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Architettura - Università degli Studi "G. d`Annunzio"

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Architettura - Università degli Studi "G. d`Annunzio"
Architettura
L'architettura esiste?
Domanda provocatoria. Me la pongo perché Kahn afferma che l'architettura non è possibile afferrarla, non ha presenza. Solo un'opera di architettura ha presenza.1 Se "non ha presenza" vuol dire che non è qualcosa di fisico, che è un'astrazione. Par di sentire il filosofo Carlo Viano
per il quale la filosofia non esiste2, o lo storico dell'arte Gombrich per il
quale non esiste, in realtà, una cosa chiamata arte, esistono solo gli artisti.3
Kahn, Viano e Gombrich sono tre pazzi? No, giocano solo a equivocare
sulla differenza fra le cose e le parole con cui le nominano. La battuta di
Kahn, se proprio vogliamo salvarla, ci invita a parlare di cose concrete
(le architetture), anziché di astrazioni (la architettura). Ma non ci rivela
alcun segreto. Ci ricorda solo qualcosa di arcinoto: che le parole sono
delle astrazioni di comodo per parlare di cose in qualche misura diverse,
ma assimilabili ai fini del discorso che stiamo facendo.
Se ad esempio discutiamo di ascensori e ospedali, non occorre dire a
quale ospedale ci riferiamo fintantoché il discorso vale per qualsiasi ospedale e per qualsiasi ascensore. Ma se vale per un solo ospedale, non
esitiamo a passare al nome proprio: "Nell'ospedale X gli ascensori sono
a sinistra entrando". La parola "ascensore" è a sua volta un'astrazione da
un insieme di individui diversi, che verranno citati per nome e cognome
non appena il discorso lo richiederà: "All'ospedale X è fuori servizio l'ascensore marca Y, modello Z. Chiamate i manutentori della ditta".
"Architettura" è una parola da definire
1 – Chiede il cliente: "Che differenza c'è fra il semplice costruire e quel che lei continua a chiamare architettura?" Risponde l'architetto: "È la formula magica con cui la distraggo e che mi consente di chiederle
una parcella più alta per via del suo entusiastico applauso…" (Maaik, 1/10/2011).
1 Christian Norberg–Schulz, Jan Georg Digerud, Louis I. Kahn, idea e immagine, Officina, Roma 1980, p.
119.
2 Carlo Augusto Viano, Va' pensiero, Einaudi, Torino 1985, pp. 23-24.
3 La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich, Leonardo Arte, Milano 1990, p. 15.
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"Architettura" è dunque una parola, utile per certi discorsi (fig. 1),
compresi quelli che facciamo qui, e occorre definirla, dato che come
qualsiasi altra parola ha solo i significati che le attribuiamo e che prima
o poi vengono registrati dai vocabolari.
Prima di tutto vediamone l'origine. La parola è composta da due parti:
archi- e -tettura. Avrà a che fare con gli archi, quelle strutture curve che
scaricano il peso soprastante ai due lati di finestre e porte? E con i tetti,
dato che tutti gli edifici hanno un tetto che li chiude superiormente?
Nossignore. Non c'entra né con gli archi né coi tetti. Il prefisso archiviene dal verbo greco archèin (essere primi, essere capi, comandare), da
cui arcangelo, archiatra, arcivescovo, archiginnasio, archètipo, usato anche come suffisso (monarca, patriarca).
La seconda parte, -tettura, come dicevo non ha a che fare con i tetti,
che vengono dal latino tegere, "coprire", da cui anche tegola, teca, toga,
proteggere. Viene dal greco tektonikòs, "relativo alla costruzione". Tèkton è "costruttore, artefice, fabbro, carpentiere". L'architèkton è dunque il "capo dei costruttori" e l'architettura è "la costruzione dell'architetto".
Caratteri essenziali dell'architettura
Stabilita l'origine della parola, vediamo il significato che le attribuiscono i dizionari. Secondo uno dei migliori, il Dizionario Italiano Ragionato,4 l'architettura è l'arte e la tecnica della progettazione e realizzazione
di costruzioni che rispondono a esigenze strutturali, funzionali ed estetiche. Negli altri vocabolari troviamo definizioni analoghe, tutte basate
sui tre caratteri - firmitas, utilitas e venustas - indicati come essenziali
già duemila anni fa da Vitruvio, in uno dei passi più citati dei suoi Dieci
Libri (I, 3), il più antico trattato di architettura pervenutoci.
