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Accordi in sede di separazione e assolvimento dell`obbligo di
ANGELA LA SPINA
Qualifica
ACCORDI IN SEDE DI SEPARAZIONE E ASSOLVIMENTO DELL’OBBLIGO
DI MANTENIMENTO DEL CONIUGE MEDIANTE CORRESPONSIONE UNA
TANTUM
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La qualificazione degli accordi: a) natura contrattuale.
- 3. Segue: b) tipicità o atipicità della figura. - 4. Segue: c) natura transattiva. - 5. Pluralità di funzioni degli accordi. - 6. Validità degli accordi e disponibilità del diritto al
mantenimento. - 7. Accordi in sede di separazione e rinuncia ai diritti patrimoniali conseguenti al divorzio. - 8. Giudizio di equità sulla corresponsione una tantum e rilevanza delle sopravvenienze. – 9. Il controllo di equità sugli accordi stipulati in sede di separazione.
1. Premessa
Il tema degli spazi riservati all’autonomia privata e degli ambiti che questa progressivamente va conquistando nella regolamentazione dei rapporti di diritto di famiglia e, in
particolare, di quelli conseguenti alla crisi coniugale, è oggetto di costante ed attento dibattito in dottrina ed in giurisprudenza1. Con specifico riguardo agli accordi che i coniugi stipulano in occasione e in vista della crisi2, si vuole qui soffermare l’attenzione sui
patti stipulati in sede di separazione per mezzo dei quali i coniugi convengano di estinguere, mediante una prestazione una tantum e cioè mediante adempimento in unica soluzione, il rapporto di debito credito intercorrente tra loro ed avente ad oggetto il mantenimento.
1
Tra le trattazioni monografiche v. Amagliani, Autonomia privata e diritto di famiglia, Torino 2005; Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova 1997; Ceccherini A.,
Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, Milano 1991; Ceccherini G., Contratti tra coniugi in vista
della cessazione del ménage, Padova 1999; Doria, Autonomia privata e «causa familiare», Milano 1996;
Oberto, I contratti della crisi coniugale, Milano 1999; Id., Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano 2000.
2
Sulla progressiva tendenza della legislazione a valorizzare, in ambito familiare, le istanze individualistiche e gli aspetti di consensualità v. Amagliani, Autonomia privata e diritto di famiglia, cit., p. 133 ove
l’Autore non manca di sottolineare il recente orientamento volto a dare ingresso “nell’ambito della regolamentazione della crisi dell’unione coniugale, al fenomeno dell’autonomia assistita”. Il meccanismo dovrebbe auspicabilmente operare mediante l’ausilio della mediazione familiare la cui funzione è proprio
quella di agevolare la stipulazione di accordi con i quali divisare un programma d’interessi relativo ai
rapporti successivi alla separazione o allo scioglimento del matrimonio.
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1
Tali accordi possono essere stipulati in occasione della separazione consensuale e trasfusi nel relativo ricorso e, successivamente, nel verbale di omologa; possono essere
raggiunti nel corso del procedimento per la separazione giudiziale e trasfusi nella sentenza; possono, infine, costituire accordi modificativi delle condizioni economiche fissate nella sentenza di separazione o nell’accordo omologato. Sotto il profilo oggettivo la
prestazione una tantum può essere costituita da una somma di denaro oppure dal trasferimento (spesso solo promesso) di diritti su beni3.
Il legislatore, invero, prevede espressamente la possibilità per i coniugi in crisi di concordare la corresponsione in unica soluzione della prestazione pecuniaria periodica con
funzione assistenziale, ma la disposizione (art. 5 comma 8 legge 1 dicembre 1970, n.
898) riguarda lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non è
stata, in sede di riforma del diritto di famiglia, estesa alla separazione.
Il silenzio legislativo sul punto ha, quindi, indotto parte della dottrina a dubitare della
ammissibilità di un accordo di uguale contenuto stipulato in sede di separazione, stanti
le tradizionali differenze intercorrenti, nel nostro ordinamento, tra i due istituti. Si è ritenuto, così, che la citata disposizione avesse carattere eccezionale e derogatorio rispetto
ai principi generali e che non fosse, pertanto, suscettibile di applicazione analogica4.
La mancanza di una previsione testuale che legittimi il ricorso a tale strumento di composizione degli interessi non è, tuttavia, certo sufficiente per escludere la configurabilità
degli accordi in discorso, quale espressione del libero esercizio dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c.5.
L’applicazione di tale principio generale ha posto, però, nella materia che ci occupa, varie questioni. Innanzitutto si controverte sulla stessa natura giuridica delle dichiarazioni
rese dai coniugi: pur constatandosi la loro contrattualità, non vi è, infatti, concordia sulla
3
Invero gli accordi di cui si discute possono essere anche precedenti alla separazione e rimanere riservati,
ma tale circostanza implica la soluzione di problemi interpretativi specifici ed ulteriori che esulano dalla
presente trattazione. Lo stesso vale per gli accordi aventi ad oggetto il soddisfacimento, mediante prestazione una tantum, del diritto di mantenimento dei figli.
4
Cfr. Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., p. 266.
5
Oberto, Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra coniugi, cit., p. 4.
2
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loro qualificazione e sull’individuazione della reale portata del programma di interessi
divisato6.
A parte ciò, viene messa in dubbio la validità di tali accordi. La disposizione volta a disciplinarli in sede di divorzio riconnette, infatti, all’accordo relativo alla corresponsione
una tantum dell’assegno, ritenuto equo dal giudice, efficacia liberatoria e, quindi, estintiva del rapporto obbligatorio avente ad oggetto la prestazione assistenziale; ciò comporta la irrilevanza delle sopravvenienze in deroga alla regola generale secondo la quale
tutte le statuizioni relative ai rapporti patrimoniali in materia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio rimangono sottoposte alla clausola rebus sic
stantibus.
Per affermare la validità di questo genere di accordi stipulati in sede di separazione occorre, quindi, preliminarmente verificare se la periodicità costituisca carattere peculiare
e distintivo della modalità di adempimento dell’obbligo di mantenimento, ovvero se sia
un dato meramente eventuale o, comunque, rinunciabile; successivamente si tratta di
accertare se la pretesa creditoria del coniuge abbia o no natura disponibile; e, infine, è
necessario verificare quale natura presenti il diritto alla revisione delle statuizioni concernenti i rapporti patrimoniali accordato ai coniugi e, più precisamente, se ed entro
quali limiti, le norme che sottopongono i provvedimenti relativi al mantenimento alla
clausola rebus sic stantibus siano derogabili. Quest’ultimo aspetto va analizzato anche
sotto l’altro e connesso profilo relativo alla disponibilità e preventiva rinunciabilità
dell’assegno di divorzio al fine di verificare se l’accordo di corresponsione una tantum
dell’assegno di mantenimento con contemporanea rinuncia del coniuge beneficiario a
qualsiasi diritto patrimoniale (passato, presente e futuro) a qualunque titolo vantato nei
confronti dell’altro, inibisca la richiesta dell’assegno di divorzio nella relativa sede.
2. La qualificazione degli accordi: a) natura contrattuale
L’accordo con il quale i coniugi convengano l’estinzione dell’obbligazione di mantenimento mediante corresponsione una tantum determina la sostituzione della obbligazione
6
Per un quadro delle varie opinioni prospettate in dottrina sulla qualificazione degli accordi in discorso si
veda Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 678 ss.; Angeloni, Autonomia privata e potere di
disposizione nei rapporti familiari, cit., 338 ss..
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3
pecuniaria7 e periodica, originata dal dovere di mantenimento, con altra obbligazione
avente ad oggetto una prestazione strutturalmente diversa consistente nell’attribuzione
definitiva di una somma di denaro o di altri beni o, ancora, di diritti su beni.
Il dibattito è ancora aperto in dottrina ed in giurisprudenza sulla qualificazione di tali
accordi.
Secondo un orientamento ormai superato, ad essi andrebbe addirittura negata natura
contrattuale; costituirebbero, infatti, negozi di accertamento dotati di efficacia dichiarativa, inidonei a fondare una situazione giuridica nuova rispetto da quella precedente8. In
realtà, questa impostazione, peraltro fondata sull’erronea premessa circa l’efficacia dispiegata dal negozio di accertamento9, tende, invero, a sottrarre la materia all’autonomia
delle parti sottoponendo la dichiarazione con la quale i coniugi determinino
l’ammontare totale dell’obbligo di mantenimento al sistema presuntivo disposto dall’art.
1988 c.c. per la promessa di pagamento e la ricognizione di debito. Utilizzando questo
meccanismo, infatti, la situazione giuridica dichiarata si presume conforme a quella effettivamente esistente in capo al soggetto creditore e risultante dall’applicazione dei criteri di determinazione dell’an e del quantum legislativamente fissati. La prestazione una
tantum dovrebbe, quindi, necessariamente consistere nella capitalizzazione della prestazione periodica, con la conseguenza che le parti potrebbero, in qualsiasi momento ed a
prescindere dal mutamento delle condizioni, pretendere la determinazione giudiziale sia
dell’an sia del quantum debetur dimostrando che quanto pattuito non è conforme a
quanto avrebbe potuto vantarsi in giudizio.
Tale ricostruzione non sembra, però, aderente alla reale portata delle dichiarazioni dei
coniugi, mediante le quali viene operata una complessa composizione di interessi (peral-
7
Sulla natura pecuniaria delle obbligazioni periodiche originate dal dovere di mantenimento del coniuge
separato v. Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione, cit., p. 361 s.; Pajardi, La separazione
personale dei coniugi nella giurisprudenza, Milano 1989, p. 359.
8
Russo, Gli atti determinativi del contenuto di obblighi legali nel diritto di famiglia, in Le convenzioni
matrimoniali ed altri saggi del nuovo diritto di famiglia, Milano 1983, p. 230 ss.
9
Come autorevole dottrina insegna il negozio di accertamento non ha efficacia meramente dichiarativa,
bensì preclusiva; si tratta, cioè, di fatti che producono il loro effetto prescindendo totalmente dalla situazione giuridica anteriore: Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano
1999, pp. 70-76 e 150 ss. , già in Id., Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano 1965.
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tro non necessariamente originati tutti dalla separazione10) che, lungi dal limitarsi a rimuovere le incertezze in ordine al quantum dell’assegno, realizza spesso una modificazione quando non una novazione della situazione giuridica precedente11, con conseguente natura contrattuale degli accordi12. La giurisprudenza, infatti, nonostante prediliga talvolta la più generica qualifica di “negozio” 13, in numerose pronunce non esita a
qualificare “contratto” l’accordo con il quale i coniugi convengano che l’adempimento
dell’obbligo di mantenimento nei confronti di uno di essi debba avvenire mediante il
trasferimento (spesso solo promesso) di un bene o di un diritto minore su un bene14.
In realtà una qualche difficoltà a ricondurre tali accordi alla categoria del contratto sembra ricorrere non tanto nei casi in cui la modalità di adempimento con prestazione una
tantum o con trasferimento di beni o diritti su beni sia convenuta con un autonomo atto
durante il giudizio di separazione o in sede stragiudiziale, quanto piuttosto nelle ipotesi
in cui la concorde volontà dei coniugi sia trasfusa nell’accordo omologato di separazione consensuale, di per sé non integrante un contratto.
10
V. a titolo esemplificativo Cass., sez. I, 17 giugno 2004, n. 11342, in Gius, 2004, p. 3868 in un caso in
cui in sede di separazione consensuale il marito si impegnava a trasferire alla figlia minore la proprietà di
un bene immobile al fine di adempiere ai suoi obblighi di mantenimento, anche pregressi, nei confronti
della stessa. In favore della moglie, che aveva da sola provveduto al mantenimento della figlia, rinunziava
all’usufrutto legale sul bene da trasferire e si accollava le spese di rogito e d’imposta; Cass., sez. II, 23
dicembre 1988, n. 7044, in Giur. it., 1990, p. 1320 ss. in un caso in cui i coniugi avevano sottoscritto un
accordo con il quale il marito si obbligava a trasferire ai figli la nuda proprietà ed alla moglie l’usufrutto
su beni immobili e la moglie rinunciava al diritto di costituirsi parte civile in un procedimento penale
pendente a carico del marito per maltrattamenti.
11
Cfr. Carbone P., I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Riv. dir.
priv., 2006, p. 256.
12
Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella separazione personale dei
coniugi, in Giur. it., 1990, pp. 1325-1326. L’Autore non manca, peraltro, di rilevare che il valore presuntivo dei negozi di accertamento dovrebbe comportare il diritto di entrambe le parti interessate di provare
la non conformità tra la situazione giuridica e quella dichiarata; viceversa nella materia che ci occupa non
viene riconosciuta né, in capo all’accipiens, l’azione per ottenere gli arretrati qualora si accerti che la situazione presunta avrebbe giustificato un contributo maggiore, né, in capo al solvens, l’azione per ottenere la restituzione di quanto eventualmente pagato in eccedenza.
13
Cass., sez. I, 5 settembre 2003, n. 12939, in Riv. not., 2004, p. 467.
14
Cass., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8516, in Dir. Giust., 2006, p. 21; Cass., sez. I, n.11342/2004, cit.; Cass.,
sez. II, n.7044/1988, cit.; Trib. Bologna, 22 dicembre 2005, in Fam. Pers. Succ., 2006, p. 851; Trib. Siracusa 14 dicembre 2001, in Arch. civ., 2002, p. 728; App. Genova 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers.,
1998, p. 576; Trib. Pistoia, 1 febbraio 1996, in Riv. not., 1997, f. 6. In materia di accordi in vista
dell’annullamento fa espresso riferimento al principio di autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. Cass.,
sez. I, 13 gennaio 1993, n.348, in Vita not., 1994, p. 91.
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Autorevole dottrina15 ha però chiarito che l’accordo di separazione consensuale concreta
una “pluralità di negozi con unicità di contesto”16 tra i quali è possibile distinguere quelli facenti parte del “contenuto necessario” e quelli costituenti “contenuto eventuale”17.
Dato che il contenuto necessario della separazione è costituito dall’accordo di vivere separati e da quello relativo all’affidamento ed al mantenimento dei figli minorenni18, i
patti con i quali si conviene la modalità di adempimento o la modifica dell’oggetto della
prestazione di mantenimento del coniuge sono da considerarsi senz’altro parte del contenuto eventuale19. Orbene, tra i singoli negozi compresi nell’accordo omologato di separazione intercorre esclusivamente da un legame formale dovuto all’unicità del contesto, sì che essi conservano, ciascuno, la propria natura; un collegamento funzionale, che
implica la fusione “nello stampo della causa del negozio fondamentale” intercorre solo
tra le pattuizioni che compongono il contenuto essenziale20. Nulla osta, pertanto, come
confermato anche dalla giurisprudenza21, a che taluni di tali accordi abbiano natura con-
15
Falzea, La separazione personale, Milano 1943, p. 93 ss.
Falzea, La separazione personale, cit., p. 101.
17
Falzea, La separazione personale, cit., p. 98 s.; v. anche Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino 1948, p. 160 ss..
18
Per tutti, Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 218 e bibliografia ivi citata. Invero non è del
tutto pacifico che le pattuizioni relative ad affidamento e mantenimento dei minori facciano parte del contenuto essenziale; la tesi positiva si basa sulla constatazione che tali statuizioni sono assolutamente indispensabili per l’instaurazione dello stato di separazione.
19
Cass., sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306, in Fam. dir., 1997, p. 417 la quale, premesso che l’accordo di
separazione “ha un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati - ed un contenuto eventuale, costituito dalle pattuizioni necessarie ed opportune, in relazione all'instaurazione di un regime di
vita separata, a seconda della situazione familiare”, precisa che “rientra pertinentemente nel contenuto
eventuale dell'accordo di separazione ogni statuizione finalizzata a regolare l'assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione, comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all'accordo di separazione”.
20
Falzea, La separazione personale, cit., pp. 101-102. L’Autore esclude peraltro l’utilità della creazione
di una categoria negoziale “che debba valere per il diritto di famiglia allo stesso modo per cui vale per il
diritto delle obbligazioni la categoria del contratto” , ivi, p. 96. Sul punto v. anche Azzolina, La separazione personale dei coniugi, cit., p. 168 ove l’Autore rileva che, pur conservando autonoma struttura e
natura, i negozi inseriti nella separazione stanno in rapporto di accessorietà rispetto all’accordo di separazione che si profila quale principale in quanto l’intento preminente delle parti è quello di separarsi.
21
Cfr. Cass., sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, p. 1787 la quale ha statuito che del contenuto eventuale della separazione pussono invero far parte “anche negozi che, pur trovando sede ed occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in questa, in quanto non sono direttamente collegati ai diritti ed agli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio: tali negozi pertanto non si configurano come convenzioni di famiglia, quali figure giuridiche distinte dai contratti e caratterizzate da un sostanziale parallelismo di interessi e volontà, ma costituiscono espressioni di libera autonomia contrattua16
6
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trattuale ogni volta che, conformemente all’art. 1321 c.c., siano diretti a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale22 come, evidentemente, quelli volti
a determinare modalità di estinzione, modificazione o novazione del rapporto obbligatorio avente ad oggetto la prestazione di mantenimento. A fortiori uguale natura deve riconoscersi agli stessi accordi stipulati in sede stragiudiziale23 o durante il procedimento
di separazione giudiziale; in questi casi, infatti, il documento è, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente autonomo.
