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In questo è tutta la mia forza: guardare ed ascoltare

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In questo è tutta la mia forza: guardare ed ascoltare
XIV Edizione
I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum
Umberto Saba “Ode la voce che viene dalle cose e dal profondo”
26 – 28 febbraio 2015, Firenze, Palazzo dei Congressi
PRIMO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA TRIENNIO
"IN QUESTO È TUTTA LA MIA FORZA: GUARDARE ED ASCOLTARE"
Viaggiando con Saba nella profondità del reale
Studenti: Amir Badreddine, Eleonora Barbano, Marta Durantini, Chiara Salvolini, Antonella
Valenza
Classe IV CM del Liceo Classico "Carlo Rinaldini" Ancona
Docente Referente Prof.ssa Ilaria Sebastiani
Motivazione: Un vero e proprio viaggio nelle liriche del poeta, ricco di suggestioni, finestre, punti di
fuga-Dante, Leopardi, Manzoni, Hugo, ma sempre percorso da una matura capacità di giudizio
personale. Uno sguardo che fa tornare voglia di rileggere Saba, e, in lui, noi stessi.
Prima del viaggio
Umberto Saba dice di sé: in questo / è tutta la mia forza: guardare e ascoltare1. Sono versi che
esprimono azioni apparentemente spontanee, immediate; ma cosa significa guardare e ascoltare?
Da queste parole emerge l'atteggiamento di Saba: egli osserva la realtà, guarda le cose senza la
pretesa di trasfigurarle, ma con il fermo desiderio di comprenderle fino in fondo, andando metri e
metri al di sotto della superficie che ci nasconde l’essenza. Pertanto Saba tiene sempre gli occhi
avidamente / sulle parvenze aperti / delle cose2 perché ha intuito che c’è una voce insita in esse, e
che chi dai suoi ozi si riposa, e ascolta, / ode il monito grave, ode la voce / che viene dalle cose e
dal profondo3. Saba sa che tutte le immagini portano scritto: / ‘più in là’ 4, che c’è un secondo
livello di lettura, ci sono una profondità e una verità nascoste. La voce che gli fa apprezzare la
realtà è però la stessa che gli ricorda la fragilità e il dolore che contraddistinguono l'uomo. Egli
dunque si riconosce negli altri perché ritiene di essere accomunato al resto degli uomini dallo
stesso destino, dallo stesso dramma, dalla stessa malinconia, di cui però non tutti sono
consapevoli. Non tutti infatti sentono quella voce che egli ode: alcuni sono tra chi crede / che la
realtà sia quella che si vede5. Aggiungerebbe Pasolini: Il problema è avere occhi e non saper
1
UMBERTO SABA, Meditazione, vv. 3-4, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere (1900-1954), introduzione
di Nunzia Palmieri, Einaudi, Torino 2014 , p. 26.
2
Id., Girotondo, vv. 17-19, in Cuor morituro, Il canzoniere, edizione citata, p. 313.
3
Id, Il pomeriggio, vv. 16-18, in Trieste e una donna, Il Canzoniere, edizione citata, p. 97.
4
EUGENIO MONTALE, Maestrale, vv. 19-20, in Ossi di seppia, Meriggi e ombre, L’opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p.
70.
5
Id., Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, vv. 6-7, Xenia II, 5, edizione citata, p. 301.
vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi.
Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente.
Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa,
rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio. Ma cos'è questa voce che
egli sente, che riesce a cogliere anche nelle piccole cose, che lo chiama a vivere con partecipazione
il presente e la realtà, che rompe il finito limite e riempie i nostri occhi di infinito desiderio6?
Cercheremo di entrare nella vita del poeta attraverso le sue poesie e la sua quotidianità,
verificando se le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare e ascoltare 7.
Avevo una città bella tra i monti / rocciosi e il mare luminoso8
Dalla violacea foschia del mattino, sottile e diradata, lungo gli scogli prima della battigia, si
impongono decise e pesanti le luci della piazza dell’Unità, ricordo per la città nuovo, ma dal gusto
antico. Questo primo incontro non è altro che il benvenuto poetico e maestoso che Trieste offre.
Quale ingresso più accogliente di un ampio salone da ballo illuminato dalla luna e sovrastato dalla
volta del firmamento? In alto, arroccati sulla torre campanaria del Municipio, i due mori Micheze e
Jacheze vegliano sull’intero golfo, scandendo il trascorrere delle ore con le loro bronzee mazze. Il
rintocco della loro campana raggiunge ogni angolo della città, si arrampica sulle vecchie mura,
sferza le fronde degli alberi nei parchi, entra nelle case dalle fessure degli usci, scende lungo la
scura gola dei camini fino a risuonare, ormai fiacco e appena percettibile, nelle stanze dei triestini.
Ormai oscurità e tenebra che si addensano di notte nell’alto del cielo, cominciano a sfumare in
luce, in basso i lampioni della città a poco a poco cominciano a spegnersi.
Alle prime luci del mattino.
È l'alba. Un fascio di luce rosata accarezza il volto di Umberto Saba, svegliandolo. Si alza e si
affaccia alla finestra per ammirare l'aurora. Scorge una nuvola e nasce dal suo cuore una
domanda: Che fai nel ciel sereno / bel nuvolo rosato, / acceso e vagheggiato / dall'aurora del dì? //
Cangi tue forme e perdi / quel fuoco veleggiando; / ti spezzi e, dileguando, / ammonisci così: // tu
pure, o baldo giovane, / cui suonan liete l'ore / cui dolci sogni e amore / nascondono l'avel, //
scolorerai, chiudendo / le azzurre luci, un giorno; / mai più vedrai d'intorno / gli amici e il patrio
ciel9.
Nella nuvola, con il suo veleggiar, a Saba sembra di scorgere un'ammonizione, sembra che la
nuvola gli stia parlando e voglia ricordargli che anche lui, scolorirà, un giorno; come la nuvola
anche Saba è destinato a spezzarsi.
Il poeta torna quasi a interrogarsi come il pastore errante dell'Asia, dietro il quale si nasconde
Leopardi10: Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna? 11. Anche lui, arrivato a sera, si
6
PIER PAOLO PASOLINI, citato da Fabio Pierangeli, Una domanda a cui non so rispondere, nel numero 11/2000 della
rivista 30 giorni.
7
SERGIO ENDRIGO, Ci vuole un fiore.
8
U. SABA, Avevo, vv. 46-47, in 1944, Il Canzoniere, edizione citata, p. 491.
9
Id., Il Canzoniere, Ammonizione, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 7.
10
Leopardi ha influenzato in modo determinante la poetica di Saba; tanto che egli stesso, in Storia e cronistoria del
Canzoniere (“Poesie dell’adolescenza e giovanili, formazione e origini di Saba”), scrive: «di chi è figlio Saba?Perché tutti,
in arte come nella vita, siamo figli di qualcuno. Non sembra dubbio che, nell'età della sua formazione, il poeta che l'ha
ferma a contemplare il firmamento e si rivolge alla luna: le chiede cosa ci faccia lassù, e, alla fine,
chi sia lui davanti a quel cielo, ed io che sono?12 La natura, con i suoi particolari, aiuta Leopardi e
Saba a confrontarsi con le domande ultime sulla vita: tanto la luna immortale, immobile, apollinea
e distaccata, per contrasto, quanto la nuvola di Saba, mutevole ed effimera, per analogia,
ricordano all'uomo la caducità del suo destino.
