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1 La Catastrofe

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1 La Catastrofe
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La Catastrofe
Le catastrofi hanno da sempre caratterizzato la vita dell'Uomo.
La prima catastrofe descritta nella storia è un'inondazione riferita dalla Bibbia (Genesi 7,8):
"Le acque si alzarono di quindici braccia sopra le montagne che furono coperte e tutto ciò che c'era sulla Terra perì".
Il Diluvio Universale aprì una serie ininterrotta di migliaia di catastrofi.
Il 24 agosto dell'anno 79 d.C. Caio Plinio, più noto come Plinio il Vecchio, era arrivato da pochi
giorni, inviato dall'Imperatore Tito ad assumere il comando della flotta romana di stanza a Miseno. Plinio aveva 56 anni ed era asmatico. Il suo sguardo poteva spaziare nella baia fino ad Ercolano e più in là a Pompei.
Plinio depose i suoi libri e si accorse di una strana nube che s'innalzava dalla cima del Vesuvio.
Per la maggior parte dei Romani, l'ipotesi che il vulcano fosse attivo pareva assurda. Uliveti e frutteti prosperavano sulle sue falde più basse ed abbondava il grano. La zona, calda e ventilata dal
mare, attirava i villeggianti e numerosi patrizi avevano costruito ville bellissime.
A mezzogiorno la massa incandescente eruppe dal cratere del vulcano con un immane boato, che
spaccò di netto la montagna e lanciò nell'aria un'immensa nube di fuoco e ceneri, fino a 20 chilometri d'altezza, mentre la terra era lacerata da scosse.
Tutti iniziarono a fuggire in modo disordinato e senza meta.
Ma il peggio doveva ancora arrivare.
La mattina del 25 agosto su Pompei, più distante, si rovesciò una nube infuocata, la stessa che
aleggiava sul Vesuvio durante la notte.
Pietre e ceneri mescolate a vapore surriscaldato viaggiavano ad almeno cento Km orari.
Tutti i fuggiaschi furono annientati in un attimo e i loro corpi rimasero imprigionati nei calchi formati dalle stesse sostanze che li avevano uccisi.
Il Natale del 1972 si annunciava gioioso per Managua, capitale del Nicaragua, perché la città
ospitava i campionati mondiali di baseball per dilettanti.
Nella sera del 22 dicembre si videro i cittadini impazzire di gioia per la vittoria della loro squadra, e pochi di loro notarono, alle ore 21.30, due brevi scosse telluriche.
Quel giorno, verso mezzanotte, il dittatore del Nicaragua, Generale Anastasio Somoza, stava rientrando a casa nell'elegante quartiere di El Retiro, dopo un matrimonio.
In pochi attimi tre violente scosse ondulatorie e sussultorie ridussero in macerie il 70% della città.
Gli edifici in muratura crollarono sugli abitanti che dormivano e le baracche di legno, asciutte per
la siccità, esplosero in fiamme.
La gente correva per le strade, mentre i pochi Vigili del Fuoco sopravvissuti non potevano utilizzare i loro mezzi sepolti da tonnellate di macerie.
L'ospedale più grande della città, di 800 posti letto, crollò uccidendo almeno 100 pazienti, tra cui
17 neonati del nido. Nello spiazzo antistante l'ospedale crollato il responsabile del Pronto Soccorso, il dottor Augustin Cedêno, allestì un ospedale da campo. I conducenti dei mezzi che accompagnavano i feriti tenevano i fari accesi per consentire ai medici, inginocchiati nella polvere,
di arrestare emorragie e immobilizzare fratture.
Complessivamente furono circa 5.000 i feriti curati in questo spiazzo all'aperto.
La portata della devastazione si vide all'alba del sabato 23 dicembre. Un'area di 320 isolati nel
cuore della capitale era ridotta ad un deserto disseminato di cadaveri. Una cappa di fumo denso
e polvere aleggiava sulla città, mentre acqua, elettricità e linee telefoniche non esistevano più.
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Con circa 20.000 feriti e tutti e quattro gli ospedali cittadini distrutti, la città nel caos.
Neppure l'Esercito riusciva a mantenere l'ordine.
Ecco la cronaca di due eventi distanti tra loro, ma con il denominatore comune dell'improvviso sconvolgimento della
struttura sociale.
Per indicare la dimensione del problema si può citare una
statistica dell'O.M.S., riferita al solo periodo che va dal
1900 al 1976, che riporta le cifre delle vittime di catastrofi
naturali: 4.600.000 morti e ben 233 milioni di feriti.
Per ricordare gli episodi più significativi, citiamo la cronaca,
suddividendola per classi di eventi:
Terremoto di Città del Mexico-1985
Catastrofi Naturali
Tipo
Eruzioni Vulcaniche
Alluvioni
Valanghe
Terremoti
Uragani
Anno
1902
1985
1939
1916
1976
1976
1963
Luogo
Montagna Peleè - Martinica
Nevado del Ruiz - Colombia
Cina settentrionale
Tirolo - Austria
Città del Guatemala
Tang Chan - Cina
Caraibi (uragano Flora)
Deceduti
30.000
23.000
500.000
8.000
23.000
500.000
7.000
Catastrofi Tecnologiche e Sociali
Tipo
Incendi
Incendi in ospedale
Nubi Tossiche
Incidenti Minerari
Incidenti nella Metropolitana
Incidenti Aerei
Incidenti Ferroviari
Incidenti nei tunnel
Naufragi
Esplosioni
Movimenti della Folla e da Panico
Incidenti Sportivi
Terrorismo
Anno
Luogo
1970
1950
1984
1906
1903
1977
1992
1917
1999
1912
1994
1978
Discoteca di Grenoble - F
Davenport - IOWA, U.S.A.
Union Carbide of Bhopal - India
Courrieres - F
Parigi - F
Due 747 aeroporto Tenerife - E
Aereo su abitato - Amsterdam - NL
S. Michel Maurienne - F
Traforo del Monte Bianco - Italia
H.M.S Titanic
Traghetto (Finlandia)
Los Alfaques (Spagna)
1964
1985
1955
1972
1995
2001
Lima - Peru
Stadio Heysel di Bruxelles - B
Autodromo di Le Mans - F
Aeroporto di Lod - Israele
Oklahoma City - U.S.A.
Twin Towers – New York
Deceduti
147
41
2.500
1.099
84
612
150
800
40
1.513
800
250
ustionati 148
400
39
75
25
300
3.880
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Uno studio più completo, peraltro
ancora approssimativo, in grado
di dimensionare il problema negli aspetti numerici, è quello proposto dall’O.F.D.A. (Office of
U.S. Foreign Disaster Assistance), i cui dati sono stati estrapolati dal C.R.E.D. - Centro Ricerche sui Disastri dell'Università
Cattolica di Lovanio in Belgio.
Questo database deve essere interpretato con i limiti di una gigantesca serie di informazioni,
provenienti da enti esterni al sistema di valutazione, ma in grado comunque di far comprendere la vastità dei valori numerici
considerati.
Incidente ferroviario – Enschede - 1999
Tipologia
Catastrofe
Incidenti del Traffico
Valanghe
Incidenti Chimici
Ondate di freddo
Cicloni - Tifoni
Siccità
Terremoti
Epidemie
Famine
Inondazioni
Carenza cibo
Ondate di caldo
Infestaz. da insetti
Frane
Blackout elettrici
Tempeste
Tsunami
Incendi urbani
Eruzioni vulcaniche
Incendi boschivi
Totali
4
Morti
Feriti
73.303
732
162.056
464
948.494
Coinvolti
135.141
3.684
24.337
6.326
1.131.037
10.235.762
1.850.635
34.461.814
7.534.675
7.451.484
3.995
17.906
0
64.082
0
68.160
18.961
105.311
109.436
2.313
985.259
267
0
817.892
0
1.264
0
7.716
0
144.022
814
12.116
10.368
12.677
455.210
506.780
1.828.443
1.875.845
274.814.323
1.434.193.476
55.448.794
36.571.589
8.257.000
2.095.167.495
52.704.807
54.103.130
446.200
4.667.319
1.860.000
93.599.793
26.117
729.357
3.136.772
3.840.195
63.225.059
3.177.444
4.124.232.645
Senza Tetto
30.651
Numero
di eventi
199.288
401.272
100.639
2316
73
447
140
1218
676
1029
525
24
2042
42
84
73
335
5
1132
40
636
180
215
175.464.660
11.232
217.937
17.340
30.129.009
568.000
7.085.206
109.005.771
0
0
2.000
13.666.361
0
14.041.186
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Il data base può essere visto in forma grafica:
Le cifre riportate da sole però non danno l'idea delle problematiche organizzative, sociali ed economiche che colpiscono la società, e soprattutto non indicano i danni morali che la collettività deve subire per
effetto di eventi che, seppur con difficoltà, potrebbero essere mitigati se la cultura della catastrofe fosse
più diffusa.
Basti pensare all'impreparazione dei soccorritori che agiscono sul campo, del personale degli ospedali
che devono trattare improvvisamente un elevato numero di feriti, delle Autorità che devono coordinare
la sequenza dei soccorsi e della Stampa che talvolta cerca solo di trarre beneficio dal riportare notizie
"d'impatto", senza svolgere il compito peculiare di fornire notizie utili alla collettività.
Senza contare l'angoscia dei parenti delle presunte vittime, che attendono con ansia informazioni.
Cerchiamo in questo capitolo di definire gli elementi di identificazione delle catastrofi.
Definizione di Catastrofe
La catastrofe è un evento dannoso per la collettività che lo subisce, con sconvolgimento dell’ordine
delle cose, ed é un avvenimento in seguito al quale si verifica un’inadeguatezza brutale, ma temporanea, tra i bisogni delle persone coinvolte e i mezzi di soccorso immediatamente disponibili.
Ciò significa che un evento improvviso, il più delle volte inatteso, provoca un certo numero di vittime, intendendo con tale termine non solo i feriti e i morti, ma anche tutti coloro che sono stati in
qualche maniera colpiti nella salute mentale, negli affetti o economicamente. Non va dimenticata
la possibilità che un evento traumatizzante possa dare luogo a sequele psichiche, anche in assenza di eventi lesivi di natura fisica.
I mezzi di soccorso disponibili, insufficienti all’inizio, possono aumentare in seguito, dando la possibilità al personale di controllare la situazione in un tempo che dipende dal tipo di evento verificatosi e dall’efficienza dei dispositivi di soccorso.
La catastrofe può essere paragonata ad una bilancia, i cui piatti tornano in equilibrio rapidamente se il sistema dei soccorsi (Protezione Civile) è efficiente.
Nel lessico comune, si utilizzano alcuni termini, più o meno corretti e simili tra loro, che hanno pe5
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rò etimologicamente origini diverse, anche se il significato pratico è identico:
Cataclisma
Calamità
Disastro
Catastrofe
evento
evento
evento
evento
dovuto alle forze della natura senza intervento dell’uomo (sec. Scuola francese)
inteso come disgrazia pubblica con numerose vittime
imputato all’influenza sfavorevole di un astro.
dannoso per la collettività che lo subisce ovvero sorte contraria
E’ importante ricordare che Disastro è il termine usato nel mondo anglosassone, mentre il vocabolo Catastrofe è utilizzato frequentemente nei paesi francofoni ed in Italia.
Anche se il termine Emergenza (situazione pubblica pericolosa che richiede una risposta immediata), proposta da Di Passio, può semplificare il concetto complesso di evento eccezionale.
Classificazione delle Catastrofi
La più importante é basata sui fattori scatenanti, che ci permette di poter valutare il rischio evolutivo, cioè la possibilità che l’evento si riproduca o continui a provocare danni alle cose e alle persone, tra le quali annoveriamo i soccorritori (fonte: Gen. Vito BRUNO - Settore P.C. Regione Piemonte - modificata).
a) CATASTROFI NATURALI:
Fenomeni geologici:
• Terremoti – maremoti
• Eruzioni vulcaniche
Eventi meteorologici:
• Piogge estese
• Siccità
• Trombe d’aria – tifoni - uragani
Fenomeni idrogeologici:
• Alluvioni – esondazioni
• Frane
• Bradisismo
• Caduta di meteoriti e asteroidi
• Neve - Ghiaccio - Grandine
• Nebbia
• Valanghe – slavine
• Collasso ghiacciai
Varie:
• Epidemie animali
b) CATASTROFI TECNOLOGICHE o ANTROPICHE:
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Incidenti rilevanti in attività industriali:
• Incendio - esplosione
• Rilascio sostanze inquinanti o tossiche
• Rilascio di radioattività
Incidenti nei trasporti:
• Aerei
• Ferroviari
• di Navigazione (fluviale e marittima)
• Stradali
• Rilascio di sostanze tossiche o radioattive
Collasso dei sistemi tecnologici:
• Black-out elettrico
• Black – out informatico
• Interruzione rifornimento idrico
• Interruzione condotte di gas o oleodotti
• Collasso di dighe o bacini
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Incendi:
• Boschivi
• Urbani
• industriali
Varie:
• crollo di immobili per abitazioni o ospedali
c) CATASTROFI CONFLITTUALI E SOCIOLOGICHE:
•
•
•
•
•
•
•
•
atti terroristici
sommosse
conflitti armati internazionali
uso di armi chimiche - batteriologiche e nucleari
epidemie
carestie
migrazioni forzate di popolazioni (campi profughi)
incidenti durante spettacoli, feste e manifestazioni sportive.
Altre fattori classificativi sono importanti nelle decisioni relative al tipo e all’entità dei soccorsi da
mettere in campo.
La configurazione geografica (zona urbana o rurale-extraurbana) e sociale (paese industrializzato o paese sottosviluppato) determinerà sia il tipo di catastrofe sia le relative conseguenze fisiche sulle persone, nonché il numero delle vittime e la rapidità dei soccorsi.
L’estensione geografica (inferiore a 1 chilometro, tra 1 e 100 km., oltre 100 km) é dovuta essenzialmente al tipo di evento verificatosi, considerando che gli accidenti tecnologici sono in
genere concentrati nello spazio, mentre le grandi catastrofi naturali sono generalmente estese
ad intere regioni.
Secondo il numero delle vittime, intese come persone coinvolte nell’avvenimento, si possono distinguere catastrofi limitate (meno di
100 vittime), medie (tra 100 e 1.000 vittime),
maggiori (più di 1.000 vittime).
Considerando gli effetti sulla comunità, bisogna pensare alle alterazioni dell’organizzazione sociale per danneggiamento delle vie di
comunicazione, dei sistemi radio-telefonici, delle strutture pubbliche (ad esempio il municipio o
la stazione dei Carabinieri) e assistenziali
(ospedali).
A seconda dell’entità dei danni si parlerà di catastrofi semplici o complesse.
La durata dei soccorsi può essere inferiore alle 6 ore, compresa tra 6 e 24 o superiore alle 24
ore. Questo comporterà, ovviamente, delle differenze legate alle necessità di alloggiamento, vitto, igiene e riposo per i soccorritori impegnati.
Effetti sulla comunità – distruzione rete viaria
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Cenni storici di Medicina delle Catastrofi
Le guerre hanno sempre rappresentato un'ottima occasione, invero forzata, per applicare nuovi
concetti dottrinali ed organizzativi.
Non fa eccezione la Medicina, costretta a adattarsi agli eventi, per ottenere i migliori risultati in tema di limitazione delle perdite in vite umane e delle lesioni.
Le battaglie hanno costretto i contendenti ad attuare severi protocolli medici per consentire il maggior utilizzo possibile dei soldati, anche dopo ferite e mutilazioni di notevole entità.
Questa necessità, associata a motivi di tipo etico, ha dato origine alla filosofia della Medicina d'Emergenza di massa, che nel corso dei decenni ha definito i canoni comportamentali della Medicina delle Catastrofi; infatti i disastri, antropici o tecnologici, richiedono ai sistemi di soccorso modalità d’intervento diverse da quelle utilizzate nelle situazioni ordinarie.
I conflitti moderni e gli atti terroristici hanno imposto alle Nazioni coinvolte una organizzazione sanitaria di emergenza con caratteristiche ben definite, allo scopo di tutelare al massimo la vita dei
propri soldati impegnati in combattimento.
Ciò significa l'applicazione di procedure di intervento codificate, ideate per l'impiego in condizioni di ambiente "ostile", che consentano il migliore risultato con mezzi limitati.
Citiamo i conflitti, che più di altri hanno beneficiato di tecniche operative, studiate a tal fine:
Luogo
Data
Tecniche "innovative"
Problemi specifici
Guerre Napoleoniche
1800 - 1815
•
•
•
Corpo dei Barellieri (Percy)
Ambulanza "volante" (Barone Larrey)
Nozioni di Triage
Prima Guerra Mondiale
1914 - 1918
•
•
•
Triage ad ogni livello del fronte
Vaccinazione per il tifo
Radiologia per reperimento proiettili
Guerra di Algeria
1956 - 62
•
Evacuazione dei feriti con elicotteri adattati
Vietnam
1965 - 75
•
•
Evacuazione con elicotteri attrezzati Med-Evac
Medicalizzazione avanzata con Paramedici
1973
•
Medicalizzazione avanzata "estrema" con infermieri a
livello di plotone e un medico per ogni compagnia
Evacuazione con elicotteri (80% dei feriti)
Yom Kippur (Israele)
•
Falkland - Malvinas
1982
•
•
•
•
Guerra del Golfo
Guerra del Kosovo
8
1991
1999
•
Addestramento specifico nel viaggio di andata
(3 settimane di navigazione)
Prevalentemente anestesie regionali
Poche intubazioni tracheali
Ruolo non previsto di ustioni di massa e del freddo
•
Ospedali da Campo totalmente autonomi, in grado
di eseguire interventi "ultraspecialistici"
Ruolo del clima torrido
•
•
Gestione di imponenti masse di profughi
Cooperazione tra più Nazioni
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Per comprendere quali difficoltà
di tipo sanitario si debbano affrontare in situazioni estreme, occorre citare qualche esempio.
Uno dei più indicativi è quello riferito alla campagna britannica
per riconquistare le Isole Falkland.
Le truppe inglesi hanno dovuto
combattere in luoghi distanti circa
13.000 chilometri dalla madrepatria, con un’unica base di appoggio logistico (l’Isola di Ascensione, distante circa 6.000 Km
dal luogo dei combattimenti), in
un ambiente ostile in termini climatici.
Elicottero per evacuazione sanitaria – Vietnam 1971
Va ricordato che le Isole Falkland
sono vicine all’Antartico, spazzate da venti gelidi. Operare in un clima costantemente sotto lo zero termico, con punte di – 25°C,
ha costretto i militari a adottare misure protettive ed operative complesse, studiate nel lungo viaggio di andata verso la zona dei combattimenti.
Gli Inglesi si sono trovati coinvolti in un’azione di guerra nella quale gli Argentini hanno colpito
con bombe il ponte di una nave appoggio, carica di munizioni e combustibile.
L’incendio sviluppatosi ha coinvolto i soldati imbarcati, ustionandone 138.
A grande distanza dai propri Ospedali, trattare un numero così imponente di lesioni da calore e
da esplosione, ha scardinato ogni prevedibile protocollo sanitario.
I medici inglesi hanno dovuto riservare le risorse a disposizione, improvvisamente rivelatesi insufficienti, per trattare gli ustionati con possibilità di sopravvivenza, somministrando a quelli più gravi,
e quindi non salvabili, solo palliativi, analgesici e null’altro!
L’esempio dovrebbe far
comprendere quali terribili decisioni sono necessarie per affrontare
situazioni estreme e
molto diverse da quelle
ordinarie.
La Medicina delle Catastrofi impone un approccio “dogmatico”
che è già stato citato
nel capitolo 1.
Campagna delle Falkland - 1982
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Infatti, i soccorsi sanitari in caso di conflitto armato o catastrofe, devono tenere presente alcuni
aspetti negativi che li caratterizzano, non presenti nel Sistema di Emergenza civile ordinario:
• Le evacuazioni sanitarie non possono svolgersi in senso radiale, ma devono rispettare la geografia del fronte di combattimento o del rischio evolutivo tipico delle catastrofi. E’ necessario attivare un corridoio sicuro per evacuare i propri feriti.
• Lo spazio aereo, necessario alle evacuazioni, può non essere sicuro.
• I rifornimenti in materiali e farmaci possono subire arresti dovuti a combattimenti in area.
• Estrema pericolosità dell'area di trattamento avanzato dei feriti.
Tutti questi aspetti, presenti in un conflitto globale o limitato, devono essere valutati al fine di ottenere risultati accettabili nel trattamento dei feriti e per il loro recupero ai fini operativi, ma tenendo
soprattutto presente che un'efficace capacità assistenziale, in grado di assicurare un rapido trattamento delle lesioni, consente di migliorare il morale dei combattenti.
Nella Medicina delle Catastrofi esistono gli stessi problemi, che vanno affrontati con la stessa dottrina.
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Management e Medicina delle Catastrofi
La catastrofe rappresenta un momento di profonda crisi per la comunità umana. L’improvviso
squilibrio tra le risorse necessarie per affrontare la situazione e quelle disponibili, rende insufficiente la risposta fornita quotidianamente dai sistemi di soccorso territoriale e dalle strutture ospedaliere.
E’ quindi importante essere pronti ad affrontare il disastro, ed esserlo significa disporre di
soluzioni organizzative efficaci e di operatori preparati.
In molti paesi stranieri, da tempo si organizzano corsi di formazione per creare esperti in grado di affrontare i diversi problemi scatenati da un disastro. In Europa, la realtà è ancora poco
omogenea, ed in Italia, nonostante la drammatica frequenza con cui accadono eventi catastrofici, si è solo all’inizio di questo cammino.
Il Dipartimento della Protezione Civile ha identificato il profilo di una figura nuova: il Disaster
Manager (DI.MA.), professionista in grado di gestire, dal punto di vista organizzativo e di coordinamento, le delicate fasi dei soccorsi in caso di catastrofe.