3. Segue: b) tipicità o atipicità della figura
Acclarata la natura contrattuale degli accordi in discorso, occorre ora verificare se essi
costituiscano figure atipiche o siano riconducibili ad uno dei tipi contrattuali legislativamente previsti.
Al riguardo va in primo luogo rilevato che tali accordi danno generalmente luogo
all’assunzione, a carico di uno dei coniugi, di obblighi patrimoniali privi di immediato
corrispettivo in capo all’altro; non ricorre, però, lo schema della donazione per
l’evidente mancanza dell’animus donandi che, come la giurisprudenza ha precisato, è
“tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto - quello della separazione personale caratterizzato dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività”24.
le”. Nella specie si trattava di un accordo con il quale un coniuge si impegnava a trasferire all’altro la
proprietà di taluni beni.
22
Per tutti, Rescigno, Contratto in generale, in Enc. Giur., IX, Roma 1988, p. 10 il quale, proprio con riguardo agli accordi stipulati in sede di separazione consensuale o in occasione del divorzio, rileva che
“ove tra le parti si convenga l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi di natura patrimoniale, non
parrebbe contraddire alla definizione dell’art. 1321 la qualifica di contratto”; Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1326; Oberto, Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra coniugi, cit., p. 4 ss.; Dell’Utri, Autonomia familiare e tutela dei terzi (Parte II), in Familia,
2006, p. 706 ss.
23
Cfr. Trib. Piacenza 6 febbraio 2003, n. 89, in Arch. civ., 2004, p. 494 che riconnette all’esercizio
dell’autonomia contrattuale ai sensi dell’art. 1322 c.c. il patto con il quale le parti, derogando alle statuizioni previste nell’accordo di separazione consensuale già omologato, concordino di esonerare il coniuge
onerato della corresponsione dell’assegno di mantenimento a fronte di un unico versamento una tantum.
Nello stesso senso Cass., sez. I, 22 gennaio 1994, n.657, in Fam. dir., 1994, p. 139; Cass., sez. I, 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir. fam. pers., 1994, p. 554.
24
Cass., sez. III, 14 marzo 2006, n.5473, in Guida al dir., 2006, pp. 21, 51. Nello stesso senso Cass., sez.
I, n. 8516/2006, cit.; Cass., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5741, in Riv. dir. comm., 2004, II, p. 283; Cass., sez.
I, 17 giugno 1992, n. 7470, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 808; Cass., sez. II, 21 dicembre 1987, n.
9500, in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 233; Cass., sez. II, n.7044/1988, cit.; Cass., sez. II, 11 maggio 1984, n.
2887, in Giust. civ. Mass., 1984, fasc.5.
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7
In realtà, le esigenze che i coniugi intendono soddisfare con la stipulazione degli accordi
con i quali si conviene la corresponsione una tantum dell’assegno di mantenimento si
appalesano eterogenee ed articolate e presentano non solo natura solutoria, ma più frequentemente anche natura risarcitoria o compensativa; l’assetto di interessi sottostante
costituisce, infatti, la sintesi di ragioni patrimoniali e personali non solo scaturenti dalla
separazione, ma aventi le proprie radici nel pregresso rapporto matrimoniale.
Il possibile riferimento a vari schemi causali e le connesse difficoltà di individuare un
dato tipo al quale ricondurre tali accordi ha spesso indotto la giurisprudenza ad optare
per la atipicità degli stessi25. In particolare, anche di recente, la Suprema Corte ha ribadito che tali accordi “presentano una propria “individualità”, quali espressioni di libera
autonomia contrattuale delle parti interessate, dando vita, nella sostanza, a veri e propri
contratti atipici, con particolari presupposti e finalità, non riconducibili né al paradigma
delle convenzioni matrimoniali né a quello della donazione, ma diretti comunque a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.”26
Com’è stato rilevato in dottrina27, tale tendenza è espressione dell’idea secondo la quale
non sia possibile applicare gli istituti del diritto patrimoniale alle vicende familiari. Tale
impostazione – occorre però aggiungere - appare oggi dovuta al pregiudizio secondo il
quale la famiglia costituisca un microsistema nel quale tutti i rapporti, anche quelli spiccatamente patrimoniali, subiscono l’influenza deformante del contesto nel quale sono
inseriti28.
25
V. Cass., sez.II, n. 7044/1988, cit. secondo la quale “Il contratto con cui, in pendenza del giudizio di
separazione, il marito si impegna a trasferire dei beni immobili alla moglie e ai figli e quest'ultima rinuncia a costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico del marito, non costituisce una donazione,
ma un diverso contratto atipico con propri presupposti e finalità, volto a regolare i rapporti patrimoniali
tra i coniugi”. Nello stesso senso Cass., sez. II, n.9500/1987, cit.; Cass., sez. II, n. 2887/1984, cit.; Trib.
Pistoia, 1 febbraio 1996, cit..
26
Cass., sez. I, n. 8516/2006, cit..
27
Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., passim e spec. pp. 170 ss. e 190 ss..
28
La segnalata difficoltà risulta palese in Cass., sez. I, 11 novembre 1992, n. 12110, in Giust. civ., 1993,
I, p.1220, ove la Corte evita espressamente di prendere posizione sulla natura dell’accordo traslativo stipulato in sede di separazione e si limita a rilevare che correttamente il giudice del merito “ha qualificato
l'atto come non meramente ricognitivo ... in particolare rilevando che una semplice dichiarazione di
scienza - in un contesto in cui si trattava di dare sistemazione ai rapporti personali ed economici in conseguenza della separazione - sarebbe stata priva di significato. La natura "attributiva" del negozio è stata,
dunque, ragionevolmente ritenuta, e non è essenziale stabilire se essa sia riconducibile al modello divisorio in senso stretto o non piuttosto, come lo stesso resistente ipotizza, ad una figura di contratto atipico,
mediante il quale i coniugi, senza versamento di corrispettivo, si attribuiscono certi beni, anche immobili,
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Al fine di dare una risposta adeguata al problema si è, quindi, provato a rinvenire, quale
elemento unificante tutti gli accordi con i quali i coniugi definiscano i propri rapporti
patrimoniali in vista o in occasione della crisi, una c.d. “causa familiare” costituente il
fondamento oggettivo atto a giustificare i trasferimenti (di denaro o di altri beni) privi di
corrispettivo, almeno quante volte non sia riscontrabile altro schema negoziale tipico29.
L’individuazione di tale “causa familiare” non è però idonea a delineare un tipo contrattuale, ma semplicemente a caratterizzare il contratto come appartenente al campo del diritto di famiglia30.
Altra dottrina31 ha, poi, addirittura ritenuto di potere individuare una “causa tipica di definizione degli aspetti economici della crisi coniugale” che troverebbe riconoscimento
testuale e fondamento legislativo nell’art. 711 c.p.c., ove il legislatore fa riferimento alle
“condizioni della separazione consensuale”, nell’art. 4 comma 13 della legge
n.898/1970, ove il riferimento è alle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici”32 e nell’art. 5 comma 8 della stessa legge che attribuisce ai coniugi la facoltà di
accordarsi sulla corresponsione una tantum dell’assegno di divorzio. Secondo questa
impostazione sarebbe quindi configurabile un negozio tipico (“in quanto previsto e disciplinato da apposite disposizioni”) cui attribuire il nome di “contratto tipico della crisi
coniugale” o “contratto postmatrimoniale” 33.
ad integrazione del regolamento stabilito in funzione della separazione. In ogni caso, nella specie risulta
rispettata la forma voluta dalla legge, non altro che l'atto scritto prevedendosi per le divisioni immobiliari
(art. 1350 n. 11) e non essendo necessario l'atto notarile per l'accennato negozio atipico, che non realizza,
stante la causa, un intento di liberalità, né configura una convenzione matrimoniale ex art. 162 c.c. (che
postulerebbe il normale svolgimento della convivenza coniugale)”.
29
Cfr. Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., p.192 ss..
30
Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., p. 301 ss; Id., Atti di disposizione tra coniugi e
“causa” familiare, in Vita not., 2001, I, p. 732 ove l’Autore chiarisce e ribadisce, in risposta alle obiezioni mosse alla sua tesi, che l’idea della causa familiare non è atta a rendere tipico l’atto di attribuzione tra
coniugi il quale, “seppur considerato favorevolmente dalla legge ad alcuni specifici fini (da ciò la possibilità di ritenere precostituito, da parte dell’ordinamento, il giudizio di meritevolezza) non corrisponde ad
alcun tipo legale”: ivi, sub nota 6.
31
Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 700 ss..
32
Secondo la giurisprudenza, tali norme attribuiscono ai coniugi “il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in
tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderogabili”. In tal senso Cass., sez. I, 5 luglio 1984, n.
3940, in Dir. fam. pers., 1984, p. 922.
33
Le espressioni tra virgolette sono di Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 705. L’Autore fornisce anche una definizione di tale tipo negoziale come “quel contratto a titolo oneroso che viene stipulato dai coniugi per regolare i reciproci rapporti giuridici patrimoniali sorti nel corso della loro relazione
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9
Tale ricostruzione pare, invero, inidonea a risolvere il problema della qualificazione degli accordi di cui si discute34 in quanto, nonostante le locuzioni linguistiche utilizzate
(“fondamento oggettivo” o “contratto tipico”), sembra piuttosto individuare taluni profili generali ed unificanti della causa concreta (o soggettiva)35, se non addirittura dei motivi, che sorreggono i singoli accordi36 volti a programmare un assetto variegato di interessi37.
Va inoltre rilevato che il mero richiamo legislativo alla possibilità dei coniugi di accordarsi sulle condizioni della separazione e del divorzio, o sulla corresponsione in unica
soluzione dell’assegno, non pare sufficiente a delineare un nuovo tipo contrattuale; le
citate norme, infatti, non dettano una sia pur minima disciplina della fattispecie, ma si
limitano ad aprire un varco all’autonomia privata (in modo, peraltro non dissimile da
quanto avviene in materia contrattuale quante volte il legislatore rinvii all’eventuale accordo delle parti), che poi viene dalle stesse esercitata mediante il ricorso ad uno dei tipi
esistenziale, quando al regolamento di tali rapporti i coniugi stessi intendono condizionare la definizione
consensuale della crisi coniugale o di una fase di quest’ultima (separazione di fatto, separazione legale,
divorzio). Tale regolamento di rapporti si attua attraverso la previsione di prestazioni vuoi unilaterali,
vuoi reciproche, di carattere sia obbligatorio che reale, periodiche o istantanee”: ivi, p. 706.
34
Del resto lo stesso Autore, in uno dei passaggi conclusivi, avverte che “la causa tipica del contratto della crisi coniugale costituisce infatti una ragione giustificatrice degli atti qui presi in esame solo a livello
tendenziale”: Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 707.
35
Sulla nozione di causa, per tutti, Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano 1965.
36
Le stesse affermazioni dell’Autore palesano che quello delineato non è un tipo legale, ma, una concreta
programmazione di interessi che può essere, evidentemente, contenuta in qualunque schema contrattuale
che si ritenga idoneo. Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., pp. 709-710 ove l’Autore asserisce che “avuto riguardo, dunque, al profilo causale, i contratti della crisi coniugale sono quelli che si caratterizzano per la presenza vuoi della causa tipica di definizione della crisi coniugale (contratto tipico
della crisi coniugale – contratto postmatrimoniale), vuoi per la semplice presenza, accanto ad una causa
tipica diversa (donazione, negozio solutorio, transazione, convenzione matrimoniale, divisione) di un motivo “postmatrimoniale”, rappresentato dal fatto che quel particolare contratto viene stipulato in contemplazione della crisi coniugale, avuto riguardo all’intenzione delle parti di considerare la relativa pattuizione alla stregua di una delle “condizioni” della separazione o del divorzio”.
37
L’insufficienza della individuazione di una specifica causa familiare al fine di risolvere il problema
qualificatorio emerge anche da talune recenti pronunce che, pur influenzate dalla impostazione suddetta,
riferiscono la “tipicità” non tanto al singolo accordo preso in esame, quanto piuttosto al rapporto in seno
al quale esso è stipulato. In particolare v. Cass., sez. I, n. 5741/2004, cit. ove si legge che le attribuzioni
patrimoniali concordate in sede di separazione consensuale rispondono allo “specifico spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti tra coniugi in occasione dell’evento di “separazione” consensuale ... il quale sfuggendo ... da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio ... e,
dall’altro, a quello di un atto di vendita ... svela una sua “tipicità””; nello stesso senso Cass., sez. III,
n.5473/2006, cit. la quale, ribadite le medesime premesse e specificato che “il fenomeno acquista ancora
maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto” aggiunge che “il giudice di merito,
in considerazione della “tipicità” del rapporto, deve accertare se, in concreto, la cessione del bene sia avvenuta a titolo gratuito oppure a titolo oneroso”.
10
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contrattuali predisposti dal legislatore o mediante la costruzione di un modello atipico
atto a realizzare la programmazione di interessi predisposta.
4. Segue: c) natura transattiva
Sembra, quindi, di poter affermare che in materia non ricorre né un nuovo contratto tipico né un negozio atipico; gli accordi con i quali i coniugi perseguono l’obiettivo di regolamentare, in occasione o in vista della crisi, i rapporti patrimoniali, aventi la loro
fonte spesso non solo nell’obbligo di mantenimento scaturente dalla separazione, ma
anche in altri rapporti pregressi, paiono piuttosto riconducibili al modello legale della
transazione così come delineato e disciplinato dagli artt. 1965 ss. c.c..
La natura transattiva di tali accordi, più volte evidenziata dalla giurisprudenza38 e sostenuta da parte della dottrina39, è stata oggetto di forti obiezioni40. In particolare, sotto il
profilo strutturale si è opposta la mancanza delle reciproche concessioni (aliquid datum
e aliquid retentum) per mezzo delle quali le parti porrebbero fine ad una lite o ne eviterebbero l’insorgenza41. Avuto, poi, riguardo alla funzione del contratto, si è obiettato
che l’efficacia preclusiva tipica della transazione mal si concilia con il principio secon-
38
Cfr. Cass., sez. I, n.12939/2003, cit.; Cass., sez. I, 14 giugno 2000, n.8109, in Fam. dir., 2000, p. 429;
Cass., sez. I, 12 maggio 1994, n. 4647, in Riv. notar., 1995, p. 953; Cass., sez. I, 28 ottobre 1994, n. 8912,
in Fam. dir., 1995, p. 14; Cass., sez. I, 11 agosto 1992, n. 9494, in Giur. it., 1993, I,1, p. 1495; Cass., sez.
I, n.2788/1991, cit.; App. Torino 15 gennaio 1998, in Giur. mer., 2000, p. 1153.
39
Per tutti, Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit., p. 338 ss.;
Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1326.
40
Cfr. Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., pp. 250 ss. e 268; Oberto, I contratti della crisi
coniugale, cit., p. 675 ss.. Ci si sofferma in questa sede esclusivamente alle obiezioni che attengono alla
riconduzione degli accordi di cui si discute allo schema del tipo legale transazione e si rinvia al prosieguo
del lavoro la trattazione delle obiezioni rilevate sotto il profilo assiologico. In particolare si tratta di dubbi
circa la compatibilità tra la transazione e la materia familiare a causa della presunta indisponibilità dei diritti oggetto della (potenziale) controversia che determinerebbe la nullità degli accordi stessi. V. oltre sub
§§ 6 e 7.
41
Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 678 ss.. L’Autore ammette la configurabilità di transazioni postmatrimoniali solo con riguardo ad accordi aventi ad oggetto non già il trasferimento di beni o
l’attribuzione di somme di denaro in luogo dell’obbligo di mantenimento, bensì la regolazione, coinvolgente anche il diritto di mantenimento, di pretese aventi altro titolo (per esempio arricchimento o rimborsi
e restituzioni in forza del pregresso regime legale o di altri rapporti patrimoniali intercorrenti tra i coniugi): ivi, p. 680.
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do il quale le disposizioni relative all’obbligo di mantenimento del coniuge separato o
divorziato rimangono sottoposte alla clausola rebus sic stantibus42.