Nella traduzione più antica che possiedo, del 1747 (fig. 2), la frase
suona così: Tre sono le cose, che in ogni Fabbrica debbono ritrovarsi
sempre unite insieme; e sono la Sodezza, la Comodità, e la Bellezza.5 Un
secolo dopo (1854), il Marchese Galiani traduce invece: negli edifici si
hanno ad aver presenti la Fortezza, il Comodo e la Bellezza. La fortezza
dipende dal calare le fondamenta fino al sodo, e fare senza avarizia esatta scelta de' materiali. Il comodo dall'esatta distribuzione de' membri
dell'edificio, senza che ne resti impedito l'uso, anzi abbia ciascuno l'aspetto suo proprio e necessario. La bellezza finalmente dall'aspetto
dell'opera, se sarà piacevole e di buon gusto, e le misure de' membri avranno le giuste proporzioni.6
La "triade vitruviana" è stata riproposta, stucchevolmente, infinite volte. Un verboso autore ottocentesco, il Cestari, così la presenta: Fra tutte
le arti figlie della necessità e del piacere che l'uomo inventò a proprio
4 AA. VV., DIR, Dizionario Italiano Ragionato, D'Anna–Sintesi, Firenze 1988.
5 L'Architettura Generale di Vitruvio Ridotta in Compendio dal Sig. Perrault, Albrizzi, Venezia 1747, pp.
31-32.
6 Dell'Architettura Libri Dieci di M. Vitruvio Pollione, tradotti e commentati dal Marchese Berardo Galiani
napolitano, G. Antonelli, Venezia 1854, p. 124.
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aiuto, a raddolcire le pene della vita, a tramandare la sua memoria alle
future generazioni, l'architettura tiene uno dei seggi più distinti. Per ciò
concorre all'utilità; essa vince tutte le altre, mentre partecipa di ognuna,
ed è l'aureo anello che lega in dolce accordo quelle appunto dell'utile
con le altre destinate al puro diletto. Ella mantiene la sanità degli uomini
offrendo loro comodo albergo e lavoro ad un tempo e sicurezza. Depositaria della gloria, del gusto e del genio de' popoli, attesta ai secoli futuri il grado di potenza o di debolezza degli Stati; imprime ai principi
che l'hanno impiegata il suggello dell'onore o del disprezzo, e serve alle
future generazioni di regola per valutar quelle che più non esistono.7
2 – Il Vitruvio ridotto da Perrault, Albrizzi, Venezia 1747. La stampina in antiporta riprende quella dell'edizione originale francese (1693), in cui Perrault aveva rappresentato immodestamente le sue principali
opere: il ponte St-Antoine, l'osservatorio di Faubourg St-Jacques e la facciata del Louvre. Nella stampina
ridisegnata per l'edizione italiana rimane solo il ponte.
Avrete notato che Cestari cambia l'ordine di Vitruvio: mette al primo
posto la bellezza (che raddolcisce le pene della vita), lascia al secondo
l'utilità (che mantiene sani gli uomini offrendo loro comodo albergo e
sicurezza) e relega al terzo la solidità (che pur depone eternamente in
favore o contro chi l'ha costruita).
Vitruvio ha elencato tre caratteri per il pregiudizio che faceva di quel
>numero, senz'alcun motivo, un bel numero. Noi quel pregiudizio non
ce l'abbiamo e possiamo divertirci a metterne più di tre o meno di tre.
7 Tom. Emanuele Cestari, Le professioni che possono scegliere e cui avviarsi i giovani studenti, Naratovich, Venezia 1871 2a, pp. 280–281.
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Eliminare la firmitas?
Limitarsi a due eliminando la firmitas? Impossibile, perché tutti gli
edifici devono stare in piedi, anche se progettati proprio per crollare,
spettacolarmente, ma solo a un certo punto (del film: vedi il grattacielo
de L'inferno di cristallo). Possono peraltro simulare instabilità, come i
tanti edifici che sembrano sul punto di andare in >rovina, a partire dalle
false ruine settecentesche fino ai tanti edifici odierni squinternati, decostruiti, sgarrupati8.
