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Perché avete paura? (Mc 4,40) La speranza dalle

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Perché avete paura? (Mc 4,40) La speranza dalle
Perché avete paura? (Mc 4,40)
La speranza dalle Scritture.
Serata di presentazione dell’Ottava edizione del Festival Biblico.
Santuario di Monte Berico – Vicenza, 21 marzo 2012
Con: Padre Ermes Ronchi e Marina Marcolini
Lettura dei testi: Anna Zago e Gigliola Zoroni
Interventi musicali: I nuovi Trovadori della Casa della Carità di Milano
Sommario
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Canzone di Padre D. M. Turoldo: “In Amore di Nostra Donna”
Interventi di Ermes Ronchi e Marina Marcolini: Origine della paura.
Poesia di Marina Marcolini: Giovanna
Canzone di Padre D. M. Turoldo: “Torniamo ai giorni del rischio”
Interventi di Ermes Ronchi e Marina Marcolini: Strategie bibliche contro la paura
Poesia di Marina Marcolini: La peccatrice
Interventi: Gesù speranza realizzata
Canzone Turoldo: “E canto”
Interventi di Ermes Ronchi e Marina Marcolini: Cantare la speranza
Poesie: Manuel Scorza Torres e Derek Walcott
Conclusioni
Canzone di Padre D. M. Turoldo: “Silvae”.
In amore di nostra donna
tratto da “Inni alla Vergine”
[…]
Io sono un frate dell’Ordine dei Servi di
Santa Maria, un Ordine di origine
medioevale...Figlio di quei famosi Sette
Santi fiorentini che sono tra i primi a
fondare la “compagnia dei laudesi”:
gente che si raduna per cantare alla
Vergine,
nuovi “trovadori”...poeti della Grande
Madre.
Vela che scivoli adagio sul mare
Porti il destino del mondo, lo sai
Vergine sacra piena di bellezza
Isola di speranza radice e pianta
Caravella che porti il signore sotto la vela
bianca
Ritta, discosta appena dal legno
Stava la Madre assorta in silenzio,
Tu sei la nostra natura innocente
La nostra voce avanti la colpa
Il primo segno alle nozze di Cana
Dicesti attenta: “non hanno più’ vino”
Da allora l’occhio tuo vede per primo
Si, ora Madre non abbiamo più’ vino,
I nostri amori non hanno più’ gioia
E’ senza grazia la nostra fortuna
Pure le feste non hanno più’ fede
Ma sarai tu a guidare la preghiera
Un segno grande apparve nel cielo
Era la donna vestita di sole
Sotto i suoi piedi teneva la luna
1
pareva un’ombra vestita di nero,
Neppure un gesto, lo sguardo lontano
Cosa vedevi dall’alta collina?
Madre, tu sei ogni donna che ama
Madre, tu sei ogni madre che piange
noi ti chiediamo appena di credere,
stare con te sotto il legno in silenzio:
sola risposta al mistero del mondo.
E una corona di stelle sul capo
Il santo fuoco consumi ogni male
Madre di gloria, ora sei la figura
Di come un giorno sarà’ la sua chiesa:
la sposa ornata e pronta alle nozze
la città santa che scende dal cielo
perché da soli noi siamo perduti.
perché da soli noi siamo perduti.
[...]
1. INTERVENTO
“Origine” della paura. La prima di tutte le paure: la paura di Dio.
Intervento di Padre Ermes Ronchi
Perché avete paura? La Parola di Dio, da un capo all’altro della Bibbia, conforta e incalza, ripetendo
infinite volte: non temere! Non avere paura.
Sulla bocca di Dio, di Gesù, di profeti, di donne, di re, di mendicanti per centinaia di volte (qualcuno
dice per 365 volte, una per ogni giorno dell’anno) ci raggiunge, quasi fosse il buongiorno di Dio. Ad
ogni nostro risveglio, ad ogni inizio di giornata, come nostro pane quotidiano, il ‘non temere!’ di Dio.
Perché avete paura? Sono mille i motivi, e validi. Abbiamo la paura del bambino, del fragile, del
malato, del povero, del morente. Mille motivi.
Ma il primo perché della paura risale all’origine della nostra storia:
Adamo ed Eva udirono il rumore dei passi del Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del
giorno e si nascosero in mezzo agli alberi. Ma il Signore chiamò l’uomo: Adamo, dove sei? Rispose:
Ho udito la tua voce, ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto (Gen 3, 8-10). La paura
fa la sua apparizione e non ci lascerà più.
Non perché figlia della nudità, come vorrebbe Adamo, ma di un’altra madre. Che cosa spinge Adamo
a fuggire, a nascondersi, che cosa sfigura l’Eden da giardino a covile, a tana dove accucciarsi?
Adamo fugge perché è spaventato. E chi lo spaventa è Dio. Ha paura della reazione di Dio, la paura
lo rende incapace di vivere l’incontro con il Signore, inabile a un dialogo libero e autentico con
l’Altro, sa soltanto difendersi ed attaccare. Neppure immagina il perdono.
La paura di Dio è la paura delle paure. La peggiore di tutte, quella da cui tutte le altre discendono,
come figlie naturali.
La creatura non ha più fiducia nel Creatore. La paura è, alla sua radice, un peccato di fiducia, di fede.
Così come lo stesso peccato originale: peccato di fede e non di etica; non racconta la trasgressione a
un divieto, ma lo stravolgimento del volto di Dio: Eva e Adamo credono all’immagine deviata di Dio
che il serpente trasmette: vi ha dato mille alberi, è vero, ma vi ha negato il meglio; ha paura di voi, è
geloso, vi ha proibito la cosa più importante.
Eva e Adamo credono a questa immagine perversa di Dio: un Dio che toglie e non a un Dio che dona,
un Dio che ruba libertà invece che offrire possibilità; un Dio cui importa più la sua propria legge che
non la gioia dei suoi figli, un Dio di cui non fidarsi.
Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ti sbagli su tutto, sulla storia,
sull’uomo, su te stesso, sul bene e sul male, sulla vita....
Il primo di tutti i peccati è un peccato di fede. Da qui viene la paura delle paure, radicata nella
immagine di Dio.
