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Documento - Diritto penale contemporaneo

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Documento - Diritto penale contemporaneo
L’INCERTA FRONTIERA: IL DISCRIMINE TRA CONCUSSIONE
E INDUZIONE INDEBITA NEL NUOVO STATUTO PENALE
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Aspettando le Sezioni Unite
di Vincenzo Mongillo
Abstract. L’introduzione con la l. n. 190/2012 della nuova fattispecie di “induzione
indebita a dare o promettere utilità” (art. 319-quater c.p.), caratterizzata
dall’assoggettamento a pena del privato che ceda alla pressione abusiva del pubblico agente,
ha provocato un forte disorientamento nella giurisprudenza di legittimità, attestato
dall’emersione di tre diversi indirizzi interpretativi in ordine alla linea di demarcazione con
la riformata concussione (art. 317 c.p.). In questo saggio si sostiene che, per effetto della
novella, non sono mutate le nozioni di base di “costrizione” e “induzione”, che continuano ad
essere imperniate sulla maggiore o minore gravità della pressione psichica esercitata sul privato; sono
cambiati, invece, i parametri normativi attorno ai quali fondare una distinzione coerente, sul piano
assiologico e politico-criminale, con l’invertita posizione penale del privato nelle due ipotesi di reato.
In quest’ottica, appare maggiormente plausibile l’orientamento giurisprudenziale c.d. intermedio, il
quale valorizza, in funzione integrativa, i criteri del danno ingiusto minacciato dall’intraneus
(concussione) e del vantaggio indebito perseguito dall’extraneus (induzione). Realmente decisivo a
fini discretivi diviene, così, lo ‘spazio di libera determinazione’ lasciato al privato, che nella
costrizione è estremamente ridotto, giacché limitato alla scelta tra due mali parimenti ingiusti,
mentre nell’induzione offre ancora – nonostante l’abuso – margini decisionali improntati al rapporto
costi-benefici personali, e cioè al perseguimento di vantaggi indebiti, specifici o indeterminati.
SOMMARIO: 1. Concussione e induzione indebita tra tradizione e innovazione – 2. Ragioni endogene ed
esogene della riforma del delitto di concussione – 3. “Costrizione” (art. 317 c.p.), “induzione” (art. 319quater c.p.) e “sollecitazione” istigatoria alla corruzione (art. 322, commi 3 e 4, c.p.): tre copioni, un solo
attore – 4. Il disorientamento giurisprudenziale: l’emersione di tre diversi indirizzi ermeneutici – 5. Primo
orientamento: il criterio ‘quantitativo-soggettivizzante’ dell’intensità della pressione – 5.1. Intensità della
pressione rapportata al “mezzo” (tipo di abuso) – 5.1.1. Valutazione – 5.2. Intensità della pressione
rapportata all’effetto psichico – 5.2.1. Valutazione – 5.3. Considerazioni di sintesi sui due sottoindirizzi
informati al criterio dell’intensità della pressione – 6. Secondo orientamento: il criterio ‘qualitativooggettivizzante’ della natura giuridica del male prospettato dal pubblico agente – 6.1. Valutazione – 7. Il
criterio “misto” proposto dall’orientamento intermedio – 7.1. Valutazione: validità e ragionevolezza
dell’indirizzo intermedio – 8. Precisazioni sulle nozioni di “danno ingiusto” e “vantaggio indebito” – 9.
Bilancio e prospettive.
Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | Telefono: 0289283000 | Fax: 0292879187 | [email protected]
Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò
2010-2013 Diritto Penale Contemporaneo
1. Concussione e induzione indebita tra tradizione e innovazione.
La linea divisoria tra i delitti di concussione e corruzione ha sempre
rappresentato, nella nostra tradizione giuridica, uno dei luoghi più nebulosi e al
contempo nevralgici dello statuto penale della pubblica amministrazione1. Rivedere
per mano legislativa questo confine, perennemente “conteso”2, significa incidere su
complesse architetture giuridiche, con la necessità di assicurare l’equilibrio
dell’insieme. Inoltre, in un Paese come l’Italia segnato, secondo le più note indagini
empiriche, da una fenomenologia corruttiva diffusiva e “sistemica”3, ogni robusta
innovazione in subiecta materia non può che interferire con le convenzioni culturali,
spesso antagoniste, di cui si nutrono le relazioni tra cittadino e pubblica autorità4.
Sotto questo profilo, la legge 6 novembre 2012, n. 190, contenente “Disposizioni
per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica
amministrazione”, ha inteso percorrere un itinerario assai innovativo, nell’intento di
pervenire ad un’allocazione più equilibrata delle responsabilità penali tra soggetti
pubblici e privati; allocazione sino a quel momento sbilanciata sul versante della
concussione e quindi del pubblico agente (d’ora in poi, p.a.). Anziché dilatare l’area
delle contigue tipologie corruttive, attraverso la drastica abolizione5 – o quantomeno la
netta riduzione contenutistica – della fattispecie di concussione, si è pensato di
Sull’eterna questione del discrimine tra concussione e corruzione, oggetto di una letteratura sterminata, si
vedano, anche per diverse impostazioni, M. AMISANO TESI, Le tipologie della corruzione, Torino, 2012, 215 ss.;
C. BENUSSI, In tema di corruzione e concussione, in Ind. pen., 1985, 409 ss.; G. CONTENTO, Commento agli articoli
317 e 317-bis del codice penale (1996), ora in Id., Scritti 1964-2000, a cura di G. Spagnolo, Roma-Bari, 2002, 539
ss.; G. FIANDACA, Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2000, 883 ss.; G. FORTI, Sulla distinzione fra i reati di corruzione e concussione, in Studium iuris, 1997, 725 ss.; A.
PAGLIARO, Per una modifica delle norme in tema di corruzione e concussione, in Id., Il diritto penale fra norma e
società. Scritti 1956-2008, Milano, 2009, vol. IV, t. II, Milano, 165 ss.; E. PALOMBI, Ancora sulla distinzione tra
corruzione e concussione, in Riv. pen. ec., 1992, 110 ss.; M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I
delitti dei pubblici ufficiali, 3a ed., 2013, 161 ss.; M. RONCO, Sulla differenza tra corruzione e concussione: note tra
ius conditum e ius condendum, in Giust. pen., 1998, II, 610 ss.; A. SESSA, Corruzione e concussione.
Dall’esperienza di Tangentopoli rinnovate esigenze di riforma, in Ind. pen., 2001, 29 ss.; A. SPENA, Il «turpe
mercato». Teoria e riforma dei delitti di corruzione pubblica, Milano, 2003, 358 ss.
2 T. PADOVANI, Il confine conteso. Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze
“improcrastinabili” di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 1302 ss.
3 V., in particolare, il Corruption Perceptions Index (CPI) 2012 elaborato da Transparency International, che
vede l’Italia al 72° posto su 174 Paesi a livello globale, per quanto concerne la percezione della corruzione
nel settore pubblico e politico: cfr. http://cpi.transparency.org/cpi2012. Nella letteratura socio-criminologica,
v., di recente, A. VANNUCCI, Atlante della corruzione, Milano, 2012, spec. 43 ss.; ID., La corruzione in Italia:
cause, dimensioni, effetti, in Mattarella – Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione
della corruzione, Torino, 2013, 25 ss. Nella letteratura penalistica, da ultimo, E. DOLCINI, La legge 190/2012:
contesto, linee di intervento, spunti critici, in questa Rivista, 23 settembre 2013, 1 ss.
4 Sulle variabili, sia culturali che giuridiche, implicate in qualsiasi tentativo di riforma in questa materia, v.
le limpide considerazioni di S. SEMINARA, La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema
giuridico e culturale, in Dir. pen. proc., 2012, 1235 ss.
5 Operazione osteggiata da un ampio fronte dottrinale: v., ad es., M. PELLISSERO, Le istanze di moralizzazione
dell’etica pubblica e del mercato nel “pacchetto” anticorruzione: i limiti dello strumento penale, in Dir. pen. proc.,
2008, 282.
1
2
interporre tra i due tradizionali tipi penali un nuovo delitto, denominato “induzione
indebita a dare o promettere utilità” (art. 319-quater c.p.).
La figura di nuovo conio è sorta per estrapolazione dalla ‘vecchia’ concussione
dell’omologa modalità comportamentale. L’elemento di assoluta novità, comunque,
non risiede tanto nel c.d. “spacchettamento”6 della concussione in due distinte
fattispecie diversamente sanzionate, quanto nell’estensione della punibilità al privato
“indotto”, di tal guisa spogliato della ‘candida’ veste di vittima incolpevole7. Ciò,
indubbiamente, avvicina la nuova incriminazione alla “famiglia delle corruzioni”8.
Tuttavia, a causa del maggior disvalore della condotta abusiva del p.a., nei suoi
confronti è stabilita una pena (reclusione da 3 a 8 anni) nettamente superiore a quella
comminata al privato (reclusione fino a 3 anni)9.
In effetti, la distinzione tra due tipologie di concussione – la concussione per costrizione,
denominata anche ‘esplicita’ o ‘violenta’ dalla dottrina del tempo, e la concussione per
induzione, qualificata anche ‘implicita’ o ‘fraudolenta’10 – era già appannaggio del codice
penale Zanardelli del 1889 (artt. 169 e 170)11, e, prima ancora, della sua fonte ispiratrice
immediata, il codice penale toscano del 1853 (artt. 181 e 182)12. In questo modello di
bipartizione normativa, però, soggetto punibile era sempre e soltanto quello pubblico:
nell’ipotesi più grave per aver ‘estorto’ denaro, abusando della sua posizione, ad un privato
che quindi ‘non vuole ciò che fa’; nell’altro caso, per averlo tratto in inganno, di talché egli
‘non sa quel che fa’.
Una analoga impostazione binaria contrassegnava anche tutte le altre codificazioni
preunitarie. In queste, però, l’abuso del soggetto qualificato assumeva la conformazione di
una “esazione indebita” di somme non dovute o in misura superiore al dovuto. L’ipotesi
L’espressione, coniata da F. PALAZZO, Concussione, corruzione e dintorni: una strana vicenda, in Dir. pen. cont.
- Riv. trim., 1, 2012, 229, ha avuto una larga eco anche nelle prime decisioni di legittimità successive alla
riforma. Tuttavia, per il rilievo che non di mero “spacchettamento” si è trattato, v., ad es., la sentenza
Caboni, riconducibile al filone ermeneutico inaugurato dalla sentenza Roscia (infra § 6.1).
7 Che questa rappresenti “una delle innovazioni più significative della riforma” è stato immediatamente
colto dalla dottrina: cfr., ad es., G. BALBI, Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica
amministrazione, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 3-4, 2012, 10.
8 M. RONCO, L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma, in
Arch. pen., 2013, 42. Similmente, C. BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione, tomo 1: I delitti dei
pubblici ufficiali, 2a ed., Padova, 2013, 860, secondo cui la nuova fattispecie fuoriesce dal paradigma
concussivo, “per approdare in un terreno contiguo alla corruzione”; T. PADOVANI, La messa “a libro paga”
del pubblico ufficiale ricade nel nuovo delitto di corruzione impropria, in Guid. dir., 2012, n. 48, XI.
9 Non va sottovalutato, però, che il passaggio del privato “indotto” dallo status di vittima a quello di
corresponsabile è reso ancora più gravoso dall’assoggettabilità all’ipotesi speciale di confisca di cui all’art.
322-ter c.p. del prezzo e del profitto illecito eventualmente tratto dal reato, nonché alla pena accessoria
dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.).
10 Le espressioni richiamano nozioni elaborate dalla dottrina penalistica ottocentesca, tra cui è doveroso
ricordare, perlomeno, F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, Parte speciale, V, Lucca, 1888, 133
s.
11 La concussione costrittiva comportava la reclusione da tre a dieci anni, la multa non inferiore a lire
trecento e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La seconda figura, comprensiva anche della
concussione c.d. negativa (per approfittamento dell’errore altrui), era punita con la reclusione da uno a
cinque anni, la multa da lire cento a cinquemila e l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
12 Cfr. M. RONCO [nota 8], il quale puntualmente ricorda come il codice Zanardelli si plasmò sull’impianto
del codice penale toscano.
6
3
base prescindeva da specifiche modalità comportamentali; in quella più grave, più
severamente punita, il lucro doveva essere ottenuto con modalità coercitive: a seconda dei
casi violenza, minaccia, abuso di potere, attentato all’altrui libertà 13.
Questa tradizione è stata, quindi, interrotta dall’eccentrica scelta unificatrice compiuta dal
codice Rocco, nel quale la concussione costrittiva e quella induttiva furono annesse alla
medesima incriminazione, quali condotte in rapporto di alternatività equivalente anche sul
piano edittale (art. 317 c.p.); modello non intaccato neppure dalla legge di modifica 26 aprile
1990 n. 86, che si limitò ad estendere all’incaricato di pubblico servizio la soggettività attiva
del delitto di concussione.
Invece, il legislatore italiano, con la novella del 2012, non si è limitato a recuperare lo
schema invalso prima dell’ultima codificazione. Il neonato art. 319-quater c.p., benché
gemmato per “scorporo” dall’archetipo concussivo codicistico, attrae, come detto, nell’orbita
della punibilità anche l’actio del privato che si sia lasciato indurre.
L’innesto del nuovo crimen nel sistema dei delitti dei pubblici agenti contro la
pubblica amministrazione non è stato indolore. Ciò era agevolmente prevedibile.
L’assoggettamento a pena del privato che abbia ceduto all’abuso induttivo costituisce
una prima decisa inversione di tendenza rispetto ad un processo di progressiva
espansione dei suoi spazi di impunità. La sterzata appare tanto più significativa,
proprio perché avvenuta per imposizione legislativa, anziché attraverso una spontanea
correzione di rotta della giurisprudenza14. Al di là dei mutati assetti della tutela penale,
a ricevere un poderoso scossone sono stati radicati schemi culturali15.
Quale inevitabile corollario, poi, la riforma ha innescato la defatigante ‘giostra’
delle questioni di diritto intertemporale: abolitio criminis della vecchia concussione
induttiva (art. 2, comma 2, c.p.) o mera successione modificativa tra questa e la nuova
induzione indebita del p.a. (art. 2, comma 4, c.p.)? Sinora nessuna pronuncia ha negato
la piena continuità precettiva tra la concussione ante-vigente e le figure ora tipizzate
dagli artt. 317 c.p. e 319-quater c.p. La dottrina si è divisa, attestandosi però in netta
prevalenza sulla perfetta continuità intertemporale16.
Per riferimenti più circostanziati sia consentito il rinvio a V. MONGILLO, La corruzione tra sfera interna e
dimensione internazionale. Effetti, potenzialità e limiti di un diritto penale “multilivello” dallo Stato-nazione alla
globalizzazione, Napoli, 2012, 59 ss.
14 Un ripensamento giurisprudenziale, peraltro, era già in atto, almeno rispetto alla discussa figura della
“concussione ambientale”, al fine di restringerne, in termini più rispettosi del principio di tassatività,
l’estensione operativa (infra § 2).
15 Come presagito da F. DAVIGO – G. MANNOZZI, La corruzione in Italia: percezione sociale e controllo penale,
Roma-Bari, 2007, 294, “il vero problema che si incontra in prospettiva de lege ferenda è definire lo spazio di
irresponsabilità che si intende riconoscere al privato e prevedere i costi di una maggiore criminalizzazione
di condotte che si pongono nella «zona grigia» a confine tra corruzione e concussione”.
16 Per la piena continuità tra la vecchia concussione induttiva e la nuova induzione indebita (esclusa
soltanto la sotto-fattispecie dell’induzione in errore del privato), v., senza pretese di completezza, C.
BENUSSI [nota 8], 573 s., 903 s.; E. DE MARTINO, Il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, in
D’Avirro et al., I nuovi delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2013, 263; E. DOLCINI, Appunti su
corruzione e legge anti-corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 550 s.; E. DOLCINI – F. VIGANÒ, Sulla riforma in
cantiere dei delitti di corruzione, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 244 s.; D. PULITANÒ, La novella in materia
di corruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in suppl. di Cass. pen., n. 11, 2012, 10; T. PADOVANI, Metamorfosi e
trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e di corruzione, in Arch. pen., 2012, 789; F. PALAZZO
[nota 6], 229; F.V. PLANTAMURA, La progettata riforma dei delitti di corruzione e concussione, in. Riv. trim. dir.
13
4
Nondimeno, nel momento in cui il concetto di “induzione” è finalmente riuscito
a ritagliarsi uno specifico ed autonomo ambito di tipicità penale, nella giurisprudenza
di legittimità sono presto affiorati, in seno alla VI Sezione, almeno tre diversi indirizzi
– uno dei quali scomponibile in due ulteriori sottoindirizzi – in merito ai criteri di
distinzione con la sovrastante fattispecie concussiva e le limitrofe figure corruttive. La
quaestio iuris recentemente demandata alle Sezioni Unite riguarda proprio “la linea di
demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 cod. pen.)
e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319 quater
cod. pen. di nuova introduzione) soprattutto con riferimento al rapporto tra la condotta
di costrizione e quella di induzione”.
Su questa specifica questione intendiamo quindi concentrarci nel presente
lavoro. Prima, però, è utile rammentare le ragioni che hanno sospinto il legislatore a
rimodellare il delitto di concussione.
2. Ragioni endogene ed esogene della riforma del delitto di concussione.
Nell’ottica del legislatore della novella, il delitto di cui all’art. 319-quater c.p.
trova la sua giustificazione politico-criminale sia in ragioni interne, legate al vissuto
giudiziale dei delitti di concussione e corruzione, sia in istanze di penalizzazione
provenienti da fonti ed organismi europei e internazionali.
I) Dal primo punto di vista assume rilievo l’eccessiva dilatazione applicativa
cui era pervenuta la fattispecie di concussione, frutto di quattro fattori cospiranti in
codesta direzione: il “carattere evanescente della c.d. concussione per induzione”17, del
tutto priva di limiti tassativi; il canone – mai messo in discussione dalla giurisprudenza
– della “mutua esclusività” tra le due figure liminari della concussione e della
pen. econ., 2012, 206; M. ROMANO [nota 1], 235; S. SEMINARA, I delitti di concussione e induzione indebita, in
Mattarella – Pelissero [nota 3], 397; V. VALENTINI, Dentro lo scrigno del legislatore penale. Alcune disincantate
osservazioni sulla recente legge anti-corruzione, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2, 2013, 137 ss.; G. VIGLIETTA, La L.
6 novembre 2012 n. 190 e la lotta alla corruzione, in Cass. pen., 2013, 17 ss. Secondo A. SPENA, Per una critica
dell’art. 319-quater c.p. Una terza via tra concussione e corruzione, in questa Rivista, 28 marzo 2013, 20 s., di
continuità potrebbe parlarsi, almeno nelle ipotesi di induzione mediante abuso di poteri, persino rispetto
alla nuova incriminazione di cui al comma 2 dell’art. 319-quater c.p., a cagione della punibilità, già prima
della riforma, della sua prestazione indebita ex art. 319 c.p. Nel senso della totale abolitio criminis della
vecchia concussione per induzione, per ragioni sia strutturali che afferenti al mutato bene giuridico: A.
MANNA, La scissione della concussione in due fattispecie distinte, nell’ambito di uno sguardo generale sulla recente
riforma dei reati di concussione e corruzione, in Arch. pen., 2013, spec. 24 ss.; M. RONCO [nota 8], 42. Per la
discontinuità parziale, v. A. SESSA, La fisiologia dell’emergenza nella più recente normativa anticorruzione: tra
eccessi tecnicistici e diritto penale criminogeno, in Crit. dir., 2012, 316 ss. Problematicamente, D. BRUNELLI, Le
disposizioni penali nella legge anticorruzione. Un primo commento, in Federalismi.it, 5 dicembre 2012, n. 23, 1 ss.,
13; M. GAMBARDELLA, Primi orientamenti giurisprudenziali in tema di concussione e induzione indebita a dare o
promettere utilità, in Cass. pen., 2013, n. 4, 1285 ss., i cui dubbi crescono rispetto ai rapporti tra vecchia
concussione costrittiva dell’i.p.s. e l’attuale fattispecie di estorsione aggravata ex art. 61, n. 9 c.p.
17 G. FORTI, L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel
rapporto corruzione-concussione, in Riv. it. dir. proc. pen. 1996, 488.
5
corruzione18; l’assunzione del “rapporto tra la volontà delle parti” – soggezione
psicologica del privato alla volontà prevaricante del p.a. nella concussione, piena par
condicio contractualis nella corruzione – a criterio divisorio “di essenza”19; last but not
least, semplici ragioni di convenienza processuale (in particolare del PM e della difesa
del potenziale corruttore).
Il vulnus arrecato dalla “carta velina” dell’induzione alle esigenze sostanziali di
tassatività/determinatezza era patente20. Basta compulsare le definizioni offerte dalla
dottrina tradizionale: l’induzione includeva qualsiasi “comportamento che abbia per
risultato di determinare il paziente ad una data condotta”; quindi sia l’inganno, che
l’esortazione e il consiglio (“purché nell’accettazione abbia influito la posizione di
superiorità del funzionario”); sia atti positivi, che l’omissione (inerzia) e persino il
silenzio21. L’induzione, nella prassi, aveva finito per divorare la costrizione,
trasformando surrettiziamente il delitto di concussione in “una semplice induzione
qualificata”22; ben oltre, quindi, forme di “vera” coercizione, che nella maggior parte
delle democrazie occidentali segnano il limite della non punibilità del privato erogante
utilità indebite.
Il discrimen tra concussione e corruzione tendeva ad appannarsi quando la
condotta abusiva si estrinsecava in forme più sottili, indirette, tacite o blandamente
suggestive; oppure quando, nonostante la pressione psicologica subita, a spingere il
privato alla dazione indebita fosse stata anche la concreta prospettiva di ricavare un
indebito arricchimento o risparmio: acquisizione di un contratto a scapito di
concorrenti reali o potenziali, ottenimento di un provvedimento amministrativo
indebitamente vantaggioso, mancata adozione di un atto sfavorevole doveroso, ecc.
Tuttavia, i dubbi interpretativi sollevati da questa casistica border line venivano risolti
nella prassi giudiziale per lo più sancendo la soccombenza del reato-accordo ogni qual
Questo principio è stato polemicamente qualificato un “dogma” da A. SPENA [nota 1], spec. p. 482 ss.,
nell’ambito di una ricostruzione alternativa dei rapporti tra concussione e corruzione, motivata
dall’intento di raggiungere, già sotto il precedente regime, una più razionale allocazione del carico penale
tra le due parti delle vicende lato sensu corruttive.
19 Cfr., ad es., Cass., sez. VI, 3 aprile 2003, n. 15742, rv. 225429; Id., 24 febbraio 2000, n. 2265, rv. 215639; Id.,
22 dicembre 1994, rv. 199988; Cass., sez. VI, 23 giugno 1984, n. 5991, rv. 164977; Cass., sez. VI, 3 marzo
2009, rv. 243047.
20 A. MANNA, Introduzione ai reati contro la pubblica amministrazione, in Cadoppi – Canestrari – Manna – Papa
(a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, II, Torino, 2008, 6; ID., Corruzione e finanziamento illegale ai
partiti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 134 ss., sui vantaggi dell’abrogazione della forma induttiva della
concussione e la sua unificazione con la corruzione. Sull’opportunità di smantellare la concussione per
induzione, nell’ambito di una riforma di più ampio respiro, anche G. FIANDACA [nota 1], 897 s.; F. DAVIGO
– G. MANNOZZI [nota 15], 294. Cfr., altresì, L. STORTONI, La nuova disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali
contro la P.A.: profili generali e spunti problematici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, 721, sul contenuto del
concetto di induzione che, stretto tra la costrizione e l’induzione in errore della truffa, è divenuto col
tempo “del tutto misterioso”. In generale, sulle esigenze di tassatività e determinatezza del precetto penale
v. S. MOCCIA, La “promessa non mantenuta”. Ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel
sistema penale italiano, Napoli, 2001.
21 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, a cura di C.F. Grosso, vol. II, Milano, 2008, 336 s.
22 Così M. RONCO [nota 8], 43.
18
6
volta dai fatti potesse inferirsi l’invadenza abusiva del soggetto interno alla pubblica
amministrazione. A fronte di un concerto sfalsato dall’abuso, erano giudicate
irrilevanti eventuali finalità illecite collateralmente perseguite dal privato 23, oppure il
vantaggio che questi poteva direttamente trarre dall’accettazione della pretesa del
p.u.24, o la circostanza che la promessa o la dazione di utilità fosse in relazione ad un
atto non dovuto o illegittimo25.
Le principali spie del trend espansivo della concussione possono essere
ravvisate, a nostro avviso, nel progressivo ridimensionamento del classico requisito del
metus publicae potestatis e nel successo – almeno nella stagione politico-giudiziaria che
va sotto il nome di “Tangentopoli” – della figura, in toto giurisprudenziale, della
“concussione ambientale”.
Il criterio del metus risale almeno alla definizione di concussio proposta dal celebre
rappresentante della “Scuola culta” francese HUGUES DONEAU (1527-1591)26, e riproposta
anche da tutti i maggiori criminalisti italiani tra il tardo Settecento e l’intero Ottocento27.
In tempi a noi più vicini, a palesare il suo arretramento rispetto al novero dei requisiti
impliciti della fattispecie concussiva è soprattutto quel cospicuo filone di sentenze in cui
si asseriva che il concusso può determinarsi al pagamento indebito, non solo per timore
di subire un male ingiusto, ma anche per mero calcolo economico, attuale o futuro, o per
altra valutazione utilitaristica, come quella di evitare un danno maggiore28 (non
necessariamente illegittimo), o non avere noie per il rifiuto opposto alle richieste del
p.a.29. Insomma, le motivazioni della vittima potevano essere le più varie: “far scoprire il
pubblico ufficiale; ottenere, comunque, un atto favorevole; evitare controlli sul proprio
illecito operato; ecc.”30. Il passaggio dal concetto di metus a quello di “oggettivo
condizionamento”, come dire dallo stato psichico del concusso alla condotta
oggettivamente prevaricante del concussore, è stato breve31.
Cfr. Cass., sez. VI, 31 dicembre 2003, Bertolotti, rv. 228368.
Ex multis, Cass., sez. VI, 17 gennaio 2005, n. 700, in Guida dir., 2005, 5, 57 (vantaggio irrilevante, essendo
determinante solo l’esistenza o meno di una situazione idonea a determinare uno stato di soggezione del
privato nei confronti del p.u.); Id., 2 marzo 2004, n. 4898, rv. 227945, in motiv.; Id., 21 ottobre 2010, n.
41360, rv. 248750. Ma v., in senso critico, E. PALOMBI, La concussione, Torino, 1998, 18 ss.
25 Tra le tante, Cass., sez. VI, 29 giugno 1983, n. 6100, Alfonso, rv. 159675.
26 DONELLO, Comment. juris civilis, lib. XV, cap. 40, § 2, c. 403: “Est autem concussio id maleficii genus, cum
metu potestatis publicae nostrae vel alienae, aut iudicii futuri illicite iniecto, aliquid extorquetur ab alio, id
agente, ut alicuius rei praestatione se eo metu liberet”. Più precisamente, Donello distingueva due ipotesi
di concussione, mediante vis e mediante metus (§ 1).
27 V., soprattutto, L. CREMANI, De jure criminali libri tres, Florentiae, 1848, Lib. II, Cap. IV, Artic. II, X, 300; G.
CARMIGNANI, Elementi di diritto criminale, 5a ed., Pisa, trad. it., Milano, 1882, 286, 290, che distingueva,
proprio in virtù della “incussione di qualche speciale terrore”, la vera e propria concussione dalla semplice
estorsione del soggetto pubblico (o crimen repetundarum); F. CARRARA [nota 10], 130 ss.; G. PUGGIONI, Il
codice penale toscano illustrato sulla scorta delle fonti del diritto e della giurisprudenza, vol. III, Pistoia, 1856, 27.
28 Ad es., Cass., sez. II, 16 ottobre 2007, n. 45993, rv. 239324.
29 Cass., sez. VI, 17 marzo 2000, n. 3488, rv. 217116.
30 Cass., sez. VI, 29 aprile 1998, n. 5114, rv. 211703.
31 Anche studiosi particolarmente autorevoli asseveravano l’irrilevanza delle motivazioni interne al
privato ai fini della punibilità del p.u. per concussione: la condotta doveva sì essere stata condicio sine qua
non della promessa o dazione indebita, ma si riteneva sufficiente accertare la sua idoneità ed inequivocità
ex ante a costringere o indurre. Così A. PAGLIARO - M. PARODI GIUSINO, Principi di diritto penale. Parte speciale,
vol. 1, Delitti contro la pubblica amministrazione, 10a ed., Milano, 2008, 148, 161. Questa impostazione,
23
24
7
Lungo questa china, il rischio di contrabbandare ‘reali corruttori’ per concussi era
pressoché fisiologico.
L’uso disinvolto che, almeno per un certo periodo, la nostra prassi ha fatto della figura
extra ordinem della “concussione ambientale” ne fornisce un’altra patente conferma.