Eliminare l'utilitas?
Più facile togliere l'utilitas, perché la >funzione è qualcosa di aleatorio, di temporaneo. Mies – che pure passa per essere un "funzionalista" –
afferma che lo scopo cui l'edificio serve muta continuamente, ma non
possiamo permetterci di abbatterlo. Perciò, capovolgendo lo slogan di
Sullivan "la forma segue la funzione", costruiremo uno spazio pratico ed
economico entro cui adattare le funzioni.9 Coerentemente Mies ha costruito proprio degli "stanzoni", nei quali le funzioni, beninteso temporanee, devono adattarsi in qualche modo: vedi l'enorme Crown Hall entro cui, con l'aiuto di pannelli e divisori precari, sopravvive (o sopravviveva, quando ci sono andato nel 1987), la facoltà di architettura dell'IIT.
Eliminare la venustas?
Togliere la venustas sarebbe ancora più facile, ma probabilmente non
ci conviene, visto che in genere le persone ci riconoscono - bontà loro un gusto per la >bellezza superiore al proprio. È comunque l'anello più
debole della triade, tant'è che i funzionalisti han potuto dichiararla un
mero corollario delle altre due: per loro un edificio solido e utile risultava automaticamente bello.
Quali caratteri aggiungere?
Visto che non possiamo, o non ci conviene, toglier nulla dalla triade
vitruviana10, chiediamoci ora: è il caso di aggiungervi qualcosa? Non abbiamo che l'imbarazzo della scelta.
Zevi richiede all'architettura di avere uno spazio interno, escludendo
così la Tour Eiffel e i ponti, tranne quelli abitati come Ponte Vecchio e
Rialto.
8 Termine napoletano - che significa scassato, squinternato, scombiccherato, trasandato, malmesso - reso famoso dal maestro Marcello D'Orta col suo libro Io speriamo che me la cavo: sessanta temi di bambini
napoletani (Mondadori 1990). Nel tema «Descrivi la tua casa» un bambino aveva scritto: La mia casa è tutta
sgarrupata, i soffitti sono sgarrupati, i mobili sgarrupati, le sedie sgarrupate, il pavimento sgarrupato, i muri
sgarrupati, il bagno sgarrupato. Però ci viviamo lo stesso, perché è casa mia, e soldi non ce ne stanno. Mia
madre dice che il Terzo Mondo non tiene neanche la casa sgarrupata, e perciò non ci dobbiamo lagnare: il
Terzo Mondo è molto più terzo di noi!
9 Cit. da Norberg-Schulz, Intenzioni in architettura, p. 250. Il famoso slogan "la forma segue la funzione"
è invece attribuito da Rykwert (Necessità dell'artificio, p. 196) al protofunzionalista americano Horatio Greenough (1805-52) e da Pevsner (Dizionario di architettura, p. 239) a Dankmar Adler (1844-1900), il socio di
Sullivan (1856-1924).
10 Qualcuno però ci ha provato: Bernard Tschumi ha proposto di sostituirla completamente con una nuova, peraltro assai improbabile: spazio, evento e movimento (Architecture and Disjunction, MIT Press, Cambridge MA 1994).
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Altri considerano essenziali, o auspicabili, la simbolicità, l'espressività,
la geometria, le contraddizioni, l'economicità, la vendibilità, la rapidità
di >costruzione, l'ambientamento, il rispetto della >natura, la sostenibilità, l'antisismicità, la verità (escludendo i set cinematografici e la finta
Venezia11 costruita a Las Vegas, fig. 3).
3 – The Venetian a Las Vegas, un hotel con 3.036 suite da 70 mq ciascuna, sale da gioco, centro congressi ecc.
