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wang impa - I Teatri

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wang impa - I Teatri
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Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2009
A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione
Coincidenze e citazioni a cura di Giulia Bassi
Fonti delle citazioni: André Gide, Note su Chopin, Passigli, 1998; Il sorriso del naufrago di Franco Pulcini in
Amadeus n.171, Rizzoli De Agostini, febbraio 2004; Domenico Scarlatti, Speciale Amadeus aprile 2007, De
Agostini Periodici; Gianfranco Vinay, Stravinskij, in Musica e Dossier n.27 marzo 1989, Giunti Firenze.
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le
immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
2
Teatro Municipale Valli
26 aprile 2009, ore 20.30
Domenico Scarlatti
Sonata in sol maggiore K 427 / L 286
Presto, quanto sia possibile
Sonata in si minore K 87 / L 33
Sonata in mi maggiore K 380 / L 23
Andante comodo
Sonata in sol maggiore K 455 / L 209
Allegro
Johannes Brahms
Variazioni su un tema di Paganini in la minore op. 35
I Quaderno
Tema: Non troppo presto
Var. I-X, Var. XI Andante, Var. XII-XIII, Var. XIV Allegro - Presto ma non troppo
II Quaderno
Tema: Non troppo presto
Var. I, Var. II Poco animato, Var. III, Var. IV Poco allegretto, Var. V, Var. VI Poco più
vivace, Var.VII, Var. VIII Allegro, Var. IX, Var. X Feroce, energico, Var. XI Vivace,
Var. XII Un poco andante, Var. XIII Un poco più andante, Var. XIV Presto, ma non troppo
Fryderyk Chopin
Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 35
Grave - Doppio movimento
Scherzo
Marche funèbre. Lento
Finale. Presto
Igor Stravinskij
Trois mouvements de Pétrouchka
Danse Russe
Chez Pétrouchka
La Semaine Grasse
Yuja Wang pianoforte
3
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Un saggio
di Roberto Favaro
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Domenico Scarlatti
Non ti aspettare, che tu sia dilettante o professore, di trovare in queste composizioni
un’intenzione profonda, ma piuttosto un’ingegnosa facezia dell’arte per esercitarti ad
un gioco ardito sul clavicembalo.
Domenico Scarlatti
Non è affatto difficile immaginare Domenico Scarlatti a passeggio sotto i colonnati
moreschi dell’Alcazar o intento a prestare orecchio, di sera, nelle strade di Siviglia ai
ritmi inebrianti delle castagnette o alle melodie semiorientali del canto andaluso e non
c’è nessun aspetto della vita, della danza e della musica popolare spagnola, che non
abbia trovato collocazione nel microcosmo che Scarlatti creò nelle sue Sonate. Egli ha
captato lo schiocco delle castagnette, lo strimpellio delle chitarre, il rumore sordo dei
tamburi smorzati, il gemito roco e amaro del lamento zingaresco, la gaiezza prorompente della banda del villaggio, e soprattutto le rigide tensioni della danza spagnola.
Ralph Kirkpatrick
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La figura e l’opera di Domenico Scarlatti appaiono, nella loro straordinaria
importanza storica, segnate da alcuni fattori determinanti. Non secondario
tra questi, l’essere Domenico figlio di Alessandro Scarlatti, una delle più
influenti figure del periodo Barocco con la definizione, tra 600 e primo 700,
dei caratteri stilistici di impronta italiana, specialmente nel campo dell’opera
di scuola napoletana, ma anche nella restante produzione vocale e non ultima
nella produzione strumentale. L’assimilazione di questa impronta, l’impronta
potremmo dire dell’italianità scarlattiana, marca il primo dato rilevante nella
personalità di Domenico Scarlatti. Il secondo fattore che preme sottolineare,
per meglio penetrare nel suo sofisticato mondo clavicembalistico, sono le
circostanze esistenziali e professionali che portano Scarlatti a trascorrere buona
parte della sua vita nella penisola iberica: prima, dal 1720, in Portogallo, a
dirigere la cappella del re Giovanni V e a provvedere alla formazione musicale
dell’infanta Maria Barbara di Braganza; successivamente, dal 1729, in Spagna,
a Siviglia prima, al seguito di Maria Barbara divenuta sposa dell’erede al trono
di Spagna, quindi dal 1733, definitivamente, a Madrid, dove rimane al
servizio della corte. L’assimilazione della cultura musicale spagnola e in special
modo dell’idioma chitarristico conosciuto nel nuovo paese d’adozione, segna
la seconda importante caratterizzazione della personalità scarlattiana, fusa
intimamente con la matrice italiana. Infine, terzo dato, la predominanza
della musica clavicembalistica nell’arco e nella somma complessivi della sua
produzione (estesa per altro ad ulteriori, ma minoritari, generi strumentali e
vocali). L’approfondita relazione del musicista con un così specifico e insistito
terreno compositivo (sono pervenute a noi 555 sonate per clavicembalo),
congiuntamente alla fusione dei due caratteri linguistici nazionali che ho
menzionato, disegnano una personalità unica e di grande influsso, dicevo,
nella storia della musica. Il lungo impegno su questo strumento e gli esiti
straordinari di questa sua creazione influenzeranno il futuro, moderno
linguaggio tastieristico.