Con riferimento al dato strutturale pare potersi rilevare che le reciproche concessioni
sono palesi ogni qual volta l’accordo preveda la sistemazione di un assetto patrimoniale
variegato che comprenda e non sia relativo al solo obbligo di mantenimento43; ma, anche qualora l’accordo abbia ad oggetto esclusivamente la corresponsione una tantum
dell’assegno di mantenimento (o mediante datio di una somma di denaro o mediante
trasferimento di diritti su beni) esso determina necessariamente, in sé, la rinuncia di ciascuna delle parti alle proprie potenziali pretese, nonché, inevitabilmente, la risoluzione
anticipata di una futura lite giudiziaria44. Sia nel caso in cui l’accordo venga stipulato
durante il procedimento di separazione giudiziale o di divorzio (quindi al fine di far cessare la materia del contendere in ordine ai rapporti patrimoniali), sia che esso venga stipulato dopo l’accertamento giudiziale (al fine di derogare alle statuizioni contenute nella sentenza di separazione o di divorzio o nell’accordo omologato) e sia, infine, che intervenga in sede di separazione consensuale o di domanda congiunta di divorzio, ricorre
il presupposto minimo della transazione consistente nella “lite che può sorgere” per la
configurazione della quale, com’è stato precisato in dottrina, “non serve ... che le avverse posizioni siano delineate con nettezza: basta che vi siano prospettazioni confliggenti”45 sicché le parti possono, “sulla base di pretese che esse prevedono come probabili,
42
Cfr. Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., p. 246 il quale rileva che l’efficacia c.d. debole
degli accordi con i quali si conviene la corresponsione una tantum dell’assegno di mantenimento, dovuta
dalla loro possibile caducazione occasionata dalle sopravvenienze, li rende incompatibili con lo schema
transattivo.
43
V. Cass., sez. I, n. 11342/2004, cit., ove il caso verteva su un accordo, stipulato in sede di separazione
consensuale, con il quale il marito si impegnava a trasferire alla figlia minore la proprietà di un bene immobile al fine di adempiere ai suoi obblighi di mantenimento, anche pregressi, nei confronti della stessa.
In favore della moglie, che peraltro aveva da sola provveduto al mantenimento della figlia, rinunziava
all’usufrutto legale sul bene da trasferire e si accollava le spese di rogido e d’imposta.
44
Il conflitto giuridico che funge da premessa ineludibile della transazione consiste nel”l’affermazione di
un diritto che si esterna in una pretesa, e la contestazione della sussistenza e della misura di tale diritto”.
In tal senso Del Prato, Transazione (dir. priv.), in Enc. Dir., XLIV, Milano 1992, 817.
45
Del Prato, Transazione (dir. priv.), cit., p. 818 e ivi sub nota 36 ove l’Autore fa espresso riferimento
agli accordi oggetto delle presenti riflessioni.
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porre in essere un regolamento transattivo che realizzi oggi una soluzione di compromesso di quella lite che potrebbe sorgere domani”46.
Nel contesto della crisi familiare si danno prospettazioni confliggenti che, al di là del
profilo meramente economico, investono la stessa esistenza dei diritti oggetto della controversia (attuale o potenziale); non può, quindi, non riconoscersi che con la stipulazione di tali accordi, anche qualora abbiano ad oggetto esclusivamente la prestazione una
tantum, i coniugi rinuncino a parte delle pretese che la legge gli consentirebbe di articolare nella lite così evitata (cioè nel procedimento di separazione o di divorzio con rito
contenzioso, o nel successivo procedimento per la modifica delle condizioni stabilite in
sentenza)47.
Peraltro, per aversi transazione non è neppure necessario che i diritti oggetto della controversia costituiscano res dubia, in quanto l’interesse a transigere nasce esclusivamente
dalla scelta di evitare il giudizio, pur nel convincimento della propria ragione48 che, nel
caso di specie, trova fondamento nei parametri fissati dalla legge in ordine ai diritti patrimoniali del coniuge separato o divorziato49.
Quanto, infine, all’asserita incompatibilità della efficacia preclusiva della transazione
con l’operatività della clausola rebus sic stantibus, anche ammesso che in presenza de-
46
Pugliatti, Della transazione, Libro delle obbligazioni - Commentario D’amelio – Finzi, Firenze 1949,
461.
47
Alla configurabilità di una lite che può sorgere non osta la considerazione prospettata da taluna dottrina
(Cfr.Totaro, Gli effetti del divorzio, in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, Milano 2002, p. 1209 ss.) e sostenuta in giurisprudenza (Cass., sez. I, 06 dicembre 1991, n. 13128, in Giust. civ., 1992, I, p. 1239) secondo
la quale i diritti al mantenimento e all’assegno di divorzio sorgono solo per effetto della sentenza o del
decreto di omologa pertanto non possono, nelle more, essere oggetto di transazione in quanto non ancora
esistenti. Invero, come autorevolmente chiarito, basta che le pretese siano delineate in modo che, una volta che si concretino i presupposti di fatto, possano farsi valere nelle previste modalità. Cfr. Pugliatti Della
transazione, cit., p. 461; v. anche D’Onofrio, Della transazione, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1974, p. 226. Nel caso in esame le pretese possono ben delinearsi sulla base dei parametri forniti dalla legge in vista del verificarsi del presupposto di fatto, l’avvio della procedura appunto, nella cui
sede poterle articolare.
48
Sulla possibilità di transigere senza il presupposto del dubbio v. Del Prato, Transazione (dir. priv.), cit.,
p. 822.
49
Com'è noto, infatti, aliquid datum e aliquid retentum “non riguardano la reale situazione giuridica delle
parti, ma solo le pretese e le contestazioni da queste reciprocamente avanzate”: Pugliatti, Della transazione, cit., p. 458.
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gli accordi in discorso tale principio trovi applicazione50, va rilevato che esso non inficia
minimamente la preclusione riconnessa al negozio transattivo51.
Al riguardo è utile evidenziare che l’effetto preclusivo tipico della transazione, identico
a quello della sentenza passata in giudicato (in ipotesi contenente le statuizioni relative
ai rapporti patrimoniali tra coniugi separati o divorziati), consiste nel rendere indipendente la nuova situazione giuridica dal rapporto di continuità (in termini di conformità o
difformità) con la situazione giuridica anteriore. Come autorevole dottrina ha chiarito,
tanto la transazione quanto il giudicato sono fatti che determinano una soluzione di continuità tra la situazione giuridica precedente e quella successiva, sicché il fatto “spiega
la propria efficacia senza che questa sia legata da un rapporto di necessaria convergenza
o di necessaria divergenza riguardo all’effetto giuridico anteriore”52.
Considerato, allora, che il dato qualificante tale efficacia consiste proprio nel rendere
irrilevante l’indagine sulla situazione anteriore, l’effetto preclusivo della transazione
non pone problemi di compatibilità con il principio secondo il quale le statuizioni aventi
ad oggetto i rapporti patrimoniali tra coniugi separati o divorziati sono sottoposte alla
clausola rebus sic stantibus. In relazione al giudicato, infatti, il diritto alla revisione è
50
Sul punto si rinvia alla più approfondita analisi cui, nel prosieguo del presente lavoro, sono dedicati i §
8 e 9. Per la tesi negativa si rinvia sin da ora a Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 678 secondo il quale “ogni accordo avente ad oggetto la determinazione dell’ammontare di tali prestazioni” (il riferimento è al mantenimento del coniuge separato e all’assegno di divorzio) “e la loro liquidazione in via
forfettaria, in qualunque sede sia concluso è – tendenzialmente – sottratto alla clausola rebus sic stantibus”.
51
Naturalmente qui il riferimento è all’efficacia preclusiva in senso tecnico e proprio su cui si rinvia agli
insegnamenti di Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, cit., p. 150 ss..
La preclusione che l’ordinamento riconnette alla transazione ed al giudicato è un meccanismo del tutto
differente rispetto a quello proprio della fattispecie complessa descritta dall’art. 5 comma 8 legge
n.898/70 ai sensi del quale l’accordo con il quale i coniugi convengano la corresponsione una tantum
dell’assegno di divorzio, ove ritenuto equo dal giudice, rende irrilevanti le eventuali sopravvenienze
estinguendo definitivamente ogni rapporto economico tra i contraenti. Orbene, a seguito di un accordo
transattivo resta preclusa l’indagine sulle situazioni preesistenti all’intervento del fatto, viceversa, il verificarsi della fattispecie descritta dal citato articolo 5 (accordo e giudizio di equità) preclude l’esame
sull’incidenza delle circostanze di fatto sopravvenute.
52
Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, cit., p. 159. Così, secondo gli
insegnamenti dell’Autore, la funzione della transazione è quella di comporre una lite o evitarne
l’insorgenza predisponendo una situazione giuridica che non fonda la sua validità sulla situazione precedente dalla quale acquista totale autonomia; allo stesso modo la funzione della sentenza (intervenuto il
giudicato) “ed il suo effetto fondamentale non è già quello di attestare la verità di una situazione giuridica
anteriore, bensì quello di produrre una situazione giuridica, la cui validità non è condizionata all’effettivo
contenuto della situazione giuridica anteriore”: Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, cit., p. 160.
14
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espressamente condizionato, ex artt. 156 c.c. e 9 l. n.898/1970, alla sopravvenienza di
giustificati motivi che determinano l’insorgenza di nuovi e diversi interessi, ferma restando la irrilevanza della situazione giuridica precedente l’intervento del fatto preclusivo-sentenza53. Come confermato dalla giurisprudenza, non solo il diritto alla revisione
non è incompatibile con l’efficacia preclusiva del fatto che ha determinato l’insorgenza
della situazione giuridica, ma addirittura ne presuppone l’avvenuto intervento54. Non si
rinvengono, quindi, fondate ragioni per ritenere che anche la transazione, avente la medesima efficacia del giudicato, non sia parimenti compatibile con la clausola rebus sic
stantibus posto che, come quello, preclude l’indagine sulla situazione esistente al momento della sua stipula e non già l’eventuale rilevanza delle sopravvenienze quale fatto
autonomamente idoneo ad evidenziare nuovi interessi55.
53
Per tutte, Cass., sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2043, in Giust. civ. Mass., 1988, f.2 la quale precisa che “In
tema di assegno di separazione o di divorzio, il nostro ordinamento consente in ogni tempo all'avente diritto o all'obbligato di avvalersi della tutela offerta dal procedimento di revisione per porre rimedio alla
pretesa discordanza tra la situazione reale successiva e le previsioni iniziali, anche in funzione dell'elasticità dei mezzi economici a disposizione delle parti e della erosione del potere di acquisto causato dalla
svalutazione monetaria, cosicché ogni determinazione giudiziale costituisce un giudicato rebus sic stantibus ed ammette modificazioni in caso di comprovato mutamento obiettivo della situazione di fatto accertata al momento della pronuncia”.
54
Sulla necessità del preliminare intervento del fatto preclusivo v. Cass., sez. un., 27 luglio 1993, n. 8389,
in Dir. fam. pers., 1994, I, p. 142 secondo la quale “Ai sensi dell'art. 710 c.p.c., anche successivamente
alle modifiche introdotte dalla legge n. 331 del 1988, la facoltà dei coniugi separati di domandare la modificazione dei provvedimenti, in ordine ai rapporti coniugali e parentali, di cui alla sentenza di separazione, presuppone il passaggio in giudicato di tale sentenza, quale evento costituente, appunto, presupposto processuale in senso tecnico”. Nello stesso senso Trib. Trapani, 24 maggio 2005, in www.iuritalia.it, il
quale ribad55
isce che “I provvedimenti della separazione relativi ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, acquistano efficacia di giudicato ... in quanto per la loro revisione è richiesta la sopravvenienza di giustificati motivi, ai
sensi dell'ultimo comma dell'art. 156 c.c.".
55
La compatibilità tra l’efficacia preclusiva del giudicato e la rilevanza delle sopravvenienze risulta evidente nelle motivazioni della Suprema Corte. Per tutte, Cass., sez. I, 25 agosto 2005, n. 17320, in Giust.
civ. Mass., 2005, p. 10 secondo la quale “Ai sensi dell'art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato
dall'art. 2 legge n. 436 del 1978 e dall'art. 13 legge n. 74 del 1987), le sentenze di divorzio passano in cosa
giudicata rebus sic stantibus, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o
all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla
regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Pertanto, nel caso di mancata attribuzione dell'assegno divorzile, in sede di giudizio di divorzio, per rigetto o per mancanza della relativa
domanda, la determinazione dello stesso può avvenire solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli, ovvero le
condizioni o il reddito dei coniugi”. Nello stesso senso Cass., sez. I, 03 agosto 2007, n. 17041, in Giust.
civ. Mass., 2007, p. 9; Cass., sez. I, 07 giugno 2005, n. 11793, in Dir. giust., 2005, pp.34- 45 ; Cass., sez.
I, 02 novembre 2004, n. 21049, in Dir. e giust., 2005, p. 535.
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15
L’operatività della clausola rebus sic stantibus, pur compatibile con l’efficacia della
transazione, può però presentare nella materia di cui si discute talune peculiarità. In particolare, poiché si tratta di un principio tipico dei rapporti di durata56, ne va verificata la
modalità operativa con riguardo ad un rapporto (con la sua fonte nel fatto preclusivo)
avente ad oggetto una prestazione che non presenta il carattere della periodicità57.
5. Pluralità di funzioni degli accordi
L’affermata natura transattiva degli accordi con i quali i coniugi, in occasione o durante
la separazione (consensuale o giudiziale), convengano che l’obbligo di mantenimento
debba essere adempiuto mediante prestazione una tantum (datio di una somma di denaro o trasferimento di beni o diritti su beni), se appare essenziale per individuare la disciplina loro applicabile, va poi coordinata con la pluralità di funzioni pratiche che essi
possono svolgere, avuto riguardo al concreto assetto di interessi programmato dai coniugi.
Occorre, così, in particolare, accertare se la transazione abbia ad oggetto solo il dovere
di mantenimento o sia volta, come espressamente previsto dal comma 2 dell’art. 1965
c.c., ad estinguere, creare o modificare anche rapporti diversi da quello oggetto della
contestazione attuale o potenziale e, ancora, se presenti funzione solutoria, compensativa, risarcitoria o composita.
A tal riguardo va rilevato che autorevole dottrina58 e taluna giurisprudenza59 tendono a
sottolineare la funzione solutoria che gli accordi in discorso assolvono. In realtà, se la
56
Il principio secondo il quale il giudicato è soggetto alla clausola rebus sic stantibus è tipico dei rapporti
di durata. La giurisprudenza è infatti costante nel ribadire, avuto riguardo alle più disparate materie, che
“Nei rapporti di durata, ... in relazione ai quali l'autorità della cosa giudicata ha come suo presupposto il
principio rebus sic stantibus, la statuizione può essere modificata sulla base di fatti sopravvenuti alla sua
formazione”: Cass., sez. III, 18 luglio 2002, n. 10420, in Giust. civ. Mass., 2002, p. 1264. Nello stesso
senso, tra le tante, Cass., sez. I, 08 novembre 2007, n. 23355, in Giust. civ. Mass., 2007, p. 11; Cass., sez.
lav., 14 dicembre 1998, n. 12554, in Giust. civ., 1999, I, p. 386; Cons. Stato , sez. IV, 12 giugno 1998, n.
922, in Cons. Stato, 1998, I, p. 816.
57
Per la trattazione di tale profilo si rinvia alle riflessioni che, nel prosieguo, saranno dedicate
all’influenza del controllo di equità sugli accordi oggetto del presente studio. V. oltre sub § 8.
58
Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Bonilini-Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il
Codice Civile Commentario a cura di Schlesinger – Busnelli, Milano 2004, pp. 621-622 il quale evidenzia
l’importanza di indagare caso per caso se le parti abbiano voluto novare il rapporto precedente o semplicemente perfezionare una datio in solutum stante l’efficacia estintiva e costitutiva dell’accordo nel primo
caso e quella meramente modificativa nel secondo, con conseguente notevole differenza della disciplina
16
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prassi più risalente induceva senz’altro a ritenere che l’accordo delle parti integrasse
esclusivamente una datio in solutum, dalla casistica più recente si evince che sia invalsa
la tenenza ad operare, tramite gli accordi in discorso, una regolamentazione molto più
ampia di interessi; con la prestazione una tantum sempre più spesso costituita, non già
da una somma di denaro, ma dal trasferimento di diritti su beni, si compone, infatti, tutta
una serie di conflitti d’interessi che hanno origine in pregressi rapporti tra i coniugi, altri
rispetto al mantenimento.
D’altra parte né l’unilateralità della prestazione promessa, né l’appartenenza della stessa
ad altra figura tipica (nel caso la datio in solutum) esclude l’individuazione del tipo
transazione in quanto, da un lato, le reciproche concessioni possono inerire a prestazioni
estranee al rapporto specificamente controverso e, dall’altro, lo schema transattivo è un
modello “ad ambito ampio, cioè non individuato tramite il contenuto di una o di entrambe le prestazioni”60.