Dal volto temibile di Dio al volto impaurito di Adamo, entrambi Gesù è venuto a riempire di sole.
2
Intervento di MARINA MARCOLINI
Penso a quella donna e a quell’uomo che la Bibbia colloca alle origini del mondo..: non conoscevano
nessuna delle nostre paure: la paura della morte e della solitudine; l’angoscia di perdere chi si ama;
non conoscevano il dolore e camminavano sempre con braccia stracolme di doni, avevano tutto...
eppure...non avevano ciò che più conta:
la fiducia nel donatore.
Più che un peccato, c’è un inganno originario nella storia dell’uomo:
Eva e Adamo si ingannano, non credendo fino in fondo nell’amore di Dio.
E basterà questo solo dubbio, per far loro perdere la vicinanza con Lui e la felicità delle origini.
Passerà poi tanto tempo... la lunga storia del rapporto tra gli essere umani e Dio... fatta di
riavvicinamenti e alleanze e ancora tradimenti... fino a che Dio, sempre così creativo, originale,
spiazzante nelle sue proposte (trovate), rovescerà in questo modo la questione:
la donna e l’uomo non si sono fidati di Dio? E Dio si fiderà di loro!, inventandosi l’incarnazione. Si
fiderà a tal punto da consegnarsi alle loro mani inerme, vulnerabile, bisognoso e incapace di tutto: un
bimbetto che piange.
Si mette nelle mani di una ragazzina e di un uomo ferito nel suo amor proprio, un uomo tradito:
quanto di meno sicuro di quella incerta, fragile coppia?
Poche possibilità anche solo di nascere.
Eppure, si fida:
e la ragazzina dice sì, e impara a fare la madre, l’uomo tradito accetta e si mette al servizio di quei
due con tenacia ammirevole.
Dio non è un burattinaio; lascia fare a quella donna e a quell’uomo, si mette nelle loro mani e si
compie il miracolo: il creatore che si fida fino in fondo della sua creatura.
Col Natale è già ricucito lo strappo originario; un rammendo invisibile ha coperto il buco nella trama
d’amore tra Dio e l’uomo: il filo che rammenda il peccato e la paura si chiama fiducia.
Perché la fiducia è già amore.
Quando il bimbo bisognoso crescerà, salvato a fatica da pericoli mortali, piccola vita insicura,
protetta solo da un guscio di noce tra i flutti, avrà imparato a non inseguire la sicurezza né a
prometterla agli altri e non chiuderà nessuno dentro al nido protettivo di una fede chiusa e
consolatoria; no: sarà maestro di fiducia e libertà.
Spalancherà finestre, aprirà orizzonti, sarà vento nelle vele, non guinzaglio al collo.
Insegnerà anche la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra che impedisce il volo.
Sarà un liberatore di energie creative e per questo sarà amato dagli oppressi della terra.
Come le sue discepole, donne in una società dove le donne non contavano niente, schiacciate da
pregiudizi e disprezzo, bloccate dalla paura.
Come Giovanna, la moglie dell’amministratore di Erode, che sosteneva con i suoi beni il
gruppo..liberata dai dèmoni di un mondo oppressivo, e rifiorita dietro ai passi del figlio dell’uomo
Gesù.
3
Poesia: Giovanna
Gesù se ne andava per città e villaggi,
predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio.
C’erano con lui i Dodici e alcune donne
che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità:
Maria, chiamata Maddalena; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte
altre, che li servivano con i loro beni.
(Lc 8, 1-3)
Come nomadi del deserto
ogni giorno leviamo le tende.
Si lascia la frescura amica di una casa
la penombra accogliente d’un riparo
e si esce alla luce accecante
di questi torridi mesi d’estate
per ripartire ancora.
Bagaglio leggero impone il viaggio
e cuore fiducioso:
domani non so
se qualcuno aprirà la porta
ma confido nel tesoro d’amore
disseminato per strade e città:
mani e sorrisi che aprono case
e ristorano cuori.
Ogni sera è sera di festa
la festa dei gigli e degli uccelli
che godono il sole di oggi.
Cammino leggera come un nomade
ma porto con me volti e profumi e colori
e sempre più storie di uomini e donne:
ho lasciato la ricchezza del palazzo
per un arcobaleno.
Ora è libero il cuore,
ha smesso di cercare sicurezza
e giorno dopo giorno vado
di inizio in inizio, nomade d’amore.
Cammino e canto
cammino e ringrazio.
Tu hai spalancato la mia vita
sei vento che soffia e gonfia le vele
seguirti è cosa da gente coraggiosa
che si fida solo del vento.
Su rotte nuove ci porti, piene di rischi,
ogni giorno uno scoglio, una secca
e forse più avanti ci aspetta un naufragio.
Ma mi sono lasciata afferrare da te
e catturandomi mi hai liberata:
ora cammino a un passo da regina.
Come in un tuffo in acque profonde
4
dapprima ho avuto paura
ma ora ho in dono da te
un nuovo respiro.
Scintilla d’eterno mi sento
vicino a te
eretta, regale.
Con un soffio hai disperso paure
con mano ferma slegato fardelli
caricati da uomini sulle mie spalle
e ora sono arco di pietra
che dà slancio e sostiene.
Tu ti appoggi a me
povero di cose e ricco di tutto.
Io ti do pane in cambio di vita
e ho imparato da te a dare
come un povero che riceve.
La mia ricchezza è diventata feconda
i miei beni e il mio nome che apre le porte
non sono più peso che intralcia il viaggio
laccio che ostacola il passo:
sulla strada fatta insieme da tempo
con te e con i tuoi
si è cambiato l’oro in pura luce
e in fuoco che spinge la carovana.
Con gli occhi nel sole
a ogni alba io so
che rinunciare per te
è uguale a fiorire.
Canzone: Torniamo ai giorni del rischio
Torniamo ai giorni del rischio,
quando tu salutavi a sera
senza essere certo mai
di rivedere l’amico al mattino.
E i passi della ronda nazista
dal selciato ti facevano eco
dentro il cervello, nel nero
silenzio della notte
Torniamo a sperare
come primavera torna
ogni anno a fiorire.