Alle prime luci del mattino, capita anche a Giorgio Gaber di essere colpito da particolari della
realtà: so che tutto va in rovina, ma di mattina, / quando la gente dorme / col suo normale
malumore, / mi può bastare un niente, / forse un piccolo bagliore, / un'aria già vissuta, / un
paesaggio o che ne so. // E sto bene, / io sto bene come uno quando sogna. / Non so se mi
conviene, / ma sto bene: che vergogna. // [...] E' come un'illogica allegria, / di cui non so il motivo,
/ non so che cosa sia. // E' come se improvvisamente / mi fossi preso il diritto / di vivere il
presente13.
Gaber prova un'illogica allegria, non si blocca di fronte alla rovina, alla caducità delle cose, va
oltre. Si prende il diritto di vivere il presente, di godere della bellezza presente delle cose, e per
questo sta bene; è un dato di fatto. Saba, invece, in quel bel nuvolo rosato che scorge in cielo vede
solo il presagio di una fine. Come si può star bene con questa consapevolezza che tutto si perde,
che la bellezza è caduca? Cosa può spingere l'uomo a dire: mi sono preso il diritto di vivere il
presente? Saba si ricorda di Glauco, un fanciullo dalla chioma bionda14, che un giorno gli disse:
"Umberto, ma perché senza un diletto / ti consumi la vita, e / par nasconda / un dolore o un
mistero ogni tuo detto?/ Perché non vieni con me sulla sponda / del mare, che in sue azzurre onde
c'invita?/ Qual è il pensiero che non dici, ascoso, / e che da noi, così a un tratto, t'invola? / Tu non
sai come sia dolce la vita / agli amici che fuggi, e come vola / a me il mio tempo, allegro e
immaginoso15". Non che Glauco non sia destinato a scolorire: anche per lui, come per tutti, il
tempo fugge16; la vita fugge, et non s'arresta una hora17; eppure la vita gli appare dolce, il tempo
allegro e immaginoso. Anche Glauco prova una sorta d'illogica dolcezza, un'illogica allegria. Sarà
veramente illogica?
Egli sembra essere attraversato dalla stessa tensione esistenziale, dallo stesso vuoto che affligge
Leopardi. Saba sin da ragazzo ha intuito di essere diverso dai suoi compagni: la mia culla / io la
penso tagliata in strano legno. // Tese l'animo mio sempre ad un segno / cui non tesero i miei dolci
più impressionato è stato il Leopardi. Fra i 16 e i 19 anni egli deve aver avuto per lui una vera passione. […] Il processo
assicurativo al maestro è così impressionante da far pensare ben più ad un'immedesimazione amorosa che ad una
banale imitazione […]. Chi pur mettendoci già qualcosa di suo, "copia" a questo modo, è affine al modello. Non
crediamo che si possa dire - come disse il De Robertis - che Saba abbia «orecchiati qua e là i classici», si tratta piuttosto
di una vocazione profonda, prenatale. […] Sia come si voglia, è certo che quando, nella sua cameretta «dove nessuno
aveva parlato a lui di buoni o di cattivi autori», Saba lesse per la prima volta Leopardi, deve aver avuta l'impressione
non già di leggerlo, ma di rileggerlo» (pp. 39 e 41).
11
G. LEOPARDI, Canti, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv. 1-2.
12
Ibid., v. 89.
13
G. GABER, Illogica allegria.
14
U. SABA, Glauco,v. 1, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 14.
15
Ibid., vv. 5-14.
16
Id., A mamma, v. 96, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 21.
17
F. PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta, CCLXII, 1.
compagni18. E ora che è cresciuto la sua vita gli sembra mutata: Come tutto mutò! Come la vita /
diversa oggi m'appare! / Quante immagini care / m'han, via fuggendo, l'alma impaurita. / Quanta
dolcezza, quanta ingenua fede / l'ha in brev'ora lasciata! / Così spezzarsi, dileguar si vede / nube in
cielo rosata. [...] Io scorderei di certo / di mia vita l'errore; / ritornerei fanciullo ed inesperto /
dell'umano dolore19. Ha una sensibilità che lo porta a percepire tutta la drammaticità
dell'esistenza. Avverte un tedio, una sottile / malinconia, che dalle cose in ogni vita si insinua, e fa
umili i sogni / dell'uomo che il mondo ha nel cuore. Gli capita che il cuore “strugga”, vagante
fiamma / nei dì festivi, la malinconia20, come accadeva a Leopardi, mentre tutta Recanati era in
festa21. La caducità, la fragilità che caratterizza le cose terrene e l'uomo, può rattristare: cosa bella
mortal passa, et non dura 22.
È ormai mattina, e come ogni mattina Saba esce per la sua passeggiata triestina, tenendo bene a
mente le parole di Glauco. S'incammina con l'intenzione di guardare ed ascoltare la realtà, di
vedere se ha qualcosa da dirgli, qualcosa di dolce.
Al seno approdo di colei che Berto ancora mi chiama23
Esce dalla sua casa e, percorrendo via Chiozza, si dirige verso il centro della città. È una mattinata
limpida, ma fredda, di quelle tipiche del nord, in cui il sole illumina ogni cosa ma non scalda, come
se, vergognoso, lasciasse stare nel loro intimo i pensieri e i sentimenti delle persone, limitandosi a
scandire notte e giorno. Un vento gelido, pungente, soffia da nord e s'incanala stretto nei vicoli del
centro storico. Saba, senza avere una meta prestabilita, mettendo semplicemente un passo dopo
l'altro, si avvicina lentamente a piazza Unità d'Italia. Comincia a sentire lontano i rumori del
mercato e in sottofondo, come una leggera musica, le onde del mare in burrasca. È solo per la
strada ed è ancora troppo presto per aprire la libreria o per andare a chiacchierare con gli altri al
caffè Garibaldi, non c'è neppure un negozio aperto. Prende allora un vicolo laterale svoltando in
una stradina a caso, tra le tante che ci sono a Trieste. Cammina in silenzio, a testa bassa,
lasciandosi guidare solamente dal susseguirsi dei pensieri nella sua mente, le mani sprofondate
dentro al vecchio cappotto di panno. Ad un tratto, la via lastricata sotto i suoi piedi comincia a
diventare ripida. Alza lo sguardo. La sinagoga a destra. È in Via del Monte. A Trieste ove son
tristezze molte, / e bellezze di cielo e di contrada, / c'è un'erta che si chiama Via del Monte. /
Incomincia con una sinagoga, / e termina ad un chiostro; a mezza strada / ha una cappella; indi la
nera foga / della vita scoprire puoi da un prato, / e il mare con le navi e il promontorio, / e la folla e
le tende del mercato24. Quanti ricordi legati a questo luogo gli riaffiorano alla mente, ma tra tutti
uno li sovrasta: l'immagine della sua vecchia nutrice25 Peppa, così cara a lui da trasformare Via del
18
U. SABA, A mamma, vv. 46-49, cit.
Id.,in Lettera ad un amico pianista studente al Conservatorio di..., vv. 33-40 e 53-56, in Poesie dell’adolescenza e
giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 9.