Le sonate che vengono qui proposte (la cui datazione precisa resta di
difficile decifrazione) mostrano nel loro insieme un completo ventaglio dei
personalissimi caratteri stilistici scarlattiani. Come, per esempio, la concisione
e insieme inesauribilità delle invenzioni melodiche e ritmiche. O le soluzioni
tecniche esecutive, spinte in molti casi verso una gestualità molto impegnativa
dell’interprete (incrocio delle mani, salti di ottava, note rapidamente ribattute
utilizzando dita diverse, accordi scanditi, accordi arpeggiati, sovrapposizioni
ritmiche, scrittura per terze o seste, trilli simultanei su note diverse, utilizzo
particolare dell’acciaccatura, abbellimento che assume in Scarlatti una
funzione armonica e non solo decorativa). Ma ancora va posta attenzione,
nell’ascolto, al piano strutturale e formale che induce a vedere, pur nel
7
monotematismo di base e nella bipartizione ricorrente, una proiezione verso i
futuri sviluppi del sonatismo, della capacità discorsiva del linguaggio musicale
di prefigurare un piano di sviluppo delle idee e delle loro concatenazioni con
il risultato di un paesaggio sonoro inedito e originale.
Nella pur discutibile periodizzazione della produzione pianistica brahmsiana
(le periodizzazioni rischiano sempre di avere qualcosa di forzato e artificioso),
si ricava tuttavia con certa evidenza una successione di fasi ben delineate. Al
primo periodo, corrispondente alla prima metà degli anni 50 dell’800,
appartengono infatti opere più marcatamente segnate da un “ideale sinfonico”
(riprendo volutamente la categoria attribuita al pianismo beethoveniano),
dove il pianoforte viene esplorato e valorizzato da Brahms per le sue peculiarità
“orchestrative”, di massa energetica, di densità fonica, di varietà timbrica. Mi
sembra che, per esempio le Sonate op. 1, 2 e 5, o lo Scherzo op. 4, o le
Variazioni op. 9 o ancora le Ballate op. 10, stiano bene dentro questo quadro
estetico e stilistico. A un terzo periodo, legato agli ultimi anni di produzione,
appartengono invece opere attraversate da un tratto più meditativo, più
contemplativo: basti pensare ai brevi pezzi delle opere che vanno dalla n. 76
alla 119. In mezzo, racchiuso nella cornice degli anni 60, si delinea invece un
periodo “virtuosistico”, con opere come le Variazioni op. 21, op. 24, op. 35,
segnate da un progetto impegnativo e palese di perlustrazione tecnica e
stilistica del pianoforte. Come si vede da questo quadro generale, il pianoforte
attraversa l’intero tracciato di vita artistica di Brahms, pur lasciando ampi
segmenti di inattività creativa per questo strumento, come proprio tra l’op. 35
(1862-63) e la successiva op. 76 (1878), a dimostrazione che l’opera qui
eseguita segna un indubitabile traguardo di vertice anche qualitativo a
conclusione di una fase creativa breve ma intensa dopo la quale Brahms
intraprende, per molti anni, altre strade progettuali, per altri paesaggi sonori
e compositivi.
Le Variazioni su un tema di Paganini in la minore op. 35 vengono composte
da Brahms durante il soggiorno viennese del 1862-63. Stimolo diretto alla
composizione sono alcuni suggerimenti ricevuti dal pianista e rinomato
virtuoso (peraltro già allievo di Liszt) Carl Tausig. Si tratta di un caso raro
di composizione su tema con variazioni basate esclusivamente sul carattere
virtuosistico. Non a caso il tema su cui viene costruita l’intera composizione
appartiene, per la sua stessa vocazione iper-acrobatica, a uno dei compositori
più “variati” e “parafrasati” dell’800 romantico e oltre: non serve ricordare
la lunghissima schiera di musicisti (cito solo, per tutti, Schumann, Liszt,
Rachmaninov) ispirati e attratti, sullo stesso terreno di trasposizione pianistica,
8
Brahms, 1874
Scrivere un’opera sarebbe per me altrettanto difficile che sposarmi. Ma, probabilmente, dopo la prima esperienza ne farei una seconda.
Tutto ciò che è umano è soggetto all’umana vanità.
Ci sono tante melodie che vagano nell’aria che devo fare attenzione a non calpestarle.
Non è difficle comporre, ma è incredibilmente difficile eliminare le note superflue.
Johannes Brahms
9
dai 24 Capricci op. 1 di Niccolò Paganini. Brahms sceglie come tema, di
questo corpus altamente sofisticato sotto il profilo della tecnica violinistica,
il Capriccio n. 24, caratterizzato da una sostanza tematica perfettamente
disponibile alle intenzioni brahmsiane: melodia schematicamente semplice,
con un basso funzionale all’elaborazione pianistica, regolare e sistematica
ripetitività di moduli melodico-ritmici.
Nel suo insieme la composizione consiste in due quaderni di 14 variazioni
ciascuno, per un totale, dunque, di ventotto variazioni. Ognuna delle
variazioni affronta una diversa problematica compositiva e dunque esecutiva,
mostrando un carattere compilativo mirato a esaurire il catalogo completo
di tutte le difficoltà tecniche. Il sottotitolo di “Studi per pianoforte”, d’altra
parte, dichiara questa intenzione perlustrativa innestandosi nel filone
qualificatissimo segnato già dagli Studi sinfonici op. 13 di Schumann (183437), o dalle straordinarie raccolte di Studi già composte da Chopin o da Liszt.
Si tratta dunque di una composizione variativa finalizzata sì all’esibizione
del talento virtuosistico compositivo ed esecutivo, ma con l’obiettivo più
profondo di sfruttare questo terreno creativo per sviscerare le possibilità
tecniche offerte da un unico, semplice tema. In una serie di variazioni, per
esempio (le n. 1 e 2 del I quaderno; le n. 1 e n. 3 del II) Brahms esplora il
procedimento delle note doppie, così il trillo viene “studiato” nella n. 4 del
I quaderno, o ancora l’elaborazione per ottave secondo diverse modalità
(staccate, legate, con salti o note doppie occupa numerose variazioni (le n.