E i bimbi nascano ancora,
5
profezia e segno
che Dio non si è pentito.
Torniamo a credere
pur se le voci dei pergami
persuadono a fatica
e altro vento spira
di più raffinata barbarie.
Torniamo all'amore,
pur se anche del familiare
il dubbio ti morde
e solitudine pare invalicabile...
2. INTERVENTO
Figure e strategie della Bibbia contro la paura.
Intervento di Padre Ermes Ronchi
Torniamo a sperare come primavera torna ogni anno a fiorire.
La bibbia offre quasi ad ogni pagina figure e strategie contro la paura.
Sperare in ebraico si dice qiwwah, speranza è un termine connesso con qaw, la corda dei muratori, il
filo che i costruttori tendono per edificare i muri della casa, le mura della città.
Sperare evoca l’idea di una corda tesa verso, indica il tendere a... l’attendere qualcosa o qualcuno.
La speranza è come una corda tesa tra due abissi, il mio presente che tende ad un futuro.
Speranza è coltivare nel presente un buon futuro. Coltivare tutte le condizioni di fecondità delle vite e
degli spiriti.
Come nel libro di Giosuè, dove qaw indica la corda di filo scarlatto appesa alla finestra di Rahab, la
prostituta di Gerico che ha salvato gli esploratori ebrei, e quella corda salverà lei e la sua famiglia
nel giorno dello sterminio.
La speranza è una cordicella di filo scarlatto, appesa la balcone della mia vita, alla quale mi
aggrappo, perché so che il capo del filo rosso della storia è saldamente nelle mani di Dio. E Dio
salva, questo è il suo nome.
Nella Bibbia la speranza è virtù umile e drammatica. Lo vediamo dal racconto della fuga del profeta
Elia davanti ai sicari della regina Gezabele (cfr. 1Re 19,3-8). Stanchezza, paura, fame, ed Elia,
l’indomito, si arrende, si trascina al povero riparo di una ginestra e prega: «Basta Signore, non ce la
faccio più; meglio la morte di questa fuga disperata».
Sfinito, cade in un torpore, da cui una carezza lo sveglia. È un angelo, che gli fa trovare non un
cavallo pronto a divorare al galoppo la steppa di Edom, ma un pane, cotto tra due pietre, un orcio
d’acqua e una carezza. Quasi niente, eppure pane acqua e una mano, che nutre e che scuote, bastano a
restituire il futuro. Ed Elia va per quaranta giorni, sulle sue gambe, non sulle ali di miracoli, si tende
la sua corda fino al monte di Dio, l’Oreb.
Se pane acqua e un angelo non ci bastano, niente ci basterà.
Ecco ciò che Dio fa: non ci lascia gettare la spugna, non accetta che ci arrendiamo, con Dio c’è
sempre un poi. Come una luce in fondo al tunnel.
Fino a che c’è fatica c’è speranza, scriveva don Milani.
La speranza è la fatica del non arrendersi alla sproporzione tra ciò che ho tra le mani e ciò che
attendo, la fatica degli occhi che si aprono.
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Come ad Agar scacciata nel deserto: sta per morire di sete con il suo bambino, si allontana dietro un
cespuglio per non assistere allo strazio dell’agonia del bimbo ed ecco: Dio le aprì gli occhi ed ella
vide un pozzo d’acqua. Dio non crea qualcosa, apre gli occhi, era già lì l’acqua e lei non riusciva a
vederla.
Dio apre gli occhi anche a noi, e vediamo ciò che già è qui, strade di cui non ci eravamo accorti,
bellezza che c’era sfuggita, vediamo un fratello in chi ci pareva straniero, la poesia nel quotidiano. Il
filo scarlatto della salvezza.
Le strategie della speranza nella Bibbia: piccole cose e occhi profondi.
Noi domandiamo segni straordinari a un Dio illusorio e non apriamo gli occhi sui segni poveri
del Dio reale. Il Dio delle piccole cose, il Dio degli occhi profondi. I segni della speranza
vengono a noi mansueti come colombe (Camus)
La corda della speranza si tende verso il futuro per lo più con piccole cose: un incontro, una
telefonata, un amico, un sms quando pensavi di non farcela più, una parola ascoltata alla radio,
letta in un libro, una luce interiore. Una carezza. Alle volte non fornisce neppure pane, ma solo
un pizzico di lievito.
Intervento di MARINA MARCOLINI
La speranza non è la virtù dei forti, ma dei deboli. I forti, i potenti contano su altro: su se stessi,
sul denaro, sugli amici influenti, sugli eserciti...
Il debole, il piccolo di Dio, si affida alla speranza, virtù bambina.
Il debole è chi sa di non poter trovare la forza in sé, di non essere autosufficiente.
Chi sa di non essere sorgente ma fiume, un fiume che a volte diventa rigagnolo e si dissecca, e
allora mette in atto la sua strategia vincente: fa spazio a Dio dentro di sé, fa agire in sé la forza di
Dio, fa affidamento in lui.
Nella Bibbia ci sono molte storie di deboli resi forti grazie alla loro fiducia in Dio.
Vivono situazioni senza uscita, disperate, assediati da nemici molto più grandi di loro,
apparentemente invincibili. Ma al colmo della paura, invece di autocommiserarsi o di
paralizzarsi, si tuffano nel vuoto.
Senza rete.
Dio li sosterrà.
Profezia di D. M. Montagna
Potessimo penetrare
ogni disperazione
- senza resa alcuna –
con un punteruolo d’oro
di candida ingenuità,
altrimenti disarmata:
per l’urgenza del Sogno.
Ci vuole una candida ingenuità per buttarsi così, a braccia aperte sperando che diventeranno ali;
bisogna credere in Dio come un bambino.
Come Davide con la sua fionda e i suoi sassi, piccolo e ridicolo davanti al gigante.
Come Giuditta, armata solo d’un velo di bellezza, in mezzo all’esercito del sanguinario Oloferne:
un agnellino in mezzo ai lupi.
Sopra, cieli come cappe di piombo, che all’improvviso e in modo del tutto imprevedibile, il
punteruolo d’oro della speranza riesce a forare.