Anche in assenza di una specifica condotta prevaricatoria del p.a., oppure in presenza di
una semplice richiesta indebita non sorretta dal nucleo efficiente dell’abuso, bastava
poco al privato per poter legittimamente aspirare al titolo di vittima (e quindi anche di
soggetto legittimato a costituirsi parte civile per il risarcimento del danno). Bastava cioè
che si fosse conformato ad una “convenzione tacitamente riconosciuta, che il pubblico
ufficiale fa valere e il privato subisce, nel contesto di una comunicazione resa più
semplice nella sostanza e sfumata nelle forme per il fatto di richiamarsi a regole già
«codificate»”32. Era incolpevole quindi l’extraneus che, pressato da siffatta “intimidazione
ambientale”, si fosse risolto alla dazione per scongiurare situazioni a lui pregiudizievoli,
come, ad es., la mancata aggiudicazione di appalti pubblici, l’esclusione dall’affidamento
di ulteriori lavori, la perdita di somme già investite in una complessa trattativa. Come
lucidamente riconosciuto da una recente pronuncia, una simile costruzione si prestava
fatalmente “a creare una sorta di zona franca o, meglio, un «salvacondotto» per un certo
mondo imprenditoriale che, per interessi propri, contribuisce alla creazione e al
mantenimento del sistema presupposto di illegalità e che si ha difficoltà, sul piano della
comune logica, a collocare nel ruolo di «vittima» del sistema” 33.
Infine, la strumentalizzazione processuale della concussione. Basti riportare, al
riguardo, le chiare parole di un insigne studioso: “la tipicità rarefatta della concussione
per induzione, non che costituire un problema, si trasformò – com’è noto – in una delle
più «preziose» risorse impiegate durante la campagna di Tangentopoli. La distinzione
tra corruzione e concussione si processualizzò […]. Il privato loquace, anche se
cittadino della repubblica dei malfattori, si candidava al ruolo di offeso da una
concussione per induzione; se muto, o renitente alla leva delle dichiarazioni, rischiava
di entrare nel cerchio dell’accordo corruttivo”34.
Il giurista che fosse attratto dall’idea di un celere ritorno al passato, dovrebbe
meditare seriamente su quanto questo fosse precario, oltre che un unicum rispetto agli
altri ordinamenti delle democrazie più mature. Non sorprende, quindi, che la riforma
comunque, non sembra più percorribile nel sistema vigente, proprio a causa dell’inedita punibilità del
privato indotto; non avrebbe senso punire o mandare esente da pena l’extraneus a prescindere dal fine
perseguito con la dazione indebita: evitare un danno ingiusto, perseguire un vantaggio indebito (o
entrambe le cose).
32 Cass., sez. VI, 18 dicembre 1998, n. 13395, Salvi, rv. 213422.
33 Cass., sez. VI, 11 gennaio 2011, n. 25694, rv. 250467. La figura della “concussione ambientale” si era
giustamente attirata gli strali della nostra dottrina: v., anche per diverse prospettive di soluzione, G.
CONTENTO [nota 1], 547 ss.; C. FIORE, La “concussione ambientale”: quale spazio normativo?, in AA.VV., I delitti
contro la pubblica amministrazione. Riflessioni sulla riforma, Napoli, 1989, 114 ss.; G. FORTI [nota 17], 491 ss.; T.
PADOVANI [nota 2], 1313 ss.; V. MANES, La concussione “ambientale” da fenomenologia a fattispecie “extra
legem”, in Foro it., 1999, II, 645 ss.; A. MANNA, Corruzione [nota 20], 135; E. MUSCO, Le attuali proposte
individuate in tema di corruzione e concussione, in AA.VV., Revisione e riformulazione delle norme in tema di
corruzione e concussione, Bari, 1996, 46.
34 Così, con la consueta efficacia, T. PADOVANI [nota 16], 788.
8
del delitto di concussione fosse largamente auspicata in dottrina, nonché un Leitmotiv
di tutti i progetti di riforma della materia, elaborati dall’inizio degli anni novanta35.
II) L’abbrivio decisivo alla recente riforma è venuto, però, dagli organismi
deputati al controllo sull’attuazione degli strumenti convenzionali di contrasto alla
corruzione, adottati in seno al Consiglio d’Europa e all’OCSE36: rispettivamente, il
GRECO (Groupe d'Etats contre la corruption) del Consiglio d’Europa e il Working Group on
Bribery in International Business Transactions (WGB) istituito presso l’OCSE.
Il dissidio avente ad oggetto la fattispecie italiana di concussione è sorto, in
origine, sul versante del contrasto alla bribery of foreign public officials, come risulta
dai penetranti rilievi formulati dal WGB sin dal primo report sull’Italia del 200137. Essi
sono stati successivamente ripresi dal GRECO nel terzo rapporto sull’Italia del 2012 ed
estesi a tutte le tipologie corruttive, non solo quella extra-domestica38. Per amor di
precisione, non può tacersi, però, che la logica sottesa alla critica, nei due casi, non è del
tutto speculare, risentendo delle diverse filosofie di contrasto alla corruzione cui sono
informate la Convenzione del Consiglio d’Europa e la Convenzione OCSE39.
Il GRECO, più che una radicale soppressione della fattispecie di concussione,
aveva sollecitato una sua revisione, al fine di superare l’incongruenza insita nel
mandare esente da pena anche privati che, attraverso la prestazione illecita, fossero
riusciti a conseguire vantaggi indebiti. Si stigmatizzava, quindi, l’uso strumentale che
della concussione potevano fare ‘veri corruttori’ per sottrarsi a processo e pena40, e
parallelamente gli organi inquirenti per ottenere collaborazione investigativa ed
elementi di prova da soggetti asseritamente prevaricati.
La posizione del WGB dell’OCSE è ancora più intransigente, avendo tale
organismo raccomandato all’Italia la pressoché totale soppressione “dell’esonero da
responsabilità basato sulla concussione dal reato di corruzione internazionale”;
lasciando impregiudicata, però, ogni diversa soluzione normativa nel campo della
Per una ricostruzione dettagliata, v. A. SESSA, Infedeltà e oggetto della tutela nei reati contro la pubblica
amministrazione. Prospettive di riforma, Napoli, 2006, 290 ss.; per una disamina estesa ai più recenti progetti
di riforma della materia, v. C. BENUSSI [nota 8], 617 ss.; V. MONGILLO [nota 13], 110 ss.
36 Convenzione OCSE di Parigi del 17 dicembre 1997, specificamente votata alla lotta alla corruzione di
pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e Convenzione penale sulla
corruzione del Consiglio di Europa, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999.
37 OECD WGB, Italy, Phase 1 Report, 2001, 33 s.; in seguito, ID., Phase 2 Report, 2004, 33-36; ID., Phase 3 Report,
2011, 11-13.
38 GRECO, Third Evaluation Round, Evaluation Report on Italy Incriminations, 22-23 marzo 2012, 32-33.
39 Sul punto, amplius, A. DI MARTINO, Le sollecitazioni extranazionali alla riforma dei delitti di corruzione, in
Mattarella – Pelissero [nota 3], spec. 372-374; S. MANACORDA, Normativa internazionale e scelte politicocriminali di contrasto alla corruzione: il “piano inclinato” della riforma, in AA.VV., Riciclaggio e corruzione:
prevenzione e controllo tra fonti interne e internazionali, Milano, 2013, 171 ss.; V. MONGILLO [nota 13], 92-98,
547 ss.; M. MONTANARI, La normativa italiana in materia di corruzione al vaglio delle istituzioni internazionali, in
questa Rivista, 1 luglio 2012, 13 s.; L. SALAZAR, Contrasto alla corruzione e processi internazionali di mutua
valutazione: l’Italia davanti i suoi giudici, in Cass. pen., 2012, 4270 ss.
40 GRECO [nota 38], § 119, p. 132.
35
9
corruzione nazionale41. Il motivo è presto detto: rispetto ai due versanti soggettivi della
corruzione lato sensu intesa, vale a dire offerta e domanda di tangenti, la Convenzione
OCSE concentra tutto il fuoco dell’intervento repressivo sul supply-side. Essa, difatti,
pretende dagli Stati parte l’incriminazione della sola corruzione attiva internazionale
(art. 1), ritenendo sterile, poco praticabile o fonte di sconvenienti difficoltà applicative e
politico-istituzionali (pericolo di incidenti diplomatici, rispetto del principio di
sovranità di Stati terzi non aderenti all’OCSE, ecc.), l’estensione della punibilità ai
pubblici ufficiali stranieri (corruzione passiva). Basti pensare alle possibili ripercussioni
su Paesi ad economia emergente, notoriamente a corruzione endemica e spesso con
regimi politici non democratici.
Tale modello repressivo unidirezionale spiega perché il WGB abbia sempre ostentato
forte diffidenza, talvolta aperta contrarietà, verso qualsiasi congegno normativo in grado
di liberare da responsabilità o da pena i privati coinvolti in prestazioni illecite a livello
transfrontaliero: clausole di irrilevanza penale dei c.d. ‘pagamenti facilitanti’ non di
esigua entità (‘small facilitation payments’); cause di non punibilità del privato basate
sull’auto-denuncia del pagamento corrotto e la successiva collaborazione alle indagini
(c.d. ‘effective regret’); persino eventuali attenuazioni giudiziali di pena concesse ad
extranei che abbiano subito qualche pressione psichica di funzionari pubblici (come la
“sollecitazione” di una tangente) o forme di condizionamento ambientale 42.
Da ciò è dipeso anche il cortocircuito tra istanze ultranazionali di repressione
della corruzione extradomestica e ordinamento italiano. La filosofia codicistica
interna, con l’esorbitante estensione raggiunta nella prassi dal delitto normativamente
monosoggettivo di concussione, si poneva praticamente agli antipodi della strategia
anticorruzione convenzionale. Infatti, se il privato – unico soggetto punibile ex art. 322bis, comma 2, n. 2, c.p. – è dichiarato irresponsabile in quanto concusso, “non c’è alcuna
garanzia che il funzionario estero sia condannato, dal momento che lo Stato estero può
rifiutarsi di perseguirlo, oppure perché la sua condotta non costituisce reato”43.
Il principale appiglio testuale delle incalzanti critiche del WGB alla vecchia versione
dell’art. 317 c.p. (e alla figura giurisprudenziale della “concussione ambientale”) è un
passaggio dei Commentaries al testo pattizio, dove si dice, in modo lapidario, che la
condotta delineata dall’art. 1 della Convenzione costituisce reato “a prescindere, inter
alia, […] dalla dedotta necessità del pagamento al fine di ottenere o conservare un affare
o altro vantaggio indebito” (v. Commento n. 7)44. Il corollario desunto dal WGB è il
seguente: l’imprenditore non può addurre, in chiave difensiva, che è stato costretto a
pagare il funzionario straniero per poter fare affari all’estero, per non perdere le somme
L’approccio pragmatico del WGB ha trovato, per così dire, la sua sublimazione nell’implicito
suggerimento rivolto all’Italia di limitare l’esonero da responsabilità del privato concusso al solo ambito
domestico. Tale consiglio, però, ove accolto, avrebbe innescato seri dubbi di violazione dell’art. 3 Cost.
42 Per approfondimenti, v. V. MONGILLO [nota 13], 94, 577 ss. Sulla disciplina della corruzione
internazionale nell’ordinamento interno, ivi, 231 ss.; sul tema v., altresì, F. CENTONZE - V. DELL’OSSO, La
corruzione internazionale. Profili di responsabilità delle persone fisiche e degli enti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013,
194 ss.
43 Così, espressamente, OECD WGB, Italy, Phase 2 Report [nota 37],§ 139, p. 35 s.
44 Così, OECD WGB, Italy, Report Phase 2 [nota 37], loc. cit.
41
10
investite in una negoziazione, o addirittura per non essere estromesso dal mercato (tutti
casi di c.d. economic extortion)45.
Peraltro, anche restando entro i confini del testo pattizio in senso stretto, già nell’art. 1
spicca quale elemento distintivo della corruzione attiva extradomestica il “fine di
indebito vantaggio” in operazioni economiche internazionali. Ebbene, nella visione del
‘legislatore convenzionale’, qualora il pagamento sia volto ad ottenere l’acquisizione di
contratti pubblici, il beneficio perseguito è, per sua indole, “improper”, in quanto
collegato non a mere attività amministrative routinarie, ma a settori dell’agire
pubblicistico intrisi di discrezionalità, amministrativa e valutativa 46. Dunque, poiché la
disposizione pattizia non richiede che lo scopo di indebito beneficio sia l’unica ragione
della condotta del privato, non sarebbe di ostacolo alla sua applicazione un fine
concorrente di evitare un danno ingiusto (alternativamente rappresentato dal p.a.),
ovvero la prospettazione di un atto legittimo svantaggioso.
3. “Costrizione” (art. 317 c.p.), “induzione” (art. 319-quater c.p.) e “sollecitazione”
istigatoria alla corruzione (art. 322, commi 3 e 4, c.p.): tre copioni, un solo attore.
La riforma del 2012, nella parte che più interessa in questa sede, è
dichiaratamente rivolta a recepire, “alla luce della nostra tradizione giuridica, le
raccomandazioni dei gruppi di lavoro dell’OCSE (WGB) e del Consiglio d’Europa
(GRECO) incaricati di verificare la conformità agli standards internazionali delle norme
statali in materia di corruzione”. In tale contesto, quindi, “si collocano la modifica della
concussione e l’introduzione del reato di induzione indebita a dare o a promettere
denaro o altra utilità”47.
Come si è detto, però, la novella, incidendo su equilibri di tutela da sempre
particolarmente delicati ed instabili, ha fatto sorgere un serio problema interpretativo
in ordine all’esatto discrimen tra la condotta di costrizione, divenuta modalità esclusiva
di realizzazione del delitto di concussione ex art. 317 c.p., e quella di induzione di cui al
nuovo art. 319-quater c.p.
Su tale dilemma giuridico le Sezioni Unite della Cassazione si pronunceranno il
prossimo 24 ottobre. Esse, però, non potranno fare a meno di lambire anche un’altra
quaestio iuris, complementare a quella appena tratteggiata: la distinzione a valle tra
l’“induzione” e la “sollecitazione” di prestazioni corruttive ad opera del p.a.
Quest’ultima modalità comportamentale, com’è noto, ha assunto autonomo rilievo
penale con l’intervento ampliativo dell’art. 322 c.p., avutosi con la novella di cui alla l.
n. 86/1990. Ove la sollecitazione rivolta al privato sia respinta, ricorrerà il delitto di
Di recente il WGB si è spinto sino a contestare anche una forma di defence del privato quale quella
prevista dall’ordinamento della Federazione Russa, benché assai più restrittiva della concussione italiana
pre-riforma, in quanto più nitidamente basata su condotte coercitive del p.a.: OECD WGB, Russian
Federation, Phase 1 Report, 2012, 33 s.
46 Si spiega così la formula impiegata nella Convenzione OCSE, in cui l’espressione business precede quella
di “altro vantaggio indebito” (“in order to obtain or retain business or other improper advantage in the
conduct of international business”).
47 Così la Relazione di accompagnamento all’emendamento, presentato in data 17 aprile 2012 dal Ministro
Severino, al d.d.l. governativo anticorruzione C. 4434.
45
11
istigazione alla corruzione di cui all’art. 322, commi 3 e 4, c.p.; nell’eventualità in cui sia
accolta, invece, risulterà consumato – a seconda dei casi – il delitto di corruzione per un
atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.), ovvero per l’esercizio delle funzioni (art.
318 c.p.).
Il tradizionale nodo interpretativo, concernente i criteri distintivi tra
concussione e corruzione, si è, di conseguenza, ulteriormente aggrovigliato, evolvendo
in una sequenza triadica di fattispecie mutualmente esclusive, le quali, però,
gravitano in uno spazio piuttosto ridotto. Compito dell’interprete, quindi, è cercare di
‘mettere a sistema’, nel rispetto del testo legale e della voluntas legis, l’intero carnet delle
condotte acquisitive di utilitates indebite, poste in essere da pubblici agenti nelle loro
relazioni intersoggettive con persone estranee alla pubblica amministrazione. Si tratta,
invero, di assicurare equilibri assai delicati e complessi, giacché più si marca la
differenza tra concussione e induzione, facendo assumere a quest’ultima una fisonomia
schiettamente corruttiva, più aumenta il rischio di invadere il territorio di pertinenza
della sollecitazione istigatoria alla corruzione48.
4. Il disorientamento giurisprudenziale: l’emersione di tre diversi indirizzi
ermeneutici.
Il notevole disorientamento ingenerato nella nostra giurisprudenza di
legittimità dalla recente novella anticorruzione è attestato dall’emersione di ben tre
orientamenti interpretativi, in ordine al criterio di distinzione e reciproca
delimitazione tra la riformata concussione e la nuova incriminazione della induzione
indebita a dare o promettere utilità. Il materiale giurisprudenziale è già cospicuo e
quasi “si perde” alla comprensione dell’interprete, tante sono le teorie, impostazioni
metodologiche, sfumature concettuali sfornate dalla ‘fabbrica processuale di
interpretazioni’49. In pratica, non c’è tesi astrattamente congetturabile, in ordine alla
nuova diade concussione-induzione, che non abbia ricevuto avallo in qualche sentenza
della Cassazione.
Per non arenarci nelle secche di questa diatriba, è necessario, anzitutto,
indagare ed ordinare le diverse correnti ermeneutiche, per evidenziarne l’estrema
varietà di criteri ispiratori e ipotesi ricostruttive, che le Sezioni Unite della Cassazione
dovranno cercare di ricomporre ad unità. Sarà nostra premura indagare non solo l’iter
logico-argomentativo, ma anche i concreti approdi applicativi cui hanno condotto i
diversi orientamenti in conflitto. Solo in questo modo potranno pienamente
apprezzarsene sia i pregi che eventuali limiti, nella consapevolezza che in questa
Sulla sottile linea divisoria tra (tentativo di) concussione induttiva e istigazione alla corruzione, prima
della novella del 2012, v. le dense considerazioni di D. TARANTINO, Sui difficili rapporti tra concussione per
induzione e istigazione alla corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, 245 ss.
49 L’immagine delle “fabbriche di interpretazioni” è tratta da D. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale del
diritto penale, Torino, 2010, 111 ss.
48
12
materia le discordanze di vedute non investono solo l’interpretazione delle norme, ma
anche la qualificazione giuridica dei fatti accertati.
5. Primo orientamento: il criterio ‘quantitativo-soggettivizzante’ dell’intensità della
pressione.
L’esigenza di fissare un sicuro criterio discretivo tra due concetti si pone con
particolare incisività quando essi, presentando elementi in comune, siano descrivibili
anche come sottospecie di un superiore concetto unitario. Nel caso dei delitti di
concussione e induzione abusiva, i requisiti tipici sovrapponibili sono la promessa o
dazione indebita di denaro od altra utilità ad opera di un privato a favore di un p.a.
(che nel caso della concussione, però, può essere solo un p.u.) e il fatto che ciò avvenga
a causa di un abuso della qualità o dei poteri dell’intraneo.
Sotto questo profilo, l’indirizzo ermeneutico inaugurato dalla sentenza Nardi50,
prevalentemente motivato dalla preoccupazione di assicurare una piena continuità
normativa tra vecchie e nuove fattispecie penali51, parte dalla constatazione che gli artt.
317 e 319-quater c.p. sostanzialmente ritagliano due diverse forme di pressione o
influenza abusiva sulla sfera psichica dell’estraneo. Il fundamentum divisionis è
individuato nell’intensità della pressione esercitata sul privato: pressione più forte o
incisiva nella costrizione, più blanda o tenue nell’induzione. Quindi, il criterio di
classificazione in questo caso è di tipo ‘quantitativo’.
Anche nell’induzione l’extraneus è “consapevole di star subendo e di dare o
promettere il non dovuto”; tuttavia, essendo esposto ad una pressione “più debole” di
quella propriamente costrittiva, la ratio della sua punibilità andrebbe ravvisata nella
violazione di un “dovere di non collaborare” con l’agente pubblico, affinché egli non
acquisisca l’indebito; a nulla rilevando, invece, “l’utilità o meno della sua condotta non
prevista quale elemento costitutivo del precetto”. Scopo della minaccia penale rivolta al
privato, quindi, sarebbe quello di incentivare una resistenza attiva contro i
comportamenti induttivi degli agenti pubblici52.
Solo una “significativa”, “seria” e “specifica” intimidazione, tale comunque
“da incidere e in misura notevole sulla volontà del soggetto passivo”, potrebbe
realizzare una influenza costrittiva nei termini di cui al riformulato art. 317 c.p.
Il vantaggio dell’approccio quantitativo è la sua esaustività: di qualsiasi forma
di pressione psicologica, almeno in teoria, può stabilirsi il grado di incidenza sulla
Cass., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8695, Nardi, rv. 254114.
Si parte, infatti, dall’opinabile assunto che l’interpretazione propugnata delle espressioni “induzione” e
“costrizione”, la quale – come vedremo – si limita a recepire il precedente know-how giurisprudenziale, sia
l’unica in grado di assicurare un’integrale continuità tra i precetti succedutisi nel tempo.
52 La sentenza richiama sul punto un passo di D. PULITANÒ [nota 16], 10. Analoghe considerazioni in F.
PALAZZO, Gli effetti “preterintenzionali” delle nuove norme penali contro la corruzione, in Mattarella – Pelissero
[nota 3], 20, che intravede, pur esprimendo perplessità, un “obbligo giuridico di resistenza”, penalmente
sanzionato, a carico del privato sottoposto all’abuso induttivo.
50
51
13
libertà di autodeterminazione del destinatario, riconducendo, su queste basi, la
condotta nell’alveo della costrizione ovvero dell’induzione.
Il suo contraltare problematico sta, però, nell’incertezza applicativa in
concreto: lo schema quantitativo, senza l’apporto di criteri integrativi, non pare in
grado di assicurare quel minimo di oggettività che costituisce l’insuperabile garanzia
dei diritti individuali di libertà. Nel caso di specie non si tratta solo di ordinare e
disporre lungo un ideale continuum ogni possibile pressione psicologica realizzata
mediante abuso di qualità o di poteri. Compito del giudice-interprete è dividere questa
realtà in due categorie mutualmente esclusive, e pertanto individuare in modo rigoroso
la soglia oltrepassata la quale una condotta abusiva diviene sufficientemente “seria” e
“significativa” da esprimere il disvalore proprio della concussione.
Per superare questo scoglio, l’orientamento in esame si affida, con sconfinata
fiducia, alla precedente vicenda giurisprudenziale della distinzione tra concussione
costrittiva e concussione induttiva. L’obiettivo, così, è riprodurne i principali esiti
esegetici nell’interpretazione del riformulato art. 317 c.p. e dell’inedito art. 319-quater
c.p. Strada, peraltro, ritenuta obbligata, a fronte di quello che è reputato un semplice
“sdoppiamento” dell’originaria figura concussiva in due distinte incriminazioni, che ne
hanno mutuato le parole senza aggiungere ulteriori elementi descrittivi53. Da questa
angolazione prospettica, la nuova incriminazione dell’induzione, nonostante il mutato
portato sanzionatorio e l’inedita previsione di pena a carico del privato, non
divergerebbe, sia sotto il profilo strutturale sia sotto il profilo semantico, da quella che
già integrava una delle due possibili modalità del preesistente delitto di concussione.
Sennonché, il vero problema è riempire di contenuto l’espressione “grado” o
“intensità” della pressione54. In mancanza di indicazioni più accurate, di criteri
‘provabili’ con la necessaria affidabilità, essa rischia di scadere in vuota formula
evocativa, dalla vaga intonazione psicologista. Sotto questo profilo, anche la pregressa
esegesi giurisprudenziale dei concetti di costrizione ed induzione non era affatto
immune da circonlocuzioni stereotipate, la cui forza attrattiva discendeva più
dall’insistenza con cui erano ripetute, che da un’intrinseca capacità di orientare il
giudice nell’applicazione della norma al caso concreto55.
Ebbene, la carenza di univocità dei passati approdi giurisprudenziali, è
comprovata, in un certo senso, proprio dall’emersione, all’interno dell’orientamento in
esame, di due sotto-indirizzi. Il primo evince l’intensità-gravità della pressione,
prevalentemente, dall’atteggiarsi della condotta del p.a., vale a dire dal mezzo (tipo di
condotta abusiva) impiegato per condizionare la volontà del privato e, più
precisamente ancora, dalle sue modalità espressive. L’altro esito ricostruttivo
Di qui la convinzione che “il legislatore non può avere trascurato il diritto vivente formatosi nella
vigenza della «unitaria fattispecie»”.
54 Sull’indeterminatezza di tale criterio, anche R. GAROFOLI, Concussione e indebita induzione: il criterio
discretivo e i profili successori, in questa Rivista, 3 maggio 2013, 9.
55 Ad es. “preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale sull’intimorita volizione del privato”; volontà
“repressa dalla posizione di preminenza” del p.u.”; “oggettivo condizionamento della libertà morale” del
privato; in parte, lo stesso concetto di “soggezione psicologica”.
53
14
posiziona il baricentro della fattispecie sull’effetto della condotta abusiva, su ciò che
accade nella psiche del privato, muovendo dall’assunto che, a parità di abuso (ad es.
minaccia di un danno ingiusto, prospettazione di un danno conforme alla legge, ecc.),
l’effettivo grado di compromissione della libertà di autodeterminazione del
destinatario può assumere, a seconda delle circostanze concrete, tanto una salienza
realmente costrittiva quanto una minore valenza induttiva56.
5.1. Intensità della pressione rapportata al “mezzo” (tipo di abuso).
Riteniamo opportuno analizzare separatamente i passaggi essenziali dei due
sottoindirizzi in discorso, anche per evidenziarne le differenti ricadute pratiche.
(a) Quanto alla prima variante, nella sentenza Nardi si afferma, innanzitutto,
che l’unico elemento differenziale tra costrizione e induzione sta “nel mezzo usato per
la realizzazione dell’evento, nel senso che la dazione o la promessa dell’indebito è nella
«concussione» effetto del timore mediante l’esercizio della minaccia e, nella
«induzione», invece, effetto delle forme più varie di attività persuasiva e di suggestione
tacita e di atti ingannevoli”. Insomma, in questo caso, l’intensità della pressione
prevaricatrice è ricavata dall’intensità della condotta abusiva, dal quantum di
strumentalizzazione dei poteri o della qualità.
Allo stesso modo, nella sentenza Sarno, in cui un imprenditore, per superare condotte
ostruzionistiche57 inerenti all’approvazione di una variante edilizia relativa al recupero
dell’area industriale c.d. “ex Falk”, fu “indotto” a nominare un architetto gradito al
funzionario competente, ai fini dell’elaborazione del progetto58, si richiama il vecchio
adagio secondo cui “nella nozione di concussione per «induzione» va ricompresa
qualsiasi condotta capace di creare nel privato uno stato di soggezione psicologica che
lo porti ad agire nel senso voluto dall’agente, che può assumere svariate forme (quali
l’inganno, la persuasione, la suggestione, l’allusione, il silenzio o l’ostruzionismo, anche
variamente ed opportunamente combinati tra loro), in considerazione anche del diverso
contesto in cui i soggetti si muovono e della loro maggiore o minore conoscenza di certi
moduli operativi e dei relativi codici di comunicazione”59.
Sempre nella decisione Nardi, però, si precisa immediatamente che “la
costrizione, come coazione psicologica, può essere causata anche da altri atteggiamenti,
che non siano vera e propria intimidazione, e cioè da una qualunque condotta che,
Aveva in qualche modo anticipato questo sdoppiamento di prospettiva A. SPENA [nota 16], 15,
nell’evidenziare che “facendo dell’induzione una forma attenuata di costrizione non è chiaro se si ponga la
differenza tra le due condotte sul piano delle loro rispettive forme o del loro risultato”. Sulla rilevanza di
entrambi i profili, ad es., C. BENUSSI [nota 8], 897.
57 In particolare, la dazione indebita avvenne dopo la presentazione di ben tre progetti per la
riqualificazione dell’area industriale senza riscontro da parte dell’amministrazione pubblica.
58 L’importo concordato con tale consulente, inoltre, “esorbitava del tutto dalle tariffe all’epoca vigenti”.
59 Così Cass., sez. VI, 15 marzo 2013, n. 12388, Sarno, rv. 254441, richiamando la massima CED di Cass.,
sez. VI, 31 dicembre 2003 [nota 23].
56
15
anche senza divenire minaccia espressa, si caratterizza in concreto come un’implicita,
seppur significativa e seria intimidazione tale da incidere e in misura notevole sulla
volontà del soggetto passivo”.
(b) Se, però, la costrizione fa leva essenzialmente sulla minaccia, esplicita o
implicita, di un danno (la sentenza Nardi non puntualizza se possa assumere rilievo
anche un danno secundum ius), viene da chiedersi quale sia il peculiare meccanismo
psichico di cui si avvale l’induttore per persuadere il privato a dare/promettere
l’indebito: quale sia, insomma, il contenuto dell’abuso, più che la sua forma esteriore,
in questo caso.
Da un canto, non ci si può limitare a dire che l’induttore, più che coartare,
persuade, convince l’interlocutore. Così opinando, resterebbe del tutto inevasa la
questione del discrimine con la corruzione, posto che un’azione persuasiva può
rivelarsi funzionale anche alla stipula di un pactum sceleris su basi paritarie.