6, 7, 8, 13 del I quaderno; le n. 7 e 9 del II), e poi gli arpeggi (nelle n. 6, 8,
10 del II quaderno), o le figurazioni scalari molto rapide (n. 14 del I, n. 5 e
11 del II quaderno), così infine, su un terreno più propriamente espressivo,
occorre segnalare le elaborazioni melodiche virate alle atmosfere nostalgiche
(n. 5), misteriose, tetre, distanti dalle atmosfere paganiniane (n. 10), infantili,
naïf, con effetto di carillon (n. 11 e 12) nel I quaderno, e poi soprattutto
la tenerezza, la cantabilità, l’esplorazione armonica avanzata nelle n. 4, 12
e 13 del II quaderno. Dico infine che sulle due variazioni conclusive, le n.
14 di entrambi i quaderni, Brahms riversa impegno ed energie compositive
particolari, con una più estesa, sfolgorante elaborazione tecnica, toccatistica si
può dire, su diversi aspetti della tecnica pianistica.
Il primo elemento che preme sottolineare nel dare presentazione della Sonata
in si bemolle minore op. 35 di Chopin è la linea cronologica del percorso
compositivo, ovvero la reale sequenza temporale seguita dal musicista polacco
nell’ideazione e creazione dei quattro movimenti di cui questo capolavoro si
compone. Perché se è bene puntualizzare subito il carattere di eccezionalità
10
estetica di quest’opera (lo dico per ricordare comunque che da taluni,
compreso l’acutissimo Schumann, la Sonata è stata fraintesa o misconosciuta
in tutta la sua complessiva e complessa bellezza), un tratto di questa qualità
unica lo si deve proprio all’anomalia della genesi. Sappiamo infatti che
Chopin compone l’op. 35 in un tempo piuttosto lungo, compreso tra il
1837 e il 1839, dandola completa alle stampe nel 1840, a Lipsia, Londra e
Parigi, presso l’editore Trupenas. Ma soprattutto siamo informati del fatto
che Chopin costruisce la Sonata intorno al terzo movimento, il celebre Lento
titolato “Marcia Funebre”, composto nel 1837, effetto, come si suppone, della
cocente delusione amorosa vissuta con Maria Wodzinska (o forse è suscitata,
la sonata, come dicono altri, dalle sofferenze patite dal popolo polacco). E
siamo informati con credibile fondatezza che il primo movimento “GraveAgitato” e il Finale “Presto” vengono perlomeno abbozzati tra la fine del 1838
e l’inizio del 1839, nel periodo doloroso, angosciato, in cui Chopin soggiorna
presso la Certosa di Valldemosa, alle Baleari. Così, infine, sappiamo che lo
Scherzo viene steso verso la fine dell’estate 1839, a Nohant. È a questo punto
che Chopin intraprende il progetto di riunire intorno alla “Marcia Funebre”
gli altri tre lavori e di procedere alla loro modellazione in un lavoro organico,
rimeditato, perfettamente limato e regolato. Lo comunica anche in una
lettera dell’agosto del ’39 all’amico Fontana in cui sostiene: “Sto componendo
una sonata in si bemolle minore nella quale troverà posto la Marcia Funebre
che già conosci. C’è un allegro; poi uno scherzo in mi bemolle minore, la
Marcia e un breve finale di circa tre pagine. Dopo la Marcia, la mano sinistra
va all’unisono con la destra”.
Vorrei riferire rapidamente, per usarle in positivo, delle obiezioni mosse a
questo capolavoro della produzione di Chopin e della musica romantica nel
suo complesso. Schumann, tra gli altri, recensendo la Sonata con un lungo e
ormai ben noto articolo, pur affermando tutta la fascinazione ricevuta dalla
intrinseca qualità musicale, e dalla perturbante materia psicologica, solleva
non poche perplessità sul fatto che tutti e quattro i movimenti sono scritti in
tonalità minore, differentemente dalle convenzioni della forma classica che
vuole alternanze e varietà tra maggiore e minore nei diversi tempi in funzione
di una strategia di contrasti espressivi. Inoltre, resta colpito dalla “Marcia
Funebre”, nella quale, sente “qualcosa di repulsivo”. Infine annota l’anomala
brevità del Finale. In sintesi, dunque, Schumann, e non solo lui, evidenzia
una serie di fattori compositivi che si caratterizzano per una negazione o
almeno trasgressione di importanti principi normativi del sonatismo e della
composizione in generale.
La prima obiezione, come detto, è fortemente segnata dal riferimento
sintattico al mondo classico, per cui coerentemente la sequenza di movimenti
11
Chopin, 1849
Tutta la teoria dello stile riposa sull’analogia della musica col linguaggio parlato, sulla
necessità di separare le differenti frasi, di punteggiare e di dare gradazione alla forza
ed alla celerità dei suoni.
Fryderyk Chopin
Dopo aver suonato Chopin, mi sento come se avessi pianto su peccati che non ho
mai commesso e mi fossi afflitto per tragedie che non ho mai vissuto.
Oscar Wilde
La musica di Chopin è leggera e appassionata, simile a un brillante uccello volteggiante sugli orrori dell’abisso.
Charles Baudelaire
Chopin propone, suppone, insinua, seduce, persuade; quasi mai afferma.
André Gide
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dovrebbe vivere della regolazione dei contrasti e del profilo stesso che il
tracciato deve assumere sotto la prospettiva sia formale sia di tipo espressivo.