Architettura e culinaria
Qualcun altro - evidentemente goloso – vorrebbe richiedere all'architettura delle caratteristiche esplicitamente culinarie, per i rapporti strettissimi che unirebbero il cibo e gli edifici.12 Forse che con il gusto non
riconosciamo sia il buono da mangiare che il bello da vedere? Forse che i
cuochi non partono come noi da materiali naturali? Forse che come noi
non li trasformano al punto da renderli irriconoscibili?13 Antonin Carê11 Guido Moltedo (Welcome to Venice. Cento volte imitata, copiata, sognata, Consorzio Venezia Nuova,
2007) elenca oltre un centinaio di città chiamate Venezia, Venice, Venecia, Veneza, Venetia…, spesso con il
loro Palazzo Ducale, il Campanile, il ponte di Rialto, le gondole; nonché un intero stato, il (anzi la) Venezuela
(Piccola Venezia), così battezzata dal vicentino Amerigo Vespucci nel 1499, per via degli indios che abitavano
su palafitte nella laguna di Maracaibo.
12 Come d'altronde il cibo e i quadri. Baj usava al posto della tavolozza dei piatti, forse perché ricordano
la cucina. E la pittura, dicono i francesi, è una cuisine, cioè un misto di sapori, di spezie e odori, di carni e di
verdure e frutta colorate. Inoltre dipingere è come partecipare a un banchetto ove il commensale quelle leccornie colorate che spreme dai tubetti sul piatto, anziché mangiarsele, le fa digerire dalla tela. Tutti i piatti
van bene, specialmente se sbeccati, meglio quelli piani che non le fondine adatte a zuppe e brodaglie diluite… (Enrico Baj, Impariamo la pittura, BUR, Milano 1987, p. 91).
13 Su questo genere di argomenti consiglio due raccolte di saggi: Eating Architecture, edited by Jamie
Horwitz & Paulette Singley, The MIT Press, Cambridge MA 2006; The Architect, the Cook and Good Taste,
edited by Petra Hagen Hodgson & Rolf Toyka, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2007.
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me, detto il Palladio dei cuochi, considerava l'architettura nient'altro che
una branca misconosciuta della pasticceria.14
Qualche lustro dopo di lui l'architetto scozzese James Fergusson
(1808-86), in una conversazione sui «Principi della progettazione architettonica» tenuta il 9 dicembre 1862, disse ai suoi attoniti ascoltatori
che il processo attraverso cui una capanna viene elevata a tempio o un
luogo di riunione a cattedrale, è lo stesso attraverso cui un collo di
montone diventa una Côtelette à l'Impériale e un pollo alla griglia un
Poulet à la Marengo. In parole povere, egli continuò, se volete conoscere
i princìpi della progettazione architettonica vi converrà di più studiare le
opere dei cuochi famosi che non uno o tutti gli scrittori di architettura
da Vitruvio in poi.15
Indubbiamente il nostro immaginario è ricco di edifici commestibili.
Fin da piccoli ci han raccontato la storia della casetta di cioccolato, caramelle, marzapane, torrone e zucchero in cui la perfida strega attira
Hänsel e Gretel, cioè Giovannino e Gretina (fig. 4).
4 – La casetta commestibile della strega, nella fiaba «Hänsel e Gretel» dei fratelli Grimm.
Poi, crescendo, abbiamo appreso che i romani facevano edifici commestibili, che Bernini costruiva allestimenti di zucchero per la Curia romana, che Salvador Dalì parlava di bellezza terrificante e commestibile
14 Jean–Claude Ribaut, «Architecture patissière», in: L'Architecture d'Aujourd'hui, 267, 1990, p. 24. Il povero Marie-Antoine Carême (1783–1833), detto Antonin, appena nato venne abbandonato dal padre muratore in una baracca di cantiere. Malgrado questa terribile esperienza, cui sopravvisse per miracolo, coltivò per
tutta la vita un intenso amore per l'architettura, studiandola alla Biblioteca Nazionale sulle stampe di Terzio,
Vignola, Palladio e Scamozzi. E applicandola poi ai suoi piatti, come possiamo vedere nelle 124 tavole di suo
pugno che illustrano il Pâtissier pittoresque (1815; 1822, 2e édition revue et augmentée): dolci a forma di
padiglioni, rotonde, templi, rovine, belvederi, forti e case di piacere. Carême morì nel 1833 sussurrando il
faut doucement secouer la casserole, la casseruola va agitata dolcemente.