Invero, la datio in solutum viene assorbita nello schema transattivo quante volte siano
rinvenibili, nell’intera programmazione d’interessi, reciproche concessioni61 e, cioè, la
reciproca rinuncia alle pretese azionate o azionabili. Negli accordi in esame la concessione (reciproca) è evidente laddove si osservi che la prestazione istantanea (somma di
denaro o trasferimento di diritti su beni) offerta ed accettata in luogo di adempimento ha
una misura forfettariamente convenuta e sostituisce una prestazione che, presentando il
carattere della periodicità e essendo priva sia di rigidi parametri di riferimento per l’ attribuzione e la determinazione sia di un termine, non è a priori determinabile nel suo
ammontare62. Ciò palesa che, anche se non siano con certezza riscontrabili reciproche
da applicare; Scalisi, Commentario a Legge 1° agosto 1978, n. 436. Norme integrative della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Nuove leggi civ. comm.,
1979, p. 609 il quale precisa che “dal punto di vista tecnico giuridico, l’accordo per la corresponsione una
tantum dell’assegno di divorzio integra lo schema di una vera e propria datio in solutum e in quanto tale
esso realizza una vicenda solo modificativa, sotto il profilo oggettivo, del rapporto obbligatorio, nella
specie dell’obbligo di corrispondere l’assegno”.
59
Tra le tante, Cass. n. 11342/2004, cit..
60
Del Prato, Transazione (dir. priv.), cit., pp. 824- 825 ove l’Autore precisa che “qualsiasi prestazione
appartenente ad altra figura tipica può inerire alla composizione della lite senza determinare l’esorbitanza
dallo schema transattivo”.
61
Per il rapporto intercorrente tra la transazione e la datio in solutum cfr. Del Prato, Transazione (dir.
priv.), cit., pp. 816-817.
62
Cfr. Doria, Autonomia privata e «causa familiare», cit., p. 282 ss..
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concessioni in senso meramente economico, è certamente esistente il carattere peculiare
del tipo transazione e, cioè, l’esistenza di una lite quantomeno potenziale consistente nel
giudizio in seno al quale giungere alla determinazione, non solo del quantum, ma, ancor
prima, dell’an debetur.
L’individuazione della concreta programmazione di interessi, che non esclude profili di
gratuità quante volte l’aliquid datum esuberi notevolmente l’aliquid retentum, acquista
poi significativa rilevanza con riguardo alla tutela dei terzi. In particolare, quando
l’accordo ha ad oggetto, non già una prestazione in denaro, bensì il trasferimento di un
bene, l’operazione economica può cagionare la lesione di diritti di terzi estranei al rapporto contrattuale, ma coinvolti dai mutamenti dell’assetto patrimoniale delle parti, quali i creditori del coniuge obbligato. In particolare, il problema sorge con riguardo alla
assoggettabilità degli accordi di cui si discute a revocatoria ordinaria63 e fallimentare64.
Sotto altro e non meno rilevante aspetto, l’indagine sulla specifica programmazione è
indispensabile al fine di verificare gli effetti che l’accordo dovrà produrre65; in particolare andrà indagato se i coniugi abbiano convenuto di definire i loro rapporti economici
63
Avuto riguardo all’applicazione dello strumento di cui all’art. 2901 c.c. è importante innanzitutto
escludere che l’attribuzione sia stata fatta esclusivamente a titolo di “adempimento di un debito scaduto”
in quanto questa fattispecie è sottratta all’operatività dello strumento revocatorio ex comma 3 dell’articolo
citato. Ove si rinvenga una fattispecie con funzione complessa occorre, invece, indagare se l’attribuzione
sia avvenuta a titolo gratuito o a titolo oneroso al fine di individuare se i presupposti che devono sussistere per l’operatività dello strumento siano quelli richiesti dal n. 1 (scientia fraudis) o dal n.2 (consilium
fraudis) del comma 1 della citata disposizione. Escluso che si tratti di una datio in solutum non integrata
nello schema della transazione come si è cercato di chiarire nel testo, va rilevato che la Suprema Corte,
soffermandosi sulla causa concreta degli accordi stipulati in sede si separazione consensuale ed aventi ad
oggetto il trasferimento di beni senza corrispettivo, ha chiarito che non ricorrono né le connotazioni classiche della donazione né quelle della vendita e che il complessivo assetto di interessi programmato può
“di volta in volta colorarsi dei tratti della obiettiva onerosità ... o di quelli della gratuità, in funzione
dell’eventuale ricorrenza, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessa, di tutta quella ampia serie di possibili rapporti ... patrimoniali ... maturati nel corso della
... quotidiana convivenza matrimoniale”: Cass., sez. I, n. 5741/2004, cit.; Cass., sez. III, n.5473/2006, cit..
64
L’art. 69 della legge fallimentare sottopone il coniuge ad una disciplina più rigorosa rispetto alla generalità dei terzi e, avuto riguardo ai presupposti richiesti per la revocabilità degli atti compiuti in suo favore, distingue tra atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzia ex art. 67 e atti a titolo gratuito. La Suprema
Corte ha da ultimo (Cass., sez. I, n. 8516/2006, cit.) evidenziato che gli accordi con i quali, in sede di separazione, si conviene il trasferimento di beni in adempimento della prestazione di mantenimento non si
esauriscono nella funzione solutoria; d’altro canto la onerosità degli stessi non li sottrae alla revocatoria
qualora, ai sensi del comma 1 n. 1 dell’art. 67 l. fall., sussista sproporzione tra le prestazioni che, nella
ricostruzione prospettata in termini di transazione, consiste nella sproporzione tra aliquid datum e aliquid
retentum.
65
Sul punto v. oltre sub §§ 8 e 9.
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per il periodo della separazione, lasciando aperta la determinazione dei diritti e doveri
nascenti dall’eventuale futuro divorzio, oppure abbiano voluto risolvere definitivamente
ogni rispettiva pretesa patrimoniale a qualsiasi titolo vantata, sia con riguardo alle ragioni di credito nascenti dalla separazione sia con riguardo a quelle successivamente
originate da una sentenza di divorzio, valutata evidentemente non già come una mera
ipotesi, ma come uno stadio successivo e, fin da allora, programmato della loro crisi coniugale, già palesemente non transitoria.
6. Validità degli accordi e disponibilità del diritto al mantenimento
Individuata la natura transattiva degli accordi, occorre verificarne la validità con riferimento, in primo luogo, all’esistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1966 comma 2 c.c.66 e
cioé la disponibilità dei diritti oggetto del contratto.
L’indisponibilità, ai sensi della citata disposizione, può dipendere dalla natura dei diritti
o da espressa disposizione di legge. Va, peraltro, subito rilevato che la indisponibilità di
un diritto non può evincersi dalla sua natura in quanto la indisponibilità non è una qualità ontologica delle situazioni giuridiche; come autorevolmente chiarito, infatti, “I diritti,
come entità giuridiche, sono qualificabili e classificabili unicamente sulla base delle
norme del diritto”67.
Occorre, pertanto, individuare nella normativa indicazioni circa la disponibilità dei diritti68 che formano oggetto dell’accordo transattivo con il quale i coniugi convengano la
corresponsione una tantum della prestazione di mantenimento. Il dato positivo in mate-
66
La dottrina segnala che il comma 1 dell’art. 1966 c.c. fa esclusivo riferimento alla capacità di agire in
senso tecnico delle parti che stipulino la transazione, mentre è il comma 2 dello stesso articolo che specificamente richiede, per la validità del contratto la “posizione soggettiva delle parti rispetto all’oggetto del
rapporto – vale a dire” la “c.d. capacità dispositiva o legittimazione ad agire”: Pugliatti, Della transazione, cit., p. 466.
67
Pugliatti, Della transazione, cit., p. 467 il quale precisa che, ai fini della determinazione della disponibilità o indisponibilità del diritto, occorre attenersi esclusivamente al dato formale, cioè alla norma che lo
classifica come tale.
68
Com’è stato rilevato, l’art. 1966 c.c. comma 2 “allude alle situazioni soggettive accertabili, se controverse, solo da parte dell’autorità giudiziaria o, diversamente, irrilevanti per il diritto: quindi agli status
personali, ai diritti della personalità, all’obbligazione di prestare gli alimenti, all’obbligazione naturale”:
Del Prato, Transazione (dir. priv.), cit., p. 841.
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ria non è, però, di immediato ausilio69 e, pertanto, il problema va risolto in via interpretativa e non trova risposte pacifiche in dottrina e giurisprudenza.
Secondo l’orientamento tradizionale, l’obbligo di mantenimento del coniuge separato
previsto dall’art. 156 c.c. è riconducibile al dovere di contribuzione o, comunque, al dovere di assistenza ex art. 143 c.c. di cui costituirebbe la prosecuzione70 e conserverebbe,
quindi, la natura indisponibile attribuitagli dall’art. 160 c.c.. Da tale indisponibilità deriverebbe la irrinunciabilità non solo al diritto, ma anche alle sue modalità di soddisfacimento e, in particolare, alla periodicità della prestazione.
In effetti il mantenimento ha la funzione di fornire al coniuge, sprovvisto di redditi adeguati, i mezzi per provvedere alle proprie esigenze di vita in misura proporzionale rispetto alle sostanze ed al reddito dell’altro coniuge e, quindi, di garantirgli la possibilità
di continuare a partecipare della sua condizione economica71. Ciò ha ingenerato la convinzione che la periodicità fosse carattere peculiare ed indefettibile della prestazione di
mantenimento in quanto direttamente funzionale al suo progressivo adattamento alle
condizioni economiche dell’obbligato72. Nella stessa logica, anche la giurisprudenza
non manca di ribadire che l’assegno di mantenimento va commisurato in modo diverso
da quello di divorzio, in quanto “la separazione instaura un regime che, a differenza del
divorzio, tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza”73.
69
Non esiste, infatti, una norma che stabilisca per i rapporti di famiglia, similmente a quanto l’art. 2113
c.c. fa per i rapporti di lavoro, la inderogabilità dei diritti patrimoniali vantati da un coniuge nei confronti
dell’altro o la invalidità di rinunce e transazioni relative agli stessi. Cfr. Zoppini, Contratto, autonomia
contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1329.
70
Per tutti, Azzolina, La separazione personale dei coniugi, cit., p. 132 ss.; Morozzo Della Rocca, Separazione personale dei coniugi (Diritto privato), in Enc. Dir., XLI, Milano 1989, p. 1396 s..
71
E’ pacifica in dottrina la netta distinzione tra diritto al mantenimento e diritto agli alimenti. Per tutti,
Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione, cit., p. 285 ss.; Pajardi, La separazione personale
dei coniugi nella giurisprudenza, cit., p. 299 ss.
72
Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 1975, p. 486 s.
73
Cass., sez. I, 19 marzo 2004, n. 5555, in Fam. dir., 2004, p. 343 ove la Suprema Corte, sulla base dei
presupposti suddetti ed evidenziando che l’art. 156 c.c. subordina il diritto al mantenimento esclusivamente all’inadeguatezza dei redditi e non anche, come l’art. 5 comma 6 legge n. 898/70, alla oggettiva
impossibilità di procurarseli, ha ritenuto che l’accordo sull’indirizzo della vita coniugale secondo il quale
la moglie non dovesse lavorare, continua a produrre effetti anche dopo la separazione. Nello stesso senso
Trib. Napoli, 16 marzo 1990, in Dir. giur., 1992, p. 280 secondo il quale “L'obbligo di prestare all'altro
coniuge assistenza materiale peculiare e proprio dello status di coniuge, è, per sua natura, inderogabile e,
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A ben vedere, tale conclusione si fonda sul presupposto che la separazione, a differenza
del divorzio, costituisce il rimedio ad una crisi transitoria del rapporto coniugale e si
pone, quindi, in funzione strumentale rispetto alla riconciliazione; in tale ottica la periodicità dell’obbligazione di mantenimento rifletterebbe la persistenza di una rapporto solidaristico tra i coniugi74 con cui mal si accorderebbe la prestazione in unica soluzione
con efficacia estintiva75.
La dottrina più attenta non manca però di segnalare che l’evoluzione del diritto di famiglia si è tradotta in profonde modifiche del fondamento assiologico della separazione
facendo emergere varie funzioni cui l’istituto può, di volta in volta, assolvere. In particolare, se permane, quantomeno teoricamente, la sua idoneità a conservare il rapporto in
funzione della riconciliazione, esso appare senz’altro funzionale anche a situazioni di
crisi irreversibile e definitiva. La separazione è, infatti, preposta ad assolvere anche funzione prodromica rispetto alla pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio76 e può costituire anche strumento, autonomo e alternativo rispetto
al divorzio, di sistemazione definitiva dei rapporti coniugali77.
Orbene, la presenza di un accordo, accessorio rispetto alla separazione, consensuale o
giudiziale che sia, con il quale i coniugi esprimano un programma d’interessi volto a risolvere definitivamente i loro rapporti patrimoniali, pare indice inequivocabile di un uso
del rimedio della separazione non certo funzionale ad una successiva riconciliazione,
ma, piuttosto, prodromico ad un prossimo e già programmato divorzio, o comunque di
un nuovo assetto destinato a sostituire quello coniugale in via tendenzialmente definitiva.
quindi, è sottratto alla disponibilità dei privati. Va, pertanto, rifiutata l'omologazione dell'accordo tra coniugi che, a modifica dei patti della separazione che dispongono l'obbligo di mantenimento del coniuge
meno abbiente, preveda, sul presupposto della raggiunta autosufficienza economica di quest'ultimo, l'estinzione dell'obbligazione di mantenimento, mediante il versamento una tantum di una somma di denaro,
in considerazione del fatto che la periodicità della prestazione patrimoniale è criterio dirimente tra la fase
separatoria e quella postconiugale”.
74
Ceccherini, Natura e funzione dell’assegno al coniuge divorziato, in Foro it., 1977, V, c. 236.
75
Grassetti, Commentario alla riforma del diritto di famiglia, Padova 1976, p. 303 ss..
76
Carbone V., La mutata funzione della separazione personale, in Fam. dir., 1994, p. 267 ss..
77
Angeloni, Autonomia privata, cit., p. 122 ss. e bibliografia ivi citata sub note 13,14,15.
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D’altro canto, il dato normativo atto a qualificare il diritto al mantenimento in termini di
indisponibilità non può essere, come la giurisprudenza asserisce78, l’art. 160 c.c., in
quanto l’obbligo di mantenimento non può identificarsi completamente ed integralmente in quello di assistenza, ma ne costituisce una “traduzione, trasformazione, modificazione, specificazione, estrinsecazione, manifestazione di un aspetto o di una componente”79, quella materiale appunto. Inoltre, tale norma, delimitando l’autonomia contrattuale dei coniugi in costanza di matrimonio (non a caso il legislatore utilizza l’espressione
“sposi” e non già coniugi80), deve ritenersi riferibile esclusivamente alla fase fisiologica
dello svolgimento del rapporto coniugale e del tutto estranea agli accordi destinati a regolare i rapporti patrimoniali successivi alla separazione o, addirittura, al divorzio81. Peraltro, non può sottacersi che autorevole dottrina ha da tempo segnalato che dopo la separazione non vi è più spazio per l’operatività del principio di solidarietà familiare ed i
rapporti patrimoniali successivi tra i coniugi devono, piuttosto, considerarsi come un
comune rapporto di credito tra soggetti indipendenti82.
78
V. Trib. Piacenza, 6 febbraio 2003, n. 89, cit., che espressamente statuisce: “In tema di patti modificativi degli accordi di separazione tra coniugi, è nullo per contrasto con l'art. 160 c.c. applicabile anche ai
contratti della crisi familiare, l'accordo con il quale gli stessi decidano, con rinuncia ad ulteriori pretese da
parte di un solo soggetto, di definitivamente esonerare per il futuro il coniuge onerato dalla corresponsione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge più debole a fronte di un unico versamento una tantum”; asseriscono l’operatività del limite all’autonomia contrattuale dei coniugi posto dall’art. 160 c.c.
anche nella fase della crisi, tra le tante, Cass., sez. I, 28 luglio 1997, n. 7029, in Giust. civ. Mass., 1997, p.
1287; Cass., sez. I, 22 gennaio 1994, n.657, in Fam. dir., 1994, p. 139; Cass., sez. I, 24 febbraio 1993, n.
2270, in Fam. dir., 1994, p. 554; App. Brescia, 16 aprile 1987, in Giur. mer.,1987, p. 843; Cass., sez. I,
22 aprile 1982, n. 2481, in Giust. civ. Mass., 1982, fasc. 4.
79
Angeloni, Autonomia privata, cit., p. 133. Nello stesso senso Amagliani, Autonomia privata e diritto di
famiglia, cit., p. 139 secondo il quale l’obbligo di mantenimento “si atteggia secondo parametri legalmente predeterminati che ne fanno situazione giuridica altra rispetto a quelle contemplate dall’art. 143 c.c.”.
80
Per tale osservazione v. Oberto, Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra coniugi, cit., p. 30.
81
Cfr. Oberto, Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra coniugi, cit., p. 28 ss.; Angeloni, Autonomia
privata e potere di disposizione, cit., p. 277 ss.. Entrambi gli Autori si soffermano sul fatto che già
l’interpretazione della norma, condotta mediante il metodo storico, e la sua collocazione tra le disposizioni atte a regolare il regime patrimoniale della famiglia palesano l’assoluta estraneità dell’art. 160 c.c. alla
regolamentazione dei rapporti tra coniugi separati o ex coniugi divorziati. Nello stesso senso Natali,
L’indisponibilità del diritto al mantenimento da parte dei coniugi separati e l’invalidità della prestazione
una tantum: due limiti, forse eccessivi, all’autonomia coniugale, in Arch. civ., 2004, p. 498.
