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1 La Catastrofe
PARTE_1_R 6-12-2002 1 10:26 Pagina 2 La Catastrofe Le catastrofi hanno da sempre caratterizzato la vita dell'Uomo. La prima catastrofe descritta nella storia è un'inondazione riferita dalla Bibbia (Genesi 7,8): "Le acque si alzarono di quindici braccia sopra le montagne che furono coperte e tutto ciò che c'era sulla Terra perì". Il Diluvio Universale aprì una serie ininterrotta di migliaia di catastrofi. Il 24 agosto dell'anno 79 d.C. Caio Plinio, più noto come Plinio il Vecchio, era arrivato da pochi giorni, inviato dall'Imperatore Tito ad assumere il comando della flotta romana di stanza a Miseno. Plinio aveva 56 anni ed era asmatico. Il suo sguardo poteva spaziare nella baia fino ad Ercolano e più in là a Pompei. Plinio depose i suoi libri e si accorse di una strana nube che s'innalzava dalla cima del Vesuvio. Per la maggior parte dei Romani, l'ipotesi che il vulcano fosse attivo pareva assurda. Uliveti e frutteti prosperavano sulle sue falde più basse ed abbondava il grano. La zona, calda e ventilata dal mare, attirava i villeggianti e numerosi patrizi avevano costruito ville bellissime. A mezzogiorno la massa incandescente eruppe dal cratere del vulcano con un immane boato, che spaccò di netto la montagna e lanciò nell'aria un'immensa nube di fuoco e ceneri, fino a 20 chilometri d'altezza, mentre la terra era lacerata da scosse. Tutti iniziarono a fuggire in modo disordinato e senza meta. Ma il peggio doveva ancora arrivare. La mattina del 25 agosto su Pompei, più distante, si rovesciò una nube infuocata, la stessa che aleggiava sul Vesuvio durante la notte. Pietre e ceneri mescolate a vapore surriscaldato viaggiavano ad almeno cento Km orari. Tutti i fuggiaschi furono annientati in un attimo e i loro corpi rimasero imprigionati nei calchi formati dalle stesse sostanze che li avevano uccisi. Il Natale del 1972 si annunciava gioioso per Managua, capitale del Nicaragua, perché la città ospitava i campionati mondiali di baseball per dilettanti. Nella sera del 22 dicembre si videro i cittadini impazzire di gioia per la vittoria della loro squadra, e pochi di loro notarono, alle ore 21.30, due brevi scosse telluriche. Quel giorno, verso mezzanotte, il dittatore del Nicaragua, Generale Anastasio Somoza, stava rientrando a casa nell'elegante quartiere di El Retiro, dopo un matrimonio. In pochi attimi tre violente scosse ondulatorie e sussultorie ridussero in macerie il 70% della città. Gli edifici in muratura crollarono sugli abitanti che dormivano e le baracche di legno, asciutte per la siccità, esplosero in fiamme. La gente correva per le strade, mentre i pochi Vigili del Fuoco sopravvissuti non potevano utilizzare i loro mezzi sepolti da tonnellate di macerie. L'ospedale più grande della città, di 800 posti letto, crollò uccidendo almeno 100 pazienti, tra cui 17 neonati del nido. Nello spiazzo antistante l'ospedale crollato il responsabile del Pronto Soccorso, il dottor Augustin Cedêno, allestì un ospedale da campo. I conducenti dei mezzi che accompagnavano i feriti tenevano i fari accesi per consentire ai medici, inginocchiati nella polvere, di arrestare emorragie e immobilizzare fratture. Complessivamente furono circa 5.000 i feriti curati in questo spiazzo all'aperto. La portata della devastazione si vide all'alba del sabato 23 dicembre. Un'area di 320 isolati nel cuore della capitale era ridotta ad un deserto disseminato di cadaveri. Una cappa di fumo denso e polvere aleggiava sulla città, mentre acqua, elettricità e linee telefoniche non esistevano più. 2 PARTE_1_R 6-12-2002 10:26 Pagina 3 Con circa 20.000 feriti e tutti e quattro gli ospedali cittadini distrutti, la città nel caos. Neppure l'Esercito riusciva a mantenere l'ordine. Ecco la cronaca di due eventi distanti tra loro, ma con il denominatore comune dell'improvviso sconvolgimento della struttura sociale. Per indicare la dimensione del problema si può citare una statistica dell'O.M.S., riferita al solo periodo che va dal 1900 al 1976, che riporta le cifre delle vittime di catastrofi naturali: 4.600.000 morti e ben 233 milioni di feriti. Per ricordare gli episodi più significativi, citiamo la cronaca, suddividendola per classi di eventi: Terremoto di Città del Mexico-1985 Catastrofi Naturali Tipo Eruzioni Vulcaniche Alluvioni Valanghe Terremoti Uragani Anno 1902 1985 1939 1916 1976 1976 1963 Luogo Montagna Peleè - Martinica Nevado del Ruiz - Colombia Cina settentrionale Tirolo - Austria Città del Guatemala Tang Chan - Cina Caraibi (uragano Flora) Deceduti 30.000 23.000 500.000 8.000 23.000 500.000 7.000 Catastrofi Tecnologiche e Sociali Tipo Incendi Incendi in ospedale Nubi Tossiche Incidenti Minerari Incidenti nella Metropolitana Incidenti Aerei Incidenti Ferroviari Incidenti nei tunnel Naufragi Esplosioni Movimenti della Folla e da Panico Incidenti Sportivi Terrorismo Anno Luogo 1970 1950 1984 1906 1903 1977 1992 1917 1999 1912 1994 1978 Discoteca di Grenoble - F Davenport - IOWA, U.S.A. Union Carbide of Bhopal - India Courrieres - F Parigi - F Due 747 aeroporto Tenerife - E Aereo su abitato - Amsterdam - NL S. Michel Maurienne - F Traforo del Monte Bianco - Italia H.M.S Titanic Traghetto (Finlandia) Los Alfaques (Spagna) 1964 1985 1955 1972 1995 2001 Lima - Peru Stadio Heysel di Bruxelles - B Autodromo di Le Mans - F Aeroporto di Lod - Israele Oklahoma City - U.S.A. Twin Towers – New York Deceduti 147 41 2.500 1.099 84 612 150 800 40 1.513 800 250 ustionati 148 400 39 75 25 300 3.880 3 PARTE_1_R 6-12-2002 10:26 Pagina 4 Uno studio più completo, peraltro ancora approssimativo, in grado di dimensionare il problema negli aspetti numerici, è quello proposto dall’O.F.D.A. (Office of U.S. Foreign Disaster Assistance), i cui dati sono stati estrapolati dal C.R.E.D. - Centro Ricerche sui Disastri dell'Università Cattolica di Lovanio in Belgio. Questo database deve essere interpretato con i limiti di una gigantesca serie di informazioni, provenienti da enti esterni al sistema di valutazione, ma in grado comunque di far comprendere la vastità dei valori numerici considerati. Incidente ferroviario – Enschede - 1999 Tipologia Catastrofe Incidenti del Traffico Valanghe Incidenti Chimici Ondate di freddo Cicloni - Tifoni Siccità Terremoti Epidemie Famine Inondazioni Carenza cibo Ondate di caldo Infestaz. da insetti Frane Blackout elettrici Tempeste Tsunami Incendi urbani Eruzioni vulcaniche Incendi boschivi Totali 4 Morti Feriti 73.303 732 162.056 464 948.494 Coinvolti 135.141 3.684 24.337 6.326 1.131.037 10.235.762 1.850.635 34.461.814 7.534.675 7.451.484 3.995 17.906 0 64.082 0 68.160 18.961 105.311 109.436 2.313 985.259 267 0 817.892 0 1.264 0 7.716 0 144.022 814 12.116 10.368 12.677 455.210 506.780 1.828.443 1.875.845 274.814.323 1.434.193.476 55.448.794 36.571.589 8.257.000 2.095.167.495 52.704.807 54.103.130 446.200 4.667.319 1.860.000 93.599.793 26.117 729.357 3.136.772 3.840.195 63.225.059 3.177.444 4.124.232.645 Senza Tetto 30.651 Numero di eventi 199.288 401.272 100.639 2316 73 447 140 1218 676 1029 525 24 2042 42 84 73 335 5 1132 40 636 180 215 175.464.660 11.232 217.937 17.340 30.129.009 568.000 7.085.206 109.005.771 0 0 2.000 13.666.361 0 14.041.186 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 5 Il data base può essere visto in forma grafica: Le cifre riportate da sole però non danno l'idea delle problematiche organizzative, sociali ed economiche che colpiscono la società, e soprattutto non indicano i danni morali che la collettività deve subire per effetto di eventi che, seppur con difficoltà, potrebbero essere mitigati se la cultura della catastrofe fosse più diffusa. Basti pensare all'impreparazione dei soccorritori che agiscono sul campo, del personale degli ospedali che devono trattare improvvisamente un elevato numero di feriti, delle Autorità che devono coordinare la sequenza dei soccorsi e della Stampa che talvolta cerca solo di trarre beneficio dal riportare notizie "d'impatto", senza svolgere il compito peculiare di fornire notizie utili alla collettività. Senza contare l'angoscia dei parenti delle presunte vittime, che attendono con ansia informazioni. Cerchiamo in questo capitolo di definire gli elementi di identificazione delle catastrofi. Definizione di Catastrofe La catastrofe è un evento dannoso per la collettività che lo subisce, con sconvolgimento dell’ordine delle cose, ed é un avvenimento in seguito al quale si verifica un’inadeguatezza brutale, ma temporanea, tra i bisogni delle persone coinvolte e i mezzi di soccorso immediatamente disponibili. Ciò significa che un evento improvviso, il più delle volte inatteso, provoca un certo numero di vittime, intendendo con tale termine non solo i feriti e i morti, ma anche tutti coloro che sono stati in qualche maniera colpiti nella salute mentale, negli affetti o economicamente. Non va dimenticata la possibilità che un evento traumatizzante possa dare luogo a sequele psichiche, anche in assenza di eventi lesivi di natura fisica. I mezzi di soccorso disponibili, insufficienti all’inizio, possono aumentare in seguito, dando la possibilità al personale di controllare la situazione in un tempo che dipende dal tipo di evento verificatosi e dall’efficienza dei dispositivi di soccorso. La catastrofe può essere paragonata ad una bilancia, i cui piatti tornano in equilibrio rapidamente se il sistema dei soccorsi (Protezione Civile) è efficiente. Nel lessico comune, si utilizzano alcuni termini, più o meno corretti e simili tra loro, che hanno pe5 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 6 rò etimologicamente origini diverse, anche se il significato pratico è identico: Cataclisma Calamità Disastro Catastrofe evento evento evento evento dovuto alle forze della natura senza intervento dell’uomo (sec. Scuola francese) inteso come disgrazia pubblica con numerose vittime imputato all’influenza sfavorevole di un astro. dannoso per la collettività che lo subisce ovvero sorte contraria E’ importante ricordare che Disastro è il termine usato nel mondo anglosassone, mentre il vocabolo Catastrofe è utilizzato frequentemente nei paesi francofoni ed in Italia. Anche se il termine Emergenza (situazione pubblica pericolosa che richiede una risposta immediata), proposta da Di Passio, può semplificare il concetto complesso di evento eccezionale. Classificazione delle Catastrofi La più importante é basata sui fattori scatenanti, che ci permette di poter valutare il rischio evolutivo, cioè la possibilità che l’evento si riproduca o continui a provocare danni alle cose e alle persone, tra le quali annoveriamo i soccorritori (fonte: Gen. Vito BRUNO - Settore P.C. Regione Piemonte - modificata). a) CATASTROFI NATURALI: Fenomeni geologici: • Terremoti – maremoti • Eruzioni vulcaniche Eventi meteorologici: • Piogge estese • Siccità • Trombe d’aria – tifoni - uragani Fenomeni idrogeologici: • Alluvioni – esondazioni • Frane • Bradisismo • Caduta di meteoriti e asteroidi • Neve - Ghiaccio - Grandine • Nebbia • Valanghe – slavine • Collasso ghiacciai Varie: • Epidemie animali b) CATASTROFI TECNOLOGICHE o ANTROPICHE: 6 Incidenti rilevanti in attività industriali: • Incendio - esplosione • Rilascio sostanze inquinanti o tossiche • Rilascio di radioattività Incidenti nei trasporti: • Aerei • Ferroviari • di Navigazione (fluviale e marittima) • Stradali • Rilascio di sostanze tossiche o radioattive Collasso dei sistemi tecnologici: • Black-out elettrico • Black – out informatico • Interruzione rifornimento idrico • Interruzione condotte di gas o oleodotti • Collasso di dighe o bacini PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 7 Incendi: • Boschivi • Urbani • industriali Varie: • crollo di immobili per abitazioni o ospedali c) CATASTROFI CONFLITTUALI E SOCIOLOGICHE: • • • • • • • • atti terroristici sommosse conflitti armati internazionali uso di armi chimiche - batteriologiche e nucleari epidemie carestie migrazioni forzate di popolazioni (campi profughi) incidenti durante spettacoli, feste e manifestazioni sportive. Altre fattori classificativi sono importanti nelle decisioni relative al tipo e all’entità dei soccorsi da mettere in campo. La configurazione geografica (zona urbana o rurale-extraurbana) e sociale (paese industrializzato o paese sottosviluppato) determinerà sia il tipo di catastrofe sia le relative conseguenze fisiche sulle persone, nonché il numero delle vittime e la rapidità dei soccorsi. L’estensione geografica (inferiore a 1 chilometro, tra 1 e 100 km., oltre 100 km) é dovuta essenzialmente al tipo di evento verificatosi, considerando che gli accidenti tecnologici sono in genere concentrati nello spazio, mentre le grandi catastrofi naturali sono generalmente estese ad intere regioni. Secondo il numero delle vittime, intese come persone coinvolte nell’avvenimento, si possono distinguere catastrofi limitate (meno di 100 vittime), medie (tra 100 e 1.000 vittime), maggiori (più di 1.000 vittime). Considerando gli effetti sulla comunità, bisogna pensare alle alterazioni dell’organizzazione sociale per danneggiamento delle vie di comunicazione, dei sistemi radio-telefonici, delle strutture pubbliche (ad esempio il municipio o la stazione dei Carabinieri) e assistenziali (ospedali). A seconda dell’entità dei danni si parlerà di catastrofi semplici o complesse. La durata dei soccorsi può essere inferiore alle 6 ore, compresa tra 6 e 24 o superiore alle 24 ore. Questo comporterà, ovviamente, delle differenze legate alle necessità di alloggiamento, vitto, igiene e riposo per i soccorritori impegnati. Effetti sulla comunità – distruzione rete viaria 7 PARTE_1_R 6-12-2002 2 10:27 Pagina 8 Cenni storici di Medicina delle Catastrofi Le guerre hanno sempre rappresentato un'ottima occasione, invero forzata, per applicare nuovi concetti dottrinali ed organizzativi. Non fa eccezione la Medicina, costretta a adattarsi agli eventi, per ottenere i migliori risultati in tema di limitazione delle perdite in vite umane e delle lesioni. Le battaglie hanno costretto i contendenti ad attuare severi protocolli medici per consentire il maggior utilizzo possibile dei soldati, anche dopo ferite e mutilazioni di notevole entità. Questa necessità, associata a motivi di tipo etico, ha dato origine alla filosofia della Medicina d'Emergenza di massa, che nel corso dei decenni ha definito i canoni comportamentali della Medicina delle Catastrofi; infatti i disastri, antropici o tecnologici, richiedono ai sistemi di soccorso modalità d’intervento diverse da quelle utilizzate nelle situazioni ordinarie. I conflitti moderni e gli atti terroristici hanno imposto alle Nazioni coinvolte una organizzazione sanitaria di emergenza con caratteristiche ben definite, allo scopo di tutelare al massimo la vita dei propri soldati impegnati in combattimento. Ciò significa l'applicazione di procedure di intervento codificate, ideate per l'impiego in condizioni di ambiente "ostile", che consentano il migliore risultato con mezzi limitati. Citiamo i conflitti, che più di altri hanno beneficiato di tecniche operative, studiate a tal fine: Luogo Data Tecniche "innovative" Problemi specifici Guerre Napoleoniche 1800 - 1815 • • • Corpo dei Barellieri (Percy) Ambulanza "volante" (Barone Larrey) Nozioni di Triage Prima Guerra Mondiale 1914 - 1918 • • • Triage ad ogni livello del fronte Vaccinazione per il tifo Radiologia per reperimento proiettili Guerra di Algeria 1956 - 62 • Evacuazione dei feriti con elicotteri adattati Vietnam 1965 - 75 • • Evacuazione con elicotteri attrezzati Med-Evac Medicalizzazione avanzata con Paramedici 1973 • Medicalizzazione avanzata "estrema" con infermieri a livello di plotone e un medico per ogni compagnia Evacuazione con elicotteri (80% dei feriti) Yom Kippur (Israele) • Falkland - Malvinas 1982 • • • • Guerra del Golfo Guerra del Kosovo 8 1991 1999 • Addestramento specifico nel viaggio di andata (3 settimane di navigazione) Prevalentemente anestesie regionali Poche intubazioni tracheali Ruolo non previsto di ustioni di massa e del freddo • Ospedali da Campo totalmente autonomi, in grado di eseguire interventi "ultraspecialistici" Ruolo del clima torrido • • Gestione di imponenti masse di profughi Cooperazione tra più Nazioni PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 9 Per comprendere quali difficoltà di tipo sanitario si debbano affrontare in situazioni estreme, occorre citare qualche esempio. Uno dei più indicativi è quello riferito alla campagna britannica per riconquistare le Isole Falkland. Le truppe inglesi hanno dovuto combattere in luoghi distanti circa 13.000 chilometri dalla madrepatria, con un’unica base di appoggio logistico (l’Isola di Ascensione, distante circa 6.000 Km dal luogo dei combattimenti), in un ambiente ostile in termini climatici. Elicottero per evacuazione sanitaria – Vietnam 1971 Va ricordato che le Isole Falkland sono vicine all’Antartico, spazzate da venti gelidi. Operare in un clima costantemente sotto lo zero termico, con punte di – 25°C, ha costretto i militari a adottare misure protettive ed operative complesse, studiate nel lungo viaggio di andata verso la zona dei combattimenti. Gli Inglesi si sono trovati coinvolti in un’azione di guerra nella quale gli Argentini hanno colpito con bombe il ponte di una nave appoggio, carica di munizioni e combustibile. L’incendio sviluppatosi ha coinvolto i soldati imbarcati, ustionandone 138. A grande distanza dai propri Ospedali, trattare un numero così imponente di lesioni da calore e da esplosione, ha scardinato ogni prevedibile protocollo sanitario. I medici inglesi hanno dovuto riservare le risorse a disposizione, improvvisamente rivelatesi insufficienti, per trattare gli ustionati con possibilità di sopravvivenza, somministrando a quelli più gravi, e quindi non salvabili, solo palliativi, analgesici e null’altro! L’esempio dovrebbe far comprendere quali terribili decisioni sono necessarie per affrontare situazioni estreme e molto diverse da quelle ordinarie. La Medicina delle Catastrofi impone un approccio “dogmatico” che è già stato citato nel capitolo 1. Campagna delle Falkland - 1982 9 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 10 Infatti, i soccorsi sanitari in caso di conflitto armato o catastrofe, devono tenere presente alcuni aspetti negativi che li caratterizzano, non presenti nel Sistema di Emergenza civile ordinario: • Le evacuazioni sanitarie non possono svolgersi in senso radiale, ma devono rispettare la geografia del fronte di combattimento o del rischio evolutivo tipico delle catastrofi. E’ necessario attivare un corridoio sicuro per evacuare i propri feriti. • Lo spazio aereo, necessario alle evacuazioni, può non essere sicuro. • I rifornimenti in materiali e farmaci possono subire arresti dovuti a combattimenti in area. • Estrema pericolosità dell'area di trattamento avanzato dei feriti. Tutti questi aspetti, presenti in un conflitto globale o limitato, devono essere valutati al fine di ottenere risultati accettabili nel trattamento dei feriti e per il loro recupero ai fini operativi, ma tenendo soprattutto presente che un'efficace capacità assistenziale, in grado di assicurare un rapido trattamento delle lesioni, consente di migliorare il morale dei combattenti. Nella Medicina delle Catastrofi esistono gli stessi problemi, che vanno affrontati con la stessa dottrina. 10 PARTE_1_R 6-12-2002 3 10:27 Pagina 11 Management e Medicina delle Catastrofi La catastrofe rappresenta un momento di profonda crisi per la comunità umana. L’improvviso squilibrio tra le risorse necessarie per affrontare la situazione e quelle disponibili, rende insufficiente la risposta fornita quotidianamente dai sistemi di soccorso territoriale e dalle strutture ospedaliere. E’ quindi importante essere pronti ad affrontare il disastro, ed esserlo significa disporre di soluzioni organizzative efficaci e di operatori preparati. In molti paesi stranieri, da tempo si organizzano corsi di formazione per creare esperti in grado di affrontare i diversi problemi scatenati da un disastro. In Europa, la realtà è ancora poco omogenea, ed in Italia, nonostante la drammatica frequenza con cui accadono eventi catastrofici, si è solo all’inizio di questo cammino. Il Dipartimento della Protezione Civile ha identificato il profilo di una figura nuova: il Disaster Manager (DI.MA.), professionista in grado di gestire, dal punto di vista organizzativo e di coordinamento, le delicate fasi dei soccorsi in caso di catastrofe. Per ciò che attiene all’ambito dei soccorsi sanitari, non esistono allo stato attuale figure specificamente formate per gestire questo ruolo, peraltro identificato nella cosiddetta Funzione 2 o Funzione sanitaria, individuata dalla Direttiva “Augustus” del Dipartimento Protezione Civile, di cui si parlerà nel Capitolo 4. L’Associazione Italiana Medicina delle Catastrofi ha proposto la creazione di due figure professionali che possano riempire questo vuoto, e che rappresentino un riferimento per una standardizzazione a livello europeo. Il Medical Disaster Manager (M.D.M.) è colui che si occupa del problema catastrofe in sede extraospedaliera. L’Hospital Disaster Manager (H.D.M.) ha invece il compito di preparare l’ospedale a sopportare l’impatto generato da un disastro, dovuto sia ad un evento esterno sia da un incidente interno alla struttura. Perché parlare di management? Spesso, leggendo le cronache che fanno seguito ad un evento drammatico come un terremoto o un’inondazione, si ha la sensazione che i soccorsi siano giunti in ritardo, in numero insufficiente e scarsamente organizzati. Al contrario, sono sottolineate le gesta quasi eroiche del singolo che, con un atto di coraggio o di prontezza, riesce a salvare i familiari, i vicini di casa o i pazienti ricoverati nel proprio reparto. Questo è un fenomeno che non riguarda solamente l’Italia, ma anche altri paesi in cui la cultura della grande emergenza è sicuramente molto più sviluppata. E’ inevitabile che il disastro sia seguito da una fase caotica in cui emergono le capacità delle persone ad affrontare singolarmente o in piccoli gruppi i primi terribili momenti. Anche nelle realtà in cui la risposta alla catastrofe è meglio organizzata, è necessario un certo lasso di tempo prima che la macchina dei soccorsi possa mettersi in moto e viaggiare speditamente. Ciò che differenzia un sistema organizzato da una risposta disordinata è la capacità di ridurre o annullare nel minore tempo possibile le conseguenze provocate dallo sbilanciamento tra risorse necessarie e disponibili. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, è necessario che molte persone con diverse professionalità lavorino insieme prima, durante e dopo la catastrofe. In ogni situazione in cui due o più persone devono collaborare per raggiungere un obiettivo altrimenti non ottenibile da un singolo individuo, è necessaria una forma di coordinamento che è definita management. Il manager è colui che, partendo da determinate risorse, deve coor11 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 12 dinare gli sforzi per raggiungere l’obiettivo. Negli ultimi anni la figura dell’operatore sanitario, ed in particolare quella del medico, ha subito un’evoluzione nella direzione della managerialità: il medico non è più soltanto il professionista che ha lo scopo di garantire la salute dei propri assistiti, ma diventa anche un manager che deve gestire oculatamente risorse non più “infinite”, sempre con l’obiettivo di garantire la qualità del prodotto finale. Nella Medicina delle Catastrofi questo concetto di gestione di risorse non infinite, ma spesso drammaticamente carenti, è al centro dell’attenzione dell’operatore. Il manager raggiunge l’obiettivo pianificando il lavoro e gli interventi. Allo stesso modo, il disaster manager non limita la sua attività al momento in cui insorge la crisi; questo significherebbe lasciare gran parte delle operazioni all’improvvisazione dei singoli. E’ invece nei momenti di tranquillità, quando il livello di allarme è basso, che è necessario creare i presupposti per ottenere una risposta efficace da mettere in pratica al momento del bisogno. E’ dunque evidente come l’attività del professionista che deve coordinare la risposta sanitaria in caso di catastrofe, ha parecchi punti di contatto con il concetto di management e di manager. I compiti del Disaster Manager Abbiamo affermato che l’obiettivo principale del Disaster Manager, Medical o Hospital che esso sia, è il ridurre prima possibile il disavanzo tra risorse necessarie e quelle disponibili. Come si raggiunge questo scopo? Le attività del Disaster Manager si svolgono in tre momenti: prima, durante e dopo l’evento. • Prima dell’evento • Pianificazione • Verifica delle procedure • Formazione degli operatori • Preparazione delle strutture e del materiale • Durante l’evento • Attivazione della risposta organizzata • Coordinamento delle operazioni • Analisi e risoluzione dei problemi • Comunicazione con i collaboratori, gli utenti ed i media • Dopo l’evento • Valutazione dei risultati • Correzione delle anomalie • Debriefing con i collaboratori Nella fase che precede l’evento, il Disaster Manager dovrà quindi esprimere le seguenti caratteristiche: • Capacità di analisi dei rischi • Capacità di ipotizzare scenari e di determinarne soluzioni efficaci • Capacità divulgative e didattiche • Capacità di organizzazione pratica Durante l’evento, dovranno emergere altre doti: • Leadership • Flessibilità, per adattare la risposta alla situazione contingente • Capacità di dare soluzioni rapide partendo da dati molto limitati • Capacità di analisi e di sintesi delle informazioni ricevute • Notevole resistenza fisica ed emotiva 12 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 13 Dopo l’evento, infine, sarà importante dimostrare i seguenti aspetti: • Capacità di autovalutazione ed autocritica • Capacità nel gestire le dinamiche psicologiche di gruppo Le attività del Disaster Manager sono influenzate dai seguenti aspetti: • Profilo professionale • Caratteristiche individuali • Situazione ambientale Il profilo professionale del Disaster Manager Esiste una figura professionale particolarmente adatta a svolgere le mansioni di Medical o Hospital Disaster Manager? Gli operatori coinvolti nella gestione degli aspetti sanitari di una catastrofe sono molti e con basi formative molto diverse. Il medico è la figura professionale di riferimento, capace di riassumere nel proprio operato le conoscenze cliniche e le capacità organizzative. Si è a lungo discusso su quale sia lo specialista più idoneo nell’affrontare l’emergenza, sia in ambito territoriale che ospedaliero. La situazione è molto disomogenea, ed in gran parte dipende dalle soluzioni organizzative prescelte nelle diverse realtà. Tuttavia, più che individuare un’area specialistica migliore rispetto alle altre, è preferibile trattare l’argomento in termini di competenze del singolo professionista. Alcuni medici presentano capacità peculiari che li rendono adeguati a gestire particolari aspetti del disaster management. Anestesisti rianimatori, chirurghi, medici d’urgenza sono preziosi nell’opera di stabilizzazione delle vittime; la capacità clinica non è però sufficiente per rendere il medico efficace nell’affrontare una situazione così diversa dal quotidiano come una catastrofe. Esiste il rischio che l’operatore “superspecializzato” applichi in questo contesto lo stesso approccio usato nella propria abituale realtà operativa: i risultati che ne conseguono sono disastrosi, poiché è possibile che le risorse, inizialmente insufficienti, siano totalmente impiegate per trattare solo pochi pazienti. Inoltre il medico, nell’affrontare l’emergenza quotidiana di vario tipo (cardiologica, respiratoria, traumatologica), assume il ruolo di “team leader”, coordinando un numero limitato di collaboratori, di solito preparati a tale scopo. In uno scenario di catastrofe, esiste un coordinamento più ampio, reso necessario dal numero delle vittime; inoltre, specie nelle fasi iniziali, è possibile che il livello di professionalità degli operatori disponibili non sia quello solito ed auspicabile. L’abitudine del medico a calarsi nel ruolo di team leader nell’emergenza quotidiana, se per molti versi ne sviluppa le capacità di leadership, può tuttavia diventare controproducente quando mancano le basi formative necessarie ad operare in situazioni di disastro, e se non si ha la capacità di adattarsi a condizioni di lavoro drammaticamente diverse da quelle usuali.Altri medici di solito non possiedono le capacità operative specialistiche sopra descritte. E’ il caso dei medici di famiglia: è però un errore imperdonabile ritenere che questi professionisti non possano avere un ruolo importante nello scenario della catastrofe. Se è vero, come si vedrà nel capitolo riguardante il triage, che la priorità di trattamento dipende in gran parte, anche se non solo, dalla gravità del quadro clinico del singolo paziente, è altrettanto importante ricordare che le necessità in termini sanitari delle vittime di una catastrofe non si esauriscono con il portare in ospedale i feriti più gravi. Spesso la catastrofe provoca un impatto così forte sulla comunità umana da ridurre drasticamente ogni possibilità di reagire utilizzando le strutture sociali preesistenti. Si immagini, ad esempio, un terremoto che provochi danni agli ospedali, e che renda difficile l’erogazione di acqua e corrente elettrica. Nascono problemi sanitari che non sono direttamente correlati all’evento, ma alle conseguenze che esso ha determinato. In uno scenario di questo tipo, l’ospedale perde gran parte della sua centralità nella risposta alla catastrofe; venendo a mancare questo riferimento, la popolazione possiede un unico altro polo cui rivolgersi: il medico di famiglia, che oltretutto conosce i propri assistiti e l’area territoriale di competenza. 13 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 14 La possibilità da parte dei medici di famiglia di dare una risposta organizzata ad una situazione così drammatica dovrebbe quindi essere pianificata in precedenza, evitando di cadere nell’errore di pensare che, una volta estratti i feriti dalle macerie, il lavoro sia finito. Lo stesso discorso vale per altri operatori, come il medico di Direzione Sanitaria. La capacità dell’ospedale di fare fronte alla grande emergenza non si limita al riuscire a trattare un gran numero di feriti in gravi condizioni, giunti improvvisamente in Pronto Soccorso. Questo è solo un aspetto del problema, per molti versi il più drammatico ed impegnativo. Ma l’assenza di una gestione globale dei problemi innescati da un evento di questo tipo, come i turni di guardia del personale, l’approvvigionamento di scorte, i contatti con altri enti e istituzioni, rischia di rendere vano ogni sforzo: l’ospedale si comporta come un centometrista, in grado di esprimere uno sforzo massimale per pochi secondi; purtroppo spesso la catastrofe presenta connotazioni più simili a quelle di una maratona. Ne consegue che tanto più complessa e prolungata sarà l’emergenza, quanto più precocemente l’organizzazione mostrerà le prime crepe. Il ruolo del medico di Direzione Sanitaria assume quindi un’importanza simile a quella dei colleghi che agiscono in prima linea nel Pronto Soccorso. Infermiere Professionale: in una situazione di catastrofe, il ruolo dell’infermiere professionale, pur nell’ambito delle norme previste dalla legge, assume una rilevanza ancora più grande. Compiti cruciali come il triage, l’evacuazione verso gli ospedali, l’assistenza a pazienti in condizioni critiche, l’organizzazione e la gestione di particolari aree di ricovero dell’ospedale, possono essere assegnati ad infermieri professionali adeguatamente formati. In alcune situazioni, come nel caso di strutture di ricovero prive di assistenza medica su 24 ore, o di mezzi di soccorso con equipaggio infermieristico, le prime fasi della risposta alla catastrofe possono essere interamente gestite da questi operatori. Il ruolo dell’infermiere professionale, anche da un punto di vista manageriale, può quindi essere determinante in caso di catastrofe, soprattutto in relazione a motivazioni personali spesso superiori a quelle dei medici. Le caratteristiche individuali Ogni individuo svolge la propria opera guidato non solo dalle conoscenze teoriche e dall’esperienza, ma influenzato anche dalla struttura della propria personalità. In un lavoro che richieda coordinamento e collaborazione, spesso il “carattere” diventa addirittura prevalente sulle capacità professionali. Questo succede quotidianamente: persone dotate di grande competenza e di abilità operativa possono indurre un peggioramento della performance nei loro collaboratori a causa delle dinamiche emotive che si vengono a creare nel gruppo. L’attività del Disaster Manager è basata sulla sua capacità di tradurre in realtà le decisioni prese e le strategie approntate. La grandezza dell’evento e le anomale condizioni ambientali rendono questo percorso più difficile rispetto ad altre situazioni. Come si è visto, in alcune fasi devono emergere doti personali non facilmente acquisibili, come la leadership, la stabilità emotiva e la resistenza fisica. Il processo attraverso cui il manager prende decisioni è chiamato “decision making”. Il decision making può svolgersi in condizioni di relativa tranquillità, disponendo dei dati necessari per identificare la migliore soluzione possibile. Purtroppo in Medicina delle Catastrofi questa è una situazione poco frequente: di solito le informazioni di cui il Disaster Manager dispone sono lacunose, specie nelle prime fasi dopo l’evento; anche durante la pianificazione è difficile prevedere tutti gli scenari che si possono presentare in caso di catastrofe con tutte le conseguenze da essi generate. Nel processo di decision making, il manager, partendo dai dati a sua disposizione, elabora soluzioni alternative al problema in esame; tra queste egli deve scegliere quella più valida (vedi fig. 1). Ogni persona, posta davanti ad un problema, attua una strategia decisionale diver14 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 15 Fig.1: il processo di decision making. sa: alcuni individui vogliono analizzare la situazione nei minimi particolari, ipotizzando un consistente numero di possibili alternative tra cui decidere; altri preferiscono scegliere rapidamente tra poche soluzioni possibili. Ovviamente, quanto più il problema è importante, tanto più le conseguenze della decisione saranno determinanti. Il modo in cui il Disaster Manager interpreta il proprio ruolo può quindi influenzare notevolmente il susseguirsi degli eventi. E’ possibile delineare alcuni “stili decisionali”, valutandone l’impatto positivo e negativo che possono produrre sull’evolversi delle operazioni. La figura 2 illustra lo stile decisionale del manager posto di fronte ad un problema: si analizza la relazione che intercorre tra la quantità di dati inerenti al problema che il manager richiede per elaborare una decisione, ed il numero di soluzioni alternative da egli prodotte a partire da tali dati. • Il manager ”integratore”: caratterizzato da atteggiamenti prudenti, tende a produrre molte soluzioni alternative solo se in possesso di numerosi dati. In assenza di questa condizione, posticipa la decisione attivando misure provvisorie il più possibile elastiche e generali. E’ dotato di grande capacità di collaborazione ed analisi, ma rischia di apparire insicuro ed indeciso, e di perdere di vista i risultati per concentrarsi sul metodo. • Il manager “gerarchico”: è di solito un accentratore di decisioni, di cui si assume ogni responsabilità. Richiede ai collaboratori altrettanta capacità di lavoro, aspettandosi i risultati prefissi nei tempi concordati. Messo davanti a decisioni prioritarie, elabora la soluzione per lui migliore accettando con difficoltà il dover discutere con altri le possibili alternative; il suo modello di management prevede la possibilità di modificare da parte sua qualsiasi decisione presa da altri manager a lui gerarchicamente inferiori. E’ molto rigoroso nel giudicare il proprio operato ed ha una visione chiara degli obiettivi. Tuttavia spesso è dispotico ed incapace di derogare responsabilità. • Il manager “decisionista”: è capace di decidere rapidamente, anche se in condizioni di carenza di informazioni, elaborando poche soluzioni alternative tra cui scegliere. Di solito è affidabile e leale con i collaboratori; può dimostrare superficialità, scarsa capacità nel gestire informazioni complesse e mentalità rigida, poco propensa ai cambiamenti. • Il manager “flessibile”: utilizza l’intuito di cui è dotato; ha ottime capacità nel variare rapidamente le strategie e nello sfruttare le condizioni che si verificano, proponendo molte soluzioni 15 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 16 alternative anche in presenza di pochi dati. Tuttavia dimostra spesso scarsa capacità nel pianificare, poca tendenza all’approfondimento e difficoltà a coordinarsi con gli altri elementi della struttura di cui fa parte. E’ quindi evidente come nessuno di questi profili si adatti perfettamente a tutte le fasi di cui si compone la risposta alla Fig. 2: Stili decisionali (Mod. da Zanetti – Montaguti e al., 1996) maxiemergenza; le doti del singolo manager possono emergere in momenti differenti, e in tale ottica vanno utilizzate. Un manager integratore è efficace in fase di pianificazione, quando capacità di analisi e di collaborazione sono più importanti di leadership o improvvisazione; un manager decisionista trova il suo ambito più favorevole nella fase di mobilitazione, in cui a fronte di poche informazioni è necessario agire rapidamente. Situazione ambientale L’ambiente può influenzare pesantemente la prestazione dell’individuo. Il fatto di lavorare in circostanze o luoghi inusuali, o con persone sconosciute, in alcuni casi provoca una caduta della performance; lo sanno bene gli sportivi che spesso hanno un rendimento nettamente peggiore quando competono in trasferta, lontano dal loro abituale campo da gioco e senza il supporto della tifoseria amica. La situazione di catastrofe è inevitabilmente caratterizzata da confusione e frenesia, almeno nelle prime fasi: anche se un buon livello di organizzazione dovrebbe limitare questo problema, è molto probabile che il Disaster Manager viva la sua prima esperienza sul campo in un ambiente tutt’altro che favorevole. La partecipazione a sessioni di simulazione può almeno in parte addestrare l’operatore ad agire in condizioni di caos: l’efficacia sarà tanto maggiore quanto più grande sarà il livello di realismo dello scenario e il grado di immedesimazione dei partecipanti. Il manager e la struttura organizzativa Molte persone sono convinte che, davanti ad un problema, la responsabilità di trovare una soluzione debba spettare ad una sola persona. Questo concetto è valido di fronte a situazioni semplici. Quando il problema diventa molto complesso e alla sua risoluzione devono concorrere molte persone, questa teoria inizia a mostrare alcuni punti deboli. Con l’aumentare della complessità, infatti, cresce la necessità di disporre di informazioni sempre più numerose ed articolate, spesso di difficile interpretazione. Paragonando il manager ad un computer, le informazioni rappresentano l’input indispensabile per elaborare la soluzione. 16 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 17 Il manager deve quindi ricevere, interpretare, analizzare le informazioni, e quindi produrre l’output, che è la decisione. Si tratta, come già visto, del processo di decision making. Se le informazioni superano le capacità di analisi del manager, la qualità del suo operato cade drammaticamente, esattamente come un computer posto davanti ad un carico elaborativo troppo elevato per la sua potenza. Il computer, la cui intelligenza consiste in una grande velocità di calcolo, reagisce a questa situazione rallentando le sue operazioni e quindi riducendo la velocità dell’output. L’uomo può invece mettere in pratica altre soluzioni per far fronte a questo sovraccarico: • garantire un’adeguata elaborazione dei dati nell’ordine in cui essi giungono, lasciando in coda quelli più recenti: in questo modo si producono decisioni corrette, ma si rischia di non valutare tempestivamente informazioni cruciali (fig 3a); • ridurre la profondità di analisi delle informazioni: non si tralascia nulla ma si incrementa il rischio di produrre decisioni inadeguate (fig 3b). • Decidere quali sono le informazioni più importanti ed elaborarle, lasciando perdere quelle apparentemente meno determinanti (fig. 3c). E’ il meccanismo di adattamento più efficace che il manager può attivare; tuttavia, permanendo la condizione di sovraccarico decisionale, tende a perdere di efficacia: i problemi inizialmente ritenuti secondari, lasciati a loro stessi, possono ingigantirsi fino al punto di richiedere una immediata soluzione. In questa situazione, il Figura 3a manager si trova quindi a dover prendere sempre più decisioni irrimandabili, ricadendo fatalmente nella necessità di dover ridurre la profondità di elaborazione. Davanti ad una situazione complessa il singolo manager, per quanto molto dotato, rischia dunque di essere travolto da un sovraccarico di decisioni da prendere. E’ quindi necessario che diversi manager, a diversi livelli e con compiti differenti, lavorino coordinati da uno di essi, che riceverà un numero limitato di informazioni molto importanti e potrà delegare gli altri compiti ai suoi collaboratori. Nell’ambito del Disaster Management si dovrebbe disporre di Disaster Manager qualificati nei punti cruciali della catena dei soccorsi: in ospedale, ad esempio, tali punti possono essere il triage, il Pronto Soccorso, la Rianimazione e le eventuali aree trasformate in Terapia Intensiva in caso di catastrofe, la Direzione Sanitaria, l’area individuata per i rapporti con il pubblico e con la stampa. Questi manager saranno coordinati Figura 3b Figura 3c Strategie di adattamento al sovraccarico decisionale. 17 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 18 da un ulteriore Hospital Disaster Manager, di solito il più esperto, che svolgerà il ruolo di Coordinatore dei Soccorsi. In ogni ambito questi operatori dovranno ricevere informazioni, elaborarle e decidere autonomamente; dovranno invece ribaltare solo i problemi più importanti al Coordinatore, il quale sarà sgravato da gran parte del lavoro e potrà concentrarsi sugli aspetti più importanti. Accanto al Coordinatore dei Soccorsi opera il Responsabile delle Informazioni. Si tratta di un operatore, anch’esso formato secondo i criteri dell’Hospital Disaster Management, che ha lo scopo di filtrare ulteriormente le informazioni in arrivo al Coordinatore, potendo in molti casi decidere autonomamente in merito ad alcuni problemi; egli tiene i contatti con i manager che operano nelle aree cruciali e, all’occorrenza, può assumere il ruolo di Coordinatore. Si tratta quindi di un ruolo chiave, di importanza quasi paritaria a quella del Coordinatore con cui dovrà strettamente collaborare, e per questa ragione sarà quest’ultimo a eseguire la scelta dell’operatore da impiegare in tal senso. Un’organizzazione di questo tipo è riproducibile anche in ambito extraospedaliero: il problema, in qualsiasi caso, è il disporre di un sufficiente numero di operatori formati. La scelta di creare pochi “superesperti” a cui affidare il comando delle operazioni in caso di catastrofe è destinata al fallimento: la loro presenza ed il loro operato trova una logica collocazione se associata ad una diffusione sempre maggiore del concetto culturale di disaster management tra gli operatori sanitari. Principi di Disaster Management Prima di iniziare a lavorare su un progetto di risposta a situazioni di disastro, qualsiasi sia la filosofia organizzativa che si intende adottare, è utile esporre e discutere quali siano i fondamenti su cui tale filosofia si basa. Di seguito sono elencati i dieci capisaldi a cui ci siamo attenuti per preparare il progetto adottato nella nostra realtà ospedaliera. Come è possibile notare, si tratta di principi generici la cui validità è mantenuta in qualsiasi situazione operativa. 