15 Peter Collins, I mutevoli ideali dell'architettura moderna, Il Saggiatore, Milano 1973, p. 216.
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dell'architettura Art Nouveau e che nell'estate del 1989 l'urbanista napoletano Fabrizio Mangoni - secondo il quale la colonna greca e il babà
raggiungono il medesimo grado di perfezione - ha realizzato a Procida,
complici Nicola Pagliara, Benedetto Gravagnuolo e il cuoco Salvatore di
Meo, una Casa sulla cascata fatta di ripiani di pane; nonché, in perfetto
stile >hi–tech, una struttura di ferro infilzata a mo' di spiedo in un brasato di due metri e mezzo, nel quale aveva martellato dei chiodi di garofano.
Oggi abbiamo l'Incredibile Casa Commestibile, ricoperta di pomodori,
fagioli, tè verde ecc., innaffiati con acqua piovana opportunamente raccolta e riciclata (fig. 5).
5 – L'Incredible-Edible House dello studio Rios+Clementi+Hale, idea di casa del futuro per il Wall Street
Journal, 2009.
Architettura e sartoria
Non meno agguerriti i sostenitori di una stretta affinità fra architettura
e sartoria. Per Philip Johnson l'architettura è questo: sartoria. È la decorazione di una struttura.16 D'altronde le analogie sono evidenti, come
dimostra James Laver mettendo a confronto gli edifici con gli abbigliamenti coevi17 (fig. 6).
16 Philip Johnson, «La storia è un modo più rapido per ottenere un risultato», in: Domus, 726, 1991, p.
25.
17 I ragionamenti di James Laver in Style in Costume (Geoffrey Cumberlege – The Oxford Univ. Press,
1949) hanno, come afferma Mario Praz in Mnemosine (Mondadori, Milano 1971, p. 35), un antecedente in An
Anathomy of Clothes di Gerald Heard (Kegan Paul, Trench, Trubner & Co., London 1924) e sono stati a loro
volta ripresi da Rosita Levi Pisetzky nella sua Storia del costume in Italia, Istituto Editoriale Italiano, Milano
1964, vol. III, pp. 16, 18.
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6 – Analogie tra architettura e moda in epoca gotica, Tudor (fine '400, il ritratto è di Holbein) e nell'ottocento (da J. Laver, cit., in Domus, 245, 1950, p. 37).
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Architettura e sesso
Infine a parere di molti non guasterebbe, nella definizione di "architettura", un qualche riferimento al >sesso, con il quale ogni cosa umana ha
inevitabilmente a che fare. Quattro secoli prima di Freud, Filarete già vedeva nell'architettura delle chiare valenze erotico–sessuali. Non è altro lo
edificare – afferma - se none un piacere voluptuario, come quando
l'uomo è innamorato, e chi l'ha provato il sa, ché nello edificare c'è tanto
piacere e desiderio che quanto più l'uomo fa più vorrebbe fare … Così
come quando uno è innamorato volentieri va a vedere la sua amorosa, e
quando essa è in luogo che egli la vegga non gli rincresce e non gli viene a noia il tempo, così colui che fa edificare va volentieri a vedere il suo
edificio, e quanto più lo vede più lo vorrebbe vedere, e più gli cresce l'animo, e quel tempo passa e non gli rincresce mai o di ragionare o di
guardarlo, come lo innamorato proprio di ragionare dell'amorosa.18
Freud si spinge ancora più avanti: per lui lo spazio interno della casa
rappresenta nei sogni (maschili) la donna, con porte e finestre a far da
orifizi. Cosa invece rappresenti l'architettura nell'immaginario erotico
femminile non lo sappiamo, e sarebbe interessante indagarlo. Con queste premesse, non stupisce che l'architettura venga rappresentata come
una giovane donna, spesso ignuda o in vesti succinte (fig. 7): gli artisti,
storicamente, sono nella stragrande maggioranza maschi.
7 – L'Architettura armata di compasso nella piazza antistante l'Hôtel de Ville parigino, già luogo di esecuzioni capitali dal 1310 al 1830.
Non esiste alcuna "essenza" dell'architettura
Altre caratteristiche si possono ovviamente aggiungere, a discrezione
di chi definisce la parola "architettura". Qualcuno rimarrà comunque in18 Filarete, Trattato di architettura, (1464 ca.), Il Polifilo, Milano 1972, pp. 41–42.