Qui, la Sonata op. 35 rappresenta invece la conferma che il Romanticismo,
e per molti versi proprio il linguaggio di Chopin (pure orientato a una seria
riconsiderazione del Classicismo) adotta le forme consolidate per praticarne
una rielaborazione, talvolta derogando ai principi basilari, talaltra perfino
svuotando dall’interno il contenitore portato così a far posto a nuovi contenuti
psicologici. La Sonata op. 35, costruita com’è intorno al nucleo accentratore
della “Marcia Funebre”, coerentemente mostra quattro diverse immagini di
una stessa, intensissima affettività, collegate dalla tonalità minore e dalla
tematica della morte vista in altrettante, differenti prospettive. È come una
tinta, un’espressione, un’atmosfera di fondo, un’unità emotiva che domina
l’intero tracciato. Appare evidente che questo aspetto ritenuto negativamente
si capovolge in imprescindibile valore aggiunto per la realizzazione poetica
dell’opera. Così che la stessa brevità del Finale acquista una logica coerenza,
diviene quasi necessità stringente su una desolata immagine in dissolvenza,
dopo il punto culminante di massima tensione dolorosa della “Marcia
Funebre”.
Questa, ripeto, è il fulcro di tutta l’opera, e offre un piano architettonico
molto netto, in una tripartizione che genera uno sbalzo centrale in cui
l’alleggerimento sublime del canto lirico prodotto dalla melodia dolorosa,
enfatizza e rinforza l’abbraccio di due ali (come nello Scherzo op. 20, d’altra
parte) che aprono e chiudono il movimento sull’incedere perentorio, all’inizio
crescente (è come una processione che si avvicina), infine dissolvente,
mostrando all’ascoltatore un carattere non sempre indagato del linguaggio
musicale: non solo la sostanza energetica, ma proprio il peso, la pesantezza dei
suoni, la loro caduta gravitazionale, di contro al tema della leggerezza nella
parte di mezzo. Ma la Sonata era già iniziata con il primo movimento GraveAgitato, con i due temi contrastanti ridotti al solo secondo nella ripresa (altra
anomalia stigmatizzata che invece accresce la forza espressiva per mezzo di una
concentrazione di materiali). A seguire lo Scherzo, vivacissimo ma funereo,
quasi una danza macabra. Anche qui un gioco di contrasto nella tripartizione,
con il trio, nel mezzo dello Scherzo, basato su Niepodobienstwo, un canto
popolare polacco assai diffuso a inizio 800. A chiudere la Sonata, il breve
Finale: breve ma furioso, tempestoso, immensamente veloce, tutto costruito
su ottave e terzine, suonato all’unisono a due mani, a spazzare la tastiera non
con intenzioni virtuosistiche ma con finalità d’espressione: emerge da questo
eccesso una condizione spirituale, è un esito, un finire raggelato, mondato di
qualsiasi passione ormai sfatta, di qualsiasi emozione ormai spenta.
13
Spettacolare l’originale ballettistico del 1911, nella sua versione pianistica
realizzata da Stravinskij nel 1921, il Pétrouchka riporta una sostanza
compositiva saliente. Il pianoforte, d’altra parte, è alla base strutturale della
partitura dello stesso capolavoro portato in scena dai balletti russi. E il
binomio pianoforte orchestra, relazionato sull’impronta di un confrontodialogo quasi concertistico, ci dice che questa voce strumentale è intimamente
connessa con la storia della marionetta triste, dei balli russi, della scena di
paese, della fiera nella settimana grassa, di tutte le altre vicende che si
susseguono nel balletto. E in questa versione dei Trois mouvements de
Pétrouchka, si ritrova peraltro la pagina più spiccatamente virtuosisitica del
pianismo stravinskiano. Dell’intero tracciato coreografico, Stravinskij riporta
sulla tastiera del pianoforte solo tre scene, cariche tuttavia di una forte,
autosufficiente rappresentatività: “Danse russe”, “Chez Pétrouchka” e “La
Semaine Grasse”.
Alcune peculiarità caratterizzano l’originale orchestrale. La sperimentale
ricchezza timbrica, talmente intensa e primitivista da suggerire agganci non
trascurabili con la pittura fauve, la continua compenetrazione di caratteri
melodici popolari con la più moderna complessità ritmica (poliritmia,
continue asimmetrie, repentini scarti del baricentro metrico), una materia
narrativa e drammaturgica oscillante tra l’estremo arcaismo della tradizione
russa e la modernissima espressività delle avanguardie storiche parigine. Il
lavoro del musicista russo non è concentrato, nei Tre movimenti per pianoforte,
a ricreare i timbri orchestrali e le diverse sfumature di colore sulla tastiera,
quanto semmai a restituire la sostanza di una mobilità multifonica, la varietà
obliqua delle associazioni armoniche, la valenza percussiva e poliritmica
della partitura. Di queste intenzioni, il pianoforte si dimostra adattissimo
portavoce. Così dal primo quadro (Danse russe) strutturato sulla percussività
degli accordi pianistici, si passa al secondo movimento (Chez Pétrouchka),
avviato con la sovrapposizione di due arpeggi contrastanti e condotto sulla
scia di una tumultuosa e convulsa ritmicità, per finire con il complesso (anche
esecutivamente) quadro dedicato alla Settimana Grassa, dove i temi popolari
ricreano l’atmosfera della fiera e della folla in movimento, continuamente
oscillante tra umorismo e intensa energia vitale.
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Stravinskij
Se, come quasi sempre accade, la musica sembra esprimere qualcosa, questa è soltanto
un’illusione.
Io non provo mai. O compongo o non compongo.
Un buon compositore non imita: ruba.
Dodici note in ogni ottava e la varietà del ritmo mi offrono delle opportunità che tutto
il genio umano non esaurirà mai.