D’altro canto, circa i rapporti con la concussione, se l’effetto di coartazione
psichica non presuppone necessariamente il ricorso ad espresse minacce (come
giustamente si riconosce in Nardi), resta ancora da spiegare in forza di quali parametri
possa distinguersi, in modo attendibile, tra “una significativa e seria intimidazione”
che limita in misura notevole la volontà del privato e una “suggestione tacita” o una
“pressante persuasione priva di una seria e specifica intimidazione”.
Nell’implicita presa d’atto di questi interrogativi irrisolti, la sentenza Nardi
ripiega su un altro principio di diritto, ricorrente nella precedente giurisprudenza,
finendo però per incrinare l’assunto di partenza, secondo cui si può coartare anche
mediante forme più larvate o implicite di intimidazione. Si passa, così, dalla sostanza
(valenza psichica) del mezzo impiegato, alla sua forma esteriore. In particolare, la
massima riprodotta recita che “l’abuso di potere o della qualità si atteggia in modo
diverso a seconda che il soggetto passivo soggiaccia alla costrizione oppure
all’induzione. Nel primo caso vi è il timore di un danno minacciato dal pubblico
ufficiale, nel secondo la soggezione alla posizione di preminenza su cui il medesimo,
abusando della propria qualità o funzione, fa leva, per suggestionare, persuadere o
convincere a dare o promettere qualcosa allo scopo di risparmiare un male peggiore. In
questo caso, la volontà del privato è repressa dalla posizione di preminenza del
pubblico ufficiale, il quale, quand’anche senza avanzare aperte ed esplicite pretese60,
operi di fatto in modo da ingenerare nel soggetto privato la fondata persuasione di
dover sottostare alle sue decisioni per evitare il pericolo di subire un pregiudizio,
eventualmente maggiore”61. Insomma, questa asserzione testimonia che la passata
Corsivi nostri.
In realtà, le sentenze citate a corredo di questo principio di diritto non sembrano del tutto pertinenti;
esse, infatti, sono centrate su un altro profilo: l’irriducibilità dell’abuso ad una mera richiesta indebita di
denaro. Il dictum riportato in Nardi si trova, invece, testualmente affermato, in numerose altre sentenze, tra
cui, ad es., Cass., sez. VI, 22 aprile 2010, n. 17234, in Foro it., 2010, 6, II, 293; Id., 23 ottobre 2009, n. 46514, rv.
245335; Id., 11 marzo 2008, n. 24401, in Guida dir., 2008, 38, 105; Id., 24 febbraio 2004, n. 7956, inedita; Id., 11
dicembre 1993, n. 2985, in Riv. pen. ec., 1994, 343; Id., 21 agosto 1990, n. 11679, rv. 185138. L’uso
60
61
16
elaborazione giurisprudenziale separava la costrizione dall’induzione – per lo più –
sulla base della natura esplicita o implicita della prospettazione intimidatoria
trasmessa alla vittima.
La concezione dell’induzione come una sorta di ‘soave’ coazione è chiaramente
rintracciabile nella prima decisione della Cassazione ad essersi occupata della novella
anti-corruzione (sentenza Aurati), in cui il classico metus della concussione viene
riservato alla sua nuova versione esclusivamente costrittiva62: “la costrizione consiste
in quel comportamento del pubblico ufficiale idoneo ad ingenerare nel privato una
situazione di «metus», derivante dall’esercizio del potere pubblico63, che sia tale da
limitare la libera determinazione di quest’ultimo, ponendolo in una situazione di
minorata difesa rispetto alle richieste più o meno larvate di denaro o altra utilità e si
distingue dall’induzione, elemento oggettivo della nuova fattispecie di cui all’art. 319quater cod. pen. (pure introdotta dal medesimo art. 1, comma 75, legge n. 190 cit.), che
invece può manifestarsi in un contegno implicito o blando64 del pubblico ufficiale o
dall’incaricato di pubblico servizio in grado, comunque, di determinare uno stato di
soggezione, ovvero in un’attività di determinazione più subdolamente persuasiva”65.
E’ facile comprendere, però, che, secondo questa narrazione, sia nella
costrizione che nell’induzione il p.u. ottiene il risultato voluto suscitando nel privato
un atteggiamento psichico di “evitamento”: il fine di schivare il pericolo di un male
alternativo maggiore (conforme o contrario all’ordinamento, è indifferente). Ma così
intese, entrambe le condotte in discorso divengono strumenti di coartazione psichica:
proprio ciò, del resto, avrebbe potuto e dovuto giustificare, in passato, la loro
equiparazione nel comune recinto della concussione. L’elemento discretivo si riduce,
pertanto, alle modalità espressive, id est al registro comunicativo adoperato dal titolare
della qualità o dei poteri: più esplicito, diretto ed energico nella costrizione; più
ammiccante, cortese, suggestivo o ambiguo, in breve più blandamente persuasivo
nell’induzione66.
giurisprudenziale del concetto di induzione nel senso di persuasione, convinzione o suggestione, ma in
molti casi per denotare forme di minaccia implicita, è rimarcato da E. PALOMBI [nota 24], 133 ss.
62 Criticamente, v. M. SCOLETTA, I mobili confini tra concussione e induzione indebita nelle prime sentenze della
Corte di Cassazione, in Neldiritto, 2013, 887. Questa interpretazione della Cassazione, però, è in sintonia con
un’idea guida della riforma: quella secondo cui solo il p.u. – unica qualifica soggettiva rilevante per la
concussione post riforma – potrebbe ingenerare un vero e proprio metus nel privato.
63 Da questo riferimento “all’esercizio di un potere pubblico” potrebbe evincersi una limitazione dello
spettro applicativo della costrizione alle sole ipotesi di abuso di poteri; una simile operazione ermeneutica,
però, non troverebbe alcun avallo testuale nel chiaro disposto dell’art. 317 c.p., dove tuttora si fa
riferimento anche all’abuso di qualità.
64 Corsivo nostro.
65 Cass., sez. VI, 21 gennaio 2013, n. 3093, Aurati, rv. 253947. Nella sentenza in questione, nel decidere per
l’annullamento con rinvio, la S.C. ha lamentato l’illogicità della motivazione in punto di riqualificazione in
truffa aggravata, ad opera del giudice d’appello, dei fatti qualificati in primo grado come concussivi.
66 Nella dottrina, per una differenziazione delle condotte di costrizione ed induzione dal punto di vista
dell’“intensità di svolgimento”, nel senso che la prima indicherebbe il “brutale avvio del destinatario della
condotta a dare o promettere l’indebito”, mentre la seconda “il progressivo, più o meno rapido, svolgersi
del processo, che porterà alla fine il destinatario del fatto alla prestazione od alla promessa dell’indebito (la
17
5.1.1. Valutazione.
Quanto precede suscita svariate considerazioni critiche.
(1) Anzitutto, concependo l’induzione come una forma più blanda o implicita
di coazione psichica, si fa fatica a discernere perché meriti di essere punito il privato
che, dopo l’entrata in vigore dell’art. 319-quater c.p., abbia “ceduto” ad una condotta
comunque prevaricante, senza prefiggersi alcun beneficio indebito, ma solo per evitare
il pericolo di un danno ingiusto67. La minaccia di un male contra ius, dotata di valenza
coercitiva, può essere inequivocabilmente trasmessa all’interlocutore nelle forme più
varie, rispetto alle quali quelle più brutalmente esplicite sono, statisticamente, anche le
meno frequenti68 e generalmente “appannaggio […] dei livelli più bassi della P.A.”69. A
veicolare una minaccia in senso tecnico, quindi, possono essere non solo frasi sgarbate,
aggressive o espressamente intimidatorie, ma anche più sottili espedienti
comunicativi: acta concludentia, atteggiamenti suggestivi, frasi allusive, richieste velate,
insinuazioni, ragionamenti involuti, consigli formalmente garbati, amichevoli o
accattivanti, silenzi o altre condotte ostruzionistiche e dilatorie, ecc.70. Attraverso
un’abile combinazione di tali modalità comunicative, il contegno del p.a. ben può
assumere un inequivocabile significato minatorio. Si pensi al p.u. che, in modo
allusivo o suggestivo, lasci intendere al privato che senza un pagamento indebito non
c.d. persuasione a dare o promettere l’indebito)”, v. G. PIOLETTI, Concussione, in Dig. disc. pen., vol. III, 1989,
8 s.
67 Cfr. M. RONCO [nota 8], 45, che proprio per l’insostenibilità di una punizione diretta contro un soggetto
coartato conclude che “non può sostenersi che l’induzione sia una forma più blanda della costrizione,
come veniva sostenuto, non senza contraddittorietà, nella vigenza del vecchio art. 317”. V. anche V.
VALENTINI, Ancora sulla frattura della disposizione ex art. 317 c.p. Qualche rapido spunto in attesa delle Sezioni
Unite, in Arch. pen., 2013, 6.
68 Come osservò, con il consueto acume, F. CARRARA [nota 10], 135, “l’impiegato venale non chiede ma fa
capire che prenderebbe: non minaccia, ma fa nascere il timore della sua potestà”. Anche per questo, il
grande criminalista toscano si doleva della scarsissima frequenza applicativa del delitto di concussione,
rispetto alla corruzione, invitando ad applicare “con coraggio” il reato monosoggettivo “quante volte
apparisca […] in qualche modo dubbiosa la pravità di intenzione del privato” (p. 145).
69 A. MANNA [nota 16], 19.
70 Per la rilevanza ex art. 317 c.p. anche di una minaccia formulata in modi larvati e oscuri, o in termini
subdolamente vaghi, v. Cass., sez. VI, 22 aprile 2013, n. 18372, rv. 254728. Per ulteriori considerazioni, sul
punto, v. V. MONGILLO [nota 13], 136. Come si vede, non è risolutiva neppure l’altra massima menzionata
dalla sentenza Nardi, secondo cui la “vecchia” concussione poteva essere commessa per costrizione o per
induzione, prospettandosi alla vittima, nel primo caso, in modo univoco anche se non esplicito, un male
ingiusto, e ponendola di fronte all’alternativa di accettarlo o evitarlo con l’indebita promessa o dazione, e,
nel secondo caso – in cui manca tale prospettazione –, raggiungendo lo scopo di ottenere il medesimo
risultato illecito attraverso un’opera di suggestione o di frode: Cass., sez. VI, 26 ottobre 1998, n. 11258.
Esclusa l’ipotesi in cui la frode si traduca in una vera e propria induzione in errore del privato (nel qual
caso, come correttamente notato nella sentenza Aurati, dovrà applicarsi il delitto di truffa aggravata ex art.
61 n. 9 c.p.), non v’è dubbio che un risultato univocamente e seriamente intimidatorio possa essere
raggiunto anche attraverso un’abile opera di suggestione.
18
emetterà un atto dovuto favorevole, il cui ritardo, in effetti, può essere interpretato solo
in chiave prevaricatoria: in questi casi, l’istante può agevolmente arguire che il
pagamento indebito è l’unica strada per trarsi d’impaccio ed ottenere quanto gli spetta.
In definitiva, una minaccia ‘debole’, purché sufficientemente seria e credibile,
resta pur sempre un atto di sopraffazione: la sua ridotta entità-intensità potrà
giustificare una riduzione verso il limite inferiore della pena da irrogare al p.a.; ma non
potrà certo legittimare ex se la punizione di un’autentica vittima71. E, in effetti, non si
vede quale altra funzione, diversa da una cieca deterrenza, possa disimpegnare
l’irrogazione di una sanzione a chi si risolva a pagare al solo fine di prevenire un
danno ingiusto: siamo, in tal caso, totalmente al di fuori delle funzioni costituzionali
della pena statale. D’altra parte, sul piano della proporzione punitiva, è del tutto
evidente l’ingiustizia insita nel punire allo stesso modo il privato, “sia che abbia voluto
evitare un danno ingiusto, sia che abbia inteso perseguire un ingiusto vantaggio”72.
(2) Analoghi problemi sorgono in relazione alla c.d. persuasione fraudolenta,
qualora l’inganno non verta sulla doverosità della dazione, del cui carattere indebito il
privato rimanga, quindi, perfettamente consapevole73. Può pensarsi al caso di un p.a.
che, per spingere il privato a sottomettersi ad una richiesta indebita, gli abbia fatto
artificiosamente credere di poter infliggere un pregiudizio antigiuridico (ad es. un
arresto illegittimo) che in realtà esula dalle sue potestà74. Orbene, qualificare fatti di
questo tenore come induzione poteva forse risultare plausibile a fronte di un modello
di disciplina che vedeva costrizione ed induzione quali condotte sostanzialmente
fungibili75; non più in un sistema, come quello attuale, in cui le due modalità
comportamentali sono confluite in fattispecie completamente disaggregate, delle quali
una soltanto, l’induzione indebita, assoggetta a pena anche il privato. Nel nostro
esempio, difatti, la causale della condotta dell’extraneus è esattamente speculare a
quella di un soggetto “costretto” ai sensi dell’art. 317 c.p.: evitare un danno ingiusto
che si ritiene plausibile (ancorché, de facto, al di fuori delle attribuzioni del p.a.). Nel
caso di specie solo l’intraneus, pertanto, va punito: in particolare qualificando la sua
Così anche A. SPENA [nota 16], 15. Contra A. AMATO, Concussione: resta solo la condotta di “costrizione”, in
Guida al dir., 2012, n. 48, ins. 13, XVIII, secondo cui sarebbe punibile ex art. 319-quater, comma 2, c.p. anche
il privato indotto “abusivamente” dal funzionario a pagare per un atto a cui ha diritto; nella specie la
natura indebita del vantaggio discenderebbe unicamente dal suo perseguimento attraverso una dazione
non dovuta.
72 Così, lucidamente, S. SEMINARA, I delitti di concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e induzione
indebita, in Dir. pen. proc., Speciale Corruzione, a cura di Pisa, 2013, 31.
73 Per una chiara distinzione tra “induzione in errore” e “induzione fraudolenta” del p.a., nel senso che in
quest’ultimo caso il privato resta conscio dell’abuso e dell’illiceità della richiesta di denaro, v. G.
CONTENTO [nota 1], 530 ss., 538 ss.
74 Cfr., ad es., Corte App. Milano, sez. II, 17 marzo 2009, n. 865 (condanna per concussione di un ufficiale
della Guardia di Finanza che, in virtù della carica rivestita, aveva preteso denaro o altri beni al fine di
evitare al destinatario della richiesta una verifica fiscale in realtà non autorizzata).
75 V. ante riforma, per la riconduzione sotto il manto della concussione delle condotte fraudolente non
sfociate in induzione in errore sulla doverosità della dazione, M. ROMANO, I delitti, cit., ed. 2006, 107 s.
71
19
condotta come concussione ove si tratti di un p.u.76, e come estorsione aggravata (art.
629 e 61 n. 9 c.p.) nel caso di abuso realizzato da un i.p.s. (purché in quest’ultimo caso
ricorra anche una deminutio patrimonii)77.
Se invece il p.u. o l’i.p.s. inducono il privato alla dazione o promessa indebita
ingannandolo circa la possibilità di procurargli un vantaggio parimenti indebito78 e/o
di omettere un atto asseritamente dovuto79, oppure facendogli erroneamente credere
dovuto all’amministrazione pubblica il denaro o l’altra utilità (induzione in errore in
senso stretto), dovrà farsi applicazione, ricorrendo tutti gli altri presupposti, dell’art.
640 c.p., aggravato ex art. 61 n. 9 c.p.80.
(3) Quanto all’argomento di diritto intertemporale, neppure esso appare
particolarmente stringente. La tesi è la seguente: se ci si discosta dalla passata
interpretazione giurisprudenziale dei termini “costrizione” ed “induzione”, l’assunto
della continuità tra vecchia e nuove fattispecie ne risulterebbe irrimediabilmente
inficiato. In realtà, la giurisprudenza era meno granitica di quanto si tenda a far
credere81. Ciò dipendeva, essenzialmente, dall’indifferenza pratica di una precisa
distinzione, attestata dall’uso promiscuo, a mo’ di endiadi, delle espressioni in discorso
nelle contestazioni accusatorie. Così, anche le ipotesi di minaccia implicita erano
qualificate talvolta come costrittive82, talaltra come induttive83. La concezione
dell’induzione come coazione blanda o implicita non era l’unica compatibile con il
potenziale semantico del lemma “induzione”, ma a supportarla era la piena
equiparazione giuridica con le situazioni di costrizione esplicita: soltanto questo. In
realtà, quando fatti diversi sono dal legislatore parificati nel regime giuridico e/o quoad
poenam, l’interprete tende ad assumere un’ottica di assimilazione più che di
dissociazione. L’assimilazione, in seno al vecchio art. 317 c.p., fu raggiunta attorno
all’elemento minimo della “soggezione psicologica” del privato causata dall’abuso.
Prima della novella, v. A. PAGLIARO – M. PARODI GIUSINO [nota 31], 151, sulla qualificazione come
costrizione della condotta del soggetto pubblico che abbia prospettato un pericolo immaginario come
dipendente dalla sua condotta o da quella di un soggetto indicato come suo complice; com’è noto,
peraltro, gli Autori interpretavano nel senso di inganno l’induzione di cui al precedente art. 317 c.p.
77 Cfr., F. MANTOVANI, Diritto penale. Delitti conto il patrimonio, Padova, 1989, 49 e 169, il quale precisa che si
ha estorsione “anche quando il pericolo consiste nella prospettazione non di un male che si può porre in
atto, ma di un male che si può fare credere, mediante inganno o sfruttando un preesistente errore, di
potere porre in essere”. Per analoghe considerazioni, in tema di minaccia ex art. 612 c.p., F. DASSANO, voce
Minaccia, Enc. dir., XXVI, 1976, 336.
78 Si pensi ad un ispettore doganale che condizioni ad una somma indebita la spedizione di alcuni prodotti,
supportando la richiesta con il rilievo ingannevole della loro difformità dagli standard previsti. Se il privato
si convince erroneamente che sta ricevendo un favore indebito grazie alla dazione, va considerato vittima
di una truffa.
79 Cfr. l’esempio – tratto da M. ROMANO [nota 75], 107 s., citando G. CONTENTO [nota 1], 512 ss. – del vigile
urbano che, dando a credere al negoziante di poterlo immediatamente arrestare per la merce esposta
avariata (prospettazione fraudolenta di un danno giusto), lo convinca a dargli o a promettergli del denaro.
80 Conf. C. BENUSSI [nota 8], 884.
81 Ancora C. BENUSSI [nota 8], 876 ss.
82 Ad es., Cass., sez. VI, 24 gennaio 1995, n. 829, Cipriani, rv. 200640.
83 Ex plurimis, Cass., sez. VI, 17 gennaio 1994, in Cass. pen., 1995, 1510; Id., 26 giugno 1996, n. 6385, Fatone,
rv. 205099.
76
20
All’opposto, oggi l’esigenza impellente è quella di distinguere rigorosamente
costrizione e induzione.
(4) Ad ogni modo, la definitiva riprova delle insufficienze di una determinata
prospettiva ermeneutica può aversi solo sottoponendo a verifica i suoi concreti esiti
applicativi.
i) I primi arresti giurisprudenziali, innanzitutto, confermano che, sulla base del
criterio in esame, anche il privato che non abbia fatto alcun uso opportunistico della
situazione abusiva creata dal p.a. corra il rischio di essere risucchiato nel gorgo della
nuova incriminazione. Nei casi giudiziali finora trattati dalla Suprema Corte, soltanto
l’irretroattività della lex nova ha impedito che una così patente ingiustizia – che
esporrebbe la nuova fattispecie a forti censure di incostituzionalità – potesse
effettivamente prodursi84; anzi, l’esito contingente è stato indulgenzialistico, poiché per
il p.a. coinvolto si sono schiuse le porte di una rideterminazione in melius della pena
oppure della prescrizione.
Nella vicenda esaminata in Nardi, un comandante di una stazione dei carabinieri di un
Comune del pavese, per ottenere dal responsabile di un’agenzia assicurativa una somma
aggiuntiva rispetto a quella già transattivamente liquidata per i danni subiti ad
apparecchi autovelox, procedeva ad insistenti richieste, prospettando, altresì, non meglio
precisati “interventi in danno dei clienti” dell’agenzia. Nonostante, quindi, il p.u. non si
fosse limitato ad una richiesta pressante, ma l’avesse anche supportata con il generico
annunzio di interventi pregiudizievoli presso la clientela dell’assicuratore,
potenzialmente forieri di ingiusti danni patrimoniali e reputazionali, la Cassazione ha
optato per lo schema dell’induzione. Secondo la S.C., infatti, l’ufficiale dell’Arma si era
reso responsabile di un’incisiva opera di convincimento, scilicet di “una pressante
persuasione”, tuttavia “priva di una seria e specifica intimidazione diretta in danno
della persona offesa, ben consapevole dell’indebita richiesta per l’esistenza di una
quietanza liberatoria che le avrebbe potuto agevolmente e legittimamente consentire di
opporre un deciso rifiuto”. In realtà, il dato più sostanzioso, alla luce dei fatti descritti
nella sentenza, è che in alcun modo l’assicuratore agì per un proprio tornaconto o fine
egoistico concorrente; alla base del suo “cedimento” vi fu un animus “difensivo”,
alimentato anche dal pericolo di un pregiudizio ingiusto ventilato surrettiziamente dal
p.u.85. A fronte della condotta prevaricatoria del comandante dei carabinieri di una
piccola realtà municipale, la possibilità di opporre un deciso rifiuto rischia di restare
pura astrazione. La circostanza che l’evento lesivo minacciato non fosse stato specificato
e circostanziato dal p.a., non sembra elemento decisivo per escludere la serietà della
prospettazione minacciosa in un caso come quello di specie. Invero, un danno
indeterminato, ma comunque determinabile nel genus, in quanto riconducibile
all’esercizio dei poteri tipici del minacciante, potrebbe, alla luce della qualità rivestita dal
p.a. e di tutte le altre circostanze concrete, sprigionare una carica intimidatoria persino
più intensa di una minaccia specifica86. In definitiva, come notato da attenta dottrina,
Così, esattamente, anche V. VALENTINI [nota 67], 9.
In un caso simile, peraltro, come si fa a parlare di esercizio legittimo dei poteri, considerato il loro
utilizzo totalmente al di fuori dallo schema funzionale tipico? Infatti, l’esercizio ‘deviato’ di poteri
discrezionali conduce all’eccesso di potere per c.d. sviamento.
86 In tema di concussione, sulla possibile rilevanza di una minaccia indeterminata, purché percepibile come
tale, alla luce della veste ricoperta dal p.u., cfr. Cass., sez. fer., 11 settembre 2008, n. 35100, in Mass.
Repertorio Lex24 de Il Sole 24 Ore. In materia di estorsione, v., ex plurimis, Cass., sez. II, 12 dicembre 2012, n.
84
85
21
ammettere la punizione del privato, in futuri casi giudiziali analoghi alla vicenda
esaminata dalla sentenza Nardi, suonerebbe per lui come un’inquietante beffa87.
Ancora, nella sentenza Mariotti88 un imprenditore fu condotto dal comportamento
“mirato e defatigatorio” del funzionario responsabile dell’ufficio edilizia ed urbanistica
di un Comune veneto a sottostare alla pretesa di versare somme indebite per ottenere la
definizione di una pratica urbanistica che “aveva in sé tutti i crismi della regolarità e
poteva giungere all’approvazione ma non poteva procedere nel suo iter soltanto per
l’interposizione” degli imputati. Altre somme, inoltre, vennero corrisposte all’assessore
all’urbanistica del Comune, che motivò la richiesta illecita “con le esigenze della
campagna elettorale, sotto pena di ritardo o rifiuto dell’approvazione della pratica”.
Ebbene, la Cassazione ha ritenuto di differenziare, nei due casi, la qualificazione
giuridica delle condotte illecite, basandosi solo sull’incerto parametro delle loro modalità
espressive. La pressione esercitata dal primo soggetto, il funzionario, è stata, così,
ritenuta costrittiva soprattutto a cagione delle intimidazioni più energiche ed esplicite
operate da un suo intermediario e dell’insistenza nell’inoltrare la richiesta indebita;
quella dell’assessore, viceversa, è stata reputata induttiva, in quanto “più blanda e,
comunque, tale da lasciare al destinatario della pretesa un margine di scelta, avuto anche
riguardo ai contesti ed alla causale della richiesta stessa, giustificata nella specie con il
finanziamento ed il buon esito della campagna elettorale, campagna che, ove non si fosse
conclusa con la «rielezione» del richiedente, avrebbe potuto determinare il ritardo o la
non approvazione della pratica”.
E’ difficile discernere il rationale della differenziazione operata dalla Corte. Partendo
dalla premessa fattuale secondo cui la richiesta del privato era meritevole di un riscontro
positivo, non sembra che la forma comunicativa adoperata dall’assessore possa far aggio
sul dato sostanziale dell’antigiuridicità del danno implicitamente prospettato al privato,
per evitare il quale egli si adeguò all’ulteriore richiesta indebita. La diversa intensità
della pressione costrittiva adoperata dai due pubblici agenti potrebbe al più condurre ad
una diversa modulazione della comminatoria giudiziale; non a trasformare – qualora i
medesimi fatti fossero realizzati sotto il nuovo regime – l’extraneus da vittima a soggetto
colpevole.
Si giunge così alla sentenza Pierri89, dove traluce la preoccupazione per le
iniquità che l’accezione di induzione patrocinata può produrre ai danni dell’extraneus
indotto a pagare senza alcuna prospettiva di vantaggio personale. La pronuncia
concerne la condotta – prima qualificata come concussiva, e poi riqualificata in sede di
legittimità come induzione abusiva alla luce dello ius superveniens – di un dipendente
di un’azienda di gestione dell’acquedotto comunale, addetto al controllo della
fatturazione delle bollette di pagamento e alla ricezione dei reclami, il quale,
approfittandosi dello stato di difficoltà di una utente, che aveva ricevuto una bolletta
particolarmente esosa, aveva richiesto una somma indebita per modificare l’importo.
Tale pretesa era stata accettata, ma prontamente denunciata dalla donna alla polizia,
effettivamente intervenuta al momento della consegna del denaro.
11922, rv. 254797. Solo una prospettazione talmente generica da privarla di qualsiasi valenza minatoria,
può escludere quel minimum di concretezza e serietà indispensabile per poter parlare di “minaccia”
nell’ottica del diritto penale.
87 Cfr. F. VIGANÒ, La Cassazione torna sulla distinzione tra concussione e induzione indebita, in questa Rivista, 28
febbraio 2013.
88 Cass., sez. VI, 15 marzo 2013, n. 12373, Mariotti, inedita.
89 Cass., sez. VI, 8 aprile 2013, n. 16154, Pierri, rv. 254539.
22
Quale sarebbe stata, però, la sorte dell’extraneus ove gli stessi fatti fossero
avvenuti dopo l’entrata in vigore della l. 190/2012? La Corte, percependo che
l’interpretazione proposta rischia di tradursi in una sorta di dazio da pagare sull’altare
della continuità normativa tra le fattispecie90, affronta tale quesito con un ampio obiter
dictum, in cui l’estro creativo probabilmente è spinto oltre i limiti di quanto consentito
dal principio di legalità91. Così, dopo una discettazione sul possibile ruolo della
“riserva mentale” per attenuare o addirittura escludere la responsabilità del privato, si
giunge ad azzardare – pur a fronte di un reato per sua natura consumato già con la
promessa – “il ricorso agli istituti della desistenza o del recesso attivo i quali
potrebbero operare non soltanto nell’ipotesi di tentativo, ma anche là dove alla
promessa, che di per sé sola perfeziona il reato, faccia seguito la dazione e prima che
tale ultimo evento si verifichi”92. Sembra che quasi si punti a stabilire, per via
interpretativa, una causa di non punibilità sopravvenuta, allo stato ignota al nostro
sistema penale.
ii) Un’altra illogicità cui rischia di condurre la concezione in oggetto, come
rivelato sempre dalla prima casistica, concerne la diversificazione del trattamento
dell’extraneus in situazioni sostanzialmente assimilabili.
Si consideri la questione del corretto incasellamento giuridico delle situazioni in
cui il p.u. “minaccia” un danno giusto, derivante da un atto vincolato nell’an e nel
contenuto. Sotto questo profilo, nella sentenza Pierri, in polemica con l’orientamento
Roscia (infra, § 6), si afferma perentoriamente che “l’abuso […] non può essere – almeno
come fenomeno immanente e comunque quale dato di designazione – identificato nella
«indebita richiesta, rivolta dal pubblico ufficiale al privato, di denaro o altra utilità per
evitare conseguenze dannose»” (derivanti dalla applicazione della legge).
Così opinando, però, si trascura che proprio la passata giurisprudenza, di cui si
predica come ineludibile un recepimento pedissequo, sussumeva costantemente anche
simili comportamenti nel tipo della concussione. L’abuso, quale atto che sorregge la
richiesta contra ius, era ravvisato, in questi casi, proprio nella strumentalizzazione di
“un atto formalmente legittimo” o “dell’esercizio di un potere in sé legittimo” per
ottenere utilità illecite93: a) un atto d’ufficio doveroso, come, ad es., la denuncia di un
reato effettivamente commesso94 o un arresto in flagranza da parte della polizia
giudiziaria, un verbale di accertamento di infrazione stradale ad opera di un agente
della polizia stradale95 o di vendita abusiva di merci da parte di un vigile urbano96, un
Dazio che altre pronunce, come vedremo, non reputano neppure ineluttabile per poter affermare tale
continuità.
