo elemento in cotto, in modo da bilanciare eventuali discrepanze morfologico-dimensionali dei pezzi con una disposizione a giunti aperti (5-6 mm) sigillati con malta bastarda. Al contrario, nel caso di impiego di pezzi uniformi è possibile scegliere tra la comune disposizione a malta semiumida posata a massetto, che prevede la realizzazione di un massetto semiumido (3-4 cm) di malta di Textures. allettamento su cui viene “spolverata” polvere di cemento per la presa dei pezzi preventivamente inumiditi; oppure la più rapida posa adesiva o a colla cementizia sintetica su pavimenti preesistenti o massetti predisposti, sui quali viene steso uno strato sottile (3-5 mm) di collante su cui possono essere posati, anche a giunto chiuso, gli elementi in cotto, da battere poi con martello in gomma o con vibratrice a rulli. Questa suddivisione sottolinea, in particolare, come la scelta del tipo di giunto da realizzare sia di notevole importanza, per questioni tecnologiche e insieme decorative e cromatiche, nella definizione della posa più appropriata alla natura dell’elemento e alla destinazione d’uso dell’ambiente pavimentato. Il giunto concorre infatti non solo a garantire la deformabilità del rivestimento ceramico in relazione alle sol- lecitazioni e deformazioni sopportate dalla struttura complessiva del solaio, ma a definire l’effetto morfologico e cromatico finale di tutto il campo pavimentale. A seconda dello spessore del giunto e del materiale impiegato nella realizzazione del pavimento (impasti a base cementizia, a cocciopesto tono su tono, stucchi sintetici colorati) si possono ottenere effetti di grande uniformità, con giunti sottili o riempiti con stucchi in assonanza cromatica con gli elementi del pavimento, o campiture frammentate dalla trama delle fughe, enfatizzate da giunti di forte spessore: questi ultimi richiedono però una progettazione attenta e una accurata scelta dei materiali, in modo da tenere sotto controllo eventuali future differenze di planarità tra gli elementi in cotto e i giunti, causate da diverse resistenze all’usura dei materiali. 77 TECNOLOGIA Trame e finiture La definizione del giunto influisce ovviamente anche sul disegno della pavimentazione nel suo complesso, dando risalto alla trama e alla modularità dell’impianto: le fughe inquadrano le tessiture più semplici (a filari contigui, a giunti alterni, a quadri), così come le più complesse (a graticcio, a croce, a stuoia, a spinapesce, a losanga); evidenziano il colore del cotto per contrasto o ne sottolineano l’uniformità per assonanza cromatica rafforzando il tono e l’identità della composizione. Ancor più nel caso delle pavimentazioni policrome in cui il segno di passaggio tra elementi di forma e tonalità diversa rappresenta espressione di una ricchezza compositiva che non si esaurisce nella scelta di un disegno geometrico o di una semplice campitura, ma acquista forza proprio in virtù del gioco di luci e ombre che è possibile ottenere dosando pezzi di colore diverso. Le diverse soluzioni di posa devono in ogni caso garantire quelli che sono i principali requisiti prestazionali ascrivibili ai pavimenti in generale e ai pavimenti in cotto nello specifico, quali la resistenza all’abrasione profonda, la durezza superficiale, la resistenza alle macchie e ai prodotti chimici di uso domestico: parametri che possono essere controllati attraverso una serie di lavorazioni superficiali che rendono l’impasto, prima, e il pavimento, dopo, perfettamente rispondenti alle esigenze d’uso, creando possibili variazioni rispetto al cotto naturale che non di rado comportano risultati cromatici o differenze di luminosità interessanti. Le lavorazioni superficiali possono essere distinte in due grandi gruppi: quelle realizzate “a crudo” sull’elemento, quali lisciatura, arrotatura, sabbiatura, ecc., che assolvono a funzioni puramente estetiche e possono essere impiegate in combinazione per creare nei pavimenti contrasti chiaroscurali e variazioni tono su tono; quelle finali, da realizzarsi in opera, quali carteggiatura, levigatura, sagramatura, che seguono le normali operazioni di lavaggio(6) per l’eliminazione dei residui della fugatura e dei possibili depositi calcarei dovuti alla risalita di sali in superficie, e preparano il supporto ai trattamenti finali per creare sulla superficie un film protettivo all’acqua e alle macchie, garantendo la costante lavabilità del pavimento. A seconda che queste particolari operazioni vengano effettuate con prodotti cerosi/oleosi naturali (olio di lino e cera d’api sciolti in trementina) o di origine chimica, liquidi o in pasta, piuttosto che con idromulsioni sintetiche, si ottengono risultati estetici e cromatici piuttosto variabili: mentre l’impiego di cere garantisce un assetto superficiale del campo pavimentale più naturale e morbido, leggermente risplendente, le soluzioni liquide svolgono non solo una funzione di barriera alla risalita di sali, ma di livellamento della superficie a vista degli elementi in cotto e un effetto bagnato-lucido maggiormente risplendente rispetto al trattamento a cera con un’intonazione generale più uniforme e artificiale. Nel caso in cui, per esigenze di cantiere, sia necessario accelerare i tempi di realizzazione, è possibile ricorrere ad elementi che abbiano subìto lavorazioni già in fase di produzione, pre-cerati