82
Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p.
621 ove l’Autore precisa che “Con la separazione viene meno la vita coniugale e cessa di avere efficacia
l’accordo dei coniugi sull’indirizzo della vita familiare e con esso il dovere di contribuire patrimonialmente alla sua attuazione”. D’altro canto, “fuori dalla convivenza coniugale, il regime del mantenimento
non arreca rischi all’uguaglianza riducendosi a un comune rapporto di credito tra soggetti indipendenti”.
22
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A conferma della natura disponibile del diritto al mantenimento, va poi rilevato – e il
rilievo sembra decisivo - che la disciplina della separazione consensuale palesa
l’intenzione del legislatore di non sottoporre a nessun controllo, eccezion fatta per quello relativo alla legittimità formale del procedimento, il negozio di separazione consensuale avuto riguardo sia all’accordo in sé considerato sia alle statuizioni relative ai rapporti tra coniugi; lo spazio ritagliato alla valutazione del giudice riguarda, infatti, esclusivamente l’affidamento ed il mantenimento dei figli83.
D’altro canto, la giurisprudenza, anche risalente84, che insiste nell’affermare la nullità
degli accordi volti al soddisfacimento dell’obbligo di mantenimento con prestazione una
tantum per contrarietà all’ordine pubblico (per violazione dell’art. 160 c.c.) in quanto
integrante una rinunzia ad un diritto indisponibile, entra in palese contraddizione laddove, tende, viceversa, a riconoscere validità agli accordi stipulati in sede di separazione
consensuale, sia qualora contengano dichiarazioni ricognitive della situazione di autosufficienza economica di entrambi i coniugi o di insussistenza in capo ad essi delle condizioni per la concessione dell’assegno, sia qualora si convenga il mantenimento in misura anche palesemente inferiore rispetto a quella risultante dall’eventuale verifica delle
condizioni. Tali pattuizioni, come peraltro la stessa mancata menzione della prestazione
di mantenimento nell’accordo di separazione, sono del tutto prive di controllo in sede di
omologazione85 e paralizzano rebus sic stantibus qualsivoglia richiesta economica, ma,
a ben vedere, contengono, quantomeno in parte, una rinuncia al diritto stesso e, quindi,
presuppongono la sua disponibilità86. Ove poi le dichiarazioni ricognitive della situazione di autosufficienza volessero considerarsi alla stregua di confessioni, il problema si
83
Doria, Autonomia dei coniugi in occasione della separazione consensuale ed efficacia degli accordi
omologati, in Dir. fam. pers., 1994, p. 566 s..
84
Si rinvia sul punto all’analitica disamina operata da Oberto, Sulla natura disponibile degli assegni di
separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento giudiziale (parte prima), in Fam. dir., 2003, p.
389 ss. spec. p. 393.
85
Com’è stato rilevato, vi sono ulteriori elementi che confermano la natura disponibile dell’assegno di
mantenimento. Primo tra tutti il fatto che esso non può in nessun caso essere disposto d’ufficio, ma esclusivamente su richiesta di parte la cui mancanza determina l’efficacia preclusiva della pronuncia sino al
verificarsi di giustificati motivi che diano diritto alla revisione. In secondo luogo, la mancanza di poteri di
controllo sia del giudice sia del pubblico ministero la cui presenza in giudizio è funzionale esclusivamente
alla tutela degli interessi della prole minorenne. Cfr. Oberto, Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio, cit., pp. 395-396.
86
Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p.1328.
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porrebbe nei medesimi termini, in quanto, ex art. 2733 comma 2 c.c.87, la loro validità
sarebbe comunque condizionata alla disponibilità della pretesa creditoria esattamente
nella misura in cui ciò è necessario per gli accordi con i quali si convenga la prestazione
una tantum.
Infine, la contraddizione in cui cade la giurisprudenza è evidente laddove afferma la validità del riconoscimento o del trasferimento di diritti volto a garantire il mantenimento88, che altro non è se non, appunto, un modo di adempimento in unica soluzione.
Ciò premesso, pare potersi concludere che non sussistono ragioni per attribuire al diritto
di mantenimento natura indisponibile e per sottrarre lo speculare obbligo, che, com’è
stato rilevato, presenta i caratteri inequivocabili delle obbligazioni89, al relativo statuto.
Invero, avuto riguardo ai rapporti patrimoniali tra coniugi separati, l’unica situazione
soggettiva che presenta il carattere della indisponibilità, per espressa previsione dell’art.
447 c.c., è il diritto agli alimenti90. La assodata e pacifica differenza che intercorre tra
gli alimenti e il mantenimento non consente l’estensione analogica della citata norma, e,
d’altro canto, non può sottacersi che secondo gli orientamenti maggiormente liberali, la
transazione trova un certo spazio anche in materia di alimenti. In particolare, possono
senz’altro formare oggetto di transazione i crediti relativi alle prestazioni arretrate e, secondo taluni, l’area della disponibilità transattiva si estende anche alla misura ed al modo di corresponsione dei crediti non ancora maturati; in tale ultima ipotesi, peraltro,
l’accordo rimarrebbe comunque sottratto alla clausola rebus sic stantibus ai sensi e per
gli effetti dell’art. 440 c.c. il che renderebbe eccezionalmente inoperante l’excepio rei
87
Cfr. Oberto, Sulla natura disponibile degli assegni di separazione e divorzio, cit., p. 394; Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione, cit., p. 279.
88
Tra le tante, Cass., sez. I, n. 4306/1997, cit., secondo la quale “Sono pienamente valide le clausole
dell'accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni
mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d'udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai
sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l'omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell'art. 2657 c.c., senza
che la validità dei trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione
legale tra coniugi”. V. anche Cass., sez. I, n. 12110/1992, cit. e, in materia tributaria, Cass., sez. trib., 30
maggio 2005, n. 11458, in D.G., 2005, 37, p. 31.
89
Cfr. Zoppini A., Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1325.
90
Cfr. Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione, cit., p. 280 ss..
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per transactionem finitae91. Se, pertanto, nonostante l’espressa previsione della natura
indisponibile del diritto, anche la misura ed il modo di corresponsione degli alimenti
può essere oggetto di accordo tra le parti, a fortiori non può negarsi natura pienamente
disponibile all’assegno di mantenimento e, comunque, non può che ritenersi certamente
rientrante nella sfera di disponibilità dei coniugi la determinazione della misura della
prestazione e della modalità di adempimento che è proprio il contenuto dell’accordo con
il quale si conviene la corresponsione una tantum92.
7. Accordi in sede di separazione e rinuncia ai diritti patrimoniali conseguenti
al divorzio
Il problema della disponibilità dei diritti oggetto della transazione si pone in modo particolare laddove la specifica programmazione operata dalle parti palesi che l’aliquid retentum non si esaurisce nelle pretese relative alle spettanze conseguenti la separazione,
ma comprenda anche quelle inerenti al successivo, eventuale (rectius probabile), assegno di divorzio.
La giurisprudenza, dapprima incline ad ammettere la disponibilità dell’assegno di divorzio e, quindi, la preventiva rinunciabilità dello stesso, è divenuta, dopo la riforma
del 198793, pressoché unanime nel ritenere che tali accordi siano nulli per asserita illiceità della causa, ma le argomentazioni addotte a sostegno di tali impostazione non
sembrano condivisibili e, a ben vedere, paiono affermazioni apodittiche e tralaticiamen91
Del Prato, Transazione (dir. priv.), cit., p. 841 e bibliografia ivi citata sub note 171, 172 e 173; nello
stesso senso D’Onofrio, Della transazione, cit., p. 244 s..
92
Sulla sicura transigibilità del diritto al mantenimento v. Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione, cit., p. 341.
93
Prima che il legislatore intervenisse con la legge 6 marzo 1987, n. 74, la dottrina attribuiva pacificamente all’assegno di divorzio natura composita e la giurisprudenza si manifestava favorevole alla disponibilità del relativo diritto, quantomeno con riguardo alle componenti risarcitoria e compensativa. Per tutte, Cass., sez. I, 03 luglio 1980, n. 4223, in Giust. civ. Mass., 1980, f. 7 secondo la quale “L'assegno di
divorzio può validamente formare oggetto di transazione o di rinuncia, purché queste risultino in modo
certo ed univoco, non siano affette da vizi della volontà o dalla dichiarazione e sempreché resti salvaguardata l'esigenza di soddisfare ciò che è necessario ai bisogni di vita del coniuge più debole, non passato a nuove nozze: ne consegue che la volontà di rinunciare all'assegno di divorzio può manifestarsi anche
prima della instaurazione del giudizio di scioglimento del matrimonio, ma limitatamente alle componenti
risarcitoria e compensativa dell'assegno stesso, in quanto riferibili ad elementi determinabili in quel momento, mentre, sotto il profilo assistenziale, la rinuncia preventiva all'assegno incide su un diritto indisponibile e indeterminabile in quel momento, e pertanto il giudice del divorzio conserva il potere-dovere
di statuire al riguardo e conseguentemente di valutare le condizioni economiche delle parti”.
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te ripetute più che frutto di un ponderato ed argomentato giudizio di invalidità, in quanto, nella maggior parte dei casi, specie di recente, non si riscontra coerenza tra le premesse della motivazione e le conclusioni della decisione.
Quanto al giudizio di invalidità la Suprema Corte, di fronte ad un accordo stipulato in
sede di separazione ed avente ad oggetto la corresponsione una tantum dell’assegno di
mantenimento a tacitazione di qualsiasi pretesa economica del coniuge beneficiario, è
costante nel ribadire che “gli accordi con i quali i coniugi tendano a regolare, in sede di
separazione, i loro reciproci rapporti economici in relazione al futuro divorzio con riferimento all’assegno di mantenimento, sono nulli per illiceità della causa stante la natura
assistenziale di tale assegno posto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo in sede di divorzio” da ciò deducendo che “la disposizione
dell’art. 5 comma 8, legge 898/70 ... non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio. Gli accordi di separazione dovendosi interpretare secundum ius, non possono implicare alcuna rinuncia all’assegno di divorzio”94. Il giudizio di illiceità della causa degli
accordi in discorso poggia, quindi, essenzialmente su due presupposti e, segnatamente,
la indisponibilità del diritto all’assegno di divorzio derivante dalla sua preminente natura assistenziale e la indisponibilità dello status di coniuge che, secondo questo orientamento, diverrebbe oggetto dello scambio95.
Quanto all’indisponibilità dell’assegno di divorzio può, innanzitutto, rilevarsi che autorevole dottrina, già prima della riforma del 1987, aveva evidenziato che, quand’anche la
94
Cass., sez. I, 21 febbraio 2008, n. 4424, in Foro it., 2008, p. 2124; nello stesso senso, tra le tante, Cass.,
sez. I, 28 gennaio 2008, n. 1758, in Giust. civ. Mass., 2008, p. 1; Cass., sez. I, 10 marzo 2006, n.5302, in
Giust. civ. Mass., 2006, p. 4; Cass., sez. I, 11 settembre 2001, n. 11575, in Fam. dir., 2002, p. 285; Cass.,
sez. I, n. 8109/2000, cit.; Cass., sez. I, 1 dicembre 2000, n. 15349, in Giust. civ., 2001, I, p.1592; Cass.,
sez. I, 20 marzo 1998, n.2955, in Foro it., 1999, I, p.1306.
95
Tra le altre, Cass. , sez. I, 09 maggio 2000, n. 5866, in Giust. civ. Mass., 2000, p. 964 secondo la quale
“L'assegno di divorzio presuppone lo scioglimento del matrimonio e prescinde dagli accordi economici
intervenuti tra i coniugi al momento della separazione; infatti, da un lato detto assegno è determinato sulla
base di criteri autonomi e distinti rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato,
dall'altro, qualora tali accordi costituissero una liquidazione anticipata dell'assegno di divorzio, sarebbero
nulli, per essere sottratta alla disponibilità delle parti la regolamentazione in via preventiva e autonoma
degli effetti patrimoniali del divorzio e per illiceità della causa, in relazione all'effetto di condizionare il
comportamento delle parti nel successivo giudizio di status”; nello stesso senso Cass., sez. I, 11 giugno
1997, n. 5244, in Giur. it., 1998, p. 218; Cass., sez. I, 20 febbraio 1996, n. 1315, in Giust. civ. Mass.,
1996, p. 222; Cass., sez. I, 07 settembre 1995, n. 9416, in Dir. fam. pers., 1996, p. 931; Cass., sez. I, 01
marzo 1991, n. 2180, in Dir. fam. pers.,1991, fasc.4.
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funzione solidarisco-assistenziale risulti preminente, l’assegno non acquista di certo carattere alimentare e “ciò ne giustifica la collocazione tra i diritti patrimoniali disponibili
e spiega come” lo stesso “possa formare oggetto di una valida cessione, rinunzia o transazione”96. Orbene, la riforma del 1987 non ha espunto le componenti risarcitoria e
compensativa, che permangono tra i criteri di quantificazione dell’assegno di divorzio,
ma ne ha solo, eventualmente, accentuato la componente assistenziale, il che non è certo
sufficiente a far mutare la natura disponibile del relativo diritto, in quanto le formule
utilizzate per indicare ed individuare la funzione dell’assegno non ne mutano il fondamento assiologico che continua ad essere costituito dai valori della persona del coniuge
divorziato individuati nel “la sicurezza del coniuge debole, la dignità del soggetto leso
dalla causa di divorzio, la solidarietà familiare e l’uguaglianza dei coniugi”97.
La disponibilità del diritto all’assegno di divorzio si evince, poi, da tutta una serie di indici, già evidenziati con riguardo al diritto di mantenimento ed in particolare: il diritto
alla percezione dell’assegno può essere riconosciuto in giudizio solo su richiesta di parte
e solo sulla base del supporto probatorio dalla stessa articolato; qualora in sede di procedimento per lo scioglimento del matrimonio non ne venga richiesta l’attribuzione,
successivamente, il diritto alla prestazione assistenziale sorge solo al mutare delle condizioni di fatto anche se quelle esistenti al momento dello scioglimento del matrimonio
fossero, in ipotesi, idonee al conferimento dell’assegno; manca una norma che conferisca natura indisponibile al diritto98. A ciò si aggiunga che l’art. 5 comma 8 della legge
n. 898/70 attribuisce espressamente ai coniugi il diritto di concordare che la corresponsione dello stesso avvenga mediante una prestazione una tantum della quale sono libere
di determinare la misura ed alla quale, previo giudizio di equità emesso dal giudice,
96
Scalisi, Commentario a Legge 1° agosto 1978, n. 436, cit., p. 608.
Scalisi, Divorzio, persona e comunità familiare, in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione
al postmoderno, Milano 2005, p. 341 ss., spec. p. 355 ss., già in Riv. dir. civ., 1984, I.
98
In particolare, com’è stato rilevato, la norma prevista dall’art. 160 c.c., espressamente riguardante i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, “non può essere in alcun modo invocata nel campo del divorzio,
che del matrimonio rappresenta ... l’esatto rovescio”, né può trovare in tale materia applicazione analogica se non incorrendo in una “vera e propria cantradictio in adiecto”: Oberto, Prestazioni “una tantum” e
trasferimenti tra coniugi, cit., p. 27; nello stesso senso Carbone V., E’ sufficiente una valutazione implicita sulla congruità dell’assegno di divorzio in unica soluzione?, in Fam. dir., 2001, p. 134.
97
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27
consegue la definitiva estinzione di qualsiasi rapporto e, quindi, la irrilevanza delle sopravvenienze in deroga alla clausola rebus sic stantibus.
In conclusione, non pare sostenibile la indisponibilità del diritto in discorso, come, peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità finisce per acclarare in pronunce che si occupano di profili diversi99. Va, piuttosto, analizzata la funzione del giudizio di equità,
della quale ci si occuperà nel prosieguo100, per valutare cosa il legislatore abbia voluto
sottoporre a controllo e, quindi, quale sia la condizione giuridica di un accordo transattivo che non vi sia stato sottoposto o che, sottopostovi, sia risultato iniquo.
Avuto poi riguardo al timore che l’accordo possa determinare uno scambio tra la prestazione convenuta e lo status di coniuge101, va rilevato che il diritto alla separazione ed al
divorzio si configura come potestativo e, quindi, il consenso eventualmente prestato
dall’altro coniuge non influisce certo sulla perdita dello status, che avverrebbe comunque anche contro la sua volontà, bensì esclusivamente sulle statuizioni relative ai rapporti patrimoniali successivi (convenzionali piuttosto che giudiziarie) ed al procedimento (di volontaria giurisdizione piuttosto che contenzioso).