Igor Stravinskij
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Coincidenze
1738
Sonate di Scarlatti pubblicate a Londra
Vivaldi, L’Oracolo in Messenia, opera.
Haendel, Xerxes, opera; Sei Concerti per organo.
Porpora, Carlo il Calvo, opera.
La Pace di Vienna, segnò la conclusione della guerra di successione polacca.
Il papa Clemente XII condanna i principi della massoneria che si sta diffondendo
sempre più in Europa.
David Hume pubblica Trattato sulla natura umana.
Francesco Algarotti pubblica il volume Newtonianesimo per le dame.
Viene portata a termine la pubblicazione Rerum italicarum scriptores iniziata nel
1723, la monumentale raccolta di tutte le principali cronache della storia italiana dal
‘500 di Ludovico Antonio Muratori.
1839
Chopin, Sonata n.2 in Si bemolle minore op.35
Chopin, Studi n. 2-7; Improvviso op. 36; Scherzo n. 3.
Nasce Mussorgski.
Berlioz, Rêverie et Caprice, per violino ed orchestra.
Glinka, Valse-fantasie per orchestra.
Mendelssohn, Ruy Blas, ouverture.
Schumann, Nachtstucke per pianoforte.
Liszt, Concerto per pianoforte n. 2.
Verdi, Oberto Conte di san Bonifacio.
Il 1 gennaio esce a Milano il primo numero della rivista letteraria-scientifica fondata
da Carlo Cattaneo Il Politecnico.
Secondo la leggenda, Abner Doubleday inventa il gioco del baseball.
Il 3 ottobre inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana: la Napoli-Portici.
In Gran Bretagna, William Grove inventa la pila a combustibile.
Stendhal, La Certosa di Parma.
Ludwig Feuerbach pubblica il saggio Critica della filosofia hegeliana.
16
1862
Brahms Variazioni su un tema di Paganini in la minore, op.35 (1862-1863)
Brahms, Sonata per violoncello n. 1.
Nasce Debussy.
Berlioz, Béatrice et Bénédict, opera (1860-2).
Verdi, La forza del destino, opera (prima rappresentazione).
Gounod, La Reine de Saba, opera.
Borodin, Sinfonia n.1 (1862-7).
Dvorak, Quartetto per archi n.1.
Victor Hugo scrive I miserabili.
L’esercito regio ferma all’Aspromonte la marcia di Garibaldi dalla Sicilia verso Roma.
Garibaldi, ferito viene trasportato al Varignano (La Spezia).
Il 31 dicembre scoppia la Guerra di secessione americana.
Il 24 agosto entra in vigore la lira italiana.
1921
Stravinskij, Tre movimenti di Petruška
Stravinskij, Suite n. 2 per orchestra da camera; Les cinq doigts, per pianoforte.
Muoiono Saint-Saëns e Humperdinck.
Fauré, Quintetto per pianoforte n. 2.
Janácek, Sonata per violino.
Mascagni, Il Piccolo Marat, opera.
Richard Strauss, Schlagobers, balletto.
Sibelius, Suite mignonne, per flauto ed archi; Suite champetre, per archi.
Busoni, Elegia per clarinetto e pianoforte; Romanza e Scherzo per pianoforte.
Giordano, Giove a Pompei.
De Falla, Homage pour le tombeau de Debussy.
Respighi, Adagio con Variazioni per violoncello ed orchestra.
Pizzetti, Sonata per violoncello.
Bartók, Sonata per violino n.1.
Malipiero, Impressioni dal vero, III (1921-2).
Casella, A Notte alta, per orchestra.
Varèse, Offrandes, per soprano, coro e orchestra.
Milhaud, Sinfonia n. 3 per piccola orchestra; Sinfonia n. 4.
Hindemith, Kammermusik n.1 (1921-2).
Gershiwin, A Dangerous Maid, musical.
Poulenc, La Baigneuse de Trouville, per orchestra.
Šostakovich, Tema e Variazioni per orchestra.
A Livorno il 21 gennaio dalla scissione della corrente di sinistra del Partito Socialista
17
Italiano nasce il Partito Comunista d’Italia.
Viene fondato il Partito Nazionale Fascista.
Adolf Hitler diventa presidente del Partito nazionalsocialista tedesco.
In Unione Sovietica Lenin introduce nella nuova politica economica (NEP) sovietica
elementi dell’economia di mercato.
Papa Benedetto XV emana l’enciclica In Praeclara Summorum.
Il belga Kimbangu, seguace di Gandhi, si mette alla guida del movimento anticolonialista. Un altro movimento nasce grazie a Simon N’Tualani. I missionari
cattolici chiedono al governo Belga di perseguitare i due leader. Kimbangu viene
incarcerato, torturato ed ucciso N’Tualani pure insieme a 38000 persone.
La salma del Milite Ignoto viene inumata nell’Altare della Patria del Vittoriano di
Roma.
Dopo la guerra anglo-irlandese, nasce lo Stato Libero d’Irlanda.
Nasce a Milano l’Università Cattolica.
Si corre la prima edizione del Gran Premio d’Italia di automobilismo.
In Italia inizia la trasmissione dei primi programmi radiofonici regolari.
Fonti: Cronologia universale, Roma, Newton Compton, 1996. Dizionario della musica e dei musicisti, Utet, 1994.
www.musicweb.uk.net/Classpedia/index.htm
18
Max Weber
Il pianoforte
da: Max Weber, I fondamenti razionali e sociologici della musica, Edizioni di
Comunità, Milano 1980.