1. Ottenere una attivazione tempestiva. La catastrofe il più delle volte arriva senza preavviso. La capacità di reagire prontamente significa salvare vite e limitare i danni. Un sistema molto potente e ben organizzato, ma che richiede tempo per essere attivato, produrrà risultati inferiori rispetto ad uno più modesto ma agile e immediatamente capace di reagire. Il concetto di “golden hour”, cioè l’importanza di un adeguato trattamento nei primi minuti subito dopo il trauma, rimane valido anche in caso di catastrofe. La presenza di “action-cards”, cioè di schede operative predisposte per ciascun ruolo, permette di attivare immediatamente tutte le persone coinvolte nei soccorsi, superando l’incredulità e lo smarrimento che spesso un evento catastrofico induce. 2. La risposta deve essere modulabile. Una risposta “tutto o nulla” non è vantaggiosa, perché sottrae inutilmente risorse ad altri settori, creando disagio e disservizi. Spesso inoltre la fase più drammatica che fa seguito ad un disastro è quella iniziale, e la risposta “totale” (es.: l’arrivo in ospedale di parte del personale fuori turno) il più delle volte giunge in ritardo, quando la sua utilità è relativa. La fase iniziale, dell’impatto, deve essere assorbita con le forze che sono rapidamente attivabili; in seguito le risorse, soprattutto quelle umane, devono essere impiegate con oculatezza. Se, ad esempio, in seguito ad un massiccio afflusso di pazienti in Pronto Soccorso vengono chiamati in servizio TUTTI gli operatori del reparto, per i turni di lavoro successivi non si disporrà più di personale riposato, e si sarà costretti a porre in servizio medici ed infermieri stanchi, o provenienti da altri reparti. Il risultato finale è un netto scadimento della qualità del lavoro. 18 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 19 3. Chiarire ruoli e responsabilità. Le operazioni di soccorso sono suddivise tra un numero variabile di team di soccorso (team di triage, team di assistenza pazienti di codice rosso, team di stabilizzazione). Ogni team è composto da un Team Disaster Manager che coordina uno o più operatori. Il Team Disaster Manager ha la totale responsabilità del suo gruppo e decide autonomamente in tale ambito, salvo situazioni eccezionali. Le decisioni di livello strategico sono invece prese dal o dai Coordinatori Disaster Manager, che in tal modo possono influenzare l’attività dei Team Disaster Manager. 4. Creare uno spirito di gruppo. Ogni team deve lavorare con forte motivazione e spirito di gruppo. L’insieme dei team rappresenta tuttavia un’unica entità, con gli stessi obiettivi; è compito dei Team Disaster Manager cementare lo spirito di gruppo senza suscitare forme di concorrenza con altri team. La leadership è la dote che consente di raggiungere tale obiettivo. 5. Il Piano è uno strumento Il Piano è uno strumento molto utile solo se esiste qualcuno in grado di usarlo adeguatamente. Come qualsiasi strumento, ha dei limiti di uso e in certe situazioni può essere inutile o addirittura dannoso. E, sempre come ogni strumento, più è complesso e meno facile sarà il suo utilizzo. 6. La risposta deve essere flessibile La risposta deve essere il più possibile adatta ad ogni evento; deve inoltre poter variare rapidamente in ragione di nuove esigenze o di nuovi eventi, spesso poco prevedibili in situazioni di catastrofe. 7. L’informazione è tutto Ogni disaster manager deve prendere decisioni, spesso in pochi secondi e in un clima di caos. Le decisioni saranno tanto più adeguate quanto più le informazioni su cui si fondano si saranno dimostrate esatte e tempestive. La presenza di un Disaster Manager specificamente dedicato all’analisi e alla registrazione del flusso informativo può risultare decisivo per raggiungere un adeguato livello di efficienza. 8. Business as usual In tutte le situazioni in cui è possibile, è bene che ciascun operatore faccia cose che è abituato o comunque sa fare; rispettare questa regola significa ridurre in modo significativo il numero di errori. La catastrofe non è il miglior momento per acquisire nuove capacità professionali. Alcuni operatori saranno chiamati a eseguire compiti a cui non sono particolarmente abituati (esempio: triage); è bene che essi vengano adeguatamente formati e ciclicamente rivalutati per lo svolgimento di tali compiti. 9. Investire nelle risorse umane Chi ha praticato uno sport di squadra lo sa bene: non basta uno schema o un modulo per vincere, ci vogliono buoni giocatori. Allo stesso modo, un progetto di risposta alla catastrofe, anche se ben preparato, non può funzionare senza buoni operatori. Investire negli operatori significa dare loro motivazioni, formazione e riconoscimento 10. Incontrarsi spesso e progettare nuove iniziative Fortunatamente le catastrofi sono rare. Il rovescio della medaglia è che spesso le persone coinvolte perdono interesse nell’argomento. Organizzare riunioni, far partire progetti e stages informativi, preparare simulazioni sono attività che permettono di mantenere viva ed attiva la partecipazione degli operatori. 19 PARTE_1_R 6-12-2002 4 10:27 Pagina 20 Il Soccorso Extraospedaliero in caso di Catastrofe Tipologia La medicina delle catastrofi può essere considerata l’insieme di tanti tipi di medicina tradizionale applicati ad un'emergenza collettiva, ed il cui scopo è limitare il numero delle sequele e di morti. L’intervento deve essere effettuato nel più breve tempo possibile per evitare aggravamenti delle condizioni cliniche (medicina d’urgenza), in situazioni estremamente diverse da quelle presenti in ambiente ospedaliero, se non altro perché si opera spesso all’aperto e in condizioni meteorologiche ostili (medicina sul campo). La gerarchia dei compiti organizzativi e la semplicità dei trattamenti derivano dalla medicina di guerra (medicina militare), mentre sia le tecniche sia il comportamento dei soccorritori devono subire adattamenti secondo le situazioni (medicina di adattamento), pur partendo da piani prestabiliti e sperimentati (medicina di dottrina). Principio basilare della medicina delle catastrofi é quello di salvare il maggior numero possibile di persone (medicina di massa) e di considerare, oltre alle lesioni fisiche, anche altri aspetti di chi è coinvolto in un evento straordinario, come quelli psicologici (medicina globale). Fig. 1: Medicina delle Catastrofi: caratteristiche Fig.2: Medicina delle Catastrofi: obiettivi 20 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 21 Strumenti della Medicina delle Catastrofi Sono essenzialmente tre: A) la strategia, definibile come l’elaborazione dei piani di soccorso; B ) la logistica, con cui s'intende l’insieme di personale, mezzi e materiali che sostengono i piani; C) la tattica, in altre parole l’applicazione dei piani con lo svolgimento della catena dei soccorsi. Fig.3: Medicina delle Catastrofi: strumenti A) Strategia I piani di soccorso possono essere elaborati a diversi livelli, sul modello di quelli realizzati in Francia, purché siano predisposti in tempo e collaudati. Parleremo della Strategia nel capitolo 7. B) Logistica Il supporto ai piani di soccorso sanitario é dato dalla logistica, vale a dire dall’insieme delle persone e dei mezzi necessari ad affrontare una situazione eccezionale. L’Unità Mobile di Soccorso Sanitario (U.M.S.S.) rappresenta questo insieme ed é un’unità elementare di cui é ipotizzabile la realizzazione a livello provinciale. Rappresenta una proposta logistica necessaria per espletare i soccorsi e replicata secondo le esigenze, potrebbe fare fronte a bisogni a livello regionale o nazionale. Accenneremo ai criteri logistici a fine capitolo. C) Tattica L’applicazione dei piani di soccorso sanitario comporta una successione di fasi e strutture, ognuna con le sue funzioni specifiche, integrate in modo da formare una vera e propria catena dei soccorsi sanitari. Nella catena di tipo SEMPLICE, per catastrofi limitate, si interpone una o più strutture di assistenza alle vittime (P.M.A. = Posto Medico Avanzato), tra la zona dei soccorsi e l’ospedale (H). Nella catena di tipo COMPLESSO, per catastrofi di media o maggiore entità, è presente una seconda struttura in cui si completano le cure iniziate nei vari PMA e si provvede al trasporto definitivo verso le strutture ospedaliere, il C.M.E. = Centro Medico di Evacuazione. 21 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 22 Consideriamo ora nei particolari gli ambiti operativi della catena (centrale operativa, posto medico avanzato, posti di comando, centro medico di evacuazione, ospedale) e le loro funzioni (allarme, invio dei soccorsi, recupero e raccolta delle vittime, triage e stabilizzazione delle vittime, comando, radiotrasmissioni, trasporto, accoglimento negli ospedali). Catena dei Soccorsi Sanitari Per comprendere lo svolgimento delle azioni di soccorso, consideriamo una sequenza temporale che comprende le varie fasi che si svolgono sul campo e in ogni fase considerata inseriremo i compiti dei ruoli della catena di comando del Sistema M.D.M. Fase dell'Allarme Presupposto per la riuscita dei soccorsi é l’esistenza di una struttura che svolga le funzioni di ricezione dell’allarme, di valutazione degli avvenimenti in corso e di invio modulato dei soccorsi. Questa struttura è la Centrale Operativa (C.O.), che in Italia risponde al numero telefonico “118”. Sia nelle urgenze quotidiane, sia in quelle straordinarie, occorre che i testimoni diretti o gli organismi pubblici abbiano un punto di riFig. 5 - Fasi temporali della Catena dei Soccorsi ferimento per inviare una richiesta di soccorso sanitario. Il ruolo degli operatori della Centrale Operativa é appunto quello di ricevere l’allarme, valutarne l’attendibilità, dimensionare l’evento e modulare una risposta operativa. Un esempio di risposta modulata è l’interpretazione della notizia, che giunge in C.O., di numerose vittime, a cui si applica il “fattore moltiplicativo”, differente per ogni tipologia di evento: - Incendio : fattore moltiplicativo di 2 : il ritrovamento di 6-8 vittime all'arrivo dei primi soccorsi, si traduce, sovente, a fine intervento in una quindicina di vittime - Attentato : fattore moltiplicativo di 3,a volte 4 - Trasporto passeggeri : fattore moltiplicativo di 3 - 4 (incidenti tra autobus o treni) Zona dei Soccorsi sanitari Nella zona dell’evento, tra il momento dell’allarme e quello dell’approntamento delle strutture attivate dal Sistema dei soccorsi., si verifica una serie di eventi, caratterizzati spesso e nelle primissime fasi da confusione. Centrale Operativa del S.A.M.U. 75 - Francia 22 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 23 L’improvvisazione é la prima fase in assoluto dei soccorsi, portati dalle stesse persone coinvolte nell’evento. I medici o i sanitari presenti sul posto, in attesa dei soccorsi, hanno il primo impatto con le vittime, e a loro sono raccomandati alcuni atteggiamenti da assumere in questi casi: - verificare l’avvenuta trasmissione dell’allarme precisando le caratteristiche della catastrofe - impedire il panico, dimostrando sicurezza - impedire le evacuazioni incontrollate, cioè i trasporti senza trattamento della vittima - raggruppare in un unico punto, lontano dal pericolo, tutte le vittime individuate - costituire gruppi di soccorritori con compiti precisi e limitati, sotto la guida di un responsabile - preparare l’arrivo dei soccorsi organizzati - mettersi a disposizione delle autorità fornendo un bilancio della situazione. La ricognizione, in genere effettuata dall’alto a mezzo elicottero, offre una prima valutazione dell’entità dell’evento ed in situazioni particolari, quali incidenti chimici o nucleari, deve essere compiuto da personale specializzato. Un compito analogo spetta al primo mezzo terrestre che arriva sul posto: l’equipaggio dovrà riferire alla Centrale Operativa 118 la situazione riscontrata. La settorializzazione consiste nella suddivisione dell’area dei soccorsi, attuabile nelle catastrofi di entità media e maggiore: vengono così individuate la zona, suddivisa in settori, ciascuno ulteriormente suddiImprovvisazione – Stadio Heysel (Belgio) 19855 viso in cantieri; questi ultimi costituiscono l’unità elementare in cui suddividere lo scenario. Lo scopo è di razionalizzare le risorse, per definizione limitate, distribuendole in modo uniforme, senza lasciare scoperti alcuni settori o cantieri. L’integrazione tra tutte le componenti del soccorso presenti é la condizione indispensabile affinché ognuno possa svolgere il lavoro che gli compete senza intralci esterni. Polizia, Vigili del Fuoco e personale sanitario si occuperanno rispettivamente di collegamenti e radiotrasmissioni, ordine pubblico, soccorso e salvataggio, assistenza sanitaria. Settorializzazione – Spitak (Armenia) Il risultato finale di tutte le fasi precedenti é il recupero e la raccolta delle vittime. Si può trattare di operazioni convenzionali, già praticate quotidianamente, oppure di operazioni particolari, legate all’evento, in cui l’adattamento deve essere la migliore qualità dei soccorritori. 23 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 24 Integrazione – Esercitazione di P.C. Piemonte 1992 In alcuni casi, il recupero di una vittima dalla posizione in cui si é venuta a trovare deve essere preceduta e accompagnata da cure mediche: lunga durata delle operazioni per motivi tecnici, possibilità di aggravamento delle condizioni cliniche, necessità di manovre cruente per una disincarcerazione complicata (amputazione di arti) sono situazioni che frequentemente richiedono l’intervento sanitario sul punto di ritrovamento. Si possono distinguere due tipi di Equipes sul posto: • Équipes di Triage, con compiti di se- lezione delle vittime in base alla gravità (vedi cap. 8) • Équipes di A.L.S. in grado di stabilizzare subito le vittime con funzioni vitali compromesse. Direzione dei Soccorsi Nessuna azione di soccorso, per quanto sperimentata possa essere, può svolgersi senza un comando e un coordinamento, ma occorre considerare le dimensioni dell'evento per comprendere che diversi sono gli ambiti di comando. In una catastrofe il ruolo di coordinamento appartiene al Prefetto e al Dipartimento della Protezione Civile. Pur tuttavia, nelle competenze istituzionali di queste figure non figurano decisioni dirette di tipo sanitario. Anche nelle catastrofi "ad effetto limitato", se si utilizza il termine usato dai francesi, che identifica eventi di portata ancora limitata, ma risolvibili con notevole spiegamento di mezzi, è importante identificare un responsabile operativo che gestisca gli aspetti sanitari. Questo esperto, nell'attuale situazione italiana, non esiste. E' tra i compiti di questo lavoro identificarne le caratteristiche e proporlo come "personaggio reale" in un panorama che finora non lo considera. Ricordiamo che per gestire situazioni eccezionali occorre una figura "tecnica", un esperto che sappia gestire i problemi della Catena dei Soccorsi. Quindi nelle catastrofi maggiori è presente un posto di comando sanitario (P.C.) fisso in collegamento diretto con i competenti organi della Protezione Civile, istituito possibilmente presso la stessa Centrale Operativa. Comunque, anche negli eventi limitati (si ricorda che con questo termine si indicano situazioni comunque non gestibili con i mezzi ordinari), deve invece essere previsto un posto di comando operativo (P.C.O.), in cui si trovano ed operano il Direttore Tecnico dei soccorsi (Comandante o Funzionario dei Vigili del Fuoco) e il Direttore dei soccorsi sanitari (D.S.S.) o nella nuova denominazione proposta al Dipartimento Nazionale della P.C., Medical Disaster Manager (M.D.M. Coordinatore) installato nei pressi del P.M.A. Questa figura ricalca quella statunitense dell'Incident Commander, in grado di coordinare sul campo tutte le fasi sequenziali dell'evento. L'M.D.M., figura di responsabile sanitario, deve rispondere a determinate caratteristiche, quali essere un medico esperto in medicina delle catastrofi e possedere innegabili capacità organizzative e di comando. Secondo i criteri del Disaster Management le fasi di soccorso devono essere coordinate da personale addestrato che ricopre ruoli di responsabilità nei vari livelli della catena. Possiamo ipotizzare che in ogni anello del sistema di soccorso debba essere presente un operato24 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 25 re che ragiona ed agisce in sincronia con gli altri, in modo da operare con gli stessi criteri e parlare lo stesso linguaggio. Il sistema di comando è formato da sanitari che, per convenzione, definiremo M.D.M. (Medical Disaster Managers), che con una formazione comune, gestiranno i vari settori di soccorso con compiti diversi ma con una identica filosofia. Esaminiamo la figure di coordinamento proposte: • Medico Coordinatore Soccorsi; • Responsabile delle Informazioni; • Responsabile del Triage e recupero vittime; • Responsabile del P.M.A. • Responsabile dell’Evacuazione • Responsabile dell’Area “feriti classe rossa” • Responsabile della Logistica Posto di Comando operativo – B.S.P.P. di Parigi Fig. 4 – Organizzazione del Team di Gestione dei soccorsi sul campo La gestione dei soccorsi sanitari in caso di catastrofe è un compito difficile e complesso, a causa dei numerosi problemi organizzativi imposti dall’evento stesso. I normali metodi gestionali si rivelano presto insufficienti di fronte alla moltitudine di informazioni che giungono e alle decisioni che devono essere prese in tempi brevissimi. 25 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 26 E’ indispensabile quindi organizzare una risposta rapida, efficace e dottrinale, che permetta di prendere decisioni corrette e condivise in modo univoco, seguendo una flow-chart che possa evitare la sovrapposizione di ordini e competenze. A prima vista uno strumento organizzativo che costringa gli operatori a seguire criteri dottrinali rigidi, può sembrare imposto o comunque non sufficientemente flessibile, tale da non consentire l’applicazione di quelle decisioni “personali” a cui i professionisti sono abituati nella gestione ordinaria dell’emergenza. Il concetto, in parte, può essere condiviso, ma in una situazione complessa e caotica come lo è una catastrofe, si impone un diverso approccio gestionale rispetto a quelli utilizzati in condizioni considerate “ordinarie”, come lo può essere un incidente stradale con pochi feriti ma con il Sistema 118 perfettamente efficiente. Questo approccio considera l’utilizzo di una catena di comando preordinata, conosciuta da tutti gli operatori e con competenze ben definite. In un Sistema di Emergenza ottimale e a regime, la messa in atto dei ruoli indicati consente una copertura operativa totale, che affida a settori distinti lo svolgimento di compiti fondamentali, perfettamente integrati con quelli del settore vicino o successivo. Dopo aver illustrato le fasi temporali della catena dei soccorsi, passiamo ad esaminare il Sistema che deve essere messo in atto per assicurare l’efficacia delle operazioni di soccorso. Il Sistema M.D.M. proposto è un sistema funzionale e non gerarchico, esattamente come deve essere l’azione di comando complessa prevista dalle tecniche di Management più comuni. 3 Il concetto gestionale proposto è conosciuto in ambito militare dalla Sigla C I, acronimo di COMANDO – CONTROLLO – COMUNICAZIONI ed INFORMAZIONI. Queste funzioni sono contenute nel concetto MDM in tutti i livelli operativi e di funzione. 1) L’azione COMANDO è espletata dal MDM COORDINATORE e da tutti gli MDM di settore (MDM RECUPERO, MDM PMA, MDM EVACUAZIONE, MDM AREA ROSSI, MDM LOGISTICA). 2) L’azione CONTROLLO è tipica dei compiti del MDM INFO, la cui funzione è di verificare di continuo l’andamento dei compiti assegnati e l’esatto inserimento delle azioni di comando nei vari livelli operativi. Questa funzione ha un continuo feedback nei compiti di ogni settore e torna come riferimento delle azioni compiute, dello stato delle azioni in atto e dei problemi da risolvere, direttamente al MDM COORDINATORE. Questa figura, di solito, nel corso delle operazioni di soccorso sul campo, è oberata da un grandissimo numero di decisioni da prendere in brevissimo tempo. Nessun coordinatore è in grado di sopperire a questa richiesta, soprattutto per l’enorme mole di informazioni e richieste che gli arrivano dalla Centrale Operativa 118, e dai settori operativi. Per l’esperienza vissuta nella realtà e nelle simulazioni, Il sistema decisionale è perennemente al collasso. Per evitare questa situazione prevedibile è stata ideata la figura del MDM INFO, che ha il compito di verificare di continuo la situazione sul campo e di riferirla al MDM COORDINATORE. Ma il suo compito non è semplicemente di riportare situazioni, ma di gestire autonomamente decisioni secondo i canoni dottrinali del concetto MDM, risolvere problemi che non richiedono decisioni “strategiche”, riservate al MDM COORDINATORE e alla Centrale Operativa 118, e di controllare il corretto svolgimento dei compiti assegnati. La figura del MDM INFO può essere interpretata come quella di un professionista che supporta le decisioni del Coordinatore secondo i canoni definiti, e risolve i problemi pratici e tipici delle fasi di soccorso, senza che questi problemi interferiscano sul compito decisionale strategico del Coordinatore. 