D’altronde, quando la stessa Suprema Corte espressamente ammette che “ciascuno dei
coniugi ha il diritto di condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un
99
Non può, infatti, non rilevarsi che la stessa Suprema Corte, ove non costretta alle affermazioni apodittiche di nullità degli accordi dovute evidentemente più ad un atteggiamento di prudenza che a ragioni di
stretta ermeneutica, non esita ad ammettere la natura disponibile dei diritti patrimoniali nascenti dalla separazione e dal divorzio. V. Cass., sez. I, 12 gennaio 2000, n. 266, in Dir. fam. pers., 2001, p. 544 ove testualmente si dispone: “Ritenuto che trattasi di materia disponibile, né l'art. 5, né l'art. 6 l. n. 898 del 1970
novell. vietano che il coniuge, richiestone, possa dare, validamente, il proprio consenso tacito all'assegnazione della casa familiare in comproprietà all'altro coniuge; tale beneficio va tenuto presente e calcolato
nella determinazione dell'assegno divorzile”; Cass., sez. I, 01 dicembre 1993, n. 11860, in Giust. civ.
Mass., 1993, f.12 secondo la quale “In materia di assegno di divorzio, che costituisce oggetto di un diritto
disponibile, condizionato unicamente dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente per conservare
il tenore di vita condotto in costanza di matrimonio, il detto coniuge è gravato dall'onere - non intaccato
dai poteri officiosi di indagine spettanti al giudice - di dedurre e dimostrare, con idonei mezzi di prova,
per ciò che concerne l'an debetur, quale fosse tale tenore di vita e quale deterioramento ne sia conseguito
per effetto del divorzio, e, per quanto concerne il quantum, tutte le circostanze suscettibili di essere valutate dal giudice alla luce dei criteri legislativi per la determinazione dell'assegno, senza che la sussistenza
di un deterioramento siffatto possa desumersi dalla mera circostanza di un sensibile divario di condizioni
reddituali in danno del coniuge richiedente, specie quando anche il reddito di quest'ultimo, ancorché inferiore a quello dell'altro, sia, in assoluto, di importo elevato”.
100
V. oltre sub §§ 8 e 9.
101
Timore dovuto alla convinzione che una tale transazione sia “sempre connessa, esplicitamente o implicitamente, all'intento di viziare, o quanto meno di circoscrivere, la libertà di difendersi in detto giudizio,
con irreparabile compromissione di un obiettivo d'ordine pubblico come la tutela dell'istituto della famiglia”: Cass., sez. I, 11 giugno 1981, n. 3777, in Dir. fam. pers., 1981, p. 1025.
28
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soddisfacente assetto dei propri interessi economici”102 (asserzione che può valere anche
con riferimento al consenso prestato per la presentazione della domanda congiunta di
divorzio o per la risoluzione convenzionale delle pretese patrimoniali in corso di procedimento), palesa che oggetto della concessione non è certamente lo status, ma soltanto
la disponibilità a concordare le modalità di gestione dei rapporti successivi103, il che
consente una riduzione dei costi e dei tempi della separazione o del divorzio e, quindi,
una soluzione che, nel complesso, risulta maggiormente idonea a soddisfare gli interessi
in gioco.
L’infondatezza della rigida impostazione giurisprudenziale criticata in questa sede, è
fatta palese dalle contraddizioni riscontrabili in numerose recenti pronunce nelle quali,
asserita in premessa la nullità degli accordi con i quali i coniugi, in sede di separazione,
convenivano la tacitazione con corresponsione una tantum delle pretese creditorie relative al mantenimento ed all’eventuale futuro assegno di divorzio, si fanno salvi gli effetti attributivi o traslativi di tali accordi104. Orbene, delle due l’una: se l’accordo è nullo
non ha mai prodotto i suoi effetti con la conseguenza che il coniuge beneficiario è tenuto a restituire la somma di denaro ricevuta in quanto integrante indebito e l’eventuale
effetto traslativo di un diritto non si è mai prodotto (con evidenti conseguenze anche nei
confronti dei terzi acquirenti dal titolare apparente); se, invece, nel verificare l’esistenza
delle condizioni per riconoscere il diritto all’assegno (l’inadeguatezza dei redditi) si tiene conto anche delle somme o dei diritti su beni percepiti dal coniuge debole in seguito
agli accordi in discorso, inevitabilmente se ne presuppone la validità105.
102
Cass., sez. I, n. 3940/1984, cit..
Com’é stato rilevato, infatti, l’accordo inerente una prestazione patrimoniale in occasione o in vista
della separazione o del divorzio non può ritenersi realizzativo, de iure, di un “commercio di status” e
l’eventuale illiceità dell’accordo deve essere accertata dal giudice caso per caso e non può certo presumersi: Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1327.
104
Cass., sez. I, 13 maggio 1999, n. 4748, in Giur. it., 2000, p. 720 secondo la quale “Nel caso in cui, in
una precedente separazione cui abbia fatto seguito la riconciliazione, un coniuge abbia ricevuto una somma una tantum per il soddisfacimento dei suoi diritti, il giudice della successiva nuova separazione, investito di una domanda di assegno di mantenimento, dovrà esaminare nuovamente il punto, tenendo tuttavia
conto dell'effettiva consistenza delle situazioni economico patrimoniali dei coniugi, e - quindi - anche delle disponibilità esistenti che siano state acquisite per effetto della precedente separazione”.
105
Nello stesso senso, Oberto, Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra coniugi, cit., p. 42 secondo il
quale le pronunce che sostengono che il giudice, in sede di divorzio o di separazione successiva alla riconciliazione, nell’esaminare l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla prestazione
assistenziale, debba tener conto della consistenza del patrimonio del richiedente anche con riguardo a
103
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29
Invero, l’esame di recenti pronunce della Suprema Corte svela la tendenza della stessa a
mitigare, quantomeno nelle decisioni, la rigida impostazione che continua a ribadire nelle premesse. Infatti, sebbene si asserisca la nullità degli accordi preventivi di rinuncia
all’assegno di divorzio, successivamente, nel compiere la valutazione propedeutica
all’attribuzione dell’assegno, viene esaminato il contenuto dell’accordo transattivo a suo
tempo stipulato al fine di verificare la sua idoneità a regolare definitivamente i rapporti
economici tra le parti106. In altri casi, l’esame verte sulle circostanze di fatto esistenti al
momento della stipulazione dell’accordo transattivo al fine di accertare se eventuali sopravvenienze abbiano fatto emergere interessi nuovi e diversi107.
Ancora, in altre pronunce108, la Corte, pur confermando in premessa che la determinazione dell’assegno di divorzio è indipendente dalle pattuizioni intervenute in sede di separazione, ammette che esse costituiscano, comunque, elementi da valutare al fine di
determinare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto alla prestazione assistenziale e giunge, infine, a negare il diritto stesso valutando che i beni assequanto acquisito in sede di separazione a seguito di corresponsione una tantum, contengono “un inequivocabile riconoscimento della validità delle attribuzioni in unica soluzione attuate nel corso della separazione personale”.
106
Il riferimento è a Cass., sez. I, n. 4424/2008, cit. ove la Corte, dopo aver ribadito le consuete premesse,
concorda con il giudice di merito nel valutare la corresponsione una tantum convenuta in sede di separazione non già invalida, ma solo idonea a garantire alla beneficiaria di mantenere un tenore di vita adeguato con riguardo al periodo della separazione. Invero, nel caso di specie la modica entità della prestazione
una tantum convenuta in sede di separazione, ammontante a complessive £ 7.000.000, pare palesare la
volontà negoziale che ha dato luogo ad una programmazione di interessi atta a regolare, con estrema probabilità, esclusivamente i rapporti patrimoniali conseguenti al periodo (già programmato come breve) della separazione. Peraltro non vi era, nell’accordo, espresso riferimento alle conseguenze patrimoniali di un
futuro divorzio quale oggetto della transazione. La Corte però non ha minimamente compiuto un esame
della concreta programmazione di interessi posta in essere dalle parti limitandosi, per un verso, a ribadire
la nullità della rinuncia preventiva all’assegno di divorzio (nel caso non espressa e neanche ricavabile
mediante la interpretazione dell’accordo) e, dall’altro, a far salva comunque l’attribuzione eseguita in esecuzione del patto in quanto ritenuta idonea a sopperire alle esigenze reddituali della beneficiaria per il periodo della separazione.
107
Il riferimento è a Cass., sez. I, n. 5302/2006, cit., ove la Corte, dopo aver pedissequamente ribadito le
apodittiche premesse relative alla nullità degli accordi preventivi di rinuncia all’assegno di divorzio, si
limita in realtà a valutare che le circostanze di fatto esistenti al momento della separazione e che avevano
giustificato la rinuncia al mantenimento erano notevolmente mutate e, in atto, a causa delle sopravvenienze, uno dei coniugi non godeva di redditi adeguati. In particolare, viene riconosciuto alla ex moglie il diritto all’assegno di divorzio in considerazione del fatto che al momento della separazione consensuale il
marito le aveva lasciato “la esclusiva disponibilità di un bar acquistato con proprio denaro, affinché ne
traesse i mezzi di mantenimento ..”, ma “dopo appena sei mesi dalla separazione la società era stata messa
in liquidazione ed il bar era stato alienato”
108
Cass., sez. I, 27 luglio 2005, n. 15728, in Giust. civ. Mass., 2005, p. 7; Cass., sez. I, 19 ottobre 2006, n.
22500, in Giust. civ. Mass. 2006, p.10.
30
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gnati a seguito dell’accordo stipulato in sede di separazione consentono al beneficiario il
tenore di vita adeguato109.
Nonostante le motivazioni continuino a confermare la indisponibilità del diritto e la nullità degli accordi che ne contengano, in qualche misura, la rinuncia preventiva, di fatto
pare che tali decisioni chiariscano che la nullità non colpisce l’accordo con il quale si
convenga la corresponsione una tantum dell’assegno di mantenimento e neanche la sua
estensione al futuro assegno di divorzio, quanto piuttosto la deroga alla regola secondo
la quale le statuizioni (anche contenute nella sentenza) relative ai rapporti patrimoniali
tra coniugi separati o divorziati rimangono sottoposte alla clausola rebus sic stantibus.
Pare, quindi, potersi affermare che gli accordi con i quali i coniugi convengano, in sede
di separazione, la regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali mediante prestazione una tantum (sia essa una somma di denaro o il trasferimento di un diritto su un
bene) atta eventualmente a soddisfare anche le pretese patrimoniali che potrebbero vantarsi in sede di divorzio siano validi, in quanto aventi ad oggetto diritti disponibili. Come intuito da qualche pronuncia di merito110, infatti, il problema non deve porsi in termini di indisponibilità del diritto, ma occorre, piuttosto, verificare se la concreta programmazione prospettata dalle parti violi un qualche limite inderogabile espressamente
fissato dal legislatore all’autonomia dei coniugi111.
Invero, l’unica limitazione che il legislatore espressamente pone alla regolamentazione
pattizia dei rapporti patrimoniali dei coniugi in occasione della crisi coniugale è rappre109
Cass., sez. I, n.2955/1998, cit..
Trib. Messina 10 dicembre 2002, in Arch. civ., 2003, p. 410 secondo il quale “Una volta omologate, le
condizioni di separazione anche in sede di divorzio costituiscono un punto di riferimento e sono suscettibili di essere replicate nella sentenza di divorzio se sono rimaste invariate le circostanze di fatto che le
avevano giustificate. La questione relativa alla validità degli accordi preventivi di divorzio non è tanto in
termini di astratta classificazione del diritto al mantenimento come indisponibile o parzialmente disponibile, e quindi rinunciabile in via preventiva o successiva, quanto quella di verificare se nel fare riferimento, nella sentenza di divorzio agli accordi dei coniugi adottati in sede di separazione ovvero ad accordi
preventivi di divorzio, si realizzi una lesione di interessi primari per la cui tutela il legislatore - ed il giudice nell'applicare la legge - interviene in senso positivo, ponendo dei limiti alla autonomia privata”.
111
Tale limite inderogabile viene individuato dalla pronuncia citata nella nota precedente (Trib. Messina
10 dicembre 2002) nella “funzione assistenziale che la legge attribuisce all'assegno di divorzio”. Orbene,
pur convenendo con le premesse della motivazione, si dissente in ordine alle conclusioni, in quanto
l’assegno di mantenimento (o di divorzio), pur avendo natura assistenziale (o prevalentemente tale) non
può essere considerato alla stregua di uno strumento volto al soddisfacimento di bisogni alimentari, in
quanto la prestazione di mantenimento assolve ad una funzione ulteriore ed autonoma, quindi, indipendente da quella alimentare. Sul punto v. Amagliani, Autonomia privata e diritto di famiglia, cit., p. 150.
110
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sentato dal controllo di equità cui deve essere sottoposto, ai sensi dell’art. 5 co. 8
l.898/70, l’accordo atto a svincolare il rapporto patrimoniale dall’incidenza delle sopravvenienze ed a rendere inoperativa la clausola rebus sic stantibus, con conseguente
impossibilità per le parti di chiedere la revisione ex art. 9 della stessa legge.
8. Giudizio di equità sulla corresponsione una tantum e rilevanza delle sopravvenienze
L’art. 5, comma 8 della legge n.898/70, come si è detto, oltre ad accordare espressamente alle parti il diritto di convenire che l’assegno di divorzio venga corrisposto in unica
soluzione, dopo l’intervento correttivo della legge 6 marzo 1987, n. 74, sottopone altresì
tale accordo ad un controllo da parte del giudice atto a verificarne l’equità, cui riconduce, quale effetto, la definitiva estinzione di ogni rapporto patrimoniale tra gli ex coniugi
con conseguente impossibilità degli stessi di proporre in seguito altre richieste a contenuto patrimoniale in ragione del mutare delle condizioni esistenti al momento della sentenza.
Parte della dottrina ha ritenuto che la prevista irrilevanza delle sopravvenienze è il logico corollario della convenzione raggiunta dai coniugi e ritenuta equa dal giudice, in
quanto la possibilità di proporre in futuro ulteriori richieste economiche svuoterebbe di
significato l’attribuzione ai coniugi della possibilità di accordarsi sulla corresponsione
una tantum112. Pertanto, il controllo di equità richiesto dal legislatore si atteggerebbe
quale requisito di validità dell’accordo che, una volta acquisita la valutazione positiva,
produrrebbe l’effetto suo proprio consistente, appunto, nella inoperatività della clausola
rebus sic stantibus, mentre, in difetto, sarebbe nullo.
Invero, autorevole dottrina aveva già rilevato sotto la vigenza della formulazione originaria della legge che non tutti gli accordi con i quali i coniugi convengono la prestazione una tantum dell’assegno di divorzio sono da loro destinati ad estinguere in via defini-
112
32
Bonilini, L’accordo per la corresponsione dell’assegno in unica soluzione, in Contr., 1996, p. 407.
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tiva i reciproci rapporti patrimoniali e che occorresse, quindi, un’attenta indagine sul
contenuto di ciascun accordo113.
La giurisprudenza, dal canto suo, avvertiva come particolarmente onerosi gli accordi
volti ad estinguere definitivamente ogni rapporto tra i coniugi, tanto da statuire che, vigente l’originaria formulazione della norma, all’accordo doveva essere riconosciuta la
consueta efficacia rebus sic stantibus114; esso, quindi, era da considerarsi senz’altro valido ed efficace, ma suscettibile di revisione al verificarsi del mutamento delle circostanze di fatto esistenti al momento della stipula.
Pare dunque potersi ritenere che, sulla scorta di tali indicazioni il legislatore, tenuto conto della connotazione di aleatorietà che gli accordi in discorso assumono quando le parti
vi conferiscano carattere di definitività, con la riforma del 1987, abbia voluto sottoporre
a controllo di equità non già qualsiasi accordo con il quale si convenga la corresponsione in unica soluzione dell’assegno di divorzio, ma solo quegli accordi che siano destinati per volontà delle parti a rendere definitiva la programmazione d’interessi e, quindi, ad
escludere il diritto, garantito dalla legge, di chiedere la revisione della statuizione in
presenza di sopravvenienze115.
A ben vedere, quindi, gli accordi in discorso palesano un contenuto composito. In primo
luogo, e necessariamente, l’accordo esprime un programma d’interessi, concretantesi
nella corresponsione di una somma di denaro o nel trasferimento (anche solo promesso)
di beni o diritti su beni, volto a dirimere i conflitti relativi ai reciproci rapporti patrimo-
113
Scalisi, Commentario a Legge 1° agosto 1978, n. 436, cit., p. 609 il quale avverte che bisogna indagare
caso per caso al fine di appurare se l’accordo sia diretto “a definire conclusivamente ogni questione di carattere patrimoniale” o sia, viceversa “subordinato alla clausola rebus sic stantibus”.
114
Trib. Perugia, 5 dicembre 1994, in Rass. giur. umbra, 1996, p. 46 secondo il quale “L'accordo delle
parti per la corresponsione dell'assegno di divorzio in unica soluzione, intervenuto in epoca in cui non era
richiesto il giudizio di equità del tribunale, è soggetto a possibile modifica in quanto la normativa attualmente vigente impone tale controllo e solo dall'effettiva esistenza di questo deriva l'inammissibilità di
nuove domande a contenuto economico”. Nello stesso senso, Trib. Terni, 6 marzo 1995, in Rass. giur.
umbra, 1996, p. 47.