91 Per analoghe chiose v. S. SEMINARA [nota 72], 31.
92 V., invece, C. BENUSSI [nota 8], 887, secondo cui “nel caso di riserva mentale del privato che non intende
poi mantenere la promessa, questa sarà irrilevante”.
93 Cass., sez. VI, 16 marzo 2011, n. 10792, rv. 249589, in motiv.; Id., 22 dicembre 2010, n. 45034, rv. 201079;
Cass., sez. II, 16 ottobre 2007 n. 45993, rv. 239323; Cass., sez. VI, 9 marzo 1984, Avalle, in Giust. pen., 1985,
II, 26; Id., 11 gennaio 1984, Belmonte, ivi, 1984, III, 268.
94 Cass., sez. VI, 28 aprile 1988, Cataldo, in Cass. pen., 1990, I, 842; Id., 17 aprile 1985, n. 9965, ivi, 1987, 280;
Id., 10 aprile 1989, n. 5002, rv. 180986; Id., 1 luglio 1980, n. 8263, in Dejure Giuffrè.
95 Cass., sez. VI, 14 marzo 2013, n. 11887, inedita.
90
23
verbale di contravvenzione per violazione della normativa antinfortunistica che un
agente della polizia municipale si trovi a dover redigere97, ecc.; b) un atto discrezionale
di per sé non illecito, come una verifica ispettiva giuslavoristica98 o tributaria99, un
controllo di polizia100, et similia; persino 3) atti rientranti nelle prerogative proprie di
organi elettivi, come, ad es., un’interrogazione consiliare regionale101, ecc.
Va, altresì, notato che, in vicende analizzate da altre recenti sentenze, rispetto
alle quali si è giudicata appropriata la catalogazione nell’induzione, l’abuso del p.u.
appariva ancor meno pregnante della prospettazione per fini illeciti di un pregiudizio
conforme al diritto. Esso, infatti, si sostanziava, essenzialmente, nello sfruttamento di
una situazione di difficoltà e turbamento psichico in cui il privato già versava prima
del contatto con il p.a.
Così, nella vicenda trattata dalla succitata sentenza Pierri, l’abuso sembra esaurirsi
nell’approfittamento dello stato di “difficoltà e soggezione” in cui versava l’utente a
causa dell’ulteriore esosa richiesta di pagamento ricevuta dall’ente di appartenenza. Non
si tratta di uno scenario così diverso da quello in cui viene a trovarsi un soggetto a cui sia
prospettato, ad es., l’esito fortemente negativo (ma fondato) di una verifica fiscale,
l’elevazione di un verbale di infrazione amministrativa di importo elevato, un arresto
legittimo. Anche in queste ultime ipotesi, infatti, il p.a. approfitta dello stato di disagio
della vittima, cioè della situazione di pericolo che lo stesso extraneus ha colpevolmente
innescato compiendo l’illecito, con la differenza, però, che la parte pubblica non si limita
a sfruttare tale pericolo, ma contribuisce direttamente ad attualizzarlo, prospettando
l’applicazione pregiudizievole della legge.
5.2. Intensità della pressione rapportata all’effetto psichico.
Il sottoindirizzo che attribuisce preminente risalto al reale impatto della
condotta abusiva del p.u. sulla psiche del privato rappresenta, a nostro avviso, lo
sviluppo più conseguente dell’approccio quantitativo e quello più coerente con la
concezione della costrizione quale pressione psichica alla quale per il privato è
sostanzialmente impossibile resistere.
Cfr. Cass., sez. VI, 20 ottobre 2000, n. 10792, in Guida al dir., 2001, Dossier/2, 122.
Cass., sez. VI, 18 maggio 2011, n. 40898, in Dejure Giuffrè, secondo cui a concretare in questi casi l’abuso è
la “deviazione dell’esercizio del potere dalla sua causa tipica verso un obiettivo diverso ed estraneo agli
interessi della Pubblica Amministrazione”.
98 Cass., sez. VI, 11 giugno 2009, n. 24251, rv. 244354.
99 Cass., sez. VI, 5 agosto 2011, n. 31341, rv. 250533 (minaccia di un brigadiere della Guardia di Finanza di
fare eseguire una verifica fiscale, per ottenere la restituzione di una somma da parte di un albergatore);
Cass., sez. I, 8 agosto 1986, n. 2700, rv. 173516.
100 Cass., sez. VI, 25 luglio 2006, n. 25887, rv. 234999.
101 In questo senso anche la sentenza Lonardo (Cass., Sez. VI, 19 giugno 2008, n. 33843, rv. 240794), citata
dalla sentenza Nardi, nella quale l’abuso è stato ravvisato “nella presentazione di un’interpellanza
consiliare regionale e nella gestione dei tempi di discussione finalizzati a far sì che il direttore generale di
un’azienda ospedaliera procedesse a nomine dettate da criteri di appartenenza politica”.
96
97
24
Gli arresti che hanno elaborato questo schema interpretativo sono la sentenza
Vaccaro102 e, poco dopo, la sentenza Bellini103, entrambe successive al dictum di Nardi.
La fattispecie concreta oggetto della pronuncia Vaccaro riguarda l’abuso perpetrato da
due funzionari addetti all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Palermo, i quali
avevano indotto un imprenditore agricolo a promettere indebitamente una somma di
denaro al fine di ottenere un contributo comunitario per favorire i metodi di agricoltura
e di allevamento a regime biologico. Il privato, avvedutosi della singolarità della
richiesta, si confrontava con il suo tecnico che gli consigliava di rivolgersi alla polizia. I
fatti di concussione per i quali i due pubblici agenti erano stati condannati nel giudizio
di merito sono stati riqualificati come induzione indebita alla luce dello ius superveniens,
in quanto “la richiesta di tangente formulata dagli imputati in relazione a un
accertamento tecnico che essi stavano compiendo, non implicava alcuno stato di
costrizione del medesimo, potendo bene egli attendere l’esito della verifica e assumere
le eventuali iniziative a tutela dei suoi diritti; prova ne sia che ebbe modo di
consigliarsi con il tecnico di fiducia e di rivolgersi alle forze di polizia”.
Nella cornice fattuale di cui all’arresto Bellini, invece, i dipendenti dell’obitorio di un
ospedale avevano richiesto somme indebite a rappresentanti di ditte di onoranze
funebri, prospettando, in difetto, condotte ostruzionistiche; questi fatti, nella vigenza
della precedente formulazione dell’art. 317 del c.p., erano sfociati nella contestazione di
una concussione meramente induttiva; alla luce del nuovo enunciato normativo, la
Cassazione ha, anche in questo caso, riqualificato il fatto alla stregua dell’art. 319-quater
c.p., essendo emerso che i destinatari delle pretese illecite non risultavano in stato di
costrizione (inteso come condizionamento particolarmente intenso della libertà di
autodeterminazione), tanto che avrebbero potuto rivolgersi all’amministrazione
ospedaliera per richiedere il tempestivo assolvimento delle mansioni da parte degli
operatori che l’indebita richiesta avevano formulato.
Cerchiamo, anche in questo caso, di ripercorrere gli snodi argomentativi più
salienti della corrente di pensiero in esame.
(a) Oltre ad escludere la bilateralità della nuova fattispecie incriminatrice di
induzione, secondo una ricostruzione finora rimasta minoritaria nella giurisprudenza
di legittimità104, le sentenze in discorso partono dal condivisibile assunto secondo cui
una pressione intimidatoria, con conseguente metus publicae potestatis dell’extraneus,
è essenziale tanto alla concussione quanto all’induzione105. In entrambi i casi v’è la
rappresentazione di un pregiudizio (danno o perdita di un vantaggio) da parte del
privato, quale conseguenza della mancata adesione alla pretesa illecita106.
(b) Il discrimine tra le due condotte è fondato sull’entità dell’effetto prodotto
nella psiche del privato, più che sulle note – strutturali o espressive – dell’abuso. La
Cass., sez. VI, 15 aprile 2013, n. 17285, Vaccaro, rv. 254620.
Cass., sez. VI, 30 aprile 2013, n. 18968, Bellini, rv. 255072.
104 La dottrina, invece, è praticamente divisa a metà: per la distinzione tra due fattispecie normativamente
monosoggettive (induzione abusiva e dazione/promessa indotta), v., ad es., S. SEMINARA [nota 72], 25; per
il concorso necessario v., tra gli altri, A. MANNA [nota 16], 26; M. ROMANO [nota 1], 234.
105 Similmente in dottrina, su questo specifico profilo, F. PALAZZO [nota 52], 20, secondo cui il metus è
rimasto il criterio sostanziale di differenziazione tra la nuova induzione e la corruzione.
106 Anche nell’induzione, infatti, “il soggetto pubblico [si avvale] del – e il privato sub[isce] il – metus
publicae potestatis”.
102
103
25
condotta costrittiva tipica della concussione (o dell’estorsione aggravata di cui agli artt.
629 e 61, n. 9, c.p., nel caso di un i.p.s.) consiste in una “coazione psichica che, pur non
eliminandola del tutto, condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione del
soggetto passivo”. Diversamente, l’induzione di cui all’art. 319-quater c.p. “è integrata
da un’attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da
un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nei confronti del privato,
che, avvertibile come illecita da quest’ultimo, non ne condiziona, però, gravemente la
libertà di autodeterminazione, rendendo a lui possibile di non accedere alla pretesa
del soggetto pubblico”.
Questo, pertanto, sarebbe il fondamento e il limite del dovere di resistere del
privato alle pressioni induttive del p.a.: l’effettiva possibilità di tenere, nella
situazione viziata dall’abuso, un comportamento diverso da quello posto in essere, al
fine di scongiurare il male dipendente dalla volontà del soggetto pubblico. La
proiezione psichica di tale impossibilità rappresenta, pertanto, il Sinn della costrizione,
quale sollecitazione emotiva irresistibile per chi la subisce. Non è coazione “assoluta”,
come tiene a puntualizzare la Cassazione, ma vi si approssima molto107.
(c) Ancor più del dictum relativo alla fattispecie concreta sub iudice, a rivelare la
cifra distintiva di questo approccio è l’esemplificazione fornita. Si chiarisce, infatti,
che, per distinguere tra costrizione e induzione è indifferente che il male prospettato
dal p.a. “sia o meno conforme all’ordinamento giuridico”; realmente discriminante,
invece, sarebbe l’effettivo grado di condizionamento della libertà del soggetto passivo,
da cui dipende la concreta possibilità di resistere all’impulso ricevuto nelle circostanze
concrete.
“Ad esempio, il prospettare da parte di un organo di polizia il (legittimo) sequestro di
un veicolo per una violazione che ciò implichi, nel corso di un lungo viaggio che il
conducente sta compiendo lontano da casa, ove non sia corrisposta da questo una
somma di denaro, integra verosimilmente, nella generalità dei casi, una costrizione; ma il
far leva su un divieto di sosta in zona urbana, per condizionare al pagamento di una
mancia la omessa elevazione dell’accertamento della violazione amministrativa,
altrettanto verosimilmente non la integra, rimanendo tale condotta confinata nella
ipotesi induttiva. Parimenti, integrerebbero una costrizione o una semplice induzione,
sull’opposto versante del danno ingiusto, gli stessi esempi sopra accennati qualora la
violazione amministrativa fosse palesemente un pretesto addotto dal pubblico ufficiale
in una situazione di pacifica conformità alle norme sulla circolazione stradale”.
In dottrina, per una lettura che coglie l’ubi consistam della concussione nella coazione psichica
“assoluta” e quello della nuova induzione nella coazione “relativa”, v. G. BALBI [nota 7], 11; G. AMATO, La
riforma della concussione: gli effetti sulla responsabilità dell’ente, in La resp. amm. soc. enti, 2013, n. 1, 36. Invece,
esprimendo il punto di vista sinora prevalente in dottrina, D. PULITANÒ [nota 16], 12, osserva che “il
campo della concussione è ancora all’interno delle modalità di coazione relativa, sia pure come territorio
estremo e assai più fortemente caratterizzato”; conf. P. SEVERINO, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen.
proc., 2013, 10, secondo cui tutte le condotte di coazione psicologica (assoluta o relativa) vanno considerate
“costrittive” ai sensi dell’art. 317 c.p., mentre il nuovo art. 319-quater c.p. ingloberebbe le ipotesi di mero
condizionamento del privato.
107
26
5.2.1. Valutazione.
Anche sull’appropriatezza di tale impostazione è lecito nutrire seri dubbi.
(1) Com’è evidente, il profilo cruciale sta nell’individuazione dei parametri in
base ai quali appurare il risultato psichico108 tipico della fattispecie concussiva, cioè
l’evento intermedio consistente nel “condizionamento grave della libertà di
autodeterminazione”109. Questa operazione è impervia, in quanto il codice non
fornisce alcuna indicazione in sede di tipizzazione delle fattispecie di concussione e di
induzione, fatta eccezione della prevista punibilità del privato unicamente nel secondo
caso.
Ebbene, a noi sembra che l’indirizzo in discorso, al fine di colmare
l’indeterminatezza del dato legale, abbia optato per una nozione di “grave
condizionamento della libertà di autodeterminazione” eccessivamente caratterizzata
in senso psicologico-naturalistico. Esso, infatti, è concepito come esposizione ad una
sollecitazione emotiva sostanzialmente avvertita come irresistibile dal metus patiens, a
causa della impossibilità di agire diversamente per sottrarsi alla seria prospettiva di un
male imminente. Parrebbe essere questo il caso, per fare un esempio, di chi paghi un
funzionario per ottenere un documento personale che gli è indispensabile per
partecipare ad un concorso per lui molto importante, i cui termini siano in scadenza110.
I parametri ritenuti risolutivi per affermare una costrizione sembrano, così,
l’incombenza del danno minacciato e l’inevitabilità altrimenti del pericolo; ciascuno
dei quali inteso in modo particolarmente rigoroso.
Non è chiaro, invece, dalle argomentazioni sviluppate e dagli esempi forniti, se
si intenda attribuire un peso altrettanto significativo all’entità del danno minacciato, al
di là di quel minimum di serietà sempre indispensabile per poter far presa sul
destinatario. Se così fosse111, entrerebbero in gioco fattori esposti a valutazioni ancor
più opinabili, come la condizione economica del privato (ad es. una contravvenzione di
200 euro per una violazione al c.d.s. in zona urbana può risultare particolarmente
onerosa per un pensionato che viva con una modesta pensione, e un esborso assai
meno impegnativo per persone con redditi consistenti).
Ad ogni modo, lo si ribadisce, questa impostazione rischia di sfociare in una
sorta di ‘deriva psicologizzante’ dei concetti di costrizione ed induzione, con possibili
distorsioni applicative sia in eccesso che in difetto, a seconda dei casi.
In generale, sui fatti psichici, la causalità psichica e i risultati psichici, nonché i problemi probatori che il
loro accertamento reca con sé, v. il volume a cura di G. DE FRANCESCO - C. PIEMONTESE - E. VENAFRO, La
prova dei fatti psichici, Torino, 2010.
109 Da questo evento, poi, passando per la decisione di agire nel senso voluto dal p.a. (una decisione è
comunque necessaria nei casi di coazione relativa), deriva l’evento finale della promessa o dazione
indebita.
110 L’esempio è tratto da M. ROMANO [nota 1], 240.
111 E’ lecito nutrire un dubbio sul punto, giacché dalle argomentazioni addotte per risolvere i casi sub
iudice, l’accento sembra posto sugli altri due parametri appena indicati.
108
27
In realtà lo “stato di costrizione” non va concepito come nozione puramente
descrittivo-naturalistica, giacché nel caso di specie non è solo questione di stabilire
quando un soggetto possa dirsi psicologicamente “costretto” a fare qualcosa, secondo
le “leggi psicologiche” e le massime di esperienza pertinenti. Ovviamente anche una
simile verifica è doverosa, siccome necessita dimostrare il “duplice evento psichico –
soggezione del destinatario della costrizione, con conseguente effetto motivante della
dazione o della promessa indebita – [….] come conseguenza dell’attività del pubblico
ufficiale”112. Ma che non sia in ballo un concetto squisitamente naturalistico, e quindi
una verifica puramente “soggettivizzante” del grado di pressione morale113, è
dimostrato proprio dalla circostanza che il significato dell’espressione “costrizione”
può variare nelle diverse disposizioni penali, o nei diversi contesti settoriali in cui è
impiegata.
(2) Così, anche la “costrizione” ex art. 317 c.p. rappresenta un concetto
normativo: il contenuto naturalistico di base va “tarato” in funzione delle esigenze
ordinamentali di riferimento114. Siccome quasi mai manca del tutto la possibilità di
comportarsi diversamente (siamo, pur sempre, nel campo della coazione relativa), il
punto è stabilire quando possa pretendersi dal privato un agire diverso, anche a costo –
o con il rischio – di subire una conseguenza negativa prospettata dal p.a. Nel concetto
di costrizione, quindi, si riflette un giudizio di inesigibilità anticipato al piano della
tipicità, la cui estensione, però, è governata da criteri regolativi di tipo giuridico.
Questi, nel silenzio della disposizione codicistica, vanno ricavati dal sistema, e
segnatamente dai principi fondamentali del diritto penale (soprattutto, colpevolezza,
finalità costituzionali della pena, proporzione-ragionevolezza: artt. 3 e 27 Cost.115) e,
nella materia oggetto di specifico interesse in questa sede, dai principi e valori che
Così, istruttivamente, C. BENUSSI [nota 8], 531. Sul rapporto causale intercorrente tra abuso e
costrizione/induzione, v. anche R. RAMPIONI, in Fiorella (a cura di), Questioni fondamentali della parte speciale
del diritto penale, Torino, 2012, 756. Per un modello di accertamento generalizzante delle interazioni
psichiche, mediante il ricorso a massime di esperienza, v. F. CINGARI, Repressione e prevenzione della
corruzione pubblica. Verso un modello di contrasto “integrato”, Torino, 2012, 128-134.
113 Condivisibile, quindi, quanto affermato nella sentenza Melfi e nell’ordinanza di rimessione alle SS.UU.
(infra § 7).
114 Un approccio normativo è seguito da una parte della dottrina anche per distinguere tra diversi tipi di
costrizione (assoluta e relativa). In proposito, v. da ultimo, con particolare riferimento all’art. 610 c.p., A.
NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, Torino, 2012, 93 ss. Secondo l’acuta tesi normativo-decisionale
avanzata dall’A. “si ha costrizione quando la decisione è resa impossibile di fatto o quando una possibilità
ad essa sottesa non può essere presa in considerazione secondo un modello di attore razionale”; di qui
“l’ingiustizia della situazione in cui è posta la vittima” (p. 97, 99). Prima della recente riforma, un simile
parametro di misurazione della costrizione ("la decisione impossibile o irrazionale") ben si adattava,
verosimilmente, anche alla concussione (come notato dall’A.: “allora non è decisivo il vantaggio o il danno
derivante all’extraneus: piuttosto, occorrerà guardare alla razionale sostenibilità delle conseguenze cui ci si
espone in caso di non accondiscendenza alla pretesa del pubblico ufficiale”). Nell’attuale regime
normativo, però, accade che il privato “indotto” sia punibile anche quando la scelta di non piegarsi alla
richiesta del p.a. possa risultare obiettivamente irrazionale.
115 Cfr. in ordine ai parametri costituzionali rilevanti per la soluzione della questione interpretativa in
argomento anche S. VINCIGUERRA, La riforma della concussione, in Giur it., 2012, 2689; V. VALENTINI [nota 67],
9.
112
28
informano i doveri dei titolari di pubblici poteri e i loro rapporti con i cittadini, in
uno Stato sociale e democratico di diritto quale è quello disegnato dalla nostra
Costituzione (spec. artt. 54, 97, 98 Cost.).
Va subito escluso, però, che i criteri in discorso possano essere analogicamente mutuati
dalla disciplina della scusante generale di cui all’art. 54, comma 3, c.p. (coazione
psichica). Basti considerare che nelle concussioni il privato erogante utilità indebite è,
nella maggior parte dei casi, esposto al pericolo di danni patrimoniali e non di “danni
gravi alla persona”; di norma, quindi, si tratta di bilanciare la tutela dei suoi interessi
economico-patrimoniali con quella dei valori costituzionali del buon andamento e della
imparzialità della pubblica amministrazione. Ma, a ben vedere, è proprio per la
specificità dei rapporti tra cittadino e autorità che il problema dei limiti della non
punibilità delle prestazioni indebite, effettuate in conseguenza di condotte abusive di
pubblici agenti, è affrontato dal nostro legislatore già in sede di tipizzazione astratta
delle condotte vietate, anziché attraverso esimenti di portata generale.
Ebbene, a noi pare che i coefficienti normativi veramente dirimenti per
affermare l’esistenza di uno “stato di costrizione” ex art. 317 c.p. siano l’antigiuridicità
del danno preannunziato dal bribe receiver e l’estraneità del vantaggio indebito alla
sfera delle determinanti motivazionali della prestazione illecita. Gli elementi
qualitativi in esame si ricavano, in prima battuta, dalla condotta volontariamente posta
in essere dal p.a.; entrambi, però, devono trovare corrispondenza nella sfera psichica
del privato116.
In particolare, il primo elemento (danno ingiusto) specifica le modalità di
aggressione tipiche della concussione, chiarendo altresì che la libertà di
autodeterminazione del privato è tutelata solo da interferenze della pubblica autorità
che non siano del tutto conformi all’ordinamento. Il secondo (vantaggio indebito)
connota in negativo l’effetto psichico della condotta costrittiva, delucidando che
l’extraneus non può essere ritenuto persona offesa dalla condotta abusiva del p.u.,
quindi soggetto “coartato psicologicamente” agli effetti dell’art. 317 c.p.117, quando,
nonostante l’abuso subito, abbia versato l’indebito in vista del conseguimento di più o
meno determinati vantaggi indebiti. In quest’ultimo caso, infatti, egli finirebbe per
concorrere, volutamente e per un proprio tornaconto, alla messa in pericolo dei beni
del buon andamento e dell’imparzialità.
La spiegazione ci sembra abbastanza evidente, ragionando alla luce dei valori e
dei principi del sistema penale.
Non si vede, infatti, perché la collettività debba “solidarizzare”, concedendogli
piena immunità penale, con chi, ad es., paghi un p.u. per evitare una sanzione che gli
spetta, a causa di un illecito in cui è incorso, solo perché abbia avvertito come
soverchiante la pressione del soggetto pubblico: si pensi proprio all’esempio
dell’automobilista che nel corso di un lungo viaggio, lontano dal proprio domicilio,
V., per alcune puntualizzazioni sulla portata di questi due criteri, il § 8.
Nel senso che il processo motivazionale del privato sia il dato realmente decisivo nell’esegesi della
fattispecie di cui all’art. 317 c.p., v., prima della riforma, G. CONTENTO [nota 1], 498 ss.
116
117
29
commetta un’infrazione che comporta l’immediato sequestro del veicolo. In questo
caso egli deve ex lege subire il danno prospettato dal p.u. e pertanto merita un
rimprovero penale ove cerchi di sottrarvisi con mezzi illeciti, benché di grado inferiore
rispetto a chi abbia concertato paritariamente con un p.a. Allo stesso modo, è ben
possibile che un imprenditore in gravi difficoltà economiche possa sentirsi
intimamente “costretto” ad accettare le condizioni dettate da un p.u., pur di ottenere
un lucroso contratto di appalto di cui ha disperato bisogno per tirare avanti con la
propria azienda; ma il punto di vista dell’ordinamento sarà inevitabilmente diverso
qualora egli ottenga, mediante il pagamento corrotto, un trattamento illecitamente
preferenziale. Le difficoltà economiche di un individuo possono rendere meno
riprovevole la sua condotta illecita, come insegnò FRANK nel mettere a punto la
concezione normativa della colpevolezza118; ma non possono trasformare in vittima chi
abbia accettato di scendere a patti con un p.a. spregiudicato, pur di ottenere un
vantaggio indebito.
Diversamente, la società può tollerare pagamenti indebiti motivati soltanto
dalla necessità di evitare un danno ingiusto minacciato da un p.u., in assenza di
qualsiasi fine determinante di vantaggio indebito (eccetto, ovviamente, il caso in cui il
male minacciato sovrasti in modo così vistoso un eventuale vantaggio alternativamente
prospettato, da renderlo ininfluente sul piano psichico: infra § 8). Se la decisione di
“pagare” è stata assunta solo per scongiurare un danno contra ius, il privato merita di
essere considerato soggetto passivo anche se disponeva di alternative per così dire più
“virtuose”, le quali, però, sono quasi sempre più “costose”, economicamente e
umanamente, oltre che dalle conseguenze nient’affatto scontate. Difatti, attendere
l’esito negativo di un procedimento “e assumere le eventuali iniziative a tutela dei
[propri] diritti”, oppure denunciare la richiesta indebitamente ricevuta all’autorità, non
costituiscono mezzi impeditivi di un danno minacciato, ma rimedi giuridici ad un
danno ingiusto già subito, quello insito nell’adozione di un atto illegittimo sfavorevole
o nell’omissione di un atto ampliativo dovuto. La stessa possibilità di rivolgersi ad un
superiore gerarchico del dipendente infedele, spesso, è più teorica che reale. Pertanto,
uno Stato che intenda dare il giusto valore alle ragioni degli individui che entrino in
contatto con l’amministrazione pubblica, non può scaricare su di loro le sue più gravi
disfunzioni, quelle consistenti nelle condotte prevaricatorie perpetrate, per scopi
meramente egoistici, da organi e rappresentanti infedeli in violazione del dovere di
adempiere “con disciplina ed onore” alle funzioni pubbliche loro affidate (art. 54
Cost.).
Al lume di queste considerazioni, a noi sembra che l’esito decisorio della sentenza
Bellini possa anche essere condiviso, ma sulla base di argomentazioni diverse. Infatti,
alla luce della ricostruzione “in fatto” operata dalla sentenza de qua, a favore
Ci riferiamo, evidentemente, ai celebri esempi del ‘cassiere’ e del ‘portavalori’ responsabili di
appropriazione indebita, fatti da R. FRANK, Über den Aufbau des Schuldbegriffs, 1907, rist. Berlin, 2009, 4.
Nella recente dottrina, v. anche C. BENUSSI [nota 8], 524, circa l’impossibilità che il privato possa invocare
la sua difficile situazione economica per sottrarsi alla punibilità.
118
30
dell’inquadramento nella fattispecie induttiva deponeva, più che l’asserita possibilità dei
dipendenti delle ditte di onoranze funebri di rivolgersi all’amministrazione ospedaliera,
per aggirare l’ostruzionismo degli addetti all’obitorio ospedaliero, la circostanza che essi
avevano in realtà instaurato con costoro un più articolato rapporto improntato al
comune raggiungimento di benefici indebiti, che nei riguardi delle imprese coinvolte si
sostanziavano in un trattamento preferenziale comprensivo anche dell’inoltro di clienti.
Nella vicenda di cui alla sentenza Vaccaro, invece, maggiore attenzione avrebbe
meritato l’eventuale fondatezza dell’aspettativa del privato all’ottenimento del
contributo comunitario (dato cui non è stato riconosciuto alcun peso, sin dai giudizi di
merito, avutisi però sotto una diversa disciplina): in caso affermativo, infatti, il pubblico
ufficiale, nel condizionare l’esito positivo dell’istanza ad una dazione non dovuta,
avrebbe indubbiamente minacciato un danno ingiusto secondo il paradigma tipico della
concussione; in caso contrario, egli avrebbe condizionato un vantaggio contra ius
all’utilità indebita119.
5.3. Considerazioni di sintesi sui due sottoindirizzi informati al criterio dell’intensità della
pressione.
Proviamo a tirare le file delle considerazioni sin qui svolte in merito ad
entrambe le varianti del primo indirizzo. Il criterio di divisione tra concussione e
induzione imperniato esclusivamente sull’intensità della pressione esercitata sul
privato dal p.a., nonostante il pregio dell’esaustività, la raffinatezza delle
argomentazioni addotte e la capacità di assecondare una certa naturale propensione
del giurista a perpetuare l’interpretazione più familiare di certi concetti, manifesta
alcuni limiti sovrastanti che ne minano la validità:
- l’ambiguità, attestata proprio dall’emersione di due sotto-indirizzi, dagli esiti
applicativi non necessariamente speculari, quando invece un criterio divisorio, per
essere veramente fruibile, dovrebbe anzitutto risultare euristicamente chiaro; di qui
anche la scarsa determinatezza e conseguente inidoneità ad assicurare sostanziosi
progressi sul piano della tassatività della fattispecie;
la
proiezione
ermeneutica
interamente
retrospettiva,
insita
nell’appiattimento sulla giurisprudenza prevalente formatasi sull’originario art. 317
c.p., in un contesto normativo, però, che vedeva costrizione e induzione quali condotte
sostanzialmente fungibili sul piano giuridico;
- sul piano politico-criminale, l’incapacità di fondare razionalmente il diverso
trattamento del privato “indotto” rispetto a quello “costretto”120.
Scorrendo le motivazioni, sembrerebbe di capire che a rendere ancora più intricato il caso in questione
fosse la distonia tra il dolo delle due parti: l’imprenditore verosimilmente era convinto di star subendo
un’angheria e quindi riteneva legittima la propria richiesta (il suo stato psichico era quello del concusso);
lo stato mentale dei pubblici agenti, invece, era probabilmente quello tipico dell’induttore, giacché essi,
pur convinti della fondatezza dei propri rilievi, avevano voluto strumentalizzarli per ottenere un
pagamento illecito. Circa la possibilità di ravvisare, in relazione ad una medesima situazione, ad es., una
concussione per il p.a. e una corruzione per il privato, in ragione del loro diverso atteggiamento
psicologico, v. S. SEMINARA [nota 72], 23.