26 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 27 3) L’azione COMUNICAZIONI fa parte integrante del sistema di Comando. Consiste nel conoscere la situazione e trasmettere le decisioni ai vari settori e alla C.O. 118, che farà da tramite con gli Ospedali allertati. Questa azione è di solito gestita dai Radioamatori, per le comunicazioni a distanza, ma è una funzione che deve essere attivata da tutti i settori con mezzi propri (radio portatili o cellulari) per le comunicazioni a breve raggio (cioè tra i vari settori e il Coordinatore). L’attivazione e il controllo dei settore “collegamenti” è affidato al MDM INFO. 4) L’azione INFORMAZIONI, in Medicina delle Catastrofi, è intesa come rapporti con i media e la stampa. Non va confuso che il termine Informazioni, in ambito militare, è considerato come azione di Intelligence, non presente in ambito civile. I rapporti con i media sono uno strumento importante, che evidenziano l’efficacia del Sistema di soccorso e forniscono quelle informazioni che mirano a ridurre la pressione della richiesta legittima di notizie, che se non attuata correttamente aumenta il caos e intralcia le azioni di soccorso vero e proprio. L’attivazione e il controllo dei settore “informazioni” è affidato direttamente al MDM COORDINATORE. Il quadro generale dell’organizzazione del Sistema M.D.M. è il seguente: Fig. 5 – Sistema MDM Figura 6 – Casacche di identificazione dei ruoli 27 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 28 Medicalizzazione del Soccorso La medicalizzazione del soccorso, vale a dire l’assistenza medica alle vittime, iniziata in modo sommario sul sito dell'evento, si effettua in una struttura denominata P.M.A. (Posto Medico Avanzato), che rappresenta un centro di triage e di cure, in altre parole il punto di concentrazione medicalizzata delle vittime recuperate. Al recupero, deve infatti seguire il trasporto delle vittime provenienti da un cantiere ad un unico luogo di cura, per evitare le cosiddette “evacuazioni selvagge”, cioè i trasporti verso l’ospedale di pazienti sfuggiti ad un controllo medico ed effettuati con mezzi inadeguati. Caratteristiche del P.M.A. Il P.M.A., allestito dal personale dell’U.M.S.S. deve rispondere a determinate caratteristiche di sicurezza, accessibilità e praticità per i soccorritori: • installazione, quando possibile, in locali preesistenti (scuola, sala d'attesa, magazzino); in mancanza di questi si opererà all’aperto o meglio in strutture modulari trasportabili (tende, shelters) • vicinanza alla zona dei soccorsi, tenendo in considerazione la: 1) protezione dal rischio evolutivo (per esempio fumi o incendi) per salvaguardare l’incolumità di chi é impegnato nei soccorsi 2) vicinanza a vie di comunicazione stradale e possibilmente ad un’area di atterraggio per elicotteri 3) facile individuazione mediante cartelli segnaletici • entrata e uscita separate per canalizzare il flusso di vittime in un’unica direzione • adeguate doti di climatizzazione, illuminazione, igiene e insonorizzazione (basti ricordare la possibilità di poter auscultare le vittime). Funzioni del P.M.A. Nel P.M.A. operano Medici e Infermieri, con i seguenti compiti: • accettazione dei feriti e degli scampati (dei coinvolti psichicamente secondo la Scuola Francese) • valutazione clinica e secondo triage, più completo di quello sommario effettuato nel cantiere • stabilizzazione delle vittime, per consentirne il trasporto sicuro verso gli ospedali • definizione delle modalità di evacuazione (ciò che i francesi chiamano la regola delle 3 E: Etiquetage, Emballage, Evacuation). Gli addetti al P.M.A. saranno identificabili mediante pettorali di colore bianco. P.M.A. – Corpo Militare C.R.I. 28 Organizzazione del P.M.A. Il P.M.A. allestito in strutture fisse o sotto tende, deve essere idealmente suddiviso in 4 zone : a) AREA TRIAGE - una tenda funge da filtro e valutazione; da qui i feriti transitano in una delle aree seguenti : b) AREA URGENZE ASSOLUTE o feriti gravi (codice rosso e giallo) una o più tende servono ad eseguire la rianimazione preospedaliera e la stabilizzazione dei feriti c) AREA URGENZE RELATIVE o feriti leggeri (codice verde) una tenda raggruppa le vittime che devono essere medicate o solo rassicurate d) AREA DECEDUTI - è un'area separata dalle altre ove verranno riuniti tutti i deceduti per le operazioni di riconoscimento da parte dell'Autorità giudiziaria. PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 29 L'allestimento del P.M.A. in tende può seguire due modalità: Fig. 7 - A) lineare con flusso unico delle vittime Fig. 7 – B) a losanga con doppio flusso Radiocomunicazioni Esistono due circuiti di radiocomunicazioni riguardanti il soccorso sanitario: - circuito di comando tra centrale operativa 118 e M.D.M. (P.C.O sul campo) - circuito operativo tra M.D.M., addetti al recupero, al triage e alle evacuazioni. Trasporto delle vittime (Evacuazione) All’uscita dal P.M.A. deve essere identificato un settore, denominato Punto di Evacuazione, da cui le vittime seguono la destinazione segnalata sulla scheda sanitaria (in accordo con la C.O. 118), mediante il mezzo di trasporto ritenuto più idoneo alla loro situazione clinica. L’evacuazione avviene in genere via terra (ambulanze normali o attrezzate per la rianimazione) o con elicotteri. Nelle catastrofi di dimensioni medie e maggiori si può ricorrere anche a trasporti per ferrovia (treni sanitari), per via aerea (aerei sanitari) o via mare (navi ospedale). Elicottero AB 205 EvaSan 29 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 30 Ricovero delle vittime Piani di Emergenza Ospedalieri In caso di catena SEMPLICE dei soccorsi sanitari per catastrofi limitate, il trasporto termina in uno o più ospedali della zona, che dovranno essere pronti ad affrontare un afflusso massiccio di feriti, predisponendo appositi piani di ricezione (Piani di Emergenza Interna per Massiccio Afflusso di Feriti definiti P.E.I.M.A.F.) Questi piani devono prevedere: • preparazione strutturale dell’ospedale (gestione percorsi e spazi interni) • rinforzo del personale (allertamento a “ cascata”) • riserve di materiali e presidi . In caso di catena COMPLESSA dei soccorsi sanitari per catastrofi medie o maggiori, abbiamo citato la necessità di introdurre un’altra struttura di cura tra P.M.A. e luogo di trattamento definitivo delle vittime: il C.M.E. (Centro Medico di Evacuazione), rappresentato da strutture preesistenti (ospedali zonali) o create appositamente (ospedali da campo delle Forze Armate). Autobus adattato per evacuazione feriti – B.S.P.P. di Parigi In esso vengono affinate le prime cure effettuate nei P.M.A., vengono compiuti i primi trattamenti chirurgici urgenti e viene stabilita la destinazione definitiva delle vittime, consentendo agli ospedali di riferimento (lontani dal luogo dell’evento) di prepararsi all'arrivo dei feriti stabilizzati nelle strutture di soccorso campale. Compiti dei Responsabili di Settore Operativo – “Action Cards” Se esaminiamo nei particolari i compiti dei responsabili di Settore del Sistema possiamo “costruire” l’intera catena di comando. Compiti dell’operatore responsabile delle operazioni di recupero (MDM recupero) • coordinamento delle operazioni di recupero, comprese le manovre di supporto vitale e di immobilizzazione • triage sommario dei feriti • supervisione delle operazioni di disincarcerazione e recupero complesso, con il supporto dei VV.F. • coordinamento dell'utilizzo di équipes di Volontari che coadiuvano il personale sanitario nel recupero • definizione delle aree di raccolta dei feriti e del percorso ottimale da seguire per raggiungerle Il responsabile del recupero sarà identificabile da un pettorale di colore rosso. 30 Centro Medico di Evacuazione – Esercito Svedese PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 31 L’MDM Recupero affiderà ad un operatore il compito di controllare il livello di sicurezza dello scenario, con specifica attenzione all’uso dei dispositivi di sicurezza individuali. L’operatore si terrà in continuo contatto con i Vigili del Fuoco e garantirà la richiesta e l’attivazione dei dispositivi di illuminazione e disattivazione dei servizi, concordandoli con la C.O. 118. Compiti del Medico responsabile del P.M.A. (MDM P.M.A.) Egli deve : • esaminare e fare esaminare le vittime, assicurare la loro sorveglianza • garantire la stabilizzazione clinica alle vittime in base alla gravità e alle professionalità disponibili • compilare o far compilare la Scheda di Triage (che contiene i dati clinici, la classe di gravità, le cure praticate e la destinazione del ferito) • facilitare l'opera di riconoscimento delle vittime (luogo di recupero, raccolta effetti personali e identificazione dei deceduti) • fornire un bilancio aggiornato dell'evento al MDM Coordinatore. L'M.D.M. P.M.A. sarà identificabile mediante un pettorale di colore bianco. Un compito particolare che deve essere previsto è quello dell’organizzazione di un posto di decontaminazione, nel caso si verifichi l’eventualità di dover affrontare un incidente chimico o un attentato. Va ricordato che il primo approccio con feriti contaminati dovrà essere concordato con i Vigili del Fuoco da parte del MDM Coordinatore, già nella fase di recupero delle vittime stesse. Questo compito prioritario per la sicurezza dei feriti e dei soccorritori, fino ad ora è stato di competenza dei VV.F, ma da qualche tempo i Sistemi 118 hanno acquisito una capacità operativa con strutture di decontaminazione sanitarie. Si cita il Sistema 118 di Como, Treviso e Venezia. La responsabilità delle operazioni tecniche resta di competenza dei Vigili del Fuoco, ma i soccorsi sanitari devono tenere in considerazione questa eventualità specifica. Compiti del Responsabile dell’Area Rossi (MDM Rossi) Il medico con tale ruolo dipende funzionalmente dal MDM P.M.A. e si occuperà della classe di feriti prioritaria. Dovrà pertanto: • Organizzare al P.M.A. la stabilizzazione clinica dei feriti designati in classe rossa, in modo da garantirne la sopravvivenza • Predisporre l’evacuazione prioritaria dei feriti verso gli ospedali, di concerto con il Responsabile dell’Evacuazione Compiti del Medico Coordinatore dei Soccorsi (MDM Coordinatore) I suoi compiti sono prettamente strategici, finalizzati, cioè alla valutazione e gestione dell’intera catena dei soccorsi; i compiti più specifici, tipici dei vari settori della catena sono affidati agli altri MDM: • deve valutare l'estensione, la tipologia dell'evento, il rischio evolutivo, il numero e la tipologia delle vittime; • deve assumere il coordinamento delle operazioni sanitarie, organizzando un P.C.O. con il responsabile tecnico dei soccorsi e con il responsabile delle Forze di Polizia, e richiedere alla C.O. 118, se necessario, rinforzi in uomini e mezzi; • deve assicurare l'attivazione della catena dei soccorsi, dal recupero fino al trasferimento negli ospedali; • deve organizzare le operazioni di Triage delle vittime e la relativa stabilizzazione; • deve, in accordo con la Centrale 118, che coordina questo compito, suddividere le destinazioni dei feriti nei vari ospedali, secondo la patologia e la disponibilità dei posti letto; 31 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 32 • deve riferire la situazione aggiornata all’Autorità, attraverso gli organi intermedi di coordinamento; (vedi proposta in appendice al Capitolo) • deve attivare un Team di Supporto Psicologico, qualora sia necessario • tiene i contatti con i Media, stilando i comunicati, delegando, se possibile, questo compito ad un addetto stampa individuato L'M.D.M. Coordinatore sarà identificabile mediante un pettorale di colore giallo. In supporto ai compiti complessi del Coordinatore occorrerà prevedere una figura che possa fungere da verificatore delle azioni di comando e dello status dei vari settori. In sintesi il compito di questa figura, che chiameremo M.D.M Info, è il controllo del feedback delle operazioni di soccorso. Compiti dell’ M.D.M Responsabile delle Informazioni (MDM Info) • Assegnazione e Controllo dei nominativi radio dei settori (con il supporto delle Associazioni di Volontariato che operano nel settore delle telecomunicazioni • Verifica dell’operatività dei vari settori • Verifica continua i problemi eventuali dei settori e comunicazione dello stato al Coordinatore • Controllo dell’efficacia dei flussi informativi con i settori • Controllo dell’Area di deposito delle salme e dell’attività di identificazione delle vittime (foto Polaroid), in supporto ai compiti di Polizia Giudiziaria L’M.D.M.Info affiancherà il coordinatore in alcuni processi decisionali, potendo in alcune situazioni assumerne il ruolo. L'M.D.M. Info sarà identificabile mediante un pettorale di colore giallo con la scritta INFO. Il Responsabile delle Informazioni (MDM Info) avrà come collaboratore un operatore sanitario addetto agli aspetti logistici della catena dei soccorsi: Questa figura (MDM Logistica) avrà il compito di assicurare i flussi di materiali e presidi necessari per il funzionamento dei soccorsi. Sarà in contatto con la Centrale Operativa e richiederà l’invio dei materiali indispensabili e riferirà al MDM Info la situazione, aggiornandola continuamente. L’MDM Logistica si occuperà essenzialmente di due sottosettori: • Rifornimenti (di tipo sanitario) • Servizi (organizzazione di un’area di ristoro e riposo per i soccorritori) Compiti del Responsabile dell’Evacuazione (MDM Evacuazione) Egli deve : • censire i mezzi disponibili dividendoli in : • Mezzi di evacuazione unitaria (un solo ferito trasportato) medicalizzati (elicotteri, ambulanze di rianimazione) non medicalizzati (ambulanze normali) • Mezzi di evacuazione multipla (più feriti o coinvolti, seduti o coricati) medicalizzabili (autobus adattati, elicotteri militari, camion, ecc.); • organizzare la zona di stazionamento dei vettori di evacuazione (terrestri o aerei); • organizzare un'area di imbarco vicina al P.M.A. (Punto di Evacuazione); • assicurare la presenza fissa degli autisti sui mezzi, ed in ascolto radio, se necessario; • recuperare il tagliando relativo all'evacuazione, staccandolo dalla Scheda di Triage; • ripartire i mezzi disponibili secondo le necessità; • controllare lo svolgimento delle operazioni di trasferimento e la destinazione dei mezzi; • riferire ed aggiornare l'M.D.M. Info sulla situazione dei mezzi e sulle loro missioni. In particolare l’MDM Evacuazione organizzerà due settori: • Area di attesa, prevista per lo stazionamento dei vettori di evacuazione (terrestri ed aerei) • Mezzi, per il controllo del numero e tipologia dei vettori stessi Il Responsabile dell’ Evacuazione sarà individuabile mediante un pettorale di colore blu. 32 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 33 Ecco in sintesi il quadro generale del Sistema MDM proposto: Figura 8 – Quadro generale Sistema MDM Disposizioni particolari e indicazioni organizzative Perimetro di Sicurezza In qualunque tipo di intervento, e soprattutto in caso di attentato, dove il rischio di super attentato non deve essere dimenticato o in caso di esplosione di altro genere, il Responsabile dei Soccorsi Tecnici (Ufficiale dei VV.F.),in accordo con le Autorità di Polizia, definirà un perimetro di sicurezza, segnalato da bande colorate. Il numero dei soccorritori nel perimetro di sicurezza deve essere ridotto al minimo indispensabile per eseguire le operazioni di soccorso. Nessuna figura non indispensabile e non riconoscibile deve penetrare all'interno del perimetro. Personale impiegato Fanno parte dell’U.M.S.S. quei medici, infermieri, soccorritori ed addetti alle ambulanze che, nella stesura dei piani sanitari di protezione civile, sono stati individuati come più facilmente rispondenti a determinate caratteristiche, di norma appartenenti ai Sistemi di Emergenza Sanitaria “118”, supportati da personale delle Associazioni di Volontariato. Ai medici e agli infermieri si richiedono capacità di affrontare tutti i tipi di urgenza, secondo protocolli predisposti, e di saper adattare il proprio comportamento alla situazione in atto. Ai soccorritori (barellieri, volontari del soccorso) e agli autisti delle ambulanze sono richieste le comuni nozioni di assistenza all’infortunato o al malato, arricchite di elementi specifici della Medicina delle Catastrofi. I medici, gli infermieri, i soccorritori e gli autisti delle ambulanze, facenti parte dell’U.M.S.S., devono essere distinguibili ed identificabili, nella zona di intervento, tra gli altri partecipanti ai soccorsi. 33 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 34 Mezzi di Trasporto Per il trasporto del personale e del materiale dell’U.M.S.S. si usufruirà delle ambulanze utilizzate nelle attività quotidiane, integrate, dove possibile e dove richiesto dall’evento, da altri mezzi (elicotteri, veicoli 4x4, carrelli trainabili, autocarri, autobus). Gli stessi mezzi saranno successivamente utilizzati per il trasporto delle vittime in ospedale. Ambulanza Corpo Militare della C.R.I. Materiali L’equipaggiamento per interventi di protezione civile, conosciuto in Francia con il termine di “lot catastrophe”, é l’insieme di tutto ciò di cui il personale dell’U.M.S.S. può avere bisogno durante l’intervento nella zona dei soccorsi. I contenitori del materiale saranno contrassegnati dai quattro colori, adottati in campo internazionale, che identificano il tipo di materiale contenuto all’interno: • materiale non sanitario (colore di identificazione Giallo) • materiale di segnalazione e identificazione • materiale di segretariato • materiale di sussistenza e protezione individuale o collettiva • materiale sanitario • individuale (come per i soccorsi quotidiani) • collettivo: materiale per supporto cardiocircolatorio (colore Rosso) materiale per supporto ventilatorio (colore Blu) materiali diversi (colore Verde) (medicazione, protezione termica, immobilizzazione, esame clinico) • Barelle possibilmente di tipo militare, impilabili e teli portaferiti. La logistica civile eredita le esperienze organizzative fatte in guerra dalla logistica militare, ne estrapola gli elementi importanti e ne migliora, con l’ausilio della tecnologia, i risultati. La conoscenza delle differenze tra i due ambienti (civile e militare) diventa importante per la comprensione delle problematiche. Altrettanto utili sono gli aspetti “storici” della Logistica sanitaria militare, basti pensare alle difficoltà incontrate dalle Forze Militari in Vietnam o alle Falkland. I problemi riscontrabili sui campi di battaglia del passato sono certamente diversi da quelli attuali, ciò non toglie che le problematiche più moderne siano altrettanto difficili da risolvere. 34 Materiale per catastrofi: S.A.M.U. 75 – Francia PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 35 Posizionamento delle barelle A regime, tutti i mezzi di barellamento (barelle da ambulanza, da catastrofe, materassi a depressione, barelle a cucchiaio ed estricatori) devono essere depositati in un punto idoneo alle operazioni, possibilmente vicino al Posto di Comando Operativo, sotto il controllo di un Volontario che ne gestisce l'uso e la responsabilità del MDM Recupero. Scheda di Triage Già dopo il recupero il ferito deve essere identificato ed accompagnato da una Scheda di Triage, che in questa fase può essere sostituito da un indicatore colorato (esempio: elastico, fascia), indicante la classe di gravità. Nel P.M.A., però per ogni ferito o coinvolto deve essere compilata una SCHEDA, che lo accompagnerà nella varie fasi sino all'arrivo in ospedale. Questa scheda è, a tutti gli effetti, una cartella clinica seppur semplificata; è pertanto, è un dovere compilarla. La SCHEDA è composta di una base rigida più due fogli autocopianti staccabili. • Il 1° foglio indica le condizioni del ferito dopo il recupero. E' compilato del Responsabile del recupero • Il 2° foglio indica quelle all'uscita dal P.M.A. E' compilato dal Medico responsabile del P.M.A. • Il 3° foglio è compilato con le indicazioni all'evacuazione e accompagna il ferito sino all'ospedale. N.B. in ospedale il ferito verrà sottoposto a nuovo triage e il medico ospedaliero utilizzerà la Scheda del Piano di Emergenza Interna, a cui allegherà quella che ha accompagnato il ferito (la 3a). Identificazione delle vittime Al fine di rispettare i criteri indispensabili al riconoscimento delle vittime, ogni effetto personale ritrovato deve essere posto in un sacchetto e allegato alla barella che trasporta la vittima stessa; sulle schede di triage sarebbe utile indicare in quale posizione e luogo è stato ritrovato il ferito o il deceduto. In ogni caso, prima di spostare una vittima deceduta occorre il consenso dell’Autorità Giudiziaria, se ciò non impedisce le operazioni di soccorso ai sopravvissuti. La responsabilità di questo compito sarà del MDM Info 35 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 36 Proposta operativa atta a definire il ruolo di coordinamento sanitario nella catena di comando delle operazioni di soccorso Il modello di pianificazione dell’emergenza (metodo “Augustus”) del Dipartimento della Protezione Civile prevede l’attivazione di funzioni di supporto alle operazioni di soccorso. (vedere Capitolo 23 – Le Leggi di P.C.) La funzione sanitaria è contrassegnata con il numero 2. Attualmente il ruolo di coordinamento sanitario, come più volte citato, non trova in Italia una soluzione univoca; infatti, il ruolo del Medico è sovente posto in secondo piano, rispetto all’ovvio compito di coordinamento organizzativo delle operazioni, svolto dal Prefetto, dal Sindaco e dai Funzionari dei VV.F. La proposta degli Autori vuole essere un tentativo di definire i ruoli sanitari all’interno della Catena generale dei Soccorsi. In una flow chart si possono evidenziare i livelli di operatività: Come si evidenzia, il collegamento della funzione 2 è esteso a tutti i livelli della Catena di Comando, ed in particolare si propone di utilizzare il ruolo del Medical Disaster Manager (M.D.M.)