19
Il pianoforte, strumento a tasti specificamente moderno, ha due origini storiche tecnicamente assai differenti. Da una parte esso procede dal clavicordo
(con ogni probabilità una scoperta dei monaci), derivato attraverso un aumento delle corde dal «monocordo» dell’alto Medioevo – strumento a una
corda e ponticello mobile – che in tutto l’Occidente era alla base della misurazione razionale dei suoni. Esso aveva originariamente corde impegnate per
più suoni, che non potevano quindi essere prodotti contemporaneamente,
se non per le corde libere più importanti, le quali si moltiplicarono però gradualmente, dal basso verso l’alto, a spese delle corde legate. Sui clavicordi più
antichi era impossibile il tocco contemporaneo del do e del mi, cioè la terza.
Da un ambito che nel secolo XIV racchiudeva ventidue suoni diatonici (dal
sol al mi, comprendendo il si bemolle accanto al si), lo strumento al tempo di
Agricola (nel secolo XVI) fu portato a una scala cromatica che andava dal la
fino al si. I suoi suoni, che morivano rapidamente, stimolavano alla figurazione – e così esso diventò prevalentemente uno strumento per la musica artistica vera e propria. I caratteristici effetti di timbro di questo strumento giunto
al massimo della sua perfezione, suonato da tangenti che nello stesso tempo
limitavano la parte sonora delle corde e la facevano tacere – e in particolare i
caratteristici «tremolii» espressivi dei suoni – l’hanno fatto sacrificare alla concorrenza del pianoforte a martelli soltanto quando a decidere il destino degli
strumenti musicali non era più unicamente la richiesta di una ristretta cerchia
di musicisti e di dilettanti raffinati, ma erano le condizioni di mercato di una
produzione degli strumenti su base capitalistica.
La seconda fonte del pianoforte è il «clavicembalo», «clavecin» o «cembalo»,
che deriva dal salterio – e il virginal inglese un poco diverso, le cui corde erano
pizzicate da becchi, e quindi senza possibilità di controllo della forza e del
timbro, ma di grande libertà e uniformità nel tocco. Questi difetti di cui si è
parlato, il «clavecin» li condivideva con l’organo, e si cercò di rimediare ad essi
con analoghi mezzi tecnici. Gli organisti erano, fino al secolo XVIII, gli usuali
costruttori dei pianoforti, e quindi anche i primi creatori di una letteratura
per pianoforte. Il suo pubblico specifico era costituito però essenzialmente
da dilettanti, e in primo luogo naturalmente dalle comunità più legate alla
casa, poiché il libero tocco dei suoni favoriva l’utilizzazione dello strumento
per l’esecuzione di melodie e danze popolari – nel Medioevo dai monaci, e
nell’epoca moderna dalle donne, con la regina Elisabetta in testa. Nel 1722,
per raccomandare un nuovo tipo di pianoforte molto complicato, si rilevava
che «perfino una donna di casa pratica del normale uso del pianoforte sarebbe
in grado di usarlo». Il «clavecin» ebbe senza dubbio, nei secoli XV e XVI, una
gran parte nello sviluppo di una musica più chiaramente melodica e ritmica,
e allora fu un mezzo per la diffusione di una semplice sensibilità armonica
20
di tipo popolare di fronte alla musica d’arte polifonica. Il secolo XVI, epoca
in cui si facevano generalmente esperimenti con la costruzione di strumenti
accordati in modo puro per composizioni a più voci – i teorici si facevano costruire particolarmente degli strumenti sul tipo del pianoforte apposta per gli
esperimenti – era ancora essenzialmente vincolato al liuto per l’accompagnamento del canto; tuttavia il cembalo guadagnò terreno e diventò lo strumento
caratteristico per l’accompagnamento della musica vocale, e poi per l’opera.
Nei secoli XVII e XVIII il direttore siede al cembalo nel mezzo dell’orchestra.
Nella sua tecnica musicale lo strumento rimane, fin verso la fine del secolo
XVII, per quel che riguarda la musica artistica, strettamente legato all’organo.
Gli organisti e i pianisti che nel secolo XVII si sentivano solidalmente, anche
se distintamente, gli artisti e gli esponenti dello sviluppo della musica armonica – soprattutto in antitesi agli strumenti ad arco, che «non potevano produrre una piena armonia» – si sottrassero in Francia (con questa motivazione)
al predominio del violinista principe. Dapprima l’influenza della danza sulla
musica strumentale francese, derivante dalla struttura sociale della Francia, e
poi l’esempio del virtuosismo violinistico, emancipò la musica del pianoforte
dallo stile dell’organo.
Se Chambonnières, nel secolo XVII, può essere considerato il primo autore
di opere per pianoforte, tuttavia Domenico Scarlatti fu il primo, all’inizio del
secolo XVIII, a utilizzare virtuosisticamente i caratteristici effetti del suono
dello strumento. Questo primo inizio del virtuosismo pianistico, insieme con
il sorgere di una grande industria del cembalo basata sulla crescente richiesta
da parte delle orchestre e dei dilettanti, arrecarono le ultime grandi modificazioni tecniche dello strumento e della sua caratterizzazione. I primi grandi costruttori di cembalo (per esempio in Belgio la famiglia Rucker) crearono «artigianalmente» singoli strumenti su ordinazione di determinati consumatori
(orchestre e patrizi), e quindi con un molteplice adattamento a tutti i possibili
bisogni concreti dei committenti, proprio come avveniva per l’organo.
Lo sviluppo del pianoforte a martelli si è perfezionato attraverso diverse tappe, in parte sul suolo italiano (con Cristofori) e in parte su quello tedesco.