115
Com’è stato rilevato in dottrina, la scelta legislativa di sottoporre le statuizioni relative ai rapporti patrimoniali tra i coniugi alla clausola rebus sic stantibus e, quindi, destinarle a mutare col mutare delle circostanze, nonostante l’intervento del giudicato, palesa l’”intento di salvaguardare le esigenze di giustizia
ed equità”: Scalisi, Commentario a Legge 1° agosto 1978, n. 436, cit., p. 603. In questa logica, pare allora
coerente ritenere che solo l’accordo con il quale si convenga di derogare a quel meccanismo posto dal legislatore a garanzia dell’equità, debba necessariamente essere sottoposto ad un controllo che assicuri la
non violazione del valore tutelato.
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niali. In secondo luogo i coniugi, in aggiunta al contenuto principale, possono convenire
(quindi questa parte si rivela meramente eventuale) di attribuire all’assetto programmato
carattere definitivo e, quindi, in deroga agli artt. 156 c.c. e 9 legge n. 898/70, svincolarlo
dalla incidenza delle sopravvenienze che divengono, così, irrilevanti.
Si tratterà, naturalmente, di indagare di volta in volta sulla reale volontà delle parti per
verificare se esse abbiano o meno inteso inserire nell’accordo, oltre al programma
d’interessi costituente il suo contenuto essenziale, anche la determinazione circa la definitività degli effetti da esso prodotti e, quindi, la rinuncia al diritto di chiedere la revisione.
a) Avuto esclusivo riguardo al suo contenuto necessario e proprio, pare potersi affermare che l’accordo, in qualunque tempo esso sia stato stipulato (in sede di separazione
consensuale, durante il procedimento di separazione giudiziale, in sede di domanda
congiunta di divorzio o durante il procedimento contenzioso), avendo ad oggetto diritti
disponibili, sia senz’altro valido ed efficace; esso integra una transazione e, quindi, produce l’effetto preclusivo proprio di tale tipo legale, ma può rimanere soggetto alla clausola rebus sic stantibus.
Invero, la corresponsione in unica soluzione è, infatti, pienamente compatibile con la rilevanza delle sopravvenienze e con il diritto alla revisione previsto dalla legge.
Come si è sopra rilevato116, l’accordo con il quale i coniugi concordano di regolare i loro rapporti patrimoniali mediante il versamento di una somma di denaro o il trasferimento di diritti su beni produce l’effetto preclusivo della transazione che impedisce di
verificare a posteriori se l’an e il quantum debetur in esso concordati corrispondano o
meno al diritto che il coniuge beneficiario avrebbe potuto vantare se avesse fatto valere
in giudizio le sue pretese sulla base dei parametri stabiliti dalla legge. La programmazione operata si presume, quindi, satisfattiva degli interessi emergenti dalle circostanze
di fatto esistenti al momento della stipulazione. La sopravvenienza rileva solo se evidenzi un conflitto di interessi nuovo e diverso rispetto a quello già composto con
l’accordo transattivo. L’esame che il giudice, adito per la revisione, è chiamato ad operare non riguarda, pertanto, la situazione giuridica esistente (o quantomeno delineata)
116
34
V. sopra sub § 4.
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prima dell’intervento del fatto preclusivo, ma esclusivamente le circostanze di fatto esistenti al momento dell’accordo per verificare, comparandole con quelle attuali, se le sopravvenienze abbiano inciso in modo tale da evidenziare interessi nuovi e diversi. Il
provvedimento da emanare in sede di revisione è, quindi, atto a comporre un conflitto
d’interessi diverso rispetto a quello oggetto dell’accordo a suo tempo raggiunto dalle
parti.
Definita la compatibilità tra l’efficacia preclusiva della transazione e l’operatività della
clausola rebus sic stantibus, occorre valutare le modalità con le quali quest’ultima, tipica dei rapporti di durata117, può operare in un rapporto obbligatorio avente ad oggetto
una prestazione una tantum e, quindi, priva del requisito della periodicità.
Invero, quando il diritto di mantenimento è soddisfatto mediante la prestazione periodica, al sopravvenire di giustificati motivi i coniugi possono ottenere l’aumento o la riduzione dell’assegno a seconda che la sopravvenienza abbia inciso a favore o a discapito
del coniuge percettore o di quello obbligato. Quando, invece la corresponsione sia avvenuta in unica soluzione occorrerà, nel rispetto dell’efficacia preclusiva dell’accordo
transattivo, partire dal presupposto che, con riferimento alle circostanze di fatto esistenti
al momento dell’accordo, con l’esecuzione della prestazione siano stati garantiti al coniuge beneficiario redditi adeguati; sarà, quindi, necessario valutare se la sopravvenienza abbia inciso sulle condizioni di quest’ultimo al punto da far emergere il presupposto
richiesto dalla legge per l’insorgere del diritto all’assegno e , cioè, l’inadeguatezza dei
redditi.
Quanto all’incidenza negativa che le sopravvenienze possono avere sulle condizioni del
coniuge che ha eseguito la prestazione, è da escludersi che insorga in capo allo stesso un
diritto alla revisione, in quanto, non avendo egli più nessun obbligo nei confronti
dell’altro, il fatto sopravvenuto non può liberarlo come invece avviene qualora sia tenuto alla prestazione periodica che può essere ridotta o eliminata. D’altro canto non può
neanche configurarsi un diritto alla restituzione, poichè, esattamente come nell’ipotesi
di adempimento mediante assegno periodico, di fronte a fatti sopravvenuti non può essere riconosciuto diritto al rimborso delle prestazioni già eseguite, in quanto non sussi117
V. sopra sub § 4 spec. sub nota 56.
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ste in capo al coniuge beneficiario nessun obbligo di accantonare quanto percepito in vista della futura revisione118.
b) Avuto, poi, specifico riguardo al contenuto eventuale dell’accordo, consistente nella
determinazione volta a rendere definitivo il programma operato, svincolandolo, in deroga alla clausola rebus sic stantibus prevista dalla legge, dall’incidenza delle sopravvenienze, il legislatore pone un espresso limite all’autonomia contrattuale. In particolare
richiede, quale condizione di validità di tale parte dell’accordo, che lo stesso, nel suo
complesso, risulti equo.
A tal riguardo giova precisare che le parti possono convenire di rendere la pattuizione
definitiva, nei termini sopra precisati, sia inserendo nel contratto un’apposita clausola
(di rinuncia espressa a vantare qualsiasi diritto patrimoniale nei confronti dell’altro) o
semplicemente delineando il contenuto contrattuale in un modo che inequivocabilmente
manifesti questa volontà. La relativa clausola di deroga alla disposizione legislativa che
attribuisce ai coniugi il diritto alla revisione, può, quindi, essere espressa o tacita e va
evinta secondo i generali criteri ermeneutici.
Quanto al controllo che il legislatore ha voluto operare sull’autonomia dei coniugi, va
rilevato che esso investe sì l’intero regolamento, ma condiziona la validità del solo contenuto eventuale e, cioè, della rinuncia al diritto di chiedere la revisione.
La limitazione non riguarda, quindi, la libertà di determinare del quantum debetur, bensì
la scelta di svincolare il rapporto economico intercorrente tra i coniugi (o ex tali)
dall’incidenza delle sopravvenienze, determinandone l’estinzione definitiva e conferendo all’accordo transattivo carattere aleatorio119.
118
Cfr. Cass., sez. I, 5 giugno 1990, n. 5384, in Giust. civ. Mass. 1990, f. 6 secondo la quale “In tema di
separazione personale tra i coniugi, la riduzione dell'assegno di mantenimento fissato dal presidente del
tribunale, disposta per il peggioramento delle condizioni economiche dell'obbligato, ha efficacia dal momento in cui diviene efficace la sentenza, e non da quello della domanda, atteso che l'assegno provvisorio
è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non
è tenuto ad accantonare una parte in previsione dell'eventuale riduzione”. Nello stesso senso, tra le altre,
Cass., sez. I, 5 ottobre 1999, n. 11029, in Giust. civ., 1999, I, p. 2928; Cass., sez. I, 23 aprile 1998, n.
4198, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 872; Cass., sez. I, 12 aprile 1994, n. 3415, in Fam. dir., 1994, p. 531.
119
Com’è stato rilevato in dottrina “l’accordo diretto al soddisfacimento in unica soluzione del debito in
esame ha una marcata coloritura di aleatorietà per entrambi gli ex-coniugi”: Bonilini, L’accordo per la
corresponsione dell’assegno in unica soluzione, cit., p. 403.
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La transazione operata dalle parti con la stipulazione dell’accordo non ha, quindi, in sé
carattere aleatorio120, lo acquista solo se i coniugi abbiano inserito nella programmazione di interessi la deroga alla operatività della clausola rebus sic stantibus accollandosi,
così, reciprocamente il rischio delle sopravvenienze, allo stato del tutto imprevedibili121.
Proprio questa deroga è soggetta al controllo di equità. Da ciò discende l’immediato corollario secondo il quale se la deroga suddetta non è stata pattuita, l’accordo è in ogni
caso valido ed efficace e il suo contenuto programmatico rimane fermo fino a quando,
al sopraggiungere di giustificati motivi, non intervenga eventuale revisione.
D’altro canto, lo strumento di controllo dell’autonomia contrattuale utilizzato dal legislatore non pare debba configurarsi tecnicamente come un limite quanto, piuttosto, come mezzo di promozione e tutela dell’autonomia e dell’uguaglianza tra i coniugi.
Com’è stato osservato, la disposizione è inserita in un contesto normativo volto a tutelare il coniuge debole122. Tale debolezza, causata dalla inferiorità sia economica sia psico-
120
La transazione è un contratto oneroso e commutativo, quindi in sé non aleatorio. Tra le tante, Trib.
Roma, 09 novembre 2005, in Fall., 2006, 7, p. 851; Cass., 27 giugno 2001, n. 8808, in Giust. civ. Mass.,
2001, p. 1282; Cass., sez. lav., 15 luglio 1982, n. 4141, in Giust. civ. Mass., 1982, f. 7; Trib. S.Maria Capua V., 26 ottobre 1991, in Dir. fall., 1992, II, p. 1121.
121
Sottolinea la natura aleatoria acquisita dall’accordo transattivo Cass., sez. I, n. 12939/2003, cit., la quale, con riferimento ad un accordo inserito nella domanda congiunta di divorzio in cui il marito si impegnava a trasferire al coniuge la proprietà di taluni beni, disponeva che “Trattasi di un negozio di natura
sostanzialmente transattiva e aleatoria, previsto e autorizzato dalla legge che ne subordina la efficacia
all'approvazione da parte del Tribunale. Con la conseguenza che una volta che esso si sia perfezionato e
sia stato delibato dal giudice che lo recepisce in sentenza, con il passaggio in giudicato di tale sentenza
che ne accerta la congruità, diventa definitivamente efficace, conferendo al coniuge beneficiario il diritto
all'attribuzione patrimoniale pattuita, sia essa una somma forfettariamente stabilita, ovvero il trasferimento di un diritto reale e di altra utilità. Da tale momento, essendo divenuto efficace il negozio intercorso fra
le parti, stante il carattere definitivo dell'attribuzione transattiva, disciplinata dalle norme che regalano i
contratti e non dalla disciplina che regola l'assegno periodico di divorzio, le vicende personali dei coniugi,
- che hanno rilievo nella disciplina dell'assegno periodico di divorzio - diventano irrilevanti rispetto ad
essa, cosicché il mutamento delle rispettive condizioni economiche, la morte, ovvero il passaggio a nuove
nozze dell'avente diritto, non influiscono in alcun modo sulla sorte del diritto che ne forma oggetto” e
confermava il diritto degli eredi del coniuge beneficiario, defunto prima che il trasferimento venisse perfezionato, ad ottenere l’esecuzione della promessa. La natura aleatoria che l’accordo acquista dopo la valutazione di equità emerge anche in Cass., sez. I, n. 3940/1984, cit., secondo la quale “la sopravvenuta
dichiarazione di nullità del matrimonio non estingue l'obbligazione assunta da un coniuge di trasferire
all'altro la proprietà di un immobile a scopo di mantenimento per il periodo di separazione antecedente la
dichiarazione di nullità del vincolo; nè tale dichiarazione costituisce evento risolutivo di un trasferimento
già operato o evento ostativo all'adempimento della sua obbligazione da parte del debitore ove sia stato
incensurabilmente accertato dal giudice del merito che l'attribuzione patrimoniale non sia stata implicitamente subordinata (presupposizione) alla persistente validità del matrimonio, ma all'esistenza di oneri
economici nascenti dal matrimonio, alle cui regolamentazioni le parti intesero provvedere”.
122
Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1329.
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logica di un coniuge rispetto all’altro, avuto specifico riguardo agli accordi per la corresponsione una tantum della prestazione assistenziale destinati, nella programmazione
delle parti, ad estinguere definitivamente qualsivoglia rapporto economico, ne fa un
contraente debole123. Non a caso, infatti, nella pratica si riscontra una certa diffidenza
dei coniugi a ricorrere a questo tipo di accordi che può rivelarsi abusivo quante volte vi
sia tra le stesse una forte asimmetria economica e, comunque, potrebbe non essere frutto
di lucida ponderazione data la difficoltà di addivenire, in un momento di crisi, ad “una
valutazione bilanciata, scevra da ripicche, rancori e attese frustrate”124.
Il meccanismo utilizzato dal legislatore per tutelare il coniuge-contraente debole, consistente nel controllo di equità, è volto, non già a limitare l’esercizio dell’autonomia contrattuale, quanto piuttosto a renderlo effettivo e, quindi, a garantire che le scelte operate
siano effettivamente libere e consapevoli e non frutto dell’abuso di una parte
sull’altra125.
123
Come intuito da taluna dottrina “Il problema centrale si rivela ... quello della salvaguardia della posizione del coniuge debole. Con questa espressione, che richiama evidentemente un’altra categoria, quella
del contraente debole, si vuole far riferimento non soltanto alla sproporzione di forza contrattuale tra le
parti contrapposte, ma alla condizione di inferiorità economica, ma anche psicologica, in cui in coniuge
può trovarsi nei confronti dell’altro, e tale da impedire, nei fatti, il conseguimento di un assetto patrimoniale equo”: Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare, cit., p. 1330.
124
Carbone V., E’ sufficiente una valutazione implicita sulla congruità dell’assegno di divorzio in unica
soluzione?, cit., p. 131.
125
Anche la giurisprudenza pare avere intuito che la logica di tutela del coniuge debole debba articolarsi
in questo senso. Cfr. App. Bari 19 ottobre 1999, n. 823, in Fam. dir., 2000, p. 261 ove l’equità
dell’accordo si evince semplicemente dal fatto che “lo stesso soggetto a favore del quale è stato convenuto lo ha sottoscritto e ne ha realizzato l’utilità economica senza nulla eccepire”. Viene, dunque esclusivamente preso in considerazione il comportamento del soggetto protetto al fine di verificare che la sua determinazione volitiva fosse effettivamente frutto di autonomia, senza in alcun modo indagare sulla congruità della prestazione. In qualche pronuncia, proprio considerando il coniuge quale contraente debole la
Suprema Corte tende ad utilizzare, anche nella materia che ci occupa, le categorie tradizionali (nella specie la nullità) secondo le modalità tipiche della normativa a tutela del contraente debole e, in particolare,
pur ribadendo la nullità degli accordi di cui si discute, individua una ipotesi di nullità relativa. Cfr. Cass.,
sez. I, n. 8109/2000, cit., la quale pur ribadendo, con le consuete argomentazioni, la nullità dell’accordo
transattivo stipulato in sede di separazione, rigetta poi la domanda per la declaratoria della nullità esercitata dal coniuge obbligato, utilizzando lo strumento della nullità relativa posta a tutela del coniugecontraente debole. Nello stesso senso Cass., sez. I, 12 febbraio 2003, n. 2076, in Fam. dir., 2003, p. 344.
Sull’argomento v. Piccaluga F., Rapporti patrimoniali tra coniugi e divorzio, in Fam. dir., 2003, p. 347 il
quale evidenzia come le citate sentenze manifestano una tendenza della Suprema Corte a superare, seppur
in modo molto cauto, quella nozione di nullità radicale ormai tralaticiamente ribadita nelle premesse di
tutte le pronunce in materia, anche quelle recentissime (v. sopra sub § 7). Il temperamento, che può considerarsi “una breccia che si è aperta rispetto ad un atteggiamento rigido e ormai superato dai tempi”,
consiste nel limitare la legittimazione all’azione, individuando così una particolare ipotesi di nullità relativa che potrebbe essere fatta valere soltanto dal coniuge avente diritto e non già da quello obbligato. Tale
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Proprio in questa logica si può, quindi, ritenere che il rimedio previsto sia quello della
nullità parziale che colpisce la clausola, espressa o tacita, che ha determinato lo squilibrio, lasciando l’accordo valido ed efficace per il resto. La clausola nulla viene espunta
dal contratto e si ha, quindi, per non apposta; così la norma cui si voleva derogare rimane applicabile e il coniuge debole, nonostante la pattuizione contraria, potrà, ricorrendo
i presupposti richiesti dalla legge, esercitare il diritto alla revisione126.