120 Cfr. A. SPENA [nota 16], 15.
119
31
Quest’ultimo, probabilmente, è il difetto più vistoso. Le modalità espressive
dell’abuso, ex se, non rappresentano un indice decisivo, e neppure tra i più
rappresentativi, della meritevolezza di pena del privato. Attribuire un’eccesiva enfasi a
questo profilo della condotta abusiva può rivelarsi fuorviante negli hard cases che la
prassi non di rado prospetta, conducendo a qualificare come induttive, solo perché
espresse in forma più blanda, velatamente allusiva, involuta o fintamente cortese e
conciliante, anche condotte che, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto,
siano invece univocamente interpretabili come ingiustamente minatorie121.
Dall’altro lato, la concezione naturalistico-psicologizzante della “costrizione”,
ravvisata nell’impossibilità di evitare altrimenti il danno prospettato dal p.a., trascura
del tutto i coefficienti normativi di un giudizio di inesigibilità (o non rimproverabilità)
rilevante per il diritto penale, tra cui in particolare l’antigiuridicità del danno
minacciato dal p.a. e l’assenza di un fine co-determinante di indebito vantaggio nel
privato.
In quest’ottica, la punizione della parte esterna all’amministrazione, nella
cornice del nuovo reato di induzione, più che a incentivare – in una prospettiva
eticizzante – una resistenza attiva contro abusi non costrittivi, mira a disincentivare
forme di sfruttamento opportunistico della relazione inquinata dall’abuso della
controparte pubblica.
Quindi, ad eccezione di tassativi obblighi di denuncia penale, nessun dovere
penale di non collaborazione potrà essere congetturato, in uno Stato democratico di
diritto, a carico di cittadini ingiustamente prevaricati dai detentori di pubblici poteri o
qualità. Una simile pretesa finirebbe per trasformarli in una sorta di garanti
dell’imparzialità e del corretto funzionamento della pubblica amministrazione122; e
“spint[a] fino a questi limiti estremi, più che concezioni etiche e illiberali evoc[herebbe]
visioni impregnate di toni utopistici ma soprattutto ipocriti”123. Allo stesso modo, di
norma, non può bastare a tramutare una vittima in correo l’ipotetica disponibilità di
alternative, magari più confacenti agli interessi pubblici coinvolti, ma generalmente più
gravose e spesso solo teoriche per il privato che abbia ceduto ad una minaccia, esplicita
o implicita, di un p.a.
Al contrario, la tutela penale della libertà morale del privato, promittente o
erogante utilità indebite, può legittimamente cessare di fronte a spinte motivazionali
utilitaristiche, orientate cioè al perseguimento di benefici indebiti. La tenuta dei
E’ un dato ormai acquisito anche dalla giurisprudenza penale in tema di estorsione, quello secondo il
quale la minaccia estorsiva sia ravvisabile anche se assuma toni apparentemente morbidi e concilianti,
quando sia comunque in grado di incutere timore nella persona offesa in relazione a tutte le circostanze
del caso concreto e alla personalità dell’agente: ex plurimis, Cass., sez. II, 20 maggio 2010, n. 19724, Pistoiesi,
rv. 247117.
122 Ancora, acutamente, A. SPENA [nota 16], 16.
123 S. SEMINARA [nota 72], 31. In modo esemplare, osserva anche M. ROMANO [nota 1], 240 che “[…] se è
certo da lodare la tempra morale di chi, dopo aver tollerato suggestioni, allettamenti, velate allusioni a
possibili attese incompatibili con le sue legittime aspettative (se non ulteriori difficoltà future), rinunci ai
propri diritti, si ritiri in buon ordine e (magari) denunci il p.u., pare eccessivo che l’ordinamento sanzioni
con la reclusione il suo cedimento”.
121
32
principi penalistici non ne soffrirebbe, mentre anche intuitive esigenze di prevenzione
– generale e speciale – positiva sembrano qui reclamare l’inflizione di una pena124.
6. Secondo orientamento: il criterio ‘qualitativo-oggettivizzante’ della natura
giuridica del male prospettato dal pubblico agente.
Il secondo paradigma esplicativo, coniato dalla sentenza Roscia125, prende
apertamente le distanze dalla teoria dell’intensità della pressione, sin qui esaminata.
L’assunto da cui si procede è il seguente: tanto nella costrizione quanto
nell’induzione il p.a., mediante l’abuso della qualità o dei poteri, ricorre ad
un’intimidazione psicologica, e quindi alla leva della prospettazione di un male, per
influenzare la volontà del privato126. Sennonché, l’abuso, di per sé, proprio perché
“descritto normativamente secondo un paradigma assolutamente identico in entrambe
le fattispecie, non consente oggettivizzazioni tali da poter costituire, sul piano
quantitativo, momento di differenziazione tra concussione e induzione”127.
In quest’ordine di idee, il fundamentum divisionis escogitato non risiede nella
maggiore o minore intensità coercitiva della condotta abusiva dell’agente pubblico, ma
nel suo contenuto intrinseco e, segnatamente, in una sua precisa nota qualitativa: la
natura giuridica del danno prospettato – esplicitamente o implicitamente –
Una verità di cui sembra esservi traccia nella stessa sentenza Nardi, dove – evocando ancora il pensiero
di PULITANÒ [nota 16], 9 – si parla di “«slittamento» sistematico verso le ipotesi corruttive” della nuova
induzione, sebbene connotata dall’abuso e dalla conseguente assenza di “una parità tra due soggetti e una
volontà comune orientata al do ut des”. Va precisato, però, che nella visione di Pulitanò, nel caso
dell’induzione “la specifica offensività verso la controparte privata sta di regola nel farsi indebitamente
retribuire un atto legittimo”.
125 Cass., sez. VI, 22 gennaio 2013, n. 3251, Roscia, rv. 253936. A favore di questo orientamento, in dottrina,
v. R. GAROFOLI [nota 54], 8 ss.
126 Cfr., in particolare, quanto precisato in altre pronunce che si inscrivono nel filone inaugurato dalla
sentenza Roscia: Cass., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7495, Gori, rv. 254021: “[…] l’art. 319 quater c.p. suppone
parimenti un’intimidazione psicologica”; Id., 25 gennaio 2013, n. 13047, Piccinno, rv. 254466 e Id., 12 aprile
2013, n. 16566, Caboni: “la condotta di induzione rilevante ai fini dell’art. 319 quater c.p. deve essere
certamente caratterizzata da una condizione di metus publicae potestatis e da una forma di pressione
psicologica, ma la stessa [deve] essere più propriamente una forma di persuasione, di prospettazione della
convenienza del cedere alla richiesta del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio piuttosto che la
minaccia in senso tecnico (art. 612 cod. pen)”; Id., 17 aprile 2013, n. 17593, Marino, rv. 254622:
nell’induzione “è chiara la ratio dell’incriminazione di chi abbia subito il metus. Egli si è infatti risolto a
dare o a promettere l’utilità non soltanto in forza di quest’ultimo ma anche perché mirava ad evitare
conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’applicazione della legge”; Id., 18 aprile 2013, n. 17943,
Sammatrice, rv. 254730 e Id., 18 aprile 2013, n. 17944, Bonomo, inedita dove si parla di “pretesa
intimidatoria del soggetto agente”.
127 Già in prossimità dell’approvazione della l. 190, S. SEMINARA [nota 4], 1242 s. aveva notato come il
requisito dell’abuso, comune alle fattispecie di cui agli artt. 317 e 319-quater c.p., non consentisse
“gradazioni di tipo quantitativo, in grado di operare sulla tipicità oggettiva dei reati in esame”; e ad
analoghe conclusioni l’A. perveniva considerando l’abuso nei suoi effetti sulla psiche dell’extraneus; di qui
l’invito ad approfondire, piuttosto, il profilo concernente il “tipo di attività o di atto di ufficio in relazione
al quale si svolge la condotta induttiva”.
124
33
all’extraneus. Nel caso della costrizione il male è contra ius, cioè contrario “alla legge e
all’ordinamento generale o settoriale della pubblica amministrazione interessata dalla
condotta di abuso del pubblico ufficiale”; nell’induzione è secundum ius, cioè
“derivante dall’applicazione della legge”128 o, come puntualizzato in un’altra
pronuncia, “conforme alla legge e alla disciplina del peculiare settore amministrativo
d’interesse”129. Dal tipo di male prefigurato dal p.u. si evincono anche gli effetti
conseguenti nella psiche del privato, e quindi se questi abbia agito perché costretto, id
est senza alcun significativo margine di autodeterminazione, o semplicemente indotto,
vale a dire conservando la possibilità di trarre dal “cedimento” anche un vantaggio
personale.
Questo essendo il fulcro della teoria in esame, cerchiamo ora di ripercorrerne
sinteticamente le fondamentali direttrici argomentative e i profili problematici.
(i) La sentenza “capostipite” di tale indirizzo muove dalla considerazione della
netta alterità semantica tra costringere ed indurre, rivelata già dalla circostanza che il
primo “è verbo descrittivo di un’azione e del suo effetto, mentre indurre connota
soltanto l’effetto e non connota minimamente il modo in cui questo effetto venga
raggiunto”130.
(ii) Tanto premesso, si afferma, in via di definizione stipulativa, che la
costrizione di cui al riformulato art. 317 c.p. consiste nella condotta del p.u. che,
abusando della sua qualità o dei suoi poteri, minaccia, esplicitamente o
implicitamente, un danno ingiusto, recante alla vittima una lesione patrimoniale o
non patrimoniale, costituita da danno emergente o da lucro cessante, per ricevere
indebitamente la consegna o la promessa di denaro o di altra utilità131. Nella
costrizione, quindi, il p.u. prospetta un’oggettiva ingiustizia132; e può farlo anche
avvalendosi di condotte meramente persuasive o suggestive.
Quanto alla violenza fisica, che in rerum natura rappresenta l’altro basilare
strumento di pressione coercitiva, se ne esclude la rilevanza nel perimetro dell’art. 317
c.p., nella convinzione che essa sia assolutamente incompatibile con l’esercizio, sia pure
in forma di abuso, dei poteri dell’agente, potendo così dar luogo ad altri reati – tra cui
in particolare l’estorsione – aggravati dalla qualità rivestita133.
(iii) L’induzione ex art. 319-quater c.p., invece, quale fenomeno residuale,
comprendente tutto quello che si realizza senza la “costrizione”, si avrebbe quando, in
assenza di una minaccia in senso stretto, vengano indicate, da parte del p.u. o
Così, la sentenza Roscia [nota 125].
Cfr. la sentenza Sammatrice [nota 126].
130 Sentenza Roscia [nota 125].
131 Sentenza Roscia [nota 125]. Nello stesso senso le sentenze Piccinno e Marino [nota 126].
132 Cfr. Cass., sez. VI, 9 luglio 2013 n. 29338, Policastro, rv. 255615.
133 In senso analogo anche la sentenza Melfi, iniziatrice della terza corrente giurisprudenziale (infra § 7).
Nella sentenza Gori [nota 126], la S.C., al fine di escludere la rilevanza della violenza fisica sub art. 317 c.p.,
sembra persino vincolare la modalità attuativa della costrizione all’abuso di poteri: “La costrizione deve,
comunque, essere una condotta rientrante nel potere dell’agente (l’abuso è ancora una modalità di questo
potere)”.
128
129
34
dell’i.p.s., “conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della legge”134, per
ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità.
In ogni caso, proprio l’estromissione dal concetto di induzione di qualsiasi
minaccia in senso tecnico-giuridico giustificherebbe sia la minor pena edittale
comminata all’induttore (3/8 anni di reclusione) rispetto a quella riservata al
concussore (6/12 anni), sia la punizione di chi aderisce alla violazione della legge,
ricevendone un suo tornaconto135. In altre parole, in questo caso la pressione abusiva
lascia al privato “spazi di autonoma possibilità di determinazione orientati anche da
una valutazione del rapporto costo/beneficio personale”136. Sotto quest’ultimo profilo,
il fatto che l’extraneus, nonostante il comportamento prevaricatore del p.a., “possa
avere persino una convenienza economica dal cedere alle richieste del pubblico
ufficiale laddove costui ‘induca’ al pagamento quale alternativa alla adozione di atti
legittimi della amministrazione, dannosi per il privato”137, spiegherebbe l’innesto della
nuova fattispecie dopo l’art. 319-ter c.p. (anziché dopo l’art. 317-bis c.p.), e quindi
l’accostamento topografico alle fattispecie corruttive.
In definitiva, sebbene una significativa componente di intimidazione non sia
estranea neppure all’induzione, tale “tecnica” di pressione morale deve essere “più
propriamente una forma di persuasione, di prospettazione della convenienza del
cedere alla richiesta del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio piuttosto che
la minaccia in senso tecnico”138.
La punibilità del privato, in queste situazioni, si giustifica anche sul piano
dell’esigibilità e della rimproverabilità valutate in astratto139: “è esigibile che il privato
resista ad una tale pretesa, ancorché il complesso della situazione abbia fatto
ragionevolmente optare per un livello di sanzione inferiore a quella del soggetto
pubblico; ed è ‘rimproverabile’ il privato nel caso in cui abbia invece optato per cedere
alle richieste del pubblico ufficiale, senza però rischiare un danno ingiusto ma
ottenendone, comunque, un vantaggio”140.
6.1. Valutazione.
La locuzione in esame è quella che compare nel principio di diritto scolpito dalla sentenza Roscia, poi
confluito nella massima CED e testualmente ripreso da varie sentenze successive (tra cui Gori).
135 Sentenza Roscia [nota 125]. V. anche la sentenza Sammatrice [nota 126], secondo cui la punizione del
privato non è illogica quando diviene, per così dire, “beneficiario” dell’abuso, nel senso che “finisce – con
l’aderire alla pretesa intimidatoria del soggetto agente – per conseguire, in tutto o in parte ovvero in forma
diretta o indiretta, un suo personale beneficio o vantaggio”.
136 Sentenza Policastro [nota 132].
137 Sentenza Caboni [nota 126].
138 Sentenza Piccinno [nota 126], secondo cui, di conseguenza, nel nuovo contesto dell’art. 319-quater c.p.,
l’espressione “«indurre» torna ad avere il suo significato proprio, della lingua comune e, comunque,
dell’ordinamento penale, di «convincimento»”, in grado di spingere “il privato, senza reali spazi
«contrattuali» sull’an, alla prestazione illecita”.
139 Cfr. sentenza Piccinno [nota 126].
140 Sentenza Caboni [nota 126].
134
35
Così ripercorsi i punti qualificanti dell’approccio in esame, intendiamo
procedere anche in questo caso ad una disamina critica.
(1) Cominciamo dai profili più ragionevoli.
a) Appare, anzitutto, persuasiva la premessa metodologica sulla necessità di
non appiattirsi sugli indirizzi giurisprudenziali formatisi sotto il vigore del precedente
regime giuridico, i cui esiti sono giudicati, oltre che insicuri, anche poco significativi
nel nuovo quadro normativo, essendo sorti per risolvere problematiche diverse da
quella attuale. Il ‘modello dell’invarianza’, seguito da Nardi, è rigettato nella misura in
cui “con il mutamento di ruolo della persona offesa non è possibile affermare, alla luce
del dato apparente della medesima formulazione delle condotte, che è stata
semplicemente divisa la vecchia fattispecie di concussione in due autonomi reati per
distinguere le sanzioni solo in base alla presunta maggior gravità di una «costrizione»
rispetto ad una «induzione»”141.
b) Sempre sotto il profilo metodologico, è apprezzabile anche la sensibilità
garantistica sottesa alla ricerca di indici dotati di maggiore oggettività, al fine di
diversificare la gravità della pressione insita nella concussione costrittiva e nella
induzione; muovendo da queste premesse, il definiendum può assumere una più
consona e affidabile fisionomia normativa.
Almeno a prima vista, quindi, il pregio maggiore del criterio della “natura del
danno” sta nella chiarezza concettuale e geometrica linearità della suddivisione delle
condotte tipiche. In effetti, rispetto a quello imperniato sulla “diversa intensità
quantitativa della coazione”142, esso pare in grado di servire meglio le esigenze del
principio di tassatività/determinatezza, di fornire una più plausibile giustificazione
politico-criminale della punibilità dell’extraneus indotto, e di agevolare l’accertamento
processuale. Nell’insieme ciò potrebbe assicurare anche una maggiore prevedibilità
applicativa.
Il concorrente indirizzo viene criticato, anzitutto, per l’imprecisione 143: “ancorare la
punibilità di un soggetto ad un profilo così sfuggente, come la valenza coercitiva del
comportamento del pubblico ufficiale, di tale pregnanza da lasciare o meno una libertà
di scelta al destinatario della pretesa, implicando la necessità di scandagliare profili che
affondano le proprie radici nel più profondo enuclearsi delle dinamiche psicologiche
sfociate nell’azione, appare di difficile conciliabilità con esigenze di tassatività e
determinatezza della fattispecie penale”144. Dal punto di vista assiologico, inoltre, si
rileva che “punire chi si sia piegato alla minaccia, ancorché essa si sia presentata in
forma blanda, significa richiedere al soggetto virtù civiche ispirate a concezioni di stato
etico proprie di ordinamenti che si volgono verso concezioni antisolidaristiche e
Sentenza Piccinno [nota 126]. Sulla necessità di attribuire al concetto di induzione ex art. 319-quater c.p.
“un nuovo significato”, pur nella piena continuità con la vecchia concussione induttiva, anche S. SEMINARA
[nota 72], 31.
142 Con queste parole la sentenza Roscia scolpisce l’essenza dell’indirizzo avversato.
143 Sentenza Policastro [nota 132].
144 Sentenza Marino [nota 126].
141
36
illiberali”145. Sul piano dei principi costituzionali del diritto penale, una simile logica,
inoltre, entrerebbe in conflitto “con i lineamenti di un sistema di diritto sostanziale
ispirato ai canoni della rimproverabilità e della esigibilità” (sentenza Piccinno).
c) Sul piano definitorio, l’ancoraggio della costrizione alla minaccia di un
danno ingiusto è, del pari, pienamente condivisibile, se si prescinde da una forse
troppo sbrigativa espunzione della violenza fisica dal novero delle condotte
potenzialmente rilevanti nella cornice dell’art. 317 c.p.146.
d) Corretta, infine, è la puntualizzazione circa la rilevanza, entro il recinto della
concussione, anche di messaggi univocamente minacciosi veicolati in modo implicito o
indiretto; proprio a ribadire che realmente decisiva è la qualità della pressione, più che
le sue forme espressive.
Tale soluzione, come mette ben in luce questa giurisprudenza, è imposta anche da
esigenze di proporzione e di coerenza interna all’ordinamento penale: “se, infatti, la
«costrizione» non dovesse avere un ambito corrispondente alla «minaccia»
dell’estorsione e, quindi, nel concetto di «induzione» rientrassero anche (de)i casi di
minaccia in senso proprio, pur se caratterizzati da minor gravità, innanzitutto vi
sarebbero condotte che, se commesse dal pubblico ufficiale, sarebbero punite meno
gravemente che se commesse dall’incaricato di pubblico servizio. In ipotesi, per il primo
la minaccia lieve commessa con abuso di qualità/poteri al fine di ricevere un profitto
verrebbe punita ai sensi dell’art. 319 quater c.p. e, per il secondo, dall’art. 629 c.p. Inoltre,
e questa sarebbe una conseguenza ancor più anomala, il privato vedrebbe la propria
condotta in un caso valutata come di vittima di una estorsione e nell’altro di
responsabile del reato di cui all’art. 319 quater cod. pen.”147. Appare chiaro, invece, che
l’ambito di applicazione del reato di induzione indebita non può variare a seconda che
ne sia responsabile un p.u. o un i.p.s.148.
e) Passando ai casi applicativi, in diverse decisioni il “criterio del danno”
sembra aver condotto ad esiti applicativi corretti, con l’inquadramento nella riformata
concussione di condotte che ne rispecchiano i tratti costitutivi.
Così nel caso oggetto della sentenza Roscia, concernente due ipotesi di concussione
addebitate ad un sindaco: nel primo egli aveva preteso da un imprenditore il pagamento
di una somma pari a euro 100.000, sotto minaccia di un sistematico rinvio, da parte della
Commissione edilizia, della trattazione delle richieste di due permessi per costruire,
riguardanti due fabbricati nella disponibilità dell’imprenditore (minaccia espressa); nel
Sentenza Roscia [nota 125].
Infatti, anche la vis physica può essere strumento di coazione psicologica relativa. Pertanto, non può
escludersi del tutto la rilevanza, sub specie concussione, dell’uso di energia fisica, in particolare nei limitati
casi in cui il soggetto pubblico coinvolto sia legittimato ad esercitare poteri di coercizione fisica sulla
persona: il pensiero corre immediatamente agli appartenenti alle forze di polizia. Cfr. S. SEMINARA [nota
16], 390. Ante riforma, per la compatibilità tra violenza fisica e abuso concussivo di poteri, in un contesto di
vis compulsiva e non absoluta, v., ad es., A. PAGLIARO - M. PARODI GIUSINO [nota 31], 143 (in cui si fa
l’esempio del secondino che maltratta il detenuto per estorcere denaro ai familiari), 146 (sulla possibilità di
una violenza in forma di coazione psichica).
147 Sentenza Caboni [nota 126].
148 Sentenza Piccinno [nota 126].
145
146
37
secondo caso l’abuso di poteri si era concretizzato nel fare in modo che tutte le richieste
inoltrate dall’imprenditore al Comune fossero rigettate (condotta ostruzionistica), ed
altresì che un terreno di proprietà dello stesso fosse trasformato da edificabile in area
destinata ad attrezzature di pubblico servizio (comportamento concludente)149.
Del pari condivisibili sono le conclusioni della decisione Marino, in cui la Corte
regolatrice ha ritenuto applicabile l’art. 317 c.p. alla condotta di un pubblico ufficiale che,
abusando dei suoi poteri e della sua posizione, aveva incusso, attraverso una serie di
atteggiamenti ostruzionistici e velate minacce, in alcuni soggetti cui era stata
demandata l’attività di monitoraggio di una zona industriale, il timore di subire
illegittimamente ritardi e complicazioni nell’iter procedimentale relativo alla
caratterizzazione dei siti, qualora non avessero aderito alle sue, più o meno esplicite,
richieste (in particolare, la scelta di un laboratorio di fiducia del p.u. per le analisi dei
campioni). Il privato, in tal caso, mirava soltanto ad un corretto esercizio dei poteri
pubblicistici e non a locupletare un vantaggio contra ius.
Ancora, nel caso oggetto della sentenza Piacentini150, un agente di polizia urbana di un
Comune, al fine di omettere la verbalizzazione di una violazione al c.d.s. commessa da
un quattordicenne (che circolava, privo dei documenti, su un ciclomotore, trasportando
un coetaneo), si era fatto consegnare la somma di 50 euro. In realtà egli era ricorso alla
prospettazione, ancorché avvenuta con toni non autoritativi e bruschi ma suadenti, di
una sanzione pari ad 800 euro per una violazione che nel suo massimo prevedeva una
somma di gran lunga inferiore (e nel caso di usuale tempestivo pagamento ancor più
bassa), per giunta nei confronti di un minore, a cui veniva anche consigliato di
nascondere la cosa ai genitori.
Infine, nella sentenza Policastro, la Corte ha giustamente confermato la condanna del
capo ufficio tecnico di un Comune sardo a titolo di concussione, realizzata in danno del
legale rappresentante di una Srl, per averlo determinato ad affidare ad una particolare
impresa il contratto di appalto per la realizzazione di sei unità abitative di tipo turisticoresidenziale, condizionando alla stipula di tale contratto il rilascio della concessione
edilizia. In questo modo il p.u. aveva chiaramente prospettato, nel caso in cui il privato
non avesse assecondato il suo volere, l’ingiusto diniego di un provvedimento vincolato –
la concessione edilizia151 – nonostante la ricorrenza di tutti i presupposti di legge152.
(2) Nonostante i pregi segnalati, varie carenze ed inconvenienti rendono questo
indirizzo scarsamente fruibile.
Il modello Roscia funziona senza intoppi nei casi in cui il p.a., per piegare la
volontà del privato, ricorra unicamente alla minaccia, più o meno esplicita, di danni
Così facendo, il p.u. era riuscito a spingere la persona offesa a consegnargli in tre occasioni la somma di
10.000 euro al fine di ottenere dal Comune gli atti concessori necessari per lo svolgimento della propria
attività.
150 Cass., sez. VI, 11 febbraio 2013, Piacentini, rv. 254544. In questo caso, peraltro, il vigile si limitava a dire
“che la sanzione prevista dalla legge era di circa 800 euro ma si poteva fare un verbale pagando subito 50 o
100 euro”. La difesa lamentava, tra l’altro, che, stante l’assenza di toni o contenuti autoritativi nella
richiesta del p.u., il rapporto tra le parti era sussumibile in uno schema sinallagmatico, di libero accordo
tra volontà conducenti ad ottenere una reciproca illecita utilità.
151 V., nella giurisprudenza amministrativistica, Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2011, n. 6874, in Mass.
Repertorio Lex24 de Il Sole 24 Ore, sulla natura del titolo abilitativo edilizio, quale “atto consistente in un
provvedimento vincolato al riscontro della conformità del progetto del proposto intervento costruttivo alla
normativa urbanistica ed edilizia in atto vigente, senza che residui in capo all’Amministrazione comunale
alcun margine di discrezionalità amministrativa”.
152 Sentenza Policastro [nota 132].
149
38
ingiusti, cioè non derivanti dalla corretta applicazione della legge. In questi casi la
dazione del privato non potrebbe dirsi dettata, neppure in parte, da un calcolo
egoistico di opportunità; quindi, può trovare applicazione, senza soverchie difficoltà,
l’art. 317 c.p.
Tuttavia, nei casi più ambigui, posti sulla linea di confine tra concussione e
induzione, l’harm test può condurre a risultati meno soddisfacenti o far emergere,
dietro l’apparente comprensività del criterio, incrinature e lacune non del tutto
trascurabili.
Sotto questo profilo, il punctum dolens della corrente di pensiero in discorso si
annida, verosimilmente, nella definizione di induzione, la cui extensio appare troppo
angusta. La prospettazione da parte di un p.a. di conseguenze sfavorevoli
corrispondenti ad una pretesa giuridicamente giusta non sembra esaurire le tipologie
di abuso potenzialmente ascrivibili alla nozione in questione. Essa, infatti, ritaglia solo
una porzione delle contingenze relazionali nelle quali un soggetto privato, benché
relegato da un abuso funzionale in uno stato di soggezione, può agire al fine
prevalente, comunque determinante, di ottenere vantaggi non dovuti, più o meno
determinati. Da questo punto di vista, quello che abbiamo indicato come il maggior
punto di forza del criterio in esame, la schematica nettezza, rischia di convertirsi, dal
punto dell’esaustività, nella sua principale menda.
(2.1) Per queste ragioni, non condividiamo l’ottimismo che traspare dalla
sentenza Roscia, laddove afferma che “[…] l’ambito di operatività assegnato alle due
disposizioni [l’art. 317 c.p. riveduto e il nuovo art. 319-quater c.p., n.d.a.], corrisponde,
se sommato, all’area del precedente art. 317 c.p.”. In realtà, per assicurare questo esito,
e non smarrire alcun pezzo della precedente costellazione concussiva, la
giurisprudenza dovrebbe probabilmente avallare applicazioni forzatamente estensive
dell’art. 317 c.p., riservando in taluni casi un trattamento ingiustamente deteriore al
p.a., in violazione dei limiti tassativi della fattispecie costrittiva, e per converso
eccessivamente benevolo al privato, lasciandolo immune da pena. Forzature di questo
tipo potrebbero essere fomentate anche dal sensibile aumento del termine di
prescrizione che si otterrebbe contestando il delitto di concussione153.
Tale preoccupazione sembra trovare qualche riscontro anche nei primi arresti
giurisprudenziali.
In uno dei fatti criminosi scrutinati nella sentenza Caboni (la “vicenda Arnaudo”), un
ufficiale della guardia di finanza, abusando della propria qualità, sfruttava notizie in suo
possesso circa una richiesta di rogatoria internazionale svizzera riguardante la società di
un imprenditore, per avvicinarlo e proporgli aiuti contro eventuali accertamenti fiscali,
in cambio di una consistente somma di denaro (300.000 euro). Sebbene il p.u. avesse
affrontato l’interlocutore in una fase di debolezza, in nessun punto della descrizione
fattuale operata in sentenza emerge che egli aveva minacciato, anche solo
Sottolinea come, a fronte del più ridotto termine prescrizionale del reato di induzione, la
giurisprudenza possa essere tentata dall’allargare “improvvidamente […] per via interpretativa la
condotta costrittiva”, M. PELISSERO, La nuova disciplina della corruzione tra repressione e prevenzione, in
Mattarella – Pelissero [nota 3], 5.