7
Giuditta rimprovera i capi della sua città, circondata dall’esercito nemico, perché ormai vicini
alla resa: sa che proprio lì, nella sfiducia e nella disperazione Dio agisce:
«tu sei il Dio degli umili –dice- il protettore degli sfiduciati, il salvatore dei disperati».
Giuditta non sconfigge la paura con la speranza nel miracolo, ma con la fiducia che Dio farà
cose grandi in lei, per mezzo di lei; che Dio le donerà la forza per attraversare la paura e vincerla.
«io voglio compiere un’impresa che passerà di generazione in generazione...»: Giuditta sa che
Dio, misteriosamente, per sconfiggere il male ha bisogno di una fionda, qualche sasso, la mano di
un ragazzo o di una donna.
Quando tutto sembra finito e non ci sia più niente da sperare, lì, al cuore del dolore, succede
qualcosa. I giorni del rischio sono i giorni dell’apertura.
Così anche nei Salmi.
Dopo che il salmista ha presentato una situazione senza uscita, appare come un punto vuoto, qualcosa
di illogico sul piano narrativo, incongruo.
In uno scenario di dolore, paura, morte, peccato a un certo punto appare un ‘ma’.
Come nel salmo 22, ripreso da Gesù morente:
«Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato / Tu sei lontano dalla mia salvezza...»
Questo è l’inizio, tremendo, desolante, ma poi ecco quella piccola parola, quel ‘ma’ come un
punteruolo che apre un pertugio:
«Ma tu non stare lontano Signore!
salvami...! e annunzierò il tuo nome».
Nella storia c’è sempre un ‘ma’, quello che fa Dio quando sembra che sia tutto finito ma qualcosa
dice di non gettare la spugna. Perchè c’è un altro con te, la storia è in mano a Dio. E’ la teologia dei
capovolgimenti, dei rovesciamenti, che arriva fino al Magnificat.
Come nel salmo 50:
Pietà di me o Dio...
contro di te ho peccato...
quello che è male l’ho fatto..
un uomo travolto dal disgusto di sé, che vede tutta la sua vita ricoperta da un velo nero, senza futuro..
Si sente già condannato, senza scampo. Quante volte può capitare di sentirsi da buttare, falliti, inutili,
colpevoli...
.....
«ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza
purificami e sarò mondato... fammi sentire gioia...! crea in me un cuore puro...! rinnova in me uno
spirito saldo...!»
Da un uomo distrutto, un uomo ricostruito, anzi nato per la prima volta a vita vera, reso felice e col
cuore limpido, saldo nello spirito, che può addirittura diventare maestro, collaboratore del Signore in
una missione d’amore:
«insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno».
Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione.
(Giovanni Vannucci)
8
Poesia: La peccatrice
Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città,
saputo che Gesù si trovava nella casa del fariseo,
portò un vaso di profumo.
(Lc 7, 37)
Da quanti anni non ho più un nome?
Mi chiamavo Maria
– forse –.
Una delle tante Marie
di questa terra aspra.
Ma nessuno da tempo
mi chiama più con un nome:
io sono la peccatrice
la puttana.
Ho perso il nome
come si perde la strada:
dopo non sai più
come si torna indietro.
Col nome ho perso anche me stessa:
chi sono?
E dove sono?
Le mie giornate sono notti,
per dormire e per dimenticare
tutti quei corpi.
Le mie notti sono tutte uguali:
qualcuno mi cerca per comprarmi
mi tocca, mi prende
soddisfatto che io sia sua
ma è per pochi minuti
un altro poi e un altro ancora
e quando va bene
– per i miei guadagni –
avanti così fino a mattina.
Ognuno crede che io sia sua
ma io non sono di nessuno
neppure di me stessa.
Mentre mi toccano io sono altrove
in quale luogo non so.
Con chi mi piace
anche solo un po’
mi diverto
ma solo un po’
per il resto
io sono altrove.
9
Io sono una peccatrice
come uno è un paralitico
e un altro un lebbroso:
Il nostro male è diventato la nostra identità,
un nome proprio:
la Peccatrice, il Paralitico.
Poco alla volta
– non so come –
questo nuovo nome
ha raschiato via il mio
che ora non si legge più.
Non dico soltanto che io sono
la Peccatrice
per tutti quei giusti che mi guardano
storcendo la bocca,
dico che sono diventata
la Peccatrice
anche per me stessa
e questo è molto peggio.
Questa sorte non capita a nessuno
degli uomini che vengono da me di notte:
entrano di soppiatto
chiudono la porta
spesso chiedono il buio
per non mostrare la faccia
– e di vedere la mia
a nessuno importa –
fanno quello che vogliono
e poi escono, ancora di soppiatto
guardandosi intorno per non essere visti
sistemandosi un po’ i capelli, i vestiti
e rientrano subito a testa alta
nel loro nome e nel loro luogo.
E se qualcuno li vede
se qualcuno lo viene a sapere
poco importa:
loro nel loro nome, nel loro luogo
ci stanno saldi
nessuno li schioda:
sono uomini.
Come sono arrivata qui,
in questo non luogo in questo non nome
per quale strada?
Qual è stato l’inizio?
– perché un inizio c’è sempre
deve esserci –.
10
A quale capo potrei arrivare
se solo riuscissi
a dipanare questo filo
così ingarbugliato
da non assomigliare più ad una matassa,
a quelle matasse ordinate e senza un nodo
che le donne dipanano abili
per intessere una trama
una tela che dia un corpo
allo scorrere del loro tempo, delle loro vite
e parli per loro
le dica
loro, che non possono parlare?
Più cerco di sbrogliarlo
più il filo si annoda
e non ne cavo niente
se non che:
io sono la Peccatrice.
Ma io so
– mi sembra, ne ho un confuso ricordo –
che un inizio c’è stato.
Sì, perché io prima – una volta
tanto lontano nel tempo
anche se ho solo venticinque anni –
io ho amato.
Mi sforzo di ricordare
ma qualcosa dentro di me non vuole
q poi fa male, punge.
Io ho amato:
è stato prima che mi rubassero il nome
quando anzi – ora ricordo –
di nomi ne avevo due:
il mio e il suo.