Per ciò che attiene all’ambito dei soccorsi sanitari, non esistono allo stato attuale figure specificamente formate per gestire questo ruolo, peraltro identificato nella cosiddetta Funzione 2 o Funzione sanitaria, individuata dalla Direttiva “Augustus” del Dipartimento Protezione Civile, di cui
si parlerà nel Capitolo 4.
L’Associazione Italiana Medicina delle Catastrofi ha proposto la creazione di due figure professionali che possano riempire questo vuoto, e che rappresentino un riferimento per una standardizzazione a livello europeo.
Il Medical Disaster Manager (M.D.M.) è colui che si occupa del problema catastrofe in
sede extraospedaliera.
L’Hospital Disaster Manager (H.D.M.) ha invece il compito di preparare l’ospedale a sopportare l’impatto generato da un disastro, dovuto sia ad un evento esterno sia da un incidente
interno alla struttura.
Perché parlare di management?
Spesso, leggendo le cronache che fanno seguito ad un evento drammatico come un terremoto
o un’inondazione, si ha la sensazione che i soccorsi siano giunti in ritardo, in numero insufficiente e scarsamente organizzati. Al contrario, sono sottolineate le gesta quasi eroiche del singolo che, con un atto di coraggio o di prontezza, riesce a salvare i familiari, i vicini di casa o
i pazienti ricoverati nel proprio reparto.
Questo è un fenomeno che non riguarda solamente l’Italia, ma anche altri paesi in cui la cultura
della grande emergenza è sicuramente molto più sviluppata.
E’ inevitabile che il disastro sia seguito da una fase caotica in cui emergono le capacità delle
persone ad affrontare singolarmente o in piccoli gruppi i primi terribili momenti. Anche nelle realtà in cui la risposta alla catastrofe è meglio organizzata, è necessario un certo lasso di tempo
prima che la macchina dei soccorsi possa mettersi in moto e viaggiare speditamente. Ciò che
differenzia un sistema organizzato da una risposta disordinata è la capacità di ridurre o annullare nel minore tempo possibile le conseguenze provocate dallo sbilanciamento tra risorse
necessarie e disponibili. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, è necessario che molte persone con diverse professionalità lavorino insieme prima, durante e dopo la catastrofe.
In ogni situazione in cui due o più persone devono collaborare per raggiungere un obiettivo altrimenti non ottenibile da un singolo individuo, è necessaria una forma di coordinamento che è
definita management. Il manager è colui che, partendo da determinate risorse, deve coor11
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dinare gli sforzi per raggiungere l’obiettivo.
Negli ultimi anni la figura dell’operatore sanitario, ed in particolare quella del medico, ha subito
un’evoluzione nella direzione della managerialità: il medico non è più soltanto il professionista
che ha lo scopo di garantire la salute dei propri assistiti, ma diventa anche un manager che deve
gestire oculatamente risorse non più “infinite”, sempre con l’obiettivo di garantire la qualità del
prodotto finale. Nella Medicina delle Catastrofi questo concetto di gestione di risorse non infinite,
ma spesso drammaticamente carenti, è al centro dell’attenzione dell’operatore.
Il manager raggiunge l’obiettivo pianificando il lavoro e gli interventi. Allo stesso modo, il disaster manager non limita la sua attività al momento in cui insorge la crisi; questo significherebbe
lasciare gran parte delle operazioni all’improvvisazione dei singoli. E’ invece nei momenti di tranquillità, quando il livello di allarme è basso, che è necessario creare i presupposti per ottenere
una risposta efficace da mettere in pratica al momento del bisogno.
E’ dunque evidente come l’attività del professionista che deve coordinare la risposta sanitaria in
caso di catastrofe, ha parecchi punti di contatto con il concetto di management e di manager.
I compiti del Disaster Manager
Abbiamo affermato che l’obiettivo principale del Disaster Manager, Medical o Hospital che esso
sia, è il ridurre prima possibile il disavanzo tra risorse necessarie e quelle disponibili. Come si raggiunge questo scopo?
Le attività del Disaster Manager si svolgono in tre momenti: prima, durante e dopo l’evento.
• Prima dell’evento
• Pianificazione
• Verifica delle procedure
• Formazione degli operatori
• Preparazione delle strutture e del materiale
• Durante l’evento
• Attivazione della risposta organizzata
• Coordinamento delle operazioni
• Analisi e risoluzione dei problemi
• Comunicazione con i collaboratori, gli utenti ed i media
• Dopo l’evento
• Valutazione dei risultati
• Correzione delle anomalie
• Debriefing con i collaboratori
Nella fase che precede l’evento, il Disaster Manager dovrà quindi esprimere le seguenti caratteristiche:
• Capacità di analisi dei rischi
• Capacità di ipotizzare scenari e di determinarne soluzioni efficaci
• Capacità divulgative e didattiche
• Capacità di organizzazione pratica
Durante l’evento, dovranno emergere altre doti:
• Leadership
• Flessibilità, per adattare la risposta alla situazione contingente
• Capacità di dare soluzioni rapide partendo da dati molto limitati
• Capacità di analisi e di sintesi delle informazioni ricevute
• Notevole resistenza fisica ed emotiva
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Dopo l’evento, infine, sarà importante dimostrare i seguenti aspetti:
• Capacità di autovalutazione ed autocritica
• Capacità nel gestire le dinamiche psicologiche di gruppo
Le attività del Disaster Manager sono influenzate dai seguenti aspetti:
• Profilo professionale
• Caratteristiche individuali
• Situazione ambientale
Il profilo professionale del Disaster Manager
Esiste una figura professionale particolarmente adatta a svolgere le mansioni di Medical o Hospital Disaster Manager?
Gli operatori coinvolti nella gestione degli aspetti sanitari di una catastrofe sono molti e con basi
formative molto diverse.
Il medico è la figura professionale di riferimento, capace di riassumere nel proprio operato le
conoscenze cliniche e le capacità organizzative. Si è a lungo discusso su quale sia lo specialista
più idoneo nell’affrontare l’emergenza, sia in ambito territoriale che ospedaliero. La situazione è
molto disomogenea, ed in gran parte dipende dalle soluzioni organizzative prescelte nelle diverse
realtà. Tuttavia, più che individuare un’area specialistica migliore rispetto alle altre, è preferibile
trattare l’argomento in termini di competenze del singolo professionista.
Alcuni medici presentano capacità peculiari che li rendono adeguati a gestire particolari aspetti del
disaster management. Anestesisti rianimatori, chirurghi, medici d’urgenza sono preziosi
nell’opera di stabilizzazione delle vittime; la capacità clinica non è però sufficiente per rendere il
medico efficace nell’affrontare una situazione così diversa dal quotidiano come una catastrofe.
Esiste il rischio che l’operatore “superspecializzato” applichi in questo contesto lo stesso approccio usato nella propria abituale realtà operativa: i risultati che ne conseguono sono disastrosi,
poiché è possibile che le risorse, inizialmente insufficienti, siano totalmente impiegate per trattare
solo pochi pazienti. Inoltre il medico, nell’affrontare l’emergenza quotidiana di vario tipo (cardiologica, respiratoria, traumatologica), assume il ruolo di “team leader”, coordinando un numero
limitato di collaboratori, di solito preparati a tale scopo. In uno scenario di catastrofe, esiste un
coordinamento più ampio, reso necessario dal numero delle vittime; inoltre, specie nelle fasi
iniziali, è possibile che il livello di professionalità degli operatori disponibili non sia quello
solito ed auspicabile. L’abitudine del medico a calarsi nel ruolo di team leader nell’emergenza quotidiana, se per molti versi ne sviluppa le capacità di leadership, può tuttavia diventare controproducente quando mancano le basi formative necessarie ad operare in situazioni di disastro,
e se non si ha la capacità di adattarsi a condizioni di lavoro drammaticamente diverse da quelle
usuali.Altri medici di solito non possiedono le capacità operative specialistiche sopra descritte.
E’ il caso dei medici di famiglia: è però un errore imperdonabile ritenere che questi professionisti non possano avere un ruolo importante nello scenario della catastrofe. Se è vero, come si
vedrà nel capitolo riguardante il triage, che la priorità di trattamento dipende in gran parte, anche
se non solo, dalla gravità del quadro clinico del singolo paziente, è altrettanto importante ricordare che le necessità in termini sanitari delle vittime di una catastrofe non si esauriscono con il
portare in ospedale i feriti più gravi. Spesso la catastrofe provoca un impatto così forte sulla comunità umana da ridurre drasticamente ogni possibilità di reagire utilizzando le strutture sociali
preesistenti. Si immagini, ad esempio, un terremoto che provochi danni agli ospedali, e che renda
difficile l’erogazione di acqua e corrente elettrica. Nascono problemi sanitari che non sono direttamente correlati all’evento, ma alle conseguenze che esso ha determinato. In uno scenario di
questo tipo, l’ospedale perde gran parte della sua centralità nella risposta alla catastrofe; venendo a mancare questo riferimento, la popolazione possiede un unico altro polo cui rivolgersi: il
medico di famiglia, che oltretutto conosce i propri assistiti e l’area territoriale di competenza.
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La possibilità da parte dei medici di famiglia di dare una risposta organizzata ad una situazione
così drammatica dovrebbe quindi essere pianificata in precedenza, evitando di cadere nell’errore
di pensare che, una volta estratti i feriti dalle macerie, il lavoro sia finito.
Lo stesso discorso vale per altri operatori, come il medico di Direzione Sanitaria. La capacità
dell’ospedale di fare fronte alla grande emergenza non si limita al riuscire a trattare un gran numero di feriti in gravi condizioni, giunti improvvisamente in Pronto Soccorso. Questo è solo un aspetto del problema, per molti versi il più drammatico ed impegnativo. Ma l’assenza di una gestione globale dei problemi innescati da un evento di questo tipo, come i turni di guardia del personale, l’approvvigionamento di scorte, i contatti con altri enti e istituzioni, rischia di rendere vano
ogni sforzo: l’ospedale si comporta come un centometrista, in grado di esprimere uno sforzo massimale per pochi secondi; purtroppo spesso la catastrofe presenta connotazioni più simili a quelle
di una maratona. Ne consegue che tanto più complessa e prolungata sarà l’emergenza, quanto
più precocemente l’organizzazione mostrerà le prime crepe. Il ruolo del medico di Direzione
Sanitaria assume quindi un’importanza simile a quella dei colleghi che agiscono in prima
linea nel Pronto Soccorso.
Infermiere Professionale: in una situazione di catastrofe, il ruolo dell’infermiere professionale,
pur nell’ambito delle norme previste dalla legge, assume una rilevanza ancora più grande. Compiti cruciali come il triage, l’evacuazione verso gli ospedali, l’assistenza a pazienti in condizioni
critiche, l’organizzazione e la gestione di particolari aree di ricovero dell’ospedale, possono essere assegnati ad infermieri professionali adeguatamente formati. In alcune situazioni, come nel caso di strutture di ricovero prive di assistenza medica su 24 ore, o di mezzi di soccorso con equipaggio infermieristico, le prime fasi della risposta alla catastrofe possono essere interamente gestite da
questi operatori. Il ruolo dell’infermiere professionale, anche da un punto di vista manageriale, può
quindi essere determinante in caso di catastrofe, soprattutto in relazione a motivazioni personali
spesso superiori a quelle dei medici.
Le caratteristiche individuali
Ogni individuo svolge la propria opera guidato non solo dalle conoscenze teoriche e dall’esperienza, ma influenzato anche dalla struttura della propria personalità. In un lavoro che richieda coordinamento e collaborazione, spesso il “carattere” diventa addirittura prevalente sulle capacità professionali. Questo succede quotidianamente: persone dotate di grande competenza e
di abilità operativa possono indurre un peggioramento della performance nei loro collaboratori
a causa delle dinamiche emotive che si vengono a creare nel gruppo.
L’attività del Disaster Manager è basata sulla sua capacità di tradurre in realtà le decisioni prese
e le strategie approntate. La grandezza dell’evento e le anomale condizioni ambientali rendono
questo percorso più difficile rispetto ad altre situazioni. Come si è visto, in alcune fasi devono
emergere doti personali non facilmente acquisibili, come la leadership, la stabilità emotiva e la
resistenza fisica.
Il processo attraverso cui il manager prende decisioni è chiamato “decision making”.
Il decision making può svolgersi in condizioni di relativa tranquillità, disponendo dei dati
necessari per identificare la migliore soluzione possibile. Purtroppo in Medicina delle Catastrofi
questa è una situazione poco frequente: di solito le informazioni di cui il Disaster Manager
dispone sono lacunose, specie nelle prime fasi dopo l’evento; anche durante la pianificazione
è difficile prevedere tutti gli scenari che si possono presentare in caso di catastrofe con tutte le
conseguenze da essi generate.
Nel processo di decision making, il manager, partendo dai dati a sua disposizione, elabora
soluzioni alternative al problema in esame; tra queste egli deve scegliere quella più valida (vedi fig. 1). Ogni persona, posta davanti ad un problema, attua una strategia decisionale diver14
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Fig.1: il processo di decision making.
sa: alcuni individui vogliono analizzare la situazione nei minimi particolari, ipotizzando un consistente numero di possibili alternative tra cui decidere; altri preferiscono scegliere rapidamente
tra poche soluzioni possibili. Ovviamente, quanto più il problema è importante, tanto più le conseguenze della decisione saranno determinanti.
Il modo in cui il Disaster Manager interpreta il proprio ruolo può quindi influenzare notevolmente
il susseguirsi degli eventi. E’ possibile delineare alcuni “stili decisionali”, valutandone l’impatto
positivo e negativo che possono produrre sull’evolversi delle operazioni.
La figura 2 illustra lo stile decisionale del manager posto di fronte ad un problema: si analizza la
relazione che intercorre tra la quantità di dati inerenti al problema che il manager richiede per
elaborare una decisione, ed il numero di soluzioni alternative da egli prodotte a partire da
tali dati.
• Il manager ”integratore”: caratterizzato da atteggiamenti prudenti, tende a produrre molte
soluzioni alternative solo se in possesso di numerosi dati. In assenza di questa condizione, posticipa la decisione attivando misure provvisorie il più possibile elastiche e generali. E’ dotato di
grande capacità di collaborazione ed analisi, ma rischia di apparire insicuro ed indeciso, e di
perdere di vista i risultati per concentrarsi sul metodo.
• Il manager “gerarchico”: è di solito un accentratore di decisioni, di cui si assume ogni responsabilità. Richiede ai collaboratori altrettanta capacità di lavoro, aspettandosi i risultati prefissi
nei tempi concordati. Messo davanti a decisioni prioritarie, elabora la soluzione per lui
migliore accettando con difficoltà il dover discutere con altri le possibili alternative; il suo
modello di management prevede la possibilità di modificare da parte sua qualsiasi decisione
presa da altri manager a lui gerarchicamente inferiori. E’ molto rigoroso nel giudicare il proprio operato ed ha una visione chiara degli obiettivi. Tuttavia spesso è dispotico ed incapace
di derogare responsabilità.
• Il manager “decisionista”: è capace di decidere rapidamente, anche se in condizioni di
carenza di informazioni, elaborando poche soluzioni alternative tra cui scegliere. Di solito è affidabile e leale con i collaboratori; può dimostrare superficialità, scarsa capacità nel gestire informazioni complesse e mentalità rigida, poco propensa ai cambiamenti.
• Il manager “flessibile”: utilizza l’intuito di cui è dotato; ha ottime capacità nel variare rapidamente le strategie e nello sfruttare le condizioni che si verificano, proponendo molte soluzioni
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alternative anche in
presenza di pochi
dati. Tuttavia dimostra spesso scarsa
capacità nel pianificare, poca tendenza
all’approfondimento
e difficoltà a coordinarsi con gli altri elementi della struttura
di cui fa parte.
E’ quindi evidente
come nessuno di
questi profili si adatti
perfettamente a tutte
le fasi di cui si compone la risposta alla
Fig. 2: Stili decisionali (Mod. da Zanetti – Montaguti e al., 1996)
maxiemergenza; le
doti del singolo manager possono emergere in momenti differenti, e in tale ottica vanno utilizzate. Un manager integratore è efficace in fase di pianificazione, quando capacità di analisi e di collaborazione
sono più importanti di leadership o improvvisazione; un manager decisionista trova il suo ambito più favorevole nella fase di mobilitazione, in cui a fronte di poche informazioni è necessario agire rapidamente.
Situazione ambientale
L’ambiente può influenzare pesantemente la prestazione dell’individuo. Il fatto di lavorare in circostanze o luoghi inusuali, o con persone sconosciute, in alcuni casi provoca una caduta della
performance; lo sanno bene gli sportivi che spesso hanno un rendimento nettamente peggiore
quando competono in trasferta, lontano dal loro abituale campo da gioco e senza il supporto della tifoseria amica.
La situazione di catastrofe è inevitabilmente caratterizzata da confusione e frenesia, almeno nelle
prime fasi: anche se un buon livello di organizzazione dovrebbe limitare questo problema, è
molto probabile che il Disaster Manager viva la sua prima esperienza sul campo in un ambiente
tutt’altro che favorevole. La partecipazione a sessioni di simulazione può almeno in parte addestrare l’operatore ad agire in condizioni di caos: l’efficacia sarà tanto maggiore quanto più
grande sarà il livello di realismo dello scenario e il grado di immedesimazione dei partecipanti.
Il manager e la struttura organizzativa
Molte persone sono convinte che, davanti ad un problema, la responsabilità di trovare una
soluzione debba spettare ad una sola persona. Questo concetto è valido di fronte a situazioni semplici. Quando il problema diventa molto complesso e alla sua risoluzione devono concorrere molte
persone, questa teoria inizia a mostrare alcuni punti deboli.
Con l’aumentare della complessità, infatti, cresce la necessità di disporre di informazioni sempre
più numerose ed articolate, spesso di difficile interpretazione.
Paragonando il manager ad un computer, le informazioni rappresentano l’input indispensabile per
elaborare la soluzione.
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Il manager deve quindi ricevere, interpretare, analizzare le informazioni, e quindi produrre l’output, che è la decisione. Si tratta, come già visto, del processo di decision making.
Se le informazioni superano le capacità di analisi del manager, la qualità del suo operato cade
drammaticamente, esattamente come un computer posto davanti ad un carico elaborativo troppo
elevato per la sua potenza. Il computer, la cui intelligenza consiste in una grande velocità di calcolo, reagisce a questa situazione rallentando le sue operazioni e quindi riducendo la velocità dell’output. L’uomo può invece mettere in pratica altre soluzioni per far fronte a questo sovraccarico:
• garantire un’adeguata elaborazione dei dati nell’ordine in cui essi giungono, lasciando in
coda quelli più recenti: in questo modo si producono decisioni corrette, ma si rischia di non
valutare tempestivamente informazioni cruciali (fig 3a);
• ridurre la profondità di analisi delle informazioni: non si tralascia nulla ma si incrementa il
rischio di produrre decisioni inadeguate (fig 3b).
• Decidere quali sono le informazioni più
importanti ed elaborarle, lasciando
perdere quelle apparentemente meno
determinanti (fig. 3c). E’ il meccanismo di adattamento più efficace che il
manager può attivare; tuttavia, permanendo la condizione di sovraccarico decisionale, tende a perdere di efficacia: i
problemi inizialmente ritenuti secondari,
lasciati a loro stessi, possono ingigantirsi fino al punto di richiedere una immediata soluzione. In questa situazione, il
Figura 3a
manager si trova quindi a dover prendere sempre più decisioni irrimandabili,
ricadendo fatalmente nella necessità di
dover ridurre la profondità di elaborazione.
Davanti ad una situazione complessa il singolo manager, per quanto molto dotato,
rischia dunque di essere travolto da un
sovraccarico di decisioni da prendere. E’
quindi necessario che diversi manager, a diversi livelli e con compiti differenti, lavorino
coordinati da uno di essi, che riceverà un numero limitato di informazioni molto importanti e potrà delegare gli altri compiti ai suoi collaboratori.
Nell’ambito del Disaster Management si
dovrebbe disporre di Disaster Manager
qualificati nei punti cruciali della catena dei
soccorsi: in ospedale, ad esempio, tali punti possono essere il triage, il Pronto Soccorso, la Rianimazione e le eventuali aree
trasformate in Terapia Intensiva in caso di
catastrofe, la Direzione Sanitaria, l’area individuata per i rapporti con il pubblico e con la
stampa. Questi manager saranno coordinati
Figura 3b
Figura 3c
Strategie di adattamento al sovraccarico decisionale.
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da un ulteriore Hospital Disaster Manager, di solito il più esperto, che svolgerà il ruolo di Coordinatore dei Soccorsi. In ogni ambito questi operatori dovranno ricevere informazioni, elaborarle e
decidere autonomamente; dovranno invece ribaltare solo i problemi più importanti al Coordinatore, il quale sarà sgravato da gran parte del lavoro e potrà concentrarsi sugli aspetti più importanti.
Accanto al Coordinatore dei Soccorsi opera il Responsabile delle Informazioni. Si tratta di un
operatore, anch’esso formato secondo i criteri dell’Hospital Disaster Management, che ha lo
scopo di filtrare ulteriormente le informazioni in arrivo al Coordinatore, potendo in molti casi decidere autonomamente in merito ad alcuni problemi; egli tiene i contatti con i manager che
operano nelle aree cruciali e, all’occorrenza, può assumere il ruolo di Coordinatore. Si tratta quindi di un ruolo chiave, di importanza quasi paritaria a quella del Coordinatore con
cui dovrà strettamente collaborare, e per questa ragione sarà quest’ultimo a eseguire la
scelta dell’operatore da impiegare in tal senso.
Un’organizzazione di questo tipo è riproducibile anche in ambito extraospedaliero: il problema,
in qualsiasi caso, è il disporre di un sufficiente numero di operatori formati. La scelta di creare pochi
“superesperti” a cui affidare il comando delle operazioni in caso di catastrofe è destinata al fallimento: la loro presenza ed il loro operato trova una logica collocazione se associata ad una diffusione sempre maggiore del concetto culturale di disaster management tra gli operatori sanitari.
