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Per un movimento eucaristico - Suore Carmelitane di Santa Teresa

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Per un movimento eucaristico - Suore Carmelitane di Santa Teresa
Per un movimento eucaristico
“In verità io vi dico: tutto quello che avete
fatto ad uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avrete fatto a me.” (Mt 25,40).
Dovendo scegliere una premessa adeguata, ho
pensato che la pagina di Matteo 25 fosse la più
vera. Nella sua interezza ci ammonisce su
quello che accadrà nell’ora del Giudizio.
Ho riflettuto tante volte su questa pagina nel
silenzio
contemplativo
dell’Adorazione
Eucaristica perpetua che le Suore Carmelitane
di Firenze da 110 anni – ovvero dal momento
dentro cui la Beata Teresa Maria della Croce
ebbe questa felice intuizione – perseguono e
propongono in via Bernardo Rucellai. La chiesa
porta il titolo di Corpus Domini e, nel corso delle ore, sempre sempre sempre non manca chi
prega, contempla, sospira, piange, dialoga con l’Eucaristia: in silenzio, perché l’adorazione possa
farsi unione più vicina, anche se sempre imperfetta.
Il Corpo e il Sangue di Cristo. Quante volte ho riflettuto su questo cibo mistico! E, ad opponendum,
ho riflettuto sulla fame dello spirito. E non solo.
Ho ripercorso con la mente i Vangeli e ho trovato presente l’atto del mangiare e del bere. Giovanni
prende il via da Cana. Da un pranzo di nozze ove improvvisamente viene a mancare il vino. E cos’è
un convito nuziale senza vino? La povertà di un elemento “frutto della fatica dell’uomo” che porta
il profumo delle gioie e della vita, della gioia di vivere. Poi è il momento dell’evidenza del
mangiare: quei pani che miracolosamente si moltiplicano.
Quindi insieme pane e vino sono l’Ultima cena del Signore. Ma diventano pure le memoria d’un
mangiare e d’un bere che eternamente si perpetua. Il Corpo e il Sangue che Egli ci lascia per
l’eterno susseguirsi dei secoli. Per tutti gli uomini, fin nell’angolo più sperduto della terra.
Quando contemplo l’Eucaristia mi viene sempre da pensare alla fame. Aver fame Lui. Certo.
Come lo struggimento che i mistici hanno sentito fin nella profondità del loro spirito. Aver sete di
Lui. Come l’invito alla samaritana nell’ora sesta.
Ma c’è anche la fame, quella vera, che ci morde dentro e ci dà le vertigini, che ci annienta e ci
umilia, che sconvolge popoli e nazioni, che spinge al delitto, all’odio, alla guerra. Popoli, come
branchi di lupi, che migrano da un continente all’altro. E’ la fame che manda urla possenti di
dolore e che noi facciamo fatica a udire tanto inquinato è il nostro orecchio dai rumori della vita
d’oggi.
La fame dei poveri del mondo non è però sconosciuta alla Chiesa dell’Eucaristia. E’ la pagina di
Matteo 25 che mette in moto la catena della carità, essenzialmente come amore, e non come
elemosina una tantum. La carità che in mille rivoli silenziosi e discreti arriva misteriosamente a
sfamare e dissetare.
Ma oggi ci sono altri poveri che hanno fame. Sant’Antonio Pierozzi, arcivescovo di Firenze, li
chiamava i “poveri vergognosi” (e per loro inventò l’Oratorio di San Martino, ovvero l’Oratorio dei
“buon omini”).
Sono quei poveri che non andranno mai ad una mensa, né mai li trovereste ad un angolo di strada
a stendere la mano. Sono uomini, donne, famiglie intere, anziani, che la modernità ha ridotto ad
un numero di pin da bancomat. O una fogliolina che il vento di questo momento di crisi ha
staccato dal ramo per lasciarlo volteggiare nella polvere delle strade e dell’indifferenza.
Questi nuovi poveri appartengono alla società opulenta e sembra che per loro non possa esserci
segno di speranza.
Sono poveri invisibili, che ci passano accanto. Ti mandano anche un sorriso e vanno oltre. Ma
a guardar bene quei loro occhi ci leggi la sofferenza, il dolore, la disperazione, il silenzio. La fame.
Quanti amici avevo in Grecia, non so più cosa fanno, dove sono, non li sento più. Hanno vergogna
e sono scomparsi? Ci sentivamo cugini: loro, ortodossi ed io, cattolico. Ovvero figli dei due fratelli
pescatori Pietro e Andrea. Perché la rete si è squarciata? Ci ripetevamo sempre… Ora non so più
nulla di loro!
In momenti di disperazione ho guardato al pane e al vino e ho rivisto tutta la sofferenza, il dolore,
il silenzio. Tutta la fame di chi ha vergogna di fartelo sapere. Perché non ha mai saputo urlare e
perché le lacrime le ha sempre trattenute sul ciglio della palpebra. Forse è tempo di ripartire dal
pane e dal vino. Da sempre essenzialità della vita dell’anima. Divenuta oggi essenzialità della vita e
del corpo. Se la vita deve essere salvaguardata, protetta, aiutata, allora bisogna cominciare
proprio dal pane e dal vino. Sarebbe utopia immaginare uno stato che consentisse una
defiscalizzazione di tutte le spese per il nostro nutrimento essenziale, del pane e del vino?
Sarebbe impossibile immaginare un luogo di ristorazione – al pane e al vino dedicati e intitolati –
ove all’affamato che si vergogna si offra al mezzodì un desinare al costo di 0 euro? E alla sera
vedere il medesimo luogo mutarsi per incanto in sala a lume di candela per l’intrattenimento di
una clientela opulenta?
E perché non pensare al pane e al vino come occasione di lavoro (lavoro vero, non volontariato)
per tanti ragazzi e adulti – tutti professionisti di cucina e di sala – che prenderebbero nelle loro
mani la gestione completa dell’intero progetto?
Questi interrogativi possono trovare risposte nella preghiera continua e silenziosa davanti al
Santissimo Sacramento. Soltanto Lui troverà il modo di mettere nel cuore di coloro che ogni giorno
Lo adorano, il seme di un movimento eucaristico laico da far germogliare.
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