Come fa male ricordare
ma quel nome – quei nomi –
quella parola rotonda che avevo in bocca
era la pienezza.
I suoi occhi!
Mi disfacevo nelle sue mani
annegavo nei suoi occhi:
erano laghi.
Avevo un nome anzi due e avevo un luogo:
ero intera.
11
Quanto male dopo!
Dolore d’abbandono.
E la Legge e le regole e i precetti
e dov’ero io dov’ero finita?
Mi avevano divisa fatta a pezzi
non ero più nel mio nome nel mio luogo
ero un caso della loro Legge
una categoria delle loro classificazioni. Ero
la Peccatrice.
Dio che male ricordarlo
che dolore grattar via
come la rogna
questo cinismo che mi porto addosso
da anni come una corazza
che mi difende da tutto
dalla voglia da bestie degli uomini
dalle loro violenze
dal disprezzo dei giusti
dal mio desiderio
– forse –
di essere amata.
Così potevo sopportare tutto e
– mi sembrava–
anche essere – forse –
felice.
Stanotte un uomo mi ha detto che c’è un rabbi
uno strano
uno che non si sa da dove sia uscito
anche se tutti sanno ch’è di Nazaret
uno che ha guarito un lebbroso
forse anche un paralitico non si sa bene
girano tante voci.
Non si schifa di niente
tocca i malati li accarezza
ha persino un seguito di donne:
i giusti si scandalizzano
ma pare che quelle donne
siano forti e fiere
belle di una bellezza luminosa:
strane, anche loro.
Non so
ne sento tante di chiacchiere di uomini
tutte le notti
– in qualche modo
devono pur riempire il vuoto mortale
che resta sospeso sopra il letto quando si alzano – però
questa è diversa
non so.
12
E se andassi a vederlo?
È nella casa di Simone oggi, mi ha detto,
il fariseo ricchissimo.
È a banchetto, la porta sarà aperta, come si usa.
Forse ce la faccio a entrare
anche se è giorno
e io dovrei stare sotto terra
come le bestie notturne
perché con la luce
nessuno mi sopporta in giro.
Ci vado.
Devo andarci.
Ecco
la porta è là
basta che attraversi la strada.
Ho un dolore allo stomaco:
dov’è andato il mio cinismo?
Ho paura.
Come una bambina.
Mi ha chiamata?
Ha detto il mio nome?
Non è possibile:
nessuno conosce il mio nome
neanch’io.
Eppure l’ho sentito:
in quella casa.
Ho paura.
E poi come vado là?
A mani vuote?
Non ho niente.
Ho questo dolore.
Dio, come fa male
ma non posso fermarmi
mi chiama
ne sono sicura.
Gli porto del profumo, un olio prezioso
il migliore che ho.
Torno a casa, lo prendo:
lui lo merita.
13
Sono tornata qui
davanti a questa casa
ecco...
Cosa sto facendo?
Da chi sto andando?
Lui mi chiama.
Passo la strada.
Entro?
Lo devo fare.
Non posso più tornare indietro.
Ecco, l’ho fatto
a occhi chiusi
ma adesso li apro
lo voglio vedere
eccolo
no
non sono i suoi questi occhi davanti a me
così pieni del solito disprezzo
lui sta più in là
eccolo
a destra
lo guardo
mi guarda.
Mi guarda negli occhi!
E io cosa faccio?
Il profumo!
Lo cospargo di profumo.
Ma emana già profumo!
Sulla testa?
No:
come posso?
Forse la veste…
No:
i piedi.
Amore
amore mio…
Cosa dico?
No, non l’ho detto.
O sì?
Chi parla in me?
14
Non ce la faccio più
sta per venirmi un pianto…
Io piango?
Sì:
io piango
piango e ti amo!
Lasciami i tuoi piedi
lascia che io li lavi come una schiava
che li accarezzi come una madre
che li riempia di tutti i baci
che ho tenuto chiusi nel cuore
per l’amore che non ho mai avuto
i baci veri
quelli che non ho mai dato.
O forse sì, una volta,
ma tanto lontano che non ricordo…
E il pianto è una piena
lo lascio andare
mi travolge come un’ondata
mi lava.
No
è lui che mi lava:
io lavo i suoi piedi con le mie lacrime
ma è lui che mi lava.
Sono tua
qui ai tuoi piedi
sciolta nel mio pianto
riversa nei miei capelli.
Sono tua
non mi appartengo più:
sono il profumo sulla tua pelle.
Essere per te!
Maria!
Lo hai detto?
L’ho sentito!
Eppure non parlavi.
Maria!
Eccomi!
15
3. INTERVENTO
Gesù speranza realizzata.
Intervento di Marina Marcolini
Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione.
Mi fa scoprire chi sono veramente, mi dà il mio vero nome.
M’incammina per strade nuove, dà un nuovo sapore alla vita.
Tira fuori dal bruco che credevo di essere, la farfalla che sono.
Come la peccatrice, toccata in profondità dall’incontro con Gesù: dalla prostituta anonima, disillusa
sulla vita e sugli uomini, alla donna che riscopre il suo sogno d’amore sepolto e risponde alla voce di
Cristo con la stessa parola, la stessa dignità e regalità dei profeti e della Madre di Dio: ‘Eccomi’.
«De statu miseriae ad statum felicitatis»: da una condizione di miseria a una di felicità, diceva Dante.
Ecco cos’è la speranza evangelica: un viaggio del cuore inquieto verso la pienezza dell’essere.
Ci sono tanti che possono testimoniare che davvero avviene così, quelli che hanno fatto l’incontro
con un Dio d’amore, forza creativa di vita, e se ne sono perdutamente innamorati, e hanno rimpianto,
come S. Agostino, di non averlo incontrato prima: «tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto
nuova...».Questo avviene anche oggi ai molti che girano il loro viso verso il sole, e ne restano
affascinati, sedotti. Come è successo anche a me.
Donne e uomini che sono stati liberati dalle loro chiusure, dalle paure e da vite anguste. Una
rivoluzione interiore.
A partire dai due di Emmaus e dagli apostoli. S. Bernardo si chiedeva quale conoscenza gli apostoli
avessero imparato da Gesù, e rispondeva: l’arte di vivere bene. L’arte di fare della propria vita
qualcosa di sapido, gustoso, dolce, come un frutto giunto a maturazione.