Principi di Disaster Management
Prima di iniziare a lavorare su un progetto di risposta a situazioni di disastro, qualsiasi sia la
filosofia organizzativa che si intende adottare, è utile esporre e discutere quali siano i fondamenti
su cui tale filosofia si basa.
Di seguito sono elencati i dieci capisaldi a cui ci siamo attenuti per preparare il progetto adottato
nella nostra realtà ospedaliera. Come è possibile notare, si tratta di principi generici la cui validità è mantenuta in qualsiasi situazione operativa.
1. Ottenere una attivazione tempestiva.
La catastrofe il più delle volte arriva senza preavviso. La capacità di reagire prontamente significa salvare vite e limitare i danni. Un sistema molto potente e ben organizzato, ma che
richiede tempo per essere attivato, produrrà risultati inferiori rispetto ad uno più modesto ma
agile e immediatamente capace di reagire.
Il concetto di “golden hour”, cioè l’importanza di un adeguato trattamento nei primi minuti
subito dopo il trauma, rimane valido anche in caso di catastrofe.
La presenza di “action-cards”, cioè di schede operative predisposte per ciascun ruolo, permette di attivare immediatamente tutte le persone coinvolte nei soccorsi, superando l’incredulità
e lo smarrimento che spesso un evento catastrofico induce.
2. La risposta deve essere modulabile.
Una risposta “tutto o nulla” non è vantaggiosa, perché sottrae inutilmente risorse ad altri settori,
creando disagio e disservizi.
Spesso inoltre la fase più drammatica che fa seguito ad un disastro è quella iniziale, e la risposta “totale” (es.: l’arrivo in ospedale di parte del personale fuori turno) il più delle volte giunge
in ritardo, quando la sua utilità è relativa. La fase iniziale, dell’impatto, deve essere assorbita
con le forze che sono rapidamente attivabili; in seguito le risorse, soprattutto quelle umane, devono essere impiegate con oculatezza. Se, ad esempio, in seguito ad un massiccio afflusso di
pazienti in Pronto Soccorso vengono chiamati in servizio TUTTI gli operatori del reparto, per i
turni di lavoro successivi non si disporrà più di personale riposato, e si sarà costretti a porre in
servizio medici ed infermieri stanchi, o provenienti da altri reparti. Il risultato finale è un netto
scadimento della qualità del lavoro.
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3. Chiarire ruoli e responsabilità.
Le operazioni di soccorso sono suddivise tra un numero variabile di team di soccorso (team di
triage, team di assistenza pazienti di codice rosso, team di stabilizzazione).
Ogni team è composto da un Team Disaster Manager che coordina uno o più operatori.
Il Team Disaster Manager ha la totale responsabilità del suo gruppo e decide autonomamente
in tale ambito, salvo situazioni eccezionali.
Le decisioni di livello strategico sono invece prese dal o dai Coordinatori Disaster Manager, che
in tal modo possono influenzare l’attività dei Team Disaster Manager.
4. Creare uno spirito di gruppo.
Ogni team deve lavorare con forte motivazione e spirito di gruppo. L’insieme dei team rappresenta tuttavia un’unica entità, con gli stessi obiettivi; è compito dei Team Disaster Manager cementare lo spirito di gruppo senza suscitare forme di concorrenza con altri team.
La leadership è la dote che consente di raggiungere tale obiettivo.
5. Il Piano è uno strumento
Il Piano è uno strumento molto utile solo se esiste qualcuno in grado di usarlo adeguatamente.
Come qualsiasi strumento, ha dei limiti di uso e in certe situazioni può essere inutile o addirittura dannoso. E, sempre come ogni strumento, più è complesso e meno facile sarà il suo utilizzo.
6. La risposta deve essere flessibile
La risposta deve essere il più possibile adatta ad ogni evento; deve inoltre poter variare rapidamente in ragione di nuove esigenze o di nuovi eventi, spesso poco prevedibili in situazioni
di catastrofe.
7. L’informazione è tutto
Ogni disaster manager deve prendere decisioni, spesso in pochi secondi e in un clima di caos.
Le decisioni saranno tanto più adeguate quanto più le informazioni su cui si fondano si saranno dimostrate esatte e tempestive. La presenza di un Disaster Manager specificamente dedicato all’analisi e alla registrazione del flusso informativo può risultare decisivo per raggiungere un
adeguato livello di efficienza.
8. Business as usual
In tutte le situazioni in cui è possibile, è bene che ciascun operatore faccia cose che è abituato
o comunque sa fare; rispettare questa regola significa ridurre in modo significativo il numero di
errori. La catastrofe non è il miglior momento per acquisire nuove capacità professionali.
Alcuni operatori saranno chiamati a eseguire compiti a cui non sono particolarmente abituati
(esempio: triage); è bene che essi vengano adeguatamente formati e ciclicamente rivalutati per
lo svolgimento di tali compiti.
9. Investire nelle risorse umane
Chi ha praticato uno sport di squadra lo sa bene: non basta uno schema o un modulo per vincere, ci vogliono buoni giocatori. Allo stesso modo, un progetto di risposta alla catastrofe, anche se ben preparato, non può funzionare senza buoni operatori.
Investire negli operatori significa dare loro motivazioni, formazione e riconoscimento
10. Incontrarsi spesso e progettare nuove iniziative
Fortunatamente le catastrofi sono rare. Il rovescio della medaglia è che spesso le persone coinvolte perdono interesse nell’argomento. Organizzare riunioni, far partire progetti e stages informativi, preparare simulazioni sono attività che permettono di mantenere viva ed attiva la
partecipazione degli operatori.
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Il Soccorso Extraospedaliero in caso di Catastrofe
Tipologia
La medicina delle catastrofi può essere considerata l’insieme di tanti tipi di medicina tradizionale applicati ad un'emergenza collettiva, ed il cui scopo è limitare il numero delle sequele e
di morti.
L’intervento deve essere effettuato nel più breve tempo possibile per evitare aggravamenti delle condizioni cliniche (medicina d’urgenza), in situazioni estremamente diverse da quelle
presenti in ambiente ospedaliero, se non altro perché si opera spesso all’aperto e in condizioni
meteorologiche ostili (medicina sul campo).
La gerarchia dei compiti organizzativi e la semplicità dei trattamenti derivano dalla medicina
di guerra (medicina militare), mentre sia le tecniche sia il comportamento dei soccorritori
devono subire adattamenti secondo le situazioni (medicina di adattamento), pur partendo da piani prestabiliti e sperimentati (medicina di dottrina).
Principio basilare della medicina delle catastrofi é quello di salvare il maggior numero possibile di persone (medicina di massa) e di considerare, oltre alle lesioni fisiche, anche altri aspetti di chi è coinvolto in un evento straordinario, come quelli psicologici (medicina globale).
Fig. 1: Medicina delle Catastrofi: caratteristiche
Fig.2: Medicina delle Catastrofi: obiettivi
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Strumenti della Medicina delle Catastrofi
Sono essenzialmente tre:
A) la strategia, definibile come l’elaborazione dei piani di soccorso;
B ) la logistica, con cui s'intende l’insieme di personale, mezzi e materiali che sostengono i piani;
C) la tattica, in altre parole l’applicazione dei piani con lo svolgimento della catena dei soccorsi.
Fig.3: Medicina delle Catastrofi: strumenti
A) Strategia
I piani di soccorso possono essere elaborati a diversi livelli, sul modello di quelli realizzati in Francia, purché siano predisposti in tempo e collaudati.
Parleremo della Strategia nel capitolo 7.
B) Logistica
Il supporto ai piani di soccorso sanitario é dato dalla logistica, vale a dire dall’insieme delle persone e dei mezzi necessari ad affrontare una situazione eccezionale.
L’Unità Mobile di Soccorso Sanitario (U.M.S.S.) rappresenta questo insieme ed é un’unità elementare di cui é ipotizzabile la realizzazione a livello provinciale.
Rappresenta una proposta logistica necessaria per espletare i soccorsi e replicata secondo le esigenze, potrebbe fare fronte a bisogni a livello regionale o nazionale.
Accenneremo ai criteri logistici a fine capitolo.
C) Tattica
L’applicazione dei piani di soccorso sanitario comporta una successione di fasi e strutture, ognuna
con le sue funzioni specifiche, integrate in modo da formare una vera e propria catena dei soccorsi sanitari.
Nella catena di tipo SEMPLICE, per catastrofi limitate, si interpone una o più strutture di assistenza
alle vittime (P.M.A. = Posto Medico Avanzato), tra la zona dei soccorsi e l’ospedale (H).
Nella catena di tipo COMPLESSO, per catastrofi di media o maggiore entità, è presente una seconda struttura in cui si completano le cure iniziate nei vari PMA e si provvede al trasporto definitivo verso le strutture ospedaliere, il C.M.E. = Centro Medico di Evacuazione.
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Consideriamo ora nei particolari gli ambiti operativi della catena (centrale operativa, posto medico avanzato, posti di comando, centro medico di evacuazione, ospedale) e le loro funzioni (allarme, invio dei soccorsi, recupero e raccolta delle vittime, triage e stabilizzazione delle vittime, comando, radiotrasmissioni, trasporto, accoglimento negli ospedali).
Catena dei Soccorsi Sanitari
Per comprendere lo svolgimento delle azioni di soccorso, consideriamo una sequenza temporale
che comprende le varie fasi che si svolgono sul campo e in ogni fase considerata inseriremo i compiti dei ruoli della catena di comando del Sistema M.D.M.
Fase dell'Allarme
Presupposto per la riuscita
dei soccorsi é l’esistenza di
una struttura che svolga le
funzioni di ricezione dell’allarme, di valutazione degli
avvenimenti in corso e di invio modulato dei soccorsi.
Questa struttura è la Centrale Operativa (C.O.), che in
Italia risponde al numero telefonico “118”.
Sia nelle urgenze quotidiane, sia in quelle straordinarie, occorre che i testimoni
diretti o gli organismi pubblici abbiano un punto di riFig. 5 - Fasi temporali della Catena dei Soccorsi
ferimento per inviare una richiesta di soccorso sanitario.
Il ruolo degli operatori della Centrale Operativa é appunto quello di ricevere l’allarme, valutarne l’attendibilità, dimensionare l’evento e modulare una risposta operativa.
Un esempio di risposta modulata è l’interpretazione della notizia, che giunge in C.O., di numerose
vittime, a cui si applica il “fattore moltiplicativo”, differente per ogni tipologia di evento:
- Incendio : fattore moltiplicativo di 2 : il ritrovamento di 6-8 vittime all'arrivo dei primi soccorsi,
si traduce, sovente, a fine intervento in una quindicina di vittime
- Attentato : fattore moltiplicativo di 3,a volte 4
- Trasporto passeggeri : fattore moltiplicativo di
3 - 4 (incidenti tra autobus o treni)
Zona dei Soccorsi sanitari
Nella zona dell’evento, tra il momento dell’allarme
e quello dell’approntamento delle strutture attivate
dal Sistema dei soccorsi., si verifica una serie di
eventi, caratterizzati spesso e nelle primissime fasi
da confusione.
Centrale Operativa del S.A.M.U. 75 - Francia
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L’improvvisazione é la prima fase in assoluto dei soccorsi, portati dalle stesse persone coinvolte
nell’evento. I medici o i sanitari presenti sul posto, in attesa dei soccorsi, hanno il primo impatto
con le vittime, e a loro sono raccomandati alcuni atteggiamenti da assumere in questi casi:
- verificare l’avvenuta trasmissione dell’allarme precisando le caratteristiche della catastrofe
- impedire il panico, dimostrando sicurezza
- impedire le evacuazioni incontrollate, cioè i trasporti senza trattamento della vittima
- raggruppare in un unico punto, lontano dal pericolo,
tutte le vittime individuate
- costituire gruppi di soccorritori con compiti precisi e limitati, sotto la guida di un responsabile
- preparare l’arrivo dei soccorsi organizzati
- mettersi a disposizione delle autorità fornendo un bilancio della situazione.
La ricognizione, in genere effettuata dall’alto a mezzo elicottero, offre una prima valutazione dell’entità
dell’evento ed in situazioni particolari, quali incidenti
chimici o nucleari, deve essere compiuto da personale
specializzato.
Un compito analogo spetta al primo mezzo terrestre
che arriva sul posto: l’equipaggio dovrà riferire alla
Centrale Operativa 118 la situazione riscontrata.
La settorializzazione consiste nella suddivisione
dell’area dei soccorsi, attuabile nelle catastrofi di entità media e maggiore: vengono così individuate la zona, suddivisa in settori, ciascuno ulteriormente suddiImprovvisazione – Stadio Heysel (Belgio) 19855
viso in cantieri; questi ultimi costituiscono l’unità elementare in cui suddividere lo scenario.
Lo scopo è di razionalizzare le risorse, per definizione limitate, distribuendole in modo uniforme, senza lasciare scoperti alcuni settori o cantieri.
L’integrazione tra tutte le componenti del
soccorso presenti é la condizione indispensabile affinché ognuno possa svolgere il lavoro che gli compete senza intralci esterni.
Polizia, Vigili del Fuoco e personale sanitario
si occuperanno rispettivamente di collegamenti e radiotrasmissioni, ordine pubblico,
soccorso e salvataggio, assistenza sanitaria.
Settorializzazione – Spitak (Armenia)
Il risultato finale di tutte le fasi precedenti é
il recupero e la raccolta delle vittime.
Si può trattare di operazioni convenzionali, già praticate quotidianamente, oppure
di operazioni particolari, legate all’evento,
in cui l’adattamento deve essere la migliore qualità dei soccorritori.
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Integrazione – Esercitazione di P.C. Piemonte 1992
In alcuni casi, il recupero di una vittima dalla posizione in cui si é venuta a trovare deve essere preceduta e accompagnata da
cure mediche: lunga durata delle operazioni per motivi tecnici, possibilità di aggravamento delle condizioni cliniche, necessità di manovre cruente per una disincarcerazione complicata (amputazione di
arti) sono situazioni che frequentemente richiedono l’intervento sanitario sul punto di
ritrovamento.
Si possono distinguere due tipi di Equipes
sul posto:
• Équipes di Triage, con compiti di se-
lezione delle vittime in base alla gravità (vedi cap. 8)
• Équipes di A.L.S. in grado di stabilizzare subito le vittime con funzioni vitali compromesse.
Direzione dei Soccorsi
Nessuna azione di soccorso, per quanto sperimentata possa essere, può svolgersi senza un comando e un coordinamento, ma occorre considerare le dimensioni dell'evento per comprendere che diversi sono gli ambiti di comando.
In una catastrofe il ruolo di coordinamento appartiene al Prefetto e al Dipartimento della Protezione Civile.
Pur tuttavia, nelle competenze istituzionali di queste figure non figurano decisioni dirette di tipo
sanitario.
Anche nelle catastrofi "ad effetto limitato", se si utilizza il termine usato dai francesi, che identifica eventi di portata ancora limitata, ma risolvibili con notevole spiegamento di mezzi, è importante identificare un responsabile operativo che gestisca gli aspetti sanitari.
Questo esperto, nell'attuale situazione italiana, non esiste.
E' tra i compiti di questo lavoro identificarne le caratteristiche e proporlo come "personaggio
reale" in un panorama che finora non lo considera.
Ricordiamo che per gestire situazioni eccezionali occorre una figura "tecnica", un esperto che
sappia gestire i problemi della Catena dei Soccorsi.
Quindi nelle catastrofi maggiori è presente un posto di comando sanitario (P.C.) fisso in collegamento diretto con i competenti organi della Protezione Civile, istituito possibilmente presso la
stessa Centrale Operativa.
Comunque, anche negli eventi limitati (si ricorda che con questo termine si indicano situazioni
comunque non gestibili con i mezzi ordinari), deve invece essere previsto un posto di comando
operativo (P.C.O.), in cui si trovano ed operano il Direttore Tecnico dei soccorsi (Comandante
o Funzionario dei Vigili del Fuoco) e il Direttore dei soccorsi sanitari (D.S.S.) o nella nuova denominazione proposta al Dipartimento Nazionale della P.C., Medical Disaster Manager (M.D.M. Coordinatore) installato nei pressi del P.M.A.
Questa figura ricalca quella statunitense dell'Incident Commander, in grado di coordinare sul
campo tutte le fasi sequenziali dell'evento.
L'M.D.M., figura di responsabile sanitario, deve rispondere a determinate caratteristiche, quali
essere un medico esperto in medicina delle catastrofi e possedere innegabili capacità organizzative
e di comando.
Secondo i criteri del Disaster Management le fasi di soccorso devono essere coordinate da personale addestrato che ricopre ruoli di responsabilità nei vari livelli della catena.
Possiamo ipotizzare che in ogni anello del sistema di soccorso debba essere presente un operato24
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re che ragiona ed agisce in sincronia con gli altri, in modo da
operare con gli stessi criteri e parlare lo stesso linguaggio.
Il sistema di comando è formato
da sanitari che, per convenzione, definiremo M.D.M. (Medical
Disaster Managers), che con una
formazione comune, gestiranno i
vari settori di soccorso con compiti diversi ma con una identica filosofia.
Esaminiamo la figure di coordinamento proposte:
• Medico Coordinatore Soccorsi;
• Responsabile delle Informazioni;
• Responsabile del Triage e recupero vittime;
• Responsabile del P.M.A.
• Responsabile dell’Evacuazione
• Responsabile dell’Area “feriti classe rossa”
• Responsabile della Logistica
Posto di Comando operativo – B.S.P.P. di Parigi
Fig. 4 – Organizzazione del Team di Gestione dei soccorsi sul campo
La gestione dei soccorsi sanitari in caso di catastrofe è un compito difficile e complesso, a causa
dei numerosi problemi organizzativi imposti dall’evento stesso.
I normali metodi gestionali si rivelano presto insufficienti di fronte alla moltitudine di informazioni
che giungono e alle decisioni che devono essere prese in tempi brevissimi.
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E’ indispensabile quindi organizzare una risposta rapida, efficace e dottrinale, che permetta di
prendere decisioni corrette e condivise in modo univoco, seguendo una flow-chart che possa evitare la sovrapposizione di ordini e competenze.
A prima vista uno strumento organizzativo che costringa gli operatori a seguire criteri dottrinali rigidi, può sembrare imposto o comunque non sufficientemente flessibile, tale da non consentire l’applicazione di quelle decisioni “personali” a cui i professionisti sono abituati nella gestione ordinaria dell’emergenza.
Il concetto, in parte, può essere condiviso, ma in una situazione complessa e caotica come lo è
una catastrofe, si impone un diverso approccio gestionale rispetto a quelli utilizzati in condizioni
considerate “ordinarie”, come lo può essere un incidente stradale con pochi feriti ma con il Sistema 118 perfettamente efficiente.
Questo approccio considera l’utilizzo di una catena di comando preordinata, conosciuta da tutti
gli operatori e con competenze ben definite.
In un Sistema di Emergenza ottimale e a regime, la messa in atto dei ruoli indicati consente una
copertura operativa totale, che affida a settori distinti lo svolgimento di compiti fondamentali, perfettamente integrati con quelli del settore vicino o successivo.
Dopo aver illustrato le fasi temporali della catena dei soccorsi, passiamo ad esaminare il Sistema
che deve essere messo in atto per assicurare l’efficacia delle operazioni di soccorso.
Il Sistema M.D.M. proposto è un sistema funzionale e non gerarchico, esattamente come deve essere l’azione di comando complessa prevista dalle tecniche di Management più comuni.
3
Il concetto gestionale proposto è conosciuto in ambito militare dalla Sigla C I, acronimo di COMANDO – CONTROLLO – COMUNICAZIONI ed INFORMAZIONI.
Queste funzioni sono contenute nel concetto MDM in tutti i livelli operativi e di funzione.
1) L’azione COMANDO è espletata dal MDM COORDINATORE e da tutti gli MDM di settore (MDM RECUPERO, MDM PMA, MDM EVACUAZIONE, MDM AREA ROSSI, MDM LOGISTICA).
2) L’azione CONTROLLO è tipica dei compiti del MDM INFO, la cui funzione è di verificare di continuo l’andamento dei compiti assegnati e l’esatto inserimento delle azioni di comando nei vari livelli operativi. Questa funzione ha un continuo feedback nei compiti di
ogni settore e torna come riferimento delle azioni compiute, dello stato delle azioni in atto
e dei problemi da risolvere, direttamente al MDM COORDINATORE.
Questa figura, di solito, nel corso delle operazioni di soccorso sul campo, è oberata da un
grandissimo numero di decisioni da prendere in brevissimo tempo.
Nessun coordinatore è in grado di sopperire a questa richiesta, soprattutto per l’enorme mole di informazioni e richieste che gli arrivano dalla Centrale Operativa 118, e dai settori
operativi. Per l’esperienza vissuta nella realtà e nelle simulazioni, Il sistema decisionale è
perennemente al collasso. Per evitare questa situazione prevedibile è stata ideata la figura
del MDM INFO, che ha il compito di verificare di continuo la situazione sul campo e di riferirla al MDM COORDINATORE. Ma il suo compito non è semplicemente di riportare situazioni, ma di gestire autonomamente decisioni secondo i canoni dottrinali del concetto
MDM, risolvere problemi che non richiedono decisioni “strategiche”, riservate al MDM
COORDINATORE e alla Centrale Operativa 118, e di controllare il corretto svolgimento dei
compiti assegnati.
La figura del MDM INFO può essere interpretata come quella di un professionista che supporta le decisioni del Coordinatore secondo i canoni definiti, e risolve i problemi pratici e
tipici delle fasi di soccorso, senza che questi problemi interferiscano sul compito decisionale strategico del Coordinatore.