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soddisfatto di tutte queste definizioni relativiste, soggettive, perché vorrebbe sapere qual è l'essenza dell'architettura, o la sua struttura (in senso, è ovvio, strutturalista), insomma quel qualcosa di non direttamente
percettibile e interno, fondamentale alla sussistenza, … che non sta direttamente in vista ma sostiene e informa tutta l'opera, … qualcosa di
più dello scheletro e di meno facilmente reperibile dello scheletro.19
Lo vorrebbe sapere perché sospetta che l'architettura sia un tutto formato da fenomeni solidali, tali che ciascuno dipende dagli altri e può
essere quello che è solo nella e per la relazione con essi.20 Sospetta che
vi si possa individuare un sistema ben specificato di rapporti o di leggi,
descriventi il funzionamento del fenomeno21: non dice forse Brandi che
se l'essenza del linguaggio sta nella comunicazione, l'essenza dell'architettura non si rivela nella comunicazione22? E dunque, pure se Brandi
non dice qual è, l'essenza dell'architettura deve esistere, eccome: basta
cercarla!
8 - L'architetto al collaboratore: "Hai finito con quel rendering?". Lui risponde: "Eccolo qui… Un'altra bella
immagine di un'illusione…" E aggiunge: "Tutto quel che faccio mi sembra così superficiale…" E ancora:
"Qual è il significato più profondo dell'architettura?". "Lo scantinato…", taglia corto l'architetto (Maaik,
19/1/2010).
No, mi spiace, non ha senso porsi domande circa l'essenza, la natura,
il significato profondo (fig. 8) delle cose. Supponiamo – dice Richards –
che qualcuno domandi: "Cos'è una mela?" La nostra risposta potrebbe
essere: "È un frutto che cresce su un albero". E lui: "Non ho domandato
dove cresce ma cos'è". Proveremo ancora: "È un frutto nutriente". E lui:
"Non ho chiesto a cosa somiglia o che effetto fa, ho chiesto cos'è". Supponiamo allora di dire: "È un raggruppamento di cellule, un sistema di
molecole, di atomi…". Lui può sempre rispondere: "Non ho chiesto
cos'avrei visto guardandola al microscopio o quali ipotesi chimiche possono spiegare ciò che accadrebbe se le facessimo certe cose ecc. Chiedevo, molto semplicemente, cos'è". In tal modo ci ha battuto in partenza. Possiamo solo sbarazzarci di lui dicendo che la sua è una domanda
19 Cesare Brandi, Struttura e architettura, Einaudi, Torino 1967, pp. 14, 15.
20 Vocab. filosofico Lalande, 1926, cit. in Roger Bastide (a cura di), Usi e significati del termine struttura,
Milano 1965, p. 10.
21 Edmond Malinvaud, economista francese cit. in R. Bastide, cit., p. 10.
22 C. Brandi, cit., p. 37.
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da non farsi e che se definiamo una domanda come qualcosa che teoricamente può avere una risposta, la sua non è una domanda. Sembra una
domanda solo perché ha la stessa forma verbale di una domanda.23
Se m'interroghi sull'essenza dell'architettura potrei rispondere, poniamo, "funzionare". Ma tu obietteresti: "Non chiedo a cosa serve, ma
cos'è". Se ti rispondo "comunicare", tu dirai: "Non ho chiesto se comunica le funzioni che svolge, i valori della società o altro, ma cos'è". E così
all'infinito. La tua sembra una domanda, ma non lo è, se una domanda è
qualcosa cui si può rispondere. Se cerchi comode semplificazioni rimarrai deluso, non so che farci. L'architettura non ha un vero centro, una
essenza più o meno platonica, ma solo i centri e le essenze che di volta
in volta le attribuiamo. E ogni studente, ogni architetto, ogni critico, ogni docente, darà legittimamente un peso maggiore o minore all'una o
all'altra caratteristica, ma senza che le sue scelte abbiano un valore oggettivo e universale.
23 Ivor Armstrong Richards (1893-1979), Interpretation in Teaching, Harcourt Brace, New York 1938, p.
354, cit. in Bernard C. Heyl, Nuovi orientamenti di estetica e di critica d'arte, Longanesi, Milano 1948, pp.
27–28.
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