L’incontro con l’amore creativo e liberante trasforma, realizza ciò che promette.
E al bruco spuntano ali.
Intervento di Padre Ermes Ronchi
Il cristianesimo non è una morale, non è solo un sistema di valori. È l’incontro con Gesù, la sintesi tra
uomo e Dio, l’incontro con una persona capace di scardinare il mondo così come l’abbiamo
conosciuto.
Tutto ciò che è detto di Gesù riguarda ogni uomo: ogni cristologia è una antropologia iniziale. Lui mi
dice chi sono. Un verso di Turoldo lo esprime così:
Io non sono ancora e mai il Cristo,
ma io sono questa
infinita possibilità.
Io sono la possibilità di essere Cristo, di essere sintesi tra uomo e Dio, di abitare la terra da figlio,
fratello, custode, profeta. Sono un frammento incamminato. Lui è il volto ultimo dell’uomo. In lui c’è
il tutto di me. Tutti non siamo che un Cristo incompiuto, iniziale, incamminato.
Secondo una bella definizione del grande Tommaso d’Aquino “la speranza è il presente del futuro”.
Gesù Cristo è il futuro promesso che è diventato presente, è l’anticipo dell’uomo nuovo, il collaudo
che è possibile vivere una vita felice e piena. Questo mondo porta un altro mondo nel ventre.
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Se io spero, non è per i segni che riesco a scorgere nella cronaca spesso sanguinosa dei giorni, non
per una analisi della situazione, ma perché Dio si è impegnato, e che io sia amato dipende da lui, non
dipende da me.
Nei cataloghi delle virtù della cultura pagana la speranza non è mai compresa nell’elenco. Si tratta di
un indizio rivelatore: la speranza è una virtù prettamente teologale, il suo fondamento è in Dio.
A scorrere il Vangelo si resta sorpresi dal fatto che non ricorre mai la parola ‘speranza’ . Il termine
nasce con la Chiesa che nasce. Sempre connesso al perseverare, come lo stare ostinato delle donne
presso la croce...
Nel vangelo non c’è la parola speranza, perché c’è la realtà; non c’è la corda tesa verso il futuro
perché il futuro è già presente, è Gesù, racconto della speranza fatta carne e sangue e sogno. Questo
racconto ha tre sorgenti:
1. la sua vita, buona bella e beata.
- Buona, perché incapace di fare del male, capace di amare come nessuno.
- Bella: perché piena di amici, perché luminosa e pulsante di libertà, E il fascino di Gesù uomo libero
accende trasalimenti in ognuno di noi. Leggi il vangelo, respiri a pieni polmoni la libertà.
- E beata, cioè gioiosa: un rabbi che amava i banchetti e gli amici. Capace di commuoversi, senza
vergogna, per la carezza dei capelli intrisi di nardo. Che ha messo come cuore del vangelo 9 felicità,
9 beatitudini.
2. Seconda sorgente era il suo vangelo. In che cosa consiste la lieta notizia? è l’annuncio che è
possibile vivere bene, vivere meglio, per tutti; è possibile avere la vita in pienezza. Qui e per sempre.
E Gesù ne possiede la chiave.
3. Terza sorgente era il volto di Dio.
Gesù libera Dio da Dio, dal volto pauroso che Adamo pativa. Dal Dio che chiede sacrifici al Dio che
sacrifica se stesso per l’uomo. Finisce la paura di Dio, la madre delle paure. Dio non è buono, è
esclusivamente buono.
La vita non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio.
Cristo non ci ha dato nessun sistema di pensiero, nessuna teoria religiosa. Ci ha comunicato la vita e
ha creato in noi l’anelito verso una vita più grande . (Vannucci). Così Dio non considera i nostri
pensieri, ma prende le nostre speranze e attese e le porta avanti.
Canzone di Padre David Maria Turoldo: “E canto”
Quando il tempo mi assassina
e la gente è un assalto
e senza pietà riversa
in questa cisterna screpolata
(mio cuore!)
lacrime e dubbi e pensieri
come vipere,
allora io canto.
Quando il giorno non ha speranze
la notte è un duello solo
che si protrae nei bagliore dell'alba:
ai attesa di conoscere almeno il nome
allora io canto:
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“Non ti lascerò andare
perché è spuntata l'aurora,
o essere notturno:
un segno almeno
di benedizione
avanti che raccolga le ossa ferite
e riprenda a camminare...”
Quando non so dove andare
e come sarà l'incontro col fratello;
quando Egli scompare nell'intrico dei vichi urlo
e tu alle ore cinque della sera
sei risospinto indietro
dalla fiumana
a Oxford Street,
allora mi faccio in disparte
come un mendicante
e riprendo a cantare.
E canto canto canto
o bel sole, non so perché...
E se il cielo e' una lastra di ghiaccio
e le chiese tanti deserti
e il pontefice amarezza e delusione
e gli amici tutti lontani
e la notte alle porte
e il ritorno al convento a mani vuote,
allora attendo che dal sagrato
almeno un fanciullo mi sorrida
e poi inosservato
mi chiudo in cella
e canto.
Canto come mi piace,
a gesti,
anche senza voce e senza note,
ma canto.
4. INTERVENTO
CANTARE LA SPERANZA.
Intervento di Padre Ermes Ronchi
Eppure, io canto. Nonostante tutto, io canto...
La speranza è la testarda fedeltà all’idea che la storia e la vita siano, nonostante tutte le smentite, un
possibile cammino di salvezza.
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Una semplice metafora: nella nostra esistenza siamo accompagnati da due cagnolini, uno è la paura
l’altro è la speranza. Il cane al quale dai da mangiare di più diventa sempre più grande. L’altro
rimane piccolo. Se io alimento la paura, se le do ascolto attenzione ragione, se la nutro, essa
continuerà a crescere. Se invece custodisco e coltivo motivi di speranza, sarà questa a diventare
sempre più grande. Come una profezia che si autoavvera.