20
Id., A mamma, vv. 17-18, cit.
21
G. LEOPARDI, Canti, Sabato del villaggio; Sera del dì di festa.
22
F. PETRARCA, RVF, CCXLVIII, Chi vuol veder quantunque po' Natura, v. 8.
23
U. SABA, Tre poesie alla mia balia, I, vv. 11-13, Il canzoniere, edizione citata, p. 389.
24
Id., Tre vie, vv. 18-26, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 89.
25
Id., Tre poesie alla mia balia, II, v. 3, Il canzoniere, edizione citata, p. 390.
19
Monte, una via patetica26, ne la via dei santi affetti. Ogni tanto entra di nuovo nella casa in cui
aveva abitato da fanciullo, per andare a trovare la sua balia. Non si ricorda molto di quel periodo,
solo alcune immagini, come fotografie, ormai sbiadite nella mente del poeta. Nel piccolo
appartamento, accanto al tavolo della cucina c'era una finestra, dalla quale si godeva di una vista
su tutta la città, dalla campagna fino al mare. Il piccolo Berto, appoggiato al davanzale, osservava
la sua amata Trieste, e gli giungeva dalla casa un suon di care voci […], e l'odore della cena27. Ma,
nella sua mente, l'unico ricordo indelebile di quel tempo, è legato al giorno che a lui fu così
atroce28, quel giorno in cui la madre per averlo lei sola, all'amore / di cui tre anni viveva, lo tolse29.
La madre, infatti, donna dura, alla nascita del piccolo Berto, poiché il padre di quest'ultimo l'aveva
abbandonata prima che egli nascesse, aveva deciso di affidarne la crescita a una nutrice, la quale
morto il suo figlio unico, in luogo / l'ebbe di quello30. Peppa, infatti, aveva perso il suo unico figlio e,
proprio per questo, quando le era stato affidato il piccolo Berto, aveva ritrovato l'opportunità di
donare a lui tutto l'amore che non aveva potuto dare al figlio naturale. Era giunto però il momento
del distacco, il giorno fatale che Saba, forse, non superò mai veramente. …Un grido / s'alza di
bimbo sulle scale. E piange / anche la donna che va via. Si frange / per sempre un cuore in quel
momento. […] Anch'ella fu di lasciarlo infelice, / non volontaria lo lasciava. Il mondo / fu a lui
sospetto d'allora, fu sempre / (o tale almeno gli parve) nemico31. Era stata la madre mesta32,
Rachele, definita con gli stessi termini utilizzati da Ugo Foscolo in In morte del fratello Giovanni, a
creare questa enorme crepa nell'anima del figlio, a volere lo strappo con la madre di gioia, Peppa,
perché gelosa del rapporto che si era creato fra i due. La balia è l'unica persona con cui Saba sia
mai riuscito ad instaurare un rapporto vero, confidenziale. È l'unica donna della sua vita che non
l'abbia mai ferito, come invece hanno fatto la madre, la moglie e la stessa città: Trieste. Per questo
è, forse, l'unica donna di cui si fidi ciecamente, e allo stesso modo, Peppa, continua a dimostrargli
il suo affetto ed il suo appoggio, anche se il bimbo / è un uomo adesso, quasi un vecchio, esperto /
di molti beni e molti mali33. Ma, anche se gli anni passano, a una nutrice, il bambino a lei affidato,
sembra non crescere mai, sembra portare sempre le stesse calze … di color celeste34, sembra
rimanere se stesso nell'animo nonostante i cambiamenti dell'aspetto esteriore. Questa è la più
grande abilità delle nutrici, vedere con gli stessi occhi il bambino, l'adulto e il vecchio, abilità che
ha anche Euriclea, l'unica a riconoscere Ulisse al suo ritorno a Itaca dopo che tanti anni e tante
disavventure hanno segnato l'aspetto dell'eroe. Umberto Saba stesso paragona il momento del
suo ritorno in Via del Monte al momento in cui Ulisse torna in patria: Alla sua cara Itaca Ulisse /
non ebbe forse un più lieto ritorno / del mio, di Berto in Via del Monte. Il giorno / era sereno
fulgido; modello / rimasto in me d'ogni bel giorno, immagine / viva parlante di felicità35.
26
Id., Storia e cronistoria del Canzoniere, Trieste e una donna.
Id., La casa della mia nutrice, vv. 13-14, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 8.
28
Id., Berto, v. 48, in Il piccolo Berto, Il canzoniere, edizione citata, p. 393.
29
Ibid., v. 49.
30
U. SABA, Il figlio della Peppa, vv. 14-15, in Il piccolo Berto, Il canzoniere, edizione citata, p. 401.
31
Id., Tre poesie alla mia balia, III, vv. 1-4 e 12-15, in Il piccolo Berto, edizione citata, p. 391.
32
Id., Storia e cronistoria del Canzoniere, Il piccolo Berto
33
Id., Tre poesie alla mia balia, III, vv. 7-9, cit. .
34
Id., Berto, v.4., cit.
35
Id., Partenza e Ritorno, vv. 41-46, Il piccolo Berto, edizione citata, p. 404.
27
“Odi et amo”: solo il pensiero di lei ti consuma 36
Arrivato in cima all'erta, il poeta poggia le mani sul parapetto in marmo che dà sulla città
lasciandosi alle spalle il boschetto di Via del Monte. Il sole è ormai completamente sorto e ha
cominciato a scaldare l'aria; con fare malinconico, Saba prende da una tasca del cappotto la
scatolina di latta in cui tiene il tabacco, dall'altra la pipa ormai consunta e a lunghe boccate inizia a
fumare. Ripercorre la tanto cara strada in discesa, verso il centro della città, ripassando di fronte al
tempio israelitico ai piedi dell'erta. Via del Monte è, infatti, per Saba la via dei santi affetti, non
solo per la presenza della casa della sua amata nutrice, ma anche perché proprio in quella
sinagoga si è sposato con Lina. Il primo a parlargli della Lina fu un innamorato della sorella più
giovane. [...] Sapeva che abitava in via Domenico Rossetti, ma ignorava (o l’aveva già
dimenticato?) il numero della casa. Procedeva – per così dire – alla cieca, quando, alzando gli occhi
ad un pianterreno, vide una donna bruna, coi capelli nerissimi, che le ricadevano inanellati fin sulle
spalle, intenta ad innaffiare dei vasi di gerani, esposti, perché prendessero aria, alla finestra. Capì –
sentì – subito che quella, o nessun’altra, era sua moglie. La guardò intensamente; poi disse: «Mi
scusi, signorina, è lei Lina?». «E lei» rispose, sorridendo, la Lina «è Umberto» 37. Lina stava
affacciata alla finestra come la Giulietta di Shakespeare mentre prometteva a Romeo il suo amore
per l'eternità. I due, infatti, pur essendosi incontrati solamente una volta, sentivano già di essere
destinati l'uno all'altra, così come Saba, avendo solamente sentito parlare di Lina, appena la vede
sa già che lei, e soltanto lei, potrà essere sua moglie. Come Giacomo Leopardi, il quale, osservando
dalla finestra Silvia, la cui mano percorrea la faticosa tela, scopriva attraverso lei per la prima volta
il vero; allo stesso modo Saba, guardando Lina annaffiare i gerani sul balcone, se ne innamorava a
tal punto da farla ispiratrice delle sue poesie e mezzo per conoscere il mondo e per arrivare alla
realtà di questo. Nel Canzoniere, la figura femminile più importante è sicuramente Lina, tanto che
il poeta dichiara di non poter vivere senza di lei, ma neanche con lei, dato che è a volte ingiusta,
quasi crudele, come la stessa città che gli diede i natali. Entrambe si fondono nella sezione Trieste
e una donna, in cui talvolta l'amore del poeta per la città supera quello per Lina, talvolta il
contrario. Egli, infatti, si sente spesso sopraffare dalla figura femminile, sia essa Trieste o Lina, che
ha sempre la meglio su di lui, in un incessante altalenarsi di amore e odio. Nell’ultima strofa della
poesia Il molo, questa fusione tocca il suo apice: Né a te dispiaccia, amica mia, se amore / reco pur
tanto al luogo ove son nato./ Sai che un più vario, un più movimentato / porto di questo è solo il
nostro cuore. Da quanto traspare però nelle poesie successive, l'idillio fra i due coniugi sembra
incrinarsi. Ad esempio, nella poesia 14 dei Nuovi versi alla Lina, sia attua il distacco, sebbene mai
completo, come se i due antagonisti si sentissero entrambi incapaci di uno di quei tagli netti che
soli possono risolvere le situazioni amorose troppo complicate38.