153
39
implicitamente, interventi ingiustamente lesivi, né che aveva concretamente fatto sorgere
il pericolo di accertamenti fiscali pregiudizievoli. Il registro comunicativo era proprio
quello tipico di una negoziazione avente finalità corruttive, sebbene alterata dalla
soggezione del privato e dalla posizione di preminenza del p.a. Successivamente, fallite
le trattative per mancato accordo sul quantum della tangente, l’imprenditore accettava
comunque di versare la minor somma, pari a 10.000,00 euro, richiesta dal p.a. a titolo di
“rimborso spese” per i viaggi intrapresi e la ricerca di documenti nell’interesse della
controparte. Secondo la Cassazione tale versamento, in assenza di qualsiasi
controprestazione a favore del solvens, rivelerebbe la pressione coercitiva esercitata dal
p.u. A nostro avviso, però, senza la prova di una minaccia – quantomeno – implicita,
chiaramente ed univocamente evincibile dal contegno del p.u. e da tutte le altre
circostanze fattuali, non è corretto chiamare in causa il paradigma “forte” della
costrizione, specie se “l’effetto della nuova normativa è quello di lasciare il più grave
reato di concussione per le situazioni sostanzialmente corrispondenti alla estorsione”
(come si sottolinea nella sentenza in discorso). Nel caso in esame, proprio il fatto che il
privato avesse accettato di pagare la minor somma per “levarsi di torno” il pubblico
agente (come è testualmente detto nella sentenza), dopo il fallimento di una
negoziazione chiaramente finalizzata al mercimonio dell’attività del p.u., sembra
escludere una vera costrizione. In casi simili non sembra giusto colpire il p.u. con una
pena così pesante come quella comminata dall’art. 317 c.p. L’unica alternativa ad una
declaratoria di irrilevanza penale del fatto154 sarebbe proprio la sua collocazione
nell’inedito delitto di induzione: ipotesi percorribile, qualora sia afferrabile nella
condotta del privato un movente utilitaristico, come, ad es., quello di preservare pro
futuro i rapporti con la controparte.
Tale pronuncia, quindi, sembra rafforzare l’impressione secondo cui l’assegnazione di
uno spazio troppo ristretto all’induzione possa far precipitare il p.u. nel vortice dell’art.
317 c.p. ogni qual volta la dazione indebita non appaia motivata dalla volontà di evitare
un atto doveroso o, comunque, di ottenere uno specifico vantaggio. In questi casi, sin
troppo agevole sarebbe affermare l’esistenza di una condotta coercitiva ricorrendo –
come nell’arresto Caboni – alla formula retorica della “prospettazione implicita di un
generico danno”. In realtà, quanto più il supposto danno è indeterminato, tanto più dal
contegno del p.u. l’intento minatorio dovrebbe emergere in modo chiaro, per poter
pervenire all’accertamento di una responsabilità per concussione “oltre ogni ragionevole
dubbio”.
(2.2) Più in generale, e sviluppando quanto testé considerato, può osservarsi che
la complessa realtà delle interazioni tra privati e pubblici agenti presenta anche abusi,
essenzialmente di qualità, che non tracimano né nella minaccia, esplicita o implicita, di
un male ingiusto, né nella maliziosa prospettazione di un pregiudizio dipendente
Un simile esito, però, equivarrebbe ad ammettere una parziale abolitio criminis del vecchio art. 317 c.p.,
trattandosi di situazioni che, sotto il vigore della precedente disciplina, sicuramente rientravano nel tipo
della concussione. Questa eventualità è stata già congetturata in dottrina da F. VIGANÒ, L’ordinanza di
rimessione alle Sezioni Unite sulla distinzione tra concussione e induzione indebita, in questa Rivista, 30 maggio
2013, in relazione ai casi in cui il privato “si determini a dare o promettere il denaro o l’indebita utilità
richiesta dal p.a. – genericamente – per evitare possibili noie, o comunque per non inimicarsi per il futuro
il proprio interlocutore (non si sa mai nella vita...)”. Un’altra possibile lacuna, quale effetto praeter
intentionem della novella, è stata intravista da A. SESSA [nota 16], 327 s., in relazione alle dazioni indebite
che, indotte da “applicazioni legali vessatorie non produttive di un «male giusto»” quale possibile oggetto
di mercimonio, ma neppure estrinsecatesi nella minaccia di un pregiudizio ingiusto, siano comunque
espressione di un sopruso subito dal privato per timore di ritorsioni.
154
40
dall’esercizio legittimo di un potere pubblico. Il p.u., in questi casi, fa pesare tutto il
peso della sua posizione, senza però alcun riferimento al compimento di un atto
pertinente all’ufficio, determinato o determinabile, vantaggioso o svantaggioso; egli,
quindi, non pone il privato di fronte alla scelta tra due mali, né prospetta apertamente
un vantaggio indebito quale contropartita della dazione illecita155. Di norma, questi
contegni abusivi si prestano, per la loro equivocità, ad una duplice possibile lettura da
parte di chi li subisce: questi può sia paventare imprecisate ritorsioni ad opera della
controparte pubblica qualora non si acconci a fare ciò che desidera, sia attendersi un
consolidamento ‘clientelare’ dei rapporti, in vista di imprecisati favoritismi, ove dia o
prometta l’indebito156.
Secondo la precedente trama normativa questi fatti avrebbero potuto essere
collocati nell’ampio recinto della concussione, proprio sfruttando l’elasticità del
concetto di induzione. Nel nuovo regime, però, se ci si colloca sulla scia del concetto di
induzione suggerito dall’indirizzo in esame, l’art. 319-quater c.p. verrebbe certamente
espunto dalla rosa delle legittime opzioni applicative, mancando la prospettazione di
conseguenze sfavorevoli legittime. Tuttavia, neppure sembra invocabile, in queste
ipotesi, il paradigma corruttivo, per l’assenza di una vera e propria dinamica negoziale
o di un rapporto paritario riguardante il mercimonio dei poteri o delle funzioni.
Resterebbe, così, quale unica alternativa ad una parziale abolitio criminis della vecchia
concussione (esito singolare per una legge dichiaratamente “anticorruzione”), la
qualificazione del fatto come costrittivo anche ai sensi del novellato tenore dell’art. 317
c.p. Con una simile soluzione, però, la tensione con il principio di legalità sarebbe
patente. In assenza di un univoco messaggio minatorio, sembra rispettoso della littera
legis escludere una vera e propria coercizione. Semmai, si tratterebbe di vagliare se
eventuali considerazioni utilitaristiche del privato, aventi un’apprezzabile rilevanza
eziologica sul piano motivazionale, possano fondare un addebito ex art. 319-quater c.p.
Ciò, però, richiederebbe, appunto, un’accezione di induzione più ampia di quella
postulata dall’orientamento in esame.
A. SPENA [nota 16], 22, proprio a proposito delle situazioni in cui il privato sia indotto alla erogazione
indebita da un abuso della qualità del p.a., nelle quali quindi il privato agisce “in considerazione della, o in
relazione alla, sua qualità”, paventa la surrettizia introduzione nel sistema di una ipotesi di corruzione
informata al modello ‘clientelare’, irragionevolmente più estensiva della stessa corruzione per l’esercizio
delle funzioni di cui al riformulato art. 318 c.p.
156 Si pensi al classico caso dell’agente della Guardia di Finanza che, recatosi presso un punto vendita di
prodotti alimentari, dove ha già effettuato o dovrà effettuare verifiche di carattere tributario, si faccia
consegnare vari prodotti, senza chiedere il prezzo e così inducendo il venditore a non pretenderlo. Cfr.,
per un caso di questo tenore, Cass., sez. VI, 14 gennaio 2010, n. 1395, in Mass. Repertorio Lex24 de Il Sole 24
Ore. Oppure si pensi al ministro che utilizzi abitualmente l’aereo privato di un imprenditore che abbia in
corso rapporti di affari con il ministero rappresentato dal primo e, soprattutto, che abbia l’aspettativa di
ulteriori commesse, quando dalle modalità dei fatti emerga la soggiacenza dell’imprenditore alle pretese
del p.u.: caso inquadrato come concussione in Cass., sez. VI, 23 febbraio 1998, n. 2303, rv. 209977, secondo
cui “in materia di concussione non è possibile una tipizzazione delle condotte concussive, potendosi
manifestare sia la posizione di preminenza del pubblico ufficiale che quella di soccombenza del privato
attraverso qualsiasi atteggiamento, anche implicito”.
155
41
(2.3) L’interazione continua tra fatto e norma rivela, spesso, l’eccessiva
ristrettezza di una determinata ipotesi interpretativa. Questo ci sembra il caso del
concetto di induzione patrocinato dall’indirizzo in esame. Esso s’inquadra in una
dicotomia – quella tra danno giusto e danno ingiusto – in astratto piuttosto
elementare. I fatti della vita reale, però, sono spesso meno univoci, più ambigui di
quanto questo criterio lasci intendere: condotte abusive miste o ambivalenti sono
tutt’altro che rare (v. infra § 7 e s.)157. Come diremo più in dettaglio nel disaminare il
terzo indirizzo ermeneutico, spesso i depositari di pubblici poteri si avvalgono di
tecniche più sofisticate di pressione, che combinano astutamente la minaccia di un
danno ingiusto (ad es. il p.u. fa capire che è pronto a trasgredire la legge, escludendo
arbitrariamente un privato da una gara pubblica..), con la promessa di un vantaggio
indebito (..ma che è, altresì, pronto ad assicurargli l’aggiudicazione del contratto a
scapito dei concorrenti), quali conseguenze alternative del diniego o dell’adesione alla
richiesta indebita. Talvolta, anche un capzioso riferimento a conseguenze sfavorevoli
del tutto legittime può veicolare l’implicita “minaccia di un abuso del potere in
funzione ritorsiva”158.
Minaccia e promessa, in queste situazioni, si fondono in una realtà unica e
inscindibile. Orbene, quando il vantaggio indebito annunziato in alternativa al danno
ingiusto da parte di un p.a. è particolarmente “allettante” (si pensi, appunto, ad un
importante contratto pubblico), il privato, nonostante la pressione intimidatoria subita,
sarà di norma ben lieto di assoggettarsi all’illegittima pretesa. Solo il rischio di una
reazione penale può far scemare, ai suoi occhi, l’attrattiva dell’undue advantage. Questo
esito però è del tutto impraticabile aderendo all’indirizzo Roscia: anche in questo caso,
infatti, non è in ballo la prospettazione di un atto d’ufficio doveroso compiuto in
maniera antidoverosa. Non resterebbe che ripiegare, sempre e necessariamente, sul
‘caro vecchio’ paradigma concussivo.
(2.4) Sul piano della determinatezza della fattispecie tipica, il concetto di
“pregiudizio derivante dall’applicazione della legge”, su cui poggia la nozione di
induzione coniata da Roscia, è meno chiaro e tassativo di quanto possa prima facie
apparire. Dubbi sorgono non appena si fuoriesca dalla sfera dei poteri amministrativi
assolutamente vincolati, per entrare nel più ampio e complesso universo dell’attività
discrezionale della pubblica amministrazione.
In effetti, l’espressione in discorso sembra rimandare all’esercizio di poteri
vincolati da cui discendano ex lege, in modo pressoché meccanico ed automatico, esiti
sfavorevoli per il destinatario; quindi ad atti doverosi pregiudizievoli, prospettati a fini
intimidatori. Di questo tipo sono anche tutti i casi ed esempi di induzione trattati dalle
sentenze riconducibili all’indirizzo in esame: l’agente della polizia stradale che
prospetta l’elevazione di un verbale per un’infrazione stradale effettivamente
commessa da un automobilista (caso Gori); l’ufficiale di polizia giudiziaria che
Torneremo sul punto nei §§ 7 e 7.1.
Su quest’ultima ipotesi, v. M. SCOLETTA [nota 62], 889, il quale però sembra ipotizzare, in questi casi,
l’applicazione dell’art. 317 c.p.
157
158
42
minaccia ad un soggetto un arresto pienamente consentito dalla legge processuale
penale (esempio fatto nella sentenza Marino); il sottufficiale della guardia di finanza
che, nell’esercizio di regolari attività di verifica, manifesta al titolare di un’azienda il
rilievo di gravi violazioni fiscali, effettivamente esistenti (fattispecie analizzata dalla
sentenza Piccinno)159.
Nella parte motiva della sentenza Roscia, però, fanno capolino anche formule
più ampie: “conseguenze dannose che non siano contrarie alla legge”; “detrimento
[che] deriva o è consentito dalla legge”160. Similmente, nella sentenza Marino si parla di
conseguenze “sfavorevoli ma conformi alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico”161;
in quella Sammatrice di danno “conforme alla legge e alla disciplina del peculiare
settore amministrativo d’interesse”. Si tratta di locuzioni semanticamente più capienti,
alla cui stregua potrebbe concretare una pressione “induttiva”, ai sensi dell’art. 319quater c.p., anche la prospettazione di atti discrezionali sfavorevoli all’interlocutore,
purché immuni da vizi di legittimità (alias “conformi ai doveri d’ufficio”).
In effetti, la giurisprudenza in passato ha ravvisato un abuso concussivo
persino nell’esercizio di per sé legittimo, ma con fini illeciti, di facoltà insindacabili di
un consigliere regionale: segnatamente, la presentazione di un’interpellanza consiliare,
preordinata ad esercitare una pressione indebita su un direttore generale di un’azienda
ospedaliera, affinché procedesse a nomine dettate da criteri di appartenenza politica162.
In altri casi si è trattato della minaccia di una verifica fiscale, di un’ispezione sul lavoro,
di un controllo di polizia: tutte ipotesi che coinvolgono l’esercizio di un potere
discrezionale, in sé non illegittimo, ma piegato ad un scopo acquisitivo illecito.
Sennonché, come si diceva poc’anzi, se il concetto di “danno giusto” viene
esteso al di là della prospettazione di atti dovuti vincolati nell’an e nel contenuto, il
discorso si complica esponenzialmente. Infatti, nel caso di potestà discrezionali, lo
“sviamento” del potere dalla causa tipica, quale figura sintomatica del vizio di
“eccesso di potere”, implica l’illegittimità dell’attività amministrativa conseguente163.
Pertanto, se l’esercizio di un potere discrezionale in sé legittimo è interamente rivolto al
perseguimento di un obiettivo criminoso, quindi diverso ed estraneo agli interessi della
pubblica amministrazione, ben potrebbe parlarsi di prospettazione di un “danno
ingiusto”; siamo, cioè, fuori dal rispetto della legge e della normativa che regola
l’esercizio dell’attività amministrativa.
Tuttavia, per stabilire in modo affidabile quando ci si trovi, realmente, di fronte
ad uno sviamento di potere connesso alla minaccia concussiva di un danno ingiusto,
Nel processo in questione non si era discusso “della prospettazione di un male ingiusto in quanto i
pubblici ufficiali richiedevano denaro per non compiere attività dell’ufficio consistente nel rilievo degli
illeciti che coinvolgevano l’azienda”.
160 Nello stesso senso Cass., sez. VI, 17 giugno 2013, n. 26285, rv. 255371.
161 V. anche la sentenza Sammatrice [nota 126]: “conforme alla legge e alla disciplina del peculiare settore
amministrativo d’interesse”.
162 Cass., Sez. VI, 19 giugno 2008 [nota 101].
163 Basti in questa sede il rinvio, tra i tanti, a E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 13a ed., Milano,
2011, 549, il quale non manca di sottolineare che “l’eccesso di potere è predicabile soltanto con riferimento
agli atti discrezionali”.
159
43
non può che ricorrersi a criteri suppletivi, tra cui spicca, ancora una volta, quello del
vantaggio indebito. Questo è anche l’unico modo per evitare di sottrarre all’alveo
punitivo dell’art. 319-quater c.p. l’intero comparto dell’attività discrezionale della
pubblica amministrazione ad effetti sfavorevoli per il destinatario (v. anche infra, § 8).
(2.5) Non basta. Proprio le dinamiche situazionali che l’orientamento in esame
reputa paradigmatiche della nuova fattispecie induttiva, vale a dire la prospettazione
di un atto d’ufficio doveroso per fini illeciti, sono anche quelle rispetto alle quali il
confine con la corruzione propria diviene più labile ed incerto164.
In effetti, il preannunziare a fini intimidatori un atto d’ufficio svantaggioso e il
promettere la sua omissione a vantaggio del tradens, sono due lati del medesimo abuso.
Nella specie, infatti, l’ottenimento del beneficio indebito da parte del privato non è
conseguenza soltanto “indiretta” della mancata produzione del danno prefigurato dal
p.u.165: esso coincide, sincronicamente, con l’essere riusciti ad aggirare l’atto doveroso.
Tuttavia, la passata giurisprudenza, contro l’opinione prevalente della dottrina,
riconduceva queste situazioni sotto l’egida della concussione, ritenendo dirimente
l’assenza di spontaneità della dazione del privato e la sua soggezione alla c.d.
preminenza prevaricatrice del p.a.166. Una nuova figura di reato a metà strada tra
concussione e corruzione, qual è il nuovo art. 319-quater c.p., parrebbe congegnata
proprio per dare una più precisa copertura normativa a situazioni ambivalenti come
questa.
Ad ingarbugliare le cose, però, v’è la “curiosa” differenza tra i minimi edittali
della induzione indebita e della corruzione propria (quattro anni in confronto ai tre
anni comminati per il p.a. dall’art. 319-quater c.p.)167. Sotto questo profilo, il maggior
disvalore della condotta di un induttore rispetto a quella di un corrotto/corruttore, non
trova riscontro nel rapporto tra le cornici edittali. Questa incoerenza di sistema, com’è
V., per analoghe considerazioni, D. BRUNELLI, La riforma dei reati di corruzione nell’epoca della precarietà, in
Arch. pen., 2013, 64.
165 Di contrario avviso, A. AMATO [nota 71], 13, secondo cui tali ipotesi andrebbero ancora allogate nella
concussione.
166 V., ancora di recente, Cass., sez. II, 14 marzo 2013 [nota 95], in cui, senza menzionare la novella del 2012,
si è ribadito il principio proprio in relazione al caso di una pattuglia della polizia stradale che “aveva
costretto il conducente di un autotreno, fermato perché in contravvenzione per eccesso di velocità, a
consegnargli la somma di Euro 100, per evitare di pagare la contravvenzione di Euro 275,00 e subire il
sequestro della patente”. Tuttavia, un consistente indirizzo dottrinale dissentiva da tale opinione, negando
che in queste ipotesi potesse ravvisarsi un abuso costrittivo o induttivo, con conseguente subentro della
corruzione propria: G. CONTENTO, La concussione, Bari, 1970, 56 ss., 65 ss.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto
penale. Parte speciale, I, 5a ed., 2012, 214; A. PAGLIARO - M. PARODI GIUSINO [nota 31], 140; C. BENUSSI, sub art.
317 c.p., in Dolcini – Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, 3a ed., 2011, § 24; G. FORNASARI,
Concussione, in Bondi – Di Martino – Fornasari, Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2a ed., 2008,
175. V. anche A. SPENA, Commento all’art. 317, in Ronco et al. (a cura di), Codice penale commentato, 4a ed.,
Torino, 2012, 1603, per la separata punibilità del p.u. a titolo di concussione e del privato a titolo di
corruzione propria. In linea con l’opinione giurisprudenziale, invece, F. ANTOLISEI [nota 21], 335.
167 L’espressione virgolettata è di D. PULITANÒ [nota 16], 10. Per analoghe critiche, v. E. DOLCINI [nota 16],
553; C.F. GROSSO, Novità, omissioni e timidezze della legge anticorruzione in tema di modifiche al codice penale, in
Mattarella – Pelissero [nota 3], 5.
164
44
facilmente intuibile, non è il frutto di una progettata e meditata scelta di politica
sanzionatoria, ma di una frettolosa ed improvvida modifica dell’originario
emendamento Severino, intervenuta nel corso dei lavori parlamentari a causa di spinte
discordanti in seno ad una maggioranza alquanto eterogenea168. La
“contrattualizzazione”169 del procedimento legislativo, anche in questo caso, ha esatto
un prezzo assai salato.
Preso atto di questa sfasatura, alcuni autorevoli studiosi si sono orientati a
proporre soluzioni interpretative alternative a quella caldeggiata dall’indirizzo
giurisprudenziale in esame: 1) una consiste nel punire separatamente l’induttore ai
sensi dell’art. 319 c.p. e il privato indotto in base al comma 2 dell’art. 319-quater c.p.,
facendo leva sulla mancata riproduzione nel comma secondo di quest’ultimo articolo
della clausola di riserva espressa con cui si apre il comma 1170; 2) l’altra consiste
nell’applicare tanto all’intraneus quanto all’extraneus il titolo della corruzione propria,
muovendo evidentemente dall’assunto dell’indissolubilità del legame che avvince –
anche sul piano della qualificazione giuridica – non solo le parti di un patto corruttivo,
ma anche quelle di un “patto indotto” dall’abuso171.
La prima soluzione, però, sembra trovare un ostacolo testuale nell’incipit del
comma 2 dell’art. 319-quater c.p.: il privato è punito a titolo di induzione “nei casi
previsti dal primo comma”. Ciò dovrebbe comportare anche un implicito richiamo
della clausola di consunzione di cui al primo comma, pensata infatti per “regolare i
rapporti tra le due sottofattispecie della concussione per costrizione e dell’induzione
indebita del pubblico agente”172, e non quelli tra induzione e corruzione propria. Per
quanto concerne la seconda tesi, invece, un inquadramento dei fatti in discorso nel tipo
della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio significherebbe assoggettare il
privato ad una pena non inferiore nel minimo a quattro anni. Ciò, come del resto non si
nasconde lo stesso proponente, pare un trattamento francamente eccessivo per chi
abbia comunque subito l’abuso del p.a., specie in considerazione della passata
giurisprudenza e della stessa ratio giustificatrice della nuova incriminazione.
Quest’ultima, poi, nel caso di pagamento “abusivamente indotto”, dovrebbe prevalere
In effetti, l’attuale cornice di pena dell’art. 319 c.p. è stata introdotta in Commissione Giustizia, il 17
maggio 2012, a seguito di un emendamento presentato dall’on. Ferranti (nell’emendamento governativo
genetico, n. 9.500 del 17 aprile 2012, si prevedeva l’aumento della pena edittale a 3/7 anni). Il Ministro della
Giustizia, Paola Severino, aveva espresso aperta contrarietà, come emerge anche dai resoconti giornalistici,
in quanto con l’aumento di pena della corruzione propria “si toglie razionalità al sistema”. La stessa on.
Ferranti dichiarò: “È chiaro che adesso si dovranno equilibrare anche tutte le pene per gli altri reati”. Cfr.
Corruzione, passa proposta Pd: pene aumentate, in www.ilmessaggero.it, 17 maggio 2012. Il riequilibrio non fu
mai portato a compimento, perché non venne approvato nessuno degli emendamenti presentati in Aula
per elevare a 4/10 anni (Ferranti e altri), 6/12 (Sisto) o 4/11 (Di Pietro e altri), la pena edittale dell’induzione,
nonché per estendere le pene accessorie di cui all’art. 317-bis c.p. all’art. 319-quater c.p.
169 G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, 44.
170 T. PADOVANI [nota 16], 789 s. Nondimeno l’insigne studioso considera l’indotto quale “concorrente
necessario nel reato” di cui all’art. 319-quater c.p. (p. 789).
171 F. VIGANÒ, La riforma dei delitti di corruzione, in Treccani, Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 156.
172 Così ne ha illustrato il senso P. SEVERINO [nota 107], 10. Ovviamente, nel caso dell’i.p.s., non menzionato
dall’art. 317 c.p., la figura costrittiva di riferimento è l’estorsione aggravata ex art. 61, n. 9, c.p.
168
45
sulla fattispecie corruttiva proprio alla luce dell’elemento distintivo e qualificante
dell’abuso e, nei riguardi dell’extraneus, anche del minor disvalore della condotta
rispetto ad un pagamento “corrotto”.
Affermare l’applicabilità dell’art. 319-quater c.p. ai casi in discorso173, impone
ovviamente di distinguere, con sufficiente accuratezza, tra “induzione” e
“sollecitazione” ex art. 322, comma 4, c.p. o “corruzione passiva” ex art. 319 c.p.
(qualora la sollecitazione sia accolta). Il dato cruciale, da acclarare di volta in volta sulla
scorta delle circostanze fattuali, è sempre l’eventuale stato di soggezione patito dal
privato a causa di una pressione abusiva. Esso, però, non può ridursi alla superiorità
che il p.a. può staticamente vantare nei confronti del privato o alla generica soggezione
connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione. Un indice sintomatico
dell’induzione potrebbe allora essere l’iniziativa del p.a.174, purché qualificata da
ulteriori contrassegni fattuali come il carattere perentorio ed ultimativo della richiesta,
tale da non ammettere ad es. alcuna trattativa sull’an e sul quantum della dazione, e/o –
secondo altra indicazione dottrinale – la sua natura reiterata e fortemente insistente175.
Le peculiarità espressive della condotta, insomma, se non appaiono decisive per
distinguere tra concussione ed induzione (cioè tra abuso concussivo e abuso induttivo),
ben possono indiziare una pressione psichica induttiva, escludendo una piena par
condicio contractualis. Su queste esigenze le pronunce sin qui richiamate non pare si
siano focalizzate con la necessaria attenzione176 (ma invero non se ne faceva
pienamente carico neppure la pregressa giurisprudenza), con il rischio di smarrire così
“un valido criterio selettivo rispetto alla corruzione propria”177.
Si consideri, ad es., la vicenda trattata nella sentenza Gori: due agenti della Sezione
Polizia Autostradale venivano condannati, tra l’altro, per concorso in concussione
continuata, per aver prospettato l’applicazione di sanzioni legittime a dei camionisti, al
fine di carpire somme indebite. L’inquadramento nello schema dell’induzione, nel caso
di specie, appare condivisibile, considerato non solo lo stato di soggezione dei camionisti
provocato dalla strumentalizzazione di un pubblico potere – quello di contestare la
violazione amministrativa – per un fine illecito, ma anche il carattere unilaterale e
ultimativo della richiesta e l’assenza di una trattativa paritaria tra le parti. Nell’iniziativa
del p.u., dominus della situazione, non era, così, ravvisabile una semplice proposta
presentata “su un piano di pura convenienza reciproca”178. Di queste considerazioni,
però, non v’è traccia alcuna nella pronuncia della Corte regolatrice.
Ci eravamo espressi in questi termini già in V. MONGILLO [nota 13], 148.
Vedi S. SEMINARA [nota 72], 25, secondo cui “l’iniziativa dell’extraneus, in assenza di qualsiasi condotta
ascrivibile al pubblico agente e qualificabile alla stregua del paradigma normativo, integra il reato di
corruzione”.
175 Cfr., nell’ultimo senso, C.F. GROSSO [nota 167], 9.
176 Per un’opportuna sottolineatura in tal senso v., comunque, Cass., sez. VI, 17 giugno 2013 [nota 160]
(caso concernente la prospettazione a fini di locupletazione illecita dell’irrogazione di consistenti sanzioni
per accertate violazioni in materia ambientale e di importo non artatamente gonfiato).
177 Così, in generale, S. SEMINARA [nota 72], 31.
178 In situazioni di siffatto tenore, secondo M. ROMANO [nota 75], 100, doveva ravvisarsi la corruzione sotto
il precedente regime; diversamente, andava applicato l’art. 317 c.p. quando la prospettazione dannosa
fosse avvenuta con modalità tali da ridurre il privato in stato di soggezione.
173
174
46
7. Il criterio “misto” proposto dall’orientamento intermedio.
Nei due indirizzi appena analizzati la formula delimitatrice tra costrizione e
induzione è unidimensionale: in un caso ci si focalizza sul profilo quantitativo
dell’intensità della pressione psichica esercitata sul privato, nell’altro sul dato
qualitativo della natura ‘giusta’ o ‘ingiusta’ del detrimento prospettato dal p.a.
Ciascuna di queste esegesi pone problemi specifici nei ‘casi difficili’ che insistono nella
‘striscia di confine’ tra le due tipologie delittuose, rispetto ai quali – come è emerso già
dalle prime pronunce – sorge il rischio di forzature ermeneutiche, lacune di tutela e
forte incoerenza applicativa179. Tra l’altro, il primo modello interpretativo tende verso
una lettura eccessivamente restrittiva della concussione; analogo risultato si produce,
ma sul versante della fattispecie induttiva, muovendo dall’orientamento avverso.
Preso atto di queste insufficienze e nella consapevolezza dell’estrema varietà
delle dinamiche criminologiche sottostanti alle incriminazioni in oggetto, un terzo
filone giurisprudenziale, inaugurato dalla sentenza Melfi180, ha cercato di ricomporre
ad unità i due precedenti, adottando una “soluzione sincretista”181. Nella stessa
ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite quello in esame è classificato come
“indirizzo intermedio”182. Sarebbe riduttivo, però, definirlo un mero tentativo
compromissorio tra gli altri orientamenti in conflitto. Esso si profila, piuttosto, come
un’articolata proposta esegetica, dotata di propria autonomia in termini di struttura
argomentativa e implicazioni giuridiche.
I fatti oggetto della decisione Melfi riguardano alcune condotte, giudicate concussive nei
gradi di merito, poste in essere dal sindaco di un Comune lucano che, abusando della
propria superiorità gerarchica all’interno dell’ufficio pubblico, aveva esercitato forti
pressioni sul capo del settore urbanistico dello stesso municipio affinché questi,
intervenendo illecitamente – in un’occasione – nell’ambito di una gara pubblica di
Quale che sia l’indirizzo ermeneutico prescelto, non pongono alcun problema, consentendo di giungere
a risultati univoci, i casi semplici, quelli in cui, ad es., vi sia la chiara prospettazione di un danno ingiusto
senza alcuna contropartita vantaggiosa per il privato. V., al riguardo, la recente sentenza della Cass., sez.