In un viaggio in Tunisia sulla soglia di una villa romana, ho trovato questo mosaico:
εν σαυτο τασ ελπιδασ εκε, fai cantare in te stesso le tue speranze, dai voce, fai echeggiare, dai
forza alle tue speranze. Falle cantare e dà loro ascolto.
Come stasera le fanno cantare i Nuovi Trovadori e i versi di Turoldo.
Non è decorazione il canto, è necessario, cantare è molto più che dire.
Ma il problema diventa: quali speranze cantano in me? che livello di obiettivi nutro per me e per i
miei? Mi accontento di un po’ di salute, un po’ di soldi, un po’ di sicurezza....
Il mio sogno: villa con piscina e Ferrari nel garage?
Queste però sono speranze che tendono alla paura, paura di perdere il livello di vita che ho raggiunto.
Perché non commisuriamo le speranze invece che al PIL, prodotto interno lordo, ad un PIF, Prodotto
Interno di Felicità?
Allora ecco, che cosa spero? voglio una famiglia felice, e amicizie belle, godere più cultura, l’onestà
e la fine della corruzione, custodire la bellezza della natura, aspetto pace per me e per la terra,
desidero giustizia per me e per tutti i figli di Dio, e libertà e rispetto a cominciare dagli ultimi? Allora
la speranza tende all’espansione della vita.
Il vangelo è il maestro della speranza, ci insegna l’espansione della vita. E ci indica il percorso: la
fiducia.
Per una mancanza di fiducia è entrata nel mondo la paura, per un atto di fiducia ne sarà esiliata.
- Fiducia nel mondo e nel suo destino. Il futuro sarà buono, il mondo non finirà nel fuoco ma
nella bellezza. Ultima visione dell’ultimo libro l’apocalisse: vidi la nuova terra scendere dal
cielo bella come una sposa pronta per l’incontro d’amore.
- Fiducia nell’altro, perché anche lui in cuore attende e cerca le stesse mie cose. Offro un
anticipo di fiducia ad ogni uomo, perché offrendola si riduce nell’altro la paura. Ed è
probabile che la spirale di fiducia generi fiducia.
- Fiducia in me stesso. Credere nell’altro e credere in me stesso sono l’interfaccia di
un’apertura alla conquista del futuro. Perché se anche l’altro fallisse, io ho fiducia in me e
allora il fallimento non tiene in scacco la mia volontà di ripresa.
- Fiducia in Dio. Ho fiducia in Lui perché lui ha fiducia in me, amo colui che mi ama, credo in
colui che crede in me, quasi un raddoppio di fiducia, una fede al quadrato.
Cantare la speranza, allora. Dando fiducia come un pregiudizio, optando per speranze grandi,
quelle che rendono davvero felice la vita, e poi cantarle, ridirle a me e agli altri «La speranza è un
essere piumato / che si posa sull’anima, / canta melodie senza parole / e non finisce mai» (E.
Dickinson).
Intervento di Marina Marcolini
Magnificare le speranze.
Magnificare: che bella parola, suona già come ciò che indica: è grande, riempie la bocca quando la
pronuncio.
Forse in italiano ne abbiamo un po’ scordato il significato.
In inglese ‘Magnification’ significa ‘ingrandimento’ (significato tecnico) e si usa per gli obiettivi, le
lenti ottiche.
Magnificare è ingrandire i nostri obiettivi, le nostre speranze.
E’ Maria nel Vangelo a cantare il Magnificat.
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Maria è una donna che ha magnificato le sue speranze.
Crede fino in fondo al sogno più grandioso mai sognato: il regno dei cieli sceso in terra. E ci voleva
un Dio per sognarlo. Nessun uomo avrebbe osato tanto:
i superbi rovesciati dal trono e gli umili innalzati, i ricchi a mani vuote e gli affamati saziati....
Un mondo dove a nessuno, nel più sperduto angolo della terra, sia negata la possibilità di fiorire, un
mondo di giustizia, di pace...
Magnificat: il più grande canto rivoluzionario dell’avvento, secondo Bonhoeffer.
Noi scuoteremmo la testa dicendo: utopie!
E invece Maria, la rivoluzionaria, ci crede così tanto che lo canta già al passato: c’è un Sogno che
urge.
Il vangelo ha inventato un tempo verbale nuovo, che prima nella grammatica non c’era: il‘presente
gravido’, e Maria ne è l’icona.
Maria incinta di Dio e di desiderio fremente di un futuro covato nel presente.
E’ il mistero dell’incarnazione a fare del presente un tempo pregnante, pieno di domani e quindi di
speranza.
Il vangelo inserisce nella vita un dinamismo, un tendere a.
La speranza è tensione verso un compimento e l’uomo una cosa in divenire.
La vita dei singoli e la storia con tutti i suoi dolori non è una tragedia, non rotola cioè verso la
catastrofe, ma avrà un lieto fine, come una commedia, una commedia divina.
Non sarà il male a vincere, ad avere l’ultima parola: perché l’opera di Dio è un costante creare: se
l’uomo distrugge, Dio ricrea, se l’uomo si ribella, fugge, Dio si riavvicina. «Tutto concorre al bene di
coloro che amano Dio» (S. Paolo) e Sant’Agostino: «tutto, anche i peccati».
Nella Divina Commedia Lucifero precipita dal cielo per peccato di superbia, scavando la voragine
infernale e con le macerie che la caduta ha prodotto, Dio costruisce una montagna, che è come una
scala. Con il vuoto che il male scava, Dio costruisce un pieno. Il male toglie, Dio dona. Da una
ferita, una guarigione.
Dio porge agli uomini una scala per salire verso di lui, verso il bene e la gioia.
Parlare della gioia richiede un gesto di coraggio. Perché la gioia cristiana è una cosa seria. Non è fuga
dal dolore e dalle durezze della vita, né euforia superficiale, ma deriva dalla convinzione di fede che
«ci assicura che siamo sempre custoditi nell’amore» e che per questo «tutto sarà bene». (Giuliana di
Norwich).
Dalle poesie di MANUEL SCORZA TORRES
Solleva il mio cuore dalla polvere,
restituisci la faccia all’esiliato,
abbatti il muro che ci separa dalla gioia.