Trieste e una donna.
36
Id., Nuovi versi alla Lina, 11, v . 3, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata , p. 117.
Id., Ricordi-Racconti, Come di un vecchio che sogna.
38
Id., Storia e cronistoria del Canzoniere, Trieste e una donna, p. 87.
37
Dico: "Chi sa se saprò perdonarmi; / se più mai ti vedrò quella di prima?" / Dici: "In alto mi vuoi
nella tua stima? / Questo tu devi: amarmi".39
L’amore viene tradito da Lina, eppure si rinnova: On a vu souvent rejaillir le feu d'un ancien volcan
qu'on croyait trop vieux40. L’affetto che Saba riversa sulla donna amata è tenero e umile, non
eccede mai nell’esternazione spudorata ed esasperata; non ha bisogno di urlare il suo amore per
far capire a Lina che c’è. Egli scrive: Pure non t’odio; e solo una preghiera volgo, per tanta
sconoscenza, a Dio:che sappi un dí che immensa cosa egli era questo vecchio amor mio 41. Il
sentimento d'amore che prova Umberto Saba resta infrangibile, come Durendal, la chiara spada di
Orlando: Colpisce Orlando la pietra di Cerdagna: / stride l’acciaio, non si rompe né scheggia. /
Quando s’accorge che non la può infrangere, / fra sé e sé prende allora a compiangerla42; Saba non
riesce ad odiare Lina per ciò che ha fatto e per come ha mortificato la dignità dei suoi sentimenti,
eppure una parte di sé desidera distruggere quell’amore tanto amato, tanto sentito, proprio come
fa un bambino con il suo giocattolo preferito, ormai contaminato da un’altra mano. Impossibilitato
a compiere un tale gesto estremo, compiange il suo amore e desidera solo che un giorno, non
importa quando o come, ella apprezzi la grandezza dell’amor suo. Come Saba ha un legame
inscindibile con Lina, così lo ha anche con la sua città. Nei suoi scritti, Trieste è sempre in continuo
cambiamento, apparendo ora come culla, ora come prigione, ora come amante e traditrice. Il
rapporto di amore e odio fra l’autore e Trieste è straordinario: il sentimento di amore è
consolidato dalla presenza dell’odio e dalla incapacità di lasciare definitivamente la gabbia che lo
opprime. Trieste è, infatti, una gabbia dalle sbarre dorate che trattiene, ma al contempo protegge
da tutto ciò che le è estraneo. Per il poeta, la sensazione provocata dall'allontanarsi dalla città era
un misto di malinconia [...] e d'un desiderio di vedere quelle gran cose nuove, quei paesi
meravigliosi che c'erano sicuramente di là di quella linea di colline43. Il poeta cerca un luogo
deserto lontano dal tumulto cittadino: un cantuccio in cui solo / siedo; e mi pare che dove esso
termina / termini la città44, un luogo isolato che gli concede di poter ascoltare attentamente le sue
voci interiori. Come in Petrarca, l’isolamento è la condizione e, insieme, il filtro indispensabile alla
percezione delle cose: unicamente facendosi solo et pensoso45 Saba può sentire la voce che viene
dalle cose e dal profondo. Come Saba, anche Petrarca riconosce lo spazio attorno a lui partecipe
della sua complicata esistenza: […] mi credo omai che monti et piagge / et fiumi et selve sappian di
che tempre / sia la mia vita, ch’è celata altrui46.
I Prigioni
Saba, cercando tra i vicoli della città un cantuccio dove possa rifugiarsi, riflettere, entra in un parco
e si siede su una panchina. Attorno solo verde. Chiude gli occhi e inspira a pieni polmoni l'aria ricca
di ossigeno. Quando li riapre di fronte a lui vede un ragazzo. È seduto sul prato e sembra avere
39
Id., Nuovi versi alla Lina, 14, vv. 9-12, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 124.
J. BREL, Ne me quitte pas (“Spesso si è visto tornare il fuoco di un vulcano spento che si credeva troppo vecchio”).
41
U. SABA, Nuovi versi alla Lina, 2, vv. 9-12, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 112.
42
Chanson de Roland, a cura di Cesare Segre, lassa CLXXI, 2312-2315 (traduzione italiana di Pietro G. Beltrami).
43
U. SABA, Prose, Mondadori, Milano 1964, p. 245.
44
Id., Trieste, vv. 5-7, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 79.
45
F. PETRARCA, RVF, XXXV, v. 1.
46
Ibidem, vv. 9-11.
40
l'aria di uno che aspetta, ma senza fretta, l'arrivo di qualcosa che desidera ardentemente. Glielo si
legge dallo sguardo. È L’Appassionato47, dominato dal πάθος, inteso non come sofferenza o
passività, ma, al contrario, come forma prima d’amore. Non è una brezza lo spirito: è un vento
impetuoso, ond’anche il Fato è scosso48. L'amore gli ha conquistato l'anima, e ne è diventato il
padrone, come è accaduto anche a Guido Cavalcanti, quando scrive: Voi che per li occhi mi
passaste ‘l core / […], guardate a l’angosciosa vita mia, / che sospirando la distrugge Amore49. La
passione in Cavalcanti, così come nell'appassionato, è qualcosa che devasta, ma che presenta
situazioni nuove e impreviste, che apre all’uomo vie alternative, che lo spinge ad azioni altrimenti
irrazionali. Saba si riconosce nel ragazzo che ha di fronte: anche egli è costretto a trascorrere
un'angosciosa vita, resa tale dalla guerra combattuta contro Amore; ma contemporaneamente,
questa guerra è per Saba fonte di ispirazione poetica, lo spinge infatti a scrivere.