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3) L’azione COMUNICAZIONI fa parte integrante del sistema di Comando. Consiste nel
conoscere la situazione e trasmettere le decisioni ai vari settori e alla C.O. 118, che farà
da tramite con gli Ospedali allertati. Questa azione è di solito gestita dai Radioamatori, per
le comunicazioni a distanza, ma è una funzione che deve essere attivata da tutti i settori
con mezzi propri (radio portatili o cellulari) per le comunicazioni a breve raggio (cioè tra i
vari settori e il Coordinatore). L’attivazione e il controllo dei settore “collegamenti” è affidato al MDM INFO.
4) L’azione INFORMAZIONI, in Medicina delle Catastrofi, è intesa come rapporti con i media e la stampa. Non va confuso che il termine Informazioni, in ambito militare, è considerato come azione di Intelligence, non presente in ambito civile. I rapporti con i media sono
uno strumento importante, che evidenziano l’efficacia del Sistema di soccorso e forniscono
quelle informazioni che mirano a ridurre la pressione della richiesta legittima di notizie, che
se non attuata correttamente aumenta il caos e intralcia le azioni di soccorso vero e proprio. L’attivazione e il controllo dei settore “informazioni” è affidato direttamente al MDM
COORDINATORE.
Il quadro generale dell’organizzazione del Sistema M.D.M. è il seguente:
Fig. 5 – Sistema MDM
Figura 6 – Casacche di identificazione dei ruoli
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Medicalizzazione del Soccorso
La medicalizzazione del soccorso, vale a dire l’assistenza medica alle vittime, iniziata in modo
sommario sul sito dell'evento, si effettua in una struttura denominata P.M.A. (Posto Medico
Avanzato), che rappresenta un centro di triage e di cure, in altre parole il punto di concentrazione medicalizzata delle vittime recuperate.
Al recupero, deve infatti seguire il trasporto delle vittime provenienti da un cantiere ad un unico
luogo di cura, per evitare le cosiddette “evacuazioni selvagge”, cioè i trasporti verso l’ospedale di pazienti sfuggiti ad un controllo medico ed effettuati con mezzi inadeguati.
Caratteristiche del P.M.A.
Il P.M.A., allestito dal personale dell’U.M.S.S. deve rispondere a determinate caratteristiche di
sicurezza, accessibilità e praticità per i soccorritori:
• installazione, quando possibile, in locali preesistenti (scuola, sala d'attesa, magazzino); in mancanza di questi si opererà all’aperto o meglio in strutture modulari trasportabili (tende, shelters)
• vicinanza alla zona dei soccorsi, tenendo in considerazione la:
1) protezione dal rischio evolutivo (per esempio fumi o incendi) per salvaguardare l’incolumità
di chi é impegnato nei soccorsi
2) vicinanza a vie di comunicazione stradale e possibilmente ad un’area di atterraggio per elicotteri
3) facile individuazione mediante cartelli segnaletici
• entrata e uscita separate per canalizzare il flusso di vittime in un’unica direzione
• adeguate doti di climatizzazione, illuminazione, igiene e insonorizzazione (basti ricordare la
possibilità di poter auscultare le vittime).
Funzioni del P.M.A.
Nel P.M.A. operano Medici e Infermieri, con i seguenti compiti:
• accettazione dei feriti e degli scampati (dei coinvolti psichicamente secondo la Scuola Francese)
• valutazione clinica e secondo triage, più completo di quello sommario effettuato nel cantiere
• stabilizzazione delle vittime, per consentirne il trasporto sicuro verso gli ospedali
• definizione delle modalità di evacuazione
(ciò che i francesi chiamano la regola delle 3 E: Etiquetage, Emballage, Evacuation).
Gli addetti al P.M.A. saranno identificabili mediante pettorali di colore bianco.
P.M.A. – Corpo Militare C.R.I.
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Organizzazione del P.M.A.
Il P.M.A. allestito in strutture fisse o sotto tende,
deve essere idealmente suddiviso in 4 zone :
a) AREA TRIAGE - una tenda funge da filtro
e valutazione; da qui i feriti transitano in una
delle aree seguenti :
b) AREA URGENZE ASSOLUTE o feriti
gravi (codice rosso e giallo) una o più tende
servono ad eseguire la rianimazione preospedaliera e la stabilizzazione dei feriti
c) AREA URGENZE RELATIVE o feriti leggeri (codice verde) una tenda raggruppa le
vittime che devono essere medicate o solo rassicurate
d) AREA DECEDUTI - è un'area separata
dalle altre ove verranno riuniti tutti i deceduti
per le operazioni di riconoscimento da parte
dell'Autorità giudiziaria.
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L'allestimento del P.M.A. in tende può seguire due modalità:
Fig. 7 - A) lineare con flusso unico delle vittime
Fig. 7 – B) a losanga con doppio flusso
Radiocomunicazioni
Esistono due circuiti di radiocomunicazioni riguardanti il soccorso sanitario:
- circuito di comando tra centrale operativa 118 e M.D.M. (P.C.O sul campo)
- circuito operativo tra M.D.M., addetti al recupero, al triage e alle evacuazioni.
Trasporto delle vittime (Evacuazione)
All’uscita dal P.M.A. deve essere identificato un settore, denominato Punto di Evacuazione, da cui
le vittime seguono la destinazione segnalata sulla scheda sanitaria (in accordo con la C.O. 118),
mediante il mezzo di trasporto ritenuto
più idoneo alla loro situazione clinica.
L’evacuazione avviene in genere via
terra (ambulanze normali o attrezzate
per la rianimazione) o con elicotteri.
Nelle catastrofi di dimensioni medie e
maggiori si può ricorrere anche a trasporti per ferrovia (treni sanitari), per
via aerea (aerei sanitari) o via mare
(navi ospedale).
Elicottero AB 205 EvaSan
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Ricovero delle vittime
Piani di Emergenza Ospedalieri
In caso di catena SEMPLICE dei soccorsi sanitari per catastrofi limitate, il trasporto termina in uno
o più ospedali della zona, che dovranno essere pronti ad affrontare un afflusso massiccio di feriti,
predisponendo appositi piani di ricezione (Piani di Emergenza Interna per Massiccio Afflusso di
Feriti definiti P.E.I.M.A.F.)
Questi piani devono prevedere:
• preparazione strutturale dell’ospedale (gestione percorsi e spazi interni)
• rinforzo del personale (allertamento a “ cascata”)
• riserve di materiali e presidi .
In caso di catena COMPLESSA dei
soccorsi sanitari per catastrofi medie
o maggiori, abbiamo citato la necessità di introdurre un’altra struttura di
cura tra P.M.A. e luogo di trattamento definitivo delle vittime: il C.M.E.
(Centro Medico di Evacuazione), rappresentato da strutture preesistenti (ospedali zonali) o create appositamente (ospedali da campo delle Forze Armate).
Autobus adattato per evacuazione feriti – B.S.P.P. di Parigi
In esso vengono affinate le prime cure effettuate nei P.M.A., vengono
compiuti i primi trattamenti chirurgici urgenti e viene stabilita la destinazione definitiva delle vittime, consentendo agli ospedali di riferimento (lontani dal luogo dell’evento) di prepararsi all'arrivo dei feriti stabilizzati nelle strutture di soccorso campale.
Compiti dei Responsabili di Settore Operativo – “Action Cards”
Se esaminiamo nei particolari i compiti dei responsabili di Settore del Sistema possiamo “costruire” l’intera catena di comando.
Compiti dell’operatore responsabile delle operazioni di recupero (MDM recupero)
• coordinamento delle operazioni di recupero, comprese le manovre di supporto vitale e di immobilizzazione
• triage sommario dei feriti
• supervisione delle operazioni di disincarcerazione e recupero complesso, con il
supporto dei VV.F.
• coordinamento dell'utilizzo di équipes di
Volontari che coadiuvano il personale sanitario nel recupero
• definizione delle aree di raccolta dei feriti e del percorso ottimale da seguire per
raggiungerle
Il responsabile del recupero sarà identificabile da un pettorale di colore rosso.
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Centro Medico di Evacuazione – Esercito Svedese
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L’MDM Recupero affiderà ad un operatore il compito di controllare il livello di sicurezza dello scenario, con specifica attenzione all’uso dei dispositivi di sicurezza individuali.
L’operatore si terrà in continuo contatto con i Vigili del Fuoco e garantirà la richiesta e l’attivazione dei dispositivi di illuminazione e disattivazione dei servizi, concordandoli con la C.O. 118.
Compiti del Medico responsabile del P.M.A. (MDM P.M.A.)
Egli deve :
• esaminare e fare esaminare le vittime, assicurare la loro sorveglianza
• garantire la stabilizzazione clinica alle vittime in base alla gravità e alle professionalità disponibili
• compilare o far compilare la Scheda di Triage (che contiene i dati clinici, la classe di gravità,
le cure praticate e la destinazione del ferito)
• facilitare l'opera di riconoscimento delle vittime (luogo di recupero, raccolta effetti personali e
identificazione dei deceduti)
• fornire un bilancio aggiornato dell'evento al MDM Coordinatore.
L'M.D.M. P.M.A. sarà identificabile mediante un pettorale di colore bianco.
Un compito particolare che deve essere previsto è quello dell’organizzazione di un posto di decontaminazione, nel caso si verifichi l’eventualità di dover affrontare un incidente chimico o un attentato.
Va ricordato che il primo approccio con feriti contaminati dovrà essere concordato con i Vigili del
Fuoco da parte del MDM Coordinatore, già nella fase di recupero delle vittime stesse.
Questo compito prioritario per la sicurezza dei feriti e dei soccorritori, fino ad ora è stato di competenza dei VV.F, ma da qualche tempo i Sistemi 118 hanno acquisito una capacità operativa con
strutture di decontaminazione sanitarie. Si cita il Sistema 118 di Como, Treviso e Venezia.
La responsabilità delle operazioni tecniche resta di competenza dei Vigili del Fuoco, ma i soccorsi sanitari devono tenere in considerazione questa eventualità specifica.
Compiti del Responsabile dell’Area Rossi (MDM Rossi)
Il medico con tale ruolo dipende funzionalmente dal MDM P.M.A. e si occuperà della classe di feriti prioritaria. Dovrà pertanto:
• Organizzare al P.M.A. la stabilizzazione clinica dei feriti designati in classe rossa, in modo da
garantirne la sopravvivenza
• Predisporre l’evacuazione prioritaria dei feriti verso gli ospedali, di concerto con il Responsabile dell’Evacuazione
Compiti del Medico Coordinatore dei Soccorsi (MDM Coordinatore)
I suoi compiti sono prettamente strategici, finalizzati, cioè alla valutazione e gestione dell’intera catena dei soccorsi; i compiti più specifici, tipici dei vari settori della catena sono affidati agli altri MDM:
• deve valutare l'estensione, la tipologia dell'evento, il rischio evolutivo, il numero e la tipologia
delle vittime;
• deve assumere il coordinamento delle operazioni sanitarie, organizzando un P.C.O. con il responsabile tecnico dei soccorsi e con il responsabile delle Forze di Polizia, e richiedere alla
C.O. 118, se necessario, rinforzi in uomini e mezzi;
• deve assicurare l'attivazione della catena dei soccorsi, dal recupero fino al trasferimento negli
ospedali;
• deve organizzare le operazioni di Triage delle vittime e la relativa stabilizzazione;
• deve, in accordo con la Centrale 118, che coordina questo compito, suddividere le destinazioni dei feriti nei vari ospedali, secondo la patologia e la disponibilità dei posti letto;
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• deve riferire la situazione aggiornata all’Autorità, attraverso gli organi intermedi di coordinamento; (vedi proposta in appendice al Capitolo)
• deve attivare un Team di Supporto Psicologico, qualora sia necessario
• tiene i contatti con i Media, stilando i comunicati, delegando, se possibile, questo compito ad
un addetto stampa individuato
L'M.D.M. Coordinatore sarà identificabile mediante un pettorale di colore giallo.
In supporto ai compiti complessi del Coordinatore occorrerà prevedere una figura che possa fungere da verificatore delle azioni di comando e dello status dei vari settori. In sintesi il compito di questa figura, che chiameremo M.D.M Info, è il controllo del feedback delle operazioni di soccorso.
Compiti dell’ M.D.M Responsabile delle Informazioni (MDM Info)
• Assegnazione e Controllo dei nominativi radio dei settori (con il supporto delle Associazioni di
Volontariato che operano nel settore delle telecomunicazioni
• Verifica dell’operatività dei vari settori
• Verifica continua i problemi eventuali dei settori e comunicazione dello stato al Coordinatore
• Controllo dell’efficacia dei flussi informativi con i settori
• Controllo dell’Area di deposito delle salme e dell’attività di identificazione delle vittime (foto Polaroid), in supporto ai compiti di Polizia Giudiziaria
L’M.D.M.Info affiancherà il coordinatore in alcuni processi decisionali, potendo in alcune situazioni assumerne il ruolo.
L'M.D.M. Info sarà identificabile mediante un pettorale di colore giallo con la scritta INFO.
Il Responsabile delle Informazioni (MDM Info) avrà come collaboratore un operatore sanitario addetto agli aspetti logistici della catena dei soccorsi: Questa figura (MDM Logistica) avrà il compito di assicurare i flussi di materiali e presidi necessari per il funzionamento dei soccorsi.
Sarà in contatto con la Centrale Operativa e richiederà l’invio dei materiali indispensabili e riferirà al MDM Info la situazione, aggiornandola continuamente.
L’MDM Logistica si occuperà essenzialmente di due sottosettori:
• Rifornimenti (di tipo sanitario)
• Servizi (organizzazione di un’area di ristoro e riposo per i soccorritori)
Compiti del Responsabile dell’Evacuazione (MDM Evacuazione)
Egli deve :
• censire i mezzi disponibili dividendoli in :
•
Mezzi di evacuazione unitaria (un solo ferito trasportato)
medicalizzati (elicotteri, ambulanze di rianimazione)
non medicalizzati (ambulanze normali)
•
Mezzi di evacuazione multipla (più feriti o coinvolti, seduti o coricati)
medicalizzabili (autobus adattati, elicotteri militari, camion, ecc.);
• organizzare la zona di stazionamento dei vettori di evacuazione (terrestri o aerei);
• organizzare un'area di imbarco vicina al P.M.A. (Punto di Evacuazione);
• assicurare la presenza fissa degli autisti sui mezzi, ed in ascolto radio, se necessario;
• recuperare il tagliando relativo all'evacuazione, staccandolo dalla Scheda di Triage;
• ripartire i mezzi disponibili secondo le necessità;
• controllare lo svolgimento delle operazioni di trasferimento e la destinazione dei mezzi;
• riferire ed aggiornare l'M.D.M. Info sulla situazione dei mezzi e sulle loro missioni.
In particolare l’MDM Evacuazione organizzerà due settori:
• Area di attesa, prevista per lo stazionamento dei vettori di evacuazione (terrestri ed aerei)
• Mezzi, per il controllo del numero e tipologia dei vettori stessi
Il Responsabile dell’ Evacuazione sarà individuabile mediante un pettorale di colore blu.
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Ecco in sintesi il quadro generale del Sistema MDM proposto:
Figura 8 – Quadro generale Sistema MDM
Disposizioni particolari e indicazioni organizzative
Perimetro di Sicurezza
In qualunque tipo di intervento, e soprattutto in caso di attentato, dove il rischio di super attentato
non deve essere dimenticato o in caso di esplosione di altro genere, il Responsabile dei Soccorsi
Tecnici (Ufficiale dei VV.F.),in accordo con le Autorità di Polizia, definirà un perimetro di sicurezza, segnalato da bande colorate.
Il numero dei soccorritori nel perimetro di sicurezza deve essere ridotto al minimo indispensabile
per eseguire le operazioni di soccorso.
Nessuna figura non indispensabile e non riconoscibile deve penetrare all'interno del perimetro.
Personale impiegato
Fanno parte dell’U.M.S.S. quei medici, infermieri, soccorritori ed addetti alle ambulanze che, nella stesura dei piani sanitari di protezione civile, sono stati individuati come più facilmente rispondenti a determinate caratteristiche, di norma appartenenti ai Sistemi di Emergenza Sanitaria
“118”, supportati da personale delle Associazioni di Volontariato.
Ai medici e agli infermieri si richiedono capacità di affrontare tutti i tipi di urgenza, secondo protocolli predisposti, e di saper adattare il proprio comportamento alla situazione in atto.
Ai soccorritori (barellieri, volontari del soccorso) e agli autisti delle ambulanze sono richieste le comuni nozioni di assistenza all’infortunato o al malato, arricchite di elementi specifici della Medicina delle Catastrofi.
I medici, gli infermieri, i soccorritori e gli autisti delle ambulanze, facenti parte dell’U.M.S.S., devono essere distinguibili ed identificabili, nella zona di intervento, tra gli altri partecipanti ai soccorsi.
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Mezzi di Trasporto
Per il trasporto del personale e del
materiale dell’U.M.S.S. si usufruirà
delle ambulanze utilizzate nelle attività quotidiane, integrate, dove possibile e dove richiesto dall’evento,
da altri mezzi (elicotteri, veicoli 4x4,
carrelli trainabili, autocarri, autobus).
Gli stessi mezzi saranno successivamente utilizzati per il trasporto delle
vittime in ospedale.
Ambulanza Corpo Militare della C.R.I.
Materiali
L’equipaggiamento per interventi di
protezione civile, conosciuto in Francia con il termine di “lot catastrophe”, é l’insieme di tutto ciò
di cui il personale dell’U.M.S.S. può avere bisogno durante l’intervento nella zona dei soccorsi. I
contenitori del materiale saranno contrassegnati dai quattro colori, adottati in campo internazionale, che identificano il tipo di materiale contenuto all’interno:
• materiale non sanitario (colore di identificazione Giallo)
•
materiale di segnalazione e identificazione
•
materiale di segretariato
•
materiale di sussistenza e protezione individuale o collettiva
• materiale sanitario
•
individuale (come per i soccorsi quotidiani)
•
collettivo:
materiale per supporto cardiocircolatorio (colore Rosso)
materiale per supporto ventilatorio
(colore Blu)
materiali diversi
(colore Verde)
(medicazione, protezione termica, immobilizzazione, esame clinico)
• Barelle possibilmente di tipo militare, impilabili e teli portaferiti.
La logistica civile eredita le esperienze organizzative fatte in guerra dalla
logistica militare, ne estrapola gli elementi importanti e ne migliora, con
l’ausilio della tecnologia, i risultati.
La conoscenza delle differenze tra i
due ambienti (civile e militare) diventa importante per la comprensione
delle problematiche. Altrettanto utili
sono gli aspetti “storici” della Logistica sanitaria militare, basti pensare alle difficoltà incontrate dalle Forze Militari in Vietnam o alle Falkland. I problemi riscontrabili sui campi di battaglia del passato sono certamente diversi da quelli attuali, ciò non toglie
che le problematiche più moderne
siano altrettanto difficili da risolvere.
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Materiale per catastrofi: S.A.M.U. 75 – Francia
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Posizionamento delle barelle
A regime, tutti i mezzi di barellamento (barelle da ambulanza, da catastrofe, materassi a depressione, barelle a cucchiaio ed estricatori) devono essere depositati in un punto idoneo alle operazioni, possibilmente vicino al Posto di Comando Operativo, sotto il controllo di un Volontario che
ne gestisce l'uso e la responsabilità del MDM Recupero.
Scheda di Triage
Già dopo il recupero il ferito deve essere identificato ed accompagnato da una Scheda di Triage,
che in questa fase può essere sostituito da un indicatore colorato (esempio: elastico, fascia), indicante la classe di gravità.
Nel P.M.A., però per ogni ferito o coinvolto deve essere compilata una SCHEDA, che lo accompagnerà nella varie fasi sino all'arrivo in ospedale.
Questa scheda è, a tutti gli effetti, una cartella clinica seppur semplificata; è pertanto, è un dovere compilarla.
La SCHEDA è composta di una base rigida più due fogli autocopianti staccabili.
• Il 1° foglio indica le condizioni del ferito dopo il recupero.
E' compilato del Responsabile del recupero
• Il 2° foglio indica quelle all'uscita dal P.M.A.
E' compilato dal Medico responsabile del P.M.A.
• Il 3° foglio è compilato con le indicazioni all'evacuazione e accompagna il ferito sino all'ospedale.
N.B. in ospedale il ferito verrà sottoposto a nuovo triage e il medico ospedaliero utilizzerà la Scheda del Piano di Emergenza Interna, a cui allegherà quella che ha accompagnato il ferito (la 3a).
Identificazione delle vittime
Al fine di rispettare i criteri indispensabili al riconoscimento delle vittime, ogni effetto personale ritrovato deve essere posto in un sacchetto e allegato alla barella che trasporta la vittima stessa; sulle schede di triage sarebbe utile indicare in quale posizione e luogo è stato ritrovato il ferito o il
deceduto.
In ogni caso, prima di spostare una vittima deceduta occorre il consenso dell’Autorità Giudiziaria,
se ciò non impedisce le operazioni di soccorso ai sopravvissuti.
La responsabilità di questo compito sarà del MDM Info
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Proposta operativa atta a definire il ruolo di coordinamento sanitario
nella catena di comando delle operazioni di soccorso
Il modello di pianificazione dell’emergenza (metodo “Augustus”) del Dipartimento della Protezione Civile prevede l’attivazione di funzioni di supporto alle operazioni di soccorso. (vedere Capitolo 23 – Le Leggi di P.C.)
La funzione sanitaria è contrassegnata con il numero 2.
Attualmente il ruolo di coordinamento sanitario, come più volte citato, non trova in Italia una soluzione univoca; infatti, il ruolo del Medico è sovente posto in secondo piano, rispetto all’ovvio
compito di coordinamento organizzativo delle operazioni, svolto dal Prefetto, dal Sindaco e dai
Funzionari dei VV.F. La proposta degli Autori vuole essere un tentativo di definire i ruoli sanitari
all’interno della Catena generale dei Soccorsi.