Sono tristi le mie montagne
e tremi nella neve di sogni terribili;
so che ci aspettano carnivore tenebre,
ma so anche che nulla potranno contro l’amore.
La notte passerà.
Possono sputare le acque,
possono fucilare i passeri,
possono bruciare i versi,
possono sgozzare il dolce giglio,
possono distruggere il canto e gettarlo in un pantano,
possono metterci dinanzi ai fucili,
ma questa notte passerà.
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Un giorno saremo liberi.
La terra sarà libera.
I poeti non canteranno nell’esilio,
e non ci sarà paura, né fantocci malvagi, né penombra.
Basta che un Uomo sogni,
[...]
perché un’intera razza puzzi di farfalle!
Basta che solo uno sussurri d’aver visto l’arcobaleno di notte
perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti!
Amore dopo amore di DEREK WALCOTT
Tempo verrà
In cui con esultanza
Saluterai te stesso arrivato
Alla tua porta, nel tuo proprio specchio.
E ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
e dirà; siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
A se stesso, allo straniero che ti ha amato
Per tutta la vita, che hai ignorato
Per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore
Le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
4. CONCLUSIONI
ERMES RONCHI
La speranza è questa festa che mette in tavola la vita, - la testarda fiducia che la vita ha senso, il suo
senso è positivo, questo senso è per sempre. La testarda fiducia che io e tu, nonostante tutte le
smentite, stiamo percorrendo un cammino di salvezza.
La speranza è la fede che l’impossibile diventi possibile.
Gli angeli sono mandati a dire questo, come Gabriele a Maria: niente è impossibile a Dio...
Alla speranza ci si educa con la fiducia, con occhi profondi e non scegliendo mai nella vita in nome
della paura, ma sempre in nome dell’amore.
MARINA MARCOLINI
Da quasi tre anni per la trasmissione tv le ragioni della speranza abbiamo l’occasione e la fortuna di
incontrare persone che incarnano motivi di speranza. Sono moltissimi, molti più di quanto non
appaia, quelli che abitano la bibbia nella vita, la fanno vivere scrivendo pagine sacre giorno per
giorno. Gente che non piange più sulla propria debolezza ma ci costruisce sopra; genitori che hanno
subito il dolore più atroce, e si mettono a confortare altri; sacerdoti che attraverso la crisi vissuta sulla
loro pelle, hanno imparato due o tre cose che ora salvano quelli che sono in crisi; gente che ha
lasciato tutto dietro l’urgenza del Sogno; gente le cui ferite sono diventate feritoie attraverso le quali
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entra ed esce luce; ragazzi considerati irrecuperabili che diventano guide e guaritori d’altri...Gente
libera da due cose: da maschere e da paure!
ERMES RONCHI
La nostra terra trabocca di visionari, profeti, mistici, sognatori, coraggiosi, che non spostano la
speranza in un altrove, ma la fanno accadere nel presente. Fede speranza carità non sono teorie, sono
espressioni passionali. O sono passioni o non sono niente.
Il nostro paese trabocca di cantori e costruttori della speranza che seguono le tre grandi regole della
umana pedagogia: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura.
Vale per i singoli, e vale per tutta la chiesa se vuole tornare ad essere gaudium et spes: non avere
paura, non fare paura, liberare dalla paura.
La speranza è una virtù bambina, dice Peguy, la più piccola delle tre sorelle; la fede e la carità la
tengono per mano, sembra che siano le due adulte a tirare avanti la più piccola, invece è la virtù
bambina, la piccola speranza che trascina avanti la vita. Dio ama il piccolo, perché il piccolo non si
impone, si propone, e garantisce la mia libertà.
Un sacerdote polacco Jan Twardowski con dolce humor lo scrive in una sua poesia:
CHIARIMENTO di Jan Twardowski
Non sono venuto a convertirla, Signore,
del resto tutte le prediche sagge mi sono uscite di mente.
Da tempo ormai sono spoglio di splendore
come un eroe al rallentatore.
Non le farò venire il latte alle ginocchia
chiedendo cosa ne pensa di Merton
e discutendo non la rimbeccherò come un tacchino
con la goccia rossa al naso.
Non mi farò bello come un germano ad ottobre,
non le verserò all'orecchio la teologia col cucchiaino.
Mi siederò soltanto accanto a lei
e le confiderò il mio segreto:
che io, un sacerdote
credo a Dio come un bambino!
Canzone di Padre David Maria Turoldo: Silvae plaudite manibus
(da “Gli occhi miei lo vedranno”)
Egli è nella nube distesa sul solco nero.
Egli è nel raggio che ferisce le nube
acutissima lama
tra onda che nasce e onda che muore.
Egli è nel cuore della pietra
e dentro la conchiglia del mare.
Egli è la voce del bosco al mattino
e luce che inonda le vigne
e vento ondeggiante sul grano.
Egli è la gloria serale
nel canto azzurro di allodole
nelle risa dei bimbi sul prato.
Tutto il giorno in cammino a donare
gioia alle cerve alle rondini
in volo sui torrenti e valli.
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O selve, battete le mani
quando lo vedete passare:
sandali porta di pellegrino
o come ortolano vestito
o con sacco di mendicante,
Nel giardino lo attende la notte
alla porta sempre socchiusa...
ma non si lascia toccare.
Nessuno degli amori lo sazia.
Al balcone mi lascia un fiore
una goccia di sangue
e poi solo nella grande pianura...
Canzone di Padre David Maria Turoldo: “Allora torneremo”
Non si vedono più le stelle
sulle nostre città,
il cielo è di fogna;
e dentro le vie, nel giorno,
solo urli di mercanti.
Terra di stranieri
l’uno all’altro, case
senza figli e padri:
ognuno è nessuno
sempre più nessuno
pur nella impossibilità
di essere soli.
E non un angolo almeno,
una riva di fiume
ove gli amici
si ritrovino a cantare.
***
Ma quando più non saranno
queste capitali
e ci saranno se pur fra millenni
solo acquitrini... La gioia,
quando la terra sarà
ancora dei poveri
e basterà così poco per vivere!
Allora torneranno
a fiorire alberi
allora torneremo ad essere
amici e canteremo.
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