„ come figura di riferimento sanitario con compiti organizzativi ai livelli 1, 2 e 3 , mentre il Medical Disaster Manager (coordinatore dei soccorsi sanitari sul campo), assume il ruolo di coordinamento sanitario al livello 4, con funzioni organizzative e di supporto operativo. Queste figure sanitarie, ovviamente preparate dal punto di vista dottrinario in Medicina delle Catastrofi, assumono la responsabilità della funzione di supporto 2, definita nelle Linee Guida di gestione dell’Emergenza del Dipartimento della Protezione Civile (Metodo Augustus). In ospedale la gestione della maxiemergenza sarà affidata a professionisti, formati specificatamente sulle problematiche intraospedaliere. Questi sanitari, definiti Hospital Disaster Managers (H.D.M.), devono seguire Corsi di Formazione, come quello proposto dall’Associazione Italiana Medicina delle Catastrofi. Due esempi di Corsi sul Disaster Management, che comprendono l’insegnamento della gestione sia extra che intraospedaliera dei soccorsi, sono: 1) Corso di Perfezionamento Universitario in “Programmazione e Gestione dei Piani di intervento sanitario nelle maxi-emergenze catastrofiche”, della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bari e 2) ’European Master in Disaster Medicine” del C.E.M.E.C. di S. Marino) 36 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 37 5 Il Triage sul Campo Il fatto che maggiormente differenzia il disastro dall’incidente “quotidiano”, è l'improvvisa e netta sproporzione tra le necessità della popolazione colpita e le risorse prontamente disponibili. Assegnando una priorità ai vari bisogni che le vittime manifestano, sicuramente al primo posto si trova il bisogno di un’assistenza medica adeguata. Tuttavia, la sproporzione sopra citata colpisce in particolar modo il sistema dei soccorsi sanitari, che rischia di essere travolto dall’improvviso incremento di richieste di intervento. Questo vale sia per il soccorso extraospedaliero sia per gli ospedali. Ci si trova nella situazione di dover distribuire una quantità limitata di risorse ad un elevato numero di pazienti. E’ quindi necessario uno strumento che consenta di svolgere questo compito nel modo migliore possibile, e tale strumento è il triage. Triage è un termine francese che significa scelta, selezione. In Medicina il triage consiste nell’individuazione delle priorità di trattamento in un gruppo di pazienti: ognuno di loro è assegnato ad una classe di priorità in relazione a parametri costanti. I pazienti ad essere trattati per primi saranno quelli appartenenti alla classe di priorità più elevata, seguiti da quelli assegnati alle categorie via via inferiori. In Medicina delle Catastrofi, il triage può essere definito come una procedura di valutazione delle condizioni cliniche e delle possibilità prognostiche di un gruppo di pazienti, per determinarne le rispettive priorità di trattamento. Il triage ha origine nella Medicina Militare fin dai secoli scorsi; d’altra parte la guerra è una catastrofe che provoca spesso un numero di vittime assolutamente sproporzionato rispetto alle risorse disponibili: nella 1° guerra mondiale, sul campo di battaglia di Verdun venivano trattati dai servizi sanitari di entrambi gli schieramenti circa 2.500 feriti ogni giorno. Già in epoca napoleonica la priorità di trattamento dei feriti veniva decisa in base a semplici tecniche di triage, ed, infatti, il barone Larrey, medico militare, ne è ritenuto l’ideatore. In ambito civile il triage è stato negli ultimi anni adottato dalle strutture ospedaliere di Pronto Soccorso, dove spesso si verifica quella situazione di sbilanciamento tra necessità e risorse disponibili tipica della Medicina delle Catastrofi, anche se in proporzioni nettamente minori. In questo modo si evitano situazioni potenzialmente molto pericolose che spesso accadevano quando si applicava la filosofia della priorità stabilita dall’ora di arrivo: ad esempio, il paziente con infarto miocardico acuto che doveva attendere il proprio turno in sala d’aspetto. Obiettivi del triage In termini pratici il triage è un metodo per valutare i pazienti in modo omogeneo, e quindi classificarli in categorie di priorità. Come detto, quanto più elevata è la priorità assegnata ad un paziente, tanto più precocemente sarà necessario trattarlo. Le classi di priorità variano con i diversi sistemi di triage: la classificazione più nota è quella che utilizza codici colore (vedi tabella 1). Ad ogni codice colore corrisponde un diverso grado di priorità di trattamento. E’ importante sottolineare che nell’emergenza routinaria il concetto di priorità coincide con quello di compromissione del quadro clinico: più il paziente è grave, prima si tratta. Ciò avviene quotidianamente con il triage in Pronto Soccorso. Questo concetto vale solo in parte nell’ambito della Medicina delle Catastrofi. A tale proposito un discorso particolare merita la classe di priorità caratterizzata dal colore blu. A questa classe vengono assegnati quei pazienti che, pur non essendo ancora deceduti, presentano lesioni così gravi da lasciare pochissime speranze di sopravvivenza anche dopo trattamento immediato ed intensivo. Esempi di situazioni di questo tipo sono i pazienti con ustioni di 2° e 3° grado su più del 90% del37 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 38 la superficie corporea, o traumi aperti del cranio con fuoriuscita di materia cerebrale. In condizioni normali, e cioè in uno scenario di incidente di limitata importanza, è d’obbligo riservare a questi pazienti il massimo possibile delle cure, cercando di sostenerne le funzioni vitali fino al raggiungimento dell’ospedale adeguato; in una situazione di catastrofe questo tentativo sottrarrebbe un'eccessiva quantità di risorse ad altri pazienti in condizioni gravi ma con migliori prospettive di salvezza. Si tratta comunque di una decisione difficile, il cui inserimento in un protocollo operativo ufficiale solleva problemi di ordine etico e legale. Si può quindi affermare che il triage in Medicina delle Catastrofi ha l’obiettivo di portare il massimo beneficio al maggior numero di pazienti usando il minimo delle risorse. Ciò significa garantire un trattamento prioritario ai pazienti in condizioni cliniche più gravi, ma che presentino reali possibilità di sopravvivenza. Il mezzo con cui raggiungere questo obiettivo è dato da una corretta esecuzione del triage, associato a pochi e semplici atti terapeutici. Codice colore Priorità Descrizione Rosso 1 Lesioni che mettono immediatamente a rischio di vita il paziente, ma che possono essere trattate con successo Giallo 2 Pazienti con lesioni potenzialmente pericolose, ma che al momento non mettono a rischio la vita del paziente Verde 3 Pazienti con lesioni non gravi, trattamento dilazionabile Blu Bianco Nero Pazienti con lesioni così gravi che la loro speranza di sopravvivenza è molto ridotta anche se trattati adeguatamente Pazienti con problemi psichiatrici gravi Pazienti deceduti Tabella 1: classi di priorità di trattamento. Sede di esecuzione La vittima della catastrofe entra in un circuito caratterizzato da diverse tappe. Ad ogni tappa, fin dall’ingresso, viene sottoposta al triage. Inoltre, ogni volta che i soccorritori sospettano una variazione delle condizioni cliniche rispetto alla stazione precedente, provvedono a ripetere il triage cambiando eventualmente la classe di priorità assegnata. In pratica il triage è un processo continuo, che termina quando il rapporto tra necessità e risorse disponibili torna in equilibrio. Questo generalmente accade dopo il ricovero ospedaliero; tuttavia nelle prime fasi gli ospedali si trovano a dover assistere un elevato numero di pazienti, ed, infatti, come discusso nel capitolo 10, anche in tale sede è necessario essere pronti a svolgere operazioni di triage. Operatori del triage Il triage dovrebbe essere svolto da soccorritori preparati; in modo particolare a livello del Posto Medico Avanzato, la figura professionale più adatta è il medico esperto in Medicina delle Catastrofi, formato secondo i criteri del Medical Disaster Management. Tuttavia, specie nelle prime fasi del soccorso, la sproporzione tra operatori sanitari, impegnati oltretutto nello stabilizzare i pazienti, e l’elevato numero di vittime, rende spesso obbligatorio il delegare a personale non professionista del campo specifico questo delicato compito (volontari di Croci e Associazioni, Vigili del 38 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 39 Fuoco, Esercito, volontari di Protezione Civile). Il problema si acuisce con il crescere delle dimensioni dell’evento. Per questa ragione tutti gli operatori potenzialmente coinvolti in operazioni di soccorso in caso di catastrofe dovrebbero ricevere una formazione riguardo all’esecuzione del triage e delle prime semplici manovre terapeutiche. Protocolli di triage Il protocollo di triage è l’insieme dei criteri che l’operatore deve applicare per giungere alla classificazione della priorità di trattamento. Un perfetto protocollo di triage dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche: • Facile memorizzazione • Rapida esecuzione • Scarse possibilità di variazione dovute ad interpretazioni individuali • Utilizzazione da parte di operatori con diversa preparazione professionale • Attendibilità nell’individuare le priorità di trattamento E’ evidente che non è facile ideare un protocollo di triage che soddisfi tutte queste esigenze. Un protocollo complesso, infatti, può essere molto efficace nel determinare correttamente le priorità di trattamento, ma è di difficile apprendimento, non utilizzabile da personale poco formato e dispendioso in termini di tempo. Si immagini, come esempio, un sistema che preveda la valutazione del Glasgow Coma Scale: solo una parte degli operatori impegnati sul campo potrebbe essere in grado di eseguirlo, ed una percentuale ancora minore lo farebbe in modo rapido e corretto. Al contrario, un protocollo semplice si apprende facilmente, non è modificabile in relazione a interpretazioni individuali, può essere usato da tutti ed è rapido. Il problema è che un sistema di questo tipo può essere scarsamente attendibile nella assegnazione delle classi di priorità. Un esempio di questo genere può essere la valutazione della capacità di deambulare: le vittime che camminano sono a bassa priorità di trattamento, quelle che non sono in grado di farlo sono ad alta priorità. E’ evidente che la precisione non è la dote migliore di tale sistema. In che senso scegliere? Privilegiare l’attendibilità o la semplicità? La risposta deve essere trovata nel contesto in cui si vuole introdurre il sistema. Un'organizzazione che dispone di un elevato numero di operatori ben preparati e adeguatamente addestrati può propendere per un protocollo più “complesso”. Se invece la realtà operativa è composta da diverse professionalità, disomogenee per preparazione ed esperienza, la scelta di un protocollo “semplice” dà maggiori garanzie sull’efficacia del triage. Ferito in attesa di triage – esame Diploma in Medicina delle Catastrofi - Parigi 39 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 40 D’altra parte è possibile adottare contemporaneamente, nell’ambito di un sistema di soccorsi, diversi tipologie di triage a seconda della sede e delle capacità degli operatori. Si è affermato che il triage è un processo continuo, che si svolge a tutti i livelli della catena dei soccorsi: sul luogo in cui si rinvengono le vittime, nel Posto Medico Avanzato, in sede di Evacuazione, all’arrivo in Ospedale, ed in tutte le situazioni in cui si ravveda la necessità di farlo. Tuttavia, ogni sede di triage presenta caratteristiche ed esigenze che possono influire pesantemente sullo svolgimento dello stesso. Si analizzi la situazione che si viene a creare dopo un disastro di una certa entità (esempio: 200 persone coinvolte). Sul luogo dell’evento (inteso strettamente come il sito di ritrovamento delle vittime) è necessario impiegare un elevato numero di soccorritori, reperiti con rapidità; il tempo a disposizione è scarso, i pazienti tanti e le risorse disponibili quasi nulle, il tutto in un ambiente caotico e spesso sottoposto a rischio evolutivo. In questa situazione è obbligatorio adottare un sistema di triage rapido e semplice. Nel Posto Medico Avanzato, il personale è più selezionato, anche se meno numeroso. Le vittime sono molte, considerando che tutte devono passare attraverso questa stazione. Tuttavia, esse giungono già classificate dal luogo dell’evento (se le cose funzionano bene), per cui l’attenzione sarà rivolta in primo luogo a quei pazienti individuati sul campo come codici di priorità più elevati. In questa sede è possibile utilizzare un sistema di triage più complesso. Lo stesso discorso vale per il triage ospedaliero, e nel capitolo 10 si vedrà una nostra proposta per un nuovo sistema di triage, utilizzabile dal Posto Medico Avanzato in poi. E’ quindi non solo possibile, ma anzi auspicabile, utilizzare nella catena dei soccorsi diversi protocolli di triage a diversi livelli. E’ tuttavia di fondamentale importanza che, allo stesso livello, tutti gli operatori applichino nello stesso modo un protocollo comune: sul luogo del disastro, quindi, tutti gli operatori useranno lo START (vedi prossimo paragrafo), indipendentemente dalla loro preparazione e dalla loro capacità di applicare altri protocolli più complessi. Nella figura 1 è illustrata una nostra proposta per l’esecuzione del triage in situazione di catastrofe: 1. I primi soccorritori si recano sul luogo dell’evento ed eseguono il primo triage, utilizzando il protocollo START. 2. Le vittime non trasportabili (esempio: pazienti incarcerati) vengono trattate sul posto dai teams ALS, che si dirigono in prima battuta su quelle identificate da codice rosso. Figura 1: Triage nei vari livelli della catena dei soccorsi 40 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 41 3. Le vittime trasportabili vengono portate al Posto Medico Avanzato, in ordine di priorità. 4. All’ingresso del PMA, un operatore esperto esegue il triage utilizzando il protocollo START, iniziando a valutare i pazienti con codici più elevati; in seguito le vittime accedono nell’area di trattamento in relazione alla priorità da egli assegnata. 5. Nell’area di trattamento del PMA le vittime, dopo la stabilizzazione, vengono classificate secondo il sistema F.A.S.T. (illustrato nel capitolo 10). I pazienti con codice verde vengono destinati ad un’area specifica del PMA, quelli con codice giallo e con codice rosso in un’altra, in attesa di evacuazione; le loro condizioni vengono ripetutamente controllate eseguendo ciclicamente il protocollo di triage F.A.S.T. (esempio ogni 15 minuti). Giunti in ospedale, i pazienti vengono sottoposti a triage con metodo F.A.S.T., seguendo la priorità rosso – giallo – verde. Le operazioni di evacuazione dal PMA agli ospedali possono in alcuni casi procedere a rilento, a causa della relativa scarsità di mezzi a disposizione. Può quindi accadere che pazienti con codici di priorità elevati restino in attesa nel PMA per periodi abbastanza prolungati; è quindi necessario che un operatore determini con attenzione l’ordine di evacuazione da seguire per pazienti con stesso codice di priorità. Presentiamo qui di seguito due esempi di sistemi di triage: il sopra citato protocollo START, che rappresenta un approccio più semplificato ed accessibile al problema; il sistema francese, che, pur essendo meno articolato nel processo di assegnazione della classe di priorità, richiede un livello di formazione piuttosto elevato. Il sistema S.T.A.R.T. S.T.A.R.T. sta per Simple Triage And Rapid Treatment, ed è un sistema di triage sviluppato dai Vigili del Fuoco di Newport Beach, U.S.A., in collaborazione con il sistema dei soccorsi sanitari. L’esecutore, valutando il paziente, deve porsi una serie di domande che va da una soltanto a quattro, a seconda delle risposte che si ottengono. Contemporaneamente si mettono in atto alcune rapide manovre terapeutiche: in primo luogo si deve arrestare ogni emorragia esterna importante in atto. Il sistema START è illustrato nella figura successiva. 1. Il paziente può camminare? Se la risposta è SI, il paziente viene classificato come codice VERDE. Il codice colore verde è sempre associato a pazienti con bassa priorità di trattamento. A questo punto, ottenuta la classificazione di priorità, si può passare a valutare un altro ferito. Se invece la risposta è NO, e cioè se il paziente NON è in grado di camminare, egli non viene ancora classificato e si passa alla domanda successiva. 2. Qual è la frequenza respiratoria del paziente? La frequenza respiratoria è associata a patologie toraciche e cardiocircolatorie e rappresenta un importante segno di scompenso latente o in atto. Se la frequenza respiratoria è assente, si compiono le manovre per la disostruzione delle vie aeree. Se dopo tali manovre non ricompare l’attività respiratoria, il paziente viene considerato non salvabile, associandolo al codice colore BLU. Se invece il paziente riprende a ventilare, si classifica il paziente come codice ROSSO e si passa al ferito successivo. Nei sistemi che non prevedono l’assegnazione del codice blu, il paziente viene considerato come codice rosso; questa decisione rende però necessario che qualcuno si occupi prontamente del paziente stesso, poiché la condizione di apnea provoca in un tempo di circa 4 41 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 42 minuti lesioni cerebrali gravissime, e, perdurando ancora, la morte del soggetto. Se l’operatore di triage è un medico, in presenza di arresto cardiorespiratorio egli può dichiarare deceduto il paziente e assegnarlo alla classe nera. Se la frequenza respiratoria è presente, si valuta il numero di atti respiratori al minuto. Per risparmiare tempo, di solito si moltiplica per quattro il numero di atti respiratori compiuti in 15 secondi. E’ utile ricordare che un atto respiratorio è composto da un'inspirazione e da un'espirazione, quindi inspirazione + espirazione = atto respiratorio. Se la frequenza respiratoria è maggiore di 30 atti al minuto, il paziente viene classificato come codice colore ROSSO, passando quindi ad esaminare la vittima seguente. Se la frequenza respiratoria è uguale o inferiore a 30 atti al minuto, si passa alla domanda successiva senza assegnare il paziente ad alcuna classe di priorità. 3. E’ presente il polso radiale? La possibilità di verificare l’attività cardiaca a livello del polso, in corrispondenza dell’arteria radiale, significa di solito che la pressione arteriosa sistolica del paziente è di almeno 80 mmHg. L’assenza del polso radiale rappresenta quindi un importante segno di scompenso cardiocircolatorio. La presenza di evidenti lesioni ad un arto superiore suggerisce l’opportunità di valutare il polso controlaterale. Se entrambi gli arti superiori sono lesionati, l’assenza di polso radiale o la impossibilita a verificarlo attribuiscono il paziente alla classe colore rosso. Se il polso radiale è assente, il paziente viene assegnato alla classe colore ROSSO; nel rispetto dell’allineamento del rachide, lo si pone in posizione anti-shock e si passa a valutare un’altra vittima. Se il polso radiale è presente, si passa alla successiva ed ultima domanda. 4. Il paziente risponde ad ordini semplici? La capacità da parte del paziente di rispondere a comandi semplici (“tira fuori la lingua”, “apri gli occhi”) testimonia una soddisfacente funzione cerebrale. Se il paziente non risponde ad ordini semplici, viene classificato come codice ROSSO; si pone il paziente in posizione laterale di sicurezza, rispettando l’allineamento del rachide, e si passa a valutare un’altra vittima. Se il paziente risponde ad ordini semplici, si arriva alla fine della procedura di triage ed il paziente viene assegnato alla classe colore GIALLO. Questa categoria raccoglie i pazienti le cui funzioni vitali non richiedono una priorità di intervento immediata, ma in cui esiste la possibilità di un'evoluzione peggiorativa. L’assegnazione di questi pazienti alla categoria colore giallo è dovuta alla presenza di lesioni che impediscono agli stessi la deambulazione (veFig. 2: Il Sistema S.T.A.R.T. di primo passaggio). 