In una flow chart si possono evidenziare i livelli di operatività:
Come si evidenzia, il collegamento della funzione 2 è esteso a tutti i livelli della Catena di Comando, ed in particolare si propone di utilizzare il ruolo del Medical Disaster Manager (M.D.M.)„
come figura di riferimento sanitario con compiti organizzativi ai livelli 1, 2 e 3 , mentre il Medical
Disaster Manager (coordinatore dei soccorsi sanitari sul campo), assume il ruolo di coordinamento sanitario al livello 4, con funzioni organizzative e di supporto operativo.
Queste figure sanitarie, ovviamente preparate dal punto di vista dottrinario in Medicina delle Catastrofi, assumono la responsabilità della funzione di supporto 2, definita nelle Linee Guida di gestione dell’Emergenza del Dipartimento della Protezione Civile (Metodo Augustus).
In ospedale la gestione della maxiemergenza sarà affidata a professionisti, formati specificatamente sulle problematiche intraospedaliere. Questi sanitari, definiti Hospital Disaster Managers
(H.D.M.), devono seguire Corsi di Formazione, come quello proposto dall’Associazione Italiana
Medicina delle Catastrofi.
Due esempi di Corsi sul Disaster Management, che comprendono l’insegnamento della gestione
sia extra che intraospedaliera dei soccorsi, sono:
1) Corso di Perfezionamento Universitario in “Programmazione e Gestione dei Piani di intervento
sanitario nelle maxi-emergenze catastrofiche”, della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bari e
2) ’European Master in Disaster Medicine” del C.E.M.E.C. di S. Marino)
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Il Triage sul Campo
Il fatto che maggiormente differenzia il disastro dall’incidente “quotidiano”, è l'improvvisa e netta
sproporzione tra le necessità della popolazione colpita e le risorse prontamente disponibili.
Assegnando una priorità ai vari bisogni che le vittime manifestano, sicuramente al primo posto si trova il bisogno di un’assistenza medica adeguata. Tuttavia, la sproporzione sopra citata colpisce in
particolar modo il sistema dei soccorsi sanitari, che rischia di essere travolto dall’improvviso incremento di richieste di intervento. Questo vale sia per il soccorso extraospedaliero sia per gli ospedali.
Ci si trova nella situazione di dover distribuire una quantità limitata di risorse ad un elevato numero
di pazienti. E’ quindi necessario uno strumento che consenta di svolgere questo compito nel modo
migliore possibile, e tale strumento è il triage.
Triage è un termine francese che significa scelta, selezione. In Medicina il triage consiste nell’individuazione delle priorità di trattamento in un gruppo di pazienti: ognuno di loro è assegnato ad
una classe di priorità in relazione a parametri costanti.
I pazienti ad essere trattati per primi saranno quelli appartenenti alla classe di priorità più elevata, seguiti da quelli assegnati alle categorie via via inferiori.
In Medicina delle Catastrofi, il triage può essere definito come una procedura di valutazione delle
condizioni cliniche e delle possibilità prognostiche di un gruppo di pazienti, per determinarne le
rispettive priorità di trattamento.
Il triage ha origine nella Medicina Militare fin dai secoli scorsi; d’altra parte la guerra è una catastrofe che provoca spesso un numero di vittime assolutamente sproporzionato rispetto alle risorse
disponibili: nella 1° guerra mondiale, sul campo di battaglia di Verdun venivano trattati dai servizi sanitari di entrambi gli schieramenti circa 2.500 feriti ogni giorno.
Già in epoca napoleonica la priorità di trattamento dei feriti veniva decisa in base a semplici tecniche di triage, ed, infatti, il barone Larrey, medico militare, ne è ritenuto l’ideatore.
In ambito civile il triage è stato negli ultimi anni adottato dalle strutture ospedaliere di Pronto Soccorso, dove spesso si verifica quella situazione di sbilanciamento tra necessità e risorse disponibili tipica della Medicina delle Catastrofi, anche se in proporzioni nettamente minori. In questo modo si evitano situazioni potenzialmente molto pericolose che spesso accadevano quando si applicava la filosofia della priorità stabilita dall’ora di arrivo: ad esempio, il paziente con infarto miocardico acuto che doveva attendere il proprio turno in sala d’aspetto.
Obiettivi del triage
In termini pratici il triage è un metodo per valutare i pazienti in modo omogeneo, e quindi classificarli in categorie di priorità. Come detto, quanto più elevata è la priorità assegnata ad un paziente, tanto più precocemente sarà necessario trattarlo.
Le classi di priorità variano con i diversi sistemi di triage: la classificazione più nota è quella che
utilizza codici colore (vedi tabella 1). Ad ogni codice colore corrisponde un diverso grado di priorità di trattamento.
E’ importante sottolineare che nell’emergenza routinaria il concetto di priorità coincide con quello
di compromissione del quadro clinico: più il paziente è grave, prima si tratta. Ciò avviene quotidianamente con il triage in Pronto Soccorso.
Questo concetto vale solo in parte nell’ambito della Medicina delle Catastrofi. A tale proposito un
discorso particolare merita la classe di priorità caratterizzata dal colore blu. A questa classe vengono assegnati quei pazienti che, pur non essendo ancora deceduti, presentano lesioni così gravi
da lasciare pochissime speranze di sopravvivenza anche dopo trattamento immediato ed intensivo.
Esempi di situazioni di questo tipo sono i pazienti con ustioni di 2° e 3° grado su più del 90% del37
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la superficie corporea, o traumi aperti del cranio con fuoriuscita di materia cerebrale. In condizioni
normali, e cioè in uno scenario di incidente di limitata importanza, è d’obbligo riservare a questi
pazienti il massimo possibile delle cure, cercando di sostenerne le funzioni vitali fino al raggiungimento dell’ospedale adeguato; in una situazione di catastrofe questo tentativo sottrarrebbe un'eccessiva quantità di risorse ad altri pazienti in condizioni gravi ma con migliori prospettive di salvezza. Si tratta comunque di una decisione difficile, il cui inserimento in un protocollo operativo ufficiale solleva problemi di ordine etico e legale.
Si può quindi affermare che il triage in Medicina delle Catastrofi ha l’obiettivo di portare il massimo beneficio al maggior numero di pazienti usando il minimo delle risorse.
Ciò significa garantire un trattamento prioritario ai pazienti in condizioni cliniche più gravi, ma che
presentino reali possibilità di sopravvivenza. Il mezzo con cui raggiungere questo obiettivo è dato
da una corretta esecuzione del triage, associato a pochi e semplici atti terapeutici.
Codice colore
Priorità
Descrizione
Rosso
1
Lesioni che mettono immediatamente a rischio di vita il paziente, ma che possono essere trattate con successo
Giallo
2
Pazienti con lesioni potenzialmente pericolose, ma che al
momento non mettono a rischio la vita del paziente
Verde
3
Pazienti con lesioni non gravi, trattamento dilazionabile
Blu
Bianco
Nero
Pazienti con lesioni così gravi che la loro speranza di sopravvivenza è molto ridotta anche se trattati adeguatamente
Pazienti con problemi psichiatrici gravi
Pazienti deceduti
Tabella 1: classi di priorità di trattamento.
Sede di esecuzione
La vittima della catastrofe entra in un circuito caratterizzato da diverse tappe. Ad ogni tappa, fin
dall’ingresso, viene sottoposta al triage. Inoltre, ogni volta che i soccorritori sospettano una variazione delle condizioni cliniche rispetto alla stazione precedente, provvedono a ripetere il triage
cambiando eventualmente la classe di priorità assegnata. In pratica il triage è un processo continuo, che termina quando il rapporto tra necessità e risorse disponibili torna in equilibrio. Questo
generalmente accade dopo il ricovero ospedaliero; tuttavia nelle prime fasi gli ospedali si trovano a dover assistere un elevato numero di pazienti, ed, infatti, come discusso nel capitolo 10, anche in tale sede è necessario essere pronti a svolgere operazioni di triage.
Operatori del triage
Il triage dovrebbe essere svolto da soccorritori preparati; in modo particolare a livello del Posto
Medico Avanzato, la figura professionale più adatta è il medico esperto in Medicina delle Catastrofi, formato secondo i criteri del Medical Disaster Management. Tuttavia, specie nelle prime fasi del soccorso, la sproporzione tra operatori sanitari, impegnati oltretutto nello stabilizzare i pazienti, e l’elevato numero di vittime, rende spesso obbligatorio il delegare a personale non professionista del campo specifico questo delicato compito (volontari di Croci e Associazioni, Vigili del
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Fuoco, Esercito, volontari di Protezione Civile). Il problema si acuisce con il crescere delle dimensioni dell’evento. Per questa ragione tutti gli operatori potenzialmente coinvolti in operazioni di soccorso in caso di catastrofe dovrebbero ricevere una formazione riguardo all’esecuzione del triage
e delle prime semplici manovre terapeutiche.
Protocolli di triage
Il protocollo di triage è l’insieme dei criteri che l’operatore deve applicare per giungere alla classificazione della priorità di trattamento. Un perfetto protocollo di triage dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche:
• Facile memorizzazione
• Rapida esecuzione
• Scarse possibilità di variazione dovute ad interpretazioni individuali
• Utilizzazione da parte di operatori con diversa preparazione professionale
• Attendibilità nell’individuare le priorità di trattamento
E’ evidente che non è facile ideare un protocollo di triage che soddisfi tutte queste esigenze. Un protocollo complesso, infatti, può essere molto efficace nel determinare correttamente le priorità di trattamento, ma è di difficile apprendimento, non utilizzabile da personale poco formato e dispendioso in
termini di tempo. Si immagini, come esempio, un sistema che preveda la valutazione del Glasgow
Coma Scale: solo una parte degli operatori impegnati sul campo potrebbe essere in grado di eseguirlo, ed una percentuale ancora minore lo farebbe in modo rapido e corretto.
Al contrario, un protocollo semplice si apprende facilmente, non è modificabile in relazione a interpretazioni individuali, può essere usato da tutti ed è rapido. Il problema è che un sistema di questo tipo può essere scarsamente attendibile nella assegnazione delle classi di priorità. Un esempio di questo genere può essere la valutazione della capacità di deambulare: le vittime che camminano sono a
bassa priorità di trattamento, quelle che non sono in grado di farlo sono ad alta priorità. E’ evidente
che la precisione non è la dote migliore di tale sistema.
In che senso scegliere? Privilegiare l’attendibilità o la semplicità? La risposta deve essere trovata nel contesto in cui si vuole introdurre il sistema. Un'organizzazione che dispone di un elevato numero di operatori ben preparati e adeguatamente addestrati può propendere per un protocollo più “complesso”.
Se invece la realtà operativa è composta da diverse professionalità, disomogenee per preparazione
ed esperienza, la scelta di un protocollo “semplice” dà maggiori garanzie sull’efficacia del triage.
Ferito in attesa di triage – esame Diploma in Medicina delle Catastrofi - Parigi
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D’altra parte è possibile adottare contemporaneamente, nell’ambito di un sistema di soccorsi, diversi
tipologie di triage a seconda della sede e delle capacità degli operatori.
Si è affermato che il triage è un processo continuo, che si svolge a tutti i livelli della catena dei soccorsi: sul luogo in cui si rinvengono le vittime, nel Posto Medico Avanzato, in sede di Evacuazione,
all’arrivo in Ospedale, ed in tutte le situazioni in cui si ravveda la necessità di farlo. Tuttavia, ogni sede di triage presenta caratteristiche ed esigenze che possono influire pesantemente sullo svolgimento
dello stesso. Si analizzi la situazione che si viene a creare dopo un disastro di una certa entità (esempio: 200 persone coinvolte).
Sul luogo dell’evento (inteso strettamente come il sito di ritrovamento delle vittime) è necessario impiegare un elevato numero di soccorritori, reperiti con rapidità; il tempo a disposizione è scarso, i pazienti tanti e le risorse disponibili quasi nulle, il tutto in un ambiente caotico e spesso sottoposto a rischio evolutivo. In questa situazione è obbligatorio adottare un sistema di triage rapido e semplice.
Nel Posto Medico Avanzato, il personale è più selezionato, anche se meno numeroso. Le vittime
sono molte, considerando che tutte devono passare attraverso questa stazione. Tuttavia, esse giungono già classificate dal luogo dell’evento (se le cose funzionano bene), per cui l’attenzione sarà
rivolta in primo luogo a quei pazienti individuati sul campo come codici di priorità più elevati. In
questa sede è possibile utilizzare un sistema di triage più complesso. Lo stesso discorso vale per il
triage ospedaliero, e nel capitolo 10 si vedrà una nostra proposta per un nuovo sistema di triage,
utilizzabile dal Posto Medico Avanzato in poi.
E’ quindi non solo possibile, ma anzi auspicabile, utilizzare nella catena dei soccorsi diversi protocolli di triage a diversi livelli. E’ tuttavia di fondamentale importanza che, allo stesso livello, tutti
gli operatori applichino nello stesso modo un protocollo comune: sul luogo del disastro, quindi, tutti gli operatori useranno lo START (vedi prossimo paragrafo), indipendentemente dalla loro preparazione e dalla loro capacità di applicare altri protocolli più complessi.
Nella figura 1 è illustrata una nostra proposta per l’esecuzione del triage in situazione di catastrofe:
1.
I primi soccorritori si recano sul luogo dell’evento ed eseguono il primo triage, utilizzando il protocollo START.
2.
Le vittime non trasportabili (esempio: pazienti incarcerati) vengono trattate sul posto dai
teams ALS, che si dirigono in prima battuta su quelle identificate da codice rosso.
Figura 1: Triage nei vari livelli della catena dei soccorsi
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3.
Le vittime trasportabili vengono portate al Posto Medico Avanzato, in ordine di priorità.
4.
All’ingresso del PMA, un operatore esperto esegue il triage utilizzando il protocollo
START, iniziando a valutare i pazienti con codici più elevati; in seguito le vittime accedono nell’area di trattamento in relazione alla priorità da egli assegnata.
5.
Nell’area di trattamento del PMA le vittime, dopo la stabilizzazione, vengono classificate secondo il sistema F.A.S.T. (illustrato nel capitolo 10). I pazienti con codice verde vengono destinati ad un’area specifica del PMA, quelli con codice giallo e con codice rosso in un’altra, in attesa di evacuazione; le loro condizioni vengono ripetutamente controllate eseguendo ciclicamente il protocollo di triage F.A.S.T. (esempio ogni 15 minuti).
Giunti in ospedale, i pazienti vengono sottoposti a triage con metodo F.A.S.T., seguendo
la priorità rosso – giallo – verde.
Le operazioni di evacuazione dal PMA agli ospedali possono in alcuni casi procedere a rilento, a causa della relativa scarsità di mezzi a disposizione. Può quindi accadere che pazienti
con codici di priorità elevati restino in attesa nel PMA per periodi abbastanza prolungati; è quindi necessario che un operatore determini con attenzione l’ordine di evacuazione da seguire per
pazienti con stesso codice di priorità.
Presentiamo qui di seguito due esempi di sistemi di triage: il sopra citato protocollo START, che
rappresenta un approccio più semplificato ed accessibile al problema; il sistema francese, che,
pur essendo meno articolato nel processo di assegnazione della classe di priorità, richiede un
livello di formazione piuttosto elevato.
Il sistema S.T.A.R.T.
S.T.A.R.T. sta per Simple Triage And Rapid Treatment, ed è un sistema di triage sviluppato dai Vigili del Fuoco di Newport Beach, U.S.A., in collaborazione con il sistema dei soccorsi sanitari.
L’esecutore, valutando il paziente, deve porsi una serie di domande che va da una soltanto a
quattro, a seconda delle risposte che si ottengono.
Contemporaneamente si mettono in atto alcune rapide manovre terapeutiche: in primo luogo si
deve arrestare ogni emorragia esterna importante in atto.
Il sistema START è illustrato nella figura successiva.
1. Il paziente può camminare?
Se la risposta è SI, il paziente viene classificato come codice VERDE. Il codice colore verde è sempre associato a pazienti con bassa priorità di trattamento.
A questo punto, ottenuta la classificazione di priorità, si può passare a valutare un altro ferito.
Se invece la risposta è NO, e cioè se il paziente NON è in grado di camminare, egli
non viene ancora classificato e si passa alla domanda successiva.
2. Qual è la frequenza respiratoria del paziente?
La frequenza respiratoria è associata a patologie toraciche e cardiocircolatorie e rappresenta un importante segno di scompenso latente o in atto.
Se la frequenza respiratoria è assente, si compiono le manovre per la disostruzione
delle vie aeree. Se dopo tali manovre non ricompare l’attività respiratoria, il paziente viene
considerato non salvabile, associandolo al codice colore BLU. Se invece il paziente riprende a ventilare, si classifica il paziente come codice ROSSO e si passa al ferito successivo.
Nei sistemi che non prevedono l’assegnazione del codice blu, il paziente viene considerato come codice rosso; questa decisione rende però necessario che qualcuno si occupi prontamente del paziente stesso, poiché la condizione di apnea provoca in un tempo di circa 4
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minuti lesioni cerebrali gravissime, e, perdurando ancora, la morte del soggetto. Se l’operatore di triage è un medico, in presenza di arresto cardiorespiratorio egli può dichiarare
deceduto il paziente e assegnarlo alla classe nera.
Se la frequenza respiratoria è presente, si valuta il numero di atti respiratori al minuto. Per risparmiare tempo, di solito si moltiplica per quattro il numero di atti respiratori
compiuti in 15 secondi. E’ utile ricordare che un atto respiratorio è composto da un'inspirazione e da un'espirazione, quindi inspirazione + espirazione = atto respiratorio. Se la
frequenza respiratoria è maggiore di 30 atti al minuto, il paziente viene classificato come codice colore ROSSO, passando quindi ad esaminare la vittima seguente. Se
la frequenza respiratoria è uguale o inferiore a 30 atti al minuto, si passa alla domanda successiva senza assegnare il paziente ad alcuna classe di priorità.
3. E’ presente il polso radiale?
La possibilità di verificare l’attività cardiaca a livello del polso, in corrispondenza dell’arteria
radiale, significa di solito che la pressione arteriosa sistolica del paziente è di almeno 80
mmHg. L’assenza del polso radiale rappresenta quindi un importante segno di scompenso cardiocircolatorio. La presenza di evidenti lesioni ad un arto superiore suggerisce l’opportunità
di valutare il polso controlaterale. Se entrambi gli arti superiori sono lesionati, l’assenza di polso radiale o la impossibilita a verificarlo attribuiscono il paziente alla classe colore rosso.
Se il polso radiale è assente, il paziente viene assegnato alla classe colore ROSSO;
nel rispetto dell’allineamento del rachide, lo si pone in posizione anti-shock e si passa a valutare un’altra vittima.
Se il polso radiale è presente, si passa alla successiva ed ultima domanda.
4. Il paziente risponde ad ordini semplici?
La capacità da parte del paziente di rispondere a comandi semplici (“tira fuori la lingua”, “apri
gli occhi”) testimonia una soddisfacente funzione cerebrale.
Se il paziente non risponde ad ordini semplici, viene classificato come codice ROSSO; si pone il paziente in posizione laterale di sicurezza, rispettando l’allineamento del rachide, e si passa a valutare un’altra vittima.
Se il paziente risponde ad ordini semplici, si arriva alla fine della procedura di triage
ed il paziente viene assegnato alla classe colore GIALLO. Questa
categoria raccoglie i
pazienti le cui funzioni
vitali non richiedono
una priorità di intervento immediata, ma in
cui esiste la possibilità
di un'evoluzione peggiorativa. L’assegnazione di questi pazienti alla categoria colore
giallo è dovuta alla
presenza di lesioni che
impediscono agli stessi
la deambulazione (veFig. 2: Il Sistema S.T.A.R.T.
di primo passaggio).
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Pagina 43
IIl protocollo START può apparire per molti aspetti un'inaccettabile semplificazione di quella che
dovrebbe essere la valutazione clinica di un paziente. In effetti, un discreto numero di pazienti
assegnati alle classi gialla o addirittura rossa, ad un’analisi più approfondita, presenta lesioni
di gravità inferiore al livello di priorità identificato con il triage. Il vantaggio è dato dal buon
grado di sensibilità, che impedisce di sottostimare le condizioni di una vittima. Esistono tuttavia
situazioni in cui questo problema si verifica: ne sono esempi i pazienti con blast syndrome (conseguenza di esplosioni) o vittime di intossicazione chimica. In questi casi, infatti, la latenza tra
evento lesivo e manifestazioni cliniche può essere piuttosto prolungata, ed un paziente apparentemente integro può, poco dopo, peggiorare drammaticamente; un protocollo di triage che
consideri anche il fattore di rischio dato dalla dinamica dell’evento potrebbe in teoria essere più
adeguato. L’importanza di sottoporre ciclicamente i pazienti a triage è quindi motivata anche
dall’esistenza di queste particolari situazioni, che possono inizialmente essere poco evidenti.
Un altro aspetto importante dello START è l’ordine con cui vengono vengono eseguite le valutazioni. La capacità di deambulare permette immediatamente di scremare tutti coloro che probabilmente non presentano gravi lesioni; il tempo dedicato a valutare questi soggetti è quindi minimo. A seguire si valutano le funzioni vitali: respiro, circolo, quadro neurologico; l’ordine è lo
stesso utilizzato da altre filosofie di approccio al paziente critico, come ATLS (Advanced Trauma Life Support), ACLS (Advanced Cardiac Life Support), PHTLS (Pre Hospital Trauma Life Support).
Ma l’aspetto più importante dello START è dato dalla sua semplicità e dalla facilità di applicazione: è sufficiente un minimo di addestramento per consentire anche a personale non strettamente sanitario di eseguirlo correttamente.
La scuola francese
La filosofia adottata in Francia per l’esecuzione del triage riflette la realtà culturale ed organizzativa locale.