o protetti grezzi/finiti, attraverso l’aggiunta all’impasto di prodotti a base d’acqua, atossici e privi di solventi, che garantiscono insensibilità alle macchie evitando aloni di umidità, pur mantenendo la traspirabilità originaria del materiale. Questo tipo di finitura superficiale, lucida o opaca, non richiede, quindi, trattamenti protettivi finali di tipo tradizionale, riducendo conseguentemente i tempi complessivi di esecuzione, ma richiedendo una cura maggiore proprio durante la fase di posa e una pulitura continua degli elementi già disposti per evitare che eventuali tracce di malta o collante si secchino sulla superficie macchiandola irrimediabilmente. In ogni caso, l’ampia gamma di soluzioni possibili e la varietà di formati, colori e finiture disponibili sul mercato del cotto per pavimenti, non fanno altro che arricchire il repertorio di pezzi a disposizione del progettista per creare un gioco continuo di luci e ombre, disegni e campiture originali, in stretta relazione alle di- Possibili finiture superficiali degli elementi in cotto Arrotato il materiale essiccato viene trattato prima della cottura con spazzole d’acciaio Naturale a sabbia la sabbia impiegata come disarmante/distaccante lascia sulla superficie irregolarità che variano in relazione alla natura e granulometria della sabbia stessa. Si impiegano generalmente sabbie fini, sabbie di quarzo o farine Spianato il materiale prima della cottura viene trattato con speciali mole Levigato-bugnato finitura opaca con lavorazione artigianale caratterizzata da leggere differenze di spessore Striato finitura ottenuta attraverso la naturale colorazione dei sali portati in superficie prima della cottura nella fase di essiccazione e leggermente patinato Invetriato sulla superficie ancora umida dell’elemento, viene stesa la vetrina affinché possa penetrare in profondità, amalgamandosi alla terra in modo da fondere con essa durante il processo di cottura; inattaccabile dagli acidi e completamente antimacchia Maiolicato/ diventa impermeabile e antimacchia mantenendo però una buona traspirazione ingobbio ceramico e conservando la resistenza al gelo Lisciato a mano l’argilla viene modellata a mani nude all’interno di singoli stampi di legno; dopo l’essiccazione, l’elemento viene estratto e ripreso a mano per l’eliminazione delle sbavature ai bordi 78 CIL 101 mensioni e alla tipologia di ogni ambiente, nel segno dell’innovazione quanto del rispetto della tradizione costruttiva italiana. ¶ Note 1. La classificazione dei materiali ceramici è stata effettuata da Emiliani nel 1957 sulla base della composizione chimica delle argille: ceramici a base di silicati; ceramici a base di ossidi (semplici e complessi); ceramici a base di non ossidi; ceramici composti. I ceramici a base di silicati, di cui fanno parte i materiali tradizionali, sono poi ulteriormente suddivisi, in funzione delle caratteristiche microstrutturali, in vetrificati o porosi ( fini o grossolani). Il colore del materiale, al contrario, non costituisce criterio di classificazione. 2. È il caso del cosiddetto cuore nero: nella fase di cottura, in elementi di terracotta di un certo spessore, l’ossigeno non arriva al centro: questa parte non ossidata, anche se cotta, non assume le tonalità classiche del laterizio mantenendo il colore grigio naturale dell’argilla. 3. L’ingobbio è un rivestimento non vetrificato, di colore bianco, che applicato su manufatti in pasta rossa consente di ottenere una base neutra per la resa ottimale dei colori costituenti la decorazione a smalto. Spesso associata all’ingobbio, è un particolare tipo di decorazione detta a “graffito”, cioè l’incisione dello strato di ingobbio fino a far emergere il colore rosso sottostante. 4. Le tecniche di produzione moderne consentono di ottenere pezzi “bisellati” con lati e spessori rettificati e calibrati da posare secondo la tecnica tradizionale o con collante, scegliendo fughe da 1-2 mm proprio per esaltare le caratteristiche di regolarità dei singoli elementi nei diversi formati. Al contrario, i pezzi “fatti a mano” per pressatura in stampo presentano profili variegati e irregolari che richiedono fughe di almeno 5 mm, indipendentemente dal fatto che il bordo sia a taglio retto o a taglio obliquo per facilitarne la presa. 5. Due sono le tipologie di giunto possibili: a giunto unito, disponendo gli elementi a contatto tra loro, stuccando il sottile spazio rimanente, oppure a giunto aperto, lasciandoli staccati tra di loro di un valore variabile tra 3 e 8 mm e stuccando lo spazio rimanente con appositi prodotti eventualmente scelti con appropriati colori. Il sistema a giunto aperto è da preferirsi nel caso di elementi fatti a mano o non rettificati, il cui accostamento denuncerebbe chiaramente le imperfezioni, oppure nel caso in cui la struttura di supporto richieda un certo grado di elasticità del rivestimento, poiché, in virtù del loro maggior spessore, sono in grado di assorbire eventuali deformazioni dimensionali. 6. L’operazione di lavaggio, su supporto perfettamente asciutto (15 gg per pose con sigillanti sintetici; 30 gg con malta cementizia; in linea generale 1 settimana x 1 cm di spessore del massetto), può essere eseguita sia con spazzole comuni che con macchinari professionali capaci di esercitare azioni più incisive sulla superficie. ¶