42 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 43 IIl protocollo START può apparire per molti aspetti un'inaccettabile semplificazione di quella che dovrebbe essere la valutazione clinica di un paziente. In effetti, un discreto numero di pazienti assegnati alle classi gialla o addirittura rossa, ad un’analisi più approfondita, presenta lesioni di gravità inferiore al livello di priorità identificato con il triage. Il vantaggio è dato dal buon grado di sensibilità, che impedisce di sottostimare le condizioni di una vittima. Esistono tuttavia situazioni in cui questo problema si verifica: ne sono esempi i pazienti con blast syndrome (conseguenza di esplosioni) o vittime di intossicazione chimica. In questi casi, infatti, la latenza tra evento lesivo e manifestazioni cliniche può essere piuttosto prolungata, ed un paziente apparentemente integro può, poco dopo, peggiorare drammaticamente; un protocollo di triage che consideri anche il fattore di rischio dato dalla dinamica dell’evento potrebbe in teoria essere più adeguato. L’importanza di sottoporre ciclicamente i pazienti a triage è quindi motivata anche dall’esistenza di queste particolari situazioni, che possono inizialmente essere poco evidenti. Un altro aspetto importante dello START è l’ordine con cui vengono vengono eseguite le valutazioni. La capacità di deambulare permette immediatamente di scremare tutti coloro che probabilmente non presentano gravi lesioni; il tempo dedicato a valutare questi soggetti è quindi minimo. A seguire si valutano le funzioni vitali: respiro, circolo, quadro neurologico; l’ordine è lo stesso utilizzato da altre filosofie di approccio al paziente critico, come ATLS (Advanced Trauma Life Support), ACLS (Advanced Cardiac Life Support), PHTLS (Pre Hospital Trauma Life Support). Ma l’aspetto più importante dello START è dato dalla sua semplicità e dalla facilità di applicazione: è sufficiente un minimo di addestramento per consentire anche a personale non strettamente sanitario di eseguirlo correttamente. La scuola francese La filosofia adottata in Francia per l’esecuzione del triage riflette la realtà culturale ed organizzativa locale. Il sistema francese prevede, infatti, che il triage venga effettuato da medici formati in ambito di Medicina delle Catastrofi o comunque da operatori adeguatamente preparati. I feriti vengono inizialmente classificati in due categorie: Urgenze assolute Pazienti che presentano compromissione di una o più funzioni vitali Urgenze relative Pazienti con funzioni vitali conservate In seguito, nelle successive stazioni di triage, la classificazione diventa più complessa: Urgenze assolute – U.A. • Estreme Urgenze – E.U. • Prime urgenze Urgenze relative – U.R. – U1 • Seconde urgenze – U2 • Terze urgenze – U3 Urgenze depassèes – U.D. Scampati 43 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 44 Nella tabella successiva sono riportate le tipologie di lesioni in relazione alle diverse classi di triage: E’ evidente come sia richiesta all’esecutore del triage una preparazione medica di buon livello, tale da consentirgli di diagnosticare lesioni complesse e di utilizzare strumenti di valutazione specifici (come, ad esempio, il Glasgow Coma Scale). E’ possibile trasformare i codici utilizzati nel sistema francese in codici colore, utilizzando il seguente schema: Codice francese Urgenze assolute U.1 U.2 – U.3 U.D. PSICO Codice colore Rosso Giallo Verde Blu Bianco Protocollo C.E.S.I.R.A. Per completezza segnaliamo questo protocollo, formulato dall’Associazione Italiana di Medicina delle Catastrofi (Ciancamerla G. 1990), d'impostazione simile allo START, ma rivolto alle squadre di soccorso che non dispongono di componente medica, e quindi non in grado di 44 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 45 Fig.3: Sistema C.E.S.I.R.A. constatare i decessi sul campo. L’acronimo C.E.S.I.R.A. identifica la sequenza delle condizioni fisiopatologiche da valutare (Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture ossee, Altro). Il metodo è più approssimativo dello START, ma ciò è dovuto al tipo di personale che lo applica. Atti terapeutici durante il triage Ciò che accomuna tutti i sistemi di triage, a qualsiasi livello di esecuzione, è la necessità di limitare drasticamente il numero di atti terapeutici durante lo svolgimento di quest'operazione. Coloro che si occupano di quest'aspetto della catena dei soccorsi devono essere consapevoli che la medicalizzazione dei pazienti non è loro compito. Ciò non significa che durante il triage non si interviene sul paziente: è anzi doveroso per l’operatore mettere in pratica semplici atti terapeutici, di rapida esecuzione, che possono salvare la vita alla vittima o limitarne il decadimento delle condizioni. La disostruzione delle vie aeree, l’arresto di imponenti emorragie esterne, il corretto posizionamento del paziente, la protezione termica, sono manovre rapide e semplici che possono incidere in modo importante sul destino del paziente. Qualità del triage Un triage ben eseguito è la base per garantire una valida assistenza alle vittime di una catastrofe. Per questo motivo, la sua importanza dovrebbe essere sottolineata con grande intensità a tutti i livelli della catena dei soccorsi. Purtroppo in molte occasioni la cronaca delle operazioni di soccorso in caso di disastro narra storie di triage non effettuati, di “cartellini” o “tags” di triage persi, di pazienti giunti in ospedale direttamente dal luogo di ritrovamento, senza applicare alcun criterio di priorità. Le ragioni per cui spesso il triage è ignorato o eseguito sommariamente possono essere molte; si citano qui di seguito quelle che noi riteniamo essere le più importanti. • Insufficiente formazione del personale di soccorso. • Carenze organizzative da parte del sistema dei soccorsi. 45 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 46 • Eventi occorsi in centri urbani, molto vicini ad ospedali: in questi casi è più facile che molte vittime si rechino spontaneamente in Pronto Soccorso, o vi vengano portate da soccorritori improvvisati con mezzi di fortuna. Le prime due cause sono quelle su cui maggiormente si può incidere, soprattutto per quanto riguarda la preparazione degli operatori. Problemi pratici Anche il migliore sistema di soccorso può cadere miseramente sull’esecuzione del triage, nonostante un intenso sforzo di formazione sugli operatori, a causa di problemi pratici, talvolta ignorati. Un soccorritore che applica perfettamente un protocollo di triage non è di nessuna utilità se non lascia traccia ben evidente del suo operato: coloro che si occuperanno successivamente delle vittime dovranno, infatti, poter riconoscere rapidamente i codici colore assegnati a ciascuna di loro. Nella nostra esperienza, abbiamo visto sistemi di soccorso utilizzare schede in cartoncino come indicatori o “tags” di triage; il tag deve accompagnare il paziente in tutto il suo percorso, se possibile fino all’ospedale, o almeno al Posto Medico Avanzato. E’ intuibile come un cartoncino può perdersi o venire danneggiato per un'infinità di motivi: in una giornata di pioggia, una buona parte del lavoro svolto andrebbe perduto. E’ quindi importante prestare a questi problemi pratici la stessa attenzione riservata a quelli più generali, mettendo gli operatori nelle condizioni di lavorare al meglio (usando, ad esempio, custodie impermeabili con elastico per i tags di triage, oppure delle semplici fasce colorate). Scheda di Triage – A.I.M.C. Va ricordato un problema particolare, cioè quello dei pazienti con gravi traumi psichici. Può diventare necessario evacuare con priorità i pazienti con le seguenti situazioni cliniche in atto: • Psicotici • Pazienti con precedenti psichiatrici gravi • Nevrotici gravi (crisi isteriche, nevrosi fobico-ossessive) • Soggetti “catalizzatori” ovvero soggetti a fragilità emotiva capaci di innescare una reazione di panico collettivo • Soggetti che ostacolano i soccorsi, a causa di gravi problemi comportamentali. 46 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 6 Pagina 47 Le risorse umane sul campo Introduzione Nell’ambito della pianificazione, occorre considerare la gestione delle risorse umane disponibili, sia per la difficoltà del reperimento del personale sia per garantire la indispensabile turnazione, soprattutto in situazioni caratterizzate da una notevole durata delle operazioni di soccorso (alluvioni, terremoti). Esiste, inoltre, la distinzione dei due ambiti all’interno dei quali il personale si trova a dover operare, e cioè quello extra-ospedaliero, e quello intra-ospedaliero. Nel primo caso i soccorritori agiranno in ambiente sicuramente ostile, sovente senza protezione e sottoposti all'inclemenza delle condizioni atmosferiche. Nel secondo caso gli operatori lavoreranno in una struttura protetta dal punto di vista climatico, ma dovranno affrontare condizioni di lavoro stressanti, legate al numero di feriti giunti in ospedale. Senza dubbio il personale che opera il soccorso extraospedaliero è quello più addestrato ad affrontare quelli che possono essere gli scenari “ostili” che si incontrano nelle catastrofi maggiori, dato che quotidianamente deve adattare il proprio sapere, saper fare e saper essere alle situazioni più disparate, dimostrando quindi di quello spirito di “improvvisazione” necessario in questa fase. Per contro il soccorritore extra-ospedaliero non avrà quella familiarità con le strutture sanitarie che gli permetta di muoversi agilmente all’interno delle stesse. Personale coinvolto Il personale coinvolto nella gestione degli aspetti sanitari di una catastrofe è quanto di più eterogeneo possa esistere, visto che il soccorso sanitario non consiste solo nell’assistenza alla vittima, ma anche nella sua ricerca, salvataggio dall'ambiente ostile, recupero e trasporto verso l’ospedale. A loro volta le attività sopra elencate possono essere suddivise, in ulteriori aspetti specifici: • tipologia di ricerca: sonde a rilevazione termica o fonica, cani da ricerca (macerie, fango, valanghe), ricognizione aerea; • tipologia di recupero/salvataggio: a terra con l’ausilio dei Vigili del Fuoco (vittime incastrate), in volo (ad esempio persone bloccate in teleferiche), in montagna come per le vittime di frane o valanghe, in acqua con l’intervento del S.A.R. (soccorso aereo); • tipologia di trasporto: che può essere eseguita con veicoli terrestri, ad ala rotante, o con veicoli speciali (mezzi anfibi, veicoli 4x4). Citiamo i differenti compiti e modalità di utilizzo della componente professionista e di quella volontaria. Il personale professionista Distinguiamo il personale del ruolo tecnico e quello del ruolo sanitario, considerando che entrambi si occupano del soccorso sanitario, ma con competenze diverse. Nella realtà quotidiana tutto ciò avviene spontaneamente, senza che vi siano grossolane sovrapposizioni; ma in caso di calamità naturale il rapporto tra componente tecnica e sanitaria deve in qualche modo modificarsi? In linea di massima la risposta è che, pur mantenendo ognuno le proprie peculiarità istituzionali, le componenti tecnica e sanitaria devono a maggior ragione integrarsi in modo da compiere il soccorso in collaborazione. L’integrazione fra l’aspetto tecnico e sanitario ha lo scopo di rendere più agevole e efficace il soccorso alle vittime, e l’apprendimento delle tecniche utilizzate dall'altra componente ha la funzione di accrescere la collaborazione e di ridurre i rischi evolutivi che ogni azione di soccorso comporta. In altre realtà, come ad esempio quella francese (Sapeurs-Pompiers e talvolta S.A.M.U.), statunitense (E.M.S.) e canadese (E.M.S.), le componenti tecniche e sanitarie sono in parte adde47 PARTE_1_R 6-12-2002 10:27 Pagina 48 Soccorso sanitario e tecnico - Bologna Soccorso strate anche ai compiti della controparte, in modo che ogni equipaggio conosca i protocolli operativi e possa collaborare efficacemente. Realtà molto simile alla nostra è quella tedesca, in cui gli equipaggi sanitari (Notdienst) devono avvalersi, per il soccorso tecnico, dell’opera dei Vigili del Fuoco (Feuerwehr). In Italia il soccorso si divide in una parte tecnica (espletata dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco) ed in una parte sanitaria di cui si occupa il Servizio Sanitario Nazionale avvalendosi del "Sistema di Emergenza Sanitaria 118", che può essere tuttavia integrato dall’ausilio del personale ospedaliero. Attorno a loro, nell’emergenza quotidiana e/o di massa, possono essere schierate le Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Capitanerie di Porto) e le Forze Armate (Esercito, Aeronautica e Marina). Compiti del personale professionista Il personale professionista è quello interessato allo svolgimento dell’attività quotidiana del soccorso, ed in particolare il personale tecnico (Vigili del Fuoco), quello sanitario (Sistema 118) e le Forze dell’Ordine. I compiti di questi operatori, nell'ambito dei soccorsi in caso di catastrofe, sono i seguenti: • sicurezza dello scenario (eliminazione o contenimento del rischio evolutivo) • ricognizione (valutazione e dimensionamento dell'area dell'evento) • ricerca e recupero delle vittime • soccorso sanitario alle vittime e stabilizzazione • trasporto delle vittime al P.M.A. e successivamente verso gli Ospedali • controllo del perimetro di sicurezza Consideriamo, a questo punto, quali sono i compiti di ogni singola componente professionista che interviene nel soccorso, secondo i criteri della Medicina delle Catastrofi, con particolare riferimento alla catena dei soccorsi ed in riferimento agli ambiti di lavoro: • area dell’evento (cantiere) • noria di recupero (circuito di recupero) • posto medico avanzato (P.M.A.) e posto di comando operativo • noria di evacuazione • ospedali di destinazione 48 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 49 Area dell’evento Nell’area i primi soccorritori devono eseguire una ricognizione, mirata a definire la viabilità di accesso, la presenza di rischio evolutivo ed il numero stimato di vittime. I Vigili del Fuoco hanno la necessità di valutare la tipologia di incidente segnalato, le caratteristiche del territorio, il tipo di attrezzature necessarie, nonché i problemi legati alla sicurezza dell’area colpita. I sanitari cercheranno infine di ottenere informazioni sul tipo di incidente per identificare le patologie prevalenti. Le Forze dell’Ordine avranno bisogno di dati per circoscrivere e perimetrare il luogo dell’evento, al fine di attuare il massimo controllo sull’accesso al sito, nonché per le indagini di Polizia Giudiziaria, al fine dell’accertamento di eventuali responsabilità. Le fasi di intervento sul sito della catastrofe iniziano con la divisione dell'area colpita in "cantieri", in cui si suddividono le forze disponibili, al fine di razionalizzare il salvataggio/soccorso e renderlo efficace. In questa fase i Vigili del Fuoco hanno il compito di liberare i feriti che sono intrappolati da fango, lamiere, macerie e porli al riparo dal rischio evolutivo, in modo da favorirne il successivo recupero da parte dei sanitari. I sanitari interverranno effettuando il triage delle vittime ed attuando le manovre “salvavita”. Le Forze dell’Ordine si occuperanno di allontanare e raggruppare gli illesi, di delimitare il luogo dell’evento, di scongiurare azioni illegali (esempio: sciacallaggio) nell’area colpita. Ricognizione con elicottero Noria (circuito) di recupero È l’azione di trasporto verso il Posto Medico Avanzato dei feriti già recuperati e sottoposti al primo triage. Può essere effettuata indifferentemente da tutte le forze in gioco sul campo, ed in particolare da coloro che non sono direttamente impegnati nella disincarcerazione delle vittime, nel triage e nelle manovre salvavita. Per effettuare il recupero vengono utilizzate delle barelle o mezzi di fortuna; se il terreno è impervio devono essere impiegati mezzi speciali, raramente in dotazione ai Sistemi di Emergenza (vedi gommoni, mezzi anfibi, cingolati, mezzi 4x4), ma messi a disposizione dal soccorso tecnico o dall’Esercito. 49 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 50 Posto medico avanzato (P.M.A.) È il luogo dove viene eseguita la stabilizzazione delle funzioni vitali delle vittime, in vista del loro successivo trasporto verso gli ospedali competenti. Qui operano essenzialmente medici ed infermieri esperti. Interno P.M.A. – Esercitazione Traforo del Frejus Posto di comando operativo (P.C.O.) Esso rappresenta il fulcro di tutte le operazioni di soccorso, poiché è da qui che tutte le forze in campo vengono coordinate nel loro intervento dai rispettivi coordinatori; in questo ruolo emerge la figura del Direttore dei Soccorsi Sanitari, formato secondo i criteri del Medical Disaster Management, che diventa il responsabile operativo delle operazioni di soccorso, recupero e trasporto verso gli ospedali di tutte le vittime coinvolte. All’interno del posto di comando operativo devono essere presenti tutti i responsabili sul campo di: • Vigili del Fuoco • Sanitari (Medical Disaster Manager) • Forze dell’Ordine e Armate • Volontari collegati con le rispettive Centrali Operative e di Coordinamento. Posto di Comando operativo – B.S.P.P. di Parigi 50 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 51 Noria di evacuazione e ospedali di destinazione Questo circuito ha lo scopo di trasportare i feriti, una volta stabilizzati, verso gli ospedali. Per fare ciò è essenziale, innanzi tutto, che vengano censite le risorse/disponibilità ospedaliere per l’accettazione dei pazienti, tenendo anche conto delle problematiche specifiche di assistenza (neurochirurgia, grandi ustionati, chirurgia toracica o vascolare). Questo deve essere definito a priori dalla Centrale Operativa 118 competente territorialmente: tali disponibilità devono essere prontamente fornite al Direttore dei Soccorsi Sanitari e continuamente aggiornate. Il trasporto dei pazienti, in particolare dei codici gialli e dei codici rossi, verso gli ospedali, deve avvenire in maniera protetta e con mezzi idonei, per cui sarà necessario disporre di mezzi adeguati alla tipologia di trasporto ed al numero di feriti. Il personale volontario L’altra parte del soccorso, ordinario ed in occasione di grandi calamità, è costituito dal personale volontario che viene utilizzato come ausilio alle componenti istituzionali. Il personale volontario, attualmente, è riconosciuto dalla Legge n.266 del 11 agosto 1991. Tale legge indica i criteri di massima ai quali devono attenersi le Regioni nell’emanare la normativa che disciplina nel proprio territorio le varie associazioni, ed in particolare sancisce l’importanza sociale del volontariato e ne precisa il contenuto e le modalità di espletamento. Così all’articolo 1 viene riconosciuto il valore sociale e la funzione del volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo e ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia. All’art. 2 viene precisato che per attività di volontariato si intende quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito tramite l’associazione di cui il volontario fa parte senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Nonostante la legge quadro, il volontariato non ha ancora trovato una connotazione di veste giuridica, ed in particolare nemmeno la Legge 266/91 ha espressamente indicato se i volontari che esercitano attività in seno alla propria associazione ricoprano o no la veste di “Incaricati di Pubblico Servizio” (articolo 358 del Codice Penale). Tale aspetto riveste una notevole importanza in quanto gli atti compiuti dal personale volontario, come quelli svolti da quello professionista, possono talvolta avere rilevanza penale, e quindi essere perseguibili a meno che siano compiuti nella veste di Pubblico Ufficiale o Incaricato di Pubblico Servizio. Ma più che alla veste giuridica del volontariato si deve porre l'attenzione alla sua connotazione nell’ambito delle specializzazioni che si possono assumere in seno alla Protezione Civile. Infatti, nel volontariato non esistono solo Associazioni con compiti di soccorso agli infortunati come la Croce Rossa Italiana, le Misericordie o le Pubbliche Assistenze, ma esistono altri gruppi, che nel corso degli anni hanno raggiunto una così grande professionalità da essere riconosciuti a livello nazionale. In particolare possiamo suddividere il volontariato in quattro grandi categorie: • gruppi di ricerca, come ad esempio le Unità Cinofile • gruppi di soccorso tecnico, come il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.), le squadre A.I.B. (antincendio boschivo) istituite in seno ai Comuni, i Vigili del Fuoco volontari • gruppi di soccorso sanitario, come la Croce Rossa Italiana, Misericordie o A.N.P.A.S., • gruppi con funzioni tecnico-logistiche, come ad esempio l’Associazione Nazionale Fuoristradisti d’Italia, Gruppo Emergenza Radio. Ognuno di questi gruppi è solitamente indipendente, essendo fornito di propri supporti tecnico-logistici e di sostentamento, come tende, cucine da campo, viveri. Compiti del personale volontario Il ruolo del volontariato, nella quotidianità, è rilevante soprattutto per quanto riguarda quelle attività definite socio-assistenziali, con particolare riferimento alla loro presenza nel soccorso urgente territoriale. 51 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 52 Sono presenti altresì in strutture sanitarie, ed intervengono su indicazione dei Comuni in occasione di manifestazioni di massa. Come nel caso degli operatori professionisti, la struttura del volontariato prevede attività diversificate individuando, nella propria specificità/competenza, figure destinate alla ricerca, recupero, soccorso, trasporto. Area dell’evento (cantiere) La ricognizione è sempre il primo compito da svolgere da parte dei primi soccorritori giunti sul posto, professionisti o volontari che essi siano. Molto utile è la ricognizione terrestre con mezzi 4x4, utilizzati dalle Associazioni, che possono trasportare materiale, personale sanitario e tecnico, fino al luogo dell'evento. Tali mezzi spesso non sono disponibili in numero adeguato o in tempi brevi da parte delle forze istituzionali. Alcune Associazioni dispongono di mezzi con caratteristiche costruttive ottimali e dispongono di attrezzature indispensabili al salvataggio, come verricelli, estintori carrellati a schiuma o acqua, ponti radio shiftabili su diverse frequenze, attrezzature per la disincarcerazione, per l’intervento in acqua o in grotte. Le risorse del personale volontario e le loro attrezzature possono essere messe a disposizione dei Integrazione – Esercitazione di P.C. Piemonte - 1992 Vigili del Fuoco con il compito di coadiuvarli nel liberare i feriti intrappolati da fango, lamiere o macerie, in modo da favorirne il successivo recupero da parte dei sanitari. I sanitari interverranno effettuando il triage delle vittime ed attuando quelle che vengono dette le manovre “salvavita”, in collaborazione con le squadre di soccorso volontarie intervenute: a tale scopo possono essere formate delle squadre miste formate da un sanitario e due volontari soccorritori che abbiano delle nozioni minime di triage sul campo. In questa fase è fondamentale il supporto logistico, come cellule fotovoltaiche per l’illuminazione del sito, gruppi elettrogeni, pompe di aspirazione. Sul campo sono utili le unità cinofile, per la ricerca di feriti intrappolati sotto le macerie o all’interno di masse nevose in occasione di valanghe. Sono anche da tenere in considerazione volontari del C.N.S.A.S. al fine di concorrere al recupero di vittime poste in luoghi difficilmente raggiungibili. Noria di recupero Lo squilibrio creato dalla catastrofe rende indispensabile l'utilizzo di un elevato numero di mezzi, 52 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 53 spesso non immediatamente attivabili; le Associazioni di Volontariato possono integrare il sistema dei soccorsi istituzionale, mettendo a disposizione il loro parco mezzi. Posto Medico Avanzato (P.M.A.) I volontari possono coadiuvare il personale sanitario professionista nei compiti di assistenza di base al paziente (ad esempio sorveglianza o medicazione). Nel P.M.A. è necessario che vi siano tecnici per garantire la continuità dei servizi (acqua, luce, approvvigionamenti di materiale) e nuclei di trasporto logistico, destinati al recupero di materiale, al montaggio del P.M.A. e delle attrezzature. Posto di comando operativo All’interno del Posto di Comando Operativo devono trovare la loro collocazione le figure di coordinamento delle componenti di Volontariato impiegate, con compiti di supporto logistico delle operazioni, sotto la supervisione del Medical Disaster Manager. Possono essere utilizzati volontari per la gestione tecnica e logistica della Centrale Operativa Mobile, per quanto riguarda le connessioni radio, elettriche e il mantenimento in funzione di tutto l’apparato tecnico di coordinamento. Noria di evacuazione e ospedali di destinazione Valgono le considerazioni espresse in merito alla noria di recupero. Ospedale L'utilizzo di personale volontario all'interno della struttura ospedaliera è più difficile, per la maggiore complessità delle attività che vi si svolgono e la scarsa conoscenza di percorsi e procedure. Tuttavia è proponibile l'impiego di volontari da utilizzare in compiti quali il supporto morale a feriti e parenti delle vittime, o la collaborazione con il personale addetto al trasporto dei feriti nelle varie sedi di diagnosi o cura. Forze in campo Non è facile stabilire quante persone siano necessarie per affrontare una maxiemergenza. Non c’è una risposta univoca dato che i parametri imprevedibili sono molti, ed un evento può provocare addirittura la distruzione completa di ampie zone, compresi tutti i servizi di soccorso sanitario territoriale; tuttavia possiamo utilizzare degli algoritmi standard per ipotizzare l’ammontare delle risorse umane necessarie, considerando: • il numero ipotizzabile di feriti (vedi tabella 1) • il personale minimo che deve essere utilizzato nelle singole unità di soccorso Tabella 1 (fonte EMS – The Journal of Emergency Care, Rescue, and Transportation) Percentuale di ripartizione dei codici colore riscontrata nei feriti in occasione di catastrofe, seconmetodo di triage START. Il personale da utilizzare deve essere individuato in relazione al tipo di evento considerato. E' possibile che l’emergenza possa protrarsi anche per diversi giorni; l’utilizzo immediato di tutte le risorse umane disponibili provocherebbe, con l’esaurimento fisico dei soccorritori, l’interruzione delle operazioni di soccorso, poiché non si avrebbero forze fresche per garantire un nuovo turno di lavoro. 