Sembra allora potersi concludere che la valutazione di equità ha ad oggetto l’intera programmazione al fine di valutare se, nel suo complesso e, tenuto conto della sua definitività, quindi, aleatorietà, essa sia espressione di un accordo stipulato in modo equo e,
cioè, scevro da abusi. Ove, però, l’assetto di interessi divisato non dovesse risultare
equo, l’accordo verrà riequilibrato con l’espulsione della clausola che ha determinato
l’abuso e, cioè, quella volta a rendere la programmazione definitiva; la pattuizione riapertura è stata accolta con favore dalla dottrina che vi ha intravisto il primo passo verso il possibile superamento del principio di indisponibilità dei diritti patrimoniali conseguenti alla crisi. Cfr. Carbone V., Accordi patrimoniali deflattivi della crisi coniugale, in Fam. dir., 2000, p. 434 il quale, con efficace metafora letteraria, osserva che “Occorre sperare che anche nella Corte «spunti un sospetto ... il dubbio si desti»
e una sentenza dal «libro del sapere» cancelli il principio di indisponibilità tout court, nella sua formale
assolutezza”.
126
La logica appare, invero, non dissimile da quella utilizzata in materia contrattuale a tutela del contraente debole ove il legislatore utilizza sì norme derogabili, ma sottopone la scelta operata dalle parti ad un
controllo, che in taluni casi concreta proprio un controllo sull’equità, che è volto a garantire non già e non
tanto l’equilibrio tra le prestazioni, ma l’equilibrio tra le parti e, cioè, ad assicurare che l’accordo sia
espressione di vera autonomia. D’altronde, anche in materia contrattuale, il rimedio a tal fine adoperato è
proprio quello della nullità c.d. a parzialità necessaria (in quanto sfugge ai criteri operativi fissati dall’art.
1419 c.c.) che consente di salvare l’intero regolamento, che viene, così,ricondotto ad equità tramite
l’espunzione della clausola che ha determinato l’abuso. Sui regolamenti c.d. di equità posti a tutela del
contraente debole e sull’uso, ad essi funzionale, del rimedio della nullità a parzialità necessaria v. Scalisi,
Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Categorie e istituti del diritto
civile nella transizione al postmoderno, cit., p. 700 ss., già in Riv. dir. civ., 2005, I.
Avuto riguardo alla normativa a tutela del contraente debole può segnalarsi la disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. n. 231/2002) ove è consentito alle parti di concordare condizioni di pagamento e conseguenze del ritardo diverse da quelle prescritte con norme evidentemente dispositive, ma l’accordo deve essere frutto del libero ed effettivo esercizio dell’autonomia contrattuale in
quanto, se ritenuto iniquo dal giudice può essere dichiarato nullo.
Il meccanismo appare enormemente simile a quello prospettato dall’art. 5 co. 8 legge n. 898/70 che conferisce ai coniugi la possibilità di concordare modalità di adempimento diverse da quelle legislativamente
prescritte, nonché la deroga al principio secondo il quale le statuizioni aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali successivi alla crisi vincolano le parti rebus sic stantibus (il che palesa il carattere dispositivo delle disposizioni che le prevedono) ma, a garanzia dell’uguaglianza tra i coniugi, esige che l’accordo non
sia frutto di un abuso ai danni del coniuge debole. Lo strumento di controllo utilizzato è proprio la valutazione di equità cui l’accordo deve essere sottoposto per produrre, non solo gli effetti oggetto della programmazione principale (diritti ed obblighi a contenuto patrimoniale), ma anche l’ulteriore effetto di rendere irrilevanti le sopravvenienze e, quindi, inoperante la clausola rebus sic stantibus.
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marrà valida per il resto e produrrà, quindi, gli effetti programmati (consistenti in diritti
e obblighi a contenuto patrimoniale) che rimarranno fermi, per legge, rebus sic stantibus. Alla valutazione di equità è, pertanto, condizionata non già la validità dell’intero
accordo, ma della clausola (espressa o tacita) di rinuncia alla operatività della clausola
rebus sic stantibus e, cioè, alla rilevanza delle sopravvenienze idonee a realizzare il verificarsi delle condizioni di fatto richieste dalla legge per il riconoscimento del diritto
all’assegno cui, in condizioni diverse, si era rinunciato.
9. Il controllo di equità sugli accordi stipulati in sede di separazione
Occorre ora verificare se, nel silenzio del legislatore, il controllo di equità può essere richiesto in sede di separazione mediante applicazione analogica dell’art. 5 comma 8 legge 898/70.
Nonostante la giurisprudenza escluda drasticamente l’applicabilità della citata norma al
di fuori del giudizio di divorzio127, non pare vi siano fondate ragioni per generalizzare
tale esclusione.
Com’è stato efficacemente rilevato, infatti, la giurisprudenza segnala già da tempo il superamento della differenza funzionale tra separazione e divorzio e con varie pronunce
ha esteso, in via analogica, alla separazione norme dettate in materia di divorzio128. In
particolare va segnalata la disposizione contenuta nel comma 7 dello stesso articolo 5
citato (che impone un criterio di adeguamento automatico all’assegno almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria) che è ormai ritenuta applicabile in via
analogica in sede di separazione129 e in nulla differisce, sotto il profilo assiologico, da
quella prevista nel comma successivo.
127
Cass., sez. I, n. 4424/2008, cit.; nello stesso senso, tra le tante, Cass. sez. I, n. 1758/2008, cit..
Carbone V., La mutata funzione della separazione personale, cit., p. 270 s.
129
Cass., sez. I, 2 marzo 1994, n. 2051, in Fam. dir., 1994, p. 266 con la quale è stato superato il precedente contrario orientamento secondo il quale il giudice, in sede di separazione non poteva, contro la volontà dell’obbligato, disporre di meccanismi di adeguamento automatico dell’assegno di mantenimento ed
è stato statuito che “La disposizione dell'art. 5, comma 7, della l. 1 dicembre 1970 n. 898 (nel testo novellato dall'art. 10 della l. 6 marzo 1987 n. 74), che ha previsto l'adeguamento automatico dell'assegno di divorzio, salvo che esso venga escluso dal giudice in caso di palese iniquità, va applicata analogicamente, in
materia di separazione dei coniugi, all'assegno di mantenimento, attesa la funzione eminentemente assistenziale di entrambi gli assegni”. A commento v. Carbone V., La mutata funzione della separazione personale, cit., pp. 270-271 il quale rileva che “La verità è che ... nella crisi del matrimonio, le parti non fan128
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Bisogna, allora, accertare caso per caso se la specifica programmazione di interessi operata dalle parti presenti la similitudine assiologica con la fattispecie regolata idonea a
legittimarne l’applicazione analogica, e, in particolare, se lo strumento della separazione
venga, nel caso specifico, utilizzato non già come rimedio transitorio di una crisi non
definitiva, ma come presupposto di un futuro e già programmato divorzio o come definitivo assetto alternativo alla convivenza matrimoniale130. In tali ipotesi, infatti,
l’accordo per la corresponsione una tantum della prestazione assistenziale evidenzia un
assetto di interessi che in nulla differisce da quello emergente dalla fattispecie regolata
e, quindi, in applicazione dei principi generali131, non vi sono ragioni per non estenderne
analogicamente la disciplina.
In questa logica occorre innanzitutto chiedersi se la valutazione di equità possa ritenersi
implicitamente espressa quando l’accordo sia stato trasfuso nel verbale omologato o
nella sentenza di separazione, similmente a quanto accade nel caso in cui si sia di fronte
ad un divorzio su domanda congiunta.
Anche su questo punto dalla giurisprudenza emergono elementi contraddittori in quanto,
rigida nell’affermare che la valutazione di equità è richiesta anche in caso di domanda
congiunta, di fatto finisce, poi, per riconoscere efficacia estintiva e, quindi, preclusiva
della rilevanza delle sopravvenienze, anche agli accordi che non l’abbiano espressamente ottenuta, ma che siano comunque rifusi nella sentenza132. Pare, allora, che la valutazione positiva sull’equità dell’accordo possa implicitamente desumersi dalla sua rifuno grandi distinzioni tra l’assegno di mantenimento in sede di separazione e assegno di divorzio e di ciò
ne ha tenuto conto il legislatore che con la riforma del 1987 nell’accentuare la natura assistenziale
dell’assegno di divorzio ha avvicinato ancor di più i due assegni, sia sotto il profilo della funzione che
sotto quello dei presupposti”.
130
Per la mutata funzione della separazione e per il superamento della netta differenza assiologica tra separazione e divorzio si rinvia alle considerazioni già svolte nei §§ 6 e 7 ed alla bibliografica ivi citata.
131
Sui meccanismi di funzionamento del procedimento analogico, per tutti, Bobbio, Analogia, in Nov.
Dig., I, Torino 1957, p. 601 ss.; Caiani, Analogia, b) Teoria generale, in Enc. Dir., II, Milano 1958, p.
348 ss.; Alpa, Il ricorso all’analogia nella giurisprudenza. Esempi, tecniche, stili, in Nuova giur. civ.
comm., II, 1998, p. 45 ss.
132
Cfr. Cass., sez. I, 5 gennaio 2001, n.126, in Fam. dir., 2001, p. 128 la quale, pur premettendo che la
valutazione di equità è necessaria anche qualora l’accordo sia stato inserito nella domanda congiunta di
divorzio, dispone che nel caso in cui il giudice non si sia pronunciato in ordine all’equità della prestazione
una tantum, tale “violazione si traduce in un vizio della sentenza, denunciabile con i normali mezzi di impugnazione: pena la formazione del giudicato ... con conseguente applicazione dell’ultima disposizione
del comma 8 che preclude comunque la proposizione di successive domande di contenuto economico nei
confronti dell’ex coniuge”. V. anche App. Bari, 19 ottobre 1999, n.823, cit..
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sione nella sentenza133; il medesimo meccanismo può, dunque, operare, secondo il procedimento di estensione analogica, anche nel caso di separazione giudiziale la cui sentenza riproduca l’accordo transattivo medio tempore raggiunto dalle parti relativamente
ai reciproci rapporti economici o in caso di patto trasfuso nell’accordo di separazione
consensuale omologato. Resta fermo, ovviamente, il potere del giudice di rilevare
l’iniquità; nel qual caso l’accordo sarà valido ed efficace, ma non precluderà al beneficiario l’eventuale revisione134.
Non va però sottaciuto che la deroga alla operatività della clausola rebus sic stantibus,
come si è detto135, non è implicita in ciascun accordo con il quale si convenga la corresponsione in unica soluzione della prestazione assistenziale; essa costituisce il contenuto
di un’autonoma clausola, espressa o tacita. Il controllo di equità, funzionale alla produzione dell’effetto estintivo, deve, pertanto essere espressamente richiesto e, in mancanza, l’accordo sulla corresponsione una tantum produrrà il consueto effetto preclusivo
della transazione, con efficacia vincolante rebus sic stantibus.
Ove, poi, gli accordi aventi ad oggetto la prestazione una tantum e destinati a risolvere
definitivamente i rapporti patrimoniali tra i coniugi, non siano già stati oggetto di controllo di equità, allora possono essere soggetti a tale valutazione dal giudice adito in sede di revisione o in sede di divorzio, ove le parti lo richiedano.
La giurisprudenza di merito avverte, infatti, che gli accordi raggiunti in sede di separazione, “se restano immutate le condizioni di fatto che li hanno determinati .. sono suscettibili di essere replicati e ribaditi anche nella sentenza di divorzio”, ma, resta compito del giudice, in quella sede, di verificare che non sia stato violato il limite di inderoga133
Non pare potersi, viceversa, condividere l’opinione di quanti (per tutti, Oberto, Prestazioni “una tantum” e trasferimenti tra coniugi, cit., p. 52 ss.; De Marzo G., Divorzio su domanda congiunta e equità
degli accordi patrimoniali, in Fam. dir., 2000, p. 262) ritengono che il controllo di equità sia richiesto e,
quindi, la norma che lo prevede applicabile esclusivamente ai giudizi contenziosi. Se è vero, infatti, che
nel silenzio del giudice l’apprezzamento di equità può ritenersi implicito, non può negarsi allo stesso il
potere di esercitare il controllo ed eventualmente rilevare la carenza del requisito richiesto per l’esplicarsi
dell’effetto estintivo.
134
Cfr. Trib. Verona 30 giugno 2000, in Giur. mer., 2000, p. 1153 il quale, rilevata la iniquità
dell’accordo per la corresponsione una tantum avente contenuto elusivo del dettato normativo (prevedeva
che l’intera somma venisse frazionata in ridottissime rate mensili), ne conferma il contenuto disponendo il
pagamento delle somme mensili pattuite, ma lascia la statuizione soggetta alla clausola rebus sic stantibus.
135
V. Sopra sub § 8.
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bilità previsto dalla legge136 che, come si è visto, si concreta nel controllo di equità sulla
rinuncia alla rilevanza delle sopravvenienze.
Invero, le contraddizioni che si sono riscontrate nelle pronunce sopra esaminate137, mascherano forse, sotto le mentite spoglie di un giudizio di nullità contraddetto poi dal riconoscimento degli effetti dell’accordo che ne ha costituito oggetto, semplicemente la
negazione del giudizio di equità operato in quella sede. Eloquente in tal senso una pronuncia in cui la Suprema Corte, ribadita la consueta premessa circa la nullità degli accordi volti a definire preventivamente i rapporti patrimoniali conseguenti il divorzio, riconosce la validità di quegli stessi accordi nell’ipotesi in cui, in sede di divorzio, vengano espressamente richiamati dalle parti con richiesta al giudice di accertarne l’effetto
estintivo138, quindi, evidentemente, di emettere sugli stessi il giudizio di equità.
Pare potersi concludere che l’accordo transattivo avente ad oggetto la prestazione una
tantum dell’assegno di mantenimento ed, eventualmente, anche il futuro assegno di divorzio produca senz’altro l’effetto preclusivo della transazione, vincolando le parti rebus sic stantibus e rendendo improponibili altre richieste patrimoniali, se non al sopravvenire di fatti idonei a modificare le condizioni di fatto esistenti al momento della stipulazione dell’accordo.
Quanto, infine, ai parametri in base ai quali deve essere condotto il controllo di equità, a
differenza della disciplina sopra citata ove il legislatore fornisce precise indicazioni,
l’art. 5 co. 8 legge n. 898/70 (come riformato) lascia all’interprete l’individuazione dei
136
Trib. Messina 10 dicembre 2002, cit..
V. sopra sub § 7.
138
Cass., sez., I, 9 ottobre 2003, n. 15064, in Giust. civ. Mass., 2003, p. 12 ai sensi della quale “Ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali
del divorzio stesso deve ritenersi nullo; è consentito, invece, che le parti, in sede di divorzio, dichiarino
espressamente che, in virtù di una pregressa operazione (ad es. trasferimento immobiliare) tra di esse,
l'assegno di divorzio sia già stato corrisposto una tantum, con conseguente richiesta al giudice di stabilire
conformemente l'assegno medesimo, ma in assenza di tale inequivoca richiesta è inibito al giudice di determinare l'assegno riconoscendone l'avvenuta corresponsione in unica soluzione. Del tutto diversa è l'ipotesi in cui le parti abbiano già regolato i propri rapporti patrimoniali e nessuna delle due richieda un assegno (tale regolamento, infatti, non necessariamente comporta la corresponsione di un assegno una tantum, potendo le parti avere regolato diversamente i propri rapporti patrimoniali e riconosciuto, sulla base
di ciò, la sussistenza di una situazione di equilibrio tra le rispettive condizioni economiche con conseguente non necessità della corresponsione di alcun assegno), nel qual caso l'accordo è valido per l'attualità, ma non esclude che successivi mutamenti della situazione patrimoniale di una delle due parti possa
giustificare la richiesta di corresponsione di un assegno a carico dell'altra”.
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criteri secondo una logica propria del sistema normativo in cui è inserito che, nel suo insieme, evita di fornire criteri predeterminati e regole estremamente rigide lasciando
all’interprete il compito di regolamentare il caso specifico mediante i principi cui è ispirata la legge sullo scioglimento del matrimonio.139
139
Cfr. Scalisi, Commentario a Legge 1° agosto 1978, n. 436, cit., p. 603. In particolare, avuto riguardo
all’individuazione delle circostanze sopravvenute che legittimano la revisione delle statuizioni relative
all’assegno di divorzio, l’Autore rileva che “il rifiuto del legislatore di predeterminare criteri fissi e regole
estremamente rigide è certamente da approvare”.
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