Poco più in là Saba vede un uomo: anche egli aspetta. Ma ha un atteggiamento completamente
diverso rispetto al ragazzo sul prato. Aspetta in disparte, sotto a un albero, guardandosi intorno
con circospezione. È trepidante, ma sta cercando di non farlo trasparire, pur senza successo: è
L'amante.
Per Saba l’amante occupa una posizione ambita, quella illuminata dai raggi della gloria: Sul capo io
porto un serto glorioso50: ha il capo cinto da una corona d’oro. Significa che quando si ama si è
stefani, incoronati, anche se l'amante dice: Amo una donna con cui mai non giacqui, / né mai mi
giacerò, cui sempre tacqui / l’amor mio, che affissarla appena oso51. Colui che sa amare
veramente, è capace di farlo anche se l'oggetto del suo amore è lontano. L’amore è un sentimento
interiore talmente delicato che, molto spesso, se venisse in superficie, rischierebbe di perdere
valore o di non esser corrisposto, perciò di infrangersi e segnare indelebilmente l’anima.
Saba si rispecchia nei due sconosciuti osservati finora, rivede in essi gli stessi sentimenti d'amore
provati per Lina. Sono i cosiddetti Prigioni, ossia persone incontrate nella sua esperienza
quotidiana ed entrate a far parte del suo sé, persone in cui egli è riuscito ad identificarsi. I prigioni,
sono insiti in lui, allacciati alla sua anima e le loro caratteristiche collimano con le istanze dell’io
dell'autore. Nell'Appassionato ha visto un frammento della sua anima: Ha qualcosa di me, di me
lontano / nel tempo52. I Prigioni di cui scrive non sono sei come le famose statue di Michelangelo,
bensì molti altri ancora, una varia umanità accomunata dall’essere fortemente legata alla terra,
dominata dalle passioni umane.
Saba si allontana dal parco rimpiangendo il tempo trascorso, poiché pensa di non poter tornare ad
essere quel Fanciullo Appassionato, che è stato un tempo.
Spero ancora un rifugio allo stratempo53
In un momento di chiusa tristezza come questo, in cui il confine tra memoria e rimpianto è
invisibile quanto la linea che separa cielo e mare in una giornata nebbiosa, al poeta smarrito
47
U. SABA., L'appassionato, in I prigioni, edizione citata, p. 264.
Ibid., vv. 3-4.
49
G. CAVALCANTI, Voi che per li occhi, vv. 1-4.
50
U. SABA, L'Amante, v. 1, I prigioni, Il canzoniere, edizione citata, p. 265.
51
Ibid., vv. 2-4.
52
U. SABA,, Il Fanciullo Appassionato, vv. 3-4, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 104.
53
Id., Porto, v. 13, in Ultime cose, Il canzoniere, edizione citata, p. 486.
48
rimane una sola via familiare, nella quale la sua anima può trovare conforto: Via del Lazzaretto
Vecchio.
Tra le case uno spicchio di mare lo attira, come se fosse un fiume di pensiero che corre verso la
sua foce spinto dalla corrente, cercando una via di fuga senza essere inseguito da altri che da se
stesso. Tenendo gli occhi fissi sulla distesa azzurra che lo accoglie, il suo corpo avanza liberandosi
dalle mura opprimenti che gli stanno intorno e lo soffocano, fino a che non arriva alla riva. L’odore
della salsedine gli pervade le narici, mentre la brezza che si alza dal mare lo investe e lo chiama a
sé.
Saba non è altro che il prigioniero in riva al mare, / cui l’acqua entrava nella tonda cella, / che per
non affogare / senza posa doveva lavorare / a ricacciarla onde torna in eterno54, condannato a
compiere una fatica di Sisifo: lo sforzo di cercare di liberarsi dai suoi stessi pensieri. Sebbene basti
spezzare una catena per liberare un corpo, per la liberazione dell'io questo non basta, e Saba ce lo
documenta: egli è come un "prigioniero dell’anima" per cui il mare non è altro che un fossato,
limite invalicabile.
I muri più difficili da abbattere sono proprio quelli invisibili, quelli del carcere del nostro cogito,
che derivano dai nostri pensieri, dal nostro disagio esistenziale, dallo smarrimento che sentiamo
nei luoghi più familiari e dalla solitudine, che diventa ancora più forte quando siamo circondati da
altre persone. Queste barriere sono le stesse che opprimono Pink, il protagonista di The Wall, il
concept album dei Pink Floyd: il muro non è solo una prigione, ma anche una protezione dalla vita
stessa e nel momento in cui è condannato ad abbatterlo, il prigioniero è più che mai esposto e
nudo. Per Pink, il crollo del muro nasce da una profonda analisi interiore, che anche Saba tenta di
realizzare, fino a quando non si rende conto che per lui il male di vivere è inseparabile dal vivere
stesso e che, se abbattesse le sue barriere, potrebbe perdersi. Come scrive Jim Morrison, gli
individui in realtà sono terrorizzati dall'idea di essere davvero liberi e liberati, e si aggrappano alle
proprie catene avversando chiunque tenti di spezzargliele, perché quelle catene sono la loro
sicurezza55.
Il desiderio di andare oltre i confini, muri o siepi, per un uomo non è realizzabile con il proprio fare,
con le proprie forze. Come Leopardi e Montale, anche Saba si rende conto che non possiamo né
scavalcare il rovente muro d’orto che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, né vedere al di là della
siepe: possiamo limitarci a “naufragare” dolcemente nel mare dei nostri pensieri e, in quanto
poeti, il mezzo che conduce alla libertà, la navicella che può solcare gli sconfinati mari della
fantasia, è la poesia. Per Saba, l’arte d’incider carte di difficil versi56 è tutto ciò che gli resta, deve
scrivere come la gallina fa l’uovo57. La poesia, infatti, non è la commemorazione dei protestanti,
ma l’ostia del rito cattolico58: e non è un caso che, nel Canzoniere, i testi metapoetici siano anche
quelli che portano messaggi di speranza. La poesia è ciò per cui vale la pena vivere, il mezzo per
esprimersi e rapportarsi con gli altri, così vicini ma anche così ultimamente distanti da sembrare
54
Id., Nuovi versi alla Lina, 6, vv. 5-9, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 116.
JIM MORRISON, Black book, Menzogne in libertà.
56
U. SABA, Il poeta, vv. 6-8, in Preludio e canzonette, Il canzoniere, edizione citata, p. 333.
57
Id., Le mie poesie, vv. 2-3, in Quasi un racconto, Il canzoniere, p. 575.
58
Id., Quel che resta da fare ai poeti, p. 676.
55
alieni: sebbene siano diversi, chi sa osservare riesce a cogliere aspetti di se stesso nell’umanità
degli altri.