Ma in Italia le scoperte che vennero fatte rimasero in un primo tempo quasi
completamente inutilizzate in pratica. La cultura italiana rimaneva infatti (in
fondo fino alla soglia dei nostri giorni) estranea al carattere di ambiente chiuso proprio della cultura musicale nordica. Il canto da cappella e l’opera, quest’ultima configurata in modo da coprire il fabbisogno casalingo di melodie
facilmente comprensibili e cantabili, rimasero l’ideale italiano, condizionato
dall’assenza di una cultura della home borghese. Il centro più importante della
produzione e dell’ulteriore sviluppo tecnico del pianoforte si trovò in seguito
a questo nella regione che era allora musicalmente meglio organizzata, cioé
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la Sassonia. La formazione musicale «borghese» derivante dalle cantorie, i
virtuosi e i costruttori di strumenti, procedevano accompagnati dal vivo
interesse della locale cappella di corte, nel corso dell’ulteriore sviluppo e popolarizzazione dello strumento. Al centro dell’interesse erano anzitutto, tra i
pregi, la possibilità di smorzare e rafforzare i suoni, il loro prolungamento e la
bellezza degli accordi suonati in modo arpeggiante su qualsivoglia intervallo,
e dall’altra parte, tra i difetti (soprattutto agli occhi di Bach), la possibilità di
eliminare la mancanza di libertà che si era inizialmente presentata nel suonare
i passaggi, a differenza del cembalo e del clavicordo.
Al posto del tocco a battitura degli strumenti a tasti del secolo XVI era in corso di sviluppo già per il cembalo, muovendo dall’organo, una tecnica razionale della diteggiatura che, per il suo collegamento delle mani e l’accavallarsi
della dita, appare invero ai nostri occhi ancora confusa e temeraria, finché i
due Bach, introducendo un’utilizzazione razionale del pollice, non le diedero
un fondamento, si potrebbe dire, fisiologicamente «tonale». Mentre la mano
nell’antichità dispiegava tutte le sue capacità virtuosistiche sull’aulos, ora erano il violino e soprattutto il pianoforte a imporre i compiti maggiori.
I grandi maestri della moderna musica per pianoforte, Johann Sebastian e
Philipp Emanuel Bach, tennero una posizione neutrale nei confronti del
pianoforte a martelli; e specialmente il primo ha scritto una parte notevole
delle sue opere migliori per i più antichi tipi di strumento, il clavicembalo e
il clavicordo, più deboli sonoramente ma più intimi e adatti per un più fine
orecchio. Soltanto la maestria virtuosistica internazionale di un Mozart e il
crescente bisogno di un rendimento di mercato e di massa da parte degli editori musicali, degli organizzatori di concerti e del grande consumo musicale,
portarono alla definitiva vittoria del pianoforte a martelli.
Ancora i costruttori di pianoforte del secolo XVIII, in particolare quelli tedeschi, erano in primo luogo anche dei grandi artigiani che prendevano parte
attiva al lavoro e agli esperimenti (ad esempio Silbermann). Dapprima in
Inghilterra (Broadwood), poi anche in America (Steinway), dove l’eccellente
ferro da costruzione tornò a profitto delle intelaiature di ferro e dovette contribuire a superare le non piccole difficoltà di carattere puramente climatico
per l’adozione del pianoforte – che impediscono anche la sua utilizzazione ai
Tropici – si rafforzò la produzione dello strumento su larga scala industriale.
Gia all’inizio del secolo XIX esso era divenuto un regolare oggetto di commercio, e veniva prodotto in grandi quantità. La sfrenata lotta di concorrenza
delle fabbriche e dei virtuosi con i mezzi specificamente moderni della stampa, le mostre e infine – con una certa analogia con la tecnica di smercio dei
produttori di birra – la creazione di proprie sale da concerto da parte delle
fabbriche di strumenti (da noi particolarmente quella di Berlino), hanno
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aperto la strada a quella perfezione tecnica dello strumento, che soltanto
poteva soddisfare le sempre crescenti esigenze tecniche dei compositori. Gli
strumenti più vecchi non erano stati ormai all’altezza delle creazioni più tarde
di Beethoven. Le opere per orchestra possono essere rese accessibili ad un uso
domestico soltanto con una riduzione per pianoforte. In Chopin si trovò un
compositore di prima grandezza, che si limitava esclusivamente al pianoforte,
e infine con Liszt l’intima conoscenza del più grande virtuoso strappò fino in
fondo allo strumento tutte le possibilità espressive di cui era capace.
La sua posizione odierna è basata sulla sua universale utilizzabilità allo scopo
di appropriarsi di quasi tutti i tesori della letteratura musicale nella propria
casa, sull’enorme abbondanza della sua letteratura e infine sulla sua particolarità di strumento universale per l’accompagnamento e per l’addestramento
musicale.
Come strumento di addestramento esso ha sostituito l’antica cetra, il monocordo, il primitivo organo e l’organino delle scuole dei conventi; come
strumento di accompagnamento ha sostituito l’aulos dell’antichità, l’arpa
nordica e il liuto del secolo XVI. La nostra esclusiva educazione alla moderna
musica armonica si basa sostanzialmente sul pianoforte; e ciò anche nel suo
aspetto negativo, in quanto l’abitudine al temperamento ha certamente tolto
al nostro orecchio – all’orecchio del pubblico che ascolta – dal punto di vista
melodico, una parte di quella finezza che dava l’impronta decisiva alla raffinatezza melodica dell’antica cultura musicale. L’addestramento dei cantanti in
Occidente avveniva, ancora nel secolo XVI, al monocordo; e con questo si era
cercato di nuovo, secondo Zarlino, di introdurre l’accordatura pura. Oggi il
loro addestramento avviene quasi esclusivamente al pianoforte, per lo meno
nei nostri paesi, e anche la formazione musicale della scuola per strumenti ad
arco viene compiuta dapprima al pianoforte. È chiaro che non si può ottenere
in tale maniera un orecchio così fine come nell’addestramento per mezzo di
strumenti ad accordatura pura. La maggiore impurità dell’intonazione dei
cantanti nordici, rispetto a quelli italiani, potrebbe essere stata determinata
anche da questo.