VI, 21 agosto 2013, n. 35218, inedita, nella quale si è ritenuto che, a prescindere dall’orientamento
giurisprudenziale preferito, deve essere inquadrato nella concussione il comportamento del controllore del
treno che, dopo avere contestato delle irregolarità ad alcuni passeggeri, si sia fatto dare del denaro, con la
minaccia di trattenere, per un tempo ben superiore a quello necessario e nonostante la già avvenuta
identificazione dei viaggiatori, i documenti di identità dagli stessi esibiti.
180 Cass., sez. VI, 12 marzo 2013, n. 11794, Melfi, rv. 254440. Si v. anche, oltre alla sentenza Milanesi [nota
185], appresso esaminata, Cass., sez. VI, 12 marzo 2013, Castelluzzo, rv. 254437 (caso concernente le
condotte del capo di un Ufficio Circondariale Marittimo, il quale, abusando della sua funzione, aveva
cercato in varie occasioni di indurre – o aveva effettivamente indotto – i titolari di agenzie di pratiche
nautiche a corrispondergli indebite somme per agevolare la rapida evasione di altrettante pratiche di
immatricolazione di natanti, talvolta supportando la richiesta con la prospettazione di un allungamento
dei tempi burocratici in caso di mancato pagamento).
181 Così M. SCOLETTA [nota 62], 886 ss.
182 Cass., sez. VI, ord. 13 maggio 2013, n. 20430, Cifarelli.
179
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appalto e – in un’altra – in seno ad una trattativa privata, garantisse l’attribuzione dei
contratti a determinate imprese. In particolare, la pressione abusiva era consistita nella
minaccia di ritorsioni arbitrarie nei confronti del sottoposto, come la rimozione
dall’incarico e il trasferimento presso altro ente territoriale, non senza rammentargli
subdolamente la “protezione” di cui aveva goduto al momento di ottenere l’assunzione.
Del tutto ragionevolmente, a fronte dell’espressa minaccia di atti arbitrari da parte del
prevenuto, la Corte ha ravvisato nella fattispecie una dinamica relazionale di tipo
concussivo, confermando la condanna ex art. 317 c.p. pronunciata dai giudici di merito.
Il percorso argomentativo in Melfi si svolge in due tempi.
I) Innanzitutto, la Corte mutua dal primo indirizzo tra quelli passati in rassegna
il parametro discretivo di base, cioè l’intensità della pressione e il grado di
autodeterminazione lasciata al privato, salvo però specificarlo – come vedremo –
attraverso il più tassativo criterio del vantaggio indebito.
(i) Costrizione ed induzione hanno in comune il fatto che il privato subisce
l’abusiva iniziativa prevaricatrice ed intimidatoria del p.a., la quale si risolve in una
“pressione psichica relativa […] che determina, proprio per l’abuso della qualità o dei
poteri da parte dell’agente, uno stato di soggezione nel destinatario”. In questo modo
è anche nettamente tracciato, almeno sul piano dommatico, il discrimine con le
complementari fattispecie corruttive.
In linea con Roscia, la sentenza Melfi afferma che, sia nella concussione che
nell’induzione indebita, la condotta delittuosa, “per essere idonea a realizzare l’effetto
perseguito dal reo, deve sempre contenere una più o meno esplicita prospettazione di
un male ovvero di un pregiudizio”, non necessariamente ingiusto.
(ii) Alla luce delle caratteristiche della condotta, lo spartiacque tra concussione
e induzione è individuato nel fatto che nella concussione si ha “una più netta iniziativa
finalizzata alla coartazione psichica dell’altrui volontà” e quindi una pretesa dalla
“maggiore carica intimidatoria”; nell’induzione “una più tenue azione di pressione
psichica sull’altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di
suggestione”. Dal punto di vista dell’incidenza nella sfera psichica del privato, nella
concussione non è lasciato “alcun significativo margine di scelta al destinatario”183;
nell’induzione, invece, egli conserva “una maggiore libertà di autodeterminazione”,
cioè “un più ampio margine di scelta in ordine alla possibilità di non accedere alla
richiesta del pubblico funzionario”184.
II) Nella parte finale delle considerazioni in diritto, però, la Corte prende di
petto il punctum dolens della impostazione quantitativo-soggettivizzante, vale a dire le
consistenti incertezze che essa alimenta nel passaggio dall’astratto al concreto, nonché
le facili manipolazioni cui è esposta, anche per ragioni di convenienza processuale-
Conf. Cass., sez. VI, 14 marzo 2013, n. 11942, Oliverio, rv. 254444 (nel caso di specie, la costrizione era
stata ravvisata in presenza di una minaccia implicita posta in essere da un ispettore di polizia nei
confronto del direttore di un poligono di tiro, avente ad oggetto in particolare il mancato rinnovo alla
scadenza del contratto di esercitazione della Polizia di Stato).
184 Nel senso che nella induzione il privato “mantiene un margine di scelta criminale che giustifica una, sia
pur limitata, pena”, v. P. SEVERINO [nota 107], 10.
183
48
investigativa. La sentenza segnala ex professo i casi più problematici, rispetto ai quali le
modalità espressive della pressione non consentono, di per sé sole, di determinare il
grado di condizionamento della libertà morale del privato. Si tratta, in particolare,
delle vicende nelle quali la pretesa del p.u., a seconda dei casi, è fatta valere con
modalità più larvate, subdolamente allusive, indirette, o è formulata con contenuti
artatamente imprecisati, così da apparire una forma di blanda pressione psichica, ma
potendosi risolvere in concreto in una situazione di sostanziale costrizione implicita. In
queste situazioni “al limite” – si soggiunge nella successiva sentenza Milanesi – “è
difficile differenziare il caso del privato che […] si trova nello stato psicologico di chi è
conscio di soccombere ad un sopruso, da quello del privato che, destinatario di una
pretesa avanzata in forma indeterminata, semmai caricata di significati da supposizioni
personali dell’interessato, paventa solamente di poter patire un possibile futuro
sopruso”185.
(a) Per uscire da questa impasse, e dare ai due concetti in esame confini
semantici più precisi, si individua un criterio integrativo, dotato di maggiore
oggettività: il tipo di vantaggio che il destinatario di quella pretesa indebita consegue
(o aspira a conseguire) per effetto della dazione o della promessa di denaro o di altra
utilità. Pertanto, un criterio che non aveva goduto di particolare credito nella più
recente elaborazione giurisprudenziale della distinzione tra concussione e
corruzione186, viene recuperato e posto a fondamento del discrimine tra costrizione e
induzione.
Da questa prospettiva, l’extraneus “è certamente persona offesa di una
concussione per costrizione se il pubblico agente, pur senza l’impiego di brutali forme
di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all’alternativa «secca» di accettare la
pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto: al
destinatario della richiesta non è lasciato, in concreto, alcun apprezzabile margine di
scelta, ed egli è solo vittima del reato perché, lungi dall’essere motivato da un interesse
al conseguimento di un qualche vantaggio diretto, si determina a dare o promettere
esclusivamente per evitare il pregiudizio minacciato”. Al contrario, il privato è punibile
come coautore indotto “se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo
potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione
per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un’azione o di una
omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio
indebito”.
Come può evincersi soprattutto dalla definizione di costrizione, il danno
ingiusto e il beneficio indebito non rilevano come dati puramente oggettivi, ma anche
per il ruolo motivazionale direttamente esercitato sulle determinazioni del privato:
egli è vittima quando agisce al solo fine di evitare il danno ingiusto minacciato dal p.a.
Cass., sez. VI, 13 maggio 2013, n. 20428, Milanesi, rv. 255076. Per analoghe considerazioni, V. MONGILLO
[nota 13], spec. p. 133 ss., 140 ss.
186 Cfr. le sentenze citate alla nt. 24.
185
49
(certat de damno vitando); è soggetto che coopera con l’induttore quando agisce (anche)
per conseguire un vantaggio che non gli spetta (certat de lucro captando).
(b) Va sottolineato che nella sentenza Melfi il criterio del vantaggio indebito non
è ancora pienamente elevato a “criterio di essenza” (in positivo dell’induzione, e in
negativo della concussione), ma viene proposto quale “dato sintomatico”, ancorché in
posizione primaria. Ciò spiega perché, nel principio di diritto scolpito al termine della
sentenza Melfi, il criterio quantitativo dell’intensità della coazione morale e quello
qualitativo facente leva sulla natura del vantaggio perseguito dal soggetto privato
vengano collocati l’uno a fianco dell’altro, in posizione più complementare che
cumulativa187:
“il privato non è vittima ma compartecipe laddove abbia conservato un significativo
margine di autodeterminazione o perché ha subito una più tenue pretesa intimidatoria,
alla quale, senza eccessivi sforzi, avrebbe potuto resistere, ovvero perché da quella
dazione o promessa ha tratto o ha sperato di trarre un vantaggio non dovutogli, al cui
conseguimento, in una logica quasi «negoziale», ha finito per parametrare la sua
decisione”, divenendone la ragione principale.
Non v’è dubbio, però, che, nell’iter logico-argomentativo di Melfi, la verifica
incentrata sul vantaggio finisce per assumere un peso preponderante, instaurando un
canale di comunicazione privilegiato con l’approccio Roscia188.
Sebbene il principio testé riportato sia riprodotto testualmente tanto nella
successiva sentenza Milanesi quanto nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite
(entrambe a firma del medesimo giudice relatore189), in questi ultimi due
provvedimenti può notarsi un salto di qualità in direzione della piena integrazione tra
il criterio classico del grado di condizionamento psichico del privato e quello del
danno/vantaggio ingiusto. In questo modo, il fine di vantaggio indebito, da mero dato
indiziario-sintomatico, pare assurgere al rango di elemento costitutivo implicito della
fattispecie induttiva190, allo stesso modo in cui la minaccia viene ad assumere il ruolo
di elemento tipico inespresso del reato di concussione (in questo caso, però, più
agevolmente evincibile dall’espressione “costrizione”).
La Relazione n. 19 del 3 maggio 2013, a cura dell’Ufficio del Massimario, p. 16, osserva che in questa
prospettiva “l’induzione avrebbe carattere bivalente”.
188 Come perspicuamente notato da M. SCOLETTA [nota 62], 890, il vantaggio ‘indebito’ che
caratterizzerebbe la fattispecie induttiva “altro non è, infatti, che l’altra faccia del danno ‘ingiusto’ che –
secondo la sentenza Roscia [nota 125] e la sentenza Gori [nota 126] – qualifica la fattispecie concussiva”.
189 Il Cons. E. Aprile.
190 Infatti, la sentenza Melfi intravedeva, nell’odierno sistema, “una rilevante e specifica ragione che
suggerisce di integrare quel «tradizionale» criterio di distinzione” – vale a dire la forma di pressione e il
grado di condizionamento psichico del privato – con l’elemento “sintomatico” e “obiettivo” del vantaggio,
il quale “in molte fattispecie, può servire a dare ai due concetti in esame un tasso di maggiore
determinatezza” (corsivo nostro). Diversamente, nella sentenza Milanesi [nota 185], la ragione di tale
integrazione diviene di “natura logico-sistematica”, e sembra assumere una portata più generale.
187
50
Un esito di completa incorporazione del criterio del vantaggio in quello dell’intensità
della pressione era già stato raggiunto expressis verbis dalla sentenza De Gregorio,
proprio recependo e sviluppando l’impianto logico del precedente Melfi: “La costrizione
[…] sussiste quando il pubblico ufficiale agisca con modalità ovvero con forme di
pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario
della pretesa, il quale decide, senza che gli sia stato prospettato alcun vantaggio diretto,
di dare o promettere un’utilità, al solo scopo di evitare il danno minacciato”191;
l’induzione, invece, si verifica “quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico
servizio agisca con modalità o forme di pressione più blande, tali da lasciare un
margine di scelta al destinatario della pretesa, che concorre nel reato perché gli si
prospetta un vantaggio diretto”. Un elemento di ambiguità, però, permaneva in questa
pronuncia, a cagione della mancata puntualizzazione in ordine al carattere
necessariamente indebito o ingiusto del danno minacciato nella concussione e del
vantaggio perseguito dal privato nell’induzione192. Questo elemento di incertezza
sembra superato dalle altre sentenze testé menzionate.
In ogni caso, la sentenza Milanesi, rifuggendo da logiche sterilmente
semplificatorie, presta adeguata attenzione alla congerie di problemi che si sprigionano
dalla complessa e sfaccettata realtà criminologica di riferimento. Ciò conduce i giudici
della VI Sezione ad acquisire piena consapevolezza dell’impossibilità di differenziare,
nei ‘casi di confine’, una induzione da una costrizione, in base al generico parametro
del grado di condizionamento psichico dell’interlocutore.
Il fattore di incertezza nella vicenda oggetto della sentenza Milanesi riguardava,
principalmente, l’indeterminatezza della minaccia avanzata dal p.a., che adottava una
strategia comunicativa più allusiva che smaccatamente minatoria. Il reato contestato era
un tentativo di concussione perpetrato, in abiti civili e fuori dal servizio, da un poliziotto
ai danni di una giovane prostituta, priva di permesso di soggiorno, mentre esercitava la
prostituzione per strada; l’agente, dopo averle esibito il tesserino di Polizia, le chiedeva i
documenti e la invitava a seguirlo per avere un rapporto sessuale, poiché “in quel modo
avrebbe fatto finta di non averla vista”; progetto fallito per il diniego immediatamente
opposto dalla ragazza che anzi denunciava l’episodio in questura 193. La Corte, del tutto
condivisibilmente, ha ritenuto ex ante costrittiva la condotta del p.u., giacché egli, senza
indicare l’esercizio lecito di alcun potere ovvero il compimento di uno specifico atto
doveroso, aveva minacciato alla destinataria, con modalità molto dirette, un generico
male ingiusto derivante dall’esercizio contra ius dei poteri riconosciutigli in ragione della
pubblica funzione esercitata, senza che fosse stata anche solo prospettata la possibilità di
conseguire un qualche indebito vantaggio da parte della vittima. Pertanto, l’assenza,
nella situazione considerata, di un chiaro fine di vantaggio indebito, collegato
all’omissione di un atto doveroso o al mancato esercizio lecito di un potere del p.u., ha
Cass., sez. VI, 14 marzo 2013, n. 11944, rv. 254446. La definizione di costrizione nella già citata sentenza
Oliverio (stessa data e stesso giudice estensore, F. Gramendola), è sostanzialmente coincidente; l’unica
differenza sta proprio nel mancato riferimento all’assenza di prospettazione di un vantaggio diretto.
192 Circa la sicura configurabilità del delitto di induzione allorché “il privato indotto, cedendo alle
pressioni abusive del pubblico agente, insegua un suo vantaggio illegittimo, non invece là dove insegua un
vantaggio legittimo”, M. ROMANO [nota 1], 240. Cfr. anche SEMINARA [nota 4], 1243, secondo cui la
sottoposizione del privato all’abuso induttivo “giustifica la confluenza nell’art. 319-quater anche degli atti
contrari ai doveri di ufficio”.
193 Sentenza Milanesi [nota 185],
191
51
permesso alla Corte di sciogliere ogni riserva circa la configurabilità di una tentata
concussione.
Potrebbe obiettarsi che, in un caso come questo, proprio la non specificità del messaggio
minatorio impedisca di risalire alla natura, giusta (ad es. inizio legittimo di un
procedimento di espulsione; informativa al PM, ecc.) od ingiusta (ad es. arresto
arbitrario), dei possibili atti ritorsivi. Tuttavia, la minaccia di esercitare poteri coercitivi
di polizia in modo totalmente deviato rispetto allo schema funzionale, in quanto
avvenuto, evidentemente, al di fuori di qualsiasi ordine di servizio e/o ab origine per fini
meramente prevaricatori, nonché il coinvolgimento nella pretesa indebita di un bene
altamente personale come la libertà di autodeterminazione sessuale, non possono che
deporre per un inquadramento nella (tentata) concussione.
Inoltre, nella pronuncia in discorso la Cassazione, sempre nell’intento di
‘testare’ il criterio oggettivo del vantaggio indebito alla luce del variegato quadro
criminologico di riferimento, ha integrato l’apparato argomentativo della sentenza
Melfi segnalando talune situazioni “miste” o “ambivalenti”, di minaccia-promessa,
prima
fonte
di
disagio
ermeneutico
nel
quadro
della
dicotomia
concussione/corruzione, e ora sul piano del discrimine tra concussione e induzione.
Nella filosofia politica e morale di lingua anglosassone, per denominare
pressioni ibride di questa natura, si è soliti utilizzare il neologismo “throffer”, crasi tra
threat (minaccia) e offer (offerta)194. Nello specifico campo degli abusi dei pubblici
agenti, può capitare che la pressione intimidatoria del soggetto pubblico sia affiancata,
dando luogo ad un amalgama inscindibile, dall’offerta alternativa di un vantaggio
indebito: “l’agente pubblico prospetta, in pratica, l’alternativa tra un pregiudizio ed
un vantaggio indebito, con la conseguenza che il privato che paga o promette non è
persona offesa, ma compartecipe in quanto conserva un consistente margine di
autodeterminazione e perché, indipendentemente dalla forma in cui si è manifestata la
richiesta del pubblico funzionario, egli viene «allettato» a soddisfare la pretesa dalla
possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per
diventare la ragione principale o prevalente della sua decisione (certat de lucro
captando)”195.
Se in passato queste situazioni venivano sussunte dalla giurisprudenza,
pressoché regolarmente, nella concussione, in ossequio al criterio della soggezione
psicologica del privato, il novum normativo pone la questione dell’eventuale punibilità
del privato nell’alveo dell’induzione.
Il termine fu coniato da H. STEINER, Individual Liberty, in Proceedings of the Aristotelian Society 75, 1974-75,
33 ss., spec. 36. Nella letteratura statunitense in materia di extortion e bribery, sono di questo tenore le
situazioni ambivalenti delle quali tratta J. LINDGREN, The Theory, History, and Practice of the Bribery-Extortion
Distinction, in Univ. Pennsylvania L. Rev., vol. 141, n. 5, 1993, spec. 1700 s.; v. anche I. AYRES, The Twin Faces
of Judicial Corruption: Extortion and Bribery, in Denver Univ. L. Rev. 74, 1997, spec. 1235 s.
195 Per analoghe considerazioni sul punto v. V. MONGILLO [nota 13], 146 ss., da cui sembra ripreso anche il
passo virgolettato in sentenza: “In siffatte situazioni è possibile sostenere – prendendo a prestito una
efficace metafora proposta in dottrina – che il pubblico funzionario «non si limita ad agitare il bastone del
male ingiusto, secondo gli stilemi classici della concussione, ma tende anche la carota del beneficio
indebito, quale conseguenza del pagamento illecito»”.
194
52
La decisione Milanesi enuclea, in particolare, due categorie di abuso del p.a. che
ben potrebbero transitare nel nuovo tipo della induzione indebita: il condizionare al
pagamento contra ius vuoi l’omissione di un atto doveroso sfavorevole al privato,
vuoi il compimento di un atto a contenuto discrezionale con effetti favorevoli. Nel
primo caso il vantaggio indebito coincide proprio con la mancata adozione dell’atto (ad
es. il pubblico funzionario che, accertata l’esistenza di una irregolarità, comunichi o
faccia capire al privato che “chiuderà un occhio” se verrà soddisfatta la sua pretesa);
nel secondo caso con il sicuro ottenimento di un provvedimento discrezionale, così da
riservare un trattamento di favore all’aspettativa (ad es. di futura contrattazione) del
beneficiario, rispetto a quella di altri privati titolari di interessi “concorrenti”196.
Il chiaroscuro tipico di una minaccia-offerta emerge, ad es., nel caso affrontato dalla
sentenza De Gregorio. Il comandante di un nucleo provinciale della polizia tributaria,
preposto alle verifiche fiscali delle imprese commerciali residenti nella provincia,
abusando dei propri poteri e con l’indebito utilizzo del piano di programmazione
annuale delle predette verifiche (di cui rivelava i contenuti, coperti da segreto, ad un
intermediario), “costringeva” due imprenditori a corrispondere indebitamente somme di
danaro in cambio di un “ammorbidimento” delle verifiche fiscali in corso, minacciando,
in caso contrario, esito negativo delle stesse, ovvero un loro prolungamento,
pregiudizievole per le loro attività produttive. Solleva qualche dubbio lo sbrigativo
incasellamento del fatto nella cornice della concussione, almeno per quanto concerne la
contestazione avente ad oggetto una concussione consumata, rispetto alla quale il
destinatario della pressione aveva testimoniato “di sentirsi inerme e sotto ricatto e di
dover pagare per non subire il peggio”197. Facendo astrazione dal tono impolite utilizzato
dai pubblici ufficiali, il danno minacciato era la protrazione e l’esito negativo di una
verifica fiscale; in alternativa, però, venivano promessi “interventi agevolatori”.
Ebbene, a noi sembra che, almeno nel caso in cui il privato accetti di pagare, non sia
affatto ultroneo indagare se un eventuale esito sfavorevole della verifica sarebbe stato
secundum ius, e per converso se tramite il pagamento indebito egli abbia ottenuto un
risultato finale ingiustamente favorevole.
Anche la vicenda che ha occasionato l’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite della
questione interpretativa in discorso, presenta struttura ‘mista’. Numerosi ispettori di
una Direzione provinciale del lavoro sono accusati di vari episodi di concussione
consumata o tentata a danno di titolari di imprese interessate a visite ispettive. Essi, “in
particolare, dopo avere rilevato e contestato varie irregolarità commesse da quegli
imprenditori, comportanti l’irrogazione di sanzioni pecuniarie o della sanzione
dell’immediata sospensione dell’attività, […] avevano rappresentato la possibilità di
‘azzerare’ e porre nel nulla le contestazioni già effettuate, ovvero la possibilità di non
A questa ipotesi può essere affiancata quella in cui l’indotto, grazie al versamento indebito, riceva un
trattamento preferenziale rispetto ai titolari di altri interessi, pubblici e privati, da ponderare
comparativamente nel caso concreto, secondo il tipico modus procedendi della discrezionalità
amministrativa. Sulle nozioni di discrezionalità amministrativa e valutativa si rinvia, per tutti, oltre che
alla classica opera di M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi,
Milano, 1939, spec. 72 ss., a R. VILLATA, L’atto amministrativo, in Mazzarolli et al. (a cura di), Diritto
amministrativo, 4a ed., Bologna, 2005, I, 767 ss.
197 Nell’altro caso, avente ad oggetto un tentativo di concussione naufragato con la denuncia del privato,
questo aveva subito la minaccia di fare “la fine del fratello (che aveva pagato una pesantissima multa in
esito ad una analoga verifica fiscale) ove non avesse corrisposto la somma richiesta”; modalità ritenuta
dalla Cassazione “più che idonea ad annientare la libera determinazione della persona offesa”.
196
53
elevare alcun addebito, laddove fosse stata soddisfatta la loro indebita pretesa;
alternativamente, avevano prospettato, in ipotesi di mancato accoglimento della
richiesta, la possibilità della irrogazione di sanzioni pecuniarie per importi anche
maggiori di quelli dovuti. Tali concussioni “erano state qualificate nei capi di
imputazione come meramente ‘induttive’, ma erano descritte in termini tali da lasciare
ipotizzare anche una loro riqualificazione ex art. 521, comma 1, c.p.p. da parte della
Cassazione come altrettante ipotesi “costrittive” ai sensi del novellato art. 317 c.p.:
sempre che, per l'appunto, se ne ritengano sussistenti i presupposti in base al criterio
discretivo tra concussione e induzione indebita ex art. 319 quater c.p. che verrà prescelto
dalle Sezioni Unite”198.
7.1. Valutazione: validità e ragionevolezza dell’indirizzo intermedio.
Volendo esprimere un giudizio anche sull’orientamento c.d. intermedio, ci
sembra, anzitutto, apprezzabile il lucido sforzo di confrontarsi con l’estrema varietà dei
fenomeni di locupletazione illecita mediante abuso funzionale, andando al di là della
congenita ristrettezza della fattispecie concreta di volta in volta sub iudice. Con le
sentenze Melfi e Milanesi hanno cominciato, così, a farsi strada nella riflessione
giurisprudenziale le peculiari problematiche interpretative poste dalle condotte
abusive a più elevato tasso di ambivalenza (minaccia-offerta) o dalle dinamiche
relazionali su cui insiste l’esercizio di poteri pubblici discrezionali.
Questa più ampia veduta prospettica consente di giungere ad
un’interpretazione la cui persuasività e validità obiettiva sembra discendere, proprio,
dall’aver recepito il punto più convincente dell’approccio Roscia, vale a dire la
fondazione della punibilità del destinatario della sollecitazione, “pure particolarmente
invasiva”, sulla sua “partecipazione […] ad un vantaggio personale”199; ma dall’aver,
altresì, preconizzato l’estensione della fattispecie induttiva anche a situazioni non
caratterizzate dalla prospettazione di un male “giusto”, e tuttavia a questa assimilabili
in ragione dell’opportunità lasciata al privato di orientare razionalmente la sua
condotta al rapporto costi/benefici personali. Ciò che accomuna queste ipotesi, in
definitiva, è la maggiore ampiezza dello spazio decisionale che, nonostante l’abuso
sofferto, resta a disposizione del privato, nel senso che esso non è stretto
nell’alternativa tra due mali comunque ingiusti (vera costrizione).
Il tentativo di specificare, mediante il parametro discretivo del
danno/vantaggio ingiusto, l’altrimenti impalpabile criterio del quantum di
autodeterminazione residuante in capo al privato a seguito della condotta abusiva del
p.a., sembra, così, la strada più promettente per conferire alle figure della concussione
e dell’induzione una maggiore determinatezza, legittimare in chiave teleologica la
sanzionabilità del privato indotto, e discernere il senso autentico della svolta
perseguita dal legislatore italiano con la recente novella.
In questi termini, la puntuale ricognizione di F. VIGANÒ, L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite sulla
distinzione tra concussione e induzione indebita, in questa Rivista, 30 maggio 2013.
199 Per mutuare un passaggio della sentenza Policastro [nota 132].
198
54
Soprattutto la fattispecie induttiva ne ricaverebbe sicuro giovamento: ricostruita
attorno al binomio “soggezione (abuso)-vantaggio indebito”, come a dire il lato
intimidatorio e il lato opportunistico del delitto in questione, diverrebbe del tutto
intellegibile che il privato viene punito per una ‘soggezione compiacente’ e quindi per
la sua consapevole partecipazione al disvalore del fatto200.
Eventuali problemi di disarmonia tra le comminatorie edittali, che affiorano
soprattutto nei rapporti tra induzione indebita e corruzione propria, vanno risolti dal
legislatore (o, eventualmente, dalla Corte costituzionale, sollevando quaestio legitimitatis
ex art. 3 Cost.); non dal giudice, che deve mirare all’interpretazione più rispettosa del
testo linguistico e dell’intentio legislatoris. E, in caso di dubbio tra due interpretazioni
astrattamente plausibili, sembra giusto scegliere quella più favorevole al reo, che nel
caso dell’induzione è anche quella contrassegnata da un elemento denso di significato
politico-criminale: l’abuso del p.a.
Le considerazioni che precedono sono in grado di fornire anche le coordinate esegetiche
essenziali per riconsiderare, alla luce del nuovo dettato normativo, la controversa figura
della “concussione ambientale”. Tendenzialmente, avuto riguardo alla casistica
giurisprudenziale cristallizzata nei repertori, sembra più consona una migrazione di tale
fenomenologia nella nuova fattispecie induttiva201. Un caveat è, tuttavia, doveroso. La
soluzione al problema non può essere ricavata, una volta per tutte, ricorrendo a
schematismi astratti: anche in questo caso occorre principiare da un’attenta disamina
delle note caratterizzanti la vicenda concreta. Così, quando dal contesto ambientale, ma
anche dal contegno tenuto dal p.a. (un’iniziativa, ancorché implicita, dell’intraneus è
imprescindibile, perché sia ravvisabile un abuso), sia possibile evincere in modo
inequivocabile un messaggio minatorio, cioè l’implicita minaccia di un danno ingiusto,
che rappresenti l’unica ragione della dazione indebita, allora si resta nell’ambito di
pertinenza della concussione; ma se il privato trae un beneficio indebito dall’adesione ad
un sistema di malaffare, la cornice normativa più appropriata è quella dell’induzione (o
della corruzione, in caso di piena par condicio contractualis).
Sul piano criminologico e politico-criminale, inoltre, la fattispecie induttiva, una
volta ricostruita attorno ai due perni dell’abuso prevaricatore del p.a. e del fine
determinante di vantaggio indebito del privato, può intercettare più agevolmente
della proposta Roscia quei fatti riconducibili alla fenomenologia della c.d. grand
corruption (pagamenti indebiti volti ad ottenere contratti pubblici particolarmente
redditizi), rispetto ai quali, in passato, l’extraneus riusciva sovente a sfuggire al
rimprovero penale. E’ appena il caso di ribadire, al riguardo, che ad “allarmare” gli
osservatori internazionali (WGB dell’Ocse e GRECO del Consiglio d’Europa) non erano
tanto le condotte arbitrarie di soggetti variamente muniti di potestà di controllo, di
polizia e/o sanzionatorie (poliziotti, vigili urbani, finanzieri, ispettori del lavoro, ecc.),
ma proprio il tenace e inesauribile corteo di imprenditori “sedicenti” concussi, sentiti
Per maggiori dettagli sulla nozione e sulla portata del concetto di vantaggio indebito, si rinvia al § 8.