Il sistema francese prevede, infatti, che il triage venga effettuato da medici formati in ambito di Medicina delle Catastrofi o comunque da operatori adeguatamente preparati.
I feriti vengono inizialmente classificati in due categorie:
Urgenze assolute
Pazienti che presentano compromissione di una o più funzioni vitali
Urgenze relative
Pazienti con funzioni vitali conservate
In seguito, nelle successive stazioni di triage, la classificazione diventa più complessa:
Urgenze assolute – U.A.
• Estreme Urgenze – E.U.
• Prime urgenze
Urgenze relative – U.R.
– U1
• Seconde urgenze – U2
• Terze urgenze
– U3
Urgenze depassèes – U.D.
Scampati
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Nella tabella successiva sono riportate le tipologie di lesioni in relazione alle diverse classi di triage:
E’ evidente come sia richiesta all’esecutore del triage una preparazione medica di buon livello, tale da consentirgli di diagnosticare lesioni complesse e di utilizzare strumenti di valutazione specifici (come, ad esempio, il Glasgow Coma Scale).
E’ possibile trasformare i codici utilizzati nel sistema francese in codici colore, utilizzando il seguente schema:
Codice francese
Urgenze assolute
U.1
U.2 – U.3
U.D.
PSICO
Codice colore
Rosso
Giallo
Verde
Blu
Bianco
Protocollo C.E.S.I.R.A.
Per completezza segnaliamo questo protocollo, formulato dall’Associazione Italiana di Medicina delle Catastrofi (Ciancamerla G. 1990), d'impostazione simile allo START, ma rivolto alle squadre di soccorso che non dispongono di componente medica, e quindi non in grado di
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Fig.3: Sistema C.E.S.I.R.A.
constatare i decessi sul campo.
L’acronimo C.E.S.I.R.A. identifica la sequenza delle condizioni fisiopatologiche da valutare
(Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture ossee, Altro). Il metodo è più
approssimativo dello START, ma ciò è dovuto al tipo di personale che lo applica.
Atti terapeutici durante il triage
Ciò che accomuna tutti i sistemi di triage, a qualsiasi livello di esecuzione, è la necessità di limitare drasticamente il numero di atti terapeutici durante lo svolgimento di quest'operazione. Coloro
che si occupano di quest'aspetto della catena dei soccorsi devono essere consapevoli che la medicalizzazione dei pazienti non è loro compito.
Ciò non significa che durante il triage non si interviene sul paziente: è anzi doveroso per l’operatore mettere in pratica semplici atti terapeutici, di rapida esecuzione, che possono salvare la vita
alla vittima o limitarne il decadimento delle condizioni.
La disostruzione delle vie aeree, l’arresto di imponenti emorragie esterne, il corretto posizionamento del paziente, la protezione termica, sono manovre rapide e semplici che possono incidere
in modo importante sul destino del paziente.
Qualità del triage
Un triage ben eseguito è la base per garantire una valida assistenza alle vittime di una catastrofe.
Per questo motivo, la sua importanza dovrebbe essere sottolineata con grande intensità a tutti i livelli
della catena dei soccorsi. Purtroppo in molte occasioni la cronaca delle operazioni di soccorso in
caso di disastro narra storie di triage non effettuati, di “cartellini” o “tags” di triage persi, di pazienti
giunti in ospedale direttamente dal luogo di ritrovamento, senza applicare alcun criterio di priorità.
Le ragioni per cui spesso il triage è ignorato o eseguito sommariamente possono essere molte; si
citano qui di seguito quelle che noi riteniamo essere le più importanti.
• Insufficiente formazione del personale di soccorso.
• Carenze organizzative da parte del sistema dei soccorsi.
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• Eventi occorsi in centri urbani, molto vicini ad ospedali: in questi casi è più facile che molte vittime si rechino spontaneamente in Pronto Soccorso, o vi vengano portate da soccorritori improvvisati con mezzi di fortuna.
Le prime due cause sono quelle su cui maggiormente si può incidere, soprattutto per quanto riguarda la preparazione degli operatori.
Problemi pratici
Anche il migliore sistema di soccorso può cadere miseramente sull’esecuzione del triage, nonostante un intenso sforzo di formazione sugli operatori, a causa di problemi pratici, talvolta ignorati.
Un soccorritore che applica perfettamente un protocollo di triage non è di nessuna utilità se non lascia traccia ben evidente del suo operato:
coloro che si occuperanno successivamente delle vittime dovranno, infatti, poter riconoscere rapidamente i codici colore assegnati a ciascuna di loro.
Nella nostra esperienza, abbiamo visto sistemi di soccorso utilizzare schede in cartoncino come indicatori o “tags” di triage;
il tag deve accompagnare il paziente in tutto il suo percorso, se possibile fino all’ospedale, o almeno al Posto Medico Avanzato.
E’ intuibile come un cartoncino può perdersi o venire danneggiato per un'infinità
di motivi: in una giornata di pioggia, una
buona parte del lavoro svolto andrebbe
perduto.
E’ quindi importante prestare a questi problemi pratici la stessa attenzione riservata
a quelli più generali, mettendo gli operatori nelle condizioni di lavorare al meglio
(usando, ad esempio, custodie impermeabili con elastico per i tags di triage, oppure delle semplici fasce colorate).
Scheda di Triage – A.I.M.C.
Va ricordato un problema particolare, cioè quello dei pazienti con gravi traumi psichici.
Può diventare necessario evacuare con priorità i pazienti con le seguenti situazioni cliniche in atto:
• Psicotici
• Pazienti con precedenti psichiatrici gravi
• Nevrotici gravi (crisi isteriche, nevrosi fobico-ossessive)
• Soggetti “catalizzatori” ovvero soggetti a fragilità emotiva capaci di innescare una reazione di
panico collettivo
• Soggetti che ostacolano i soccorsi, a causa di gravi problemi comportamentali.
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Le risorse umane sul campo
Introduzione
Nell’ambito della pianificazione, occorre considerare la gestione delle risorse umane disponibili, sia per la difficoltà del reperimento del personale sia per garantire la indispensabile turnazione, soprattutto in situazioni caratterizzate da una notevole durata delle operazioni di soccorso (alluvioni, terremoti).
Esiste, inoltre, la distinzione dei due ambiti all’interno dei quali il personale si trova a dover operare, e cioè quello extra-ospedaliero, e quello intra-ospedaliero.
Nel primo caso i soccorritori agiranno in ambiente sicuramente ostile, sovente senza protezione e
sottoposti all'inclemenza delle condizioni atmosferiche.
Nel secondo caso gli operatori lavoreranno in una struttura protetta dal punto di vista climatico, ma
dovranno affrontare condizioni di lavoro stressanti, legate al numero di feriti giunti in ospedale.
Senza dubbio il personale che opera il soccorso extraospedaliero è quello più addestrato ad affrontare quelli che possono essere gli scenari “ostili” che si incontrano nelle catastrofi maggiori, dato che quotidianamente deve adattare il proprio sapere, saper fare e saper essere alle situazioni più
disparate, dimostrando quindi di quello spirito di “improvvisazione” necessario in questa fase.
Per contro il soccorritore extra-ospedaliero non avrà quella familiarità con le strutture sanitarie
che gli permetta di muoversi agilmente all’interno delle stesse.
Personale coinvolto
Il personale coinvolto nella gestione degli aspetti sanitari di una catastrofe è quanto di più eterogeneo possa esistere, visto che il soccorso sanitario non consiste solo nell’assistenza alla vittima, ma
anche nella sua ricerca, salvataggio dall'ambiente ostile, recupero e trasporto verso l’ospedale.
A loro volta le attività sopra elencate possono essere suddivise, in ulteriori aspetti specifici:
• tipologia di ricerca: sonde a rilevazione termica o fonica, cani da ricerca (macerie, fango,
valanghe), ricognizione aerea;
• tipologia di recupero/salvataggio: a terra con l’ausilio dei Vigili del Fuoco (vittime incastrate), in volo (ad esempio persone bloccate in teleferiche), in montagna come per le vittime di
frane o valanghe, in acqua con l’intervento del S.A.R. (soccorso aereo);
• tipologia di trasporto: che può essere eseguita con veicoli terrestri, ad ala rotante, o con veicoli speciali (mezzi anfibi, veicoli 4x4).
Citiamo i differenti compiti e modalità di utilizzo della componente professionista e di quella volontaria.
Il personale professionista
Distinguiamo il personale del ruolo tecnico e quello del ruolo sanitario, considerando che entrambi si occupano del soccorso sanitario, ma con competenze diverse. Nella realtà quotidiana tutto
ciò avviene spontaneamente, senza che vi siano grossolane sovrapposizioni; ma in caso di calamità naturale il rapporto tra componente tecnica e sanitaria deve in qualche modo modificarsi?
In linea di massima la risposta è che, pur mantenendo ognuno le proprie peculiarità istituzionali,
le componenti tecnica e sanitaria devono a maggior ragione integrarsi in modo da compiere il
soccorso in collaborazione.
L’integrazione fra l’aspetto tecnico e sanitario ha lo scopo di rendere più agevole e efficace il soccorso alle vittime, e l’apprendimento delle tecniche utilizzate dall'altra componente ha la funzione
di accrescere la collaborazione e di ridurre i rischi evolutivi che ogni azione di soccorso comporta.
In altre realtà, come ad esempio quella francese (Sapeurs-Pompiers e talvolta S.A.M.U.), statunitense (E.M.S.) e canadese (E.M.S.), le componenti tecniche e sanitarie sono in parte adde47
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Soccorso sanitario e tecnico - Bologna Soccorso
strate anche ai compiti della controparte, in modo che ogni equipaggio conosca i protocolli operativi e possa collaborare efficacemente.
Realtà molto simile alla nostra è quella tedesca, in cui gli equipaggi sanitari (Notdienst) devono
avvalersi, per il soccorso tecnico, dell’opera dei Vigili del Fuoco (Feuerwehr).
In Italia il soccorso si divide in una parte tecnica (espletata dal Corpo Nazionale dei Vigili del
Fuoco) ed in una parte sanitaria di cui si occupa il Servizio Sanitario Nazionale avvalendosi del
"Sistema di Emergenza Sanitaria 118", che può essere tuttavia integrato dall’ausilio del personale ospedaliero.
Attorno a loro, nell’emergenza quotidiana e/o di massa, possono essere schierate le Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Capitanerie di Porto) e le Forze Armate (Esercito, Aeronautica e Marina).
Compiti del personale professionista
Il personale professionista è quello interessato allo svolgimento dell’attività quotidiana del soccorso, ed in particolare il personale tecnico (Vigili del Fuoco), quello sanitario (Sistema 118) e
le Forze dell’Ordine.
I compiti di questi operatori, nell'ambito dei soccorsi in caso di catastrofe, sono i seguenti:
• sicurezza dello scenario (eliminazione o contenimento del rischio evolutivo)
• ricognizione (valutazione e dimensionamento dell'area dell'evento)
• ricerca e recupero delle vittime
• soccorso sanitario alle vittime e stabilizzazione
• trasporto delle vittime al P.M.A. e successivamente verso gli Ospedali
• controllo del perimetro di sicurezza
Consideriamo, a questo punto, quali sono i compiti di ogni singola componente professionista che
interviene nel soccorso, secondo i criteri della Medicina delle Catastrofi, con particolare riferimento alla catena dei soccorsi ed in riferimento agli ambiti di lavoro:
• area dell’evento (cantiere)
• noria di recupero (circuito di recupero)
• posto medico avanzato (P.M.A.) e posto di comando operativo
• noria di evacuazione
• ospedali di destinazione
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Area dell’evento
Nell’area i primi soccorritori devono eseguire una ricognizione, mirata a definire la viabilità di
accesso, la presenza di rischio evolutivo ed il numero stimato di vittime.
I Vigili del Fuoco hanno la necessità di valutare la tipologia di incidente segnalato, le caratteristiche del territorio, il tipo di attrezzature necessarie, nonché i problemi legati alla sicurezza dell’area colpita.
I sanitari cercheranno infine di ottenere informazioni sul tipo di incidente per identificare le patologie prevalenti.
Le Forze dell’Ordine avranno bisogno di dati per circoscrivere e perimetrare il luogo dell’evento, al fine di attuare il massimo controllo sull’accesso al sito, nonché per le indagini di Polizia
Giudiziaria, al fine dell’accertamento di eventuali responsabilità.
Le fasi di intervento sul sito della catastrofe iniziano con la divisione dell'area colpita in "cantieri", in cui si suddividono le forze disponibili, al fine di razionalizzare il salvataggio/soccorso
e renderlo efficace.
In questa fase i Vigili del Fuoco hanno il compito di liberare i feriti che sono intrappolati da fango, lamiere, macerie e porli al riparo dal rischio evolutivo, in modo da favorirne il successivo
recupero da parte dei sanitari.
I sanitari interverranno effettuando il triage delle vittime ed attuando le manovre “salvavita”.
Le Forze dell’Ordine si occuperanno di allontanare e raggruppare gli illesi, di delimitare il luogo dell’evento, di scongiurare azioni illegali (esempio: sciacallaggio) nell’area colpita.
Ricognizione con elicottero
Noria (circuito) di recupero
È l’azione di trasporto verso il Posto Medico Avanzato dei feriti già recuperati e sottoposti al primo triage.
Può essere effettuata indifferentemente da tutte le forze in gioco sul campo, ed in particolare da
coloro che non sono direttamente impegnati nella disincarcerazione delle vittime, nel triage e
nelle manovre salvavita.
Per effettuare il recupero vengono utilizzate delle barelle o mezzi di fortuna; se il terreno è impervio devono essere impiegati mezzi speciali, raramente in dotazione ai Sistemi di Emergenza (vedi gommoni, mezzi anfibi, cingolati, mezzi 4x4), ma messi a disposizione dal soccorso
tecnico o dall’Esercito.
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Posto medico avanzato (P.M.A.)
È il luogo dove viene eseguita la stabilizzazione delle funzioni vitali delle vittime, in vista del loro
successivo trasporto verso gli ospedali competenti.
Qui operano essenzialmente medici ed infermieri esperti.
Interno P.M.A. – Esercitazione Traforo del Frejus
Posto di comando operativo (P.C.O.)
Esso rappresenta il fulcro di tutte le operazioni di soccorso, poiché è da qui che tutte le forze in campo vengono coordinate nel loro intervento dai rispettivi coordinatori; in questo ruolo emerge la figura
del Direttore dei Soccorsi Sanitari, formato secondo i criteri del Medical Disaster Management, che diventa il responsabile operativo delle operazioni di soccorso, recupero e trasporto verso gli ospedali di
tutte le vittime coinvolte.
All’interno del posto di comando operativo devono essere presenti tutti i responsabili sul campo di:
• Vigili del Fuoco
• Sanitari (Medical Disaster Manager)
• Forze dell’Ordine e Armate
• Volontari
collegati con le rispettive Centrali Operative e di Coordinamento.
Posto di Comando operativo – B.S.P.P. di Parigi
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Noria di evacuazione e ospedali di destinazione
Questo circuito ha lo scopo di trasportare i feriti, una volta stabilizzati, verso gli ospedali.
Per fare ciò è essenziale, innanzi tutto, che vengano censite le risorse/disponibilità ospedaliere per
l’accettazione dei pazienti, tenendo anche conto delle problematiche specifiche di assistenza (neurochirurgia, grandi ustionati, chirurgia toracica o vascolare).
Questo deve essere definito a priori dalla Centrale Operativa 118 competente territorialmente: tali disponibilità devono essere prontamente fornite al Direttore dei Soccorsi Sanitari e continuamente aggiornate.
Il trasporto dei pazienti, in particolare dei codici gialli e dei codici rossi, verso gli ospedali, deve
avvenire in maniera protetta e con mezzi idonei, per cui sarà necessario disporre di mezzi adeguati alla tipologia di trasporto ed al numero di feriti.
Il personale volontario
L’altra parte del soccorso, ordinario ed in occasione di grandi calamità, è costituito dal personale
volontario che viene utilizzato come ausilio alle componenti istituzionali.
Il personale volontario, attualmente, è riconosciuto dalla Legge n.266 del 11 agosto 1991.
Tale legge indica i criteri di massima ai quali devono attenersi le Regioni nell’emanare la normativa che disciplina nel proprio territorio le varie associazioni, ed in particolare sancisce l’importanza sociale del volontariato e ne precisa il contenuto e le modalità di espletamento.
Così all’articolo 1 viene riconosciuto il valore sociale e la funzione del volontariato come espressione
di partecipazione, solidarietà e pluralismo e ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia.
All’art. 2 viene precisato che per attività di volontariato si intende quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito tramite l’associazione di cui il volontario fa parte senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Nonostante la legge quadro, il volontariato
non ha ancora trovato una connotazione di veste giuridica, ed in particolare nemmeno la Legge
266/91 ha espressamente indicato se i volontari che esercitano attività in seno alla propria associazione ricoprano o no la veste di “Incaricati di Pubblico Servizio” (articolo 358 del Codice Penale). Tale aspetto riveste una notevole importanza in quanto gli atti compiuti dal personale volontario,
come quelli svolti da quello professionista, possono talvolta avere rilevanza penale, e quindi essere perseguibili a meno che siano compiuti nella veste di Pubblico Ufficiale o Incaricato di Pubblico Servizio.
Ma più che alla veste giuridica del volontariato si deve porre l'attenzione alla sua connotazione
nell’ambito delle specializzazioni che si possono assumere in seno alla Protezione Civile.
Infatti, nel volontariato non esistono solo Associazioni con compiti di soccorso agli infortunati come la
Croce Rossa Italiana, le Misericordie o le Pubbliche Assistenze, ma esistono altri gruppi, che nel corso
degli anni hanno raggiunto una così grande professionalità da essere riconosciuti a livello nazionale.
In particolare possiamo suddividere il volontariato in quattro grandi categorie:
• gruppi di ricerca, come ad esempio le Unità Cinofile
• gruppi di soccorso tecnico, come il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico
(C.N.S.A.S.), le squadre A.I.B. (antincendio boschivo) istituite in seno ai Comuni, i Vigili del
Fuoco volontari
• gruppi di soccorso sanitario, come la Croce Rossa Italiana, Misericordie o A.N.P.A.S.,
• gruppi con funzioni tecnico-logistiche, come ad esempio l’Associazione Nazionale Fuoristradisti d’Italia, Gruppo Emergenza Radio.
Ognuno di questi gruppi è solitamente indipendente, essendo fornito di propri supporti tecnico-logistici e di sostentamento, come tende, cucine da campo, viveri.
Compiti del personale volontario
Il ruolo del volontariato, nella quotidianità, è rilevante soprattutto per quanto riguarda quelle attività definite socio-assistenziali, con particolare riferimento alla loro presenza nel soccorso urgente territoriale.
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Sono presenti altresì in strutture sanitarie, ed intervengono su indicazione dei Comuni in occasione di
manifestazioni di massa.
Come nel caso degli operatori professionisti, la struttura del volontariato prevede attività diversificate individuando, nella propria specificità/competenza, figure destinate alla ricerca, recupero, soccorso, trasporto.
Area dell’evento (cantiere)
La ricognizione è sempre il primo compito da svolgere da parte dei primi soccorritori giunti sul posto, professionisti o volontari che essi siano.
Molto utile è la ricognizione terrestre con mezzi 4x4, utilizzati dalle Associazioni, che possono trasportare materiale, personale sanitario e tecnico, fino al luogo dell'evento. Tali mezzi spesso non
sono disponibili in numero adeguato o in tempi brevi da parte delle forze istituzionali.
Alcune Associazioni dispongono di mezzi con caratteristiche costruttive ottimali e dispongono di
attrezzature indispensabili al salvataggio, come verricelli, estintori carrellati a schiuma o acqua,
ponti radio shiftabili su diverse frequenze, attrezzature per la disincarcerazione, per l’intervento in
acqua o in grotte.
Le risorse del personale volontario e le loro attrezzature possono essere messe a disposizione dei
Integrazione – Esercitazione di P.C. Piemonte - 1992
Vigili del Fuoco con il compito di coadiuvarli nel liberare i feriti intrappolati da fango, lamiere o
macerie, in modo da favorirne il successivo recupero da parte dei sanitari.
I sanitari interverranno effettuando il triage delle vittime ed attuando quelle che vengono dette le
manovre “salvavita”, in collaborazione con le squadre di soccorso volontarie intervenute: a tale
scopo possono essere formate delle squadre miste formate da un sanitario e due volontari soccorritori che abbiano delle nozioni minime di triage sul campo.
In questa fase è fondamentale il supporto logistico, come cellule fotovoltaiche per l’illuminazione
del sito, gruppi elettrogeni, pompe di aspirazione.
Sul campo sono utili le unità cinofile, per la ricerca di feriti intrappolati sotto le macerie o all’interno
di masse nevose in occasione di valanghe. Sono anche da tenere in considerazione volontari del
C.N.S.A.S. al fine di concorrere al recupero di vittime poste in luoghi difficilmente raggiungibili.
Noria di recupero
Lo squilibrio creato dalla catastrofe rende indispensabile l'utilizzo di un elevato numero di mezzi,
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spesso non immediatamente attivabili; le Associazioni di Volontariato possono integrare il sistema
dei soccorsi istituzionale, mettendo a disposizione il loro parco mezzi.
Posto Medico Avanzato (P.M.A.)
I volontari possono coadiuvare il personale sanitario professionista nei compiti di assistenza di base al paziente (ad esempio sorveglianza o medicazione).
Nel P.M.A. è necessario che vi siano tecnici per garantire la continuità dei servizi (acqua, luce, approvvigionamenti di materiale) e nuclei di trasporto logistico, destinati al recupero di materiale, al
montaggio del P.M.A. e delle attrezzature.
Posto di comando operativo
All’interno del Posto di Comando Operativo devono trovare la loro collocazione le figure di coordinamento delle componenti di Volontariato impiegate, con compiti di supporto logistico delle operazioni, sotto la supervisione del Medical Disaster Manager.