L’idea di costruire piani con ventiquattro tasti in una ottava, che era stata
avanzata da Helmholtz, non ha molte prospettive, anzitutto per motivi economici. Di fronte alla comoda tastiera con dodici tasti, esso non avrebbe alcun
successo tra i dilettanti e rimarrebbe un semplice strumento per virtuosi. La
costruzione dei pianoforti è condizionata dalla possibilità di uno smercio di
massa, poiché il pianoforte costituisce, anche per la sua complessiva struttura
musicale, uno strumento da casa borghese. Come l’organo esige un ambiente
di proporzioni enormi, cosi il pianoforte richiede, per poter dispiegare tutto il
suo fascino, un ambiente di media grandezza. Tutti i successi dei moderni vir-
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tuosi del pianoforte non possono fondamentalmente modificare il fatto che
lo strumento, intervenendo in un grande ambiente, viene involontariameme
paragonato all’orchestra e sentito troppo debole al suo confronto. Non a caso,
quindi, gli esponenti della cultura pianistica sono i popoli nordici, la cui vita
e legata alla casa già per motivi semplicemente climatici, e fa centro intorno
ad essa, a differenza del Sud. Poiché nel Sud la cura del comfort della casa borghese è rimasto assai indietro per motivi climatici e storici, il pianoforte che,
come abbiamo visto, era stato scoperto là, non si diffuse con la stessa rapidità
che da noi, e ancor oggi non ha raggiunto nella stessa misura quella posizione
di «mobile» borghese, che presso di noi da tempo ha acquisito.
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Interpreti
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Yuja Wang
la possibilità di spostarsi in Canada
dove ha iniziato a studiare con Hung
Kuan Chen e Tema Blackstone al
Mount Royal College Conservatory.
Nel 2002, all’età di 15 anni, ha vinto
il Concorso dell’Aspen Music Festival e si è trasferita negli Stati Uniti
per studiare con Gary Graffman al
Curtis Institute of Music di Filadelfia, dove si è diplomata nel 2008.
Nel 2006 ha inoltre ricevuto il Premio “Gilmore” per giovani artisti.
Yuja Wang ha già suonato con molte
prestigiose orchestre sinfoniche di
tutto il mondo, tra cui quelle di
Baltimora, Boston, Chicago, Houston, Philadelphia e San Francisco
negli Stati Uniti, oltre alla Tonhalle
Orchestra, la China Philharmonic,
la Nagoya Philharmonic e la NHK
Symphony di Tokyo. Nel 2006 ha
Nata a Pechino nel 1987, la pianista
Yuja Wang è particolarmente apprezzata per la sua capacità di combinare
la spontaneità e l’immaginazione
della sua giovane età con la disciplina
e la precisione di un’artista matura.
La sua abilità è stata descritta come
“sbalorditiva” ed è stata elogiata per
l’autorevolezza con la quale affronta
gli aspetti più complessi del repertorio pianistico, la profondità dello
sguardo musicale e il carisma della
sua presenza scenica.
Ha iniziato a studiare pianoforte
all’età di sei anni e ha proseguito
presso il Conservatorio di Musica
di Pechino con Ling Yuan e Zhou
Guangren. Grazie a uno scambio
culturale tra Canada e Cina ha avuto
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fatto il suo debutto con la New York
Philharmonic, con cui nella stagione
seguente ha intrapreso una tournée
in Giappone e Corea sotto la guida
di Lorin Maazel. Nella primavera del
2008 ha partecipato ad una tournée
negli Stati Uniti con l’Academy of
St. Martin in the Fields e Sir Neville
Marriner. Ha inoltre tenuto recital
nelle maggiori città del Nord-America, partecipando regolarmente a
diversi festival, dedicandosi anche
ad esecuzioni cameristiche. Ha collaborato con molti tra i più stimati
direttori tra i quali Charles Dutoit,
Yuri Temirkanov, Michael TilsonThomas e Pinchas Zuckerman.
Tra gli impegni recenti, concerti
sotto la guida di Charles Dutoit con
le orchestre di Los Angeles, Detroit
e Pittsburgh negli Stati Uniti, con
la NHK Symphony in Giappone e
la Tonhalle Orchestra in Svizzera,
la London Symphony Orchestra
condotta da Michael Tilson-Thomas, l’Orchestra Mozart e quella del
Festival di Lucerna diretti Claudio
Abbado.
Yuja Wang incide esclusivamente per
la casa discografica Deutsche Grammophon. Il suo album d’esordio,
intitolato Sonatas & Etudes, contiene
opere di Chopin, Liszt, Scriabin e
Ligeti.
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Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti,
Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Grande Ufficiale Comm. llario Amhos Pagani,
Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria di Mascalucia Pagani, Paola Scaltriti, Mauro Severi,
Corrado Spaggiari, Deanna Ferretti Veroni, Vando Veroni, Gigliola Zecchi Balsamo
Gianni Borghi, Vanna Lisa Coli, Andrea Corradini, Ennio Ferrarini, Milva Fornaciari,
Giovanni Fracasso, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Franca Manenti Valli, Ramona Perrone,
Viviana Sassi, Alberto Vaccari
Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate con
il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori
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