Cfr. F. GIUNTA, Prima lettura della legge anticorruzione 6 novembre 2012, n. 190, in Giust. pen., II, 2013, 278;
M. RONCO [nota 8], 42; V. MONGILLO [nota 13], 145; V. VALENTINI [nota 16], 137; C. BENUSSI [nota 8], 864.
Contra, R. GAROFOLI [nota 54], 10.
200
201
55
come persone offese nelle aule giudiziarie, nonostante i lucrosi rapporti che riuscivano
a tessere con amministratori e funzionari pubblici, spesso tagliando fuori i concorrenti
più onesti o meno “introdotti” nel sistema illegale. È in queste ‘costanti criminologiche’
che si annidava il germe dell’insostenibile contaminazione tra ‘concussione
vittimizzante’ e ‘corruzione-mercimonio’202; a questo stato di cose il legislatore ha
cercato di porre un freno203 creando una “fattispecie intermedia”204 “posta sulla zona
di confine fra condotta sopraffattrice e scambio corruttivo”205; da questa volontà,
nonostante i limiti del prodotto legislativo, l’interprete dovrebbe cercare di trarre tutte
le conseguenze compatibili con il testo normativo206.
8. Precisazioni sulle nozioni di “danno ingiusto” e “vantaggio indebito”.
Ciò che è mutato con la novella del 2012 non sono le nozioni di base (generiche)
di “costrizione” e “induzione”, imperniate sulla maggiore o minore gravità della
pressione psichica esercitata sul privato; ad essere variati sono i parametri normativi in
base ai quali operare una differenziazione che sia coerente, sul piano assiologico e
politico-criminale, con “l’invertita posizione penale” del privato nelle separate ipotesi
della concussione e dell’induzione207. Non possono più assumere decisivo rilievo,
pertanto, le modalità espressive dell’abuso, né può assicurare sufficiente oggettività un
vago riferimento alla possibilità o meno di agire diversamente da parte dell’extraneus.
Decisivo, invece, è lo ‘spazio di libera determinazione’ lasciato al privato, che nella
costrizione è estremamente ridotto, vale a dire limitato alla scelta tra due mali
parimenti ingiusti, mentre nell’induzione offre ancora – nonostante l’abuso –
margini decisionali improntati al rapporto costi-benefici personali 208.
Ecco, così, che i criteri “di essenza” del danno ingiusto e del vantaggio
indebito, saldandosi con l’elemento costitutivo dell’abuso di qualità o di poteri,
possono restituire ai delitti di concussione e di induzione un tasso di maggiore
determinatezza, e al contempo orientare, di volta in volta, l’attività decisoria giudiziale
verso esiti più ragionevoli e congrui in chiave politico-criminale.
V. supra § 2.
Cfr. F. VIGANÒ, Sui supposti guasti della riforma della concussione, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2, 2013, 143
ss.; F. CINGARI [nota 112], 169; L. SALAZAR [nota 39], 4287.
204 Cfr. P. SEVERINO [nota 107], 10, secondo cui il nuovo delitto “ricalca le note della concussione per
induzione”, in linea con la nostra tradizione giuridica, e “occupa uno spazio intermedio tra la concussione
per costrizione, in cui il privato rimane vittima, e la corruzione in senso stretto, connotata da un rapporto
pienamente paritario tra pubblico agente e privato”.
205 D. PULITANÒ [nota 16], 8.
206 Come ha osservato, di recente, F.M. IACOVIELLO, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano,
2013, 87, “non si può applicare la legge e far scomparire il legislatore. È grottesco pensare che la legge, una
volta in vita, si ammutini rispetto a chi l’ha generata”.
207 Che questo sia il dato veramente cruciale è nitidamente sottolineato anche da D. BRUNELLI, Il diritto
penale delle fattispecie criminose, Torino, 2a ed., 2013, 168. Cfr. anche A. SESSA [nota 16], 319.
208 Tra i costi: il male prospettato, il rischio di atti ritorsivi, la stessa dazione indebitamente richiesta, ecc.
202
203
56
Circa la loro portata occorre, però, ancora qualche precisazione.
(a) Innanzitutto, va ribadito che i criteri in esame vanno considerati non solo
nella loro oggettività, ma anche dal punto di vista della proiezione nella sfera
conoscitiva e volitiva delle parti. Infatti, in un sistema che differenzia radicalmente la
posizione del privato concusso da quella del privato indotto, diviene imprescindibile
l’indagine sul contenuto motivazionale che ha sorretto la sua condotta.
Correlativamente, le nozioni di “costrizione” ed “induzione” non possono essere
determinate sulla sola base delle modalità di azione dell’intraneus, ma anche
dell’effetto prodotto nella sfera psichica dell’extraneus209.
(b) Il “danno ingiusto” minacciato dal concussore quale alternativa alla
prestazione indebita può assumere varie forme: perdita ingiusta di un bene già
legittimamente posseduto o acquisito (ad es. revoca arbitraria di un contratto che il
patiens si è già legittimamente aggiudicato); mancata acquisizione di un bene a cui si
abbia diritto (ad es. omesso pagamento di prestazioni regolarmente effettuate,
mancata consegna di un bene regolarmente acquistato); omessa adozione di un
provvedimento vincolato favorevole (ad es. un permesso di costruire) in presenza di
tutti i presupposti di legge; ingiusta lesione di un “interesse legittimo” (si pensi, ad
es., alla lesione di una legittima aspettativa insita nella minaccia di escludere in modo
del tutto arbitrario e ingiustificato un’impresa da una gara pubblica, in assenza di un
versamento illecito; o alla minaccia da parte di un docente di bocciare uno studente ad
un esame, a prescindere dal suo livello di preparazione, in assenza di una dazione
indebita).
L’ultima ipotesi è quella più problematica perché implica l’esercizio di poteri
pubblici discrezionali. Nella vita reale, più di frequente accade che il p.a. non si limiti
a minacciare, ad es., l’illegittima esclusione da una gara, ma prometta anche, in cambio
del pagamento indebito, l’aggiudicazione certa del contratto pubblico. Limitarsi ad una
rozza prospettazione minacciosa, infatti, è più rischioso, perché accresce il pericolo di
denuncia alle autorità da parte del privato: per stemperare questo rischio il privato va
anche “allettato”, oltre che intimorito. Ebbene, in siffatti casi di “minaccia-promessa”
(o “minaccia-offerta”, throffer210), il privato che accettasse di scendere a patti, lo farebbe,
di norma, non al semplice scopo di essere trattato in modo equo, ma al preminente fine
di locupletare un vantaggio indebito a scapito dei concorrenti reali e potenziali,
eliminando in ogni caso l’alea insita nella c.d. “procedura ad evidenza pubblica”. In
questi casi, quindi, sembra tendenzialmente più corretto un inquadramento nell’art.
319-quater c.p.211.
Ma se il male minacciato sovrasta in modo così vistoso il vantaggio
alternativamente prospettato, da annichilire in ogni caso la volontà del privato, sembra
più giusto considerarlo vittima di un abuso concussivo. Si pensi, ad es., alla grave
minaccia di escludere un’impresa da ogni futuro rapporto d’affari e di revocare
Così anche C. BENUSSI [nota 8], 525, 882; S. SEMINARA [nota 72], 17, 25.
V. supra § 7.1.
211 Per ulteriori argomenti, v. V. MONGILLO [nota 13], 137 ss. In senso conf., C. BENUSSI [nota 8], 529.
209
210
57
ingiustamente un contratto di appalto di opera pubblica, di ingente valore e già
legittimamente stipulato, minaccia appena mitigata dalla promessa di concedere a
trattativa privata dei modesti lavori di manutenzione dell’opera da costruire. Si tratta,
evidentemente, di problematiche probatorie, non concettuali.
(c) Dal punto di vista contenutistico, il vantaggio indebito non deve
necessariamente consistere in un beneficio determinato, quale oggetto di una specifica
promessa del p.a. In talune vicende di abuso, per lo più di qualità, il vantaggio che
punta ad acquisire il privato si riduce alla generica benevolenza o disponibilità
‘clientelare’ del p.a., comunque potenzialmente foriera di atti o comportamenti
indebitamente vantaggiosi212.
(d) In ogni caso, sul piano operativo, l’ingiustizia del danno prospettato dal p.u.
(concussione) e il movente opportunistico di vantaggio indebito dell’extraneus
(induzione) non vanno assunti come parametri statici, smarrendo la sostanza
individualizzante della realtà e l’estrema varietà di situazioni che essa incessantemente
propone. Essi vanno intesi, piuttosto, come concetti dinamici, in grado di guidare
sinergicamente verso soluzioni applicative equilibrate, rispettose della legge e del
referente teleologico.
Per lumeggiare questo asserto, occorre riflettere su alcune situazioni di
confine, particolarmente problematiche.
(d.1) Esercizio di un potere discrezionale, in sé non illecito, al fine di ottenere
un’utilità indebita; sviamento del potere; tutela di interessi concorrenti.
Il privato che decida di piegarsi ai desiderata di un p.a. che prospetti l’esercizio
svantaggioso di un potere discrezionale, lo fa per scongiurare un danno ingiusto o per
ottenere un beneficio indebito?
Anzitutto va chiarito che la risposta a tale interrogativo non può essere
sovrapposta a quella concernente gli abusi realizzati mediante la prospettazione, a fini
intimidatori, di un atto doveroso pregiudizievole (ad es. l’applicazione di una
sanzione nei casi previsti dalla legge). Qui si pone, a ben vedere, “solo” un problema di
strumentalizzazione, non di sviamento, in senso stretto, del potere; più che di un
potere, si abusa di un dovere.
Secondo una chiave di lettura dottrinale – M. RONCO [nota 8], 48 s. –, proprio la seconda classe di casi
esprimerebbe il precipuo nucleo di disvalore dell’art. 319-quater c.p., quale figura che mostra maggiori
assonanze con la nuova corruzione per l’esercizio delle funzioni (art. 318 c.p.), rispetto alla corruzione
propria. Gli artt. 318 e 319-quater c.p., secondo questa lettura, hanno in comune “la promessa o la dazione
di un lucro indebito all’agente pubblico, in relazione all’esercizio della funzione”; anche l’induzione
indebita, così, si traduce in uno “scambio tra lucro e influenza, protezione ovvero disponibilità pro futuro”.
Le due fattispecie, invece, si differenziano per l’appartenenza solo alla prima ipotesi dell’abuso dei poteri
o della qualità, mediante cui l’intraneus riesce a pervenire alla stipula del pactum sceleris. L’A., quindi,
propone di valorizzare a fini discretivi “l’antico criterio dell’«iniziativa», esplicita o, almeno, implicita del
p.a., in passato rivelatosi inidoneo a distinguere tra corruzione e concussione”. Nel concetto di induzione,
comunque, si ritiene corretto annoverare anche i casi di prospettazione al privato di “conseguenze
dannose corrispondenti a una pretesa obiettivamente giusta, cioè tutelata dall’ordinamento giuridico” (p.
46), nonché le “situazioni che insistono in quella zona grigia che è stata talora definita in termini di
«concussione ambientale»” (p. 48).
212
58
Diverso è il caso del p.u. che prospetti, in modo del tutto estemporaneo e per
ragioni che esulano completamente dall’interesse pubblico, l’esercizio di un potere
discrezionale. Egli, in questo caso, sta certamente rappresentando lo sviamento del
potere dalla sua causa tipica, quindi un atto illegittimo, un’intromissione “ingiusta”
nella sfera giuridica del destinatario. Si pensi, ad es., al potere dell’amministrazione
finanziaria di disporre un’ispezione tributaria: qualora il potere ispettivo tributario sia
esercitato “in carenza dei presupposti di legge e/o comunque per motivi extrafiscali
(che possono essere anche persecutori e illeciti) la verifica fiscale è certamente
illegittima in quanto viziata da eccesso di potere. In tali casi, non sussistendo ragioni
giustificative della verifica, il contribuente può lamentare la violazione dei propri
diritti fondamentali” 213.
In ogni caso, per accertare in modo affidabile l’effettiva deviazione di un potere
discrezionale dalla sua causa tipica, interpretabile – se del caso – anche in chiave
concussoria, è necessario ricorrere, ancora una volta, al criterio del vantaggio
indebito214. Al riguardo, assumono valore sintomatico decisivo la genesi e il contesto
della prospettazione avente ad oggetto l’esercizio del potere discrezionale. Così, se
l’unica ragione della prospettazione è la volontà di forzare il privato a dare l’indebito,
insomma se l’esercizio del potere è solo un pretesto per raggiungere l’obiettivo illecito,
ci troviamo senza dubbio di fronte alla minaccia di un pregiudizio ingiusto. Si pensi ad
es. al finanziere che, dopo una cena in un lussuoso ristorante, per non pagare il conto,
prospetti maliziosamente una verifica fiscale il giorno successivo; oppure al poliziotto
che al solo fine di ottenere un rapporto sessuale avvicini una clandestina prefigurando
ritorsioni in caso di rifiuto. In questi casi, il privato che decida di piegarsi all’abuso, lo
fa esclusivamente per evitare un uso arbitrario e privatistico di un potere
discrezionale: egli, pertanto, è vittima di concussione.
Ma se l’atto discrezionale negativo viene prospettato nel corso di un
procedimento legittimamente instaurato o di una regolare attività amministrativa
astrattamente rispondente all’interesse pubblico (ad es. una procedura di
espropriazione per pubblica utilità, un procedimento di selezione di un militare da
trasferire ad una sede disagiata, ecc.), e il privato, cedendo alla pressione abusiva del
p.a., punti o riesca effettivamente ad ottenere un trattamento indebitamente favorevole
o preferenziale, a scapito o comunque a prescindere dagli altri interessi – pubblici e/o
privati – concorrenti, ben potrebbe trovare applicazione il delitto di induzione (o, in
caso di piena parità contrattuale, la corruzione).
(d.2) Alternative “lecite” facilmente accessibili.
La chiara minaccia di un danno ingiusto finalizzata al conseguimento di un
pagamento indebito, in linea di massima, determina la coercizione psichica che
Così F. AMATUCCI, Principi e nozioni di diritto tributario, Torino, 2a ed., 2013, 210, nt. 66. Sull’illegittimità
dell’atto ispettivo per eccesso di potere, v. anche D. SANTAMARIA, Le ispezioni tributarie, 5a ed., Milano, 2008,
119 ss., 171.
214 Questo è anche l’unico modo per evitare un’incongrua sottrazione all’alveo punitivo dell’art. 319-quater
c.p. dell’intero comparto dell’attività discrezionale della pubblica amministrazione a contenuto restrittivo
della sfera giuridica altrui.
213
59
contrassegna la concussione. Talvolta, però, l’assenza di una reale coazione potrebbe
emergere, in concreto, dalla circostanza che il privato aveva ‘a portata di mano’
un’alternativa ‘lecita’: ad es. poteva agevolmente ottenere l’atto amministrativo
desiderato da un altro pubblico ufficiale titolare di funzioni analoghe. In siffatti casi, la
condotta di chi decida comunque di percorrere la scorciatoia del pagamento illecito,
spesso sottenderà, ad una più attenta verifica, un fine utilitaristico (ad es. assicurarsi
una situazione di indebito privilegio, come la trattazione preferenziale delle proprie
pratiche); non l’innocente intentio di evitare un danno ingiusto.
(d.3) Bene preservato altamente personale.
Il privato che si sia assicurato un trattamento preferenziale grazie ad un
pagamento indebito, di norma non può dirsi coartato da colui che dovrà
avvantaggiarlo. Tuttavia, il rango particolarmente elevato dell’interesse preservato
dall’extraneus grazie alla prestazione indebita (si pensi ad un bene altamente personale
come la vita, messo in pericolo da una grave patologia), può talvolta indiziare uno
stato psicologico confinante o assimilabile alla coazione morale ex art. 54, comma 3, c.p.
Si pensi, sotto quest’ultimo profilo, al caso Abbate, riguardante concussioni perpetrate
da un noto direttore dell’unità operativa di cardiochirurgia di un ospedale siciliano ai
danni dei propri pazienti. Nella ricostruzione della Corte regolatrice, l’abuso sembra
concretarsi nello sfruttamento da parte del medico della grave situazione di disagio
psicologico in cui versava chi doveva sottoporsi ad un rischioso intervento al cuore,
giacché l’omissione del pagamento preteso per operare personalmente il paziente
avrebbe significato rinunciare alla esperienza e alla competenza del primario e tentare
invece la “sorte” affidandosi al medico di turno. La particolare forza di intimidazione
della richiesta nasceva dalla stessa professionalità del medico, che godeva di
un’incondizionata stima ed apprezzamento da parte dell’utenza dell’azienda
ospedaliera215.
Ragionando sempre pro futuro (nel procedimento in questione non era in ballo
l’eventuale punibilità dei pazienti ex art. 319-quater, comma 2, c.p., in quanto norma
sopravvenuta), va osservato che l’aspetto critico in dinamiche situazionali come quella
in discorso risiede nel fatto che il privato che decida di appagare i desiderata del medico
finisce per assicurarsi un trattamento di favore rispetto a coloro che non siano disposti a
cedere all’abuso o privi di sufficienti disponibilità economiche per farlo216. Pertanto, in
situazioni ordinarie (ad es. fissazione di esami specialistici, interventi chirurgici non
particolarmente delicati o ‘salvavita’), appare, tendenzialmente, più congruo un
inquadramento nell’induzione o nella corruzione propria, a seconda dei casi.
Un caso limite, però, sembra proprio quello oggetto della sentenza Abbate: la mancata
punizione del privato, in situazioni come quella ivi descritta, appare la soluzione più
logica e giusta, considerato anche il fatto che la richiesta indebita era preceduta da
“considerazioni molto preoccupanti in ordine alla salute dei pazienti da operare, ritenuti
in gravissime condizioni di salute”. Siamo, in altre parole, ai limiti di una situazione
cogente ex art. 54, comma 3, c.p. Peraltro, la componente coercitiva della richiesta del
“luminare” stava nell’aver condizionato il suo intervento potenzialmente decisivo alla
corresponsione di somme indebite, così da negare ingiustamente al paziente recalcitrante
ogni possibilità di essere operato dal medico più bravo ed esperto.
215
216
Cass., sez. VI, 12 marzo 2013, n. 11793, Abbate, inedita.
Cfr. F. VIGANÒ [nota 171], 156.
60
In definitiva anche il principio del danno-vantaggio deve necessariamente
essere calato nella specificità del fatto concreto. Ciò lascia residuare un margine di
opinabilità ed elasticità nell’interpretazione ed applicazione della norma al fatto
concreto; ma ciò, come diremo in sede di conclusioni, è pressoché inevitabile, specie in
una materia come quella in discorso, e per certi aspetti anche auspicabile, per non
smarrire del tutto, in alcuni ‘casi limite’, quelle che Calamandrei chiamava “le vie della
sensibilità umana e sociale”.
9. Bilancio e prospettive.
Uno degli obiettivi della novella anticorruzione del 2012 era definire meglio la
terra di confine che separa i fatti di corruzione da quelli di concussione, anche in
attuazione delle sollecitazioni provenienti da organismi europei e internazionali.
Questo lodevole proposito è stato perseguito con l’introduzione di un’inedita
fattispecie intermedia di induzione (nuovo art. 319-quater c.p.), a metà strada tra
concussione e corruzione, tra abuso prevaricatore del p.a. e partecipazione paritaria al
pactum sceleris217.
Tuttavia, il modo in cui il nuovo tipo penale è stato forgiato e il non perfetto
equilibrio tra la sua cornice edittale e quella della corruzione ex art. 319 c.p. hanno
innescato gravi incertezze applicative, della cui soluzione sono state ora investite le
Sezioni Unite della Cassazione.
Cancellare questa novità normativa con un colpo di spugna, solo per tornare ad
un passato cosparso più di ombre che di luci, appare rimedio poco auspicabile218.
A nostro avviso, invece, la nuova induzione può avere un senso e disimpegnare
un ruolo utile in sede applicativa, nella misura in cui riesca davvero ad inglobare
quella casistica tradizionalmente ricadente nella “zona grigia” tra concussione e
corruzione. Rilevano, al riguardo, tutti i casi in cui, nonostante l’abuso condizionante
del p.a., il privato conservi spazi deliberativi orientati al perseguimento di indebiti
vantaggi personali, specifici o anche indeterminati: omissione di un atto dovuto
sfavorevole, ottenimento di un beneficio indebito prospettato in alternativa ad un
pregiudizio (minaccia-offerta), mero consolidamento pro futuro – cioè in vista di una
serie imprecisata di vantaggi – della relazione con un funzionario pubblico, in
V. MONGILLO [nota 13], 142; C. BENUSSI [nota 8], 860, 885.
V. D. BRUNELLI, Paradossi e limiti della attuale realpolitik in materia penale, in Arch. pen., 2013, n. 2, 7, il
quale con riferimento al recente d.d.l. 15 marzo 2013 (AS n. 19), primo firmatario il sen. Grasso, che punta
tra l’altro a cancellare la previsione di pena per il privato “indotto”, osserva che esso comporterebbe “un
completo ed immediato revirement legislativo sul punto, con un evidente effetto di disorientamento degli
operatori”.
217
218
61
situazioni potenzialmente in grado di sfociare anche in atti ritorsivi219. Entro questi
termini, la nuova induzione potrebbe sia agevolare il contrasto a fenomeni lato sensu
corruttivi, finora cronicizzati proprio dagli ampi spazi di impunità concessi ai privati
dall’assorbente fattispecie di concussione, sia assicurare una più equa ripartizione del
carico sanzionatorio tra l’offer side e il demand side dei pagamenti illeciti.
E’ auspicabile, pertanto, che le Sezioni Unite della Cassazione sposino una
soluzione interpretativa che, nel rispetto della littera legis, vada in questa direzione. Tra
i vari indirizzi giurisprudenziali passati in rassegna, quello c.d. “intermedio” appare la
base più solida – sul piano ermeneutico e sistematico – a cui potersi ancorare (§ 7 e s.).
Ciò che invece esula dalle possibilità del massimo organo della nomofilachia, è
eliminare per via interpretativa aporie sistematiche e carenze del nuovo disposto
normativo. Sotto questo profilo, spetta al legislatore fare appieno la sua parte (o in via
sussidiaria al giudice delle leggi). Così, sul versante della concussione, un buon segno
di resipiscenza legislativa sarebbe “la immediata riespansione, nell’art. 317 c.p., della
soggettività attiva all’incaricato di pubblico servizio”220. Sul versante dell’induzione,
invece, perché la nuova fattispecie possa funzionare senza intoppi, occorre eliminare
l’incongruenza che vede ora il p.a. induttore destinatario di una pena edittale inferiore
(nel minimo) a chi, ceteris paribus, riceva un’utilità indebita per compiere un atto
contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.)221. Nella stessa vena, ragioni di proporzione
sanzionatoria impongono di estendere il disposto dell’art. 317-bis c.p. (pene accessorie)
anche al delitto di induzione indebita (come del resto accadeva in passato per la
concussione per induzione). Opportuno sarebbe, infine, intervenire sulla disciplina
della prescrizione.
Diversamente, una fattispecie di induzione stretta tra una nozione esorbitante
di costrizione e una più grave fattispecie di corruzione propria, è sostanzialmente
inutile ed anzi dannosa, in quanto fomite di complicazioni applicative e ulteriore
confusione in un settore già afflitto da scarsa sistematicità. Meglio sarebbe, allora,
eliminarla del tutto, preservando comunque la pregnanza esclusiva finalmente
raggiunta, nella concussione, dalle condotte stricto sensu coercitive; soluzione senz’altro
da preferire ad un revival in grande stile della vecchia concussione (induttiva), con l’uso
In un Paese come l’Italia, corroso da un’illegalità ‘sistemica’ i cui tratti distintivi sono l’opacità, la
‘sofisticazione’ e l’ambiguità di certe prassi, la casistica che ruota attorno a queste situazioni è,
inevitabilmente, cospicua.
220 Così, condivisibilmente, A. SESSA [nota 16], seconda parte, in corso di pubblicazione su Crit. dir., p. 46
del dattiloscritto. Sulla inopportunità di estromettere dalla cerchia dei soggetti attivi della concussione
l’i.p.s., la dottrina assolutamente prevalente ha subito preso una netta posizione: v., per tutti, S. SEMINARA
[nota 4], 1241 s.; A. MANNA [nota 16], 16 ss.; P. IELO, Prime note sulla riforma dei reati contro la P.A., in La resp.
amm. soc. enti, 2013, 9 ss.
221 Cfr. E. DOLCINI [nota 16], 553. Altre patenti incoerenze: il tentativo di induzione è punito meno
severamente dell’istigazione alla corruzione propria ex art. 322, comma 4, c.p.; all’interno del d.lgs. n.
231/2001, la commissione del delitto di cui all’art. 319-quater c.p. (sanzionato con la reclusione fino a tre
anni, nel caso del privato) può determinare per l’ente conseguenze sanzionatorie più gravi di una
corruzione, sia propria (reclusione da quattro a otto anni) che per l’esercizio delle funzioni (reclusione da
uno a cinque anni).
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flessibile che ne facevano le parti processuali e le testimonianze più o meno interessate
di presunti concussi in odore di correità222.
De iure condito, nell’interpretazione-applicazione dei delitti di concussione e
induzione indebita, i criteri del danno ingiusto e del vantaggio indebito, ben più
pregnanti di generiche formule psicologizzanti, possono consentire di evitare sia rigidi
ed inappaganti schematismi concettuali, sia una frammentazione casistica totalmente
abbandonata all’arbitrium iudicis.
Ovviamente, quand’anche l’interpretazione volgesse verso questi più sicuri
approdi, e fosse, altresì, raggiunto, grazie ad una rettifica legislativa, un pieno
equilibrio sanzionatorio tra le diverse figure criminose, non ogni problema verrebbe
d’emblée superato; tanto più in un sistema che ha ampliato le opzioni incriminatrici a
disposizione del giudice.
Invero, una dose di incoercibile incertezza è congenita a questa materia. Così,
anche la definizione più nitida e convincente di “costrizione” e “induzione” non
sarebbe del tutto immune da difficoltà probatorie ed applicative. La realtà empirica
sottostante, lo abbiamo già notato, è estremamente fluida. La innervano situazioni
relazionali assai variegate, spesso ambigue ed inserite in contesti opachi e volatili.
Indagare il processo motivazionale che ha sorretto le condotte di individui in carne ed
ossa, anche ricorrendo a massime di esperienza, non è mai agevole. Insomma, la
fenomenologia lato sensu corruttiva si mostra ineluttabilmente restia a lasciarsi
ingabbiare nella schematica fissità di una massima giurisprudenziale. Allo stesso
modo, anche qualora si addivenisse ad una piena concordanza di vedute
sull’interpretazione degli enunciati degli art. 317 ss. c.p., e nel singolo caso giudiziale
fosse raggiunta piena chiarezza nella verifica del thema probandum, forti diversità di
vedute potrebbero ancora manifestarsi nell’applicazione della norma al caso concreto,
quindi nella qualificazione dei fatti così come accertati (il manipolo di decisioni fin qui
esaminate ci sembra eloquente).
Per questa ragione, riteniamo che uno degli obiettivi della ricerca giuridica in
questa materia debba essere quello di enucleare, per così dire, una “mappa” sempre
più articolata e dettagliata di tipologie ‘standard’ di abuso, avuto riguardo, ad es., alla
natura discrezionale o vincolata dell’attività della pubblica amministrazione, alla sua
natura ampliativa o riduttiva della sfera giuridica dei destinatari, alle varie tecniche di
condizionamento psichico (minaccia semplice, minaccia-offerta, mera offerta, ecc.), alle
possibili modalità attive o omissive della condotta, alle diverse situazioni della vita
reale in cui l’abuso di un p.a. può insinuarsi, ecc. Uno studio (forse anche un orizzonte
nomofilattico223) casistico-applicativo, a fianco dell’ordinario processo intellettuale
interpretativo, consentirebbe, specialmente in questo magmatico settore del diritto
In tal caso sarebbe opportuno precisare normativamente che la corruzione attiva è incompatibile con
l’esclusivo fine di evitare un danno ingiusto: per una proposta in tal senso, in prospettiva di riforma, v. V.
MONGILLO [nota 13], 126 ss.
223 Da ultimo, auspica una “nomofilachia dei casi”, più che una “nomofilachia delle norme”, F.M.
IACOVIELLO [nota 206], 118.
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penale, di orientare in modo più proficuo il duro lavoro dell’interprete-giudice, ma
anche di renderlo maggiormente controllabile.
Invece, l’idea secondo cui, a fronte di una fenomenologia, alquanto articolata e
complessa, come quella che ruota attorno alle fattispecie in discorso, possa escogitarsi
una sorta di “criterio-panacea”, l’algoritmo capace di dissipare ogni dubbio
interpretativo, oltre che illusorio, è probabilmente il viatico più sicuro per lasciare la
materia totalmente alla mercé dell’intuizionismo dell’interprete.
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