Possono essere utilizzati volontari per la gestione tecnica e logistica della Centrale Operativa Mobile, per quanto riguarda le connessioni radio, elettriche e il mantenimento in funzione di tutto l’apparato tecnico di coordinamento.
Noria di evacuazione e ospedali di destinazione
Valgono le considerazioni espresse in merito alla noria di recupero.
Ospedale
L'utilizzo di personale volontario all'interno della struttura ospedaliera è più difficile, per la maggiore complessità delle attività che vi si svolgono e la scarsa conoscenza di percorsi e procedure.
Tuttavia è proponibile l'impiego di volontari da utilizzare in compiti quali il supporto morale a feriti e parenti delle vittime, o la collaborazione con il personale addetto al trasporto dei feriti nelle
varie sedi di diagnosi o cura.
Forze in campo
Non è facile stabilire quante persone siano necessarie per affrontare una maxiemergenza.
Non c’è una risposta univoca dato che i parametri imprevedibili sono molti, ed un evento può provocare addirittura la distruzione completa di ampie zone, compresi tutti i servizi di soccorso sanitario territoriale; tuttavia possiamo utilizzare degli algoritmi standard per ipotizzare l’ammontare
delle risorse umane necessarie, considerando:
• il numero ipotizzabile di feriti (vedi tabella 1)
• il personale minimo che deve essere utilizzato nelle singole unità di soccorso
Tabella 1 (fonte EMS – The Journal of Emergency Care, Rescue, and Transportation)
Percentuale di ripartizione dei codici colore riscontrata nei feriti in occasione di catastrofe, seconmetodo di triage START.
Il personale da utilizzare deve essere individuato in relazione al tipo di evento considerato.
E' possibile che l’emergenza possa protrarsi anche per diversi giorni; l’utilizzo immediato di tutte le risorse umane disponibili provocherebbe, con l’esaurimento fisico dei soccorritori, l’interruzione delle
operazioni di soccorso, poiché non si avrebbero forze fresche per garantire un nuovo turno di lavoro.
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Un esempio di personale minimo da utilizzare può essere quello riferito alla gestione di un P.M.A.
• triage e trattamento
➙ due medici esperti
➙ quattro infermieri professionali esperti, provenienti se possibile dall’Area Critica;
•
area ricovero codici rossi
➙ un medico (area Anestesia e Rianimazione, Chirurgia d’Urgenza o Medicina d'Urgenza);
➙ due infermieri professionali provenienti dall’Area Critica;
•
area ricovero codici gialli
➙ due infermieri professionali provenienti dall’Area Critica;
•
area ricovero codici verdi
➙ due soccorritori;
•
area evacuazione/trasporti
➙ un infermiere professionale;
•
aree tecnico-logistiche
➙ un addetto alle comunicazioni;
➙ un addetto alla registrazione in ingresso;
➙ un addetto alla registrazione in uscita;
➙ un responsabile magazzino farmaci e materiali;
➙ quattro addetti ai trasporti/rifornimenti del P.M.A;
➙ quattro addetti alla manutenzione del P.M.A.
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I Piani di Emergenza sul campo: Generalità
Per ottenere una corretta pianificazione in caso di catastrofe bisogna introdurre il concetto di Strategia
ovvero l'arte di ideare i Piani di Soccorso.
La pianificazione, scarsamente considerata in Italia, trova nelle altre nazioni europee terreno fertile.
In Italia il Dipartimento della Protezione Civile ha emanato le Linee Guida per la predisposizione dei
Piani di gestione dell’emergenza a livello comunale e provinciale, diversificate per evento o situazione,
quale atto d'indirizzo per le Regioni, le Prefetture ed i Comuni, ma raramente le indicazioni di massima contenute nei documenti vengono trasformate in Piani Operativi.
Numerose sono le cause di questa mancata applicazione:
• complessità del Sistema di Protezione Civile, con competenze regionali, provinciali e locali;
• scarsa cultura delle problematiche inerenti ai soccorsi in caso di catastrofe, da parte di chi dovrebbe applicarle (molti Sistemi di Emergenza 118 non dispongono di Piani operativi);
• scarsa propensione, tipicamente mediterranea ed italiana in particolare, a credere che un evento
eccezionale possa colpirci così da vicino (del tipo "non potrà certo succedere a me");
• ridotta disponibilità di fondi economici da destinare ad un comparto, quello della prevenzione delle catastrofi, considerata statisticamente improbabile rispetto alle necessità del soccorso singolo
quotidiano;
• eccessiva fiducia nella possibilità di risolvere i problemi con l'esclusivo utilizzo delle procedure e
dei mezzi ordinari.
Piani di soccorso specializzati – VV.F.
Queste ipotesi, che crediamo molto vicine alla verità, inducono i pianificatori ad uno scarso lavoro progettuale, rimandando ad un prossimo futuro ogni decisione, confidando nel fato propizio.
Purtroppo la realtà ci ricorda che le catastrofi non sono statisticamente remote e la cronaca ci rimanda
a dati, purtroppo, molto indicativi.
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Si può tentare di giustificare chi dovrebbe provvedere alla pianificazione, pensando che tanto gli avvenimenti sono ineluttabili o scarsamente modificabili; tuttavia riteniamo, in coscienza, che si potrebbe
fare molto di più per mitigare gli effetti di una catastrofe.
Ma come?
Basterebbe ispirarsi ad esperienze estere, adattandole alla nostra realtà e ricordare che se molte altre
Nazioni investono in prevenzione e pianificazione, un motivo valido ci sarà!
Per definire quali Piani occorrano possiamo ricordare quelli predisposti dalle Autorità Francesi.
Essi sono:
• P.P.I. = Piani particolari di intervento per installazioni repertoriate, nei quali s'interviene solo in caso di allarme relativo alla struttura considerata (per esempio una diga o una centrale nucleare).
• P.S.S. = Piani di soccorso specializzati legati a un rischio ben definito, indipendentemente
dal luogo dove si verifica (per esempio caduta di aeromobili, incidenti chimici, valanghe).
• Piano Rosso = Piano da attuare in caso di un gran numero di vittime in zona urbana.
• Piano Bianco = Piano intraospedaliero per arrivo di numerose vittime.
• Piani di Soccorso globali, definiti dai francesi Or.Sec. (Or.= organisation Sec.= Secours) riferiti all’organizzazione generale dei soccorsi in caso di catastrofe, sia a livello provinciale sia regionale e nazionale; rappresentano in sintesi un elenco di risorse da gestire in caso di crisi.
Citiamo, per correttezza, anche esempi di Piani redatti in Italia, come le Linee Guida del Settore Protezione Civile della Regione Piemonte rivolte ai Comuni per redigere i Piani Comunali di P.C.
Ogni Piano deve prevedere i vari ambiti organizzativi che consentono di controllare le fasi del soccorso:
• collegamenti e trasmissioni,
• ordine pubblico,
• trasporti e lavori,
• soccorso e salvataggio,
• soccorso medico.
Il controllo di questi settori operativi consente di prevedere tutte le problematiche che si verificano
nelle fasi concitate dei soccorsi.
L’attuazione di queste indicazioni va adattata, ovviamente, al tipo di evento in atto ed al sistema
dei soccorsi presente sul territorio considerato.
Per facilitare il compito del programmatore, proponiamo una lista di situazioni da tenere in considerazione per giungere alla formulazione di Piani di Intervento da attuare in caso di catastrofe,
suddivise in ambiti operativi differenti.
•
Centrale Operativa 118:
1. identificazione degli spazi interni e del personale da attivare in caso di catastrofe;
2. predisposizione delle Procedure Operative con particolare riferimento all’interfacciamento con le altre Centrali dell’Emergenza (V.V.F. – Carabinieri – Polizia di Stato);
3. predisposizione dei collegamenti radio e telefonici con la catena dei soccorsi sul campo;
4. Iidentificazione delle procedure per garantire un turnover di uomini, mezzi e materiali sul
luogo dell’evento;
5. predisposizione delle procedure per interfacciamento con gli Ospedali di riferimento.
•
Mezzi in campo:
1. elenco ragionato dei mezzi da impiegare, in relazione al tipo di evento e alla sua localizzazione;
2. definizione dei compiti degli equipaggi di soccorso intervenuti, con particolare riferimento
alle priorità in ambito sanitario e all’integrazione con la componente tecnica;
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3. predisposizione di elenchi di materiale utilizzabile in caso di prolungamento della fase dei
soccorsi (a questo fine va ricordata l’opportunità di disporre di un’Unità Mobile di Soccorso Sanitario autonoma, come quella descritta nel capitolo 4);
4. predisposizione di procedure atte a garantire il continuo funzionamento dei presidi, con riferimento alla ricarica delle batterie, alla fornitura di luce ed energia elettrica e all’approvvigionamento di sufficienti quantità di ossigeno e di acqua per usi personali e sanitari.
Emergo Train System - scenario
• Sito della catastrofe:
1. predisposizione delle procedure di ricognizione, settorializzazione, integrazione e recupero vittime;
2. predisposizione dei criteri per l’installazione del P.M.A.;
3. predisposizione delle procedure per eventuale interfacciamento con strutture complesse (C.M.E.);
4. definizione dei compiti del personale di soccorso (recupero vittime, P.M.A., evacuazione);
5. identificazione del checkpoint o punto di concentrazione dei mezzi di soccorso;
6. identificazione dei punti di imbarco delle vittime (terrestre, aereo ed eventualmente ferroviario);
7. identificazione dei circuiti di evacuazione.
• Coordinamento Operazioni:
1. verifica circuiti di comunicazione tra sito, P.M.A. e Centrale Operativa;
2. predisposizione delle procedure per l’utilizzo ragionato degli uomini e dei mezzi intervenuti;
3. predisposizione delle procedure per richiesta rinforzi;
4. predisposizione delle procedure per bilancio della situazione e dei rapporti all’Autorità.
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• Ospedali:
1. predisposizione delle procedure per censimento dei posti letto attivabili in emergenza;
2. predisposizione delle procedure per attivazione dei Piani per Massiccio Afflusso di feriti
(PEIMAF);
3. predisposizione delle procedure per eventuale attivazione di un team di soccorso da inviare sul sito;
4. predisposizione delle procedure per eventuale azione vicariante tra i vari ospedali coinvolti.
0
Quest'elenco, non certo esaustivo, permette di ricordare i punti salienti della programmazione in
caso di evento straordinario e indica le predisposizioni logistico - operative più comuni che devono essere attuate per rispondere correttamente alle numerose ed importanti problematiche originate dall’evento, non affrontabile con procedure ordinarie.
Emergo Train System - situazione ospedali
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Materiali e Farmaci
Nella pianificazione della maxiemergenza rientra anche l’indicazione dei materiali e dei farmaci
da utilizzare nella catena dei soccorsi, dalla squadra che effettua il primo triage fino all’ambulanza che esegue il trasporto verso gli ospedali competenti.
Squadra di Triage (S.T.)
La prima squadra che interviene sul teatro del disastro è quella che ha la funzione di effettuare la ricognizione, di fornire la prima stima dell’evento alla Centrale Operativa e di eseguire il triage delle vittime.
Deve disporre di mezzi di comunicazione con la C.O., e quindi:
• radio veicolare,
• radio portatile (per spostarsi lungo il teatro dell’evento),
• telefono cellulare.
I due concetti fondamentali sono la trasmissione diretta e la trasmissione duplex (o full duplex).
Nel primo caso la fonte trasmittente e la fonte ricevente parlano sulla medesima frequenza, e sono sufficientemente vicine da permettere alle onde elettromagnetiche degli apparecchi riceventi/trasmittenti di captarsi vicendevolmente. Nel secondo caso la trasmissione può avvenire su frequenze
di ricezione/trasmissione diverse e anche a distanze rilevanti, poiché la comunicazione raggiunge il cosiddetto “ponte radio” che ha il compito di ricevere, amplificare il segnale e ritrasmetterlo,
se previsto, addirittura su un’altra frequenza.
È possibile però che tali apparati non funzionino per:
• assenza di segnale da parte dell’apparecchio, poiché non raggiungibile dai ponti radio della zona o per la presenza di barriere in grado di assorbire o riflettere le onde elettromagnetiche necessarie al suo funzionamento (gallerie, edifici in cemento armato),
• impossibilità da parte del ponte radio di ricevere il segnale dell’apparecchio, perché distrutto
dall'evento,
• inquinamento ambientale da onde elettromagnetiche come nel caso d’incidenti di tipo nucleare (perdita di radioattività da una centrale nucleare),
• guasti tecnici dell’apparecchio trasmittente o scarsa manutenzione dello stesso (batterie scariche).
Essendo le prime comunicazioni fondamentali per un adeguato coordinamento da parte della
C.O., è necessario che queste siano eseguite con diligenza e perizia, trasmettendo dati utili a:
• individuazione esatta del target;
• tipo di evento;
• stima dell’estensione dell’evento e del numero presunto di persone coinvolte;
• vie di accesso preferenziali;
• rischi identificabili.
Occorre ricordare che le comunicazioni vanno scandite correttamente, parlando in modo lento e
chiaro; passando la comunicazione all’interlocutore, va sempre utilizzato il termine “cambio”, per
riferire che il messaggio è concluso e si è pronti ad ascoltare la risposta.
La Squadra deve disporre di un protocollo standardizzato di triage. Il più usato e forse il più semplice da utilizzare sul campo è senza dubbio il protocollo S.T.A.R.T. (vedi capitolo 5). Questo metodo consente di stabilire molto velocemente la priorità dei feriti adottando semplici valutazioni,
praticabili sul campo anche da soccorritori non professionisti.
La S.T. deve avere a disposizione i presidi necessari per eseguire il triage delle vittime:
• le schede di triage, costituite da supporto impermeabile, munito di elastico per assicurarle ai
pazienti e scrivibili con inchiostri indelebili
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ti mezzi di identificazione della classe di gravità. Il metodo migliore per la classificazione delle vittime è quello del posizionamento di un nastro o un elastico colorato di medie dimensioni
(tipo quelli di spugna utilizzati come fermacapelli). Tale dispositivo, fissato al polso della vittima ne permette la rapida identificazione e il trattamento (a breve termine o differito).
La Squadra di Triage deve essere anche dotata di un minimo di presidi per il trattamento delle lesioni potenzialmente letali riscontrate in sede di triage e che si possono correggere con manovre
semplici, e cioè:
• presidi per il mantenimento della pervietà delle vie aeree (cannule oro-faringee),
• presidi per il controllo delle emorragie massive (lacci emostatici, torniquet);
• coperte isolanti per la protezione termica.
Tutto questo materiale dovrebbe essere conservato all’interno degli automezzi di soccorso in uno
o due appositi zaini di piccole dimensioni, destinati alla classificazione di un minimo di cinquanta vittime.
Altro materiale che potrebbe essere utile in sede di triage sono alcune bandierine a forma triangolare rappresentanti una “T” rossa su sfondo arancione montate su aste di circa due metri di altezza, da conficcare nel terreno nel punto in cui una squadra sta effettuando il triage, in modo che
sia evidente a tutti dove le Squadre di Triage stanno lavorando.
Squadre A.L.S. (Advanced Life Support)
Le squadre A.L.S., che arrivano sul posto in un momento successivo, hanno il compito di affiancare le squadre di recupero della piccola noria, nel salvataggio, trattamento e trasporto di quei feriti che, per la loro disincarcerazione o recupero richiedono manovre lunghe e complesse.
Si pensi alla persona incarcerata all’interno delle lamiere in caso di incidente ferroviario, oppure
alle vittime sepolte sotto un edificio crollato in caso di terremoto. I feriti non potranno essere immediatamente recuperati. Le operazioni per il loro recupero potranno durare diverso tempo oppure richiedere mezzi tecnici complessi (unità cinofile, camere termiche, amplificatori di suoni).
Le squadre A.L.S. devono essere equamente ripartite all’interno dei cantieri in cui sarà suddivisa
l’area dei soccorsi.
Queste squadre dovranno essere in comunicazione diretta con il Direttore dei Soccorsi, e sono composte essenzialmente da operatori professionisti: un medico, esperto in Medicina delle Catastrofi, ed
un infermiere professionale proveniente dall’area critica ed anch’esso adeguatamente formato.
Medicalizzazione avanzata - Team A.L.S
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Presidi sanitari della squadra A.L.S. (indicativi):
• due zaini di soccorso medi forniti di sacche interne asportabili, di scomparti e di fasce esterne
per il fissaggio di materiale esternamente
• set di collari cervicali
•
KED fissato esternamente ad uno zaino
• bombola di O2 portatile con riduttore di
pressione ed erogatore regolabile
•
sfigmomanometro e fonendoscopio
• spremisacca
•
pallone di AMBU con maschere
• reservoir adulti per AMBU
•
mandrino apribocca
• pinza di Magill adulti e pediatrica
•
cannule di Guedel (adulti e pediatriche)
• set tubi endotracheali (pediatrici e adulti)
•
mini-track (set per tracheotomia)
• laringoscopio a tre lame
•
mandrino medio
• tubi corrugati e filtri
•
saturimetro a batteria
• coperte isotermiche
•
guanti monouso
• occhiali di protezione
•
lacci emostatici arteriosi
• set clampaggio vasi – emostasi
•
bisturi monouso
• garze ripiegate non sterili
•
cerotto a nastro da 2,5 e 5 cm
• benda autoadesiva da 10 cm
•
disinfettante su base acquosa
• s.n.g. e sacchetti raccolta secreti
•
ideflussori, lacci emostatici, aghi cannula
• siringhe da 2,5-5 e 10 cc
•
sondini da aspirazione
• Farmaci standard per il supporto circolatorio e respiratorio e analgesici
• Infusioni in sacche di plastica
Materiali vari:
• aspiratore per secreti portatile (manuale o elettrico)
• forbici taglia abiti
• due torce portatili con supporto e fonte illuminante orientabile
• segnalatori a lungo raggio, fumogeni e luminosi
• radio portatili (almeno una per squadra)
• caschi di protezione individuale (con fonte di illuminazione)
Il capo di vestiario principale dovrebbe essere una tuta multitasche, con zip centrale e spalline rinforzate (per un eventuale recupero d’emergenza dell’operatore in caso di pericolo). La tuta è indicata per motivi di sicurezza, perché non avendo cinture e passanti si riduce il rischio che il capo
di vestiario indossato rimanga impigliato durante le operazioni di soccorso. La tuta permette inoltre di indossare al di sotto capi di vestiario diverso pur mantenendo l’omogeneità
della divisa. Non è raro, infatti, che a
scopo di protezione termica si indossino
sulla divisa maglioni o altri accessori che
possono rendere meno riconoscibile l’operatore.
La protezione dell’operatore deve comprendere un elmetto dotato di fonte di illuminazione accessoria e un’imbracatura
per discesa in corda, o verricellamento
da un mezzo ad ala rotante. Per finire,
l’abbigliamento deve prevedere calzature antinfortunistiche tipo stivaletto “anfibio” con suola in Vibram, adatte per afTeam A.L.S. - Materiale
frontare qualunque tipo di terreno.
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Squadre di trasporto
Un’altra fase della zona dei soccorsi è la noria di recupero, ossia il circuito che attua il trasporto
delle vittime, sottoposte a triage, dalla zona dei soccorsi fino al P.M.A.
Le squadre di trasporto possono essere composte da personale non sanitario, tranne per quelle situazioni in cui la vittima, sottoposta a trattamento A.L.S., necessiti di supporto avanzato.
Il materiale necessario a questo tipo di squadre comprende principalmente barelle. Dato che il trasporto avviene spesso su terreno impervio o accidentato, è necessario che le barelle siano trasportate a mano verso il P.M.A.
Le barelle utilizzate in questo tipo di situazioni sono quelle definite “impilabili da catastrofe”, fatte
in modo da poter essere sovrapposte le une alle altre per occupare il minore spazio possibile. Altro tipo di barelle utilizzabili possono essere i cosiddetti “barellini” montati sui carrelli autoscaricanti delle ambulanze, che però hanno lo svantaggio di essere relativamente pesanti rispetto alle
altre, dato che il piano d’appoggio non è in materiale plastico ma in metallo o in lega. Infine, in
caso di trauma è indicato l’uso di assi spinali o barelle atraumatiche.
In relazione al fatto che le barelle sono trasportate a mano, si possono prevedere tre opzioni per
rendere meno faticoso il lavoro di queste squadre:
• trasporto a quattro soccorritori (uno per ogni angolo/maniglia della barella);
• trasporto con spallacci, che permette un trasporto a due soccorritori
• trasporto con mezzi speciali (solitamente veicoli 4x4) ad alta capienza (4-6 barellati).
Le squadre di trasporto hanno un alto dispendio energetico, dato che il loro lavoro è prettamente
di tipo fisico, per cui bisogna prevedere una certa rotazione di personale in turno di riposo per evitare che nei primi momenti ci sia il massimo delle performances a scapito delle fasi successive, in
cui è ancora importante la rapidità.
Posto Medico Avanzato (P.M.A.)
Il P.M.A. è il luogo dove si inizia il supporto sanitario vero e proprio. Qui il paziente prelevato dalla scena del disastro riceve il primo trattamento avanzato (se si escludono le vittime assistite dalle
squadre ALS), con l’obiettivo di ottenere la stabilizzazione delle funzioni vitali e permetterne il trasporto verso i nosocomi delle retrovie nelle migliori condizioni possibili.
Il P.M.A. può essere installato in strutture esistenti nei pressi della scena del disastro. Nel caso degli
attentati alla metropolitana di Parigi i P.M.A. sono stati allestiti all’interno di locali pubblici, come caffetterie o negozi.
P.M.A. – Settore Protezione Civile della Regione Piemonte
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Il problema sorge quando l’evento è così devastante da impedire l’utilizzo di edifici in muratura, oppure avviene in luoghi impervi fuori dal contesto urbano, dove non siano presenti edifici utilizzabili.