Distogliendo la mente dai suoi pensieri inconcludenti, Umberto rivolge lo sguardo a dei marinai,
che in lontananza si affaccendano sul ponte della nave, come se, analogamente a lui ma con mezzi
diversi, volessero arrivare oltre i limiti. Rivede in loro non solo la voglia di andare avanti, senza
nemmeno sapere dove si è diretti, ma anche la solitudine: perché è proprio il mare, che più passa
il tempo e più non sa di niente59 che lo fa giungere a un culmine del suo dolore umano. E’ facile
perdersi, come Ulisse, nella distesa azzurra, sospinti dal non domato spirito60, dimenticando
l’amata moglie e il figlio61, nell’estenuante ricerca di un risposta: Saba cerca la verità nella poesia,
usandola come strategia di guarigione, quando invece la soluzione è nel vivere.
Questa ricerca, oltre che infruttuosa, può essere anche molto pericolosa, come sperimenta l’Ulisse
di Pascoli, eroe stanco e decaduto che, pronto a ricercare la verità fino alla fine, muore senza
conoscerla: crollano le risposte e restano solo dubbi, tutte le sue conoscenze, persino la coscienza
di sé, vengono scardinate, finché lui non è più Nessuno. L’eroe greco antico di Omero è diventato
un inetto con il suo Io frammentato, confuso, debole e irrisolto, il cui viaggio è come quello di
Bloom, protagonista dell’Ulysses di Joyce, che non porta né ad alcuna meta né ad alcun risultato,
attraverso un percorso segnato da insuccessi, sconfitte e delusioni. Anche per Saba, il regno di
Ulisse è diventato la terra di nessuno e il porto è sempre un punto di partenza, ma mai di arrivo.
Per tutta la vita, resterà nella sua mente quel desiderio di scoperta, di ricerca di qualcosa oltre la
sua patria, vorrebbe essere come l’Ulisse di cui scrive: Il porto / accende ad altri i suoi lumi; me al
largo / sospinge ancora il non domato spirito, / e della vita il doloroso amore62, ma invano, quasi
come se non prendesse in considerazione l’opportunità di prendere il largo insieme ai pensieri e
alle emozioni di un’intera esistenza. In fondo, Saba non è altro che un moderno Amleto con
l’animo di Ulisse; vorrebbe evadere da Trieste per andare alla ricerca di nuove sensazioni, ma una
parte dell’animo, l’incertezza, riesce ad imporsi sul suo spirito di avventura. Essere o non essere, è
questo che mi chiedo: / se è più grande l’animo che sopporta / i colpi di fionda e i dardi della
fortuna insensata, / o quello che si arma contro un mare di guai / e opponendosi li annienta.63. Nel
cuore di Saba, essere significa andarsene, non essere restare con i piedi ancorati a terra e dover
avere costantemente davanti a sé solo la proiezione di una vita pienamente riconosciuta ed
appagata.
I marinai si allontanano fino a diventare dei puntini all’orizzonte, mentre il Sole, ormai quasi al
tramonto, proietta ombre sottili sull'asfalto. Allontanandosi da un luogo così caro, Saba torna sui
suoi passi dentro alla città, fermandosi solo meccanicamente per mangiare dando le spalle al
mare.
59
L. DALLA, Ma come fanno i marinai.
U. SABA, Ulisse, v. 12, in Mediterranee, Il canzoniere, edizione citata, p. 535.
61
Dante Alighieri, Divina commedia, Inferno, XXVI, vv. 94-100: “[…] Né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre,
né 'l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta, // vincer potero dentro a me l'ardore / ch'i’ ebbi a divenir del
mondo esperto, / e de li vizi umani e del valore; // ma misi me per l'alto mare aperto[…]”.
62
U. SABA, Ulisse, vv. 10-13, cit.
63
W. SHAKESPEARE, Amleto, Atto terzo, scena prima, vv. 56-60 nel testo originale inglese (trad. it. di N. D’Agostino,
Milano, Garzanti, 1984).
60
Io ritrovo, passando, l’infinito / nell’umiltà64
Passando di fronte alla vecchia insegna di un’osteria, sente il tintinnio delle posate sui piatti,
l’odore del baccalà e le risa provenienti dall’interno. Decide di entrare. Non appena mette piede
nel locale, il tepore che una grossa stufa di rame diffonde nella stanza, affollata di pescatori
appena tornati dal mare, lo accoglie come un abbraccio familiare; il sentore del vino e dell’allegria
che esso provoca lo fanno sorridere dolcemente, come se avesse appena ritrovato un vecchio
amico. Una cameriera lo urta. Saba scorge appena il suo viso, prima che lei si volti per servire uno
dei tanti ospiti. È un attimo, i loro occhi si incrociano e per un momento tutto si attutisce, come se
intorno ai due si creasse una bolla di sapone: Io non so s’altri scerna / quello che in te ho veduto. /
Un angelo ho veduto / servire alla taverna. // Che pace in cor si spande / a vederti girare / fra i
tavoli, portare / leggera le vivande65. Neanche lui sa bene spiegarsi che cosa è appena successo,
probabilmente è stata la stanchezza, nulla di che, forse il fatto che con quel volto un buon pensiero
/ mi venne, un buon pensiero veramente. / Ed ubbidirgli non costava niente / dolore a me, niente
dolore altrui66. Saba si siede ad un tavolo vuoto in un angolo buio dell’osteria, mentre una leggera
sensazione di benessere gli pervade il corpo. Ordina un piatto di polenta e del vino, dato che La
vita è così amara, / e il vino così dolce; / perché dunque non bere?67 Con il vino, ogni triste pensiero
/ tu abbia nella mente / ti si muta in delizia. // Quasi una puerizia / si fa l’età matura, / un intimo
sorriso. // Allora è paradiso68. Poco dopo la cameriera, raggiunge il tavolo del poeta e appoggia il
piatto fumante e un fiasco sulla tavola. Alza gli occhi. Guardando meglio quella ragazza, Saba si
rende conto di quanto il suo volto sia dolce, le chiede il suo nome. Risponde: “Eleonora”. Dei
pensieri nascono nella sua mente, al suono di quella parola, e dei versi si compongono
immediatamente, limpidi: Là una fanciulla ti viene a servire, / del padre ancora e della madre
amante. / O puro amore, o grazia folleggiante! / Ella ha un nome dolcissimo: Eleonora; // e un viso
ancor più dolce, di pastora69, come se non stessero aspettando altro per essere composti. Era
bastato non disturbare, con importune trasposizioni, lo spontaneo fluire e trasfigurarsi in poesia
della vita70. Dal cantuccio in cui si trova, Saba vede tutta la sala gremita di gente, in silenzio
osserva, scruta, legge ogni personaggio che il suo sguardo incontra. È un’osteria di ladri, di
baldracche covo // […] di plebe71. Indifferenti/ cenano accanto a me due muratori;/ e un vecchietto
che il pasto senza vino/ ha consumato, in se si è chiuso e al caldo / dolce accogliente, come
nascituro / dentro il grembo materno72. Deserta com’è lungo il caldo giorno ,/ sulle pareti
un’isoletta è pinta, / verde smeraldo, e il mar con pesci ha intorno. / Ma di fiumi e di canti a notte è
piena; / un dalmata ha con sé la più discinta; / ritrova il marinaio la sirena73. L’anima mia che una
64
U. SABA, Città vecchia, vv. 9-10, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 81.
Id., Eleonora, vv. 34-41, in Cuor morituro, Il canzoniere, edizione citata, p. 327.