53 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 54 Un esempio di personale minimo da utilizzare può essere quello riferito alla gestione di un P.M.A. • triage e trattamento ➙ due medici esperti ➙ quattro infermieri professionali esperti, provenienti se possibile dall’Area Critica; • area ricovero codici rossi ➙ un medico (area Anestesia e Rianimazione, Chirurgia d’Urgenza o Medicina d'Urgenza); ➙ due infermieri professionali provenienti dall’Area Critica; • area ricovero codici gialli ➙ due infermieri professionali provenienti dall’Area Critica; • area ricovero codici verdi ➙ due soccorritori; • area evacuazione/trasporti ➙ un infermiere professionale; • aree tecnico-logistiche ➙ un addetto alle comunicazioni; ➙ un addetto alla registrazione in ingresso; ➙ un addetto alla registrazione in uscita; ➙ un responsabile magazzino farmaci e materiali; ➙ quattro addetti ai trasporti/rifornimenti del P.M.A; ➙ quattro addetti alla manutenzione del P.M.A. 54 PARTE_1_R 6-12-2002 7 10:28 Pagina 55 I Piani di Emergenza sul campo: Generalità Per ottenere una corretta pianificazione in caso di catastrofe bisogna introdurre il concetto di Strategia ovvero l'arte di ideare i Piani di Soccorso. La pianificazione, scarsamente considerata in Italia, trova nelle altre nazioni europee terreno fertile. In Italia il Dipartimento della Protezione Civile ha emanato le Linee Guida per la predisposizione dei Piani di gestione dell’emergenza a livello comunale e provinciale, diversificate per evento o situazione, quale atto d'indirizzo per le Regioni, le Prefetture ed i Comuni, ma raramente le indicazioni di massima contenute nei documenti vengono trasformate in Piani Operativi. Numerose sono le cause di questa mancata applicazione: • complessità del Sistema di Protezione Civile, con competenze regionali, provinciali e locali; • scarsa cultura delle problematiche inerenti ai soccorsi in caso di catastrofe, da parte di chi dovrebbe applicarle (molti Sistemi di Emergenza 118 non dispongono di Piani operativi); • scarsa propensione, tipicamente mediterranea ed italiana in particolare, a credere che un evento eccezionale possa colpirci così da vicino (del tipo "non potrà certo succedere a me"); • ridotta disponibilità di fondi economici da destinare ad un comparto, quello della prevenzione delle catastrofi, considerata statisticamente improbabile rispetto alle necessità del soccorso singolo quotidiano; • eccessiva fiducia nella possibilità di risolvere i problemi con l'esclusivo utilizzo delle procedure e dei mezzi ordinari. Piani di soccorso specializzati – VV.F. Queste ipotesi, che crediamo molto vicine alla verità, inducono i pianificatori ad uno scarso lavoro progettuale, rimandando ad un prossimo futuro ogni decisione, confidando nel fato propizio. Purtroppo la realtà ci ricorda che le catastrofi non sono statisticamente remote e la cronaca ci rimanda a dati, purtroppo, molto indicativi. 55 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 56 Si può tentare di giustificare chi dovrebbe provvedere alla pianificazione, pensando che tanto gli avvenimenti sono ineluttabili o scarsamente modificabili; tuttavia riteniamo, in coscienza, che si potrebbe fare molto di più per mitigare gli effetti di una catastrofe. Ma come? Basterebbe ispirarsi ad esperienze estere, adattandole alla nostra realtà e ricordare che se molte altre Nazioni investono in prevenzione e pianificazione, un motivo valido ci sarà! Per definire quali Piani occorrano possiamo ricordare quelli predisposti dalle Autorità Francesi. Essi sono: • P.P.I. = Piani particolari di intervento per installazioni repertoriate, nei quali s'interviene solo in caso di allarme relativo alla struttura considerata (per esempio una diga o una centrale nucleare). • P.S.S. = Piani di soccorso specializzati legati a un rischio ben definito, indipendentemente dal luogo dove si verifica (per esempio caduta di aeromobili, incidenti chimici, valanghe). • Piano Rosso = Piano da attuare in caso di un gran numero di vittime in zona urbana. • Piano Bianco = Piano intraospedaliero per arrivo di numerose vittime. • Piani di Soccorso globali, definiti dai francesi Or.Sec. (Or.= organisation Sec.= Secours) riferiti all’organizzazione generale dei soccorsi in caso di catastrofe, sia a livello provinciale sia regionale e nazionale; rappresentano in sintesi un elenco di risorse da gestire in caso di crisi. Citiamo, per correttezza, anche esempi di Piani redatti in Italia, come le Linee Guida del Settore Protezione Civile della Regione Piemonte rivolte ai Comuni per redigere i Piani Comunali di P.C. Ogni Piano deve prevedere i vari ambiti organizzativi che consentono di controllare le fasi del soccorso: • collegamenti e trasmissioni, • ordine pubblico, • trasporti e lavori, • soccorso e salvataggio, • soccorso medico. Il controllo di questi settori operativi consente di prevedere tutte le problematiche che si verificano nelle fasi concitate dei soccorsi. L’attuazione di queste indicazioni va adattata, ovviamente, al tipo di evento in atto ed al sistema dei soccorsi presente sul territorio considerato. Per facilitare il compito del programmatore, proponiamo una lista di situazioni da tenere in considerazione per giungere alla formulazione di Piani di Intervento da attuare in caso di catastrofe, suddivise in ambiti operativi differenti. • Centrale Operativa 118: 1. identificazione degli spazi interni e del personale da attivare in caso di catastrofe; 2. predisposizione delle Procedure Operative con particolare riferimento all’interfacciamento con le altre Centrali dell’Emergenza (V.V.F. – Carabinieri – Polizia di Stato); 3. predisposizione dei collegamenti radio e telefonici con la catena dei soccorsi sul campo; 4. Iidentificazione delle procedure per garantire un turnover di uomini, mezzi e materiali sul luogo dell’evento; 5. predisposizione delle procedure per interfacciamento con gli Ospedali di riferimento. • Mezzi in campo: 1. elenco ragionato dei mezzi da impiegare, in relazione al tipo di evento e alla sua localizzazione; 2. definizione dei compiti degli equipaggi di soccorso intervenuti, con particolare riferimento alle priorità in ambito sanitario e all’integrazione con la componente tecnica; 56 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 57 3. predisposizione di elenchi di materiale utilizzabile in caso di prolungamento della fase dei soccorsi (a questo fine va ricordata l’opportunità di disporre di un’Unità Mobile di Soccorso Sanitario autonoma, come quella descritta nel capitolo 4); 4. predisposizione di procedure atte a garantire il continuo funzionamento dei presidi, con riferimento alla ricarica delle batterie, alla fornitura di luce ed energia elettrica e all’approvvigionamento di sufficienti quantità di ossigeno e di acqua per usi personali e sanitari. Emergo Train System - scenario • Sito della catastrofe: 1. predisposizione delle procedure di ricognizione, settorializzazione, integrazione e recupero vittime; 2. predisposizione dei criteri per l’installazione del P.M.A.; 3. predisposizione delle procedure per eventuale interfacciamento con strutture complesse (C.M.E.); 4. definizione dei compiti del personale di soccorso (recupero vittime, P.M.A., evacuazione); 5. identificazione del checkpoint o punto di concentrazione dei mezzi di soccorso; 6. identificazione dei punti di imbarco delle vittime (terrestre, aereo ed eventualmente ferroviario); 7. identificazione dei circuiti di evacuazione. • Coordinamento Operazioni: 1. verifica circuiti di comunicazione tra sito, P.M.A. e Centrale Operativa; 2. predisposizione delle procedure per l’utilizzo ragionato degli uomini e dei mezzi intervenuti; 3. predisposizione delle procedure per richiesta rinforzi; 4. predisposizione delle procedure per bilancio della situazione e dei rapporti all’Autorità. 57 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 58 • Ospedali: 1. predisposizione delle procedure per censimento dei posti letto attivabili in emergenza; 2. predisposizione delle procedure per attivazione dei Piani per Massiccio Afflusso di feriti (PEIMAF); 3. predisposizione delle procedure per eventuale attivazione di un team di soccorso da inviare sul sito; 4. predisposizione delle procedure per eventuale azione vicariante tra i vari ospedali coinvolti. 0 Quest'elenco, non certo esaustivo, permette di ricordare i punti salienti della programmazione in caso di evento straordinario e indica le predisposizioni logistico - operative più comuni che devono essere attuate per rispondere correttamente alle numerose ed importanti problematiche originate dall’evento, non affrontabile con procedure ordinarie. Emergo Train System - situazione ospedali 58 PARTE_1_R 6-12-2002 8 10:28 Pagina 59 Materiali e Farmaci Nella pianificazione della maxiemergenza rientra anche l’indicazione dei materiali e dei farmaci da utilizzare nella catena dei soccorsi, dalla squadra che effettua il primo triage fino all’ambulanza che esegue il trasporto verso gli ospedali competenti. Squadra di Triage (S.T.) La prima squadra che interviene sul teatro del disastro è quella che ha la funzione di effettuare la ricognizione, di fornire la prima stima dell’evento alla Centrale Operativa e di eseguire il triage delle vittime. Deve disporre di mezzi di comunicazione con la C.O., e quindi: • radio veicolare, • radio portatile (per spostarsi lungo il teatro dell’evento), • telefono cellulare. I due concetti fondamentali sono la trasmissione diretta e la trasmissione duplex (o full duplex). Nel primo caso la fonte trasmittente e la fonte ricevente parlano sulla medesima frequenza, e sono sufficientemente vicine da permettere alle onde elettromagnetiche degli apparecchi riceventi/trasmittenti di captarsi vicendevolmente. Nel secondo caso la trasmissione può avvenire su frequenze di ricezione/trasmissione diverse e anche a distanze rilevanti, poiché la comunicazione raggiunge il cosiddetto “ponte radio” che ha il compito di ricevere, amplificare il segnale e ritrasmetterlo, se previsto, addirittura su un’altra frequenza. È possibile però che tali apparati non funzionino per: • assenza di segnale da parte dell’apparecchio, poiché non raggiungibile dai ponti radio della zona o per la presenza di barriere in grado di assorbire o riflettere le onde elettromagnetiche necessarie al suo funzionamento (gallerie, edifici in cemento armato), • impossibilità da parte del ponte radio di ricevere il segnale dell’apparecchio, perché distrutto dall'evento, • inquinamento ambientale da onde elettromagnetiche come nel caso d’incidenti di tipo nucleare (perdita di radioattività da una centrale nucleare), • guasti tecnici dell’apparecchio trasmittente o scarsa manutenzione dello stesso (batterie scariche). Essendo le prime comunicazioni fondamentali per un adeguato coordinamento da parte della C.O., è necessario che queste siano eseguite con diligenza e perizia, trasmettendo dati utili a: • individuazione esatta del target; • tipo di evento; • stima dell’estensione dell’evento e del numero presunto di persone coinvolte; • vie di accesso preferenziali; • rischi identificabili. Occorre ricordare che le comunicazioni vanno scandite correttamente, parlando in modo lento e chiaro; passando la comunicazione all’interlocutore, va sempre utilizzato il termine “cambio”, per riferire che il messaggio è concluso e si è pronti ad ascoltare la risposta. La Squadra deve disporre di un protocollo standardizzato di triage. Il più usato e forse il più semplice da utilizzare sul campo è senza dubbio il protocollo S.T.A.R.T. (vedi capitolo 5). Questo metodo consente di stabilire molto velocemente la priorità dei feriti adottando semplici valutazioni, praticabili sul campo anche da soccorritori non professionisti. La S.T. deve avere a disposizione i presidi necessari per eseguire il triage delle vittime: • le schede di triage, costituite da supporto impermeabile, munito di elastico per assicurarle ai pazienti e scrivibili con inchiostri indelebili 59 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 60 • ti mezzi di identificazione della classe di gravità. Il metodo migliore per la classificazione delle vittime è quello del posizionamento di un nastro o un elastico colorato di medie dimensioni (tipo quelli di spugna utilizzati come fermacapelli). Tale dispositivo, fissato al polso della vittima ne permette la rapida identificazione e il trattamento (a breve termine o differito). La Squadra di Triage deve essere anche dotata di un minimo di presidi per il trattamento delle lesioni potenzialmente letali riscontrate in sede di triage e che si possono correggere con manovre semplici, e cioè: • presidi per il mantenimento della pervietà delle vie aeree (cannule oro-faringee), • presidi per il controllo delle emorragie massive (lacci emostatici, torniquet); • coperte isolanti per la protezione termica. Tutto questo materiale dovrebbe essere conservato all’interno degli automezzi di soccorso in uno o due appositi zaini di piccole dimensioni, destinati alla classificazione di un minimo di cinquanta vittime. Altro materiale che potrebbe essere utile in sede di triage sono alcune bandierine a forma triangolare rappresentanti una “T” rossa su sfondo arancione montate su aste di circa due metri di altezza, da conficcare nel terreno nel punto in cui una squadra sta effettuando il triage, in modo che sia evidente a tutti dove le Squadre di Triage stanno lavorando. Squadre A.L.S. (Advanced Life Support) Le squadre A.L.S., che arrivano sul posto in un momento successivo, hanno il compito di affiancare le squadre di recupero della piccola noria, nel salvataggio, trattamento e trasporto di quei feriti che, per la loro disincarcerazione o recupero richiedono manovre lunghe e complesse. Si pensi alla persona incarcerata all’interno delle lamiere in caso di incidente ferroviario, oppure alle vittime sepolte sotto un edificio crollato in caso di terremoto. I feriti non potranno essere immediatamente recuperati. Le operazioni per il loro recupero potranno durare diverso tempo oppure richiedere mezzi tecnici complessi (unità cinofile, camere termiche, amplificatori di suoni). Le squadre A.L.S. devono essere equamente ripartite all’interno dei cantieri in cui sarà suddivisa l’area dei soccorsi. Queste squadre dovranno essere in comunicazione diretta con il Direttore dei Soccorsi, e sono composte essenzialmente da operatori professionisti: un medico, esperto in Medicina delle Catastrofi, ed un infermiere professionale proveniente dall’area critica ed anch’esso adeguatamente formato. Medicalizzazione avanzata - Team A.L.S 60 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 61 Presidi sanitari della squadra A.L.S. (indicativi): • due zaini di soccorso medi forniti di sacche interne asportabili, di scomparti e di fasce esterne per il fissaggio di materiale esternamente • set di collari cervicali • KED fissato esternamente ad uno zaino • bombola di O2 portatile con riduttore di pressione ed erogatore regolabile • sfigmomanometro e fonendoscopio • spremisacca • pallone di AMBU con maschere • reservoir adulti per AMBU • mandrino apribocca • pinza di Magill adulti e pediatrica • cannule di Guedel (adulti e pediatriche) • set tubi endotracheali (pediatrici e adulti) • mini-track (set per tracheotomia) • laringoscopio a tre lame • mandrino medio • tubi corrugati e filtri • saturimetro a batteria • coperte isotermiche • guanti monouso • occhiali di protezione • lacci emostatici arteriosi • set clampaggio vasi – emostasi • bisturi monouso • garze ripiegate non sterili • cerotto a nastro da 2,5 e 5 cm • benda autoadesiva da 10 cm • disinfettante su base acquosa • s.n.g. e sacchetti raccolta secreti • ideflussori, lacci emostatici, aghi cannula • siringhe da 2,5-5 e 10 cc • sondini da aspirazione • Farmaci standard per il supporto circolatorio e respiratorio e analgesici • Infusioni in sacche di plastica Materiali vari: • aspiratore per secreti portatile (manuale o elettrico) • forbici taglia abiti • due torce portatili con supporto e fonte illuminante orientabile • segnalatori a lungo raggio, fumogeni e luminosi • radio portatili (almeno una per squadra) • caschi di protezione individuale (con fonte di illuminazione) Il capo di vestiario principale dovrebbe essere una tuta multitasche, con zip centrale e spalline rinforzate (per un eventuale recupero d’emergenza dell’operatore in caso di pericolo). La tuta è indicata per motivi di sicurezza, perché non avendo cinture e passanti si riduce il rischio che il capo di vestiario indossato rimanga impigliato durante le operazioni di soccorso. La tuta permette inoltre di indossare al di sotto capi di vestiario diverso pur mantenendo l’omogeneità della divisa. Non è raro, infatti, che a scopo di protezione termica si indossino sulla divisa maglioni o altri accessori che possono rendere meno riconoscibile l’operatore. La protezione dell’operatore deve comprendere un elmetto dotato di fonte di illuminazione accessoria e un’imbracatura per discesa in corda, o verricellamento da un mezzo ad ala rotante. Per finire, l’abbigliamento deve prevedere calzature antinfortunistiche tipo stivaletto “anfibio” con suola in Vibram, adatte per afTeam A.L.S. - Materiale frontare qualunque tipo di terreno. 