In questo caso può essere necessario disporre di materiale “campale” come l’Unità Mobile di Soccorso Sanitario (U.M.S.S.); in altre parole una struttura sanitaria mobile in grado di essere montata in
tempi brevi, che consenta il triage e la stabilizzazione delle vittime. La struttura fornisce un importante supporto logistico alle equipes sanitarie, in modo da rendere la loro azione più incisiva, completa,
e le cure più sofisticate grazie alle attrezzature in dotazione, garantendo così un migliore intervento
sanitario.
L'Unità Mobile di Soccorso Sanitario acquisita nel 1993 dalla Regione Piemonte, è composta da tre
tende pneumatiche gonfiabili unite tra loro, ognuna delle quali corrisponde ad un modulo funzionale:
1. modulo di Triage,
2. modulo di Stabilizzazione,
3. modulo di Evacuazione
In caso di incidente minore o limitato si può utilizzare una sola tenda che unisce le funzioni dei
tre moduli.
Ogni tenda è dotata di impianto di illuminazione autonomo ed è isolata dal suolo e dall’ambiente
esterno per mezzo di un’intercapedine. Per l’alimentazione elettrica, la struttura dispone di un gruppo
elettrogeno che la rende autosufficiente (illuminazione, ricarica batterie delle attrezzature elettromedicali, riscaldamento). All’interno delle tende trovano posto i supporti pieghevoli su cui sono poste le
barelle impilabili per catastrofe. I supporti pieghevoli, se capovolti, possono essere utilizzati anche come tavoli da lavoro o come superfici di appoggio. Sono presenti lampade scialitiche e il materiale sanitario (farmaci, infusioni) è sistemato in contenitori della capacità di circa settanta litri, impermeabili
e sigillati.
La struttura dispone, in particolare, di materiale per il recupero ed il trasporto di pazienti traumatizzati, e cioè:
• barelle atraumatiche “a cucchiaio”;
• materassi a depressione autoindurenti indicati per i traumi del rachide;
• collari cervicali, steccobende a depressione per traumi degli arti;
• presidi per il trattamento dei grandi ustionati.
Per consentire il supporto vitale avanzato ed il trattamento rianimatorio, la struttura campale dispone di:
• monitor defibrillatore portatile;
• palloni autoespandibili per la ventilazione manuale (“palloni AMBU”);
• 2 ventilatori meccanici portatili;
• 2 aspiratori endocavitari chirurgici portatili;
• 2 pulsossimetri.
Completano la dotazione sanitaria bombole di ossigeno da dieci litri con riduttore di pressione;
flussometro e rampa con quattro erogatori che, utilizzando una sola bombola, permette di porre
sotto ossigenoterapia fino a quattro pazienti contemporaneamente; è allo studio l’acquisto di unità portatili di ossigeno liquido.
Al fine di individuare le aree di lavoro e di soccorso, la struttura campale dispone di un kit di cartelli di segnaletica con scritte rifrangenti.
AI materiale citato vanno aggiunti farmaci e presidi sanitari, necessari al trattamento dei feriti, di
cui si riporta un elenco indicativo, utile per la gestione di circa 100 pazienti.
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Materiale per supporto cardiocircolatorio:
•
20 lacci emostatici a fascia
• 20 cerotti di fissaggio da 2,5 cm
•
20 lacci emostatici arteriosi per braccio e gamba • 200 pacchi di garze sterili (monoconfezione)
•
2 confezioni di disinfettante in salviette
• 10 rotoli di Peha-Haft da 6 cm per fissaggio
•
100 doppie vie di infusione
• 5 pacchi di garze non sterili ripiegate da 100
•
50 flaconi di soluzione colloide da 500 ml
• 500 siringhe da 20 ml - 10 -5 - 2,5 ml
•
200 sacche di soluzione di Ringer lattato 500 ml
• 5 spremisacca per infusione rapida
•
•
50 sacche di soluzione fisiologica 1000 ml
• 50 siringhe da insulina 100 UI/ml
50 sacche di sol. glucosata al 5% da 500 ml • 25 cateteri vescicali per misura 16 e 18 G
•
300 aghi cannula (varie misure)
• 100 lubrificanti monodose
•
20 travasatori
• 100 soluzioni fisiologiche da 10 ml
•
300 deflussori per infusioni)
• 50 telini sterili 45x75 cm
•
50 telini sterili 45x75 cm
• 300 guanti sterili (tutte le misure)
•
20 fili da sutura 3/0 montati – set di sutura
• 20 set per la puntura sovrapubica
(tipo Cistofix)
Farmaci
Materiale per supporto respiratorio:
•
100 tubi endotracheali (adulti e pediatrici)
• 15 mandrini per intubazione
•
20 tubi da 100 gr di gel lubrificante
• 100 cannule Guedel mis. 0 - 00 - 1 - 2 - 3 - 4 - 5
•
20 cerotti di fissaggio da 2,5 cm
• 50 filtri antibatterici umidificanti per circuiti
resp.
•
50 cateteri Mounth per raccordo al pallone
autoespandibile
• 20 raccordi O2,
•
200 sondini di aspirazione - mis 10 -12 -16 -18 G • 200 sondini aspirazione mis. 9 e 11 G mandrinati
•
50 siringhe da 60 cc per aspirazione cono grande • 25 cannule di Trocar assortite
•
25 dispositivi monouso per drenaggio toracico
• 50 sacchetti raccolta secreti
Materiale per il management chirurgico e per medicazione:
•
10 set per la piccola chirurgia
• 5 set per la venolisi
•
20 set per emostasi profonda - monconi amputati • 50 fili di sutura montati e assortiti
•
25 fili da sutura 3/0 montati - 3 set sutura
•
100 pacchi di garze sterili da 10 garze ripiegate • 10 pacchi di garze non sterili da 100 pezzi
10x10 cm
ripiegate 10x10 cm
• 20 bobine di Catgut riassorbibile
•
30 rotoli di Peha-Haft - mis. 6 - 8 - 10 e 12 cm
• 2 rotoli di cerotto di fissaggio – mis. 10 e 15 cm
•
50 telini sterili da 45x75 cm
• 5 forbici a testa smussa
•
20 bisturi assortiti per le misure 15 e 22
• 25 tubetti di collante per la sutura chimica
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•
100 confezioni di strip sterili per sutura
• 10 flaconi di H2O2 da 500 cc a 12 volumi
•
10 flaconi da 1000 ml di disinfettante non alcolico• 110 contenitori per smaltimento rifiuti ospedalieri
•
10 contenitori - smaltimento di taglienti/pungenti
• 10 flaconi di Xylocaina 2%,
•
200 aghi monouso 19 G - 21 G
• 100 confezioni di ghiaccio istantaneo monouso
•
3 contenitori per arti amputati
• 100 fiale per la profilassi antitetanica
Materiale vario:
• dispositivi di protezione individuale: occhiali, mascherine, calzari, camici monouso.
• scatole di guanti monouso misura S - M - L.
• 100 batterie alcaline Torcia, mezza Torcia, stilo
• bottiglie d’acqua naturale
Per la razionalizzazione delle risorse deve essere previsto un magazziniere che distribuisca (con
parsimonia) e prenda nota del materiale che viene utilizzato, in modo da disporne l’immediato
reintegro durante le fasi del soccorso. Per fare ciò deve disporre, oltre che di un luogo per la distribuzione del suddetto materiale, anche di un automezzo con il relativo autista, che si incarichi del
rifornimento presso le farmacie dei nosocomi o le Centrali Operative Regionali e Provinciali.
Il magazziniere deve poter collegarsi con queste strutture in modo da poter ordinare il materiale,
e deve essere disponibile un mezzo capiente e dotato dei segnalatori supplementari acustici e luminosi (lampeggiatori e sirena).
Il responsabile della farmacia/magazzino ha inoltre il compito di preparare gli zaini per le squadre A.L.S., qualora queste vengano attivate.
Mezzi di trasporto
Mezzi terrestri
Gli automezzi terrestri che si occupano del trasporto protetto delle vittime verso le strutture nosocomiali, possono essere suddivisi in tre categorie:
1. automezzi per il trasporto promiscuo (feriti codice verde),
2. ambulanze di soccorso di base (trasporto dei codici verdi e gialli stabilizzati),
3. ambulanze di soccorso avanzato (trasporto dei codici gialli a rischio e codici rossi).
Nella prima categoria rientrano tutti quegli automezzi che per capienza del vano trasporto, possono ospitare un numero di persone superiore alle otto unità compreso l’accompagnatore. Possiamo annoverare tutti i veicoli per il trasporto superiori ai 35 quintali, come i Ducato panorama normali o a passo lungo, i Cacciamali, gli autobus, o veicoli simili, prevedendo un accompagnatore
(sanitario) ogni 10 persone.
In questi automezzi deve essere presente l’attrezzatura di base per il supporto delle funzioni vitali.
Nella seconda categoria annoveriamo le ambulanze di soccorso di base, con la loro dotazione
prevista per legge dal Ministero dei Trasporti e dalle varie Leggi e Circolari Regionali istituenti i
Servizi di emergenza Territoriale 118. Vi possono essere trasportati quei pazienti in condizioni cliniche tali da non destare pericolo immediato, con funzioni vitali stabilizzate, ma che devono viaggiare in posizione sdraiata. Il personale previsto deve essere di due unità, una alla guida ed un’altra addetta all’assistenza. In casi particolari potranno essere trasportati due pazienti sdraiati sui veicoli che permettono tale opzione e solo dopo attenta valutazione da parte del Responsabile dei
Trasporti in base alla scheda di Triage. Il materiale presente è quello per il supporto delle funzioni
vitali di base, per il ripristino delle vie aeree (aspiratore endocavitario completo di raccordi e sondini di aspirazione) e l’immobilizzazione.
Nella terza categoria vengono compresi tutti i mezzi di soccorso avanzato. Questi mezzi saranno
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destinati al trasporto delle vittime in condizioni cliniche critiche. Il personale destinato all’accompagnamento deve essere sanitario (a parte l’autista), e possibilmente composto da medico ed infermiere. All’interno di questo mezzo devono trovare posto il materiale ed i farmaci destinati al supporto avanzato delle funzioni vitali. Tali mezzi devono essere utilizzati con parsimonia da parte del
Responsabile dei Trasporti, poiché distolgono il personale sanitario coinvolto dalle attività dirette
di soccorso alle vittime, per tempi che spesso possono essere piuttosto lunghi.
Tutti i mezzi terrestri che rientrano vuoti verso il luogo dell’evento, possono essere utilizzati per il
trasporto di materiali o di personale di rincalzo per il campo o il P.M.A.
Un capitolo a parte richiederebbero i mezzi speciali. Questi possono essere principalmente di tipo anfibio o a trazione integrale per il superamento di dislivelli o di terreni particolarmente accidentati, e generalmente non vengono utilizzati per i trasporti secondari verso i nosocomi ma semplicemente per il recupero delle vittime ed il disimpegno delle squadre di trasporto.
Ambulanza di Rianimazione – Ospedale Martini di Torino
Mezzi aerei
Il mezzo più utilizzato è senza dubbio l’elicottero, sia in configurazione "E.M.S." sia "utility", come quelli in dotazione ai VV.F, Polizia, Carabinieri e Forze Armate.
Nel caso di mezzi E.M.S. saranno disponibili i presidi sanitari necessari.
Se invece si deve trasformare l’elicottero in mezzo sanitario è necessario:
• lcaricare il paziente su un materasso a depressione, per evitare problemi di trasporto
• disporre di:
o una pompa per materasso a depressione,
o uno zaino con materiale A.L.S.,
o un aspiratore portatile ed un monitor – defibrillatore.
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Autoprotezione e rischio evolutivo
Il rischio evolutivo consiste nella possibilità che un evento dannoso possa proseguire nella sua
azione lesiva o innescare altri pericoli, provocando lesioni o morte agli individui che ne subiscono l’effetto. La conoscenza del concetto di rischio evolutivo deve essere patrimonio comune
di tutti coloro che svolgono azioni di soccorso sul territorio o prestano servizio in ambienti lavorativi esposti a tale situazione. La responsabilità principale dell’ operatore deve essere l’incolumità personale, dei propri colleghi, delle persone casualmente sulla scena e del soggetto soccorso.
Sviluppo del rischio evolutivo
I fattori di rischio cui può essere sottoposto l’operatore durante l’azione di soccorso sono legati a:
1. ambiente:
• condizioni ambientali disagiate o modalità d'intervento difficili o critiche:
traffico, folla, scarsa visibilità, condizioni climatiche avverse, conformazioni idrogeologiche particolari;
• evento in atto: fuoco, gas nocivi, sostanze chimiche, elettricità, radiazioni;
• eventi potenziali: instabilità del luogo in cui si trova l’infortunato, pericoli di crollo,
esplosioni;
2. procedure operative:
• mezzi di soccorso: criteri d'impiego legati al codice di criticità, sicurezza a terra ed
in volo, sicurezza durante l’atterraggio;
3. paziente:
• condizioni fisiche: malattie trasmissibili,
• condizioni psichiche: aggressione fisica;
4. errore umano:
• imprudenza,
• imperizia,
• negligenza.
In alcuni casi, il concretizzarsi del rischio evolutivo è dovuto ad eventi poco prevedibili e difficilmente controllabili. Altre volte, purtroppo, alla base di questi drammatici episodi c’è la scarsa formazione degli operatori o un loro comportamento inadeguato.
Rischio evolutivo ed errore umano
Nella realtà del soccorso l’operatore può incorrere per proprio errore nelle conseguenze del rischio evolutivo, essenzialmente per tre ragioni:
1. non conoscenza del rischio e delle conseguenze cui può portare la sua azione di soccorso
(imperizia),
2. superficialità con cui svolge l’azione di soccorso (negligenza),
3. sopravvalutazione delle proprie capacità durante lo svolgimento dell’azione di soccorso (imprudenza).
Talvolta chi forma i soccorritori per lo svolgimento dell’attività dell’emergenza territoriale dedica
poco tempo all’analisi del rischio collegato alle attività di soccorso. In altri casi, seppur trattando
tale argomento, non ci si affida ad istruttori specializzati (esempio: Vigili del Fuoco), limitandosi
ad una analisi superficiale, con il rischio di lasciare pericolose lacune nel personale operativo.
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Un esempio di imperizia è dato da colui che corre all’interno di un edificio parzialmente crollato per prestare soccorso alle vittime, senza tener conto che le rimanenti strutture possono aver
subito danni, e quindi crollare a loro volta: costui corre il rischio di rimanere ferito e quindi richiedere un’ulteriore equipe per soccorrerlo.
Colui che svolge la propria azione con superficialità è tanto più colpevole quanto più è cosciente
di ciò che sta facendo: molte volte coloro che adottano tale atteggiamento conoscono il potenziale pericolo connesso con alcune situazioni, ma non adottano tutte precauzioni previste nel caso specifico. Spesso le conseguenze della negligenza si abbattono anche su altre persone che
condividono con l’operatore il rischio.
Solitamente, invece, chi sopravvaluta le proprie capacità tende a correre il rischio “da solo”: è
il superman della situazione. Chi compie l’azione imprudente è solo parzialmente consapevole
delle possibili conseguenze: egli ritiene a torto le sue capacità sufficienti ad affrontare il rischio,
la cui reale consistenza è purtroppo spesso sottostimata.
Questi sono in sintesi gli errori che portano ad esporre l’operatore ad un rischio evolutivo nella
zona in cui vengono condotti i soccorsi in caso di disastro. Essi possono essere significativamente ridotti con una appropriata formazione di base del soccorritore ed un aggiornamento
continuo, corredato da periodici momenti di verifica. E’ molto importante inoltre che il sistema
dei soccorsi incentivi e gratifichi gli operatori che si comportano in modo professionale, non
esponendo loro stessi e gli altri a rischi ingiustificati, e condanni invece gli atti “eroici” ma forieri spesso di conseguenze nefaste.
Autoprotezione e sicurezza sulla scena
Per autoprotezione si intende l’insieme delle procedure che devono essere adottate sulla scena
dell’evento per ridurre il rischio evolutivo e proteggere l’operatore dalle conseguenze del rischio
stesso.
I mezzi di protezione fisica dei soccorritori sulla scena dell’evento (fase extraospedaliera) hanno la funzione di proteggere le parti del corpo più vulnerabili od esposte e di consentire nello
stesso tempo il movimento in tutte le fasi dell’intervento, senza procurare alcun impaccio. A tale scopo l’attrezzatura elencata di seguito dovrebbe essere disponibile per tutti gli operatori:
• elmetto rigido, con strisce catarifrangenti per la protezione del capo,
• visiera, scudo facciale od occhiali di plastica per la protezione degli occhi da corpi estranei o liquidi, biologici e non, contaminati o nocivi,
• mascherine chirurgiche in TNT,
• divisa che comprenda una giacca a vento impermeabile con bande catarifrangenti,
• guanti in lattice o PVC per la prevenzione del contatto accidentale con contaminanti,
• eventuali guanti da lavoro in cuoio o altro materiale per eseguire manovre che richiedono uso
della forza fisica,
• scarponcini con suola isolante ed antiscivolo dotati di protezione delle caviglie e del puntale.
Questo materiale individuale, unito alla conoscenza ed all’addestramento, abbatte in modo considerevole la possibilità di venire coinvolti da un pericolo presente sulla scena dell’evento.
Ma questo non basta, dato che l’operatore che effettua il soccorso sanitario ha delle conoscenze limitate rispetto a coloro che tutti i giorni operano il soccorso tecnico, cioè i Vigili del Fuoco:
è loro il compito di valutare il rischio evolutivo e di garantire la sicurezza sulla scena dell’evento.
A questo proposito, è bene ricordare due concetti che vanno di pari passo con il concetto di sicurezza:
1. salvataggio
2. soccorso.
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Con il primo termine, infatti, indichiamo tutte quelle tecniche e procedure atte a portare in salvo e a recuperare la vittima di un evento, trascurando le manovre sanitarie, perché la priorità è
l'allontanamento da una situazione di pericolo. Il salvataggio è di solito demandato ai Vigili del
Fuoco o a personale specializzato (Tecnici del Soccorso Alpino).
Con il termine invece di soccorso intendiamo tutte quelle manovre atte a ristabilire le funzioni vitali della vittima o ad impedire che queste si deteriorino. È anche compito del soccorritore quello di effettuare il trasporto protetto dell’infortunato presso il nosocomio competente, coordinato
dal Sistema 118, per il proseguimento delle cure del caso. A questa azione possono concorrere i Vigili del Fuoco, sotto la supervisione però della componente sanitaria.
Il comportamento del soccorritore
Al soccorritore, formato ed abilitato a operare in situazioni di emergenza, è richiesto:
• il controllo del luogo dell’intervento, al fine di proteggere se stessi e le vittime, prevenendo ulteriori incidenti ed effettuando la valutazione dei rischi come prima fase delle operazioni di
soccorso,
• il conoscere i pericoli che potrebbero derivare da uno scenario incidentale a volte anche complesso, prevenendoli se possibile, o affrontandoli nell’ambito delle proprie competenze e senza assumersi compiti non adeguati alle sue capacità
• collaborare con le altre figure professionali del soccorso, ed in assenza valutare la necessità
del loro intervento
Soccorso sanitario integrato con i Vigili del Fuoco
Oltre a questo il soccorritore professionale dovrebbe anche possedere alcune importanti caratteristiche personali che possono contribuire ad aumentare la sicurezza sulla scena, quali:
• stabilità emotiva per riuscire ad affrontare e superare tutti gli aspetti di una situazione di emergenza,
• capacità organizzativa e di collaborazione con le altre figure professionali per garantire un
buon coordinamento delle varie fasi del soccorso,
• versatilità e capacità di adattamento alle situazioni imprevedibili,
• spirito di iniziativa per eseguire le procedure necessarie, nel rispetto del ruolo rivestito, e con
autonomia decisionale.
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Catastrofe e rischio evolutivo
L’evento catastrofico è un severo banco di prova per l’operatore dei soccorsi per quanto riguarda
la gestione del rischio evolutivo. Esistono infatti molti aspetti, tipici di tale situazione, che possono
incrementare drammaticamente le possibilità che i soccorritori subiscano lesioni durante lo svolgimento del loro compito:
1) Fattori che determinano un innalzamento del rischio:
• tipologia dell’evento (esempio: sisma, possibilità che si verifichino altre scosse);
• altri rischi innescati dall’evento (esempio: rottura delle condutture del gas dopo sisma);
• presenza di caos e di scarso controllo emotivo da parte delle vittime;
• carenza di mezzi o loro malfunzionamento (esempio: a causa di un blackout);
2) Fattori che determinano una riduzione della vigilanza
• “trance del soccorritore”, che manifesta comportamenti da eroe con sprezzo del pericolo;
• “machismo”, sopravvalutazione delle proprie capacità;
• stanchezza;
• instabilità emotiva da parte del soccorritore, che si sente “inadeguato”;
• pressione psicologica da parte delle vittime e della situazione.
Il rischio evolutivo è direttamente proporzionale all’entità del pericolo e al mancato rispetto dei comportamenti adeguati sopra descritti. Una situazione abbastanza comune è il pungersi con un ago
“sporco”: nella concitazione, è molto più frequente che i taglienti contaminati non vengano riposti
nell’apposito contenitore di plastica, ma vengano dispersi nell’ambiente circostante, favorendo la
lesione accidentale.
Il responsabile di un determinato gruppo di operatori deve essere molto attento a tali comportamenti, ed intervenire prontamente quando si vengono a creare i presupposti per un innalzamento
del rischio evolutivo. Lo stesso atteggiamento dovrebbe essere tenuto dai soccorritori quando si rendono conto che un loro collega sta commettendo pericolosi errori o sviste: se il richiamo diretto ad
una maggiore prudenza non ha alcun riscontro positivo, è necessario informare il proprio coordinatore affinché prenda provvedimenti. Non si tratta di delazione, ma di un comportamento teso a
preservare l’integrità fisica propria, delle vittime e del collega imprudente.
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