66
Ibidem, vv. 11-14.
67
U. SABA, Canzonetta 3, Il vino, in Preludio e canzonette, vv. 1-3, Il canzoniere, edizione citata, p. 217.
68
Ibidem, vv. 4-10.
69
U. SABA, Eleonora, vv. 21-25, cit. .
70
Id., Storia e cronistoria del Canzoniere, Trieste e una donna.
71
Id., Caffè Tergeste, v. 4 e 13, in La serena disperazione, Il canzoniere, edizione citata, p. 149.
72
Id., Cucina economica, vv. 12-17, in Il piccolo Berto, Il canzoniere, edizione citata, p. 395.
73
Id., L’osteria «All’isoletta», vv. 7-12, in La serena disperazione, Il canzoniere, edizione citata, p. 139.
65
sua pena ha vinta, / con occhi nuovi nell’antica sera / guarda un pilota con la moglie incinta74. C’è
un uomo a un tavolo, circondato da una compagnia, riceve le attenzioni di tutti, ma non ne dà a
nessuno. Non riesce a stare fermo sulla sedia, i suoi occhi si spostano da un lato all’altro della
stanza senza posa, osservano tutto e niente, ansiosi di poter cogliere ogni singolo particolare del
luogo in cui vagano, ma senza rendersi conto di come, in realtà, non riescano ad afferrare nulla: io
son prigione di un pensiero. Ossesso / da lui, mentre fra gli altri uomini vivo / (mera apparenza), sol
da lui derivo / l’essere, tutto quanto in lui son messo75. Un altro sta in un angolo. Di fronte ha una
ragazza. Lei gli parla velocemente, sorride e ammicca, civettuola. Lui la osserva e sembra non
ascoltare, ha un cappello calcato sugli occhi; una sigaretta accesa si consuma fra le sue dita; le sue
labbra semichiuse sembrano dire Mendace / non sai s’io sono, o veritiero. Parte/ di me ti svelo, e ti
nascondo ad arte / quanto non vo’ di me tu sappia. […] Se m’allieti di te o di te m’attristi./ se il mio
schiavo sarai, se il mio signore, / la mia bocca bellissima non dice76. Vicino all’ingresso c’è un
ragazzo, non avrà più di vent’anni, di fronte a lui c’è un fiasco di vino vuoto e un altro ne sta
arrivando. È ubriaco. Abbandona la testa pesante sul palmo della mano e fissa un punto indistinto
del pavimento. Ha il naso rosso e gli occhi stanchi. Tra poco pagherà la sua cena ed uscirà, Dio solo
sa davanti a quale portone verrà sorpreso a dormire domani mattina. La vittima pensa di se stesso
Il bianco agnello sul verde prato / pascola è in parte il mio dolce fratello; / che il suo destino egli
non sa, coltello / non vede sul suo collo alto levato. / Io nulla ignoro, e prego anzi che il Fato / in me
s’adempia, desidero quello / per cui la faccia tu ti veli; è bello / aver le mani nei ceppi 77. Saba sa
ascoltare, sa andare in profondità e, seduto in quell'osteria, sente il monito grave. Sente la voce
che viene dalle cose e dal profondo78. È troppo facile definirsi ascoltatori se non si ode altro che il
frastuono. Per sentire realmente, bisogna ascoltare soprattutto il rumore di sottofondo, il bisbiglio
più flebile, ma che più ci parla della realtà, e apprezzare quella voce più di qualunque altra. Amai
la verità che giace al fondo, / quasi un sogno obliato79. Saba ha la capacità di ascoltare la realtà
attraverso le parole di un ubriaco, di un marinaio, di un oste o di una prostituta, e di vederci il
bello. Ma Saba, oltre ad ascoltare, sa leggere. Non i libri, quelli suon/sono/son(?) buoni tutti,
sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la
loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva e con cura infinita catalogava, sistemava, ordinava
in quella immensa mappa che stava disegnandosi in testa, proprio come il “pianista sull’oceano”
T.D. Lemon Novecento80. Solo ascoltando i sussurri della voce che viene dalle cose e dal profondo e
leggendo negli occhi delle persone più umili, Saba concilia l’italo e lo slavo, // a tarda notte, lungo
il tuo bigliardo81. Saba ritrova la pace interiore, nel luogo dei Miserabili, nel luogo però che autori
come Victor Hugo o Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, descrivono come pericolosissimo e
insidioso per i protagonisti delle loro opere. I coniugi Thénardier, spregevoli osti della locanda di
Montfermeil, gestiscono la taverna ordendo inganni e truffe di ogni genere nei confronti dei propri
74
Id., Dopo la tristezza, vv. 7-9, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 88.
Id., L’ossesso, in I Prigioni, Il canzoniere, edizione citata, p. 269.
76
Id., Il silenzioso, in I Prigioni, Il canzoniere, edizione citata, p. 273.
77
Id., La vittima, in I Prigioni, Il canzoniere, edizione citata, p. 271.
78
Id., Il pomeriggio, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 97.
79
Id., Amai, in Mediterranee, Il canzoniere, edizione citata, p. 518.
80
A. BARICCO, Novecento.
81
U. SABA, Caffè Tergeste, vv. 15-16, cit. .
75
clienti. L'osteria è disordinata, sporca, sudicia e vi è una costante penombra, segno dell'assenza
della luce divina, come d'altronde è l'osteria della Luna Piena, descritta da Manzoni: due lumi a
mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce. […]
A intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e
bicchieri per tutto […] Il chiasso era grande. Ma è proprio qui, nel luogo della depravazione e degli
inganni, che si possono incontrare, sì, gli animi più turpi, ma anche quelli più puri, come quello
della piccola Cosette o della cameriera Eleonora, basta solo saper ascoltare. Se per Hugo o
Manzoni la taverna è un luogo infernale, Saba scrive Io ascolto, e godo della compagnia, / godo di
non pensare a un paradiso, / diverso troppo da quest’allegria, / che arrochisce nei cori e infiamma
il viso82. Il poeta ha terminato la sua cena, si alza dal tavolo, infila il soprabito liso, si calza bene il
basco sulla testa. Va a pagare il conto. Appoggia una mano sulla porta dell'osteria e la spinge un
poco, un'aria gelida gli investe il volto. Si gira un'ultima volta, per salutare con il pensiero i
personaggi incontrati quel giorno. La sala è piena di persone. Li vede tutti, come se fossero in
posa, come se fossero i personaggi del Bar sotto il mare di Stefano Benni. Lo guardano, alcuni
sorridono: la balia, la madre, Lina, l'appassionato, l'amante, Eleonora, l'ossesso, il silenzioso, la
vittima … e lui stesso, il piccolo Berto.
Saba si gira, spinge la porta ed esce dal locale. Qui tra la gente che viene e che va / dall’osteria alla
casa o al lupanare, / dove son merci ed uomini il detrito/ di un gran porto di mare, / io ritrovo,
passando, l’infinito / nell’umiltà. / Qui prostituta e marinaio, il vecchio / che bestemmia, la
femmina che bega, / il dragone che siede alla bottega / del friggitore, / la tumultuante giovane
impazzita / d’amore, / sono tutte creature della vita/e del dolore, / s’agita in esse, come in me, il
Signore83.