61 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 62 Squadre di trasporto Un’altra fase della zona dei soccorsi è la noria di recupero, ossia il circuito che attua il trasporto delle vittime, sottoposte a triage, dalla zona dei soccorsi fino al P.M.A. Le squadre di trasporto possono essere composte da personale non sanitario, tranne per quelle situazioni in cui la vittima, sottoposta a trattamento A.L.S., necessiti di supporto avanzato. Il materiale necessario a questo tipo di squadre comprende principalmente barelle. Dato che il trasporto avviene spesso su terreno impervio o accidentato, è necessario che le barelle siano trasportate a mano verso il P.M.A. Le barelle utilizzate in questo tipo di situazioni sono quelle definite “impilabili da catastrofe”, fatte in modo da poter essere sovrapposte le une alle altre per occupare il minore spazio possibile. Altro tipo di barelle utilizzabili possono essere i cosiddetti “barellini” montati sui carrelli autoscaricanti delle ambulanze, che però hanno lo svantaggio di essere relativamente pesanti rispetto alle altre, dato che il piano d’appoggio non è in materiale plastico ma in metallo o in lega. Infine, in caso di trauma è indicato l’uso di assi spinali o barelle atraumatiche. In relazione al fatto che le barelle sono trasportate a mano, si possono prevedere tre opzioni per rendere meno faticoso il lavoro di queste squadre: • trasporto a quattro soccorritori (uno per ogni angolo/maniglia della barella); • trasporto con spallacci, che permette un trasporto a due soccorritori • trasporto con mezzi speciali (solitamente veicoli 4x4) ad alta capienza (4-6 barellati). Le squadre di trasporto hanno un alto dispendio energetico, dato che il loro lavoro è prettamente di tipo fisico, per cui bisogna prevedere una certa rotazione di personale in turno di riposo per evitare che nei primi momenti ci sia il massimo delle performances a scapito delle fasi successive, in cui è ancora importante la rapidità. Posto Medico Avanzato (P.M.A.) Il P.M.A. è il luogo dove si inizia il supporto sanitario vero e proprio. Qui il paziente prelevato dalla scena del disastro riceve il primo trattamento avanzato (se si escludono le vittime assistite dalle squadre ALS), con l’obiettivo di ottenere la stabilizzazione delle funzioni vitali e permetterne il trasporto verso i nosocomi delle retrovie nelle migliori condizioni possibili. Il P.M.A. può essere installato in strutture esistenti nei pressi della scena del disastro. Nel caso degli attentati alla metropolitana di Parigi i P.M.A. sono stati allestiti all’interno di locali pubblici, come caffetterie o negozi. P.M.A. – Settore Protezione Civile della Regione Piemonte 62 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 63 Il problema sorge quando l’evento è così devastante da impedire l’utilizzo di edifici in muratura, oppure avviene in luoghi impervi fuori dal contesto urbano, dove non siano presenti edifici utilizzabili. In questo caso può essere necessario disporre di materiale “campale” come l’Unità Mobile di Soccorso Sanitario (U.M.S.S.); in altre parole una struttura sanitaria mobile in grado di essere montata in tempi brevi, che consenta il triage e la stabilizzazione delle vittime. La struttura fornisce un importante supporto logistico alle equipes sanitarie, in modo da rendere la loro azione più incisiva, completa, e le cure più sofisticate grazie alle attrezzature in dotazione, garantendo così un migliore intervento sanitario. L'Unità Mobile di Soccorso Sanitario acquisita nel 1993 dalla Regione Piemonte, è composta da tre tende pneumatiche gonfiabili unite tra loro, ognuna delle quali corrisponde ad un modulo funzionale: 1. modulo di Triage, 2. modulo di Stabilizzazione, 3. modulo di Evacuazione In caso di incidente minore o limitato si può utilizzare una sola tenda che unisce le funzioni dei tre moduli. Ogni tenda è dotata di impianto di illuminazione autonomo ed è isolata dal suolo e dall’ambiente esterno per mezzo di un’intercapedine. Per l’alimentazione elettrica, la struttura dispone di un gruppo elettrogeno che la rende autosufficiente (illuminazione, ricarica batterie delle attrezzature elettromedicali, riscaldamento). All’interno delle tende trovano posto i supporti pieghevoli su cui sono poste le barelle impilabili per catastrofe. I supporti pieghevoli, se capovolti, possono essere utilizzati anche come tavoli da lavoro o come superfici di appoggio. Sono presenti lampade scialitiche e il materiale sanitario (farmaci, infusioni) è sistemato in contenitori della capacità di circa settanta litri, impermeabili e sigillati. La struttura dispone, in particolare, di materiale per il recupero ed il trasporto di pazienti traumatizzati, e cioè: • barelle atraumatiche “a cucchiaio”; • materassi a depressione autoindurenti indicati per i traumi del rachide; • collari cervicali, steccobende a depressione per traumi degli arti; • presidi per il trattamento dei grandi ustionati. Per consentire il supporto vitale avanzato ed il trattamento rianimatorio, la struttura campale dispone di: • monitor defibrillatore portatile; • palloni autoespandibili per la ventilazione manuale (“palloni AMBU”); • 2 ventilatori meccanici portatili; • 2 aspiratori endocavitari chirurgici portatili; • 2 pulsossimetri. Completano la dotazione sanitaria bombole di ossigeno da dieci litri con riduttore di pressione; flussometro e rampa con quattro erogatori che, utilizzando una sola bombola, permette di porre sotto ossigenoterapia fino a quattro pazienti contemporaneamente; è allo studio l’acquisto di unità portatili di ossigeno liquido. Al fine di individuare le aree di lavoro e di soccorso, la struttura campale dispone di un kit di cartelli di segnaletica con scritte rifrangenti. AI materiale citato vanno aggiunti farmaci e presidi sanitari, necessari al trattamento dei feriti, di cui si riporta un elenco indicativo, utile per la gestione di circa 100 pazienti. 63 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 64 Materiale per supporto cardiocircolatorio: • 20 lacci emostatici a fascia • 20 cerotti di fissaggio da 2,5 cm • 20 lacci emostatici arteriosi per braccio e gamba • 200 pacchi di garze sterili (monoconfezione) • 2 confezioni di disinfettante in salviette • 10 rotoli di Peha-Haft da 6 cm per fissaggio • 100 doppie vie di infusione • 5 pacchi di garze non sterili ripiegate da 100 • 50 flaconi di soluzione colloide da 500 ml • 500 siringhe da 20 ml - 10 -5 - 2,5 ml • 200 sacche di soluzione di Ringer lattato 500 ml • 5 spremisacca per infusione rapida • • 50 sacche di soluzione fisiologica 1000 ml • 50 siringhe da insulina 100 UI/ml 50 sacche di sol. glucosata al 5% da 500 ml • 25 cateteri vescicali per misura 16 e 18 G • 300 aghi cannula (varie misure) • 100 lubrificanti monodose • 20 travasatori • 100 soluzioni fisiologiche da 10 ml • 300 deflussori per infusioni) • 50 telini sterili 45x75 cm • 50 telini sterili 45x75 cm • 300 guanti sterili (tutte le misure) • 20 fili da sutura 3/0 montati – set di sutura • 20 set per la puntura sovrapubica (tipo Cistofix) Farmaci Materiale per supporto respiratorio: • 100 tubi endotracheali (adulti e pediatrici) • 15 mandrini per intubazione • 20 tubi da 100 gr di gel lubrificante • 100 cannule Guedel mis. 0 - 00 - 1 - 2 - 3 - 4 - 5 • 20 cerotti di fissaggio da 2,5 cm • 50 filtri antibatterici umidificanti per circuiti resp. • 50 cateteri Mounth per raccordo al pallone autoespandibile • 20 raccordi O2, • 200 sondini di aspirazione - mis 10 -12 -16 -18 G • 200 sondini aspirazione mis. 9 e 11 G mandrinati • 50 siringhe da 60 cc per aspirazione cono grande • 25 cannule di Trocar assortite • 25 dispositivi monouso per drenaggio toracico • 50 sacchetti raccolta secreti Materiale per il management chirurgico e per medicazione: • 10 set per la piccola chirurgia • 5 set per la venolisi • 20 set per emostasi profonda - monconi amputati • 50 fili di sutura montati e assortiti • 25 fili da sutura 3/0 montati - 3 set sutura • 100 pacchi di garze sterili da 10 garze ripiegate • 10 pacchi di garze non sterili da 100 pezzi 10x10 cm ripiegate 10x10 cm • 20 bobine di Catgut riassorbibile • 30 rotoli di Peha-Haft - mis. 6 - 8 - 10 e 12 cm • 2 rotoli di cerotto di fissaggio – mis. 10 e 15 cm • 50 telini sterili da 45x75 cm • 5 forbici a testa smussa • 20 bisturi assortiti per le misure 15 e 22 • 25 tubetti di collante per la sutura chimica 64 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 65 • 100 confezioni di strip sterili per sutura • 10 flaconi di H2O2 da 500 cc a 12 volumi • 10 flaconi da 1000 ml di disinfettante non alcolico• 110 contenitori per smaltimento rifiuti ospedalieri • 10 contenitori - smaltimento di taglienti/pungenti • 10 flaconi di Xylocaina 2%, • 200 aghi monouso 19 G - 21 G • 100 confezioni di ghiaccio istantaneo monouso • 3 contenitori per arti amputati • 100 fiale per la profilassi antitetanica Materiale vario: • dispositivi di protezione individuale: occhiali, mascherine, calzari, camici monouso. • scatole di guanti monouso misura S - M - L. • 100 batterie alcaline Torcia, mezza Torcia, stilo • bottiglie d’acqua naturale Per la razionalizzazione delle risorse deve essere previsto un magazziniere che distribuisca (con parsimonia) e prenda nota del materiale che viene utilizzato, in modo da disporne l’immediato reintegro durante le fasi del soccorso. Per fare ciò deve disporre, oltre che di un luogo per la distribuzione del suddetto materiale, anche di un automezzo con il relativo autista, che si incarichi del rifornimento presso le farmacie dei nosocomi o le Centrali Operative Regionali e Provinciali. Il magazziniere deve poter collegarsi con queste strutture in modo da poter ordinare il materiale, e deve essere disponibile un mezzo capiente e dotato dei segnalatori supplementari acustici e luminosi (lampeggiatori e sirena). Il responsabile della farmacia/magazzino ha inoltre il compito di preparare gli zaini per le squadre A.L.S., qualora queste vengano attivate. Mezzi di trasporto Mezzi terrestri Gli automezzi terrestri che si occupano del trasporto protetto delle vittime verso le strutture nosocomiali, possono essere suddivisi in tre categorie: 1. automezzi per il trasporto promiscuo (feriti codice verde), 2. ambulanze di soccorso di base (trasporto dei codici verdi e gialli stabilizzati), 3. ambulanze di soccorso avanzato (trasporto dei codici gialli a rischio e codici rossi). Nella prima categoria rientrano tutti quegli automezzi che per capienza del vano trasporto, possono ospitare un numero di persone superiore alle otto unità compreso l’accompagnatore. Possiamo annoverare tutti i veicoli per il trasporto superiori ai 35 quintali, come i Ducato panorama normali o a passo lungo, i Cacciamali, gli autobus, o veicoli simili, prevedendo un accompagnatore (sanitario) ogni 10 persone. In questi automezzi deve essere presente l’attrezzatura di base per il supporto delle funzioni vitali. Nella seconda categoria annoveriamo le ambulanze di soccorso di base, con la loro dotazione prevista per legge dal Ministero dei Trasporti e dalle varie Leggi e Circolari Regionali istituenti i Servizi di emergenza Territoriale 118. Vi possono essere trasportati quei pazienti in condizioni cliniche tali da non destare pericolo immediato, con funzioni vitali stabilizzate, ma che devono viaggiare in posizione sdraiata. Il personale previsto deve essere di due unità, una alla guida ed un’altra addetta all’assistenza. In casi particolari potranno essere trasportati due pazienti sdraiati sui veicoli che permettono tale opzione e solo dopo attenta valutazione da parte del Responsabile dei Trasporti in base alla scheda di Triage. Il materiale presente è quello per il supporto delle funzioni vitali di base, per il ripristino delle vie aeree (aspiratore endocavitario completo di raccordi e sondini di aspirazione) e l’immobilizzazione. Nella terza categoria vengono compresi tutti i mezzi di soccorso avanzato. Questi mezzi saranno 65 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 66 destinati al trasporto delle vittime in condizioni cliniche critiche. Il personale destinato all’accompagnamento deve essere sanitario (a parte l’autista), e possibilmente composto da medico ed infermiere. All’interno di questo mezzo devono trovare posto il materiale ed i farmaci destinati al supporto avanzato delle funzioni vitali. Tali mezzi devono essere utilizzati con parsimonia da parte del Responsabile dei Trasporti, poiché distolgono il personale sanitario coinvolto dalle attività dirette di soccorso alle vittime, per tempi che spesso possono essere piuttosto lunghi. Tutti i mezzi terrestri che rientrano vuoti verso il luogo dell’evento, possono essere utilizzati per il trasporto di materiali o di personale di rincalzo per il campo o il P.M.A. Un capitolo a parte richiederebbero i mezzi speciali. Questi possono essere principalmente di tipo anfibio o a trazione integrale per il superamento di dislivelli o di terreni particolarmente accidentati, e generalmente non vengono utilizzati per i trasporti secondari verso i nosocomi ma semplicemente per il recupero delle vittime ed il disimpegno delle squadre di trasporto. Ambulanza di Rianimazione – Ospedale Martini di Torino Mezzi aerei Il mezzo più utilizzato è senza dubbio l’elicottero, sia in configurazione "E.M.S." sia "utility", come quelli in dotazione ai VV.F, Polizia, Carabinieri e Forze Armate. Nel caso di mezzi E.M.S. saranno disponibili i presidi sanitari necessari. Se invece si deve trasformare l’elicottero in mezzo sanitario è necessario: • lcaricare il paziente su un materasso a depressione, per evitare problemi di trasporto • disporre di: o una pompa per materasso a depressione, o uno zaino con materiale A.L.S., o un aspiratore portatile ed un monitor – defibrillatore. 66 PARTE_1_R 6-12-2002 9 10:28 Pagina 67 Autoprotezione e rischio evolutivo Il rischio evolutivo consiste nella possibilità che un evento dannoso possa proseguire nella sua azione lesiva o innescare altri pericoli, provocando lesioni o morte agli individui che ne subiscono l’effetto. La conoscenza del concetto di rischio evolutivo deve essere patrimonio comune di tutti coloro che svolgono azioni di soccorso sul territorio o prestano servizio in ambienti lavorativi esposti a tale situazione. La responsabilità principale dell’ operatore deve essere l’incolumità personale, dei propri colleghi, delle persone casualmente sulla scena e del soggetto soccorso. Sviluppo del rischio evolutivo I fattori di rischio cui può essere sottoposto l’operatore durante l’azione di soccorso sono legati a: 1. ambiente: • condizioni ambientali disagiate o modalità d'intervento difficili o critiche: traffico, folla, scarsa visibilità, condizioni climatiche avverse, conformazioni idrogeologiche particolari; • evento in atto: fuoco, gas nocivi, sostanze chimiche, elettricità, radiazioni; • eventi potenziali: instabilità del luogo in cui si trova l’infortunato, pericoli di crollo, esplosioni; 2. procedure operative: • mezzi di soccorso: criteri d'impiego legati al codice di criticità, sicurezza a terra ed in volo, sicurezza durante l’atterraggio; 3. paziente: • condizioni fisiche: malattie trasmissibili, • condizioni psichiche: aggressione fisica; 4. errore umano: • imprudenza, • imperizia, • negligenza. In alcuni casi, il concretizzarsi del rischio evolutivo è dovuto ad eventi poco prevedibili e difficilmente controllabili. Altre volte, purtroppo, alla base di questi drammatici episodi c’è la scarsa formazione degli operatori o un loro comportamento inadeguato. Rischio evolutivo ed errore umano Nella realtà del soccorso l’operatore può incorrere per proprio errore nelle conseguenze del rischio evolutivo, essenzialmente per tre ragioni: 1. non conoscenza del rischio e delle conseguenze cui può portare la sua azione di soccorso (imperizia), 2. superficialità con cui svolge l’azione di soccorso (negligenza), 3. sopravvalutazione delle proprie capacità durante lo svolgimento dell’azione di soccorso (imprudenza). Talvolta chi forma i soccorritori per lo svolgimento dell’attività dell’emergenza territoriale dedica poco tempo all’analisi del rischio collegato alle attività di soccorso. In altri casi, seppur trattando tale argomento, non ci si affida ad istruttori specializzati (esempio: Vigili del Fuoco), limitandosi ad una analisi superficiale, con il rischio di lasciare pericolose lacune nel personale operativo. 67 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 68 Un esempio di imperizia è dato da colui che corre all’interno di un edificio parzialmente crollato per prestare soccorso alle vittime, senza tener conto che le rimanenti strutture possono aver subito danni, e quindi crollare a loro volta: costui corre il rischio di rimanere ferito e quindi richiedere un’ulteriore equipe per soccorrerlo. Colui che svolge la propria azione con superficialità è tanto più colpevole quanto più è cosciente di ciò che sta facendo: molte volte coloro che adottano tale atteggiamento conoscono il potenziale pericolo connesso con alcune situazioni, ma non adottano tutte precauzioni previste nel caso specifico. Spesso le conseguenze della negligenza si abbattono anche su altre persone che condividono con l’operatore il rischio. Solitamente, invece, chi sopravvaluta le proprie capacità tende a correre il rischio “da solo”: è il superman della situazione. Chi compie l’azione imprudente è solo parzialmente consapevole delle possibili conseguenze: egli ritiene a torto le sue capacità sufficienti ad affrontare il rischio, la cui reale consistenza è purtroppo spesso sottostimata. Questi sono in sintesi gli errori che portano ad esporre l’operatore ad un rischio evolutivo nella zona in cui vengono condotti i soccorsi in caso di disastro. Essi possono essere significativamente ridotti con una appropriata formazione di base del soccorritore ed un aggiornamento continuo, corredato da periodici momenti di verifica. E’ molto importante inoltre che il sistema dei soccorsi incentivi e gratifichi gli operatori che si comportano in modo professionale, non esponendo loro stessi e gli altri a rischi ingiustificati, e condanni invece gli atti “eroici” ma forieri spesso di conseguenze nefaste. Autoprotezione e sicurezza sulla scena Per autoprotezione si intende l’insieme delle procedure che devono essere adottate sulla scena dell’evento per ridurre il rischio evolutivo e proteggere l’operatore dalle conseguenze del rischio stesso. I mezzi di protezione fisica dei soccorritori sulla scena dell’evento (fase extraospedaliera) hanno la funzione di proteggere le parti del corpo più vulnerabili od esposte e di consentire nello stesso tempo il movimento in tutte le fasi dell’intervento, senza procurare alcun impaccio. A tale scopo l’attrezzatura elencata di seguito dovrebbe essere disponibile per tutti gli operatori: • elmetto rigido, con strisce catarifrangenti per la protezione del capo, • visiera, scudo facciale od occhiali di plastica per la protezione degli occhi da corpi estranei o liquidi, biologici e non, contaminati o nocivi, • mascherine chirurgiche in TNT, • divisa che comprenda una giacca a vento impermeabile con bande catarifrangenti, • guanti in lattice o PVC per la prevenzione del contatto accidentale con contaminanti, • eventuali guanti da lavoro in cuoio o altro materiale per eseguire manovre che richiedono uso della forza fisica, • scarponcini con suola isolante ed antiscivolo dotati di protezione delle caviglie e del puntale. Questo materiale individuale, unito alla conoscenza ed all’addestramento, abbatte in modo considerevole la possibilità di venire coinvolti da un pericolo presente sulla scena dell’evento. Ma questo non basta, dato che l’operatore che effettua il soccorso sanitario ha delle conoscenze limitate rispetto a coloro che tutti i giorni operano il soccorso tecnico, cioè i Vigili del Fuoco: è loro il compito di valutare il rischio evolutivo e di garantire la sicurezza sulla scena dell’evento. A questo proposito, è bene ricordare due concetti che vanno di pari passo con il concetto di sicurezza: 1. salvataggio 2. soccorso. 68 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 69 Con il primo termine, infatti, indichiamo tutte quelle tecniche e procedure atte a portare in salvo e a recuperare la vittima di un evento, trascurando le manovre sanitarie, perché la priorità è l'allontanamento da una situazione di pericolo. Il salvataggio è di solito demandato ai Vigili del Fuoco o a personale specializzato (Tecnici del Soccorso Alpino). Con il termine invece di soccorso intendiamo tutte quelle manovre atte a ristabilire le funzioni vitali della vittima o ad impedire che queste si deteriorino. È anche compito del soccorritore quello di effettuare il trasporto protetto dell’infortunato presso il nosocomio competente, coordinato dal Sistema 118, per il proseguimento delle cure del caso. A questa azione possono concorrere i Vigili del Fuoco, sotto la supervisione però della componente sanitaria. Il comportamento del soccorritore Al soccorritore, formato ed abilitato a operare in situazioni di emergenza, è richiesto: • il controllo del luogo dell’intervento, al fine di proteggere se stessi e le vittime, prevenendo ulteriori incidenti ed effettuando la valutazione dei rischi come prima fase delle operazioni di soccorso, • il conoscere i pericoli che potrebbero derivare da uno scenario incidentale a volte anche complesso, prevenendoli se possibile, o affrontandoli nell’ambito delle proprie competenze e senza assumersi compiti non adeguati alle sue capacità • collaborare con le altre figure professionali del soccorso, ed in assenza valutare la necessità del loro intervento Soccorso sanitario integrato con i Vigili del Fuoco Oltre a questo il soccorritore professionale dovrebbe anche possedere alcune importanti caratteristiche personali che possono contribuire ad aumentare la sicurezza sulla scena, quali: • stabilità emotiva per riuscire ad affrontare e superare tutti gli aspetti di una situazione di emergenza, • capacità organizzativa e di collaborazione con le altre figure professionali per garantire un buon coordinamento delle varie fasi del soccorso, • versatilità e capacità di adattamento alle situazioni imprevedibili, • spirito di iniziativa per eseguire le procedure necessarie, nel rispetto del ruolo rivestito, e con autonomia decisionale. 69 PARTE_1_R 6-12-2002 10:28 Pagina 70 Catastrofe e rischio evolutivo L’evento catastrofico è un severo banco di prova per l’operatore dei soccorsi per quanto riguarda la gestione del rischio evolutivo. Esistono infatti molti aspetti, tipici di tale situazione, che possono incrementare drammaticamente le possibilità che i soccorritori subiscano lesioni durante lo svolgimento del loro compito: 1) Fattori che determinano un innalzamento del rischio: • tipologia dell’evento (esempio: sisma, possibilità che si verifichino altre scosse); • altri rischi innescati dall’evento (esempio: rottura delle condutture del gas dopo sisma); • presenza di caos e di scarso controllo emotivo da parte delle vittime; • carenza di mezzi o loro malfunzionamento (esempio: a causa di un blackout); 2) Fattori che determinano una riduzione della vigilanza • “trance del soccorritore”, che manifesta comportamenti da eroe con sprezzo del pericolo; • “machismo”, sopravvalutazione delle proprie capacità; • stanchezza; • instabilità emotiva da parte del soccorritore, che si sente “inadeguato”; • pressione psicologica da parte delle vittime e della situazione. Il rischio evolutivo è direttamente proporzionale all’entità del pericolo e al mancato rispetto dei comportamenti adeguati sopra descritti. Una situazione abbastanza comune è il pungersi con un ago “sporco”: nella concitazione, è molto più frequente che i taglienti contaminati non vengano riposti nell’apposito contenitore di plastica, ma vengano dispersi nell’ambiente circostante, favorendo la lesione accidentale. Il responsabile di un determinato gruppo di operatori deve essere molto attento a tali comportamenti, ed intervenire prontamente quando si vengono a creare i presupposti per un innalzamento del rischio evolutivo. Lo stesso atteggiamento dovrebbe essere tenuto dai soccorritori quando si rendono conto che un loro collega sta commettendo pericolosi errori o sviste: se il richiamo diretto ad una maggiore prudenza non ha alcun riscontro positivo, è necessario informare il proprio coordinatore affinché prenda provvedimenti. Non si tratta di delazione, ma di un comportamento teso a preservare l’integrità fisica propria, delle vittime e del collega imprudente. 70