Stanco mi riduco in sulla sera / alla mia stanza84
Anima, se ti pare che abbastanza / vagabondammo per giungere a sera, vogliamo entrare nella
nostra stanza, / chiuderla, e farci un po' di primavera? // Trieste, nova città, / [...] tutta
esplorammo fino al più remoto / suo cantuccio, la più strana città. / Ora che con la sera anche si fa
/ vivo il bisogno di tornare in noi, / vogliamo entrare ove con tanto amore, / sempre ti ascolto, ove
tu al bene puoi / volgere un lungo errore? / Della più assidua pena, / della miseria più dura e
nascosta, / anima, noi faremo oggi un poema85. Al bene … volgere un lungo errore: Saba sente il
bisogno di tornare a casa, nelle sue stanze, in cui, come Petrarca, è solito ascoltare la sua anima,
meditare sulla giornata trascorsa, fare i conti con se stesso, col destino e, perché no?, scoprire che
anche nella sua miseria c’è materia di poesia. Si affaccia alla finestra, la stessa dalla quale quella
mattina ha ammirato il bel nuvolo rosato. Ora, sfuma il turchino in un azzurro tutto / stelle86. Siede
e guarda: guardo e ascolto; però che in questo è tutta / la mia forza: guardare ed ascoltare87. È
infatti proprio questa sua tensione a permettergli di sentir nascere in sé una verità dolce a ridirsi,
che darà, / gioia a chi ascolta, gioia da ogni cosa. / Poco invero tu stimi, uomo, le cose. / Il tuo
82
Id., L’osteria «All’isoletta», vv. 13-16, cit. .
Id., Città vecchia, vv. 5-19, cit.
84
Id., Sonetto di primavera, vv. 7-8, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 12.
85
Id.,Verso casa, vv. 1-5 e 13-22, in Trieste e una donna, Il canzoniere, edizione citata, p. 80.
86
Id., Meditazione, vv. 1-2, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p. 26.
87
Ibidem, vv. 3-4.
83
lume, il tuo letto, la tua casa / sembrano poco a te, sembrano cose / da nulla […] poi che tu nascevi
e già / era il fuoco, la coltre era e la cuna / per dormire, per addormirti il canto. L'uomo,
meccanicamente, tende a svuotare di significato la sostanza delle cose più semplici, quotidiane,
familiari, la cui esistenza non è tuttavia affatto scontata. Infatti, che strazio sofferto fu, e per
quanto / tempo dagli avi tuoi, prima che una / sorgesse, tra belve, una capanna; / che il suono
divenisse ninna-nanna / per il bimbo, parola pel compagno. / Che millenni di strazi, uomo, per una
/ delle piccole cose che tu prendi, / usi e non guardi 88. L'uomo guarda e non vede, usa e non
guarda, non è capace di quell’amore del poeta per l’infinitesimale che esprime anche Pablo
Neruda: ... Amo / tutte le cose, / non solo le eccelse, / ma / quelle / infinita- / mente / piccole, / il
ditale, / gli speroni, / i piatti, / le fioriere. // Ah, anima mia, / bello / è il pianeta, / pieno / di
pipe......tutto ha nel manico, nell'orlo, / l'impronta / di certe dita, / di una mano remota / smarrita
/ nel più dimenticato degli oblii89.
Saba vuole dunque invitarci a riscoprire il quotidiano, a innamorarcene di nuovo, come un dono
inatteso da scartare, come una conchiglia in cui poter ascoltare la voce del mare. Per lui è stato
possibile: Amai trite parole che non uno / osava. M'incantò la rima fiore / amore, / la più antica
difficile del mondo90. Anche un fiato di vento pare un sogno / agli uomini del porto, alla bandiera /
afflosciata […]91. Pur nella drammaticità della sua esistenza, ha potuto assaporare una dolcezza
arcana92, genuina nei confronti della vita. Cuore serrato come in una morsa, / mio triste cuore,
rallegrati di questa ultima corsa / contro il dolore. // Quale angoscia non hai viva abbracciata, /
vivo restando? / Una piccola cosa ti è bastata, / di quando in quando93.
Di nuovo, volgendosi al passato, si rispecchia e si riconosce nell’altro: [...] Nel chiaro giorno, se ho
vagato assai, / poco rinvenni più fraterno e grato / d'un fanciullo nei cui gesti ho ascoltato / i miei
pensieri reconditi e gai. Ed ecco il desiderio improvviso d’uscire / di me stesso, di vivere la vita / di
tutti / di essere come tutti / gli uomini di tutti / i giorni94; ecco l’urgenza di fare eco a una pena
condivisa e immutabile: [...] Ed io risposi, prima / per celia, poi perché il dolore è eterno, / ha una
voce e non varia. / Questa voce sentiva / gemere in una capra solitaria 95. Sapere che c'è qualcuno
toccato da una stessa sorte, seppure dolente, quasi lo consola. La più ingenua amicizia ha dato
senso alla sua esistenza: Trovare, / quando la vita è al suo declino, il raggio / che primo la beò: un
amico. È il bene / che mi fu dato96. Ma arrivati a dire questo, ammessa la fratellanza nel dolore,
come comportarsi di fronte alla morte? Saba dice: […] Ed è il pensiero / della morte che, in fine,
aiuta a vivere97. Egli fa quotidianamente i conti con la fragilità e precarietà del tutto, senza mai
fare a meno di chiedersi se questa vita abbia uno scopo, se non viviamo invano: Fosse vero che
88
Ibidem, vv. 8-16.
P. NERUDA, Poesie di una vita, Ode alle cose.
90
Id., Amai, cit., vv. 1-4.
91
Ibid., Anche un fiato di vento, vv. 1-3, in Ultime cose, Il canzoniere, edizione citata, p. 460.
92
Id., Nella sera della domenica di Pasqua, v. 6, in Poesie dell’adolescenza e giovanili, Il canzoniere, edizione citata, p.
15.
93
Id., Cuore, in Parole, Il canzoniere, edizione citata, p. 427.
94
Id., Il borgo, vv. 4-11, in Cuor morituro, Il canzoniere, edizione citata, p. 310.
95
Id., La capra, vv. 6-10, in Casa e campagna, Il canzoniere, edizione citata, p. 68.
96
Id., Amico, vv. 1-4, in Ultime cose, Il canzoniere, edizione citata, p. 452.
97
Id., Sera di febbraio, vv. 6-7, in Ultime cose, Il canzoniere, edizione citata, p. 473.
89
invano / non si vive? E che tutto / ritorna, tutto / si dà la mano?[...]con gli occhi avidamente / sulle
parvenze aperti / delle cose, gli esperti / occhi miei, che alla mente / tanta luce han recato, / tanto
bello han veduto, / che come avrei potuto tacere? / uscire ingrato / dalla vita che invano / non si
vive, in cui tutto / non torna, e tutto / si dà la mano?98
98
Id., Girotondo, vv. 1-4 e 17-28, cit.
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